"Conversando"... con il fiume Reghena
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“CONVERSANDO”……….. CON IL FIUME REGHENA
Tutti i giorni, due volte al giorno,
d’estate e d’inverno, a “bordo” del mio nuovo
fiammante ciclomotore RIZZATO da 50 cm³
e dalla potenza di ben … un solo cavallo, mi
recavo per impegni di lavoro, da Summaga,
dove abitavo ed abito ancora, a Portogruaro.
In questo breve viaggio, uscita da Via
Villa e attraversato il centro del paese,
percorrevo la vecchia Statale 53, che taglia
longitudinalmente l‘abitato, e che
proseguendo verso Portogruaro, segue una
dolce ansa del Fiume Reghena costeggiata da
un’ampia golena; attraversa poi il ponte a
grandi arcate che sovrappassa il Fiume Reghena, e più avanti, valica i due dossi delle due linee
ferroviarie chiamati “l’Alta”, per poi procedere lungo un rettilineo alberato fino a Portogruaro.
Questa strada era un tempo luogo di passeggiata di parecchi portogruaresi che, all’ombra
delle folta chioma dei grandi platani verdeggianti lungo entrambi i suoi lati, nelle prime ore
pomeridiane raggiungevano “l’Alta” e poi rientravano in Città.
Successivamente, realizzata la variante della vecchia Strada Statale 53 sopra descritta, uscita
da Via Villa, mi immettevo su questa al primo incrocio, attraversavo il nuovo ponte sul Fiume
Reghena, percorrevo un’ampia rotonda per poi più avanti valicare un lungo cavalca-ferrovia e
ricongiungermi con quel viale alberato della vecchia statale.
La fretta per non giungere in ritardo al mio posto di lavoro o l’ansia nel rientrare a casa per
le mie incombenze familiari, non mi permettevano certo di soffermarmi a guardare il paesaggio
campestre attraversato dalla statale e nemmeno quello che mi offriva il grande Fiume Reghena
sovrappassato dal ponte, godere del sinuoso e dolce scorrere della sua corrente, seguire con lo
sguardo le sue arginature e le sue ampie golene verdeggianti e punteggiate di piccoli fiori di
campo durante la buona stagione e le sue acque limpide e tranquille o, a volte, in alcune giornate
della cattiva stagione, turbolenti, scure, minacciose invadenti anche le golene facendo aumentare
smisuratamente il suo specchio d’acqua.
In tempi successivi lo stesso viaggio lo facevo con una piccola automobile che gli amici
definivano “a luci rosse” non per colore rosso della sua carrozzeria ma proprio per le luci rosse
delle varie spie sul cruscotto, olio, benzina, batteria e altro che lampeggiavano anche durante tutto
il viaggio.
Da quella piccola vettura ancora più difficile gettare lo sguardo al paesaggio che
cominciava a mutare con l’ampliarsi dell’area edificata della periferia di Portogruaro e al Fiume
rimasto invece sempre uguale.
Ma un giorno d’estate pieno di sole ho sentito il desiderio di sostare su quel ponte della
Statale 53 che attraversa il fiume Reghena, ponte sul quale tante volte sono transitata e, guardando
le sue acque scendere da settentrione, ho chiesto al fiume che scorreva lentamente, di raccontarmi
la sua storia.
Le acque d’incanto si sono increspate sotto la spinta di una leggera brezza che mi
accarezzava il viso, e il Fiume ha iniziato sommessamente a raccontarmi tutto il suo percorso.
Sorridendo soddisfatto mi disse: “a circa 20 chilometri da dove tu ti trovi ho la mia origine,
con il nome di Roggia “Mussa”, a Est di Casarsa della Delizia da dove scendo, sottopassando
prima la Statale 13 e poi la linea ferroviaria Treviso-Udine, lungo un tracciato sinuoso che
attraversa la zona di risorgiva, un tempo prativa e ricca di polle d’acqua affioranti, aumentando e
ravvivando così la mia portata, e bagno la frazione di San Giovanni di Casarsa e di San Floriano.
Prima di giungere a Prodolone, sempre serpeggiando in anse più o meno strette, mi divido
in due rami che abbracciano l’abitato di questo paese e mi riunisco molto più a valle, nei pressi di
San Velentino dove scambio le mie acque con quelle della roggia “Versiola” - roggia questa che
gravita nel sistema idrologico del fiume Lemene – e, più a valle, fra Borgo Fabia e Santa Caterina,
ad ovest di S.Vito al Tagliamento, ripeto lo scambio.
Proseguendo il mio corso verso valle, con l’approssimarsi della linea ferroviaria
Portogruaro - San Vito al Tagliamento, mi divido ancora in due rami, non prima però di aver preso
il nome di “Sestian”, dando vita, con la mia ramificazione, al “Sestianut”; sottopassata con i due
rami la ferrovia, creo una verdeggiante isola contornata dalle mie acque vive e fresche che un
tempo marginavano, all’esterno verso oriente e a Sud, con indefiniti prati acquiferi, isola che si
allunga per circa 700 metri terminando poco prima della strada Marignana – Savorgnano.
