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I.P.
Italian Journal of Quality & Management Systems
IL COSTRUIRE & LE ARCHITETTURELe età delle Grandi EsposizioniEnrico Lattes, l’architetto ritrovatoConsiderazioni sulla Normativa SismicaLa norma UNI ISO 20121: sostenibilità degli eventi
ESPERIENZE & SPERIMENTAZIONIIl laboratorio sperimentale ferroviario di OsmannoroIl controllo di qualità con le “stellette”Il Just in time e la PA
APPROfONdIMENTI & RUbRICHE
MEdIA & SOCIETàLa Radio Vaticana e la multimedialitàLa misura della qualità della programmazione televisiva
INSERTOIl mercato dei prodotti agroalimentari
IN PRIMO PIANO
IL PONTE fERROvIARIO STRALLATO SUL fIUME PO
Mario Paolo PETRANGELI
n.2m a r z o / a p r i l e
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>> Editoriale1
marzo/aprile 2015www.qualitaonline.it
La qualità del costruire per la qualità del futuro
In un bellissimo libro scritto dal grande progettista italiano ing. Pier Luigi Nervi veniva sottolineato che: «ilcostruire è, senza confronti, la più antica ed importante delle attività umane. Nasce dal soddisfacimento diesigenze materiali dei singoli e della collettività, e si eleva ad esprimere i più profondi e spontanei senti-menti; riunisce in una unica sintesi lavoro manuale, organizzazione industriale, teorie scientifiche, sensi-
bilità estetica, grandiosi interessi economici, e, per il fatto stesso di creare l’ambiente della nostra vita, eserci-ta una muta, ma efficacissima, azioni educativa su tutti. D’altra parte, con l’esprimere giudizi, con il manife-stare predilezioni o contrarietà verso particolari aspetti e tendenze di esso, o, infine, con diretto intervento,tutti concorrono a determinare i caratteri e le direttive dei suoi sviluppi. Per i suoi multiformi aspetti, per la suadurata nel tempo, per i fattori scientifici estetici, tecnici e sociali che in essa si fondono, è più che giustifica-to considerare l’attività del costruire come la sintesi più espressiva delle capacità di un popolo, e l’elementopiù significativo per giudicare il grado della sua civiltà e lo spirito di essa. E’ evidentemente impossibile por-tare l’attività edilizia ad un così alto livello per cui ogni costruzione diventi un’opera d’arte, ma è nel limitedelle possibilità, e sarebbe di una grande importanza morale, economica e sociale, orientare la nostra edili-zia verso il pieno soddisfacimento delle caratteristiche di buona funzionalità, buon rendimento economico,serietà e compostezza estetica, in una parola verso una correttezza costruttiva dalla quale oggi siamo, troppevolte, molto lontani …». Queste parole mi sono sembrate concatenarsi con un discorso, vecchio quanto il mondo,che affonda le radici già nelle prime pagine della Genesi: “la capacità salvifica del bello, del buono e delle cose benfatte”; concetto che noi qualitologi chiamiamo«Qualità»! Mi piacerebbe tanto richiamare, al riguardo, tante citazio-ni su questi valori aggrediti dal relativismo e dall’effimero, ma lo spazio disponibile me ne consente solo due:Antoine de Saint Exupery: «vivo con fatica la mia epoca. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondoun problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si puòvivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senzaamore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propriaprigione»; Viollet le Duc, il grande architetto francese che ha “recuperato” la cattedrale di Notre Dame di Parigi,teorizzava che: «non si può creare un edificio sulla scorta di un vago e indefinito empirismo; le regole, nelleproduzioni dello spirito umano, sono state un ostacolo per i mediocri ignoranti: esse sono un soccorso effi-cace e uno stimolo per gli spiriti eletti, esse non hanno mai impedito ai grandi la realizzazione di capolavoriné hanno soffocato la loro ispirazione. Il merito degli architetti del Medioevo è stato quello di possedere rego-le ben definite; la sventura delle arti oggi - e particolarmente dell’architettura - è di credere che si possa faretutto sotto l’ispirazione della pura fantasia». In linea con tali paradigmi valoriali occidentali, questo numero è volu-tamente dedicato all’arte del costruire, dello sperimentare e del comunicare “capolavori”, sia tangibili che intangi-bili. E’ per me, quindi, un onore poter aprire la Rivista con la presentazione del «ponte ferroviario strallato sul Poper la linea ad alta velocità Bologna-Milano», capolavoro del nostro «made in Italy», progettato dal “mio” pro-fessore Mario Paolo Petrangeli, il massimo progettista italiano di ponti. Arricchiscono il numero i prestigiosi ed inte-ressanti articoli di padre Andrzej Koprowski s.j. (Direttore della Direzione Programmazione della Radio Vaticana),dell’ing. Carlo Carganico (Amministratore delegato di Italcertifer) e di stimatissimi colleghi come l’ing. Alvaro Fumidi Rete Ferroviaria Italiana, il prof. Gabriele Milelli, il colonnello Sebastiano La Piscopìa, il dott. Remigio del Grosso,l’arch. Sergio Danilo Pirro, il dott. Massimo Leone, l’ing. Luigi Giovannelli e il dott. Mirco Fellini; a tutti va il mio piùsentito e grato ringraziamento. Buona lettura e “buona Qualità” a tutti!
Sergio BINI
Il Direttore
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Editoriale 1 La qualità del costruire
per la qualità del futuroSergio BINI
Tema 1 Il Costruire & Le Architetture
11 L’età delle Grandi Esposizioni Gabriele MILELLI
15 Enrico Lattes, l'architetto ritrovatoDanilo Sergio PIRRO
19 Considerazioni sulla Normativa SismicaLuigi GIOVANNELLI
22 La Norma UNI ISO 20121: Sostenibilità degli EventiMassimo LEONE
Tema 2 Esperienze & Sperimentazioni
33 I nuovi laboratori ferroviari di Firenze OsmannoroCarlo CARGANICO e Alvaro FUMI
39 Il controllo di qualità con le ”stellette”Sebastiano LA PISCOPÌA
44 Il Just in Time e la PAMirco FELLINI
IN pRIMO pIANO
4 Il fiume ferroviario strallato
sul fiume PO
Mario Paolo PETRANGELI
s o m m a r i o
- prof. Alessandro rUGGIErI, Magnifico Rettore dell’Università
degli Studi della Tuscia di Viterbo, presidente;
- prof.ssa Fiammetta mIGNEllA CAlvOSA, professore ordinario
di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio presso l’Università
LUMSA di Roma;
- prof. ing. massimo trONCI, professore ordinario di Impianti In-
dustriali Meccanici presso il Dipartimento di Ingegneria Meccani-
ca e Aerospaziale dell’Università di Roma la Sapienza;
- prof. Salvatore lA rOSA, professore ordinario di Statistica
Aziendale e Controllo della qualità presso la Facoltà di Econo-
mia dell’Università degli Studi di Palermo;
- prof. Enrico maria mOSCONI, direttore del Centro per l’Innova-
zione Tecnologica e lo Sviluppo del Territorio presso Diparti-
mento di Economia e Impresa dell’Università degli Studi della
Tuscia di Viterbo;
- prof. ing. Antonio SCIPIONI, direttore del Centro Studi Qualità
Ambiente presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale del-
l’Università degli Studi di Padova;
- prof. arch. maria Antonietta ESPOSItO, professore ordinario
di Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento di Archi-
tetture dell’Università degli Studi di Firenze.
COMITATO TECNICO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA
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Tema 3 Media & Società
48 La Radio Vaticana e la MultimedialitàAndrzej KOPROWSKI S.J.
51 La Misura della Qualità della ProgrammazioneTelevisiva Remigio DEL GROSSO
Inserto per Approfondimenti
I Il Mercato dei Prodotti Agroalimentari:Considerazioni, riflessioni e qualche istruzione per l’usoPiero GALDABINO
Lo scaffale di Qualità
24 a cura della REDAZIONE
Spigolature
55 «Qualità sociale» e modello sociale europeoa cura di Sergio BINI «Omnia mea mecum porto!». La locuzione richiamata sia da
Cicerone che da Saulo di Tarso - «tutto ciò che (di buono) è
mio, lo porto con me!» - meglio di tante parole, riesce a
rappresentare questa splendida incisione di Annibale Carracci
dedicata al “muratore” scelta per la copertina del numero. Il
protagonista rappresentato non è il semplice e stanco operaio
che si vede oggi nei pochi cantieri nostrani. Il nostro è un
professionista che si reca al lavoro con tutto l’armamentario
dei propri strumenti che non sono solo tangibili (cazzuola,
squadra, regoli, contenitore per l’impasto, regolo graduato
per le misure, e così via), ma anche di quelli intangibili
(competenziali e relazionali). Nel Seicento il “maestro d’opera”
era ancora un signor artigiano appartenente alla corporazione
dei maestri muratori e, come tale, dotato di un bagaglio di
esperienze, competenze e conoscenze acquisite
progressivamente, risultato di un laborioso percorso di
crescita nei cantieri, sotto la guida di valentissimi “capi dei
maestri d’opera” (la vulgata popolare ha conservato la forma
contratta di “capo-mastro”). La “maestrìa” così acquisita
consentiva di utilizzare strumenti particolari come la «fune a
12 nodi» con la quale si riuscivano a fare miracoli nei cantieri:
realizzare allineamenti ortogonali, individuare la sezione aurea
per costruire triangoli e rettangoli “aurei”, pentagoni, rosoni ed
altri particolari costruttivi; innovazioni introdotte dai
benedettini nella costruzione di migliaia di stupende Cattedrali,
partendo dalle lezioni del grande Vitruvio.
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L’IMMAGINEDI
COpERTINA
prof. Enrico Maria MOSCONI, coordinatore
dott. Ercole COLONESE
prof. Amalia Lucia FAZZARI
ing. Pier Luigi GUIDA
prof. Alberto PADULA
prof. Cecilia SILVESTRI
ing. Giampaolo STELLA
prof. Simona TOTAFORTI
ing. Sergio BINI
[email protected] - via di San Vito, 17 - 00185 Roma - fax 06.4464145
COMITATO EDITORIALE [email protected]
DIRETTORE RESpONSAbILE
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Il ponte ferroviario strallatosul fiume Po
IntroduzioneLa rete ferroviaria ad alta velocità [AV] italiana iniziò negli anni’60 quando, prima in Europa, fu progettata la Direttissima Roma- Firenze. Bisognò però aspettare circa 20 anni per ripartire conil progetto di una rete AV, impostato nel 1986 dalla DirezioneCentrale Sistema Alta Velocità delle Ferrovie dello Stato [FS].Questa, nel 1988, affidò allo scrivente la progettazione di massi-ma ed esecutiva del viadotto sul Po per la nuova linea Bologna -Milano.Nel 1991 FS affidò a TAV SpA la concessione per la progettazio-ne esecutiva, la costruzione e lo sfruttamento economico delleopere facenti parte del Sistema AV. La TAV assegnò la tratta Bologna - Milano al Consorzio CEPAVUNO; questo, nel 1995, incaricò lo scrivente di rielaborare ilnuovo progetto esecutivo del ponte sul Po recependo le osserva-zioni di vari Enti, ed in particolare del Ministero dell’Ambiente edi ITALFERR, incaricata dell’Alta Sorveglianza dell’intera rete AVitaliana.L’iter progettuale si chiuse con la redazione del progetto costrut-tivo per conto di SAIPEM, società del Consorzio CEPAV UNO,conferitaria per la sua realizzazione del ponte.L’attraversamento avviene circa 1500 metri a valle di quello
dell’A1 in prossimità di Piacenza, in un tratto ove l’alveo di ma-gra ha una larghezza di circa 350 metri ma la distanza tra gli ar-gini maestri è superiore ad un chilometro. Fuori degli argini maestri si hanno due viadotti di approccio lun-ghi complessivamente circa 10 km, della tipologia standard atravate appoggiate, non trattati nel seguito.
The new HS railway linking Bologna to Milano crosses the Po
with an 11 Km long viaduct, the most important of the new line,
in a section where the distance between the main embankments
is 1,2 Km, 400 m being necessary to cross the ordinary riverbed.
Three types of structure are present in this part: (i) the cable stayed
bridge, (ii) 12 simply supported 45 m decks and (iii) two conti-
nuous p.c. box girders, built by cantilevering method, overpassing
the main embankments
The cable-stayed bridge has a 192 m central span and two 104 m
long side spans.
The deck is a p.c., 4,50 m deep, continuous box girder; the towers
are 60 m high from the footings and the foundation of each tower
is supported by 28 piles, 2m dia and 65 m long.
The stays are made of zinc-coated, singularly greased and sheeted
strands.
Special studies for the vibrations and the track-structure interac-
tions were necessary, the design speed being up to 350 km/h. Fur-
thermore many tests, described in the paper, have been carried
out to validate the numerical models.
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> Figura 1: Vista generale del ponte sul PO
> Figura 2: Soluzioni preliminari proposte
> Figura 3 Sezione campate in golena destra
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Poiché l’attraversamento ha una obliquità di circa 22° rispetto alfiume, il ponte (inteso come il tratto da argine ad argine) ha unalunghezza di circa 1200 m, di cui 400 necessari per lo scavalcodell’alveo di magra.
Vincoli progettualiOltre ai vincoli imposti dalla normativa vigente all’epoca il temain oggetto ne presentava altri specifici che sono:
La navigabilità. L’ARNI, Azienda Regionale per la Navigazione Interna, richiese
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> Figura 4 Costruzione a sbalzo dei viadotti scavalco argini
> Figura 8 Conci superiori di una torre
> Figura 7 Viste frontale e laterale di una torre
> Figura 9 Vista generale delle fondazioni delle torri in costruzione
> Figura 5 Pila in prossimità argine maestro
> Figura 6 Costruzione a sbalzo del ponte strallato
In primo piano
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La sismicità.
Pur non essendo la zona classificata sismica dalla normativa al-lora in vigore, fu deciso di considerare l’area come soggetta a ri-schio simico, se pur di bassa intensità, previsione confermatadalle norme attuali.Si sono quindi seguiti i criteri di progettazione validi per zone in-dividuate allora con S = 6.L’attraversamento degli argini.
Una legge del 1904, tutt’ora in vigore, impone distanze minimeper gli scavi dai piedi degli argini, fissando di fatto la luce mini-ma di scavalco.Oltre a ciò vi era l’interdizione da parte del Magistrato del Po adisporre sostegni provvisionali su queste opere in terra.
Criteri di scelta della soluzione propostaNel ponte si individuano tre parti ben distinte le quali, pur man-tenendo uno stile unitario, sono tipologicamente diverse tra loro(figura n. 1):1 lo scavalcamento degli argini maestri che, tenuto conto delleobliquità e delle distanze minime dette, hanno comportato lu-ci di 67,7 m (in sinistra) e 62,7 m (in destra);
2 la zona golenale in destra, nella quale la scelta delle luci è sta-ta condizionata principalmente da questioni idrauliche e fon-dazionali;
3 l’attraversamento dell’alveo propriamente detto ove sono ne-cessarie le grandi luci navigabili.
Per lo scavalco degli argini le luci richieste hanno portato adescludere le travi prefabbricate mentre l’interdizione a disporrequalsiasi opera provvisionale ha imposto una soluzione a travecontinua costruita a sbalzo per conci successivi. Questo è stato ilsecondo ponte ferroviario di questo tipo realizzato in Italia dopoil ponte sull’Arno della Direttissima Roma - Firenze.Non vi erano invece vincoli particolari per il viadotto in golenadestra, se non quelli di avere un numero limitato di sostegni pernon ingombrare troppo l’alveo di piena.Ampie luci erano anche consigliate dall’alto costo delle fonda-zioni, dovuto ai fenomeni di scalzamento visti.Non volendo rinunciare alla prefabbricazione, trattandosi di unelevato numero di campate, si è scelta una soluzione a travi pog-giate di 50 m di luce, superiore a quella di tutte le realizzazionisimili effettuate fino ad allora in Italia.Più laboriosa è stata la scelta della struttura per il superamentodell’alveo di magra che, come detto richiedeva luci minime di
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luci navigabili nette di 70 m (misurate ortogonalmente alla cor-rente) ed un franco di 6,8 m rispetto alle massime acque naviga-bili. (Quota di piena che mediamente non viene superata più didieci volte l’anno)Tenuto conto dell’obliquità e dell’ingombro delle pile, ciò com-portava interassi minimi delle pile di circa 90 m.Lo scalzamento.
Le analisi svolte indicavano la possibilità che, con le piene ecce-zionali, lo scalzamento massimo potesse arrivare a circa 16 m aldisotto della quota del fondo alveo ordinario. Questo evento peraltro, oltre ad essere eccezionale, è di duratarelativamente breve e quindi si è considerato anche un evento“ordinario“, con scalzamento di 8 m, differenziando le presta-zioni richieste al ponte nel caso di questi due scenari.
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> Figura 10 Prove di carico su pali da 2 m
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> Figura 11 Modello di concio di impalcato scala 1:2
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y Il ponte ferroviario strallato sul fiume Po y
90 m, aumentate a 96 m per ridurre a solo 3 le pile da costruirein acqua.Inizialmente furono messe a confronto le due soluzioni indicatein figura n.2, ma in sede di esame del primo progetto il Ministerodell’Ambiente auspicò l’eliminazione della pila centrale, richie-sta recepita nella stesura definitiva realizzata e che ha comporta-to l’adozione della soluzione strallata.Ciò è stato possibile in quanto il Gruppo Ferrovie dello Stato, so-lo per questo ponte, ha accettato di disporre giunti nelle rotaie;soluzione presente in molti ponti sia del TGV francese che dell’I-CE tedesco.In definitiva il nuovo ponte sul fiume PO ha le caratteristiche de-scritte qui appresso.
Caratteristiche principali dell’operaIl viadotto in golena
E’ formato da 13 campate da 46,17 m a travate appoggiate com-poste da quattro travi prefabbricate a doppio T. Queste travi han-no le ali inferiori larghe e predisposte per essere solidarizzate tradi loro con un getto longitudinale di sutura e precompressionetrasversale in modo da avere, a fine costruzione, una sezione acassone tricellulare. (figura n. 3)Le pile sono a fusto unico circolare di 4 m di diametro e pulvino
leggermente aggettante.Le fondazioni sono su 6 pali da 2 m lunghi 50 - 60 m, come pertutto il resto del ponte.I viadotti di scavalco degli argini
Sono stati costruiti a sbalzo per conci successivi gettati in opera: •in riva sinistra queste campate si prolungano fino alla pila di at-tacco del ponte strallato, formando così una trave continua a cin-que luci: 37 - 67,69 - 51,4 x 3; •in riva destra si hanno solo tre luci di 33,4 - 62,7 - 33,4. (figuran. 4)La sezione dell’impalcato, di altezza costante, è in tutto simile aquella del viadotto in golena in modo da avere un prospetto uni-tario per tutto il ponte.Le pile sono a fusto circolare tranne quella in sinistra che portagli appoggi fissi e quindi è soggetta a forze orizzontali elevate(frenatura ed avviamento dei convogli).Ne è derivata una forma singolare (figura n. 5) che risente anchedella necessità di avere i pali su due sole file per rispettare i fran-chi dal piede dell’argine.Il ponte strallato
L’alveo di magra è attraversato con una campata centrale da 192m e due campate di riva da 104 m.L’impalcato è una trave continua con appoggio fisso su una torre
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> Figura 12 Disegno della sommità di una torre e modello al vero di un ancoraggio
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ed appoggi scorrevoli sull’altra e sulle pile di riva: ne discendonolunghezze dilatabili di 296 e 104 m, che richiedono giunti di ro-taia.L’altezza dell’impalcato è costante nella campata centrale e paria m 4,7 (L/40); variabile nelle campate di riva fino a portarsi a m3,7 in modo da raccordarsi agli impalcati adiacenti.La larghezza complessiva è di m 15,7, superiore di 2,1 m rispet-to alla sezione corrente. Ciò consente di avere il piano deglistralli esterno ai sostegni della linea elettrica e con un francomolto elevato rispetto alla rotaia più vicina.La costruzione è avvenuta a sbalzo con conci gettati in opera.(figura n. 6)Le torri hanno un’altezza complessiva di 60 m, di cui m 51 m aldisopra dell’impalcato.La forma singolare della parte inferiore di queste antenne (figuran. 7) deriva dalla necessità di avere il basamento e la fondazione
orientati secondo la corrente, per motivi idraulici, e la parte su-periore orientata secondo la normale all’asse dell’impalcato,ruotata di 22° rispetto alla sottostante.Nella sommità, ove sono ancorati gli stralli, le torri sono a strut-tura mista con una scatola interna in acciaio, cui è affidato ilcompito di assorbire le componenti orizzontali dei tiri negli stral-li, e la parte esterna in calcestruzzo cui vengono trasferite, attra-verso i connettori, le componenti verticali (figura n. 8).Questa soluzione ha il vantaggio di evitare l’ingorgo delle arma-ture in una zona critica e di facilitare le operazioni di montag-gio.Gli stralli sono del tipo ad elementi paralleli con trefoli da 0,6”super, zincati e singolarmente protetti da grasso e guaina inp.v.c., collocati in numero variabile da 55 a 91 in un'unica guai-na esterna.Questa è in PoliEtilene ad Alta Densità (HDPE) di colore grigiomolto chiaro.Inizialmente era prevista l’iniezione con malta di cemento ma leprove di fatica, illustrate in seguito, l’hanno sconsigliata, comeormai avviene in tutti i nuovi ponti di questo tipo.Gli stralli sono ancorati sia all’impalcato (da dove sono stati tesa-ti) sia alle torri. Il doppio ancoraggio sulle antenne, più costoso
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> Figura 13 Prove di fatica su uno strallo
> Figura 14 Il modello scala 1:50 del basamento e della fondazione di una torre
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della sella, facilita la sostituibilità eventuale del singolo stralloche potrà avvenire senza interrompere il traffico ferroviario.Le fondazioni sono costituite, per ciascuna torre, da una zatteraopportunamente sagomata per motivi idraulici e poggiante su 28pali da 2 m lunghi 65 metri.La costruzione in alveo di questi due importanti manufatti è av-venuta secondo le seguenti fasi:1 vibroinfissione di palancole da pontone secondo la disposizio-
ne di figura n. 9. La testa delle palancole era ad una quota disicurezza rispetto alla piena con periodo di ritorno di 20 anni;
2 costruzione di un piano di lavoro provvisorio, sopportato dallepalancole, su cui disporre le macchine per eseguire i pali;
3 scavo del fondo fino a circa 6 m sotto la quota alveo;4 getto di un tappo di fondo in calcestruzzo magro dello spesso-
re di 4 metri. Poiché il peso di questo tappo non era sufficientea contrastare le sottospinte in caso di massima piena, i paliavevano le camicie dotate di risalti in modo da chiamare incausa anche il loro peso;
5 aggottamento dell’acqua; costruzione del plinto e del basa-mento dell’antenna fino alla quota di sicurezza di cui si è giàdetto.
Le analisi svolteOltre alle usuali verifiche di resistenza e di deformabilità condot-te con analisi statiche (esercizio) e dinamiche (sisma), l’impor-tanza dell’opera ne ha consigliato anche altre di cui si fa qui
cenno.a) Quelle relative alla “robustezza”, cioè alla capacità della
struttura di fronteggiare eventi eccezionali non previsti dallenorme. In questo caso si è fatta l’ipotesi di deragliamento diun treno con tranciamento di due stralli consecutivi su di unlato: in questa eventualità è consentito il transito, se pur a ve-locità ridotta, di un treno merci su un binario e di un trenopasseggeri sull’altro. Si è poi fatta l’ipotesi estrema di trancia-mento di tre stralli consecutivi su di un lato: in questo casosarà consentito il transito di un solo treno passeggeri.
b) Quelle relative alla “interazione struttura-treno”, condotte(in collaborazione con il Politecnico di Milano) con analisi di-namiche non lineari tenendo conto anche della presenza deigiunti di rotaia e delle irregolarità del binario. Queste analisihanno lo scopo di controllare il comfort dei passeggeri e lapossibilità di disordini nel ballast. (Nei ponti ordinari basta unsemplice controllo della freccia massima sotto carico)
Nel caso di scalzamento estremo di 16 metri sono state eseguitesolo le verifiche di resistenza ma non quelle di deformabilità, ac-cettando quindi che per un evento così raro venissero violati glistandard di comfort richiesti. Parimenti, su basi statistiche, si èesclusa in questo caso la concomitanza con l’evento sismico.
Le prove sui modelliL’importanza dell’opera ha consigliato l’esecuzione di numeroseprove su modelli fisici volte a validare gli schemi di calcolo as-
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sunti. Le prove svolte sono:•test con le celle osterberg su due pali da 2 metri di diametro
espressamente costruiti e della lunghezza di 50 e 55 metri (figu-ra n. 10). Si è raggiunto un carico equivalente di 20,8 KN, cioè1,37 volte il massimo carico di esercizio, misurando spostamen-ti che differivano meno del 10% dai valori attesi.
•test su un modello scala 1:2 riproducente una porzione di im-palcato con ancoraggio di uno strallo, realizzato in cantiere (fi-gura n. 11). Il tiro dello strallo è stato simulato con un martinet-to che contrastava su un massiccio basamento appositamente rea-lizzato. Scopo della prova era quello di investigare l’effettiva dis-tribuzione delle sollecitazioni in prossimità dell’ancoraggio. So-no stati montati circa quattrocento estensimetri raggiungendo uncarico pari a 1,5 volte quello massimo di esercizio. Le misurehanno confermato le analisi teoriche svolte, almeno fin quandoil tiro dello strallo non ha superato il massimo valore di esercizio;oltre questo limite sono apparse locali comportamenti non linearisenza peraltro che si manifestasse alcun fenomeno fessurativo fi-no al massimo carico di prova, determinato dalla la crisi del ba-samento.
•Prove di fatica su un segmento della struttura metallica posta in
sommità della torre per l’ancoraggio degli stralli. Il modello, in sca-la reale, riproduceva l’ancoraggio dello strallo maggiore ed è sta-to provato presso il Joint Research Center [JRC] della ComunitàEuropea ad ISPRA (figura n. 12).
•Prove di fatica su tre stralli completi di ancoraggio. Anche que-ste prove di fatica sono state condotte dal JRC ed hanno dimostratocome l’iniezione di malta all’interno delle guaine in HPDE, pre-vista inizialmente, aveva un effetto negativo sulla resistenza a fa-tica del singolo trefolo (figura n. 13).
•Prove su modello scala 1.50 circa per valutare lo scalzamentodel fondo alveo (figura n. 14).
E’ previsto, inoltre, un accurato monitoraggio permanente dell’o-pera in esercizio.Sono stati disposti sensori atti a rilevare sia stati di sollecitazionee di deformazione che le temperature in vari punti. Sono presentianche accelerometri e dispositivi atti a rilevare lo scalzamentodel fondo alveo. Tutti i dati raccolti vengono inviati ad un unicocentro posto a Bologna ove convergono tutti i dati della linea.
ConclusioniIl ponte strallato ferroviario sul fiume PO, completato nel 2006,ha costituito un record mondiale nel suo genere, essendo intera-mente in calcestruzzo ed a servizio di una linea con velocità diprogetto di 350 Km/h. Le realizzazioni esistenti (ponti sull’Honshu-Shikoku in Giappo-ne; collegamento dell’Oresund tra Danimarca e Svezia), puravendo luci maggiori, hanno impalcati a trave reticolare in ac-ciaio ed hanno una velocità di progetto di circa 250 km/h. Il maggior costo rispetto ad una soluzione tradizionale con luci dicirca 100 metri, peraltro irrilevante rispetto al costo della tratta AVMilano - Bologna, è giustificato, a parere dello scrivente, dall’im-portanza paesaggistica che l’opera riveste e dalla acquisizione diconoscenze e nuove tecnologie che esso ha comportato.
marzo/aprile 2015 www.qualitaonline.it
MARIo PAoLo PETRANGELI ingegnere; Amministratore e Direttore Tecnico
della Società «Mario Petrangeli & Associati» di Roma;
già professore di ”Teoria e Progetto di Ponti” e ”Gestione dei Ponti
e delle Grandi Infrastrutture" presso la Facoltà di Ingegneria
dell’Università ”La Sapienza” di Roma.
[www.mpaingegneria.it]
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Igrandi eventi internazionali che si susse-guono ogni cinque anni, detti comune-
mente Expo, sono oggi soltanto una formadi specializzazione delle manifestazioniespositive ottocentesche dalle quali deriva-no. Le attuali Expo sono regolate dal Bu-reau International des Expositions (BEI) consede a Parigi; questo ente ha stabilito che ilfocus della manifestazione, condiviso dallerappresentanze internazionali partecipanti,
deve essere concentrato su un tema di largoe universale interesse. Sempre il BIE ha an-che precisato che un’Expo: «… ha come fi-ne principale l’educazione del pubblico». Oltre al proclamato intento educativo, leExpo continuano oggi a essere anche occa-sione per attrarre interessi economici e cul-turali sul Paese ospitante; ma la maggioredifferenza con il passato ottocentesco risie-de nel fatto che alle Expo di quel tempo ve-niva affidato il compito di rappresentare lostato dell’arte di ogni possibile attivitàdell’umana conoscenza, dei suoi mezzi edel suo futuro, tutto in un’unica universaleoccasione. Le Expo sono state i media peculiari e auto-celebrativi delle società protagoniste del“lungo Ottocento”. L’era delle Grandi Espo-sizioni logicamente termina allo scoppio
della I guerra mondiale, quando si spezza-no gli equilibri che reggono per più di mez-zo secolo l’intera Europa.Ciò che determina la situazione iniziale èdiretta conseguenza delle innumerevoli tra-sformazioni che la Rivoluzione Industrialeporta a “maturazione” verso la metà delXIX secolo. Sono gli anni in cui l’economiaeuropea conosce fasi di grande espansionedelle attività commerciali e produttive, conparticolare rilievo per quelle dell’industriasiderurgica e meccanica. Un’epoca d’im-provvisi e radicali cambiamenti, comequelli derivanti dalle sempre più rapide co-municazioni che hanno trasformato per tut-ti il valore delle distanze. Pure se con situa-zioni altalenanti tra boom e crisi, la secon-da metà dell’Ottocento vede trionfare l’eco-nomia liberista attraverso la quale le grandi
11y Il Costruire & Le Architetture y
L’età delle Grandi Esposizioni
>> Gabriele mIlEllI
Tema
The Age of the Great Exhibition. The arti-
cle focuses on the innovative capacity of
the design experience, innovative archi-
tectural and lived in the second half of
the 800 with the season opened with the
"Great Exhibition of the Works of In-
dustry of all Nations" in London.