A valle di detta strada il mio corso d’acqua presenta numerose rettifiche artificiali, che
escludono le mie antiche anse punteggiate da piccoli isolotti, mentre lungo la mia sponda sinistra,
due scoli secondari rettilinei a me affluenti, emungono le acque che un tempo allagavano i terreni
latitanti.
Oltrepassato il confine fra i Comuni di S.Vito al Tagliamento e Sesto al Reghena, sempre
con il nome di ”Sestian”, mi biforco e procedo serpeggiante fino alla strada per la “Melmosa” dove
ricevo in sinistra il canale artificiale di una zona da tempo bonificata, mentre il mio ramo
secondario, sulla mia sinistra, riprende il nome di “Sestianut”, come il precedente e, deviando, si
immette in un rivo che scende da Savorgnano con il nome di “Acqua del Molino”.
Ti dirò che questo ultimo rivo è costituito dalla “Roggia di Villa” e dal Fosso “Maglant” che
dopo un percorso di circa un chilometro in alvei separati, si riuniscono prima di affluire nel
“Sestianut”e raccogliendo tutte le acque da casa Berti a Sesto al Reghena prosegue prendendo il
nome di “Roggia del Molino Fabris”.
Per essere preciso sia il mio alveo e
sia il rivo “Acqua del Molino” hanno
anche appendici secondarie che io raccolgo
a Nord di Casa Berti.
Riprendendo il racconto del mio
corso che ho lasciato presso la località
“Melmosa”, a seguito dello sdoppiamento
del mio alveo in due ramificazioni e
successivo ricongiungimento, ho creato
un’isola detta del “Violino” e a valle di
questa mi ricongiungo in un alveo
sufficientemente regolare che chiamerei
definitivo, anche se ancora abbastanza
tortuoso, e qui assumo finalmente il nome
di Fiume “Reghena”.
Tutto questo mio scorrere è
immerso in una campagna che muta i suoi Alveo del fiume a Sesto al Reghena
colori con il mutare delle stagioni, delimitata da fossi e da rivi alberati in ordinate file di
piante svettanti verso il cielo e altre basse e capitozzate, paesaggio che si rispecchia sulle mie acque
dolcemente mosse dalla corrente che porta a valle tutti i ricordi.
A Sesto al Reghena, creo un anello liquido che fa cornice alla secolare Abbazia Benedettina
di Santa Maria in Silvis e che circonda l’abitato, e dopo un allegro e fragoroso salto d’acqua, che in
passato faceva muovere le ruote di un grande molino e i macchinari per la pilatura del riso, mi
presento, a seguito dell’intervento dell’uomo, inalveato e arginato lungo entrambe le sponde fino
al “Molino della Sega”, assumo il nome di “Canale Nuovo Reghena” e lascio la parte terminale del
mio vecchio alveo alle acque del Fiume Caomaggiore che al “Molino della Sega” io accolgo alla
mia destra, mentre in sinistra mi si immette il “Maglant”.
Ti voglio ricordare che la roggia del Molino Fabris sopra citata, prende proprio il nome
dell’antico molino e che quindi, nel mio scorrere e “saltare”, e lo dico con orgoglio, ho mosso da
data immemorabile gli ingranaggi di molini, di segherie e di una pila per il riso.
Infatti mi piace
rammentarti che le “origini” del
“Molino della Sega” risalgono
ai tempi della Serenissima
Repubblica di Venezia e che
con tutta probabilità
apparteneva alla antichissima e
nobile famiglia veneziana dei
Cornaro anche detti Corner; ma
questo penso tu lo sappia
perché ti ho visto un giorno
sfogliare un antico documento,
datato 10 novembre 1783,
relativo a una stima per la
riparazione proprio delle ruote,
delle gore e di altro, del Molino
Molino della Sega,1953 della Sega allora di proprietà
di Antonio Cornaro.
Da qui entro in una depressione assai irregolare da me creata in un passato lontano con
profonde corrosioni, depressione che costituisce la mia valle, dove in tempi successivi ho
depositato limo minuto misto a sostanze organiche, ricoprendo così il fondo ghiaioso che in alcuni
punti ancora oggi affiora, mentre in altri tocca la profondità di 3 – 4 metri.
A lato della mia valle si alternano più o meno distanti tra loro, alti “costoni”, a tratti con
dolci pendii e a tratti molto più rapidi con dolci pendii e a tratti molto più ripidi, che raggiungo-
no i prospicienti terreni a quota più elevata.
All’inizio del secolo passato, per contenere le mie acque, non sempre placide e tranquille,
dal “Molino della Sega” al Fiume Lemene, dove sfocio, sono state elevate su entrambe le mie
sponde alte arginature lasciando peraltro al mio corso ampie golene sia sulla mia destra che sulla
sinistra.
In questo ultimo tratto di circa sette chilometri, dopo esser sceso con ampie e sinuose anse e
dolci curve fino a lambire Summaga, piego ad occidente portando i riflessi dell’antica Abbazia;
non appena sottopassata l’attuale Strada Statale 53, superato il ponte lungo il vecchio tracciato
della stessa, il ponte della linea ferroviaria Treviso – Portogruaro e a breve distanza quello della
ferrovia Venezia – Portogruaro, formo, con una mia appendice, una piccola isola che, anni
addietro, ha assunto il nome del protagonista di un tragico fatto di cronaca: Cannarozzo.
Sottopasso anche il viadotto
della tangenziale Nord di
Portogruaro e sempre con ampie e
dolci anse, percorro l’ultimo mio
tratto; poco prima di immettermi
nel fiume Lemene, sulla mia
sinistra idrografica, e dopo aver
“assistito” al varo delle lussuose e
bellissime imbarcazioni dell’antico
e famoso “Cantiere Camuffo”,
ricevo le acque dello “scaricatore di
piena” dello stesso fiume
provenienti da nord di Portogruaro
lungo il vecchio tracciato della
“Roggia Versiola”. Impianto idrovoro 1° a valle Summaga
Dal “Molino della Sega” al
Lemene le mie acque rispecchiano anche sei piccoli edifici in muratura a vista rifiniti da cornici e
coronamenti in cotto accoppiati a delle poco più alte torrette coperte, fino a poco tempo addietro,
da un tetto a padiglione di cotto, e ora brutalmente elevate e coperte a terrazzo, torrette alle quali si
ancorano i cavi dell’energia elettrica, forza motrice questa degli stessi impianti.
Questi sono sei impianti con la rispettiva cabina di trasformazione dell’energia motrice, per
il sollevamento delle acque dei terreni depressi compresi, da un lato dalle scarpate esterne delle
mie due arginature e dall’altro dai terreni a quota più elevata, che sono stati strappati alle acque
malarigene che invadevano e impaludavano il territorio anche fino alla porte di Portogruaro, con
le opere di bonifica la cui storia, tu che hai trascorso tanti anni tra le “scartoffie” d’archivio dei
Consorzi di Bonifica di Portogruaro e che hai conosciuto i protagonisti di questa grande impresa,
denominata inizialmente “Bonifica del Bacino Reghena” ora - “Sottobacino Reghena del Consorzio
di Bonifica Veneto Orientale” - nonchè tutti coloro, tecnici e operatori che l’hanno conservata
efficiente ed attiva e potenziata negli anni, mi saprai certamente ben raccontare.
Tu fino a qui mi hai seguito nel racconto del mio lungo percorso “costruito” parte dalla
natura e parte dall’uomo; hai imparato tutti i miei nomi che sono cambiati nel sinuoso mio
scendere a valle, hai goduto con me dei riflessi che porto dell’Abbazia di Sesto al Reghena e di
quella del tuo paese, ma ora io mi
riposo, raccolto e quasi immobile tra le
mie sponde, e ti ascolto.”
Se questo è il tuo desiderio allora
ti racconterò la storia della bonifica che
porta il tuo nome e come tutte le storie
belle comincerò dicendoti: correva
l’anno 1973 ed ero giovanissima quando
sono stata assunta dai Consorzi di
Bonifica Riuniti fra Taglio e Livenza di
Portogruaro e si è aperto dinanzi a me il
“mondo” della bonifica di questo
territorio che non conoscevo.
“Gioventù anni ‘40” in posa davanti all’idrovora
Sono entrata nell’archivio di questo
Ente, che offriva i sevizi tecnico-
amministrativi a tutti i singoli Consorzi del
territorio che avevano aderito al
raggruppamento, in punta di piedi, per non
disturbare il riposo del “passato” custodito,
sotto una leggera coltre di polvere, in tanti
vecchi scaffali, “tempio” questo della storia
di paesi e di uomini dagli albori della
riconquista delle terre alla palude ai giorni
nostri.
Questo archivio infatti conservava Scavo di canali
la storia del Consorzio di Bonifica
“Lugugnana” che copriva il territorio in sinistra del Lemene e che era suddiviso nei Bacini:
“Ronchi”, “Fondi Alti”, “Selvamaggiore”, “Villa”, “Franzona”, “Sindacale”, “Brussa”, “Valle
Vecchia”, “Valli da pesca Zignago e Perera”, e “S.Gaetano”; dei Consorzi di Bonifica sulla destra
Lemene fino al Fiume Livenza: “Bandoquerelle-Palù Grande”, “Lison”, “S.Osvaldo”, “Loncon”,
“Sette Sorelle”, ”Ottava Presa”, “Sansonetta-Sesta Presa-Palangon”, e quello “del Bacino Reghena”
che copre il tuo territorio, il più piccolo, ma che è anche quello nato prima di tutti.
Come tutti i giovani, anch’io ero curiosa, attenta nell’ascoltare chi sapeva più di me, ansiosa
di conoscere e di imparare.
Ascoltavo sbalordita la storia di un passato che mi sembrava molto lontano e che invece era
ancora presente nei primi decenni del novecento, passato che aveva visto questo territorio ancora
una sconfinata, triste, desolata palude, plaga dove moriva l’irruenza dei fiumi in piena nel loro
precipitarsi a valle contrastati dall’impeto delle più forti mareggiate e che nascondeva l’insidia di
un tragico male che fiaccava le forze dell’uomo e che spegneva tante vite umane: la malaria.
Anche la tua valle, quella che tu hai inciso e plasmato nell’ultimo tratto del tuo percorso,
come mi hai in precedenza raccontato, si distendeva, e non per limitate zone, a soli 90 centimetri
sopra il livello del mare distante, in linea retta, circa 28 km., con la conseguenza
dell’impaludamento perenne di buona parte del suo territorio nonché dell’allagamento di vaste
aree in concomitanza di periodi piovosi anche di modesta entità.