> Milano 2015
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nazioni industrializzate operano in accesacompetizione, come la Francia della Se-conda Repubblica e la Germania in via diunificazione, cercando di raggiungere leprestazioni produttive e l’accesso ai mercatimondiali di cui è già egemone la Gran Bre-tagna, mentre l’analogo ruolo degli StatiUniti si manifesterà solo agli albori del se-colo successivo. Alla base del confronto espositivo convivo-no due opposte anime: da un lato la reali-stica e combattiva ricerca di un primato na-zionalistico, e dall’altro l’utopica fiducianel “Progresso”, quale strumento pacifica-tore di tutti i popoli grazie al libero com-mercio e alle conquiste della scienza. Il positivismo ottimista della borghesiaemergente individuerà proprio nell’istitu-zione delle Grandi Esposizioni un precisomezzo per diffondere e applicare i suoiprincipi. Quale aspetto particolare, il ruoloeducativo ed estetico delle Expo troverànell’architettura, e più tardi nel design, lapiù efficace e qualificata forma di comuni-cazione.La prima esperienza si realizza in Gran Bre-tagna; in pratica, ampliando a dimensioniinusitate l’attrattiva delle fiere e dei mercatinazionali, per presentare una panoramicadi tutto ciò che la produzione industriale ècapace di offrire, il primo maggio 1851 s’i-naugura a Londra la “Great Exhibition ofthe Works of Industry of all Nations”,nella cornice di Hide Park. E’ l’inizio, è il ri-schio di un progetto senza tradizioni di rife-rimento; il suo successo sarà così convin-cente da inaugurare in ogni paese industria-lizzato una serie sempre più fitta di eventisimili, ogni volta più grandi, ogni volta piùspettacolari.Il quadro in cui s’inscrive la Great Exhibi-tion londinese rappresenta puntualmente lastabilità del prospero regno della regina Vit-toria. Della sua politica si avvantaggiaun’intraprendente e colta classe media, in-crollabilmente convinta della centralità delprogresso materiale, di cui certamente frui-sce, mentre sullo sfondo si agitano dram-matiche contraddizioni sociali. In campo artistico, il dibattito più generalefra tradizioni e innovazioni, è polarizzato inuna contrapposizione stilistica tra i sosteni-tori della classicità e quelli di un romanticoe letterario ideale gotico. In parallelo, l’or-mai sancita separazione dell’Architettura
dall’Ingegneria concorre al permanere diun confuso gusto per forme e decorazionieclettiche che appaiono ineliminabili daglioggetti e dagli edifici, che così si dimostra-no incapaci di interpretare la modernità delproprio tempo.L’iniziativa della Great Exhibition è stata uf-ficialmente attribuita al principe consorteAlbert di Sassonia-Coburgo-Gotha, ma as-sai più decisivi per il successo dell’eventosono stati altri personaggi; portatori di nuo-ve idee e di originali competenze tecniche;sperimentatori audaci, sono stati tra i prota-gonisti imprevisti di un’epoca dinamica, ein molti casi, aperta al futuro. Uno di questiè Henry Cole: colto ed eclettico inventore eimprenditore; nel 1849 propone al principeAlbert un’idea di cui si discute a Parigi: l’i-dea di un grandioso evento espositivo ingrado di richiamare la più vasta audienceinternazionale. Membro della Royal So-ciety of Arts, di cui il principe è presidente,ne otterrà il patrocinio. Cole si occupa atti-vamente della carente qualità estetica deinuovi prodotti, sostenendo la necessità diuna progettazione correttamente aderenteall’uso e che rispetti le caratteristiche deimateriali impiegati, senza ripetizioni imita-tive e senza inutili decorazioni. Questa li-nea, quasi puritana, propone una sorta di“sincerità formale” per una qualità del tuttolontana dalla sensibilità dei produttori chehanno affidato i loro investimenti alla quan-tificazione degli oggetti.La Commissione Reale, pubblicando il ban-do di concorso per l’edificio in cui si dovràtenere la Great Exhibition, punta a un risul-
tato importante, di concezione moderna eche soddisfi condizioni di economicità, dirapida esecuzione e di altrettanto rapido re-cupero dei materiali impiegati, malgrado leenormi dimensioni. Lo spazio interno dovràpermettere comodi accessi e uscite, nonchéla facilità di esposizione dei prodotti che ivisitatori potranno osservare da diversi pun-ti di vista. Infine, l’ambiente naturale delparco dovrà esser restituito integro alla con-clusione dell’evento.Il concorso, con l’ampia e qualificata parte-cipazione di ben 247 progetti, ha un esitodisastroso. Nessun progetto è in grado disoddisfare le richieste. La cultura architetto-nica del tempo segna una totale sconfitta.La stessa Commissione si trova costretta adavocare a sé la responsabilità di un nuovoprogetto. In questa fase di stallo giunge ina-spettato lo schema presentato da JosephPaxton, un esperto botanico che ha realiz-zato un certo numero di giardini e serre perl’aristocrazia britannica. Lo schema è statoschizzato su un casuale foglio di carta as-sorbente. Solamente una vista prospettica euna sezione; ma quei disegni offrono la so-luzione cercata. La valutazione dei com-missari è favorevole a Paxton e Henry Colese ne fa paladino. Alcune restanti perplessi-tà vengono superate grazie ad una mossaassai abile di Paxton: egli riesce a far pub-blicare il suo schema sull’Illustrated Lon-don News ottenendo un consenso popola-re che i commissari non possono ignorare.Il progetto definitivo viene rapidamente svi-luppato con la partecipazione dalla dittaappaltatrice Fox e Henderson, accettando
y Il Costruire & Le Architetture y
Tem
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> Parigi 1900 - Padiglione Italia
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l’aggiunta di un transetto a volta, al fine diconservare tre grandi olmi posti nella zonacentrale dell’edificio.Nel febbraio 1850 iniziano i lavori che siconcluderanno nei tempi previsti per la so-lenne inaugurazione del maggio 1851. Na-sce così il Crystal Palace, un’immensa co-struzione sorretta da una ragnatela di esilicolonne metalliche connesse da grandi tra-vi reticolari, interamente rivestita di vetro.Da qui il nome dell’edificio: coniato dalpopolare settimanale Punch, è un ossimorogiocato sulla massiccia solidità implicitanel termine “palazzo” e l’eterea, fragile in-consistenza suggerita dalla trasparenza del“cristallo”. Una volta entrati, i visitatori scoprivano unospazio i cui limiti erano stati letteralmentecancellati fondendo l’interno con l’esterno.Altra sorpresa era, durante le ore serali, lavista del palazzo trasformato in una lucci-cante nuvola di luce dalle innumerevolifiammelle dell’illuminazione a gas. Moltopiù affascinante del suo contenuto espositi-vo, che con pochissime eccezioni si pre-sentava come un caotico profluvio di og-getti e macchinari “in stile”, decorati ekitch fino all’inverosimile, il Crystal Palaceottenne un universale successo proprio perun’impostazione opposta. Nessuna deco-razione, ma solo il ritmo costante di unacostruzione modulare in ferro e vetro, pen-sata per essere realizzata con una metodo-logia esattamente rispondente al mondo in-
dustriale, nella quale è ridotta ogni com-plessità escludendo le lavorazioni con tem-pi di attesa, e si utilizza la ripetizione di po-chi elementi differenti, prodotti in innume-revoli esemplari da più fabbriche sparse nelterritorio. Il controllo del cantiere era statoperfettamente calcolato sia nel dimensiona-mento ergonomico degli elementi, sia nellascansione dei tempi realizzativi. Un taleapproccio, chiaramente produttivistico,aveva imprevedibilmente inaugurato un’ar-chitettura elegante e rigorosa, quasi unarappresentazione costruita dell’understate-ment britannico.Il Crystal Palace fu smontato e rimontato asud di Londra, nel parco di Sydenham, in
una nuova versione molto più imponente,per ospitare musei didattici, sale per con-certi, convegni e attività artistiche di ogni ti-po; in sostanza un gigantesco centro cultu-rale che purtroppo, nel 1936, è stato di-strutto da un incendio.Nel positivo bilancio finale, Londra potévantare anche un notevole successo econo-mico, per cui con il surplus dei ricavi,Henry Cole poté aprire nel 1857 il SouthKensington Museum in cui furono raccoltele più significative e varie opere dell’esposi-zione, costituendo così il primo nucleo diquello che oggi è il Victoria and AlbertMuseum.Chiusa l’Expo londinese, inizia immediata-mente una fittissima fioritura di esposizioniche intendono seguirne le tracce in ogniparte del mondo. Eppure in un solo caso, per l’EsposizioneIndustriale di Monaco 1853-54, si costrui-sce ancora una versione piuttosto fedele delCrystal Palace. In ogni altra occasione inve-ce il modello londinese mostra segni di cri-si. La stessa logica che spinge a riprodurlochiede anche di farne ingigantire le dimen-sioni. E’ il crescente impegno competitivotra le nazioni a imporre una nuova regola:quella che ogni nuova Expo dovrà risultarepiù attraente di quella precedente.Sono i governi nazionali che si fanno cari-co dell’organizzazione delle mostre; peruna maggiore eco internazionale, cerche-ranno di moltiplicare le partecipazioni stra-niere anche grazie a un sistema di premi emedaglie di cui gli espositori potranno fre-giarsi a testimonianza della riconosciutaqualità dei loro prodotti. Nello stesso sensova visto l’ampliamento delle tematiche inmostra: oltre alle attività legate all’industriadovranno avere appositi spazi anche le atti-vità artistiche, quelle legate al mondo dellanatura, all’agricoltura, agli interessi geogra-fici ed etnografici. Saranno inclusi aggiorna-menti e curiosità per la fotografia o per leapplicazioni dell’elettricità; insomma perun inesauribile elenco d’interessi.E’ questa crescita ipertrofica che rinnova leExpo; la serie delle cinque esposizioni pari-gine che si susseguono dal 1885 al 1900esemplifica il graduale evolversi dello sche-ma espositivo che sarà adottato ovunque:da quello “unitario” a quello “suddiviso” inpiù edifici: un transitorio ambiente urbano,inserito dentro la città reale.
y Le Età delle Grandi Esposizioni y
Tema
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> Interno Crystal Palace 1851
> Parigi 1900
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L’Expo Parigi 1900 raggiunge dimensioniimpressionanti; più di 50 milioni di visitato-ri vi transitano e non soltanto per trovare in-formazioni o per istruirsi; in questo luogo incui si raccoglie una ben spettacolarizzata“visione del mondo”, ci si può divertire,emozionare e stupire; ci sono spettacoliteatrali, musicali, circensi; e anche l’ultimanovità: il cinema dei fratelli Lumiere. L’inte-ra area espositiva è visitabile salendo su undoppio marciapiede meccanizzato a duevelocità; ma alla fine della giornata, molti“visitatori/spettatori” affaticati e frastornati,saranno colpiti da una nuova sindrome cheil “Dizionario” di Gustave Flaubert ha defi-nito il “delirio del secolo”.In un tale contesto non sopravvive l’origina-rio carattere leggero dell’architettura; il gu-sto popolare della fragorosa Belle Epoqueriporta in auge eclettiche assurdità decorati-ve sulle costruzioni. Le strutture degli inge-gneri restano prevalentemente nascoste dafantasiose facciate che si rifanno stanca-mente al passato preindustriale.Tra i non molti edifici sopravvissuti che lanuova Parigi, trasformata dai boulevardsdel barone Haussmann, eredita dalla se-quenza delle cinque Expo, ovviamentespicca per differenza l’icona incontrastatadi Parigi, se non della stessa Francia, e cioèla Torre innalzata nel 1889 per l’Expo cele-brativa della Revolution.Gustave Eiffel, diversamente da Paxton, èun vero ingegnere con ampia esperienza dicostruzioni ferroviarie e ha costruito arditestrutture per ponti e viadotti. Dopo un ini-ziale disinteresse accetta di sviluppare l’i-dea di alcuni più giovani collaboratori: unatorre alta 1000 piedi (340 metri) da propor-re per l’Expo del 1889. Quando sarà bandi-to il concorso, un’abile campagna di stam-pa e un’amicizia personale che lo lega alministro del Commercio lo portano rapida-mente alla vittoria e all’incarico della co-struzione, realizzata in soli 17 mesi. Il progetto risolve gli enormi problemitecnici dati dallo sviluppo in verticale. Laforma che si restringe salendo, limita ogninormalizzazione delle parti e chiede unaprogettazione e un controllo del cantieredi grande complessità. Il progetto statico èaltrettanto impegnativo e include anche ilcalcolo della resistenza al vento, cioè lostudio dell’aerodinamica di cui Eiffel èuno dei pionieri.
forme espositive, ma soprattutto l’emergerepredominante del design sotto l’egida delWerkbund tedesco e della sua Qualität;ma questa è un’altra storia.
y Le Età delle Grandi Esposizioni y
Tem
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La Torre non è un padiglione, non contienealtre cose, prodotti o statue; la Torre esponese stessa; è il monumento del XIX secolo.Punto panoramico e nello stesso tempoprotagonista invadente di quel panorama,la Torre è altisonante e terribilmente moder-na: non lo è esattamente nella sua forma,poiché in realtà falsifica varie necessitàstrutturali, ma nella sua arrogante spropor-zione, nella sua sapiente audacia che ipno-tizza ancora le folle. Con la Torre Eiffel, ches’integra anche nell’Expo 1900, si sintetizzal’acme dell’esibizionismo mediatico dell’in-tera età delle Grandi Esposizioni.Il “secolo breve” vedrà un nuovo rapportotra arte e industria, nuovi contenuti e nuove
GABRIELE MILELLIArchitetto; è stato professore associato di Storia
dell’Architettura moderna e contemporanea
presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università
Politecnica delle Marche, la Facoltà
di Ingegneria dell’Università di Roma
“La Sapienza”, la Facoltà di Ingegneria
dell’Università di Perugia, e presso la Facoltà
di Architettura dell’Università Roma Tre.
email : [email protected]
> Esterno Crystal Palace 1851
> Schema Paxton
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Enrico Lattes nasce in Toscana, a Pitiglia-no, il 24 maggio 1904, figlio di Azzaria,
sindaco di Monte Argentario. Il padre Azzaria è stato un personaggio di ri-lievo della comunità ebraica, vicino ad Er-nesto Nathan, ne condivise posizioni politi-che e la passione per gli ideali mazziniani;venne ucciso misteriosamente a Porto SantoStefano nel 1906. Enrico Lattes frequenta l'Accademia di BelleArti di Roma, poi la Regia Scuola d'Architet-tura, dove fu allievo di Gustavo Giovannoni. La sua attività supera i confini nazionali,quando nella seconda metà degli anni Ventisi trasferisce a Tripoli dove lavora al progettodella Fiera Campionaria (figura n. 1). Entra vivamente nel dibattito sull'architetturadel tempo che vede contrapposti i razionali-sti “progressisti” e i “nazionalisti”, difensoridella tradizione classicista della cultura ita-liana nelle terre d'oltremare. Scrive sulle principali riviste d'epoca, parte-cipa alla grande stagione dei concorsi d'ar-chitettura degli anni Trenta; si dedica all'ur-banistica insieme al maestro Luigi Piccinato. Nel 1933 vince insieme agli architetti SaulBravetti e Alberto Staderini, il concorso peril piano regolatore di Terni, progetto che tut-t'ora plasma l'immagine della città. Nel maggio del 1934, proprio quando ilgruppo di architetti si accingeva alla stesuradella parte operativa del Piano, Enrico Lattes
muore in un incidente stradale alle porte diRoma; il 1° maggio 1934 a Rignano Flami-nio.Il fratello Guido, gli farà dedicare una vianella città di Terni; mentre l'architetto MarioRidolfi innalzerà il suo monumento funebrenel cimitero israelitico di Roma. L’opera “Enrico Lattes - l’architetto ritrovato”ripercorre la vita e le opere di uno di quegliarchitetti “minori” dimenticati dalla storio-grafia contemporanea.Il fatto è probabilmente dovuto a due moti-vi: la damnatio memoriae del periodo in cuiopera l’architetto, il ventennio fascista; il re-cente recupero, da parte della storiografiaitaliana, del valore e del contributo della co-munità ebraica alla costruzione dello Statounitario. Il libro è elaborato su due piani uno narrati-vo e l’altro storico-scientifico. Nel primo si traccia la storia umana del gio-vane architetto Lattes e della sua famiglia sulsecondo si traccia un quadro esaustivo della
arte e dell’architettura del tempo semprecon uno sguardo ai drammatici fatti storicidel periodo. Si sta parlando dell’avvento delfascismo il suo consolidamento con dittatu-ra, l’alleanza con la Germania fino alle leggirazziali del 1938. Il libro non attinge solo a fonti bibliografi-che, ma è un’attenta ricerca da fonti archivi-stiche. Di particolare interesse è il dibattitodi architettura che si sviluppa all’interno del-le riviste scientifiche dell’epoca in particola-re: Casabella e Architettura. Dibattito chedall’Italia si sposta nelle colonie in particola-re in Libia principale luogo di sperimenta-zione artistica di molti architetti italiani. Inqueste terre era in voga lo stile moresco unostile eclettico da “mille e una notte” chetanto affascinava gli stranieri. Gli architetti italiani e in particolare quelliebrei si distinsero per una profonda analisidella cultura costruttiva dell’Africa, abban-donando sia il monumentalismo “neoclassi-co” sia lo stile moresco, optando per quello
15y Il Costruire & Le Architetture y
Enrico Lattesl’architetto ritrovato
>> Danilo Sergio PIrrO
Tema
Enrico LATTES: architect found. In its
short life (1904 - 1934), the young Italian
architect has left important examples of
design and international (Fair of Tripoli in
Libya) and Italian (Plan of Terni, still pre-
sent). It is a heritage design everything to
be rediscovered!
> Figura 1 - Fiera di Tripoli - Prospettiva
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che poi sarà chiamato Razionalismo medi-terraneo.Campo di prova di questi giovani architettifu la Fiera Campionaria di Tripoli, istituitanel 1927 per potenziare i commerci e le re-lazioni internazionali con l’Africa e le po-tenze coloniali europee, venne realizzata inpochissimo tempo nel cuore della città inun lotto di forma triangolare. I padiglioni principali avevano la caratteristi-ca di stabilità ed erano delle vere e proprieopere d’architettura, tra i quali vanno segna-lati il padiglione “Roma” di Alessandro Li-mongelli, il padiglione dell’ Eritrea e dellaSomalia di Carlo Enrico Rava, e il padiglio-ne della Tripolitania poi della Libia di EnricoLattes (figura n. 2 e n. 3).Lattes lavorò attivamente alla Fiera di Tripoli,tanto che l’assetto urbanistico dell’area èdovuto principalmente ad un suo progettopubblicato sulla rivista “l’Illustrazione Italia-na” di quel periodo. Il padiglione del Tripo-litania recupera, con la sua forma a mara-butto, le tipiche costruzioni indigene pre-senti nelle campagne della Libia. Il Lattes fa di questa costruzione il simbolodella cultura della Tripolitania non cedendocon il suo linguaggio a nessuna delle “cor-renti” in voga allora fra gli architetti colonia-li ovvero: lo stile “moresco”, l’avanguardia,e il classicismo italico.La Fiera di Tripoli fu dunque un luogo di li-bertà d’espressione all’interno di un regimeautoritario, ma ben presto questa aperturainternazionalista venne offuscata dalle ne-cessità di fare dell’architettura uno deglistrumenti principali di persuasione e di pro-paganda politica. Le tappe politiche cheportarono alla fine della tolleranza del regi-me per un certo “individualismo artistico”furono il dibattito parlamentare per il con-corso per il palazzo del Littorio a Roma(1934), la nascita dell’Impero (1936) e ilpatto d’acciaio con la Germania (1939) . Fi-nì il dialogo con la cultura locale e gli archi-tetti razionalisti vennero spinti verso l’ideadi un architettura monumentale che inneg-giasse alle nuove conquiste del regime. Nacque il cosiddetto “Stile littorio” e il mo-numentalismo semplificato piacentiniano.L’architettura si impoverì ulteriormente dicontenuti, quando all’indomani della pro-mulgazione delle Leggi Razziali nel 1938;le avanguardie di architettura e l’architetturarazionalista in particolare, venne additata
come architettura ebraica, esterofila e “an-tiautarchica”. L’autarchia fu un pretesto perabbandonare tecnologie avanzate del ce-mento armato che avevano visto la realizza-zione di opere avveniristiche come gli han-gars dell’aeroporto di Castel Viscardo realiz-zati dall’ingegner Pier Luigi Nervi, e ritorna-re a tecnologie tradizionali basate su mate-riali di riciclo, come ad esempio il “Populit”un sistema di costruttivo fatto di pannelli dicemento alleggeriti con scarti di lavorazionedel legno. Nonostante il fatto che il Lattesmorì prima della guerra e molti dei suoi col-leghi vennero “ridimensionati”, grande è ilpatrimonio di ricerca nel campo dell’edili-zia dobbiamo allo loro attività. Non possiamo non considerare che, tutto ildibattito sulla cosiddetta architettura neorea-lista nel 2° dopoguerra, ovvero l’attenzioneper il dettaglio, per l’architettura minore, ru-rale, sia anche frutto della analisi che questiarchitetti fecero dell’edilizia autoctona nel
nord Africa. Il lascito più importante dell’architetto piti-glianese è senza alcun dubbio il piano rego-latore della città di Terni (1934). La “Man-chester italiana” deve la sua forma modernaall’opera di un giovanissimo architetto, è luiche ancora una volta non dimenticando lesue radici ebraiche chiama il piano della cit-tà umbra “613”. Il numero “613”è sacro pergli ebrei, questi sono i precetti custoditi den-tro il libro della Torah. Accanto a questa visione “religiosa” dellacittà, il Lattes introduce nel Piano concettidi moderna urbanistica come la zonizzazio-ne, crea degli assi stradali extraurbani, anti-cipando il concetto di piano urbanistico ter-ritoriale. Infine crea il suo capolavoro che èl’attuale asse di corso del Popolo, che attra-versa la città antica e sbocca davanti al pa-lazzo monumentale. Quest’opera dall’iter faticoso si è solo con-clusa di recente ed è stata riprogettatadall’architetto Wolfang Frankl stretto colla-boratore di Mario Ridolfi.
n NoTA FINALEAltre immagini sull’opera dell’architetto Enrico LATTES
sono state messe a disposizione degli studiosi, da parte
dell’autore, sui seguenti siti:
https://drive.google.com/folderview?id=0B8TrciaKHfg_Y
lU1eEgySHJuMTQ&usp=sharing
https://drive.google.com/folderview?id=0B8TrciaKHfg_d
1dvRkNPQnVscXM&usp=sharing
y Enrico Lattes, l'architetto ritrovato y
Tem
a16
SERGIo DANILo PIRRoarchitetto
> Figura 2 - Padiglione Tripolitania esterno
> Figura 3 - Padiglione Tripolitania interno
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Cosa si è fatto in Italia per rendere più si-curo, dal punto di vista sismico, il patri-
monio edilizio nazionale? Si è modificato il criterio di classificazionesismica del territorio nazionale e si è unifor-mata a criteri europei (Eurocodice 8) la nor-mativa che occorre seguire per costruirestrutture e ristrutturare quelle esistenti.La svolta si è avuta nel 2003 con l’Ordinan-za del Presidente del Consiglio dei Ministrin. 3274 del 20 marzo che ha dettato sianuovi criteri di classificazione sismica delterritorio nazionale che i primi elementi peruna nuova norma tecnica. Sino ad allora ilterritorio nazionale aveva subito classifica-zioni sismiche di tipo regionale a seguitodei vari Decreti Ministeriali che si sono suc-ceduti tra gli anni Settanta e Ottanta e limi-tatamente a 16 regioni su le 20 totali (o 21se si considerano separatamente le Provin-ce di Trento e Bolzano, in luogo della Re-gione Trentino Alto Adige) ed i comuni inte-ressati erano solo una parte del territorio re-gionale (Figura n. 1). Oggi tutto il territorio nazionale è stato ri-conosciuto sismico e la pericolosità sismicadi un luogo, intesa in senso probabilistico,è stata legata all’accelerazione sismica al
suolo che un certo terremoto può imprime-re al terreno, e quindi agli edifici soprastan-ti, accettando una certa probabilità chequesta accelerazione sia superata in un de-terminato periodo di tempo (Figura n. 2). Con un’iniziativa che ha coinvolto l’IstitutoNazionale di Geofisica e Vulcanologia edalcuni esperti delle Università italiane è sta-ta redatta una vera propria mappa della pe-ricolosità sismica che descrive la pericolosi-tà sismica attraverso il parametro dell'acce-lerazione massima attesa con una probabi-lità di eccedenza del 10% in 50 anni susuolo rigido e pianeggiante. Con questamappa un professionista che si accinge aprogettare una struttura, che per quantodetto sopra deve avere obbligatoriamentecaratteristiche antisismiche, sa esattamentequal è l’accelerazione sismica a cui devesottoporre la struttura (Figura n. 3).Ciò anche a seguito dei numerosi eventi si-smici che negli ultimi anni si sono succedu-ti in Italia (Messina, Udine, Avellino, Colfio-
rito, L’Aquila, Parma) provocando tanti de-cessi e danni ingenti al patrimonio ediliziopubblico e privato. Il legislatore ha deciso
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Considerazioni sulla Normativa Sismica in Italia
>> luigi GIOvANNEllI
Tema
Consideration on seismic code in Italy.
The article explains what has been done
in Italy to make sure the building herita-
ge from seismic point of view. Have been
modified to adopt the national seismic
(according to European standards) and
the rules to follow to build facilities and
renovate existing ones. Today the whole
country has been recognized seismic, al-
though with different "seismic hazard" of
places.
> Figura 1
> Figura 2
Mappa 1984
La normativa precedente sulle
costruzioni in in zona sismica
(D.M. LL.PP. 16 gennaio 1996)
suddividerà il territorio nazionale
nelle seguenti zone sismiche
zona di I categoria (S=12)zona di II categoria (S=9)zona di III categoria (S=6)zona non classificata
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che è meglio spendere ogni giorno un po’di più tutti per costruire con dei criteri anti-sismici piuttosto che poi piangere tante viteumane e spendere cifre ingenti, che ora-mai non possiamo più permetterci, ognivolta che si presenta un evento sismico.Abbiamo detto della nuova classificazionesismica del territorio nazionale ora cerchia-mo di chiarire in che cosa è cambiata lanuova normativa sismica.Prima delle attuali Norme Tecniche per lecostruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008e relativa Circolare 2 febbraio 2009, n.617del Consiglio Superiore dei Lavori pubblicivigevano le Norme tecniche per le costru-zioni in zone sismiche di cui al D.M. 16gennaio 1996.Quelle del 1996 erano norme “prescritti-ve” che significa che per ogni tipologia co-struttiva dettavano delle prescrizioni geo-metriche, dimensionali ed esecutive (inte-rasse fra le murature portanti, lunghezzadelle murature d’angolo, numero di pianiedificabili, modalità realizzative delle aper-ture, e così via) mentre le attuali norme so-no “prestazionali” cioè che valutano ilcomportamento delle strutture sotto l’azio-ne sismica senza limitarne le caratteristichegeometriche o costruttive.L’altra grande differenza è costituita dal fat-to che le precedenti norme erano basate sulmetodo di calcolo alle “tensioni ammissi-bili” cioè si progettavano le strutture peravere sollecitazioni tali da consentire aimateriali costruttivi di rimanere in fase ela-stica che è quella fase in cui esiste una pro-porzionalità lineare fra sforzi e deformazio-ni. In altre parole si progettavano le struttu-re in fase elastica senza però indagarne lacapacità plastica ed utilizzando un solocoefficiente di sicurezza globale.Le norme attuali invece si basano sul meto-do agli “stati limite” che significa utilizza-re tutte le risorse dei materiali da costruzio-ne in campo plastico (quello in cui non c’èpiù proporzionalità lineare fra sforzi e de-formazioni) quindi spingendosi più avanticon le sollecitazioni badando bene però asalvaguardare dal crollo le strutture ammet-tendone vari gradi di danneggiamento.Si adotta pertanto un metodo apparente-mente più “rischioso” ma indagando i com-portamenti delle strutture in fase plastica. Siintroduce infatti il concetto di “gerarchiadelle resistenze” (Figura n. 4).
y Il Costruire & Le Architetture y
Tem
a20
> Figura 3
> Figura 4 - Simulazione numerica del comportamento sismico di un edificio progettato secondo la gerarchia delle resistenze
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Prendiamo ad esempio una struttura a te-lai in conglomerato cementizio armato:rispettando i dettami delle NTC 2008 siavrà che, all’aumentare delle sollecitazio-ni sismiche, si formeranno delle “cerniereplastiche” (Figura n. 5) prima su tutte letravi dell’edificio e per ultime alla basedei pilastri. Ciò significa appunto sfruttaretutte le energie che la struttura possiede infase plastica evitando che essa diventi “la-bile” ed evitando quindi che collassi.Ciò si ottiene rafforzando i pilastri ri-spetto alle travi. Si progetta quindi se-condo criteri di capacità delle variemembrature e non secondo le sollecita-zioni di progetto (capacity design) (Figu-ra n. 6). Questo risultato si ottiene garantendo, fral’altro, l’integrità dei nodi trave pilastrocon un “raffittimento” delle staffe nellezone critiche (vicino ai nodi) favorendocosì una rottura duttile dei nodi stessi.Altro concetto innovativo introdotto dalle
NTC 2008 è quello del “fattore di struttu-ra” che consente di limitare l’azione si-smica attraverso la riduzione dell’accele-razione in funzione della tipologia struttu-rale adottata. Si avranno strutture a telaio,strutture a pareti, strutture miste, strutturedeformabili torsionalmente od a pendoloinverso e per ognuna di queste categorie,in funzione delle caratteristiche di regola-rità in pianta ed in altezza o dei numeri dipiani e di campate, si avrà un diverso fat-tore di struttura che consentirà di ridurrel’intensità del sisma di progetto.Inoltre le NTC 2008 pongono grande at-tenzione alle caratteristiche geologiche delsito su cui si va a costruire legando l’inten-sità delle azioni sismiche alle caratteristi-che geotecniche del terreno (Figura n. 7).Nella fase progettuale si crea così una im-portante sinergia di competenze professio-nali tra i geologi che hanno il compito dicaratterizzare i terreni attraverso l’esecu-zione di tutta una serie di indagini geo-
gnostiche dirette (fori nel terreno e prelie-vo di campioni indisturbati di terreno) edindirette (geofisiche) spinte sino alla pro-fondità di trenta metri al di sotto delle fon-dazioni ed i progettisti che utilizzando talidati possono ipotizzare un modello strut-turale aderente alla realtà che tenga contodelle interazioni suolo-struttura.Inoltre, mentre le norme del 1996 affron-tavano lo studio degli edifici suddividen-doli in strutture bidimensionali (paretimurarie o telai piani) le NTC 2008 affron-tano le strutture valutandone il loro com-portamento spaziale e quindi tenendo inconto le interazioni che i vari organismipiani hanno fra di loro esaltandone ilcomportamento scatolare e quindi piùaderente alla realtà. Nelle strutture intelaiate quindi si valuta-no i telai spaziali e nelle strutture murariei pannelli murari sono valutati con le loroammorsature angolari, per la presenza omeno di cordoli di collegamento e con isolai assimilabili a strutture infinitamenterigide (solai in latero cemento) o flessibili(solai in legno senza una soletta superioredi ripartizione).Le NTC 2008 pongono infine particolareattenzione alle strutture esistenti (capitolo8 ed allegato C8A) differenziandone gliinterventi in “interventi locali”, “interventidi miglioramento” o “interventi di ade-guamento” a seconda dell’importanzacrescente che gli stessi hanno nel com-portamento globale della struttura. Inoltresi da molta importanza alle indagini suimateriali costituenti la struttura differen-ziando i “Livelli di conoscenza” attraversol’accuratezza dei livelli di indagine svoltiche consentono di penalizzare sempremeno le caratteristiche dei materiali dicostruzione “vecchi” rispetto ai “nuovi”.Anche qui la sinergia di professionalitàcon chi effettua prove dirette sui materiali(pacometriche, carotaggi, prove con mar-tinetti piatti per le murature o analisi dellemalte) portano ad ottenere buoni risultatie progettazioni sempre più aderenti allarealtà.
y Considerazioni sulla Normativa Sismica y
Tema
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LuIGI GIoVANNELLI ingegnere; Regione Lazio - Ufficio del Genio Ci-
vile di Viterbo
> Figura 3
> Figura 4 - La gerarchia delle resistenze: capacity design
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Ogni evento, dalla festa di paese ai gio-chi olimpici, ha impatti economici,
ambientali e sociali: vengono utilizzateacqua, energia e altre risorse, si produco-no rifiuti ed emissioni, si possono causaredisagi per le comunità locali, i promotoripossono sottoscrivere impegni economicidifficili da onorare e così via.Fin dal 1995 il Comitato Olimpico Inter-nazionale ha creato una commissione susport e ambiente, ma una svolta si è veri-ficata con le Olimpiadi di Londra, del2012. Il Responsabile per la sostenibilità,David Stubbs, cercava un modo per ono-rare l’impegno per la sostenibilità sotto-scritto dagli organizzatori dei giochi e co-involse la British Standard Institution(BSI). Fu quindi emessa la norma BS8901:2007 Specification for a sustainableevent management system with guidancefor use.La norma BS 8901 conobbe una rapidadiffusione e fu applicata. La Conferenza delle Nazioni Unite suiCambiamenti Climatici COP15, per esem-pio, ottenne nel 2009 la certificazione BS8901 nel 2009. Sempre nel 2009, BSI el’ente di normazione brasiliano ABNTproposero all’ISO di elaborare uno stan-dard per la gestione sostenibile deglieventi. La proposta fu accolta e nel mese
di giugno 2012 venne emessa la nornaISO 20121:2012 Event sustainability ma-nagement systems - Requirements withguidance for use. L’anno seguente l’UNIha adottato la norma UNI ISO20121:2013 Sistemi di gestione sostenibi-le degli eventi - Requisiti e guida per l'uti-lizzo.
I requisiti della norma1) Il primo requisito cui l’organizzazione
deve ottemperare riguarda il contestoin cui opera. L’organizzazione deve de-finire i propri aspetti che influisconosulla sostenibilità degli eventi, indivi-duare gli stakeholder e le rispettive esi-genze ed aspettative, definire il campodi applicazione del sistema di gestionee il sistema stesso, dichiarare quali sonoi propri valori di riferimento in materiadi sostenibilità.
2) Il secondo requisito attiene alla leaders-hip. La direzione dell’organizzazionedeve dimostrare il proprio impegno perla sostenibilità, definire una politica perlo sviluppo sostenibile, assegnare inmodo trasparente ruoli e responsabilità.
3)Si passa quindi al requisito della piani-ficazione. L’organizzazione deve piani-ficare le azioni necessarie per affrontarei rischi e cogliere le opportunità, tenen-
do conto dei potenziali impatti dell’e-vento, delle prescrizioni legali, dellemigliori pratiche internazionali, degliimpegni sottoscritti volontariamente.Devono essere definiti chiari obiettiviper la sostenibilità, possibilmente misu-rabili.
4) Il successivo requisito riguarda il soste-gno dell’organizzazione alla gestionesostenibile degli eventi. Tale sostegno siconcretizza mettendo a disposizione ri-sorse adeguate, acquisendo le necessa-rie competenze, assicurando la neces-saria consapevolezza delle persone chelavorano per l’organizzazione, gestendoin modo efficace la comunicazione,sviluppando le necessarie informazionidocumentate.
5) Il quinto requisito si rivolge al funziona-mento ed è articolato in: pianificazionee controllo; gestione di attività, prodottie servizi modificati; gestione della cate-na delle fornitura.
6)Si arriva poi alla valutazione della pre-stazione, dove è richiesto all’organizza-zione di valutare se sta rispettando iprincipi dello sviluppo sostenibile e lapropria dichiarazione d’intenti. A tal fi-ne l’organizzazione deve: definire unpiano di monitoraggio, misurazione,analisi e valutazione; eseguire audit in-terni; far riesaminare alla direzione pe-riodicamente l’efficacia del sistema digestione per la sostenibilità.
7)L’ultimo requisito riguarda il migliora-mento, per cui l’organizzazione devegestire in modo adeguato le non confor-mità, attuare azioni correttive, migliora-re continuamente sostenibilità, adegua-tezza ed efficacia del sistema di gestio-ne.
22y Il Costruire & Le Architetture y
La norma UNI ISO 20121per la sostenibilità degli eventi
>> massimo lEONE
Tem
a
In June 2012 has been published the standard ISO 20121:2012 Event sustainability ma-
nagement systems - Requirements with guidance for use. UNI published the Italian edi-
tion of the standard in September 2013.
The standard prides a management systems approach to organise more sustainable
events, identifing and managing potential negative, economic and environmental impacts
of events.
Expo 2015 S.p.A., the firm who has in charge the organization of Milan Expo, announced
last January the achievement of UNI ISO 20121 certification for planning the event,
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Gli aspetti da prendere in considerazioneSecondo il punto 6.1.2 della nor-ma, nel valutare la sostenibilità diun evento bisogna prendere inconsiderazione gli aspetti:a) ambientali, come l’uso delle ri-
sorse, la scelta dei materiali, leemissioni nell’aria, nell’acqua enel suolo, la conservazione del-la natura;
b)sociali, come le norme sul lavo-ro, la salute e la sicurezza, i di-ritti civili e la giustizia sociale,l’accessibilità, il patrimonioculturale, le sensibilità religio-se, le comunità locali e le po-polazioni indigene
c) economici, come il ritorno su-gli investimenti, l’economia lo-cale, il rischio, il commercioequo e solidale, la distribuzio-ne dei profitti.
L’organizzazione deve documen-tare i criteri utilizzati per la valu-tazione degli aspetti e questi cri-teri devono includere il prendere in consi-derazione i commenti degli stakeholder.
La rendicontazioneSecondo il punto 15 dell’Appendice A,per rendicontare verso l’esterno organiz-zazione dovrebbe utilizzare un formatoriconosciuto, in modo da consentire ilconfronto con eventi simili. Tra i formatiriconosciuti, sono menzionati quelli dellaGlobal Reporting Initiative (GRI) e dellaAssociation of Chartered Certified Con-sultants.
La certificazione di EXPO 2015Lo scorso mese di gennaio, Expo 2015S.p.A. ha annunciato di avere ottenuto lacertificazione secondo lo standard ISO20121:2012 del proprio Sistema di Ge-stione per la Sostenibilità dell’Evento. Lacertificazione, rilasciata da DNV GL - sot-to accreditamento ACCREDIA -, riguardale attività di pianificazione delle azioniinerenti l’organizzazione dell’EsposizioneUniversale.Contemporaneamente EXPO 2015 S.p.A.ha diffuso il secondo rapporto di sosteni-bilità, redatto secondo le linea guida GRI-G4, relativo alle attività condotte nell’an-
no intercorso tra giugno 2013 (dove si erafermata la rendicontazione del primoRapporto) e giugno 2014.Il rapporto di sostenibilità include la “Car-ta dei valori e degli impegni”, della socie-tà EXPO 2015, che fa riferimento a quat-tro valori fondamentali:•Social legacy - La scelta del Tema “Nutri-
re il Pianeta, Energia per la Vita” intendestimolare le riflessioni e gli approfondi-menti su una delle principali sfide che ilmondo odierno deve affrontare.
•Inclusione - Il coinvolgimento e la parte-cipazione attiva di tutti gli attori e dellacomunità a livello globale sono posti a ga-ranzia di quella condivisione dei saperiche caratterizza le Esposizioni Universa-li.
•Innovazione - La presentazione di solu-zioni innovative al problema della crisialimentare globale, come le soluzioni adot-tate per la costruzione del sito e delle areeespositive ed i servizi all’avanguardia perla gestione dell’evento, consentiranno al vi-sitatore di vivere un’esperienza di SmartCity.
•Responsabilità sociale - L’attuazione deiprincipi di sostenibilità nell’ambito dellaprogettazione, della realizzazione e della
gestione dell'evento mirano a ri-durne al minimo l’impatto am-bientale e a fornire esempio per glieventi futuri.Il rapporto di sostenibilità descri-ve: la governance e l’assetto orga-nizzativo, le opere in corso direalizzazione e il loro inquadra-mento normativo, i principi per lasostenibilità addottati e i rapporticon gli stakeholder, le risorseumane e le politiche applicatenella gestione del personale, ilquadro di riferimento economico,il quadro di riferimento ambienta-le, il quadro di riferimento socialee termina con una nota metodolo-gica nella quale sono evidenziatele corrispondenze tra il testo delrapporto e l’Informativa Standardrichiesta dalle Linee guida GRI. La tabella della corrispondenzatra requisiti dell’informativa stan-dard GRI e l’articolazione del rap-porto di sostenibilità di EXPO2015 reca purtroppo la dicitura
N.R. in corrispondenza di alcuni punti ri-levanti del sistema di gestione per la so-stenibilità, quali:•G4-35 (Processo di delega, da parte dei
vertici aziendali, nei confronti dei dirigentie altri dipendenti, sui temi economici, am-bientali e sociali);
•G4-41 (Attività in essere presso il più altoorgano di governo per garantire che nonsi verifichino conflitti di interesse);
•G4-44 (Processi per la valutazione delleperformance del più alto organo di go-verno, in funzione delle performance eco-nomiche, ambientali, sociali);
•G4-45 (Ruolo del più alto organo di go-verno nell’identificazione e gestione de-gli impatti, dei rischi e delle opportunitàeconomiche, ambientali e sociali. Indica-re se vi sono forme di consultazione deglistakeholders a supporto del più alto orga-no di governo). Sarebbe opportuno chequeste carenza venissero superate nel pros-simo rapporto, che sarà pubblicato a fineevento.
y La Norma UNI ISO 20121 per la Sostenibilità degli Eventi y
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MASSIMo LEoNEQ & A s.r.l., via Padova 41, 00161 Roma
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QUALITà PER COMPETERE
Autore: Domenico FARAGLIAEdizione: 2014Editore: FrancoAngeli, MilanoPagine: 254Prezzo: € 38,00
sottotitolo: «approcci, modelli e misure per ilsuccesso durevole delle organizzazioni e perfacilitare la transizione alla ISO 9001: 2015.Un manuale per affrontare in modo proattivogli aspetti innovativi della qualità rintracciabilinelle norme ISO di nuova emissione».È un manuale per affrontare gli aspetti inno-vativi della qualità rintracciabili nelle normeISO di nuova emissione. Presenta metodolo-gie per traghettare le organizzazioni alla nor-ma ISO 9001:2015 e consentire loro di rag-giungere un successo durevole in un conte-sto complesso, incerto e in continuo cam-biamento. Gli approcci, i modelli e le misu-re sono proposti nell'ottica della qualità co-me vantaggio competitivo nella convinzioneche solo rendendo tali metodologie abitualistrumenti di lavoro sia possibile confrontarsicon autorevolezza nel mercato di riferimen-to e creare valore crescente per le principaliparti interessate. La bibliografia contiene al-cuni importanti testi della letteratura tecnicae manageriale a cui riferirsi per eventuali ap-profondimenti. Si articola nei seguenti capi-toli: L’evoluzione del concetto di qualità; Ol-tre la certificazione; La qualità e il vantaggiocompetitivo; Indicatori e quadri di gestione;Misure di prestazione con la BSC; La misuradell’intangibile; Misure di performance nelleSupply Chain; La gestione del rischio; La re-lazione con i fornitori; Benchmarking e Au-tovalutazione; Miglioramento; Innovazione
LE FABBRICHE DI BENE
Autore: Adriano OLIVETTIEdizione: 2014Editore: Edizioni di Comunità, Roma/IvreaPagine: 77Prezzo: € 6,00
Il volume raccoglie due testi del grandeAdriano Olivetti. Il primo (1951) è un inter-vento di divulgazione, spiegazione, chiari-mento e illustrazione della sua idea di con-vivenza civile difficile da far comprendere:la “Comunità”. Il secondo (dovete conosce-re i fini del vostro lavoro) è il discorso rivoltoai lavoratori della fabbrica di Ivrea (giugno1945) all’indomani della liberazione. Gusta-vo Zagrebelsky, nella sua dotta presentazio-ne, evidenzia che A.O. pone una particolareenfasi nel ringraziare dirigenti e operai per-ché sono stati accomunati nella difesa dellafabbrica, intesa come patrimonio della Co-munità. La fabbrica è della Comunità; è unelemento che non può mancare accanto adaltri elementi, altrettanto essenziali per lapienezza di una esistenza considerata tantodal punto di vista degli individui singoli,quanto dal punto di vista della loro vita so-ciale. Quando la fabbrica era piccola eranormale la conoscenza di tutte le vicendeumane e materiali, di ogni uomo, di ognifatto; ... ma la fabbrica può perdere la suaumanità, che è fatta di conoscenza e di com-prensione. Ma perché la comprensione ab-bia un vero valore deve essere reciproca ed ilavoratori devono essere messi in grado diconoscere dove la fabbrica va e perché va:era necessario dare «la consapevolezza di fi-ni al lavoro». Con la morte dell’ing. Adrianonelle fabbriche si è smesso di sognare!
KAIZEN IL MIGLIORAMEN-TO CONTINUO
Autore: The Productivity Press Edizione: 2010Editore: Guerini e Associati, MilanoPagine: 155Prezzo: € 18,50
E’ l’edizione italiana di «Kaizen for the shop-floor» pubblicato nel 2002 per la Producti-vity Press, casa editrice che dal 1981 tradu-ce e diffonde testi sulle metodologie del si-stema Toyota.Il testo illustra in maniera semplice ed avvin-cente la “filosofia” del «Kaizen» all’internodel sistema produttivo Toyota «fare le cosenel modo in cui andrebbero fatte»; il termi-ne nasce dalla composizione dei terminigiapponesi: KAI (cambiamento) e ZEN (me-glio). Introdurre il Kaizen nella pratica azien-dale significa adottare una modalità di ope-rare che spinge a rivedere continuamente ilproprio punto di vista e il modo di pensareper fare qualcosa di meglio rispetto a quelloche si fa già. Nell’utilizzo pratico il K. descri-ve un ambiente in cui l’azienda e le personeche vi lavorano si impegnano in manieraproattiva per migliorare i processi. Uno deiprincipi-base del K. è: l’«energia viene dalbasso»; esso si basa sulla comprensione cheil risultato nell’impresa non viene raggiuntodal management, ma dal lavoro diretto sulprodotto. La base del miglioramento è, quin-di, il frutto dell’incoraggiamento delle perso-ne ad apportare quotidianamente piccolicambiamenti nel proprio ambito lavorativo.Le persone si impegnano proattivamentenella riduzione sia degli sprechi (Muda) siadi quei processi che non creano valore ag-giunto sul prodotto.
Lo s
caff
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di Q
ualit
à24
marzo/aprile 2015
y Lo scaffale di Qualità y
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I2005 è l’anno del l’Expo in Italia.
Perché non contribuire, allora, a of-
frire qualche istruzione per l’uso al
consumatore, senza avere presunzio-
ne alcuna che poi le segua?
Il settore agroalimentare è caratteriz-
zato da una logica molto semplice. A
monte esiste qualcuno che produce o
alleva, a valle sta il consumatore che
si alimenta con il prodotto vegetale o
animale più o meno trasformato.
Tra il primo e l’ultimo anello, in base
al tipo di filiera, possono esserci più o
meno anelli intermedi.
Facendo un paragone con il canot-
taggio può esserci lo «skiff» barca con
un solo rematore (filiera a «km-zero»,
chi produce vende direttamente il pro-
dotto al consumatore) e può esserci
l’«otto», ossia, quando la filiera si ar-
ricchisce con chi stocca, chi traspor-
ta, chi trasforma, chi ritrasporta, chi ri-
stocca, chi distribuisce e chi vende al
consumatore. Più i rematori aumen-
tano, più diventa essenziale che tutti re-
mino bene, in sincronia e nella stessa
direzione, se l’obiettivo è vincere. Le
filiere agroalimentari non scappano
da questa banale regola.
Sicuramente una vincita per le filiere
agroalimentari è garantire al consu-
matore un prodotto di qualità. Ma co-
sa si intende per qualità di un prodot-
to alimentare? E’ la coesistenza di al-
meno quattro componenti:
•sicurezza,
•componente sensoriale (gusto, fra-
granza, aspetto etc.),
•caratteristiche nutrizionali (principi
nutritivi e valore nutrizionale),
•servizio (informazioni, modalità d’u-
so etc.).
Oggi, meglio tardi che mai, si sta ten-
tando anche di inserire la sostenibili-
tà ambientale come componente ag-
giuntiva che costituisce la qualità di
un prodotto alimentare.
Quindi è corretto dire che un alimen-
to di qualità deve essere anche sicuro?
No, perché la “sicurezza” è proprio
uno degli ingredienti che costituisce
la qualità di un prodotto alimentare.
Non esiste un prodotto di qualità se
non è anche sicuro. Per chi legifera,
facendo un’ipotetica media pondera-
ta tra le componenti, la sicurezza è la
componente che assumerebbe mag-
gior peso nella definizione di qualità.
Focalizziamoci quindi sulla prima
componente: la sicurezza.
La filiera agroalimentare, indipenden-
temente dal numero di rematori, deve
eliminare o ridurre a livelli accettabi-
li eventuali pericoli che, se ingeriti dal
consumatore, causerebbero malattia
o morte. In molte filiere e per deter-
minati pericoli, il critical control point
[C.C.P.] si localizza spesso nell’anel-
lo della trasformazione, quindi verso
il fondo della filiera. Ma determinati
pericoli, se introdotti a monte, non
possono più essere eliminati neanche
nelle fasi successive della filiera e, se
non scoperti in occasione dei controlli
analitici a campione sul prodotto fi-
nale, tipici in molte filiere (ricordo che
i controlli analitici a campione sui pro-
dotti destinati al consumo non sono i
C.C.P. della filiera), giungerebbero al
consumatore. Ecco che tornando al
canottaggio, tutti i rematori, per ga-
rantire la componente sicurezza de-
vono fare la loro parte.
A questo punto però non posso esi-
mermi dal fare la seguente considera-
zione: «nelle filiere a «km-zero», non
essendoci né la fase di trasformazio-
ne più a valle ove spesso si colloca il
C.C.P. della filiera e neanche la rou-
lette russa dei controlli analitici a cam-
pione dei prodotti venduti direttamente
al consumatore, bisogna sperare esclu-
sivamente nel “gene della responsa-
bilità sociale” (che abbrevierò in se-
guito in GRS) del conduttore. Ma se
nel suo DNA non esiste?»
Dato che oggi, un certo tipo d’infor-
mazione martellante, tende a incul-
care nel consumatore l’idea che il pro-
dotto a «km-zero» sia quello anche
più sicuro tra tutti i prodotti acquista-
bili sul mercato, potenzialmente, in-
vece, può valere l’esatto contrario, os-
sia, può essere il prodotto più rischio-
so per la salute.
Restiamo su uno dei cavalli di battaglia
della moderna comunicazione ai con-
sumatori, secondo la quale assume
sempre più la valenza di postulato che
la rintracciabilità sia sinonimo di mag-
giore sicurezza. Già è stato scritto, non
solo dal sottoscritto, che la rintraccia-
bilità è una procedura neutra nei con-
fronti della sicurezza alimentare.
La rintracciabilità a monte secondo il
Regolamento n. 178/02, prevede esclu-
sivamente di identificare il fornitore
della materia prima. Nulla è prescrit-
to sulla rintracciabilità interna, altri-
menti, per esempio, non avrebbe sen-
so neanche il requisito 7.9 della nor-
ma ISO 22000 se essa fosse già ri-
chiesta come requisito cogente.
Particolari e aggiuntivi requisiti circa
la rintracciabilità a monte sono pre-
scritti per le filiere animali. Possibile
che ci sia stata una così grave lacuna
da parte dei legislatori europei nel pac-
chetto igiene, mirato proprio alla si-
curezza alimentare?
Prima considerazione. Se al consu-
matore giungesse un pericolo attra-
verso un alimento, scoprire a poste-
riori in quale anello della filiera sia sta-
to introdotto il pericolo, servirebbe si-
curamente per attribuire la responsa-
bilità, ma per tutti i consumatori che
avessero ingerito il pericolo, purtrop-
po, tale scoperta non porterebbe al-
cun miglioramento della salute e, sen-
za la rintracciabilità a valle, prescritta
già ben prima del Regolamento
178/02, in funzione del ritiro e/o ri-
chiamo dello stesso prodotto conta-
minato per evitare che altri consuma-
tori lo possano ingerire, altri consu-
matori sarebbero colpiti, nonostante
si venisse a scoprire il responsabile.
Sistemi avanzati di rintracciabilità a
monte, possono servire esclusivamente
come deterrente, nella speranza che
la possibilità di essere scoperti, stimo-
li il GRS eventualmente assente in
qualche anello della filiera. Scoprire
quale rematore abbia remato male,
una volta che è persa la gara, è trop-
po tardi.
Seconda considerazione. In molte fi-
liere la materia prima di più fornitori
e/o più lotti di materia prima dello stes-
so fornitore non possono che essere
mescolati. Pensate se un molino, aves-
se un micro silos per stoccare 1 quin-
y Approfondimenti y
Piero GAlDABINO
www.qualitaonline.it marzo/aprile 2015
Approfondim
enti
IL MERCATO DEI PRODOTTIAGROALIMENTARI
CONSIDERAZIONI, RIFLESSIONI E QUALCHE ISTRUZIONE PER L’USO
IL MERCATO DEI PRODOTTIAGROALIMENTARI
CONSIDERAZIONI, RIFLESSIONI E QUALCHE ISTRUZIONE PER L’USO
>>
In conjunction with Expo
2015 the author intends to
present some aspects of the
food chains and food-related
in a simple and understanda-
ble form so that they can be-
come the object of reflection
by the consumer and can dri-
ve it with more awareness in
a very complex sector.
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II
marzo/aprile 2015 www.qualitaonline.it
App
rofo
ndim
enti
tale di frumento acquistato da un pic-
colo produttore, 5 silos da 10 quinta-
li per stoccare, in ciascuno, la produ-
zione di 5 produttori diversi da 10
quintali, 10 silos da 50 quintali, per
stoccare, in ciascuno, la produzione
di 10 produttori di 50 quintali. Dopo-
dichè immaginate che il molino pro-
duca un primo mini-lotto di farina con
solo 1 quintale di frumento utilizzan-
do al 10% la propria capacità mac-
chine. Poi altri 10 lotti differenti, ri-
spettivamente, per i singoli produtto-
ri da 10 quintali di frumento e così via
al solo fine di garantire la perfetta rin-
tracciabilità a monte: 10 sacchetti di
farina con lotto 1C con frumento esclu-
sivamente di Caio. 100 sacchetti di fa-
rina con lotto 2S con frumento solo di
Sempronio. 100 sacchetti di farina con
lotto 3T con frumento solo di Tizio e
così via. Probabilmente per acquista-
re 1 kg. di quella farina bisognerebbe
accendere un mutuo. Ma se il pro-
duttore Tizio non fosse dotato del GRS,
tutti i lotti “XXT” di farina continue-
rebbero a contenere lo stesso perico-
lo, nonostante la rintracciabilità inter-
na. Ecco perché a suo tempo qualcu-
no aveva definito la rintracciabilità co-
me una procedura neutra di fronte al-
la sicurezza. Da sola non serve a nul-
la per garantire maggiore sicurezza al
consumatore.
Terza considerazione. Il Regolamen-
to 178/02 richiede “solamente” l’i-
dentificazione del fornitore di una ma-
teria prima probabilmente per altri mo-
tivi oltre che per la sicurezza.
Supponiamo che un’azienda acquisti
forme di formaggio, le tagli, le por-
zioni, le confezioni e le venda. Esi-
stono formaggi diversi ma molto simili
nell’aspetto che, una volta eliminata
la crosta, sono difficilmente distingui-
bili dal consumatore medio. Non vo-
glio fare nomi di formaggi simili, per-
ché, anche se è chiarissimo l’intento
in questo contesto, non vorrei essere
accusato di fare pubblicità a qualche
formaggio e non a altri. Spesso il va-
lore nutrizionale, sensoriale ed eco-
nomico di questi formaggi simili per
l’aspetto, è però molto diverso. Sup-
poniamo che l’azienda di cui sopra
sia priva del GRS e acquisti il formag-
gio simile di minore valore e, una vol-
ta porzionato e confezionato senza
crosta, lo venda con il nome e al mag-
giore prezzo del formaggio simile più
pregiato in quanto sicura che nessun
consumatore noterebbe la differenza.
Il fatto che il Reg.178/02 obblighi a
identificare i fornitori, darebbe, in que-
sto caso, la possibilità di verificare pro-
prio presso i fornitori, possibilmente a
insaputa del cliente, la quantità effetti-
va di formaggio di maggiore valore real-
mente vendute e consegnate all’a-
zienda senza GRS per poi confrontar-
lo con la quantità venduta da parte di
tale azienda confezionatrice. Nel mo-
mento in cui i conti non tornassero,
perchè la quantità venduta supera, te-
nendo presente la resa produttiva, la
quantità totale acquistata del formag-
gio più pregiato, si potrebbe scoprire
così una grossa frode verso il consu-
matore. Oppure, sempre restando nel
settore, “fettine” (l’altro nome ben più
noto al consumatore italiano per iden-
tificare le sottili fette quadrate di for-
maggio, non posso scriverlo perché ap-
partiene a una determinata azienda)
dal colore arancione giustificato al con-
sumatore dal fatto che sarebbero state
ottenute da un formaggio inglese noto
per la sua colorazione dai toni aran-
cioni, potrebbero essere state invece
colorate artificialmente durante il pro-
cesso produttivo e originate da mate-
ria prima ben diversa, scadente e di
quasi nullo costo (per il produttore pri-
vo di GRS) rispetto al formaggio di cui
sopra. Quindi controllando presso i
fornitori del “formaggio arancione” le
quantità vendute, si potrebbe scoprire
la truffa. Ogni eventuale riferimento è
del tutto casuale e anche altri prodot-
ti alimentari pronti al consumo posso-
no diventare indistinguibili uno dal-
l’altro al consumatore, anche se diffe-
renti, non solo certi formaggi. Per esem-
pio, come si fa visivamente a capire
guardando o assaggiando l’olio extra-
vergine di oliva se veramente il 100%
delle olive che lo hanno prodotto han-
no una certa origine se indicato in eti-
chetta senza specifiche certificazioni
che l’attestino?
Solo conoscendo tutti i fornitori di oli-
ve del produttore di olio e incrocian-
do i dati tenendo presente la resa me-
dia in olio, le superfici olivate degli
olivicoltori fornitori e le rispettive pro-
duzioni medie di olive per ettaro, si
possono scoprire eventuali frodi.
Per quanto riguarda le filiere animali
i requisiti richiesti circa la rintraccia-
bilità sono più severi, prevalentemen-
te per i seguenti motivi.
Nell’acquisto di carne da consumare
fresca, l’unico anello della filiera suc-
cessivo all’ allevamento è praticamente
la macellazione. La macellazione, non
presenta particolari C.C.P. per elimi-
nare o ridurre a livelli accettabili de-
terminati pericoli se presenti già a mon-
te nella carne. E’ più gestibile la rin-
tracciabilità a monte. Per esempio, nes-
sun macellaio avrebbe interesse ad ac-
quistare numerose mezzene di bovi-
no, fare i tagli, esempio le fettine (non
di formaggio), da tutte le mezzene,
mescolare i tagli delle varie mezzene
e offrire i tagli di un coacervo di mez-
zene al banco per l’acquirente. Quin-
di è mantenuta la relazione diretta tra
capo e relativi tagli (quando addirittu-
ra il capo non venga venduto intero,
come capita, ancora di sovente, per il
pollame), prassi, che, come si è com-
preso dall’esempio del molino, in mol-
te altre filiere agroalimentari non può
essere mantenuta se non a costi esor-
bitanti, senza che il gioco valga la can-
dela della sicurezza.
Inoltre, alcuni pericoli nelle filiere ani-
mali, non solo possono causare pro-
blemi alla salute per chi li avesse in-
geriti, ma trasformandosi nel malca-
pitato, potrebbero trasmettersi da uo-
mo a uomo senza passare obbligato-
riamente per l’ingestione di altra car-
ne contenente quel pericolo. Rilevare
immediatamente il primo allevamen-
to dove un animale è infetto diventa
essenziale così come, in caso di tra-
smissione uomo-uomo, diventa più fa-
cile cercare il cosiddetto “paziente-
zero” sapendo quali persone hanno
acquistato e poi consumato per primi
la carne di quell’animale, oppure, so-
no solamente venute a contatto con
gli animali dell’ allevamento ove è pre-
sente quel pericolo. Si comprende co-
me la sicurezza non possa essere ga-
rantita esclusivamente ponendo il pro-
digioso codice che il consumatore può,
dopo l’acquisto, digitare per accerta-
re la storia del prodotto. Già, DOPO.
Ma quanti negozi accetterebbero un
reso di un prodotto restituendo la som-
ma di denaro equivalente a un acqui-
rente che si presentasse con il prodotto
acquistato, dicendo che non gli garba
più dopo aver letto la sua storia digi-
tando il codice post-acquisto?
Al limite, PRIMA bisognerebbe che il
potenziale acquirente digitasse quel
codice. Ma allora chi vende prodotti
alimentari dovrebbe mettere a dispo-
sizione idonei spazi con wireless li-
bera in cui i potenziali acquirenti pos-
sano verificare tutte le informazioni
sul prodotto e poi decidere se acqui-
starlo o meno, passandolo da una ma-
no all’altra con la tipica movenza am-
letica: sicuro o non sicuro? Consiglio
però ai consumatori, realizzandosi ta-
le ipotesi, di fare anche una previsio-
ne del tempo necessario per fare una
spesa completa in un’epoca dove, qua-
si tutti, hanno una fretta cronica.
Continuiamo con altro cavallo di bat-
taglia della moderna comunicazione
ai consumatori: i prodotto italiani, i
prodotti DOP e IGP italiani sono più
sicuri di tutti gli altri.