Pure la tua valle era dunque una triste palude seppur diversa dalle paludi del
comprensorio dei Consorzi limitrofi che apparivano fruscianti mari verdi di giunchi e canne
ondeggianti al battere dei venti; era invece un perenne acquitrino, fracido habitat ideale per la
nefasta anofele, che, allargandosi ad occidente, estendeva i suoi “tentacoli” fino alle mura di
Portogruaro .
Forse non lo sai che ancora oggi, alla “porta occidentale” di Portogruaro vi è un capitello
dedicato alla Madonna del Palù, nome questo con il quale veniva indicata la palude dove oggi
sorge lo stadio Piergiovanni Mecchia.
Nella mia voglia di conoscere il passato, in archivio scovai la relazione “studi e proposte
relative alla bonifica dei paludi nel Distretto di Portogruaro” del 1883 nella quale era stato esposto,
in tutta la sua gravità, il quadro della situazione igienica e, quale eloquente riferimento del
dominio delle febbri malariche, erano stati riportati i rilevamenti sul consumo di chinino nei vari
comuni interessati, unico rimedio per combattere questa infezione.
Da quella data dovettero passare parecchi anni prima che i proprietari interessati alla
bonifica si unissero in Consorzi per affrontare tutte le problematiche relative, da un lato, all’aspetto
igienico, e dall’altro, prettamente economico, per la riconquista del territorio alla palude
ammorbata di malaria e destinarlo all’agricoltura.
Infatti il progetto dei lavori per la bonifica del tuo territorio con la costituzione del
Consorzio del Bacino che porta il tuo nome “Reghena” è datato 22 ottobre 1902.
Anche se in misura diversa pure allora come oggi, l’opinione pubblica veniva informata
attraverso la stampa, e apparvero i primi articoli sull’inizio di quel lungo cammino che sarebbe poi
stata la bonificazione del tuo territorio; infatti sul quotidiano dell’epoca “L’Adriatico” il 23 gennaio
1904 vennero riportate le prime notizie sull’iter burocratico di questo consorzio iniziato con la
visita del Ministero dei Lavori Pubblici per la classificazione “opera di prima categoria” da
assegnare alla bonifica del bacino Reghena, con l’auspicio, espresso dal cronista, di un immediato
inizio dei lavori, non soltanto al fine di strappare alla palude i terreni per poi “donarli”
all’agricoltura, ma, più di tutto, nel “supremo interesse della sanità pubblica”.
Al progetto seguì il Regio Decreto datato 7 ottobre 1904, con il quale venne costituito il
Consorzio Speciale per l’esecuzione della bonifica del suddetto Bacino.
Fece seguito poi il progetto datato 19 ottobre 1904 e come il precedente, portava la firma
dell’ingegnere Antonio Del Prà.
Successiva notizia riferita da “Il Giornaletto”, altra stampa locale datata 22 marzo 1905, era
che malgrado l’urgenza di dar corso ai lavori, la prima assemblea dei proprietari interessati alla
bonifica non raggiunse il numero legale e che dovette poi essere rinviata a domenica 22 marzo
1905 in seconda convocazione.
Succedeva anche allora!
Caro e vecchio fiume, sono certa che ora vorrai sapere quale sia stato il territorio che
avrebbe costituito il comprensorio del tuo nuovo Consorzio e quindi ti descrivo la sua
delimitazione che poi è stata riportata anche nello Statuto: a Nord l’abitato della frazione Sega, la
strada Nazionale Callalta e la vecchia strada Sega Summaga; a Est i fondi alti delle località
Malcanton e Campeio, la fossa di circonvallazione della Città di Portogruaro e la strada
Portogruaro Concordia fino al confine; a Ovest la vecchia strada comunale Summaga Noiari; a Sud
la strada comunale Noiari S. Giusto Diesime
delimitando una superficie territoriale di ettari
608; detta superficie è comprensiva anche
dell’ultima aggregazione di circa 14 ettari
contigui, verso levante, all’originario
comprensorio e delimitata dalla strada Nazionale
Callalta e dalla fossa di circonvallazione a
ponente di Portogruaro
Ho ritrovato il filo della storia del tuo
bacino solamente nell’anno 1912 e di questo
stesso anno è la stesura del progetto definitivo
della bonifica che prevedeva, quale primo
intervento, il contenimento delle tue acque che
spesso esondavano, entro due grandi arginature
lungo tutto il tuo percorso conclusivo per una
estesa di ben sette chilometri; il progetto, in
successione, prevedeva: l’escavo di canali
perimetrali di raccolta delle acque scendenti
irregolarmente dai fondi laterali più elevati, loro
arginatura dal lato della bonifica e discesa, pure Planimetria Consorzio di Bonifica "Bacino Reghena"
fra argini, attraverso la palude fino a raggiungere
il tuo corso in punti appropriati; l’escavo di due canali interni, uno alla tua destra e uno alla tua
sinistra, per lo scolo delle acque piovane; la costruzione di due impianti idrovori di sollevamento
delle acque all’estremo sud dei canali stessi.