Pongo ai consumatori il seguente que-
sito, ossia, se possono dimostrare scien-
tificamente che esclusivamente i pro-
duttori, allevatori e trasformatori ubi-
cati in Italia, sono detentori del GRS
mentre solo al di fuori dei confini na-
zionali o dei confini del DOP o del-
l’IGP sono ubicati i pirati, delinquen-
ti e truffatori. Mi limito ad alcuni esem-
pi che tutti i consumatori, magari han-
no sperimentato o gli capiterà di spe-
rimentare, così da poter arrivare, da
solo, alle sue conclusioni.
Anni fa, ancora studente all’universi-
tà, in una località della italianissima
Brianza, nel Nord e non del Sud (pre-
cisazione geografica utile anche a sup-
porto di un altro tipo di comunica-
zione), molto vicino a Milano, sede
dell’EXPo 2015, un giorno “tradunt”
che un’azienda agricola posta a due-
y Il mercato dei prodotti agroalimentari y
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Approfondim
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y Approfondimenti y
cento metri, ossia a «km-0,2» dalla
mia abitazione, vendesse uova di sua
produzione e polli ivi allevati. Integro
la descrizione, mettendo a conoscen-
za il lettore che di fronte alla mia abi-
tazione, al di là di una strada provin-
ciale, era ubicato un market alimen-
tare. Nulla è valso contro la tentazio-
ne di acquistare alcune uova “come
di una volta” dall’azienda a «km-0,2».
Infatti ecco arrivare 6 uova, preincar-
tate (non uso preconfezionate per es-
sere coerente con quanto seguirà) con
la tipica pagina di quotidiano, 3 per
volta. Srotolando con la massima at-
tenzione le 2 pagine del quotidiano
appaiono le 6 uova. Noto subito che
le uova sono delle stesse dimensioni,
stesso colore e pulitissime. Chi ha avu-
to la possibilità, come il sottoscritto,
di sottrarre un uovo ancora tiepido al-
la povera ovaiola appena deposto nel-
l’ovodepositore di paglia di un pol-
laio, sa che le uova non sono mai tut-
te dello stesso colore, dimensione e
alcuni gusci sono lisci, altri più poro-
si. E soprattutto non può mancare una
cosa, che, espresso in vernacolo qua-
litatese, consiste in qualche residuo
dell’output (di scarto) del processo me-
tabolico dell’ovaiola attaccato al gu-
scio, tanto che pensai che in quell’a-
zienda a «km-0,2» da casa, pulissero
perfettamente ogni uovo o addirittura
ricorressero al prelievo dell’ uovo tra-
mite ovodeposizione cesarea. Ma i
miei sospetti furono subito bollati dai
miei familiari come output di un pre-
sunto pessimismo cosmico. Non po-
teva mancare la tappa successiva:
«l’acquisto di un pollo ruspante già
spiumato dalla virtuosa azienda a «km-
0,2». Al sottoscritto con in mano i ti-
pici forbicioni per porzionare il pollo
pre cottura, tocca sezionare lo sterno
del pollo e, aprendolo, noto che spun-
ta dal muscolo interno del petto una
punta ad arpione di plastica verde e
un pezzetto di asta del dardo, tipico
delle frecce conficcate nei polli sul
bancone dei pollivendoli al cui apice
allargato, opposto alla punta, è indi-
cato il prezzo. A questo punto si por-
ta il pollo con il residuo della freccia
in visione al market di fronte a casa,
che riconosce immediatamente l’ap-
partenenza della freccia e quindi del
pollo. Mai scorderò le imprecazioni
in brianzolo stretto del titolare: la mi-
gliore cliente di uova e polli si scoprì
che fosse la moglie del conduttore del-
l’azienda a «km-0,2» nel cuore della
Brianza italiana.
A quei tempi sul guscio delle uova non
era stampato il codice identificativo,
per cui era più facile frodare il consu-
matore. Nel caso delle uova la pre-
senza del codice sul guscio, indipen-
dentemente da ciò che esso racconta
della storia dell’uovo, funge da sigil-
lo, una sorta di marchio a fuoco. Og-
gi quell’azienda italiana a «km-0,2»,
dovrebbe cancellare il codice origi-
nario dall’uovo acquistato dal nego-
zio e sostituirlo con un codice falso
identificativo dell’azienda non dotata
di GRS. Ciò, molto più difficile da rea-
lizzare ma comunque fattibile, obbli-
gherebbe però l’azienda virtuosa a
vendere l’uovo contraffatto, non più 3
volte tanto il prezzo di vendita del mi-
nimarket, ma almeno 10 volte di più,
rischiando di non trovare più acqui-
renti disposti all’ acquisto. In questo
caso le modalità di stampigliatura e la
posizione del magico codice, posso-
no servire, ancora una volta, a evita-
re una frode, non tanto per garantire
più sicurezza al consumatore.
Chi non conosce qualcuno, italiano
da generazioni a partire dall’ uomo di
Neanderthal, che, una volta spuntata
l’erba tra i sanpietrini del suo giardi-
no casalingo pavimentato, usa un dis-
erbante e anziché mettere un misuri-
no in 5 litri di acqua, come da eti-
chetta, ne mette 3 perché se poco fa
bene, tanto fa meglio?
Chi non conosce qualcuno, sempre
italiano dalla stessa epoca del prece-
dente, che per trattare qualche pianti-
cella del suo giardino privato usa un fi-
tofarmaco sistemico, cioè che viene
assorbito dalla pianta nella sua linfa
in un certo senso intossicandola af-
finchè l’ insetto che poi la sugge (ad
esempio: l’afide conosciuto dai più
come pidocchio) muoia? E nonostan-
te che nell’etichetta del fitofarmaco sia
scritto in caratteri cubitali di fare un
solo trattamento all’anno in quanto,
se ripetuto, può intossicare la pianta,
possono restare residui nei frutti, può
essere pericoloso per gli animali o i
bambini (figli che regolarmente sco-
razzano sotto gli alberi trattati) che toc-
cassero la terra sotto la chioma tratta-
ta, invece, ogni 15 giorni, ricorre al
trattamento con lo stesso fitofarmaco
sistemico? Inoltre, invito il consuma-
tore a fare un ulteriore riflessione: chi
indica un solo trattamento l’anno o un
misurino ha il totale interesse, vice-
versa, a vendere più prodotto possibi-
le … e il conoscente italiano dell’e-
sempio non ha neanche l’interesse
economico che inibisce il suo GRS,
perché ciò che raccoglie non lo ven-
de per produrre reddito, ma lo con-
suma e lo fa consumare ai suoi cari.
A qualcun altro sarà sicuramente ca-
pitato di far visita a un’azienda agri-
cola italiana di un conoscente italiano
e, finita la visita, come prescrive la ge-
nerosa etica e cordialità contadina, l’a-
gricoltore offre, all’ospite in visita, qual-
che prodotto da portare a casa. Ma se-
gue spesso la rassicurazione tipica,
cioè che preleverà la verdura dal suo
orticello privato o dalla serretta na-
scosta dietro casa, mica la verdura che
coltiva per vendere!
Spiacente di illudere molti consuma-
tori ipnotizzati da un certo tipo di co-
municazione, perché chi è privo del
GRS vive ed esiste anche in Italia.
Scaturisce un’altra considerazione:
spesso il migliore GRS se è accompa-
gnato da ignoranza e soprattutto pre-
sunzione agronomica (oggi 30 minu-
ti collegati a siti internet, magari non
specifici, inducono a credere di as-
sorbire le competenze agronomiche
di chi ha superato cinque impegnati-
vi anni di corso di laurea non virtuali
in Agraria e soprattutto tanti anni di la-
voro nel settore), non è sufficiente.
Passiamo ora ai prodotti IGP, indica-
zione geografica protetta. Con i pro-
dotti IGP ho deluso e fatto infuriare
tutti i miei conoscenti consumatori di
alcuni prodotti IGP.
Inizio con un verbo infinito inglese: to
made. Nel settore agroalimentare non
può essere tradotto con coltivare o al-
levare. La traduzione migliore è tra-
sformare. Per cui un prodotto “made
in Italy”, soprattutto nel settore agroa-
limentare, dovrebbe corrispondere al-
la seguente definizione: output del pro-
cesso di trasformazione di una o più
materie prime indipendentemente dal-
la loro origine geografica, che avvie-
ne nel territorio italiano.
Chiarito ciò, un prodotto IGP è un pro-
dotto per il quale almeno una fase
(anello) della sua filiera deve avveni-
re nel territorio geografico indicato nel-
l’IGP. Se si tratta di un prodotto IGP
italiano è altamente probabile che l’u-
nico anello della filiera ubicato nel pe-
rimetro geografico indicato nella de-
nominazione IGP sia la fase di tra-
sformazione.
Infatti, la peculiarità dell’Italia nel set-
tore agroalimentare è quello di rice-
vere la materia prima, trasformarla ar-
ricchendola di un valore aggiunto che
forse solo l’Italia sa dare e rivenderla
soprattutto al di fuori dei confini na-
zionali, magari proprio a chi aveva for-
nito la materia prima. Poi ci sono le
solite eccezioni che confermano la re-
gola. Non sarà dimostrazione scienti-
fica di quanto sopra sostenuto, ma,
quanti, nel mondo, falsificano i pro-
dotti trasformati nei loro Paesi spac-
ciandoli poi per “made in Italy”? Un
motivo ci sarà.
Tornando a molti prodotti IGP, quan-
do ho indicato ai consumatori miei
conoscenti l’origine della materia pri-
ma di quei prodotti IGP, il risultato è
stato lo stupore e l’immediata reazio-
ne di chi si sente ingannato: mai più
avrebbero comprato un prodotto IGP.
Ma tale reazione è, quasi sempre, sba-
gliata, perché IGP sta tra il nome del
prodotto trasformato e la zona geo-
grafica. Tanto per capirci un conto è
indicare salume (ottenuto da suino)
IGP di Vattelacaccia, un conto suino
IGP di Vattelacaccia.
Se IGP è tra il nome del prodotto tra-
sformato e la zona geografica non c’è
alcuna informazione ingannevole.
Una istruzione per l’uso utile per qual-
siasi consumatore, senza che debba
digitare alcun codice, credo sia la se-
guente. Quando un consumatore de-
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App
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enti
sidera acquistare un prodotto IGP, per
esempio il salume (ottenuto da carne
suina) di Vattelacaccia, deve subito
chiedersi qual è la produzione annua
di quel salume IGP. Se scopre che a
Vattelacaccia si produce un milione
di pezzi di quel salume l’anno deve
chiedersi quanti suini servono per pro-
durre un pezzo. Se scopre che da un
suino si ottengono 2 pezzi significa
che occorrono 500.000 suini/anno.
Quanti suinifici ci sono a Vattelacac-
cia? Se scopre che ce ne sono 3, arti-
gianali, per un numero totale di 200
capi, l’ovvia soluzione è che i suini
utilizzati per produrre il prodotto IGP,
non sono allevati a Vattelacaccia. Pos-
sono arrivare da altre Regioni, Nazio-
ni e, soprattutto per alcuni prodotti IGP
ottenuti da carne bovina, da oltreo-
ceano. Per cui se fosse vero che un
prodotto IGP è più sicuro di altri pro-
dotti uguali non IGP, sarebbe merito
sia dei C.C.P. dell’azienda di trasfor-
mazione di Vattelacaccia che, in egual
misura, dei C.C.P. messi in atto dagli
allevatori olandesi, francesi, brasilia-
ni ecc. ecc., quindi rigorosamente non
italiani.
In sintesi tra un salume “made in Italy”
e il salume IGP di Vattelacaccia, l’unica
differenza sono i chilometri quadrati.
Un salume “made in Italy” può esse-
re prodotto a Vipiteno così come a Pan-
telleria. Il salume di Vattelacaccia può
essere prodotto solo a Vattelacaccia,
ma è molto probabile che la carne sui-
na usata a Vipiteno, a Pantelleria e a
Vattelacaccia abbia la stessa identica
origine. Consiglio al consumatore, in-
vece, di porre più attenzione, andan-
do a consultare i disciplinari, quando
IGP è frapposto tra il nome originario
del prodotto (usato abitualmente in as-
senza di qualsiasi trasformazione) e la
zona geografica.
Passiamo ai prodotti DoP. Due lette-
re dell’alfabeto fanno una differenza
enorme rispetto ai prodotti IGP. Infat-
ti, per questi prodotti è previsto che
tutte le fasi della filiera avvengano nel
perimetro geografico delimitato dalla
DOP escluso, per alcuni prodotti, la
fase di confezionamento. Per esem-
pio, per alcuni vini DOC (sinonimo di
DOP, terminologia concessa in dero-
ga considerando l’uso ormai tradizio-
nale e storico nel mondo del vino del-
l’acronimo DOC) il confezionamen-
to (imbottigliamento) del vino sfuso
DOC può avvenire al di fuori dei con-
fini della denominazione di origine
protetta.
A me non risulta che nessun Regola-
mento europeo imponga che i disci-
plinari dei prodotti DOP, debbano con-
tenere requisiti distintivi o superiori ri-
spetto a quelli cogenti relativi alla si-
curezza. E allora, tenendo presente
anche cosa precedentemente scritto,
per quale motivo dovrebbero essere
più sicuri rispetto a uguali prodotti non
DOP?
In una filiera DOP di un prodotto ve-
getale, possono esserci contempora-
neamente produttori che coltivano con
tecnica convenzionale, altri che se-
guono la lotta integrata (ad esempio:
certificati Globalgap), altri che colti-
vano con metodo biologico. I prodot-
ti ottenuti convergono in egual misu-
ra nel DOP.
Quindi ancora una volta bisogna affi-
darsi al GRS di chi elabora i discipli-
nari, di chi li approva e dei singoli anel-
li della filiera. Attenzione: chi è depu-
tato a controllare la filiera DOP (mi ri-
ferisco agli Organismi accreditati e/o
autorizzati a verificare la conformità
ai disciplinari, non certo ai NAS, per
esempio) deve attenersi scrupolosa-
mente alla verifica di quanto indicato
nel disciplinare approvato, non può
spingersi oltre di sua iniziativa, chie-
dendo, per esempio, di verificare la
conformità di un manuale HACCP di
un anello della filiera DOP, se non è
previsto nel disciplinare e, a cascata,
nel relativo piano di controllo del di-
sciplinare. Il DOP non è altro che una
certificazione di rintracciabilità geo-
grafica, tanto entra nella filiera come
DOP e tanto deve uscire come DOP
considerando la resa produttiva. Ciò
non esclude che siano inseriti nei di-
sciplinari anche distintivi requisiti re-
lativi alla sicurezza alimentare, ma sa-
rebbero iniziative del tutto facoltative,
non cogenti.
Concludo questo argomento facendo
un'altra riflessione. Oggi qualsiasi
azienda di trasformazione italiana po-
trebbe decidere di creare una linea di
produzione esclusivamente utilizzan-
do materia prima italiana. Nessuno lo
vieta e ci sono tutti gli strumenti (Nor-
me certificabili) per certificare tale pras-
si. Infatti, la rintracciabilità a monte
non nasce, in origine, per la sicurez-
za, ma per garantire al consumatore
che in un dato lotto di prodotto esista
quella caratteristica (o più di una) di-
stintiva rispetto alle altre o superiore
ai requisiti minimi cogenti, dichiarata
dal produttore (e venditore).
Per esempio, un produttore di pasta
potrebbe decidere di produrre una li-
nea di pasta solo da frumento duro ita-
liano e richiedere la certificazione che
attesti tale dichiarazione. Per tutti i con-
sumatori ipnotizzati da un certo tipo di
informazione ribadisco che anche l’in-
tera produzione di grano duro italiano
non sarebbe sufficiente neanche a co-
prire le necessità produttive per il con-
sumo interno di pasta, figuriamoci per
esportare in tutto il globo pasta esclu-
sivamente ottenuta dal Triticum du-
rum coltivato in Italia.
Ma a questo punto mi piacerebbe sa-
pere se tali consumatori, sarebbero
pronti ad accettare che cosa, proba-
bilmente, succederebbe. Sarebbero
disposti ad alzarsi alle 4 del mattino
per mettersi nei primi posti della coda
davanti ai negozi (o al PC per aggiu-
dicarsi l’acquisto on-line), nella spe-
ranza di arrivare di fronte allo scaffa-
le e trovare ancora almeno una sca-
tola (il marketing dell’azienda impor-
rebbe alla scatola il tricolore, la foto
del tacco d’Italia con le spighe di fru-
mento duro ondeggianti al vento e do-
rate dal sole) da acquistare? Se il prez-
zo è dato dall’incontro tra la doman-
da (enorme, parrebbe, oggi) e l’offer-
ta (limitata dagli ettari italiani destina-
bili a frumento duro), tale consuma-
tore sarebbe disponibile a pagare 100
volte di più 500 grammi di pasta? Il
consumatore sarebbe disposto ad ac-
cettare l’umiliazione sociale di vede-
re la pasta esclusivamente da frumen-
to duro italiano collocarsi, così, tra i
prodotti di nicchia alla portata di po-
chi benestanti?
Anche nel settore agroalimentare va-
le il terzo principio della dinamica.
I prodotti biologici. Come penultimo
argomento legato alla sicurezza ali-
mentare, ma ce ne sarebbero tanti al-
tri, non posso esimermi da offrire un al-
tro chiarimento importante ai consu-
matori. A questo punto dello scritto,
qualche lettore potrebbe concludere
che, se si vuole un prodotto certamente
sicuro, allora, non resta che aggrap-
parsi ai prodotti biologici.
Prima precisazione. Non esiste il pro-
dotto biologico o, viceversa, tutti i pro-
dotti vegetali e animali hanno un’ori-
gine biologica. Ancora una volta so-
no 2 lettere che fanno un’ enorme dif-
ferenza: «DA». Esistono infatti i “pro-
dotti DA agricoltura biologica”, ossia
ottenuti secondo un particolare me-
todo di coltivazione o di allevamento
o di trasformazione.
Un prodotto pronto al consumo da
agricoltura convenzionale in cui i re-
sidui, per esempio, di alcuni fitofar-
maci chimici (non autorizzati per l’
agricoltura biologica) risultino assen-
ti (spesso il limite è dato dalla soglia
di rilevabilità strumentale), risulta iden-
tico allo stesso prodotto da agricoltu-
ra biologica in cui, a maggior ragione
(perché non autorizzati), risultino as-
senti gli stessi residui chimici. In altre
parole sono INDISTINGUIBILI. Ossia,
entrambi, sia da agricoltura conven-
zionale o da agricoltura biologica, so-
no egualmente sicuri. La sicurezza de-
ve essere una componente orizzonta-
le, indipendentemente dal metodo pro-
duttivo o di allevamento e meno ma-
le che sia così, aggiungo io.
E allora? Non posso che ricorrere agli
esempi. Senza addentrarci nel caso
delle contaminazioni accidentali nei
prodotti da agricoltura biologica, se
un frutto da agricoltura convenziona-
le risulta, dopo le analisi, senza (mi
esprimo così per maggiore semplici-
tà) residui di un determinato fitofar-
maco chimico, significa, molto pro-
babilmente, che è stato trattato con
dose adeguata di quel fitofarmaco chi-
mico e chi lo ha trattato ha rispettato
i tempi di carenza del principio attivo
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Approfondim
entiv
y Approfondimenti y
(e il numero di interventi massimi/an-
no consigliati in etichetta) presente nel
fitofarmaco prima di raccogliere il pro-
dotto.
Lo stesso frutto da agricoltura biologi-
ca, invece, non dovrebbe mai essere
stato trattato con quel fitofarmaco chi-
mico, ma protetto dalle avversità con
metodi autorizzati per l’agricoltura bio-
logica.
Altro esempio: un cereale da agricol-
tura biologica ha le stesse esigenze di
azoto di un cereale da agricoltura con-
venzionale per crescere, produttiva-
mente parlando. Nel secondo caso si
procede all’analisi del terreno per ve-
rificare la disponibilità di azoto assor-
bibile dal cereale, si confronta con la
necessità conosciuta di azoto del ce-
reale e la differenza è integrata con la
somministrazione di fertilizzanti con-
tenenti azoto, spesso di origine chi-
mica.
Nel primo caso, invece, il metodo bio-
logico dovrebbe prevedere la rotazio-
ne cereale-leguminosa. Le legumino-
se arricchiscono in maniera naturale
il terreno di azoto. Quando si risemi-
na il cereale, si procede all’analisi del
terreno, la carenza di azoto nel terre-
no per il cereale dopo la leguminosa
risulterà molto meno marcata rispetto
al cereale da agricoltura convenzio-
nale coltivato in monosuccessione e
tale minore differenza sarà integrata
da un fertilizzante che contiene azo-
to autorizzato per il metodo biologico,
quindi non di origine chimica. In-
somma per il convenzionale il fine giu-
stifica certi mezzi, per il metodo bio-
logico il fine giustifica altri mezzi. Ma
il fine “sicurezza” per il consumatore
non può essere diverso!
Poi se chi dovrebbe tutelare i consu-
matori è il primo a emanare deroghe
sulle rotazioni, autorizzando la mo-
nosuccessione anche nel metodo bio-
logico, invito il consumatore a indivi-
duare e a sconfiggere il vero nemico
che non è rappresentato certo dalle
aziende che usufruiscono e ci man-
cherebbe ancora che non lo facesse-
ro, della deroga.
Quindi scegliere e consumare un pro-
dotto da agricoltura biologica signifi-
ca dare molto peso alla componente
emergente della qualità di un prodot-
to alimentare, ossia la sostenibilità am-
bientale, deroghe permettendo, non
certo alla componente sicurezza.
Terminate le considerazioni sul meto-
do biologico, non posso non tornare
alle aziende a «km-zero», perché
chiunque si sia recato presso la vendita
di prodotti a «km-zero» avrà notato si-
curamente quanto segue; i prodotti in
vendita sono sempre accompagnati
da slogan tipo: naturale, sano, come
una volta, all’antica, senza chimica,
della nonna, biologico …, genuino e
così via.
Tutto ciò è comprensibile per stimo-
lare il desiderio all’acquisto e sono cer-
to, dato che in Italia, come in tutti i
Paesi del mondo, esistono anche per-
sone dotate di GRS e adeguata com-
petenza agronomica, che in alcuni ca-
si i prodotti corrispondano veramen-
te allo slogan. Ma indicare certi attri-
buti del prodotto che dovrebbero dif-
ferenziarlo dagli altri identici prodot-
ti si chiama: “pubblicità comparativa
indiretta”.
E’ ammissibile farlo, ma devo ricor-
dare una nota sentenza di qualche an-
no fa circa l’indicazione “NON
OGM”, quando un’azienda l’aveva in-
serita nell’etichetta di un suo prodot-
to e un concorrente che produceva l’i-
dentico prodotto, la contestò (il Re-
golamento specifico obbliga a indi-
care la sola eventuale presenza di
OGM). In sintesi la sentenza definiti-
va recitava che la comparazione indi-
retta è lecita se mostra un pregio ef-
fettivo del prodotto e se si dimostra un
effettivo sforzo imprenditoriale di dif-
ferenziazione del prodotto attraverso
l’attestazione di un serio istituto di cer-
tificazione. Quando tutto ciò esiste la
scelta pubblicitaria coerente con l’op-
zione produttiva distintiva perde il con-
tenuto di maliziosità.
A fronte di questa sentenza, quante
aziende a «km-zero» sono in grado di
dimostrare che il pregio (naturale, sen-
za pesticidi, genuino, e così via) sia
effettivo e di dimostrare attraverso un
serio istituto di certificazione il loro ef-
fettivo sforzo ad ottenere la differen-
ziazione dichiarata nelle etichette dei
loro prodotti in vendita per garantire
al consumatore e alle aziende con-
correnti la non maliziosità e la co-
erenza dell’opzione produttiva pub-
blicizzata?
Quindi anche per questi motivi oltre a
quelli indicati prima, lascio al lettore
le considerazioni del caso sull’attuale
valanga comunicativa che indica le
aziende a «km-zero» come rifugio ove
trovare maggiore sicurezza alimenta-
re.
L’unica componente della qualità di
un prodotto alimentare certamente
presente, salvo frodi tipo quella da me
descritta in precedenza e salvo, ap-
punto, specifiche certificazioni da par-
te di Enti terzi o esiti di analisi di la-
boratorio, coltivato in aziende a «km-
zero», è il minore impatto ambienta-
le derivante dal mancato trasporto dei
prodotti da dove si raccolgono a do-
ve vengono venduti.
Lo standard internazionale ISo
22000. Non posso chiudere l’argo-
mento relativo alla componente sicu-
rezza senza soffermarmi brevemente
sulla norma ISo 22000, per eccel-
lenza dedicata a tale componente del-
la qualità di un prodotto alimentare.
Cominciamo dal requisito 7.3.3.1 pun-
ti c) e h). Se del caso, bisogna indica-
re l’origine della materia prima (come
elemento descrittivo della materia pri-
ma), ma non esiste nel punto h) l’ob-
bligo di porre nel piano di controllo
al ricevimento, un criterio di accetta-
zione della materia prima espressa con
un’unità di misura adeguata (ad esem-
pio: chilometri) che obblighi l’orga-
nizzazione a rifiutare la materia pri-
ma se il fornitore è più distante rispet-
to al criterio di accettazione indicato
nel piano, la cui tolleranza non può
superare il +/- 0,01% della distanza
chilometrica indicata come limite di
accettabilità.
Proseguiamo con i programmi dei pre-
requisiti, in particolare il requisito 7.2.3
e il punto 3.8 del requisito 3. Nel pri-
mo requisito si parla:
•al punto f), di «gestione dei materia-
li acquistati (per esempio materie pri-
me, ingredienti …)» ma non è indi-
cato di considerare la distanza chi-
lometrica del fornitore dei materiali
acquistati;
•al punto k) la norma indica «altri
aspetti appropriati» ma nessun rife-
rimento obbligatorio a considerare
la distanza dei fornitori.
Andiamo a verificare allora i suggeri-
menti della norma nel requisito 3.8:
si leggono la GAP, la GVP, la GMP, e
così via; ma la norma non indica che
queste buone pratiche valgono sem-
pre meno più i fornitori sono distanti
dall’organizzazione, fino ad annullar-
si superati xx chilometri di distanza
dall’organizzazione.
Passiamo allora all’appendice “C” del-
la norma e, incredibilmente, neanche
nelle misure del Codex riportate nel-
la norma, esiste un riferimento a una
misura di controllo che indichi di dis-
criminare i fornitori in base alla di-
stanza geografica.
Infine non esiste una sola nota nella
norma che prescriva di considerare
necessariamente “pericolo” la pro-
gressiva distanza del fornitore dall’or-
ganizzazione da controllare con un
PRP operativo o con un C.C.P. o, me-
glio ancora, con una combinazione
appropriata dei due, in modo tale da
creare un effetto sinergico maggiore
della somma dei singoli effetti (2 + 2
= 5), secondo quanto recita il punto
g) del requisito 7.4 della norma ISO
22000.
E’ possibile che anche chi ha elabo-
rato la norma ISO 22000 è incompe-
tente esattamente come chi ha elabo-
rato il pacchetto igiene CE, tanto da
non considerare la distanza dei forni-
tori, la rintracciabilità interna come pi-
lastri imprescindibili per garantire mag-
giore sicurezza alimentare?
A me viene da pensare a quell’indivi-
duo in auto contromano in autostra-
da che imprecava “incompetente” con-
tro chi, tramite l’autoradio, metteva in
guardia gli automobilisti contro un
pazzo contromano, quando, secondo
lui, i pazzi erano migliaia.
Le caratteristiche sensoriali dei pro-
dotti. Passiamo ora a un’altra compo-
nente che forma la qualità di un pro-
dotto alimentare. Le sue caratteristi-
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App
rofo
ndim
enti
che rilevabili dagli organi sensoriali di
chi li consuma. Quando si entra in
questo argomento molto complesso
non si può pensare che alla soggetti-
vità: è bello/buono ciò che piace. An-
che per questa componente oggi l’in-
formazione al consumatore tende ad
associare una maggiore qualità sen-
soriale in base all’origine e provenienza
di un prodotto.
Indubbiamente le condizioni pedo-
climatiche caratteristiche di dove si
coltiva un prodotto, hanno un’in-
fluenza notevole. I francesi hanno da
sempre associato la qualità dei loro vi-
ni al “cru”. Riporto una definizione
che si trova all’interno del trattato di
enologia di J. Ribereau-Gayon, tanto
per citarne una: «La qualità dipende
prima di tutto dal suolo, dal clima e
dal vitigno, da una certa associazio-
ne di questi fattori che generano cer-
te sostanze e certi equilibri e che co-
stituisce il cru». (E’ da notare che per
“qualità” l’autore fa riferimento uni-
camente alla componente sensoriale
e pacatamente a quella nutrizionale,
per cui è da intendersi come qualità
parziale di un vino).
Ma ciò non è sufficiente. Per esempio,
personalmente ho avuto la grande sfor-
tuna (la definisco così perché una vol-
ta che si salta al di là del muro è diffi-
cilissimo tornare indietro) di ingerire
frutti maturati sull’albero. Da bimbo
ho avuto un grande insegnamento: per
mangiare un frutto maturo, quindi dol-
cissimo al gusto e dai profumi intensi,
mi sentivo ripetere dai nonni: scuoti
l’alberello, oppure, se l’albero era più
grosso, dai un colpo a un ramo. I frut-
ti che cadono sono maturi (alcuni pos-
sono essere anche malati, indubbia-
mente), gli altri non toccarli perché non
è ancora tempo per mangiarli. Sag-
gezza degli anziani che, come soven-
te accade, trova un fondamento scien-
tifico. Infatti, nella grande maggioran-
za dei frutti è dopo la fase di invaiatu-
ra (cambio colore che corrisponde al-
l’inizio della maturazione vera e pro-
pria) che avviene il maggior assorbi-
mento (no sviluppo!) di zuccheri (uso
tale termine sempre per maggiore sem-
plicità) nei frutti che lo assorbono di-
rettamente dalla pianta. Un frutto rac-
colto prima dell’invaiatura, quindi mol-
to acerbo, non potrà mai assorbire zuc-
cheri dal cesto di vimini riposto sul mo-
bile (la cosiddetta credenza) della cu-
cina. Il processo maturativo quindi per-
de la sua peculiarità principale: l’ac-
cumulo di zuccheri nella polpa prele-
vati dalla linfa (definiamola così sem-
pre per semplicità) della pianta. Inoltre
si nota un'altra peculiarità: la matura-
zione è scalare, è impensabile che tut-
ti i frutti raggiungano lo stesso grado di
maturazione nello stesso istante. A li-
vello economico è un problema perché
diventerebbe troppo costoso racco-
gliere i frutti a rate, dallo stesso albe-
ro, secondo natura.
Oggi consumo poca frutta, nonostan-
te i suoi principi nutritivi, perché non
potendola usare, in base alle dimen-
sioni, per giocare a bowling o come
sfera per la fionda al poligono di tiro,
la mia coscienza si ribella quando, do-
po l’acquisto e dopo il primo doloro-
so (per le gengive) e depressivo (per le
mie papille gustative forzatamente dis-
occupate) morso, trasloco la frutta di-
rettamente nel cestino dell’umido (il
tema degli sprechi e degli avanzi nel
mondo occidentale mi è molto caro).
Ma anche dopo questa azione mi as-
sale una grossa preoccupazione, os-
sia che tale frutta dopo parziale de-
gradazione artificiale possa rallentare
anche il processo di compostaggio a
valle dei rifiuti organici, sempre che
non siano rimescolati a tutti gli altri,
per la gioia di chi, con tanta attenzio-
ne e speranza, differenzia la raccolta
dei rifiuti.
Frutta in vendita maturata sull’albe-
ro. Attendo da anni che finalmente
qualcuno certifichi questo pregio ef-
fettivo e del tutto naturale in confor-
mità a una norma ISO di filiera (la rac-
colta scalare dei frutti dovrebbe esse-
re il primo must); sarei disposto a pa-
gare il doppio del prezzo medio. Le
aziende a «km-zero», almeno per que-
sto aspetto, partirebbero avvantaggia-
te per scontati motivi.
Ma tanti prodotti coltivati, purtroppo,
sono stati i pionieri dell’attuale modo
di vivere: l’importante è mostrare di
avere (spesso ciò che non si ha) anzi-
ché essere.
Pensate alla fiaba di Biancaneve. A un
certo punto nel testo integrale della
fiaba si legge: «… di fuori era bella,
bianca e rossa, che invogliava solo a
vederla … Biancaneve mangiava con
gli occhi la bella mela …». Non me
ne vogliano i produttori di mele, ma
non posso cambiare il testo della fa-
vola sostituendo la mela con un altro
frutto. La utilizzo solo per esprimere
un concetto estendibile a gran parte
dei frutti.
Comunque ricordo un famoso detto,
ossia, che una mela al giorno, ingeri-
ta, toglie il dottore di torno. Già, man-
giare con gli occhi …; pensate se nel-
la favola l’autore avesse scritto che
Biancaneve accetta comunque il do-
no come gesto di cortesia, educazio-
ne e rispetto nei confronti di chi l’a-
veva offerta, non sapendo dei suoi in-
tenti malvagi. Ma una volta in casa
avesse incominciato a fare le seguen-
ti considerazioni: ha una forma trop-
po perfetta e regolare, è lucidissima,
doppiamente colorata, non presenta
una sola irregolarità della buccia, nean-
che una sola cocciniglia (non sinoni-
mo di coccinella, simbolo, invece, del-
la lotta biologica e magari attaccata in
forma di adesivo sulla buccia delle
mele prodotte in una certa zona ita-
liana), siamo in primavera (non so o
non mi ricordo nella favola in quale
stagione fosse collocato l’episodio del-
la mela, per cui ipotizzo un contesto
reale e non di fantasia ...) ma qui le
mele si raccolgono alla fine dell’esta-
te, la buccia non presenta una sola
macchia nera (riscaldo molle) sinto-
mo della reazione al freddo della fri-
goconservazione. Mi spiace per l’an-
ziana signora ma, evidentemente, que-
sta mela è stata raccolta non perfetta-
mente matura mesi fa, conservata in
frigo per bloccare il successivo degra-
do della polpa, è stata ripresa la de-
gradazione artificiale in condizioni
controllate con insufflazione di certe
sostanze gassose, la buccia è stata lu-
cidata e poi trattata per difenderla da-
gli attacchi di vari agenti patogeni (ad
esempio: marciumi) o per preservarla
dalle reazioni naturali post frigocon-
servazione, quindi preferisco non con-
sumarla.
La favola avrebbe avuto un'altra con-
clusione, ma, non me ne voglia nean-
che l’autore, forse sarebbe stata più
educativa per le future generazioni.
Anche perché non credo che il pros-
simo pacchetto igiene prescriverà la
presenza del principe azzurro o della
principessa rosa nei nosocomi per gua-
rire le intossicazioni alimentari o, peg-
gio, le malattie sviluppate dopo anni
di accumulo di certi contaminanti nel-
l’organismo umano.
Stagionalità. Ebbene sì, i prodotti del-
la terra coltivati sono stagionali. Già
la genetica con le varietà precoci e tar-
dive e le colture protette (ad esempio:
le serre) hanno permesso di sforare un
po’ i tempi naturali. Ma noi abitiamo
in un pianeta meraviglioso. Due emi-
sferi, due climi sfasati, ma speculari.
Non in maniera perfetta, perché a pa-
rità di latitudine e longitudine, nel-
l’altro emisfero, le terre emerse non
sono speculari nella forma e superficie
e di conseguenza neanche la forma e
la superficie delle acque salate e dol-
ci. Potrebbero esserci correnti mari-
ne di diversa temperatura, presenza e
particolare disposizione di catene
montuose. Ma più in qua o più in là ec-
co ritrovare lo stesso clima estivo quan-
do nel nostro emisfero è inverno e vi-
ceversa.
Ai tempi di Cristoforo Colombo e fi-
no a qualche decennio fa, se si vole-
va trasportare una merce da un conti-
nente all’altro separati dal mare, l’u-
nica soluzione era la nave. Ma oggi
esistono gli aerei cargo, per esempio.
Le mie competenze non possono sta-
bilire se inquinano di più 16 giorni di
navigazione a/r con una nave stracol-
ma di containers e/o celle di stoccag-
gio con condizioni ambientali con-
trollate (per almeno 8 giorni) o 20 ore
di volo a/r. Mentre facendo la radio-
grafia dei due processi e attribuendo
poi tutte le opportune voci di costo,
potrei confrontare i costi di traporto
per unità di prodotto. Supponendo per
comodità pari impatto ambientale e
pari costi, in 48 ore – al massimo 72
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marzo/aprile 2015
Approfondim
entivII
ore - molti prodotti vegetali freschi,
raccolti quasi maturi ben oltre l’in-
vaiatura, potrebbero essere presenti
nei banchi di vendita italiani, com-
pletamente fuori stagione. E vicever-
sa. Magari tra 1000 anni, gli sciatori
saranno teletrasportati a sciare sulle
lune di Giove in 10 secondi mentre
certa frutta continuerà a essere tra-
sportata sulle navi, chissà, chi vivrà,
vedrà. Pensiamo cosa succede ai no-
stri giorni, per esempio, con le bana-
ne. Ultimamente vedo spuntare sem-
pre più numerosi sui marciapiedi di
fronte ai negozi di frutta quegli alberi
artificiali stilizzati dove vengono ripo-
sti caschi di banane, all’inizio verdis-
sime, che degradano verso il giallo, in
modo che possano assorbire, per ma-
gica osmosi, le sostanze zuccherine
contenute nei gas di scarico delle au-
to e affini che transitano adiacenti ai
marciapiedi.
A questo punto mi piacerebbe fare una
prova. Portare un campione rappre-
sentativo di Primati, rigorosamente
femmine, nel caso in cui anche nei
Primati il daltonismo (genetico) fosse
una malattia legata prevalentemente
al sesso maschile (principio di pre-
cauzione). Porre il campione di fron-
te a un albero stilizzato stracarico di
banane verdi montato vicino a una
palma vera stracolma di caschi di ba-
nane gialle mature. Se tutto il cam-
pione scegliesse di consumare le ba-
nane mature gialle, saremmo di fron-
te a un evento epocale, altro che fa-
vola di Biancaneve. Un essere viven-
te collocato sul ramo inferiore nell’al-
bero evolutivo dimostrerebbe una scel-
ta molto più intelligente e razionale ri-
spetto a quella che fa o, peggio, per il
sottoscritto, è obbligata a fare, oggi,
un consumatore umano. La teoria del-
l’evoluzione di Darwin subirebbe, co-
sì, un colpo decisivo.
A settembre 2014, in un negozio di
una località montana del cuneese, sce-
gliendo dalla cassetta le banane più
degradate artificialmente, quindi le più
gialle, ho addirittura beneficiato di uno
sconto del 50% da parte del vendito-
re, perché, sconsolato, tutti gli altri ac-
quirenti mai le avrebbero comprate e
quindi le avrebbe dovute buttare via,
poichè esclusivamente interessati a
quelle verdi acerbe, croccanti al mor-
so e prive di ogni gusto lontanamente
somigliante a quello della banana ma-
tura. Il venditore e il sottoscritto erano
rimasti gli unici due consumatori di un
frutto almeno esteticamente somigliante
a quello più idoneo al consumo.
E la buccia dei frutti? Molti mi do-
mandano se sia meglio mangiarla o
no. La mia risposta è la seguente, cioè
che la buccia esiste per proteggere la
polpa del frutto. In alcuni frutti che na-
scono in zone con clima particolar-
mente favorevole alla vita di tanti paras-
siti dei vegetali, la stessa buccia può
sviluppare sostanze tossiche per sco-
raggiare gli aggressori. Per la nostra
frutta torno a Biancaneve. Finchè il
consumatore vorrà un frutto estetica-
mente perfetto e che tale esteticità re-
sista per almeno dieci giorni (spazio
temporale medio tra un voluminoso
acquisto e quello successivo, ma una
traccia di just in time applicato non
dico ai fazzolettini di carta ma alme-
no agli alimenti freschi rapidamente
deperibili, se maturi si sottintende, non
sarebbe male) in condizioni ambien-
tali estreme (rispetto a quelle idonee
per la conservazione di un frutto) tipi-
che delle cucine, immune a qualsiasi
attacco di marciume, la buccia po-
trebbe essere stata trattata.
Mi pare che il 2014 si sia chiuso, ap-
punto, con l’ennesima polemica sul-
l’uso della “etossichina” da parte del-
la Spagna (togliete la “e” iniziale e il
nome della molecola diventa inquie-
tante e riporta subito il pensiero alla
mela di Biancaneve), per la frigocon-
servazione di alcuni frutti, in partico-
lare delle pere. Aggiungiamoci l’e-
sposizione nei negozi lungo le arterie
stradali (alcuni frutti hanno buccia po-
rosa). Ovviamente anche la buccia è
costituita da certi principi nutritivi, non
essendo eterea. A questo punto lascio,
come sempre, piena libertà di scelta
se fare o meno una bella scorpaccia-
ta di buccia. Preferisco che venga de-
stinata alla produzione di pellami ed
affini o a biomassa.
Per concludere questa parentesi, non
posso che aggiungere un’altra rifles-
sione. Come avete notato è spesso il
consumatore ad inibire il gene della
responsabilità sociale in tanti anelli
della filiera (terzo principio della di-
namica). Mai alcuni anelli delle filie-
re, di loro spontanea iniziativa, ope-
rerebbero in un certo modo.
Ecco gli ennesimi due esempi. Molti di
voi avranno acquistato o acquisteran-
no nella loro vita un ghiacciolo al gu-
sto di menta. Verificate il colore del
ghiacciolo dopodichè confrontatelo
con il colore dell’olio essenziale di
menta (limpido, incolore o giallo pa-
gliarino) ingrediente principale dello
sciroppo (chiamiamolo così sempre
per semplicità) usato per fare i ghiac-
cioli. Chi produce il ghiacciolo è co-
stretto a fare un’aggiunta che mai fa-
rebbe di sua spontanea iniziativa. Il
colorante verde intenso e scuro, altri-
menti pochissimi consumatori acqui-
sterebbero quel ghiacciolo dello stes-
so colore dell’olio essenziale di men-
ta rifiutando, nel contempo, di con-
sumare, come il sottoscritto, quello
verde intenso, falso stereotipo di gran
parte dei prodotti al sapore di menta.
Io non so se le aziende di trasforma-
zione non aggiungerebbero il colo-
rante grazie al loro GRS o solo per mo-
tivi economici (non dimentichiamoci
che l’obiettivo sacrosanto di qualsiasi
azienda che non faccia beneficenza
è l’utile, possibilmente maggiore dei
ricavi medi ottenibili da un investi-
mento finanziario dei costi), potendo
poi vendere il ghiacciolo allo stesso
prezzo di quello colorato, rispar-
miando, però, sul costo di un colo-
rante. Ma a me poco importerebbe,
perché il fine sicurezza alimentare e
minore impatto ambientale giustifica
qualsiasi mezzo, per cui ben venga
che il “dio” (volontariamente minu-
scolo) denaro vinca sul GRS, in que-
sto ipotetico caso.
Secondo esempio, che, mi auguro,
quasi tutti, ormai, conoscano già. La
trota salmonata. Non esiste in natura
tale specie. Esiste il Salmone, esiste il
Salmerino ma non la trota salmonata.
Eppure ci sono ancora schiere di con-
sumatori che cercano e addirittura so-
no disposti a pagare di più per la tro-
ta salmonata, rispetto alla stessa iden-
tica Trota non colorata. Ebbene, il co-
lore salmone delle carni della trota,
spesso Trota Iridea, è ottenuto tramite
l’aggiunta di un colorante nel mangi-
me che, nel tempo, si concentra nel-
la carne e dà il colore tipico. Quindi
ancora una volta è il consumatore che
mangiando prima con gli occhi chie-
de di forzare il GRS dell’itticoltore.
Molti mi dicono che allora è “ingan-
nevole”. Ma il termine ingannevole,
finchè non sarà sorretto da indicazio-
ni inconfutabili, resterà libero all’in-
terpretazione. Di fatti esiste la tinta sal-
mone e quindi se la carne si tinge di
quel colore è salmonata. Se un itti-
coltore infilasse meccanicamente una
spada sintetica nel muso di un Tonno
identica a quella dell’ omonimo pe-
sce prima di venderlo e lo vendesse
come “tonno spadato” perché una va-
sta schiera di consumatori sarebbe dis-
posto a chiederlo e a pagarlo molto di
più rispetto al Tonno o al Pesce Spada
in quanto, secondo loro, incrocio tra
un Tonno e un Pesce Spada, nel mo-
mento in cui esiste la spada nel pro-
dotto venduto, non c’è ingannevolez-
za. Se invece fosse vietato indicare nel
nome commerciale di un prodotto it-
tico ogni riferimento, in qualsiasi for-
ma, a un nome, scientifico o volgare,
di una famiglia diversa o uguale (la
Trota è un Salmonidae come il Sal-
mone) o genere diverso o uguale o
specie ittica diversa da quella vendu-
ta, che possa fare intendere al consu-
matore di acquistare un'altra famiglia
e/o genere e/o specie di prodotto itti-
co, ecco che la trota salmonata e l’i-
potetico tonno spadato diventerebbe-
ro ingannevoli, mentre si potrebbe con-
tinuare a commercializzare, per esem-
pio, il Persico-Trota (nome volgare),
specie esistente.
Per cui oltre al “cru” ci sono tante al-
tri aspetti da tenere in considerazio-
ne. Per potere affermare che un pro-
dotto che ha una certa origine abbia
una qualità sensoriale migliore rispet-
to a prodotti uguali coltivati altrove ci
sono solo due possibilità.
La prima passerebbe attraverso un pa-
y Approfondimenti y
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App
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ndim
enti
nel test mondiale, con un gruppo
(campione rappresentativo) di consu-
matori costituito da partecipanti di tut-
ti i Paesi, in numero proporzionale al-
la densità demografica del Paese di ap-
partenenza. Ritengo che sia molto dif-
ficile poterlo organizzare per ovvi mo-
tivi. In questo caso se la maggioranza
delle preferenze fosse attribuita al pro-
dotto originario di una certa zona o
Paese sarebbe corretto guidare la scel-
ta del consumatore con un’informa-
zione veritiera e non solo maliziosa.
La seconda strada è dimostrare che nel
prodotto esistano una o più caratteri-
stiche legate alle condizioni pedocli-
matiche che effettivamente possono
fare affermare che quel prodotto sia
“più buono” rispetto a tutti gli altri.
Personalmente conosco in base alle
informazioni ricevute durante un cor-
so di formazione specifico, che quin-
di reputo veritiere, un prodotto DOP
che ha, una peculiarità distintiva scien-
tificamente dimostrata. Mi riferisco al
basilico DOP che ha preso la deno-
minazione da un capoluogo di una
delle nostre Regioni.
In tale basilico DOP il tenore di trans-
alfabergamottene, molecola che dà il
gusto di menta, pare sia inferiore ri-
spetto a quella contenuta nel basilico
coltivato in zone differenti da quella
delimitata dalla denominazione di ori-
gine. Se, e sottolineo se, il gusto di
menta rappresentasse, per la maggio-
ranza dei consumatori mondiali di ba-
silico, un difetto sensoriale del basili-
co, allora la comunicazione al poten-
ziale acquirente di acquistare quel ba-
silico DOP anziché un altro basilico
perchè è più “buono” degli altri, per-
derebbe la sua maliziosità.
La componente nutrizionale dei pro-
dotti. Per quanto riguarda la compo-
nente nutrizionale della qualità di un
prodotto non mi dilungo troppo. Può
essere correttamente misurata con me-
todi riconosciuti a livello mondiale e,
se correttamente indicata nelle eti-
chette, è forse la componente della
qualità di un prodotto alimentare più
facilmente gestibile e per la quale tut-
ti, nel mondo, possono trovarsi in ac-
cordo. Ciascun consumatore in base
alle proprie esigenze dopo avere con-
sultato le informazioni nutrizionali e
l’eventuale presenza di allergeni (nei
Paesi ove è obbligatorio indicare tali
informazioni) può orientare le sue scel-
te all’acquisto.
Per la componente sicurezza ho chiu-
so l’argomento citando la ISO 22000.
Per la qualità (completa) di un pro-
dotto alimentare non posso fare riferi-
mento che alla norma ISO 9001, la
quale, se costruita in un certo modo,
potrebbe contenere anche la ISO
22000.
Pongo l’attenzione sul requisito 7.4.
Tale requisito così come non prescri-
ve di valutare e selezionare i fornitori
in ordine decrescente in base alla lo-
ro capacità di fornire una stecca di va-
lore economico conforme ai requisiti
pretesi dal direttore degli acquisti del-
l’organizzazione, non prescrive per le
organizzazioni del settore agroali-
mentare l’obbligo di valutare e sele-
zionare i fornitori in ordine decrescente
rispetto ai chilometri che li separano
dalle stesse. Indubbiamente esiste un
grosso problema, ossia che alcune
componenti della qualità di un pro-
dotto alimentare sono regolate, a li-
vello cogente, in maniera differente da
Paese a Paese.
Per esempio, il pacchetto igiene da ap-
plicarsi e riconosciuto nei Paesi mem-
bri della CE, non è riconosciuto in Au-
stralia, Africa, Asia, ecc.
Finchè esisterà una sorte di torre di Ba-
bele fra i provvedimenti legislativi dei
vari Paesi, il problema non potrà es-
sere risolto. E si può fare meglio...
Torniamo all’etossichina. La Spagna
non è forse un membro CE come l’I-
talia e quindi per entrambe non vale,
forse, il pacchetto igiene CE? Fonda-
mentale, solo per qualcuno evidente-
mente, diverso dal sottoscritto, resta il
fatto che l’etossichina venga pagata
con la stessa identica moneta usata sia
in Spagna che in Italia.
Pensate a cosa potrebbe succedere,
tanto per fare un altro esempio, quan-
do un’azienda di trasformazione ita-
liana dovesse utilizzare un prodotto
vegetale o animale di un altro Paese.
In quel Paese magari è vietato l’uso di
fitofarmaci/antibiotici autorizzati in Ita-
lia o, viceversa, è ammesso l’uso di al-
tri non autorizzati in Italia magari per-
ché le avversità in quei Paesi sono di-
verse da quelle comuni in Italia (ogni
tanto, come noto, inevitabilmente, ar-
riva in Italia qualche avversità scono-
sciuta prima, tramite le importazioni
e, viceversa, potrebbe capitare con le
esportazioni). Magari ci sono limiti di
residui ammessi differenti per lo stes-
so fitofarmaco/antibiotico. E l’azien-
da di trasformazione non può costrin-
gere il fornitore a operare nell’illega-
lità rispetto al suo Paese.
Una piccola soluzione, solo tratta-
mento della non conformità/correzio-
ne e non certo azione correttiva, tor-
nando al vernacolo qualitatese, alme-
no per alcuni aspetti, ci sarebbe. E so-
no proprio le norme ISO. Esse non so-
no forse nate per armonizzare e stan-
dardizzare? Per impedire che certe pre-
meditate prescrizioni sulla qualità in
alcuni settori differenti tra i vari Paesi
fossero utilizzate come barriera pro-
tezionistica a favore del proprio cam-
panile? Eppure proprio nell’agroali-
mentare la mission ISO, a mio mode-
sto parere, ha avuto e continua ad ave-
re una grossa perdita.
Finchè nel mondo esisterà una sola
azienda che per vendere il prodotto a
qualcuno sarà costretta a certificare il
proprio sistema di gestione per la si-
curezza alimentare in conformità allo
standard privato di qualcuno non ri-
conosciuto valido da qualcun altro e,
se per vendere i propri prodotti a qual-
cun altro, dovrà certificarsi anche se-
condo lo standard privato di qualcun
altro che non riconosce lo schema di
qualcuno (ricordo dell’ esistenza, per
esempio, dello schema FSSC 22000 e
il mutuo riconoscimento GFSI), l’ISO
continuerà a essere sconfitta proprio
nel settore agroalimentare.
Fortunatamente essendo sconosciuta,
soprattutto in questi ultimi anni, la cri-
si economica, gli anelli delle filiere
possono tranquillamente permettersi
di addobbare i muri con certificati di-
versi per lo stesso identico aspetto e
sobbarcarsi spensieratamente più co-
sti di consulenza, di verifiche e per i
compensi alle risorse interne e/o ester-
ne indispensabili per i vari manteni-
menti (ennesima ciliegina sulla torta).
Solamente le scelte del consumatore,
che, pensando a Dante, dovrebbe
piangere se stesso quando è artefice
del proprio male anziché cercare sem-
pre i colpevoli altrove nelle aziende
che producono, allevano e in quelle
che trasformano, possono stimolare il
GRS di tutti gli anelli della filiera. Co-
me già scritto, sembra un paradosso,
ma, sovente, proprio chi reclama a
gran voce (sempre per semplicità vi-
sto gli attuali mezzi comunicativi) cer-
te regole, è proprio il primo respon-
sabile, attraverso le sue scelte reali,
nell’ottenere l’esatto contrario.
Quasi tutto ciò che ho scritto - salvo la
parte pertinente le norme ISO e qual-
che informazione agronomica - non fa
parte di una mia conoscenza specifica
e non è alla portata di pochi eletti. Cer-
cate su un motore di ricerca i termini
quali, raccolta e frigoconservazione
della frutta, favola di Biancaneve, tro-
ta salmonata, banane mature, prodot-
ti IGP, prodotti DOP, disciplinare del
prodotto XX IGP di YY, epoca di rac-
colta dei vari frutti, olio essenziale di
menta, FSSC 22000, e così via.
Troverete esattamente ciò che ho scrit-
to. Come ultima istruzione per l’uso,
forse, sarebbe più opportuno consul-
tare, prima, i mezzi che la tecnologia,
oggi, ci mette a disposizione, dopodi-
chè spegnerli, senza farsi suggestio-
nare eccessivamente dai codici della
rintracciabilità e recarsi ad acquistare
i prodotti alimentari tenendo sempre
acceso, invece, l’unico software na-
turale che l’uomo ha il privilegio di
possedere sopra il collo e che nessu-
na tecnologia potrà mai sostituire nel-
la sua interezza e potenzialità.
Buon Expo 2015 a tutti, indipenden-
temente da quanto distate da Milano.
y Il mercato dei prodotti agroalimentari y
DoTT. PIERo GALDABINoAgronomo; esperto di
organizzazione aziendale,
sistemi di gestione per la qualità
e per la sicurezza alimentare
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>>
Tema
L’evoluzione storica dei laboratori ferroviariNel 1906 le nascenti Ferrovie dello Statosentirono l’esigenza di creare l’IstitutoSperimentale, affidandogli il compito dieseguire studi, ricerche e sperimentazioniper definire le caratteristiche e le presta-zioni tecniche dei materiali per la costru-zione e l’esercizio ferroviario e per elabo-rare le relative specifiche di acquisto efornitura.Importanti laboratori si svilupparono ecrebbero per eseguire misure e prove sumateriali e componenti dell’infrastrutturae degli impianti con l’obiettivo primariodi verificarne la rispondenza alla normati-va tecnica di settore e la funzionalità alleesigenze specifiche del mondo ferrovia-rio.Le attività svolte dall’Istituto Sperimentalehanno di fatto anticipato e accompagnatola crescita della ferrovia italiana fino al-
l’alba dell’alta velocità.Fu così che alla fine del secondo millen-nio, nel mentre si concepivano e realizza-vano altri laboratori per attività sulle nuo-ve tecnologie e per verifiche di conformi-tà alle nascenti Specifiche Tecniche d’In-teroperabilità Ferroviaria, definite a livelloeuropeo, si pensò di dare un eccezionaleimpulso alle attività di omologazione,
certificazione, ricerca e sperimentazionenel campo ferroviario per lo sviluppo in-tegrato delle infrastrutture, degli impiantie del materiale rotabile, con la progetta-zione di nuovi laboratori che consentisse-ro anche di organizzare ed eseguire in se-de prove, misure e verifiche su materialicomponenti e sottosistemi del materialerotabile e su mezzi su rotaia finora ese-guibili solo presso gli impianti in esercizioe/o con corse in linea.Cento anni dopo la nascita dell’IstitutoSperimentale si è quindi rivitalizzato coneccezionale intuito tutto il mondo delleprove e delle sperimentazioni nel settoreferroviario, al passo con i nuovi confiniche le tecnologie innovative e l’alta velo-cità ci prospettano, realizzando un centro
di eccellenza che non vorrà alimentarsidel solo mercato nazionale ma che dovràsuscitare notevole attrazione anche perl’università e l’industria europea e mon-diale.Le Ferrovie Italiane, quindi, sono statetrainanti nel concepire laboratori del tuttoinnovativi, che si integrassero con quelliresiduali dell’ex Istituto Sperimentale e
y Esperienze & Sperimentazioni y
I nuovi laboratori ferroviari di Firenze Osmannoro
Carlo CArGANICO e Alvaro FUmI
After describing the historical development of the Italian rail laboratories, the paper introdu-
ces the main aims that have brought the FSI1 Group to invest in new laboratories, technolo-
gically advanced, for tests, re-searches and experimentations in components, devices and
apparatus of rolling stock. These laboratories, realized near Florence Airport, easily reachable
by road and rail, are equipped with machineries and technologies in the van of progress,
unique in their kind and extraordinary conceived and de-signed for tests not only to verify or
certify the conformity to the standard but also to simulate the real behavior in exercise life
cycle. An electrical substation linked with a special multi voltage system, reproducing all the
traction electric systems adopted in the World, can feed trains and loads with the maximum
energy power.
RFI2 and Italcertifer3 are now hardly operating for the starting up, with the aim to put these
laboratories able to work in running conditions from next year.
Procedures and recommendations will be prepared, of course, to operate in quality and to
create a real ex-cellence center for Railways and all the rail stakeholders.1 FSI = Ferrovie dello Stato Italiane2 RFI = Rete Ferroviaria Italiana3 Italcertifer = Società di omologazione e certificazione del Gruppo FSI
> Figura 1 - Ripresa da Google Maps del Centro dei nuovi laboratori ferroviari di Firenze Osmannoro
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Tem
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che tenessero conto delle esigenze parti-colari di certificazione ed omologazionedel materiale rotabile fino alle massimevelocità. I nuovi laboratori, che sono stati realizzatialla periferia di Firenze, si estendono inun “Centro” dedicato di 5 ettari, con ben20.000 m2 coperti da tre grandi fabbrica-ti, e sono facilmente raggiungibili via stra-da e via rotaia.Nell’ambito del Centro, si è contestual-mente realizzato un sistema elettrico de-nominato “multi tensione” in grado di ge-nerare, e rendere disponibili agli operatoridei laboratori, tutte le tensioni di alimen-tazione dei sistemi di trazione elettricaferroviaria, sia in corrente continua chealternata, normalmente adottati in Europae nel mondo.Il tutto è alimentato da una propria Sotto-stazione elettrica, con una potenza instal-lata uguale a quelle di linea, in grado diassicurare prove e misure elettriche conelevate tensioni e correnti, proprio al paridi quanto accade o potrebbe accadere inpiena linea.
Il layout del CentroIn figura n. 1 è rappresentato il layout delCentro, che si trova all’estremità orientaledel bacino ferroviario di Firenze Osman-noro, che ospita le Officine di Trenitalia. Il Centro è facilmente raggiungibile viarotaia (si notino ad Est i binari di accessoderivati dal raccordo proveniente dallaStazione di S. Maria Novella) e via strada
(si noti ad Ovest l’adiacente autostrada Fi-renze - Bologna (raggiungibile dal Casellodi Sesto Fiorentino e dal raccordo auto-stradale col vicino Aeroporto di FirenzePeretola).Il Centro si estende in una vasta area deli-mitata dalla linea rossa comprendente an-che un laghetto artificiale. Più in partico-lare, seguendo la numerazione dei siti in-dicati in figura n. 1, si individuano:1) il fabbricato “Uffici e servizi” che si svi-
luppa su tre piani;2) il fabbricato “PME” che comprende i la-
boratori per le “Prove Meccaniche edElettriche”;
3) il fabbricato “EMC” che comprendel’ampia sala per le prove dinamiche surotabili in movimento su banchi a rullie per le prove di “ElectroMagneticCompatibility”;
4) la Sottostazione Elettrica, posta nellapiccola penisola sul laghetto;
5) il fabbricato alimentatori “ALI” checomprende le apparecchiature per ladistribuzione dell’energia per le proveai differenti livelli di tensione utilizzatiper la trazione elettrica in tutto il mon-do e per la simulazione delle linee edei carichi;
6) il laghetto che ha anche funzioni di re-golatore ecologico rispetto all’ambientepreesistente.
Sei binari tronchi servono il Centro; quat-tro entrano nel fabbricato PME ed uno nelFabbricato EMC, mentre il sesto, elettrifi-cato, si sviluppa all’esterno in adiacenza
al lato lungo del fabbricato PME.Nel 2012 si sono completati i lavori delleopere civili e degli impianti speciali, com-prendenti i cosiddetti “banchi” a serviziodei laboratori. Trattasi di realizzazioniuniche nel loro genere, concepite per ese-guire, in maniera innovativa, prove, misu-re e sperimentazioni su materiali, compo-nenti e sotto sistemi dei veicoli ferroviari,nonché su intere locomotive e carrozze.Sono seguiti tre anni di collaudi, attiva-zioni e messe a punto che si completeran-no nel 2015, per mettere in condizione inuovi laboratori di poter operare a regimea partire dal 2016.