L’entrata in guerra dell’Italia fermò l’inizio di tutte le opere di bonifica del territorio
comprese quelle del tuo Bacino e con la successiva ritirata di Caporetto tu hai sicuramente assistito
alla ritirata del nostro Esercito e all’invasione delle truppe nemiche che passarono proprio sul tuo
ponte della allora strada provinciale diretti verso il Piave.
Non avrai “mormorato” come il Piave, ma sono sicura che le tue acque si saranno dipinte di
foschi colori.
Ma se ingloriosa è stata la ritirata, vittoriosa è stata invece l’entrata delle truppe italiane in
Portogruaro che avvenne il 2 novembre 1918, in parte da S.Agnese e in parte, proprio attraverso il
tuo ponte a Summaga e tutto il tuo Palù.
Ricuperati gli atti progettuali dopo i disastri provocati dall’invasione nemica, l’esecuzione
dei lavori fu giudicata eccessivamente onerosa, in quanto numerosi ostacoli si presentavano per
l’escavo dei canali interni e precisamente: due speroni elevati ed estesi di terreno ghiaioso, il centro
abitato di Summaga e dopo di questo un terzo sperone, due linee ferroviarie, la strada provinciale
Mestre – Portogruaro che è l’attuale Statale 53.
L’Amministrazione Consorziale allora addivenne alla decisione di suddividere i due bacini,
uno alla tua destra e uno alla tua sinistra, rispettivamente in altri due bacini creando, in destra, il
Primo Bacino a Monte e il Primo Bacino a Valle, e in sinistra il Secondo Bacino a Monte e il
Secondo Bacino a Valle ciascuno con un proprio impianto idrovoro e relativa rete di sgrondo.
Successivamente però fu ritenuto opportuno suddividere ancora in due il Secondo Bacino a
Valle creando il Terzo Bacino e analogamente il Secondo Bacino a Monte creando il Quarto Bacino.
Detti Bacini assunsero il nome di:
sulla destra Reghena
- Primo Bacino a Monte – TIEPOLO
- Primo Bacino a Valle – SUMMAGA
- Quarto Bacino – SAN GIUSTO
Sulla sinistra Reghena
- Secondo Bacino a Monte – CAMPEIO
- Secondo Bacino a Valle – MASATTA
- Terzo Bacino – PALU’
Negli impianti idrovori dei Bacini di cui sopra, fu progettata la installazione di otto gruppi
pompe-motore uno per ogni impianto tranne per i due ultimi Bacini, San Giusto e Palù, ai quali
venivano assegnati due gruppi; per far muovere detti motori fu previsto il collegamento di ogni
singolo impianto con una linea elettrica da 6.000 volts, energia elettrica che sarebbe stata fornita
dalla Società del Cellina e trasformata in ogni singolo sito a 220 volts.
Per maggior precauzione, non potendo escludere eventuali interruzioni della fornitura
elettrica da parte della Società del Cellina anche se di non lunga durata ma egualmente con
conseguenze gravi, il Consorzio deliberò di comprendere nel progetto anche la costruzione di un
impianto autonomo di produzione di energia elettrica di riserva, costituito da un alternatore
azionato da un motore Diesel della potenza di 240 cavalli e nelle adiacenze, la costruzione di un
fabbricato adibito ad abitazione del personale di macchina e custodia con annessa officina.
Il risparmio però non fu sufficiente in quanto i costi per le opere della tua arginatura in
destra e sinistra e per una estensione di ben sette chilometri superavano ogni possibilità economica
e pertanto questa fu enucleata.
Tutto quanto sopra riportato era contenuto nel nuovo progetto datato 30 ottobre 1920 e nei
successivi progetti di variante.
Questi progetti, come tutti i precedenti,
erano stati redatti dall’Ingegnere Antonio Del
Prà e volendo conoscere meglio questo
progettista chiesi notizie; mi fu detto che la
progettazione della bonifica di tutto il
territorio fu affidata a due ingegneri di
Portogruaro: l’ingegnere Ettore De Götzen che
operò sulla sinistra Lemene fino al Canale
Taglio e da Portogruaro al mare nel
comprensorio del Consorzio di Bonifica
Lugugnana, e l’ingegnere Antonio Del Prà che
operò invece sulla destra Lemene fino al
Fiume Livenza, progettando tutte le opere del
Bacino Reghena. Tracimazione di fossi
Due figure queste di grande intelligenza
e capacità sulle quali però non posso soffermarmi per mancanza di tempo ma che, tu devi
assolutamente sapere, hanno modificato la geografia del “distretto di Portogruaro” con opere di
eccellenza tecnica.
Terminata la guerra, constatati gli aumenti dei costi intervenuti per la realizzazione della
bonifica e non rimosso ancora l’ostacolo economico della costruzione delle arginature, il
Consorzio, nel voler dar corso alle opere, inoltrò la richiesta di partecipazione da parte del
Comune di Portogruaro, interessato alla bonifica per ragioni igieniche in quanto i terreni palustri
circondavano anche il centro abitato da quasi tutti i lati.
A sua volta il Comune sollecitò l’intervento del “Commissariato delle terre liberate”,
istituzione sorta nell’immediato dopoguerra, che per conto dei Comuni interessati e della
Provincia e con l’impiego della manodopera disoccupata provvide alla esecuzione dei lavori di
arginatura.