I laboratori per le provemeccaniche Il fabbricato PME [vedere “punto 2” di fi-gura n. 1], sotto una superficie coperta di11.000 m2, comprende quattro binari, dicui uno per servire il fabbricato in tutta lasua estesa e tre equipaggiati ed integratiin altrettanti banchi per test su veicoli fer-roviari:•il banco polifunzionale attrezzato su bi-
nario, per l’esecuzione di prove di pesa-tura, souplesse, ingresso in curva, sghem-bo e rotazione cassa-carrello di veicoli fer-roviari;
•il banco attrezzato su binario a colonnini,per l’esecuzione di misure del profilo edel diametro delle ruote e dello scarta-mento delle sale;
•il banco attrezzato su binario, per l’ese-cuzione di prove di resistenza a com-pressione della cassa dei veicoli ferrovia-ri.
Nella figura n. 2 si nota una carrozza fer-roviaria sul binario del banco polifunzio-nale, durante i test di prova per il collau-do del banco. Lungo la parete dal lato dei binari esterni,sono ricavati i laboratori attrezzati per testsu specifici componenti del materiale ro-tabile, attrezzati con banchi specifica-mente progettati per prove:•di resistenza alla flessione dinamica su as-
sili ferroviari;•di resistenza a fatica su ruote ferroviarie,•di resistenza a fatica e di comportamento
dinamico dei pantografi;•di efficienza del gruppo freno dei rotabi-
li ferroviari;•su apparecchiature pneumatiche e mec-
y Il Laboratorio Sperimentale Ferroviario di Osmannoro y
> Figura 2 - Prova di test di una carrozza sul banco sghembi
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Tema
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caniche del freno (rubinetti di testata, ci-lindri freno, regolatori di timoneria, patti-ni elettromagnetici, tubi flessibili e com-ponentistica varia).
La figura n. 3 mostra il dettaglio di unpantografo sottoposto a sollecitazioni di-namiche, che simulano il comportamentoin linea e in curva alle alte velocità, sottolinee di contatto di caratteristiche struttu-rali diverse.Altri laboratori potranno sorgere su areepredisposte e parzialmente già attrezzate,quali quelli per i test sui carrelli e sulleboccole ferroviarie, nonché per la verificadi resistenza alle sollecitazioni termiche ealle vibrazioni.
I laboratori per le provedinamiche sui veicoli ferroviaricompatibilità elettromagnetica Il fabbricato EMC [vedere “punto 3” di fi-gura n. 1], sotto una superficie coperta di5.000 m2, comprende la vastissima salain cui si attesta il binario tronco, attraver-so il quale le ruote dei veicoli ferroviaripossono essere appoggiate su speciali rul-li, fatti ruotare da potenti motori elettricifino alla velocità di 400 km/h.D’altro canto i locomotori, con qualsiasitensione di alimentazione, possono alzareil pantografo, prelevare energia elettrica,da un tratto di catenaria rigida alimentatadal sistema multi tensione, e correre suirulli scarichi fino a 400 km/h.Le pareti e il soffitto sono equipaggiati dispeciali strutture coniformi che rendonola sala schermata ai campi elettromagneti-ci. In questa maniera sarà possibile misu-rare l’intensità delle emissioni elettriche emagnetiche proprie dei locomotori senzaalcuna influenza dell’ambiente esterno.La figura n. 4 mostra la sala attrezzata conil banco a rulli, prima che si realizzasse ilpavimento, per dare anche un’idea dellepotenti e complesse apparecchiature che,dal piano inferiore, muovono i rulli.
I laboratori per le prove elettriche Il Centro è stato dotato di uno specialissi-mo sistema elettrico denominato “multitensione” in grado di generare, e renderedisponibili per prove e sperimentazioni,tutte le tensioni di alimentazione dei siste-mi di trazione elettrica, sia in corrente
continua che alternata, attualmente utiliz-zate dalle Ferrovie di tutti i Paesi in Euro-pa e nel mondo.Tale “sistema multi tensione”, prelevandoenergia in AT dalla locale SottostazioneElettrica [vedere “punto 4” di figura n. 1]permette di trasformarla e distribuirla alservizio dei banchi dei laboratori all’uopointeressati, sia per usufruirne come sem-plice alimentazione standard per prove fi-siche e meccaniche, sia (quando vienepiù specificamente utilizzato al serviziodell’area attrezzata per eseguire prove
elettriche di qualsiasi tipo, a norme EN eCEI) per condurre verifiche e sperimenta-zioni di varia natura, su componenti edapparecchiature del materiale rotabile edegli impianti fissi.La SSE, la cui vista panoramica è riportatain figura n. 4, comprende gruppi di tra-sformazione e conversione che prelevanol'alimentazione elettrica in AT a 132 kVdall’Enel, per renderla disponibile:•a 20 kV, per l’alimentazione delle cabine
di distribuzione interna;•a 25 kV per la trazione elettrica in cor-
y Esperienze & Sperimentazioni y
> Figura 3 - Particolare del banco prova pantografi in fase di lavoro
> Figura 4 - Il banco a rulli in sala semianecoica
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Tem
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rente alternata, normalmente usata in Ita-lia, in Europa e nel Mondo per le nuove li-nee ad alta velocità;
•a 1,5 kV per la trazione elettrica in cor-rente continua, normalmente usata in Fran-cia, Giappone ed altri Paesi per le lineeconvenzionali;
•a 3 kV per la trazione elettrica in corren-te continua, normalmente usata in Italia,Spagna, Belgio e Paesi dell’Est Europa.
Due gruppi, più un futuro terzo in corso diinstallazione, sono interamente dedicati al-l'alimentazione del sistema multitensione,alloggiato prevalentemente nel fabbricatoALI [vedere “punto 5” della figura n. 1].In prossimità dello stesso fabbricato ALIviene inoltre generata la tensione della tra-zione elettrica a 15 kV - 16 e 2/3 Hz, nor-malmente usata in Germania, Svizzera,Austria ed altri Paesi del Centro Europa.Attraverso un’articolata rete di cabine, li-nee in MT e apparecchiature intermedie eterminali, poste prevalentemente all’inter-no del Fabbricato ALI, si possono configu-
rare estensioni di linee di trazione elettri-ca di oltre 20 km terminanti su carichi fer-roviari di qualsiasi tipo, nonché derivarela tensione desiderata verso l’area proveelettriche posta all’interno del FabbricatoPME e il binario del banco a rulli postoall’interno del fabbricato EMC.La tensione in uscita dal multi tensionepuò a sua volta essere variata in ampiezzae in frequenza nei limiti previsti dalle nor-me per verificare la regolarità di funziona-mento degli oggetti provati in tutte le pos-sibili condizioni di esercizio.Per le prove elettriche su componenti edapparecchiature, è stata attrezzata unaspecifica area all’interno del FabbricatoPME, dove arriva la tensione desiderataattraverso il sistema multi tensione. Leprove possono essere eseguite sia all’aper-to che all’interno di una camera scherma-ta (gabbia di Faraday) in funzione degliobiettivi prefissi.D’altro canto, sollecitazioni elettriche diqualsiasi tipo e durata possono essere tra-
smesse in maniera da verificare la tenutaalle sovratensioni, ai corto circuiti e aquant’altro si possa verificare (a secco esotto pioggia) nel ciclo di vita previsto peri componenti e i materiali provati.
Le attività di start upe di avviamento in qualitàI laboratori esistenti operano da sempre inqualità, ben orgogliosi degli accredita-menti ottenuti per molte tipologie di pro-ve, verifiche e tarature.Su questa base e sull’esperienza acquisitasi stanno formando le squadre e predispo-nendo le procedure che guideranno gliutilizzatori ad operare in qualità e si stan-no creando tutte le condizioni per l’accre-ditamento delle prove e perché i nuoviLaboratori di Osmannoro diventino vera-mente un Centro di eccellenza e di atten-zione per tutti coloro che operano nel set-tore e siano proiettati ad uno sviluppo in-tegrato del mondo ferroviario, come sivuole rappresentare, dulcis in fundo, at-traverso la figura n. 6, che mostra comeanche il prototipo del nuovissimo trenoETR 1000 abbia finora contribuito ad im-preziosire i banchi dell’Osmannoro, pertest e prove eseguite con i laboratori an-cora in via di allestimento.Nel mentre RFI – Rete Ferroviaria Italianasi prodigherà per rendere il Centro diOsmannoro presto fruibile al mercato in-terno del Gruppo Ferrovie dello Stato Ita-liane, ITALCERTIFER si impegnerà ad uti-lizzare i nuovi laboratori in qualità ed apromuoverne la conoscenza presso l’in-dustria, le università, le istituzioni e gli or-ganismi di formazione, ricerca e svilupponazionali ed internazionali, tenendo con-to di un prevedibile impegno crescentenell’utilizzo dei banchi/sistemi tecnologi-ci da parte di terzi, anche e soprattuttocon commesse di studio e sperimentazio-ne.
y Il Laboratorio Sperimentale Ferroviario di Osmannoro y
> Figura 5 - Scorcio della Sottostazione Elettrica di alimentazione
> Figura 6 - Il nuovo ETR 1000 nei test sui banchi dell’Osmannoro
CARLo CARGANICoingegnere, Amministratore Delegato
di ITALCERTIFER
ALVARo FuMIingegnere, dirigente di RFI
Rete Ferroviaria Italiana
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Con queste brevi note1 ci si prefigge l’o-biettivo di delineare, senza pretese di
esaustività, ma con uno sguardo analiticoed obiettivo, il contesto generale di riferi-mento nel quale operano gli Enti militariche si occupano del controllo di qualità nelMinistero della Difesa, tratteggiando un’es-senziale “panoramica critica del mondodella qualità con le stellette”.Come noto, l’ambito militare è storicamen-te intriso di standardizzazioni e di procedu-re tese a garantire la qualità dei prodotti edei servizi, già ben prima che il mondo in-dustrializzato si concentrasse nel contrasta-re l’efficientismo giapponese con la “certifi-cazione del sistema qualità” in risposta almodello Malcom Baldrige.Infatti, attese le particolari condizioni di im-piego e le finalità dei materiali utilizzati, iPaesi del Patto Atlantico ravvisarono la ne-cessità di prevedere un attento controllo diqualità sulle produzioni.Ciò si è realizzato sostanzialmente attraver-so l’emanazione di due Standard Agree-ments (in gergo NATO, detti STANAGS2): il4107 “Accordo sulla standardizzazione –Mutuo accordo di controllo tecnico uffi-ciale” e il 4108 “Pubblicazioni Alleate sulControllo della Qualità”. Tali pubblicazio-ni sono denominate in ambito NATO con
l’acronimo AQAP3 che sta per Allied Qua-lity Assurance Pubblications e sono statecompilate allo scopo di prescrivere i requi-siti contrattuali per il controllo di qualità,determinando il tipo di controllo da richie-dere alle ditte produttrici a seconda dellavalenza specifica dei requisiti dei mate-riali da approvvigionare.L’Italia ha adottato le normati-ve NATO AQAP serie 1004,che recepiscono sostan-zialmente le normeUNI EN ISO 9000,ma ne differisco-no per la diver-sa “finalità con-cettuale”, inquanto le nor-mative AQAPsono da inserirenel bando di garacome requisitonecessario cheindividua non so-lo (come per leISO) la garanziadi qualità deiprocessi e deimateriali di pos-sibile produzione,
ma la specifica assicurazione dell’esistenzadi un’organizzazione produttiva tale da as-sicurare i richiesti standard qualitativi “perquei particolari materiali necessari alle For-ze Armate”.Inoltre, con specifico riguardo all’Aeronau-tica, mentre la norma AS/EN 9100 è specifi-catamente indirizzata al mondo Aerospa-ziale (Aeronautica Civile) ed è più restrittivadelle ISO, la certificazione preventiva deisistemi Qualità Aziendali per fornitoridell’Aeronautica Militare è definita sullabase della pubblicazione AER-Q-21005:“Processo di valutazione dei sistemi digestione per qualità dei fornitori della Di-rezione Generale Armamenti Aerei(D.G.A.A.)” e sulla base della pubblicazio-ne D.P. 2004/23 Agg A e Agg B: “Linee gui-
da per la Certificazione deiSistemi di Qualità Azien-dali”.
Benché ogni sistema digestione utilizzato,
anche in ambitoMinistero dellaDifesa, esista a
prescindere dalrelativo mo-dello di riferi-mento interna-zionalmentericonosciuto,pare utile ri-chiamare chela crescenteesigenza diqualità chiestadal MinisteroDifesa si estrin-seca nella ri-
chiesta agli aspi-
39y Esperienze & Sperimentazioni y
Il controllo di qualitàcon le “stellette”
>> Sebastiano lA PISCOPÌA
Tema
In this paper, the author, a Lieutenant Colonel of the Italian Army, portrays the way in
which the quality control system of the Ministry of Defence operates; at the same time,
he is describing the core of the NATO legislative framework and explaining the operating
mechanisms of those inter-force/combined bodies in charge of quality control for military
equipment. This study is critically analysing the limits imposed by current legislation and
by the impact of associated litigation, which sometimes can produce the revision of the
qualitative standards anticipated in the technical specification of the contract. This is a
brief but effective overview of the activities carried out by “military labs”, which, in Italy,
must comply with international standards, as well as military and “social” standards.
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ranti fornitori della presentazione di un ap-posito “Piano di Qualità” ed a ciò fa dacontraltare la Qualità offerta/assicurata dalMinistero Difesa, anche attraverso gli Entimilitari che si occupano di controllo dellaqualità dei materiali, ossia gli Uffici TecniciTerritoriali di Firenze e di Napoli (denomi-nati in ambito Difesa con l’acronimoU.T.T.).Tali Uffici tecnici, attraverso i propri “labo-ratori di prova”, fanno pulsare il cuore delcosiddetto “livello operativo per la qualità”interforze, per quanto attiene ai materialidel Commissariato militare (leggasi, unifor-mi, anfibi, equipaggiamenti tattici ecc.).Come sappiamo il “Sistema per la qualità”si articola sostanzialmente in:•componenti istituzionali (regionali o na-
zionali) che emettono regole tecniche o stan-dard governativi, ed indirizzano e sorve-gliano il buon funzionamento del sistema;
•componenti tecnico-scientifiche, ripartitein Enti normatori che emettono gli standardvolontari, Enti e associazioni di ricerca ecc.;
•componenti operative, tra cui trovano po-sto gli Enti di Accreditamento, gli organismidi certificazione e di ispezione, le organiz-zazioni che forniscono prodotti e/o servizi,gli utenti e i consumatori finali.
Tra le “componenti di livello operativo” delSistema per la qualità, gli Organismi dicertificazione, i Laboratori di prova ed iCentri di taratura rappresentano la cosid-detta parte terza, in quanto indipendentidalle due parti contrattuali (le organizzazio-ni e i rispettivi clienti).Andando ora ad analizzare la componentedi livello operativo del Ministero della Dife-sa, con specifico riguardo all’esecuzionedei contratti di fornitura di materiali diCommissariato, un posto di primo piano èoccupato dai menzionati U.T.T. interforze edai rispettivi laboratori accreditati.La particolarità di sistema che qui si vuoleevidenziare è che, nella fattispecie, i “labo-ratori militari” pur rispondendo a standardinternazionali “non delegano” le funzionidi controllo all’esterno dell’Amministrazio-ne militare, non prevedendo - se non quan-do necessario - alcuna forma di outsour-cing sul controllo delle lavorazioni di forni-ture per la Difesa.Ciò non evidenzia però una “chiusura” almondo civile, atteso che ad esempiol’U.T.T. di Napoli fornisce oltre 100 prove
di laboratorio su cuoio, tessili, tessuti, cal-zature ecc..In particolare, gli U.T.T. curano l'attuazionedi programmi e accordi nazionali e interna-zionali per l'acquisizione di impianti, mez-zi e materiali forniti dall'industria nazionalee estera, le attività tecnico-amministrativerelative all'impostazione, all'esecuzione eal controllo dei contratti loro assegnati,nonché quelle riguardanti gli ambiti dellaqualità e dei costi aziendali dei fornitori.Nel dettaglio, come indicato nella premes-sa del “Manuale della Qualità” dell’Ufficiotecnico di Firenze6: “Lo scopo che sotten-de l’attività dell’Ente è il controllo qualitàdelle lavorazioni per prevenire eventualidifetti e/o non conformità alle specifichetecniche e per consentire alla Ditta forni-trice di predisporre - in tempo utile - ido-nee azioni correttive, in modo da nonpregiudicare, in maniera irreversibile, laqualità finale dei materiali richiesti dal-l’Amministrazione della Difesa.
Sotto il profilo procedimentale, l’attivitàdi esecuzione contrattuale dell’ UfficioTecnico ha la finalità di:•effettuare, lavorazione durante, i cam-pionamenti e le analisi di laboratorio chenon è possibile eseguire sul manufatto fi-nito, nonché quelle sul prodotto finito;
•segnalare, sempre lavorazione durante, leinadempienze contrattuali in modo daconsentire l’adozione di correttivi da par-te delle Ditte aggiudicatarie della fornitu-ra e, in ultima analisi, l’applicazione del-le previste penalità fino, nei casi estremi,alla risoluzione del contratto;
•certificare l’approntamento al collaudodella partita;
•fornire alla Commissione di collaudo glielementi di valutazione che scaturisconodall’andamento complessivo delle lavo-razioni, redigendo la relazione finale diesecuzione contrattuale.
In pratica, l’Ente esecutore ha il compitodi seguire lo svolgimento degli impegni
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> Figura 1
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negoziali assunti dalla Ditta con il con-tratto di fornitura, verificandone la regola-rità e assicurandone la correttezza rispet-to al prescritto.Ciò, attraverso una tempestiva e rigorosaattività di controllo sulle lavorazioni, este-sa all’intera durata del ciclo produttivo,atta a prevenire eventuali irregolarità e/osituazioni di anomalie del processo pro-duttivo aziendale, nonché a porre in esse-re ogni azione idonea al ripristino dellecondizioni contrattuali.”Gli Uffici tecnici in parola rappresentanoquindi un’eccellenza interforze per la pre-senza di “laboratori di prova” accreditatiche si occupano essenzialmente di:
•ricerca ed analisi sui beni di approvvigio-namento;
•analisi ed accertamenti chimico-fisici e mer-ceologici su materie prime e manufatti pre-levati in sede di sorveglianza sulle lavora-zioni presso le aziende fornitrici.
E’ proprio dalla ricerca di una sempre mag-giore qualità dei predetti laboratori che sca-turisce, ad avviso dello scrivente, il miglio-ramento dell’organizzazione degli Ufficitecnici e ciò, a sua volta, contribuisce adun’elevazione degli standard qualitativi deimateriali di Commissariato effettuata ai sen-si dell’art. 102 del D.P.R. 15 novembre2012 n. 2367.Come detto, però, il presente scritto non ha
pretese di puntualità tecnico-scientifica e/otecnico-giuridica, ma tenta solo di delinea-re il sistema qualità sulle lavorazioni deglispecifici settori merceologici in esame, evi-denziando che “a garanzia della bontà delprodotto” in ambito Difesa esistono varistep di controllo di conformità delle cosid-dette “specifiche tecniche”.Tali step sono finalizzati all’accettazionecon o senza sconto o al rifiuto dei materialied in tale quadro il lavoro dei “periti mer-ceologi con le stellette” rappresenta solo ilprimo dei predetti “livelli di controllo”.Infatti, i summenzionati periti, che ottengo-no tale qualifica dopo un Corso universita-rio di Merceologia e chimica applicata e
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> Figura 2
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dopo un Master universitario in Controllo egestione dei sistemi di qualità, sicurezza eambiente, operano con l’ausilio dei labora-tori di prova solo il primo passo8 di un lun-go processo, che vede una seconda verificadi un Organo collegiale (che include la pre-senza di un Ufficiale d’Arma), ed un terzostep che vede la decisiva ed autonoma de-terminazione di un Dirigente Generale civi-le del Ministero della Difesa che, avendouna vision del quadro d’insieme, basa lapropria responsabilità su valutazioni chenon sono di natura strettamente ed esclusi-vamente tecnica.Tuttavia, la normativa attuale non contem-pla un nesso logico-causale tra possibili rei-terati rifiuti della fornitura, proposti dai peri-ti merceologi e/o dall’Organo di verifica, eduna “determinazione finale con sconto” daparte dell’Amministrazione della Difesa eciò potrebbe prefigurare, in assenza di unaforbice di sconti normativamente individua-ta ed in presenza di valutazioni dell’A.D.sulla mancanza di scadimenti tecnico-qua-litativi (delle partite) non quantificabili intermini di danno economico, possibili anti-nomie tecnico-giuridiche nel processo cheporta all’immissione in ciclo logistico dimateriali non perfettamente conformi alle“specifiche tecniche”.Ma se come diceva Albert Einstein: “il va-lore di un risultato sta nel processo utiliz-zato per raggiungerlo”, anche il necessarioutilizzo di una norma migliorabile quanto alogicità e coerenza dell’intero processo ac-quisitivo dei prodotti, può rappresentare unlimite agli standard di qualità, con buonapace delle normative internazionali appli-cabili anche al mondo della qualità milita-re.In altre parole, non sempre la qualità deiprodotti, ad avviso di chi scrive, è il frutto di“severe osservanze” degli standard qualita-tivi internazionalmente riconosciuti e scien-tificamente “verificati in laboratorio”.Al momento, tuttavia, non potendo preten-dere un “controllo di qualità legistico”, cilimitiamo ad osservare che nel mondo rea-le, quello fatto di commercio e di interessi,quello fuori dai laboratori, l’ombra dei con-tenziosi è sempre minacciosamente presen-te.Tali azioni giudiziarie tendono spesso atemperare, già in fase predibattimentale, ledeterminazioni dirigenziali dell’Ammini-
strazione assunte su solide “prove tecnichedi laboratorio”, in quanto queste, per quan-to scientificamente esatte, non si trasforma-no sic et simpliciter in inconfutabili “provegiudiziali” in favore dell’Amministrazione e
quindi, indirettamente, a tutela dell’utenzamilitare.Va infine rimarcato che la stringente verifi-ca degli standard di qualità richiesti dal-l’Amministrazione militare è motivata dalla
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> Figura 3
> Figura 4
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necessità di tutelare esigenze di carattereoperativo che sono spesso distanti dalle fi-nalità di social & economic utility o di at-tractive quality tipiche del “modello Ka-no”: proprio per tale ragione il TQM, il mi-glioramento continuo dell’Organizzazione,rappresenta di per sé un valore aggiunto al-la qualità del sistema dei controlli appli-
cabile in ambito Ministero Difesa.Concludendo, sembra possibile affermare,con tutti i limiti e le criticità tipiche dell’as-setto normativo e istituzionale vigente, chepresso gli U.T.T. interforze - che rappresen-tano l’avanguardia del particolare mondodella “ricerca della qualità merceologicacon le stellette” - operano con professiona-
lità donne9 e uomini in divisa (e non) cheattuano con convinzione il Kaizen10 del-l’Organizzazione di cui sono parte e che,tutti i giorni, misurando la qualità dei mate-riali militari, misurano loro stessi !
n NoTE1 Frutto dello studio, della ricerca e del pensiero per-
sonale dello scrivente (Ufficiale Superiore dell’Eser-
cito) nella sua veste di libero autore “sganciato” da
posizioni ufficiali del Ministero della Difesa.
2 In ambito internazionale, vengono stipulati accordi
dedicati (Standardization Agreements o STANAGS e
Memorandum of understanding o MOUs) che stabi-
liscono le modalità del reciproco riconoscimento ed
attuazione del Servizio Governativo di Assicurazione
Qualità.
3 Le normative AQAP "Serie 100" (1^ ed. 1993) e
"Serie 2000" (ed. 2004) sono disponibili sul sito
www.nato.int.
4 Per approfondimenti vedasi “Forniture alle Forze Ar-
mate: Qualità, collaudo e controllo”, UNI – Ente
Nazionale Italiano di Unificazione, Milano, 1997,
pag. 6.
5 Si precisa che le Ditte il cui Sistema di Qualità è cer-
tificato dalla D.G.A.A., sono elencate nella pubbli-
cazione militare AER-Q-D-2000, mentre i requisiti
tecnici e di qualità opportunamente dimensionati al-
la fornitura sono indicati in uno specifico Piano di
Qualità i cui contenuti e modalità di approvazione
sono rilevabili nella AER-Q-140/A.
6 Utilizzato per le finalità del presente articolo (ma
validissimo al pari dell’Ufficio tecnico di Napoli).
7 “Regolamento recante disciplina delle attività del
Ministero della Difesa in materia di lavori, servizi e
forniture, a norma dell'articolo 196 del decreto le-
gislativo 12 aprile 2006, n. 163”.
8 Che si conclude non infrequentemente con una pro-
posta di rifiuto.
9 Un ringraziamento particolare va alla bravissima
Cap. com. (EI) Carole BIANCO, Responsabile della
Qualità dell’Ufficio Tecnico territoriale di Firenze.
10Si richiama qui il celebre termine coniato Masaaki
Imai nel 1986 che, come noto, deriva da due paro-
le giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e
ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in me-
glio, solitamente tradotto con “miglioramento conti-
nuo”.
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SEBASTIANo LA PISCoPÌATenente Colonnello dell’Esercito Italiano
e studioso di organizzazione aziendale
e di controllo di qualità
> Figura 5
> Figura 6
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Il metodoIl Sistema di Produzione Toyota o Just in Ti-me è un sistema manageriale centrato sullacaccia agli sprechi e sull’applicazione dellaQualità Totale (Total Quality Management).La metodologia del Just in Time [JIT] è stataconcepita e sperimentata nelle attività di la-vorazione e di montaggio – a partire dal 1952– da Taiichi Ohno in Giappone, presso gli sta-bilimenti automobilistici della Toyota. Il “me-todo” nasce dal bisogno di elaborare un si-stema per “fabbricare piccoli quantitativi dimolti modelli diversi di automobili”, in mo-do tale da poter mettere la Società nelle con-dizioni di rispondere tempestivamente alleesigenze puntuali delle diverse tipologie dirichieste, provenienti dai clienti. L’obiettivoprincipale del Sistema Toyota è, quindi, quel-lo di progettare, programmare e realizzareesattamente il prodotto che desidera il desti-natario dello stesso [il cliente] nel momentoin cui lo vuole. L’applicazione corretta delmetodo JIT consente di affidare al cliente fi-nale la possibilità di «tirare il prodotto dall’a-zienda» (in inglese «pull»); Questo rivoluzionario principio filosofico ri-balta le abitudini gestionali delle realtà pro-duttive che tendono a “spingere” (in inglese«push») verso i clienti i prodotti realizzati,
non sempre attesi dal mercato. Il Sistema di Produzione Toyota (TPS) pur es-sendo stato sviluppato all’interno degli stabi-limenti di fabbricazione di automobili, neidecenni successivi al suo consolidamento,ha registrato importanti applicazioni in tutti isettori di attività, anche se spesso limitate adelle sperimentazioni, oltre al settore mani-fatturiero, nei servizi, nelle costruzioni, nel-la Pubblica Amministrazione, nella Sanità enelle forze armate. La corretta applicazione del Sistema Toyotaai processi delle differenti organizzazioni co-stituenti la P.A. avrebbe potuto dare un im-portante contributo sia alla riduzione deglisprechi (e quindi dei costi di gestione) sia almiglioramento dei livelli qualitativi del servi-zio offerto ai cittadini. Le risorse risparmiateavrebbero potuto trovare impieghi più pro-duttivi negli stessi Enti. Soprattutto in un pe-riodo, di tangibile crisi economica, comequello che stiamo vivendo, la corretta e du-ratura applicazione delle metodologie del JITalle organizzazioni della P.A. potrebbero in-dirizzare correttamente ed efficacemente (so-prattutto, senza tagli ai servizi) le azioni pre-viste dal programma della cosiddetta «spen-ding review» e dal Patto di Stabilità interno.Tre concetti, fondamentalmente semplici,hanno un peso enorme nella costruzione delSistema Toyota; essi costituiscono l’essenzastessa del Sistema in quanto su di essi si ap-poggiano tutte le elaborazioni che portanoalla sua costruzione. Questi concetti sono: ilvalore; lo spreco o muda; il flusso.Tra di essi assume particolare importanza ilconcetto di spreco, che sta ad indicare qual-siasi attività svolta da una organizzazione cheassorbe risorse ma non crea valore per il clien-te finale, il cittadino o le aziende. La crea-zione di valore è sempre accompagnata da
sprechi. Tutte le attività di miglioramento chevengono sviluppate dal TPS sono dirette a ri-durre gli sprechi; il suo segreto è infatti una po-derosa e continua caccia agli sprechi. Per age-volare la complessa ed articolata ricerca, Taii-chi Ohno ha individuato sette famiglie nellequali risulta possibile aggregare tipologica-mente i diversi muda che si possono incon-trare nelle attività quotidiane di una organiz-zazione: s. per attese; s. per trasporti; s. diprocesso; s. per movimenti; s. per scorte; s.per difetti; s. per sovrapproduzione.Il segreto della metodologia del JIT si com-pone di due parti:•la continua caccia agli sprechi seguita dal-
la concreta introduzione dei principi e del-la cultura d’impresa della Qualità Totale;
•il vero e reale coinvolgimento del personaleche opera sia negli uffici sia nei reparti ope-rativi finalizzato al perseguimento del «mi-glioramento continuo».
Nel TPS il personale - a tutti i livelli - riveste unruolo profondamente innovativo; questo nuo-vo ruolo è sostanzialmente il risultato più dif-ficile da conseguire, ma nello stesso tempoessenziale, per implementare praticamente il“sistema”. Alla base di tutto vi è la completae incondizionata fiducia nelle capacità dellepersone ed il “sistema” funziona grazie allaallocazione della maggiore responsabilità pos-sibile al più in basso possibile. Con il TPS èstata superata la figura del lavoratore classicoche tutti conoscono in occidente. Esiste, in-vece, il «membro del team» [team member],nel quale i “lavoratori” non operano indivi-dualmente bensì come appartenenti ad unasquadra. Le dimensione di un team sono me-diamente piccole e si aggirano attorno a quat-tro-cinque persone alle quali si aggiunge uncaposquadra [team leader] che lavora insie-me con gli altri componenti della squadra.
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Il sistema just in timee la P.A.
>> mirco FEllINI
Tem
a
The ”just in time” system and the Public
Administration. The article describes an
application of the experimental of Toyota
System to concretely improve the mana-
gement efficiency of a public office and
the level of services offered to citizens.
It’s a concrete response to the messages
of the policy and of European finance
who favour reducing costs, cutting servi-
ces to citizens.
Un’applicazione sperimentale per migliorare l’efficaciagestionale ed il livello dei serviziofferti ai cittadini
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dei clienti, sia alla soddisfazione delle altreparti interessate (i cosiddetti stakeholder); in-troduce in modo esplicito i concetti di effi-cienza e di efficacia, esalta il ruolo delle ri-sorse umane. Propone l’approccio per pro-cessi come elemento cardine di un nuovo im-pianto di gestione dell’organizzazione. Vienepuntualizzato che ogni organizzazione do-vrebbe porsi come obiettivo permanente ilmiglioramento delle prestazioni, per ottene-re un successo duraturo.
La sperimentazioneL’oggetto di questo lavoro, ha riguardato unasperimentazione del «sistema Just in Time»ad un Ente della Pubblica Amministrazione,per evidenziare, in scala, quali potrebberoessere i benefici derivanti da un esteso uti-lizzo di questo sistema manageriale ad am-biti più estesi, in quanto in considerazionedegli importanti, ed in alcuni casi sbalorditi-vi, risultati raggiunti dalle imprese che hannoapplicato correttamente questo sistema, sor-ge spontanea una domanda: «perché in unperiodo storico come quello attuale, caratte-rizzato da una crisi economico-finanziariache perdura ormai da decenni, nessuno hamai pensato di applicare questo sistema digestione o alcuni suoi principi in maniera ca-pillare alla PA?» La sperimentazione ha avuto luogo presso ilServizio 1° «Licenze e Concessioni» ed il Ser-vizio 3° «Ufficio Amministrativo» del Dipar-timento 7° della Provincia di Roma. In parti-colare compiti del Servizio 1° e del Servizio3° sono lo svolgimento di tutte le attività con-nesse con il procedimento necessario all’a-dozione di una determinazione Dirigenzialeindispensabile per autorizzare gli accessi edi passi carrabili. Il Servizio 3° svolge tutte leconnesse attività di natura amministrativa,mentre il Servizio 1° svolge tutte le connes-se attività di natura tecnica.Ai fini dell’articolo 22 del Decreto Legislati-vo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice del-la strada), si definiscono accessi: •le immissioni di una strada privata su una
strada ad uso pubblico;•le immissioni per veicoli da un’area priva-
ta laterale alla strada ad uso pubblico.Gli accessi possono essere realizzati sia sul-le strade urbane (ed in questo caso manten-gono la denominazione di accessi), che sul-le strade extraurbane, ad eccezione delle au-tostrade dove non sono consentiti (assumen-
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I primi passi dell’introduzione del TPS sono ipiù difficili, poiché si deve vincere la natura-le inerzia presente in qualsiasi organizzazio-ne; vi è quindi la necessità di un forte «agen-te del cambiamento» che padroneggi gli ap-procci e le tecniche del “sistema” ad un li-vello tale da farle divenire istintive da partedei propri collaboratori. E’ impossibile intro-durre il JIT senza che l’organizzazione coin-volta non attivi al suo interno un Ufficio Qua-lità, alle dirette dipendente della direzione,che abbia il compito di supportare in modocostante, continuo e competente i cambia-menti necessari per realizzare concretamen-te il “pensiero snello”. Con il “sistema” si realizza una azione diffu-sa per il «miglioramento continuo», cioèquello che viene condotto non in un deter-minato periodo, ma continuativamente sen-za soluzione di continuità, finalizzata al per-seguimento della perfezione. Il TPS cura, per-tanto, con estrema attenzione e con assidui-tà la gestione focalizzata sui dettagli. Il mi-glioramento continuo, riguardando i dettagli,può essere realizzato soltanto da chi è coin-volto nella “produzione” dei dettagli stessi ecioè dal personale operativo (questo eviden-zia nuovamente l’importanza del coinvolgi-mento del personale per l‘attuazione del JIT).
y Il Just in Time e la PA y
Tema
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La metodologia del JIT rappresenta un siste-ma di gestione totale per la Qualità - TotalQuality Management - esso può essere de-scritto come una filosofia di direzione che in-tende guidare il sistema (l’organizzazione)verso la soddisfazione totale del cliente (cu-stumer satisfaction) e la massima raziona-lizzazione delle risorse interne attraverso ilcontinuo miglioramento dell’efficacia e del-l’efficienza dell’organizzazione e dei suoiprocessi. L’applicazione del T.Q.M. richiede un du-plice sforzo: da un lato un cambiamento cul-turale all’interno dell’organizzazione che por-ti ad una modifica dei rapporti con i dipen-denti, con i fornitori e con i clienti; dall’altro,l’adozione e la diffusione di nuove tecniche,come quelle della comunicazione, del pro-blem solving, della pianificazione, del mi-glioramento e così via.Data l’importanza che il T.Q.M. ha assuntonel tempo esso è divenuto l’elemento cen-trale della normativa internazionale ISO del-la serie 9000. Un Sistema di Gestione per laQualità strutturato secondo i dettami dei re-quisiti dello standard ISO 9001 agevola il per-seguimento dell’eccellenza. La nuova nor-mativa, difatti, è informata sulla filosofia delT.Q.M. ed è orientata sia alla soddisfazione
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cedimento stesso (ad esempio: il rapporto tec-nico redatto dal Tecnico di zona in seguito alsopralluogo da esso effettuato). Al fine di facilitare la sperimentazione è sta-to ricostruito l’organigramma dell’area di in-tervento ed è stata data indicazione circa leunità di personale che in essa prestano ser-vizio. Per organizzare la progettazione delcantiere sperimentale delle metodiche del“sistema” all’interno degli uffici della P.A. siè voluto effettuare una preliminare ricogni-zione sul contesto ambientale dell’ambito or-ganizzativo elaborando un Questionario pre-liminare ad hoc in grado di filtrare la realtàcon una sensibilità coerente con le metodo-logie del TPS; i Questionario preliminare èstato articolato su quattro sezioni e compostoda sedici domande tipo “aperto”.Il Questionario è stato consegnato ai colle-ghi che hanno risposto alle domande secon-do la modalità della «auto-compilazione» in-dividuale ed in forma anonima; tutti i Que-stionari sono stati restituiti debitamente com-pilatiDalle risposte riportate nei Questionari pre-liminari sono emerse i seguenti aspetti utili:•una soddisfazione stimata dei cittadini “ri-
chiedenti” [customer satisfaction] valutatadai dipendenti pari a 6 su una scala da 1 a10, [livello di soddisfazione appena suffi-ciente a causa della durata del procedi-mento], si può facilmente ipotizzare che illivello di soddisfazione misurato sarebbe
stato inferiore se lo stesso Questionario fos-se stato sottoposto ad un campione rappre-sentativo di cittadini richiedenti;
•il livello di soddisfazione dei dipendenti de-gli uffici [people satisfaction] si attesta su unvalore medio-alto: 7,40 (scala 1 - 10);
•la generalizzata presenza di diverse aree dimiglioramento - “segnalate” proprio dagliintervistati - che si frappongono al conse-guimento di risultati stimati più soddisfa-centi per il cittadino richiedente;
•la necessità di una omogeneizzazione del-le procedure interne (standardizzazione); diuna maggiore collaborazione sia tra il per-sonale dell’ufficio, sia tra le persone appar-tenenti ai differenti uffici coinvolti; la ne-cessità di incontri per discutere sulle areedi miglioramento; la contiguità degli ufficiinteressati (ottimizzazione del lay out degliambienti di lavoro); la necessità di interes-sare i dipendenti da efficaci corsi di forma-zione e di aggiornamento.
Dalle risposte date a questo Questionario pre-ventivo è emerso, dunque, come il persona-le dell’articolazione interna dell’Ente pressoil quale è stata svolta questa sperimentazio-ne, indicava proattivamente, già prima dellasperimentazione - e pur non avendo prece-denti esperienze con il «sistema Just in Ti-me» - quali possibili rimedi gli stessi elementicaratterizzanti il TPS, come ad esempio: lastandardizzazione e la fiducia nella capaci-tà del personale.
do in questo caso la denominazione di pas-si carrabili). Mentre gli accessi sono autoriz-zati dall’Ente proprietario della strada, i pas-si carrabili sono autorizzati dal Comune pre-vio nulla osta dell’ Ente proprietario della stra-da. La sperimentazione è stata gestita con le me-todiche universalmente note con il nome di“Ciclo di Deming” o “PDCA” [plan, do,check, act]; il PDCA è una metodologia divalidità universale, che consente di affronta-re in maniera rigorosa e sistematica qualsia-si attività e che accomuna tutti i Sistemi diGestione ed i programmi di miglioramentocontinuo.Il modello fornisce una griglia logica per go-vernare il miglioramento di un processo e/odi un sistema; può essere utilizzato per gui-dare sia unitariamente interi progetti di mi-glioramento, sia specifiche iniziative indivi-duate. Merita di essere evidenziato che il Ci-clo PDCA è stato concepito per essere utiliz-zato come un “modello dinamico”; il com-pletamento di un giro del ciclo coincide, in-fatti, con la fase iniziale del ciclo successivo.In realtà è la rappresentazione in planimetriadi una “spirale”:•che in passato era sicuramente “cilindrica”;
in quanto per ogni giro l’obiettivo rimane-va solo il continuo innalzamento dell’asti-cella delle performance e, quindi, il mi-glioramento degli obiettivi prefissati da con-seguire;
•attualmente (in considerazione della circo-stanza che il “tempo” è diventato una verae propria variabile competitiva per le orga-nizzazioni) la spirale è divenuta “conica”in quanto non è più sufficiente migliorarele prestazioni, ma occorre che ogni ciclovenga percorso con un tempo inferiore aquello del giro precedente; e cosi via.
La sperimentazione è stata rivolta ai proces-si operativi attraverso i quali si giunge all’a-dozione della “Determinazione Dirigenziale”.Tali processi operativi sono stati rappresenta-ti in due differenti vesti grafiche, una sche-matica ed una attraverso la soluzione graficadel diagramma di flusso; con esse si possonoosservare le varie fasi del processo stesso, gliuffici e il personale coinvolto, nonché la lo-ro ubicazione e le loro competenze; si puòinoltre osservare come tale procedimento ten-de a differenziarsi sia in base alla richiestapresentata dal cittadino richiedente sia in ba-se all’esito di alcune fasi strumentali al pro-
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> Tabella 1 - Il confronto dei risultati raggiunti con gli obiettivi prefissati
N. Indicatori - obiettivi valori (DA–A) % esito
1 Riduzione degli sprechi per attese del 40% a (i) → a (f) [giorni] - 47,62 ☺
2 Riduzione degli sprechi per trasporti del 30% b (i) → b (f) [giorni] - 33,33 ☺
3 Riduzione degli sprechi di processo del 30% c (i) → c (f) [giorni] /// ☺
4 Riduzione pratiche in lavorazione del 30% d (i) → d (f) [giorni] /// ☺
5 Riduzione dei tempi di protocollazione e (i) → e (f) [giorni] - 25 ☺
e fascicolazione del 35%
6 Effettuazione di riunioni con cadenza mensile si/no /// ☺
7 Riduzione della durata media g (i) → g (f) [giorni] - 24,47 ☺
del procedimento del 25 %
8 Riduzione del personale coinvolto h (i) → h (f) [unità] - 36,36 ☺
nel processo del 20 %: [persone effettive]
9 Riduzione del personale coinvolto
nel processo del 20%: [personale equivalente] i (i) → i (f) [unità] - 44,44 ☺
10 Miglioramento dell’efficienza del 25% l (i) → l (f) [pratiche] + 78,57 ☺
NoTA: per motivi di riservatezza nei confronti dell’amministrazione non sono stati riportati né gli
obiettivi, né i risultati “assoluti”; si è preferito riportare, cioè, solo le variazioni percentuali rispetto
agli obiettivi prefissati.
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Una volta individuata e perimetrata l’area diintervento, si è provveduto ad effettuare larappresentazione grafica sia dei processi ope-rativi, sia dell’organizzazione reale dell’Entee, quindi, si è dato corso alla sviluppo attua-tivo delle fasi del Ciclo PDCA.Per comprendere l’andamento della situa-zione iniziale e per evidenziare i potenzialipunti di intervento, sono stati individuati unaserie di indicatori ritenuti rappresentativi del-l’attività svolta nell’articolazione interna og-getto dell’intervento sperimentale (fase«plan»): •I1: numero di pratiche lavorate mediamen-
te durante l’anno;•I2: numero di giorni lavorativi durante l’an-
no;•I3: personale equivalente/efficienza, corri-
spondenti rispettivamente al numero delle“unità equivalenti” (valore ottenuto assu-mendo coma valore base la retribuzionedella Categoria economica C1. Retribuzio-ne Cat. economica C1 = 1) ed il numerodelle pratiche per persona al giorno;
•I4: tempo di attraversamento in giorni [da-ta “protocollo in uscita” meno data “proto-collo in entrata”]; per il calcolo del tempodi attraversamento sono state prese in con-siderazione le pratiche dei primi quattro di-versi mesi dell’anno (individuando poi intempo medio mese ed infine il tempo me-dio periodo);
•I5: segmentazione del tempo di attraversa-mento. Questo indicatore appare di fonda-mentale importanza in quando esso con-sente di evidenziare la presenza di tempiper trasporti pari al 12,77% del tempo totalee di tempi per attese pari al 67,02% del tem-po totale.
Dopo una prima osservazione, ed il calcolodegli indicatori, si è provveduto a sottoporreuna parte del personale coinvolto il “Que-stionario preliminare” e grazie alla disponi-bilità ed allo spontaneo contributo dei lavo-ratori è risultato più semplice individuare ipunti di intervento per poter avviare la speri-mentazione. Merita di essere evidenziato che la grandedisponibilità del personale a farsi coinvolge-re proattivamente nel progetto sperimentaleè, sicuramente, da ricondurre al clima di fi-ducia collaborativa che si è instaurato conchi scrive. Sono state quindi determinate lepossibili azioni di modifica, attuate nella suc-cessiva fase “do”:
•modificare la dislocazione degli uffici (layout);
•creare un team competente per lo svolgi-mento delle procedure amministrative;
•standardizzare le fasi delle procedure am-ministrative.
Sono stati, inoltre, definiti in maniera condi-visa gli obiettivi che si intendevano raggiun-gere attraverso questa sperimentazione (ve-dere Tabella n. 1). Per motivi di spazio e di tempo si è ritenutoopportuno operare alcune schematizzazionied alleggerimenti nella gestione delle attivi-tà del cantiere sperimentale.Per indicare i risultati raggiungibili si è fattonuovamente riferimento agli indicatori soprariportati, relativi in questo caso non alla si-tuazione antecedente la sperimentazione, maalla ipotizzata situazione successiva ad essa;sono stati, quindi, calcolati i nuovi valori de-gli indicatori. Non ci si è, però, limitati ad ipotizzare i pos-sibili risultati di essa, ma si è cercato di darecomunque concretezza a queste ipotesi sot-toponendo allo stesso personale che in pre-cedenza aveva risposto al “Questionario pre-liminare”, un ulteriore “Questionario finale”.Questo si presentava molto più semplificatorispetto al preliminare e si componeva di so-le tre domande, volte ad indagare come, «aparere del personale coinvolto» il progettosperimentale avesse potuto incidere sulla sod-disfazione dei lavoratori, sulla soddisfazionedei cittadini e sull’efficacia del lavoro svolto;utilizzando sempre la scala di misura 1 - 10.Dall’esame delle risposte al “Questionariosuccessivo” è emerso che il personale inter-pellato è risultato essere positivamente orien-tato ad una visione verso risultati che po-trebbero derivare dal progressivo consolida-mento delle misure proposte. Le risposte ot-tenute grazie al “Questionario finale” con-sentono, in particolare, di evidenziare i se-guenti risultati:•incidenza sulla soddisfazione del persona-
le uguale a 8,75/10;•incidenza sulla soddisfazione dei cittadini
uguale a 8,75/10;•incidenza sull’efficacia del lavoro uguale a
9/10.Tenuto conto di tutti questi elementi è orapossibile procedere al confronto dei risultaticonseguiti con una parte degli obiettivi pre-fissati; confronto che viene rappresentato sot-to forma di “cruscotto” nella Tabella n. 1.
Dai dati riportati nella Tabella n. 1 emergecon chiarezza come dando attuazione allaazioni di modifica precedentemente deter-minate molti degli obiettivi prefissati potreb-bero essere raggiunti, riduzione degli sprechiper attese, o addirittura superati, riduzionedel personale coinvolto.Effettuata la sperimentazione e valutato il rag-giungimento o meno degli obiettivi prefissa-ti si è dato corso all’attuazione alla fase “act”(mantenere o migliorare). La preziosa esperienza maturata durante leattività propedeutiche alla stesura di questaTesi di Laurea - in un momento storico in cuisempre più predominanti gli argomenti con-nessi con le ricadute legate alla crisi econo-mica ed alle scelte gravose dettate dalle au-torità europee - ha confermato che esistonoaltre strade alternative da percorrere per fa-vorire la crescita dell’economicità, dell’effi-cacia, della qualità e dell’efficienza dell’atti-vità svolta dalla P.A. e conseguentemente lacrescita della soddisfazione e della fiduciasia dei pubblici dipendenti che dei cittadini.Ed anche i dipendenti “pubblici” – troppospesso vituperati – quando vengono coinvoltinel modo giusto e con metodiche serie dan-no risposte estremamente incoraggianti e raf-forzano la convinzione che questa del “si-stema Toyota” è una strada giusta per rinno-vare e rafforzare agli occhi di cittadini, lavo-ratori e rappresentanti politici l’immagine del-la Pubblica Amministrazione, sbrigativamente“etichettata” come irrecuperabile.
Nota FinaleIl testo dell’articolo costituisce una sintesi del-la tesi di laurea in Scienze dell’Amministra-zione e dell’Organizzazione dal titolo: «ILSISTEMA JuST IN TIME APPLICATo ALLAPuBBLICA AMMINISTRAZIoNE: perso-nalizzazione del modello, cantiere speri-mentale, analisi dei risultati per il miglio-ramento» discussa il 15 dicembre 2014 pres-so l’Università LUMSA di Roma; relatore ilprof. Sergio Bini.
y Il Just in Time e la PA y
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MIRCo FELLINIdipendente del Comune di Roma; laureato
in Scienze dell’Amministrazione
e dell’Organizzazione
presso l’Università LUMSA di Roma
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Da più di ottanta anni al servizio del mi-nistero petrino, la Radio Vaticana [RV]
svolge un ruolo di «ponte» tra la Santa Sedee le società e Chiese particolari, con la lorospecifica cultura nei diversi continenti. Ilmodo di raggiungere gli ascoltatori è oggimolto ampio e variegato, e si trasforma conil tempo. Ad esempio, non vengono più ef-fettuate trasmissioni in onde corte per l’Eu-ropa e per le Americhe, perché non sonopiù utili. Esse sono state superate ormai dal-lo sviluppo di altre vie di comunicazione,come le ritrasmissioni dei programmi dellaRV da parte di un migliaio di radio localinei cinque continenti, e lo sviluppo di inter-net.Questo articolo intende presentare breve-mente proprio gli sviluppi multimediali edigitali della Radio del Papa per dar contodella complessità del lavoro che viene svol-to.
Il lavoro e i servizi delle redazioni linguisticheLa RV possiede 39 redazioni linguistiche.Esse non sono soltanto centri di traduzionedei programmi in lingua italiana, che è lalingua di lavoro della RV, ma, nella maggiorparte dei casi, rappresentano un vero e pro-
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prio laboratorio. Le redazioni linguistiche della RV, infatti,scrivono articoli, li pubblicano sulle rispet-tive pagine web, raggiungibili all’indirizzowww.radiovaticana.va e contraddistintedal prefisso delle rispettive lingue (ad esem-pio, per il cinese: zh.radiovaticana.va; perl’arabo: ar.radiovaticana.va; per l’hindi:hi.radiovaticana.va).Le redazioni realizzano interviste e pro-grammi radiofonici, scrivono su «Twitter»,sui «blog», su «Facebook», tenendo contodei diversi contesti sociali e culturali. Adesempio, per la Cina si utilizzano «socialnetwork» più presenti in quel Paese. Hannoun’importante diffusione anche i Bollettiniquotidiani, settimanali e mensili, inviati viae-mail, che sono poi inoltrati dai Centri deimass-media cattolici agli organi di informa-zione locali. Si crea così una rete informati-va capillare, che raggiunge facilmente igiornali e i siti web delle numerose Chieseparticolari, anche grazie al fatto che le re-dazioni linguistiche hanno con essi contattipersonali. Inoltre, va notato che il sito webdella RV contiene pagine non soltanto in
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Tem
a
Vatican Radio and multimedia. For more
than eighty years in the service of the mi-
nistry of the Pope, Vatican Radio plays a
role of "bridge" between the Holy See
and the peoples and the particular Chur-
ches, with their particular culture in the
different continents. The text shows how
the way to reach the audience has chan-
ged over time and has become very
broad and differentiated.
tutte le lingue di trasmissione, ma anche inaltri tre idiomi disponibili esclusivamentesu web: l’ebraico, il giapponese e il mace-done.I file audio o il segnale audio in diretta ven-gono messi a disposizione sul sito in un’a-rea denominata «Radio per le Radio»(http://it.radiovaticana.va/on_demand_pro.asp), o via satellite, o via Ftp: in totale si trat-ta di 77 programmi-audio quotidiani. Notevole è anche il servizio per il re-broadcasting (ri-trasmissione) in diretta,che la RV fornisce a molte emittenti in oc-casione di eventi papali, con radiocronachein lingua o come audio internazionale (cioèsolamente l’audio in presa diretta dell’even-to, senza cronache in lingua). Ogni settima-na questo servizio riguarda l’udienza gene-rale del mercoledì e la preghiera dell’Ange-lus o del Regina Coeli, assieme ad altrieventi speciali dell’agenda del Papa. Le celebrazioni e gli altri eventi papali sonotrasmessi in diretta audio e video, con ra-diocronache in più lingue, oltre che via Ra-dio e satellite, anche tramite il Vatican Pla-yer (www.radiovaticana.va/player), un’ap-
La Radio Vaticana e la multimedialità
Andrzej KOPrOWSKI s.j.
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plicazione sviluppata dalla RV che integra iservizi, live e on demand, audio, video incollaborazione con il Centro Televisivo Va-ticano (CTV), e web con i quali gli utentipossono seguire trasmissioni, leggere noti-zie, vedere video-news e rivedere i videointegrali delle celebrazioni. Il Vatican Pla-yer è disponibile, oltre che sul sito web del-la RV, sul portale news.va, sul sito vati-can.va e sui siti di partner e media cattoliciin vari Paesi, compresi quelli di alcuneConferenze episcopali.
La produzione audio-videoLa produzione audio-video della RV riguar-da essenzialmente le cronache di celebra-zioni ed eventi papali in diretta streaming ele clip (o video-news) che presentano sin-teticamente l’attività del Papa.La RV cura la gestione, la registrazione au-dio e la diffusione di tutte le celebrazionipapali in collaborazione con il CTV ed ef-fettua radiocronache multilingue in direttaaudio-video. I tecnici della Radio sono con-tinuamente a disposizione del Papa: regi-strano l’audio dei suoi discorsi, le sue ome-lie (anche quelle pronunciate durante leMesse private, nella cappella di Santa Mar-ta), le udienze generali e speciali, e tutti idiscorsi pronunciati durante i suoi viaggiapostolici, sia in Italia sia all’estero. In que-sto modo si sviluppa una stretta collabora-zione tra la RV (che «produce l’audio» deidiscorsi del Papa) e il CTV (che assicura le
immagini). È da notare anche la complessità del lavorodella RV: la Sezione «Cerimonie Pontificie»manda l’audio del Papa alla RV tramite ilCoordinamento Tecnico e quello dei Pro-grammi della RV. Tale audio è a disposizio-ne dei programmi linguistici, della Segrete-ria di Stato e dell’Osservatore Romano. Quando il Papa parla a braccio, occorretrascrivere il testo per aiutare il lavoro reda-zionale. Ogni registrazione audio della vo-ce del Papa va anche alla «Registroteca»,che aggiunge una scheda con la data, il ti-po di avvenimento, il tema e così via.Ogni supporto tecnico ha, ovviamente, unadurata limitata. Nell’archivio della Radio cisono le prime voci registrate su file metalli-ci; quindi i nastri, e poi i cd. Decade laqualità: i nastri si frantumano, e con gli an-ni decade anche la qualità dei cd. Per sal-vare la voce, si deve trasferire tutto su unnuovo supporto. Con milioni di registrazio-
ni fatte, si comprende come il processo sialungo e molto impegnativo. Le clip o video-news sono prodotte dalCTV in collaborazione con la RV per la tra-duzione multilingue, alla quale concorronoanche alcuni partner esterni, su una piatta-forma ideata, gestita e mantenuta dalla RV.Esse coprono le attività e gli eventi papalipiù importanti, con cadenza quasi giorna-liera. Sono tradotte in italiano, inglese, fran-cese, spagnolo, tedesco, cinese, hindi, po-lacco, sloveno, lituano e fiammingo.
Agenda, applicazioni e «Radio Vaticana Video»Altra innovazione specifica della RV è unservizio di Agenda delle attività del Papa(www.radiovaticana.va/agenda), che per-mette di informare in tempo reale gli utentidi dirette audio-video programmate o incorso, di rivedere la registrazione delle ce-lebrazioni papali, di leggere tutti gli articoliprodotti dalle redazioni linguistiche dellaRV sull’argomento.Il servizio Agenda, secondo diverse modali-tà, è attivo sul sito della RV, sul VaticanPlayer, sulle App, sul sito web della RV esul portale news.va.I titoli dei singoli eventi dell’Agenda (deno-minati «tic») sono disponibili in italiano, in-glese, francese, spagnolo e cinese. È possi-bile effettuare la ricerca degli eventi per da-ta o per parola-chiave. Inoltre, l’Agenda av-visa di eventuali dirette previste per glieventi papali, e ogni tic/evento ha un linkdiretto agli articoli del sito web che parlanodi quell’avvenimento, e ne offre poi le vi-deo-news e la registrazione video integraleon demand. Tramite le App per Android (rv.va/android),iPhone (rv.va/iphone) e Windows mobile,è possibile seguire le dirette audio-video
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solo in streaming originale, oppure le cro-nache audio multilingue sui canali radio. La recita dell’Angelus e l’udienza generaledel mercoledì sono disponibili in forma in-tegrale on demand. Le celebrazioni papali sono disponibili sulcanale TheVatican/You Tube (ma senza ra-diocronaca nelle diverse lingue). Questocanale è stato aperto ed è gestito dalla RVin collaborazione con il CTV, e mette a dis-posizione quotidianamente anche video-news di un paio di minuti sull’attività delPapa, tradotte in dieci lingue, tra le quali ilcinese, l’hindi e il fiammingo. I Messaggi Urbi et Orbi del Papa (in occa-sione del Natale e della Pasqua) si possonoascoltare in versione audio, con la voce delPapa, e leggere in versione video grazie alletraduzioni - realizzate frase per frase, comevengono pronunciate dal Pontefice - in unaventina di lingue. Si tratta di un lavoro por-tato avanti dalle redazioni linguistiche, chetraducono i messaggi pontifici, e dal Webteam, che allestisce la versione video. Una programmazione specifica della Rvviene realizzata anche sul canale multi-lingue «Radio Vaticana Video» su YouTube(http://www.youtube.com/radiovaticana-video). Da novembre 2012 essa viene prodottacon alcune webcam dalla Regia 3, intito-lata a Karol Wojtyła, dalla quale vanno inonda programmi speciali, incrociando di-verse piattaforme digitali e mettendo adisposizione degli utenti audio, testi, foto,video e collegamenti ai social network.Questo viene realizzato da diverse reda-zioni linguistiche.
Radiogiornale e «Screen News»Una considerazione a parte merita il Radio-giornale internazionale in tre lingue (italia-no, francese e inglese), che va in onda lamattina, tra le 8 e le 8.45, ed è poi disponi-bile sul sito web on demand. Queste edi-zioni costituiscono una sorta di «bigliettoda visita» della RV, e riportano le informa-zioni principali non soltanto sull’attivitàcorrente del Papa e della Santa Sede, maanche sui più importanti avvenimenti socia-li, culturali e politici dei Paesi in cui laChiesa svolge il suo ministero. Ogni versio-ne linguistica, inoltre, è attenta ai temi spe-cifici legati alla propria area geografica: adesempio, il Radiogiornale francese pone
molta attenzione al Medio Oriente e all’A-frica francofona; l’edizione inglese dà am-pio risalto al mondo atlantico e all’Asia;quella italiana dedica specifici servizi allaregione mediterranea e all’Europa. Nei Ra-diogiornali in spagnolo, brasiliano, tedescoe polacco prevalgono l’informazione vati-cana e le notizie sulla Chiesa universale,mentre l’approfondimento dei temi delgiorno è riservato a programmi specifici,sempre nelle stesse lingue. Le altre redazio-ni linguistiche devono fare i conti con labrevità dei loro programmi audio. Ma inquesto il web può rappresentare una risor-sa, perché permette di diffondere tutte quel-le informazioni che non trovano spazio nel-le trasmissioni audio. Ultimo servizio - in ordine di tempo - svi-luppato dalla RV sono i pannelli informativi(o Screen News), attivi presso i Musei Vati-cani e nella sala d’ingresso della RV a Pa-lazzo Pio, sui quali vengono riprodotte lenotizie pubblicate, in sette lingue, tramiteTwitter. Il servizio viene interrotto ogni vol-ta che inizia la diretta video di una celebra-zione del Papa, che può quindi essere se-guita tramite tali pannelli. Questa multimedialità della RV è resa pos-sibile grazie alle piattaforme interne di ge-stione digitale dei contenuti, scritti, audio,video (da regia e in collaborazione con ilCTV) e foto, realizzate in modo da interagi-re con le differenti reti esterne di contribu-zione e diffusione.L’opzione digitale e multimediale ha per-messo, inoltre, di consolidare e far crescerela fitta rete di servizi che la RV offre a emit-
tenti cattoliche e a numerose realtà eccle-siali. Sono infatti molto richiesti i servizicollegati a notizie, audio e video diffusi viaweb, ma anche i collegamenti con il sitoweb della RV e con il Vatican Player svi-luppato dalla RV stessa. Questo lavoro èpossibile anche grazie alle sinergie tra i di-versi media della Santa Sede. La più stretta e più visibile è la collabora-zione tra la RV e il CTV; c’è poi la coopera-zione tra la RV e l’Osservatore Romano, etra l’emittente pontificia e il Dicastero perle Comunicazioni Sociali (cfr portalenews.va); senza dimenticare la Sala Stam-pa, guidata dallo stesso direttore generaledella RV, padre Federico Lombardi. In questo modo si è venuto a creare un«ambiente» di lavoro vero e vivace.
n NoTA FINALEIl Direttore della Rivista «QUALITÀ» desi-dera ringraziare S.E. padre Antonio SPADA-RO s.j., Direttore responsabile della presti-giosissima Rivista «LA CIVILTA’ CATTOLI-CA», che ha autorizzato la riproduzione del-l’articolo pubblicato sul numero 3927 (feb-braio/2014) di «LA CIVILTA’ CATTOLICA» el’autore del testo padre Andrzej KOPROW-SKI s.j., nonché l’amico padre DomenicoRONCHITELLI s.j., caporedattore della me-desima Rivista.