Era l’anno 1921, l’anno di una deprimente e profonda crisi che aveva avuto gravi
ripercussioni sul proletariato, producendo più di mezzo milione di disoccupati.
Così potè prendere l’avvio la esecuzione di tutte le opere principali e complementari,
sempre progettate e dirette dall’Ingegnere Del Prà, opere che vennero poi collaudate il 4 maggio
1937.
Sicuramente, dinanzi all’ordinato spettacolo delle campagne, delle rigogliose distese, dei
ridenti sobborghi che si andava a delineare con il progredire delle opere di bonifica e che si è poi
integrato con il completamento di queste, pochi si saranno chiesti allora, e pure oggi sempre pochi
si chiedono, cosa ci fosse un tempo prima di tutto questo e chi fossero stati i protagonisti delle
grandi opere di trasformazione del nostro territorio di cui, non ultima, la Bonifica del Bacino
Reghena, e oggi dimenticati o mai conosciuti.
Tante battaglie, tante vittorie, ma l’archivio conserva le prove anche di amare
delusioni. Infatti la sera del 13 febbraio 1926, l’impianto idrovoro del III° Bacino Palù, costruito e
funzionante da quattro anni, mentre le tue acque ancora torbide si quietavano per la piena che
stava scemando, e quelle interne alla bonifica abbassavano il loro livello tanto da far arrestare il
funzionamento di una delle due pompe, crollava, mentre contemporaneamente si apriva una
breccia lungo l’arginatura.
Nulla lasciava presagire questo
evento anche perché poco prima del crollo vi
era stata una visita in luogo dell’ingegnere
Altan, tecnico del Consorzio, assieme al
macchinista dell’impianto Lorenzetto che
non avevano notato nulla di allarmante.
Ed è proprio nella mal fatta
arginatura nel tratto sul quale insisteva
l’impianto di sollevamento, che fu
individuata la causa del crollo.
Certamente questa sembrava essere
una perfida rivincita della natura che volesse
riprendersi la palude.
Crollo del 3° bacino Palù Dopo l’intervento per tamponare la falla con
solide ture, furono poste provvisoriamente
delle pompe a cavaliere dell’argine in sostituzione temporanea dell’impianto e successivamente
l’impianto crollato fu ricostruito nelle vicinanze.
Se fino ad ora ti ho parlato di territorio, di progetti, di opere realizzate fino alla fine del
secondo ventennio del secolo scorso, ora voglio ricordarti le imprese più importanti che sono state
impegnate nello stesso periodo, per la realizzazione dei lavori di bonifica, con la partecipazione
anche in forma cooperativistica di tanta manodopera e senza avere a disposizione i mezzi
meccanici su cui oggi si può contare, e precisamente: Impresa Canciani Giuseppe di Luigi di Cinto
Caomaggiore, Doardo Giovanni di Marco di Portogruaro, Cooperativa Edile di Cinto
Caomaggiore, Cooperariva Edile di Teglio Veneto, Consorzio delle Cooperative della Provincia di
Venezia, e altre minori nonché l’Impresa Boschin Pietro di Antonio di Portogruaro che eresse
anche il monumento in piazza a Summaga in memoria dei Caduti per la Patria nella prima guerra
mondiale (anno 1921).
Il Consorzio sentita la necessità di dare delle regole definitive alla “vita” consorziale,
formulò lo Statuto, in sostituzione a quello precedente datato 21 luglio 1905, che stabiliva la
Definizione, lo Scopo, la Delimitazione e la Sede dello stesso Consorzio.
Inoltre fissava le spese obbligatorie e loro ripartizione, la Classifica del comprensorio,
l’organizzazione composta dall’ Assemblea Generale dei consorziati, dal Consiglio dei Delegati,
dalla Deputazione Amministrativa e dal Presidente.
Lo Statuto stabiliva anche la costituzione di un Collegio dei Revisori dei Conti, le normative
per il funzionamento dell’Ufficio Amministrativo e Tecnico e per la Contabilità; stabiliva inoltre
l’Esattoria e l’Esattore nonché delineava la funzione di Cassiere, la istituzione e l’aggiornamento
del Catasto, la normativa per i Lavori Consorziali, la Disciplina e le Contravvenzioni, il tutto in ben
72 Articoli datati 28 settembre 1924.
Merita che io ti ricordi pure i nomi, anche se non tutti, delle prime oculate
Amministrazioni del Consorzio, presiedute per molti anni dal cav. Francesco Dal Moro, e
composte nei primi anni dai deputati di cui cito alcuni nomi noti: Bertolini Gian Camillo, Foligno
dott. Carlo, Sidran Natale, Rubazzer avv. Otello, Bertoia cav. Vincenzo e altri, nonchè dai
consiglieri Delle Vedove Antonio Moro, Bortolussi Valentino, Casarotto Umberto, Stival Antonio,
Torcoli Francesco, Milan Giovanni, Dal Molin Antonio, Pasian Natale, Gobbesso Giacomo,
Campaner Costante, Ballarin Mario, Bombarda Cav. Antonio, Fabroni Dott. Francesco, Dal Moro
Ing. Augusto solo per citarne una parte di quelli che si sono succeduti nel tempo, appartenenti per
la maggioranza all’alta borghesia di Portogruaro.
Merita citare che tra i presenti elencati nel verbale dell’Assemblea del 28 settembre 1924,
indetta per l’approvazione del nuovo Statuto e per la nomina dei Consiglieri, compare la prima
“quota rosa” della storia della bonifica che io abbia incontrato nel “passato” del Consorzio, con il
nome della Signora Zanin Amalia.
Voglio anche ricordarti il primo solerte segretario del Consorzio geom. Enrico Del Prà
figura caratteristica, come viene descritto da chi lo ha conosciuto, con una lunga e folta barba
bianca, enormi baffi pure bianchi sempre curati e sagomati da un particolare “piegabaffi” che alle
volte si dimenticava di togliere.
E passarono gli anni anche quelli della Seconda Guerra Mondiale e la bonifica fu sempre
mantenuta attiva e sopravvisse a tante alluvioni.
Si succedettero le Amministrazioni, gli ingegneri progettisti e Direttori dei Lavori anche in
relazione alla adesione data dal Consorzio al Raggruppamento che formava i Consorzi Riuniti di
Portogruaro, Ente questo creato per unificare i servizi tecnico-amministrativi senza peraltro
togliere l’autonomia giuridica di ognuno dei Consorzi aderenti.
Trascurando un periodo di normale amministrazione durante il quale non sono occorsi fatti
da ritenere doveroso segnalarti, voglio parlarti del grande progetto dell’Ingegnere Diego
Mortillaro – Direttore Tecnico dell’Ente Consorzi – per l’aggregazione ai vari Consorzi che
segnavano il limite nord del raggruppamento, dei terreni superiori agli stessi; non vennero tenuti
in considerazione i confini territoriali o amministrativi ma individuati invece i bacini idrografici
dei corsi d’acqua che gravitavano su detti comprensori bonificati e precisamente dei Fiumi Sile,
Loncon, Reghena, Lemene e Versiola.
Sono “nati” così i nuovi bacini di bonifica del Sile, del Loncon Superiore, del Reghena
Superiore e del Medio Lemene Versiola.
Il progetto non prevedeva per questi bacini solamente un razionale riordino della rete
scolante bensì mirava al recupero e al convogliamento a valle delle fresche acque della rete
scolante di detti bacini, per l’irrigazione dei rispettivi comprensori di bonifica soggiacenti.
L’area idrografica del lungo tuo corso, da Casarsa fino alla località Sega, che prima tu mi
hai descritto, veniva dunque a formare il comprensorio del Bacino Reghena Superiore delimitato
dai seguenti confini: a levante dalla ferrovia Casarsa-S.Vito al Tagliamento e poi dalla strada
S.Vito-Bagnarola-Gruaro-Giai-La Sega; a sud dal confine settentrionale del già esistente Consorzio
di Bonifica Reghena; a est dalla strada Summaga-Cinto-Marignana-Torrate, poi dalle strade
secondarie attraverso le località Boscato, Pradolini, Scarfo, Ronchis sino a San Giovanni di Casarsa.
Alla presentazione di questo
grande progetto in occasione della prima
mostra della Bonifica allestita nel mese di
settembre del 1957 dai Consorzi di
Bonifica di Portogruaro, era presente
anche il Cardinale Celso Costantini.
Si dovette attendere il Decreto del
Presidente della Repubblica emesso in
data 2 luglio 1959 per vedere aggregato al
tuo Consorzio il Bacino Superiore di circa
5.700 ettari di cui 1.450 in Provincia di
Venezia e 4.250 in Provincia allora di
Udine.
Con tale Decreto fu pure
soppresso il piccolo Consorzio di Bonifica Inaugurazione della mostra della Bonifica
“Melmosa Selvata” che tu hai incontrato e ricordato lungo il tuo corso. Il vecchio e piccolo
Consorzio che porta il tuo nome non ha subito nel tempo molte variazioni.
Ha solamente cambiato sede, assieme agli altri, nel 1978 e a me, nella nuova Sede, è stato
consegnato un grande archivio con scaffalature metalliche scorrevoli, moderne, nelle quali ho
depositato tutto l’archivio del settore amministrativo.
Nello stesso anno i vecchi Consorzi Riuniti fra
Taglio e il Livenza hanno lasciato il posto al Consorzio di
Bonifica Pianura Veneta tra Livenza e Tagliamento che ha
inglobato nel suo perimetro il limitrofo Consorzio di
Bonifica di San Michele al Tagliamento e, senza tener conto
dei bacini idrografici dei corsi d’acqua interessati, ha
fissato il limite nord del suo territorio di competenza con il
confine amministrativo regionale.