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ANDRZEJ KoPRoWSKI S.J.Direttore della Direzione PROGRAMMI
della Radio Vaticana, Città del VATICANO
www.radiovaticana.va/
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Sono alcuni decenni che la RAI è obbli-gata, sulla base di precise norme conte-
nute nei vari contratti di servizio stipulaticon il Ministero delle Comunicazioni, a for-nire un‘offerta radiotelevisiva di qualità. Ciò nonostante non è mai stato possibileesercitare un vero controllo sulla qualitàdella programmazione RAI e quindi non èstato mai messo in evidenza il valore pub-blico di trasmissioni come quelle di Philip-pe Daverio, oppure la serie di trasmissionidi Minoli, che hanno indici di gradimentomolto alti, ma non necessariamente unadeguato livello di ascolti.Già nel Contratto di Servizio 2003/2005 eraprevista una “Commissione Qualità” - dellaquale facevano parte il prof. Cesare Mira-belli ed il vice direttore generale RAI Gian-carlo Leone - ma non si è mai saputo qualirisultati abbia raggiunto. Nel novembre 2002, l’allora Ministro delleComunicazioni Gasparri presentò il cosid-detto “Qualitel” che avrebbe dovuto testarela qualità dei programmi RAI, attraversosondaggi telefonici a campione o con unapparecchio nelle case di un ristretto nu-mero di telespettatori. Il Qualitel avrebbedovuto poi essere reso pubblico. Nulla ditutto questo è mai avvenuto.Il varo del Comitato Scientifico istituito nel2007 dal Ministro Paolo Gentiloni era avve-nuto in un clima di grande attesa ed atten-zione (soprattutto da parte del ConsiglioNazionale degli Utenti dell’AGCOM) per il
fine cui era preposto: e cioè la creazione diparametri che riuscissero a valutare la capa-cità dei programmi RAI di «sollecitare lasensibilità sociale e civile dello spettatore».L'argomento è politicamente delicato, an-che perché ha sempre stimolato la discus-sione degli studiosi sulla necessità o menodi una privatizzazione della RAI attraversola vendita di alcune reti, sul ruolo della TVpubblica e sul suo palinsesto, da sempre in-decisa tra seguire il modello BBC o quellopuramente commerciale, con il risultatodella stridente e forzata convivenza di pro-grammi di grande rilevanza culturale conquelli che propongono indovinelli, barzel-lette, pettegolezzi, voyerismo di vario ge-nere, certamente non improntati ad un mo-dello di sobrietà, quanto semplicemente afar corrispondere ad una domanda di ”leg-gerezza” del pubblico una offerta televisivasimil giornale scandalistico da spiaggiaagostana.Qualche parlamentare, poi, ha in passatoaffermato che «finché la struttura internadella RAI non viene in qualche modo puri-ficata dai dirigenti buoni per tutte le stagio-ni, un contratto di servizio vale l’altro» ed èquindi inutile parlare di qualità. Perfino unodei più "illuminati" consiglieri d'ammini-strazione, Sandro Curzi, soleva ripetere che«non esiste servizio pubblico senza pubbli-co». Al Festival Cinematografico di Veneziadel 2007, dove erano presenti in massa ivertici RAI, l’osannato Bernardo Bertolucci
affermò, senza peli sulla lingua, che «il piùgrande diffusore di sottocultura è la televi-sione!». Quando fu varato il Comitato Scientificovoluto dal Ministro Gentiloni si speravaquindi che, almeno in questa occasione, irappresentanti RAI sapessero esprimereproposte tali da imprimere un deciso cam-biamento di rotta nell’offerta del serviziopubblico radiotelevisivo, che deve necessa-riamente prescindere dall'audience, sacro egiusto riferimento delle TV commerciali,ma insano obiettivo della TV pubblica, fi-nanziata dai cittadini.Come giustamente soleva affermare l’exMinistro Gentiloni: «la televisione pubblicasi può permettere una qualità che non sipuò permettere quella commerciale».Pur in presenza di mille difficoltà ed ostru-zionismi messi in campo, il ComitatoScientifico riuscì a svolgere nei tempi previ-sti il suo delicato compito.In estrema sintesi, il cosiddetto Qualitelavrebbe dovuto essere calcolato su un cam-pione di circa mille persone, intervistateogni giorno da un istituto specializzato, peresprimere il loro gradimento sui programmiRAI, anche non visti per intero, di qualsiasigenere e di tutte le fasce orarie, con unpunteggio da zero a cento. I livelli di giudi-zio sarebbero stati cinque; un diverso meto-do di rilevazione per altrettante specifichetipologie di offerte televisive: •nella prima fase si sarebbe dovuto chiede-
re al pubblico quanto erano gradite le tra-smissioni della fascia oraria più importante- quella delle 20.00-24.00 - che determinala maggior parte degli investimenti pubbli-citari;
•nella seconda fase invece il giudizio sullealtre fasce orarie;
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La misura della qualità dellaprogrammazione televisiva
>> remigio DEl GrOSSO
Tema
«La dipendenza dall'audience e dalla pubblicità trascina la tv pubblica
nella sentina delle lepidezze, delle volgarità, delle risse, della proposta
di modelli di comportamento trasgressivi e non esemplari, della stupidità,
del pettegolezzo, della sfrontata esibizione di panni sporchi».
[Dario Antiseri]
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•nella terza quello sulle trasmissioni per mi-nori;
•nella quarta il gradimento di chi guarda l’of-ferta RAI su Internet;
•la quinta fase, infine, avrebbe dovuto ri-guardare la misurazione della reputazionegenerale della tv del servizio pubblico.
Il progetto prevedeva inoltre che i punti-qualità di ciascun programma dovevano es-sere resi pubblici quotidianamente, così co-me accade con l’Auditel.Dopo aver consegnato - nel mese di gen-naio 2008 - il progetto nelle mani dell’allo-ra Presidente RAI Petruccioli, il Comitato siaspettava che le prime sperimentazioni fos-sero partite almeno nel mese di aprile dellostesso anno, ma non avevamo fatto i conticon tutte le parti in causa. L’avvicendamen-to dei Ministri e Vice-Ministri delle Comu-nicazioni fornì poi una “mano” decisiva aquanti non apprezzavano il progetto, chevenne trasformato, invece, in un mini-qua-litel tuttora operante, ma di scarsissima rile-vanza sia per gli utenti interessati che pergli addetti ai lavori.La cancellazione del progetto originale av-venne, ufficialmente, sulla base di conside-razioni economiche, in quanto la sua rea-lizzazione avrebbe comportato un esborsooscillante tra i 4 ed i 6 milioni di euro,mentre il mini-qualitel, adottato successiva-mente, sarebbe costato al massimo 1 milio-ne di euro. Al riguardo, il Comitato Scienti-fico voluto dal Ministro Gentiloni si disso-ciò ufficialmente dalla decisione assunta.Il mini-qualitel adottato dalla RAI si sostan-zia in una rilevazione semestrale della qua-lità percepita dei programmi RAI, sia del-l’offerta generalista sia dell’offerta specializ-zata, mirata a costruire gli indici di qualitàpercepita a livello di singolo programma, digenere, di rete televisiva, di tipologia di of-ferta e a livello complessivo.La metodologia utilizzata dall’Istituto di Ri-cerca non garantisce - a parere di chi scrive- l’affidabilità dei risultati.L’indagine, infatti, prevede l’effettuazione dicirca 7.500 interviste face to face at home,in modalità CAPI (Computer Assisted Per-sonal Interview) a un campione rappresen-tativo di italiani aventi almeno 14 anni chevedono la televisione due o più volte la set-timana nelle diverse fasce orarie. Le intervi-ste sono distribuite tra le fasce orarie comesegue:
7.00-9.00 (prima mattina), 9.00-12.00(mattinata), 12.00-15.00 (meridiana),15.00-18.00 (pomeridiana), 18.00-20.30(preserale), 22.30-2.00 (seconda serata).La prima serata è approfondita su un sot-toinsieme del campione complessivo, ec-cetto una quota marginale corrispondente aspettatori esclusivi della fascia 20.30-22.30.Il campionamento è realizzato su tre stadi,con stratificazione delle unità e con proba-bilità di selezione costanti (schema di cam-pionamento PPS - Probability Proportionalto Size). La selezione è attuata nel modo se-guente: a. al primo stadio, con criteri probabilistici i
comuni sono stati selezionati da stratipredisposti per controllare la variabilitàtra comuni;
b. al secondo stadio, in ciascun comune se-lezionato e nei comuni con popolazionesuperiore a centomila abitanti, è statoestratto un numero costante di famiglie,così da poter avere una probabilità di se-lezione uguale per ogni unità inclusa nelcampione”;
c. al terzo stadio, sono stati selezionati gliindividui da intervistare dentro le fami-glie-campione.
Nel complesso l’indagine è stata realizzatapresso 320 comuni distribuiti su tutto il ter-ritorio italiano. Per la misurazione dellaqualità dei prodotti televisivi e la costruzio-ne di un indice che riassumesse la perce-zione del pubblico televisivo, è utilizzatoun modello teorico che potesse leggere einterpretare la molteplicità di atteggiamenti,opinioni e vissuti verso i prodotti televisivi:il PLS Path Modelling. Il PLS Path Modeling permette di stimare lerelazioni esistenti tra le diverse variabili at-traverso i seguenti passi: •stimare le variabili latenti in funzione delle
variabili manifeste;•calcolare i path coefficients tra le variabili
latenti;•stimare ogni variabile latente in funzione
delle altre variabili latenti;•aggiornare la stima dei pesi delle variabili
manifeste.Sulla base di tali metodologie, nel 2013l’indice di qualità della programmazionetelevisiva RAI è stato pari a 7,4. Tale valoreesprime il gradimento dei fruitori della pro-grammazione trasmessa dai canali generali-sti (7,3) e specializzati (7,4). In particolare,
per quanto riguarda l’offerta generalista: •la valutazione dei canali mostra una so-
stanziale uniformità: RaiUno e RaiDue siattestano al livello medio (7,3), mentre Rai-Tre è leggermente superiore (7,4);
•la valutazione dei singoli generi mostra ungradimento leggermente sopra la media siaper i programmi culturali (7,5), sia per l’of-ferta di fiction, film e serie televisive (7,5)sia per lo sport (7,4);
•il gradimento per il genere intrattenimentoè lievemente inferiore (7,2);
•il gradimento dell’offerta specializzata sin-tetizza la valutazione generale dell’offerta(7,4) e la valutazione dell’adeguatezza del-le reti al ruolo di servizio pubblico (7,3).
Completamente diverso il modello predi-sposto a suo tempo dal Comitato Scientifi-co RAI che prevedeva vari livelli di indica-tori del monitoraggio che generano l’indicedi qualità:1° livello - Si riferisce ai valori primari chedevono far parte di una riconoscibilitàdell’offerta della RAI, anche indipendente-mente dalla relazione con lo spettatore. So-no quelli che maggiormente declinano laqualità nel senso del valore pubblico che iprogrammi devono essere in grado di gene-rare. Le dimensioni guida possono essere rias-sunte così:a) valori istituzionali: ad esempio valori
identitari, pluralismo, democrazia;b) valori di etica sociale: solidarismo, com-
prensione, onestà, trasparenza, equili-brio;
c) valori fondativi del contratto di valorepubblico: ad esempio rispetto, affidabili-tà, capacità di innovazione, capacità dilettura dei problemi e dei cambiamenti;
d) valori culturali: ad esempio comprensio-ne di problemi sociali, arricchimento del-le conoscenze del pubblico, incentivo asaperne di più, a discuterne con altri;
e) valori di servizio: ad esempio continuitàd’informazione su ciò che riguarda la si-curezza e la mobilità dei cittadini;
f) valori in negativo in quanto assenza didisvalori: ad esempio non volgarità, nonviolenza, non falsificazione della realtà.
2° livello - Si riferisce al campo della rela-zione: allo scambio tra qualità percepita equalità attesa dal pubblico, al vissuto/giudi-zio sul programma intorno alla dimensionefondante del gradimento.
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Le due macrodimensioni che definisconoquesto scambio hanno a che fare con:a) il valore attribuito al programma in quan-
to tale;b) il valore percepito in quanto soddisfazio-
ne soggettiva.La scomposizione per fattori riguarda adesempio:a) mi diverte;b) mi sorprende;c) mi rilassa;d) mi fa compagnia;e) mi coinvolge;f) mi emoziona.In negativo:a) non mi dà ansia;b)non mi infastidisce;c) non è volgare.3° livello - Si riferisce al campo della com-parazione/confronto che definisce il pesodalla qualità relativa. Il confronto riguarda:a) programmi specifici a confronto, scelti
per omogeneità di macrogenere;b)programmi specifici a confronto, disomo-
genei nel genere ma collocati nella me-desima fascia.
4° livello - Si riferisce alle dimensioni che“attraversano” (e si combinano con…) i trelivelli precedenti e approfondiscono le di-verse specifiche applicazioni. Riguardanole categorie:a) del personaggio;b)del palinsesto;c) del valore pubblico;
d) dell’estetica in senso lato.I fattori dei target di riferimento vengonodeclinati/selezionati su queste due variabili:•fasce orarie (motivazioni/attese diverse per
momenti diversi della giornata e delle gior-nate, per esempio feriali o festivi) definiteorientativamente su questi blocchi: matti-no, pomeriggio, pre-serale e access, primetime e seconda/terza serata;
•generi e macrogeneri, definiti orientativa-mente su queste aggregazioni: informazio-ne, fiction, intrattenimento.
Una loro sottoarticolazione può essere so-stanzialmente definita nei seguenti segmen-ti:1) Informazione tg;2) Informazione di approfondimento;3) Contenitori;4) Varietà/intrattenimento;5) Comico/satirico;6) Sport;7) Fiction;8) Film;9) Scientifico-culturale;10) Reality show.La determinazione del pubblico comeunicum “finale” oggetto dell’applicazionedell’indicatore delinea, comunque, la ne-cessità di definire possibili specificità di tar-get con riferimento, in particolare:1)alle fasce orarie;2)al profilo specifico di alcuni generi;3)a segmenti particolarmente sensibili ri-
spetto alla mission RAI come servizio
pubblico: in particolare questo carattereriguarda i bambini/ragazzi.
Il non pubblicoIl valore di qualità di un programma è de-terminato anche dal rapporto con il nonpubblico o il pubblico parziale.Questo diviene rilevante sotto almeno duedimensioni:a) il pubblico che, avendo selezionato il
programma non lo segue fino al termine;b) il pubblico che non seleziona più il pro-
gramma.Le due relazioni vanno definite in terminidi motivazioni secondo almeno due dimen-sioni, che corrispondono rispettivamente a:1)non mi piaceva;2) c’erano programmi miglioriL’impianto del monitoraggio si impernia sudue assi portanti:a) la modularità, talché l’insieme costituisce
un vero e proprio mosaico formato damolteplici tessere di informazioni;
b) la natura evolutiva, con sezioni dell’im-pianto complessivo aventi carattere speri-mentale ed innovativo, per vagliare tral’altro l’esito dell’utilizzo di nuovi stru-menti.
In tale direzione il Centro Ricerche Innova-zione Tecnologica della Rai era stato chia-mato dal Comitato a realizzare uno stru-mento di rilevazione denominato provviso-riamente “sincrointerviewer” che avrebbedovuto consentire di modificare profonda-
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mente le indaginipanel coincidenziali con l’ascolto di qualsi-voglia trasmissione tv, identificata tramite lasua traccia audio, con conseguente notevo-le semplificazione delle interviste con icomponenti il panel.
Il panelLe valutazioni relative alle trasmissioni tele-visive devono avere come cornice di riferi-mento la fascia oraria ed il palinsesto all’in-terno di ciascuna, con tre tipologie di no-minativi di persone maggiorenni, estratticasualmente dalle liste elettorali. Soltantopersone che vivono in famiglia, con esclu-sione di quanti sono ascrivibili alle convi-venze (collettività di varie tipologie: caser-me, istituti di pena, istituti religiosi, etc.). Itre macrocontenitori o panels riguardanorispettivamente:a) i potenziali telespettatori della mattina,
del pomeriggio e della prima serata, pe-raltro segmentati secondo le seguenti fa-sce orarie: 7.00-9.00, 9.00-12.00, 12.00-15.00, 15.00-18.00, 18.00-20.30;
b) i potenziali telespettatori delle due fasceorarie cosiddette access e prime time;
c) i potenziali telespettatori negli altri orari.Per ciascun panel la RAI fornisce nel capito-lato gli elementi statistici di contesto: grigliadelle fasce orarie con il relativo palinsesto,struttura socio-demografica per ciascuna fa-scia oraria e tratti valoriali. Tali elementi so-no già nella disponibilità RAI e consentonoil matching con i risultati di Auditel.L’Istituto prescelto per il monitoraggio effet-tua una intervista preliminare al campionedi nominativi estratti dalle liste elettorali edascrivibili ad unità familiari. In tal modo siottiene una “indagine di base” per ciascunpanel, con riferimento anche ai componen-ti della famiglia identificata da ciascun indi-viduo considerato. Questo insieme di informazioni consente didisporre di fatto di tre “serbatoi” distinti perdisponibilità all’ascolto televisivo nelle va-rie fasce orarie, con tratti socio-demografi-ci, comportamentali e valoriali, associabiliad altre indagini campionarie di vasta por-tata. La scheda è completata dal possesso di: te-levisore e tipologia di abbonamento, PC edeventuale connessione a Internet, cellulare,apparecchi radio, ecc.Questa fase iniziale è strutturata in modo
tale da agevolare quella della rilevazionecoincidenziale o semi-coincidenziale, conun numero accettabile di “cadute” di inter-vista e la possibilità di ottenere informazio-ni relative al mancato ascolto ed a quellointerrotto in maniera parziale o totale (ab-bandoni).Il panel b) comporta la cessione quotidianadelle informazioni richieste. Tale prescrizio-ne non ha valore assoluto: le trasmissioniseriali con contenuti omogenei e ripetitivinon richiedono la cadenza giornaliera.Per motivi di efficienza i medesimi soggettipossono essere intervistati più volte, peral-tro in giorni diversi con cadenza settimana-le. In fase di reclutamento tale possibilitàsarà prospettata assieme, eventualmente,ad un sistema di benefits al conseguimentodi diversi traguardi di fedeltà.La diffusione dei dati di questa elaborazio-ne sarà quotidiana.I panels a) e c) comportano una cadenzabisettimanale di rilevazione, distinguendoun giorno feriale (lunedì-venerdì) a rotazio-ne da quello festivo (alternativamente saba-to o domenica).La cadenza di rilevazione può essere piùrarefatta con riferimento ai programmi se-riali omogenei per contenuti ed impagina-zione.La diffusione dei dati di queste elaborazionisarà settimanale.I tg regionali sono oggetto di analisi ad hoctramite ricerca qualitativa.Periodiche analisi riguarderanno i minori di18 anni, distinti per tipologia di età. Talianalisi impiegheranno metodi e tecnichedella ricerca qualitativa.Un aspetto specifico riguarda i possessori dipersonal computer nella propria abitazionecon collegamento a Internet, per ottenereindicazioni circa i comportamenti degli in-ternauti concernenti sia le trasmissioni tele-visive sia quelle radiofoniche, con valuta-zioni relative al valore pubblico e alle mo-dalità di offerta dei programmi RAI su Inter-net. La scala di valutazione 1-10 dà luogo adinconvenienti, individuati in studi disponi-bili nella letteratura specifica. Pertanto lagraduazione dei giudizi negli indici ele-mentari ed in quelli compositi utilizzerà lascala 1-100.Per interviste effettuate da Istituti centraliz-zando la rilevazione, gli eventuali call cen-
ter devono essere localizzati entro i confinidel nostro Paese e gli intervistatori devonoessere in grado di comprendere appieno lalingua italiana nelle sue sfumature e di par-larla in modo fluente.
Gli strumentiIl sistema di monitoraggio proposto poggiasu un utilizzo nuovo e contestuale di stru-menti tradizionali e di Internet. L’uso com-binato di vari strumenti:•fa superare i limiti di ciascuno di essi;•rende flessibili i tempi di risposta, liberandoli
dai vincoli delle fasce orarie tradizionali 12-15 e 18-21 delle rilevazioni telefonicheC.A.T.I.;
•realizza un punto di equilibrio fra tempisti-ca, modalità e costi di monitoraggio;
•bilancia l’effetto di condizionamento asso-ciabile a ciascuno degli strumenti di rileva-zione;
•rende possibile la raccolta dei dati e la lo-ro elaborazione in tempi assai contenuti, si-no alla cadenza quotidiana di alcuni;
•non pregiudica gli ulteriori approfondimentida diffondere con cadenza periodica sul-l’arco compiuto della programmazione.
Come si può intuire, si trattava di un siste-ma di monitoraggio dei programmi televisi-vi abbastanza rivoluzionario e, forse, di dif-ficile e costosa realizzazione. E’ inutile,d’altronde, spendere i soldi dei cittadini perrealizzare rilevazioni pseudo-qualitative dinessuna o di scarsa utilità ai fini del miglio-ramento della qualità dell’offerta televisivacomplessiva della concessionaria del servi-zio pubblico. Agli esperti l’ardua sentenza!
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REMIGIo DEL GRoSSoè stato Garante dell’Utenza di Telecom Italia
fino al 1997. Dal 2002 al 2010 è stato
Segretario Nazionale della Lega Consumatori
Acli. Dal 2006 al 2010 è stato Vice Presidente
del Consiglio Nazionale degli Utenti
dell’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni. Dal 2007 al 2009 è stato
membro del Comitato Scientifico RAI. Dal
2008 al 2010 è stato membro del Comitato
“Servizi Pubblici a Rete” del Ministero dello
Sviluppo Economico. Da luglio 2013 e’ Vice
presidente del “Comitato Media e Minori” del
Ministero dello Sviluppo Economico.
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Il 31 ottobre scorso a Roma, pres-so la sala polifunzionale dellaPresidenza del Consiglio dei Mi-nistri, si è tenuta un’importanteconferenza europea sul tema «raf-forzare il Modello Sociale Euro-peo. Il contributo della QualitàSociale alla coesione del sistemacomunitario»; la manifestazionepromossa da EURISPES, FriedrichEbert Stiftung, UILPA e con il pa-trocinio del Dipartimento dellePolitiche Europee per il SemestreEuropeo di presidenza italiana.Fin dal 1997 la prestigiosa Fon-dazione Europea sulla QualitàSociale (EFSQ - European Foun-dation on Social Quality, Olan-da) ha avviato un percorso di de-finizione ed approfondimento diun nuovo approccio allo svilup-po, basato sul valore della Qua-lità Sociale e sull’attuazione diuna sostenibilità globale dellostesso. Questo lavoro è stato in-teso come un contributo origi-nale ed innovativo sia alla riqua-lificazione del Modello SocialeEuropeo e dei sistemi di welfarenazionali, sia anche come un mo-do di andare oltre lo stesso mo-dello europeo, aprendo nuoviscenario di studi e di interventi
applicativi di tipo sistemico. L'i-dea di fondo era quella di svi-luppare un pensiero forte, orga-nico, originale, che favorisse lapromozione sia di una nuova cul-tura dello sviluppo, sia di politi-che pratiche innovative ed effi-caci, sulla linea della sostenibi-lità e della solidarietà, della giu-stizia sociale, della dignità uma-na. Con gli anni, si è sviluppatoun approccio teorico significati-vamente più innovativo. La Fon-dazione Europea sulla QualitàSociale ha promosso negli annila creazione di una vasta rete eu-ropea di istituti e di esperti, im-pegnati a dare il proprio contri-buto a questo nuovo approccioteorico; l’iniziativa si è estesa an-che all'area del Sud Est Asiaticoe in Cina, dove si è formata unarete parallela impegnata sulle stes-se tematiche. Nel tempo, la Fondazione si è tra-sformata in IASQ - AssociazioneInternazionale sulla Qualità So-ciale ed ha promosso la costitu-zione di due strutture permanen-ti di raccordo: l’EOSQ - Osserva-torio Europeo sulla Qualità So-ciale con sede a Roma, presso Eu-rispes e l’AOSQ - Osservatorio
Asiatico sulla Qualità Sociale consede ad Hangzhou (in Cina). La proposta teorica. La sosteni-bilità dello sviluppo richiede unavalutazione integrata e sistemicadi quattro dimensioni: economi-ca, socio-politica, socio-cultura-le, ambientale e, ancora, la defi-nizione di indicatori di misura-zione e di percorso. Per esserecredibile nel tempo, un progettosostenibile richiede anche l'inte-grazione dei paradigmi econo-mici con nuovi paradigmi che ri-guardano la vita delle persone,le loro effettive capacità di ope-rare, di produrre e riprodurre rap-porti sociali, i loro riferimenti cul-turali ed etici, la coesione dellecomunità in cui vivono. Ma co-sa è il sociale? Nel Trattato di Lisbona del 2007,l’UE ha sancito che gli obiettividi tutti gli Stati Membri debbanoessere la sostenibilità generaledello sviluppo e la coesione ef-fettiva del sistema e, quindi, l’im-pegno a rafforzare la condizionesociale dei cittadini europei, il si-stema democratico e il dialogosociale. Legata a questi obiettiviè l’idea di un comune “ModelloSociale Europeo”. Gli studiosihanno evidenziato l’esigenza didisporre di nuovi approcci perpoter capire il mondo in si vive.La stessa Commissione fa conti-nuamente riferimento a “Quali-tà della Vita” e/o “Capitale So-ciale” con un tipo di approccioorientato agli stili di vita di tipoindividuale; senza elaborare teo-
rie utili per affrontare i cambia-menti strutturali in corso. I pro-blemi e le sfide dell’UE riguar-dano almeno 3 ambiti diversi cherichiedono una interrelazione ne-cessaria per dare un contributocostruttivo al progresso delle “po-litiche”:•sviluppo di una sostenibilità ge-
nerale (a livello continentale eglobale);
•adeguamento delle complessi-tà sociali degli Stati membri(con riferimento alle diversearee politiche di intervento) ingrado di rispettare le compati-bilità ambientali;
•forte sostegno ad uno sviluppourbano sostenibile di metropolie città europee.
Durante l’interessante conferen-za è stata fornita un’ampia pa-noramica di problematiche, ana-lisi, sfide e modelli facendo rife-rimento alle 4 dimensioni:•D. socio-politica/legale [viene
richiesta una ridefinizione deirapporti tra governati e gover-nanti; i primi sempre più diffi-denti per le affermazioni dei se-condi];
•D. socio-culturale/welfare [in-vecchiamento della popolazio-ne; salute; parità di genere; mi-grazioni e multiculturalità; cri-minalità internazionale orga-nizzata];
•D. socio-economica/finanzia-ria [predominanza del para-digma economico staccato davalori umani e naturali. Estesadisoccupazione; aumento del-le diseguaglianze finanziarie;precarietà e mercificazione];
•D. socio-ambientale [difficol-tà a: limitare gli sprechi; raffor-zare la giustizia sociale e soli-darietà; difendere la dignitàumana; aumentare le capacitàumane sostenibili].
L’argomento verrà approfonditonel prossimo numero della Rivi-sta; informazioni possono esserecomunque richieste all’indirizzo:[email protected].
a cura di Sergio BINI>>
«QUALITà SOCIALE» E MODELLO SOCIALE EUROPEO:LA CONFERENZA EUROPEA DI ROMADEL 31 OTTOBRE 2014
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ASSOCIAzIOnE ITALIAnA CuLTurA QuALITàFEDERAZIONE NAZIONALEPresidente: Maurizio CONTIVicepresidenti: Ernesto SCURATI, Sergio BINIAssemblea: Federica GALLEANO,Giovanni MATTANA, Antonio SCIPIONI,Andrea MINARINI, Ettore LA VOLPE, Sergio BINI, Alessandro MANZONI,Salvatore LA ROSAGiunta esecutiva: Maurizio CONTI,Ernesto SCURATI, Alberto BOBBO, Sergio BINI, Vittorio CECCONI, Claudio ROSSO, Santino PATERNÒ,Domenico GAISegretario Generale: Giacomo CASARINOSegreteria Nazionale: Annalisa ROSSI
ASSOCIAZIONI TERRITORIALIDELLA FEDERAZIONEAICQ - Associazione Italia Centronord20124 Milano - via M. Macchi, 42tel. 02 67382158fax 02 67382177 [email protected]: Giovanni MATTANAAICQ - Associazione Piemontese10128 Torino - via Genovesi, 19tel. 011 5183220fax 011 537964 - [email protected]: Federica GALLEANOAICQ - Associazione Triveneta30038 Spinea (VE) - Via E. De Filippo, 80/1tel. 351 0800386 - [email protected]: Antonio SCIPIONIAICQ - Associazione Emilia Romagna40129 Bologna - via Bassanelli, 9/11tel. 3355745309 - fax 051 0544854 [email protected]: Andrea MINARINI
AICQ - Associazione Tosco Ligurec/o CIPAT Via dei Pilastri n°1/3 50121 FirenzeTel. e fax 055 481524 - [email protected]: Ettore LA VOLPEAICQ - Associazione Centro Insulare00185 Roma - via di San Vito, 17tel. 06 4464132fax 06 4464145 - [email protected]: Sergio BINIAICQ - Associazione Meridionale80126 Napoli - Via Cinthia, 39tel. 081 2396503cell 392 [email protected]: Alessandro MANZONIAICQ - Associazione Sicilia90139 Palermo - via F. Crispi 108-120,c/o Ordine degli Ingegneri della Provinciadi Palermocell. 320 4376481 - fax [email protected]: Salvatore LA ROSA
FEDERATA DI SCOPO DELLA FEDERAZIONEAICQ - SICEV20124 Milano - via Cornalia 19tel. 02 [email protected]
SETTORI TECNOLOGICISettore AlimentarePresidente: Claudio MARIANISettore AutoveicoliPresidente: Federico RIVOLOSettore CostruzioniPresidente: Antonino SANTONOCITO
Settore Elettronico ed ElettrotecnicoPresidente: Giovanni MATTANASettore Servizi per i TrasportiCoordinatore: Luigi ZANNISettore TurismoPresidente: Dianella MANCINSettore Trasporto su RotaiaPresidente: Gianfranco SACCIONESettore EducationPresidente: Paolo SENNI GUIDOTTIMAGNANISettore SanitàPresidente: Mauro TONIOLO
COMITATI TECNICIComitato Ambiente e EnergiaPresidente: Antonio SCIPIONIComitato Salute e SicurezzaPresidente: Diego CERRAComitato Metodi StatisticiPresidente: Egidio CASCINIComitato Metodologie di Assicurazione della QualitàPresidente: Francesco CARROZZINIComitato Normativa e Certificazionedei Sistemi Gestione QualitàPresidente: Cecilia DE PALMAComitato Qualità del Software e dei servizi ITPresidente: Valerio TETAComitato Risorse umane e Qualità del LavoroPresidente: Piero DETTINComitato Laboratori di Prova e TaraturaPresidente: Massimo PRADELLAComitato Responsabilità SocialePresidente: Sergio BINI
Per l’attività formativa, ove non indicata, fare riferimento al sito internet delle Federate AICQ
n. 2 marzo/aprile 2015Edizione Nazionale AICQ
Autorizzazione del Trib. di Torino n. 783
del Registro del 28/11/52
ISSN 2037-4186
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