Successivamente le modifiche degne di nota sono
state: la costruzione di un nuovo impianto idrovoro per il
III° bacino Palù ad ovest di quello originario, con l’escavo
dei un nuovo canale di carico, e questo, a seguito delle
necessità imposte dalla vasta urbanizzazione della
periferia ovest di Portogruaro; il potenziamento
dell’impianto idrovoro Summaga per analoghe necessità;
l’arginatura della zona compresa dalla ferrovia a
Portogruaro e Via Volpare, pure questa intensamente
urbanizzata, per la modifica dello sgrondo della stessa, da
naturale in prosciugamento meccanico, con la istallazione
di una elettropompa; la modifica delle torrette delle cabine
Idrovorista Luigi Piccolo ( foto di proprietà di Ivana Piccolo)
di trasformazione di tutti gli impianti per
l’ammarraggio dei nuovi cavi per la
fornitura dall’ENEL dell’energia elettrica in
sostituzione dell’antica linea a 6.000 volts,
torrette brutalmente elevate e coperte a
terrazzo, così come tu le hai descritte nel
racconto del tuo percorso.
Inizia l’era delle automazioni, dei
comandi e controlli a distanza e anche i
piccoli impianti della tua bonifica sono stati
comandati elettronicamente da una
centrale operativa e il personale addetto al
loro funzionamento e controllo ha cessato
ogni sua funzione
Però non posso non ricordare
proprio il più umile ma indispensabile
contributo di molti incaricati al
funzionamento degli impianti idrovori, ma
di contro, non ti voglio nemmeno fare un
elenco di nominativi che oramai poco
direbbero e che, tra l’altro, anche una sola mia involontaria dimenticanza potrebbe far tanto
dispiacere: ti voglio invece dire che era un lavoro senza orari, lavoro fatto da tante e tante ore
ininterrotte secondo la necessità del prosciugamento. Non vi era né cambio nè sostituzione per
loro, tanto è vero che questi idrovoristi si sdraiavano per brevi momenti di riposo in una branda
accanto alle pompe svegliandosi di soprassalto se il rumore del motore cessava o modificava il suo
ritmo, segnale questo di avaria.
Da notare che, data la misera retribuzione di cui godevano, questo impegno era sempre
accoppiato, per necessità, ad altro lavoro, generalmente agricolo o in officine meccaniche che
dovevano sospendere ogniqualvolta ve ne fosse la necessità.
Ma, ripensandoci, se da un lato non ho citato alcuno per ricordali tutti, dall’altro non posso
fare a meno di raccontarti un tragico lutto che ha colpito la comunità di Summaga occorso il 3
giugno del 2010 nella lontana Anatolia.
Ti chiederai che attinenza ha ciò con il racconto della bonifica?
Con la bonifica ha un nesso in quanto uno degli assuntori che si chiamava Piccolo Luigi,
nato il 9 novembre del 1887 a Gruaro e successivamente trasferitosi a Summaga, il 15 agosto del
1924 assunse l’incarico di idrovorista dell’impianto di “Summaga”.
Tra i suoi documenti di lavoro presso i Consorzi, ho trovato una “cartella personale” con
indicati oltre che al titolo di studio, anche i dati relativi al sevizio militare svolto, nonché una
”scheda personale” che ben ricorda le leggi razziali dell’epoca fascista.
Luigi si sposò con Anna Calderan ed ebbero sei figli: Maria, Umberto, Antonio, Onelia,
Olga e Onorina.
Maria, che lavorava nella filanda di Portogruaro
fece amicizia con una compagna di lavoro, una certa
Giovanna Padovese, che a sua volta le fece conoscere il
fratello Natale in occasione di uno dei suoi rientri da
Milano dove lavorava presso la casa discografica “La
voce del padrone”.
Sbocciò l’amore e si sposarono, e dal loro
matrimonio nacquero Armando, Benito-Alessandro e
Luigi.
E Luigi, scelta la via del sacerdozio, divenne
Monsignore, Vescovo e Vicario Apostolico in Turchia e
purtroppo il 3 giugno 2010 morì Martire per la sua
Chiesa.
Sono certa che anche tu hai visto Summaga
piangere uno dei figli migliori e io ho voluto dividere
con te la mia commozione.
Scusami per la digressione, e proseguendo il
mio racconto, nel 2010 anche il Consorzio Pianura
Veneta è cessato ed è subentrato il Consorzio di
Bonifica Veneto Orientale del quale per poco tempo ho
fatto parte.
Mi sembra di averti raccontato tutto quello che
io sapevo e vorrei aggiungere solamente che di quel complesso “ingranaggio” che sono stati e che
sono i Consorzi di Bonifica di Portogruaro, io ho l’orgoglio di averne fatto parte, di essere stata una
delle tante, seppur modeste, ruote dentate che lo hanno mosso e oggi, che ho cessato il mio lavoro,
mi sento pienamente soddisfatta e felice.
Ora ti saluto, caro Reghena, ti
ringrazio ancora per aver, per un
momento, sostato per raccontarmi la tua
storia e per ascoltare quella della Bonifica
del tuo Bacino; continua la tua pacifica
corsa verso il mare che accoglierà, come
da sempre, le tue acque, confuse con
quelle del Fiume Lemene.
L
Lucia Segato
Documentazione consultata:
- archivio del Consorzio Veneto Orientale di Portogruaro
- intervista con il geom. Antonio Martecchini, ex funzionario dell’Ente Consorzio di
Portogruaro, con consultazione della sua biblioteca.
Scuse per eventuali involontarie omissioni o imprecisioni su fatti nomi e date.
Allegati:
- Stima per riparazione ruote del molino della Sega - Regio Decreto ( Decreto costitutivo del Bacino Reghena)