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CONNESSIONI La relazione terapeutica è il tema centrale attorno cui ruotano i lavori degli autori che seguono. I testi, pur esponendo anche aspetti tecnici, si articolano attorno a questo punto di vista. BIANCIARDI ci ricorda che "// soggetto epistemico della cibernetica di secondo ordine non è un'idea astratta, ma un concreto organismo biologico 'osservatore' unico ed irripetìbile delle relazioni e dei contesti dei quali resta partecipe e parte dì". Questa condizione porta il terapeuta ad un'attenzione particolare agli aspetti emozionali della relazione.Viene, così, riesplorato anche il transfert e la differenza tra ottica psicoanalitica ed ottica sistemica. BERTOCCHI e MURARO rileggono temi fondamentali quali: le indicazioni allaTerapia Individule e la presentificazione degli assenti, sottolineando l'attenzione necessaria per cogliere la relazione tra il paziente, la "sua malattia" ed il "suo sistema". Tutto verrà filtrato dalla qualità di questa relazione. Sempre legato al tema, l'intervento di BERTRANDO ed ARCELLONI che porta a considerare l'ipotesi come "struttura che connette" terapeuta e cliente in un "dialogo" che garantisca una vera co-costruzione. TOFFANETTI chiude con riflessioni sulla fine della terapia. Il tema era stato definito da Boscolo nella intervista introduttiva come "momento fondamentale della terapia". Quando attuarla e come? L'autore scrive; "La questione del termine della terapìa individuale mette in gioco molto più la relazione terapeutica che la validità o la conoscenza del modello". Centralità della relazione terapeutica in terapia sistemica individuale Questa complessità dell'esperienza soggettiva resta pur sempre 'misteriosa' avrebbe detto Bateson, misteriosa perché L et terapia familiare classica, che prevede la compresenza di per definizione non possiamo tutto il nucleo familiare in seduta (e, eventualmente, della fami- com-prenderla dall'esterno glia allargata, o di invianti, conoscenti, amici...), non è oggi molto frequente. Le domande di psicoterapia sono prevalentemente individuali, non sempre è facile coinvolgere tutto il nucleo familiare quando lo si ritiene utile e opportuno, e i clinici formati in psicoterapia familiare sistemica rice- vono prevalentemente invii di coppia. Marco Bianciardi* Non è questa la sede per formulare ipotesi relative ai motivi di questo dato di fatto. Se lo ho ricordato è solo per affermare che non è, e non deve essere, questo il motivo primario per cui dobbiamo interrogarci di più e meglio sulla psicoterapia sistemica individuale, sui suoi fondamenti teorici, sulla teoria della clinica. A mio parere, infatti, il motivo primo e prioritario è di natura teorica. Proporrò in questo saggio alcune riflessioni sulla centralità della relazione terapeutica in psicoterapia, con il fine di suggerire una tesi apparentemente provocatoria: possiamo e dobbiamo considerare l'approccio sistemico come l'approccio elettivo in psicoterapia individuale. * Bianciardi M., Responsabile scientifico Associazione Episteme, Via Ricasoli 4, Torino. Tei. 011882821. E-mail: [email protected]. 157

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La relazioneterapeutica è il tema

centrale attorno cui ruotano i lavoridegli autori che seguono. I testi, pur

esponendo anche aspetti tecnici,si articolano attorno a questo punto di vista.

BIANCIARDI ci ricorda che "// soggetto epistemico dellacibernetica di secondo ordine non è un'idea astratta, ma unconcreto organismo biologico 'osservatore' unico ed irripetìbile dellerelazioni e dei contesti dei quali resta partecipe e parte dì".Questa condizione porta il terapeuta ad un'attenzioneparticolare agli aspetti emozionali della relazione.Viene, così,riesplorato anche il transfert e la differenza tra otticapsicoanalitica ed ottica sistemica.

BERTOCCHI e MURARO rileggono temi fondamentali quali:le indicazioni allaTerapia Individule e la presentificazione degliassenti, sottolineando l'attenzione necessaria per cogliere larelazione tra il paziente, la "sua malattia" ed il "suo sistema".Tutto verrà filtrato dalla qualità di questa relazione.

Sempre legato al tema, l'intervento di BERTRANDO edARCELLONI che porta a considerare l'ipotesi come "strutturache connette" terapeuta e cliente in un "dialogo" che garantiscauna vera co-costruzione.

TOFFANETTI chiude con riflessioni sulla fine della terapia.Il tema era stato definito da Boscolo nella intervistaintroduttiva come "momento fondamentaledella terapia". Quando attuarla e come?L'autore scrive; "La questione deltermine della terapìa individualemette in gioco molto più larelazione terapeutica che lavalidità o la conoscenza delmodello".

Centralità dellarelazione terapeuticain terapia sistemicaindividuale

Questa complessitàdell'esperienza soggettivaresta pur sempre'misteriosa'avrebbe detto Bateson,misteriosa perché

L et terapia familiare classica, che prevede la compresenza di per definizione non possiamotutto il nucleo familiare in seduta (e, eventualmente, della fami- com-prenderla dall'esterno

glia allargata, o di invianti, conoscenti, amici...), non è oggi moltofrequente. Le domande di psicoterapia sono prevalentemente individuali,non sempre è facile coinvolgere tutto il nucleo familiare quando lo si ritieneutile e opportuno, e i clinici formati in psicoterapia familiare sistemica rice-vono prevalentemente invii di coppia.

Marco Bianciardi*

Non è questa la sede per formulare ipotesi relative ai motivi di questodato di fatto.

Se lo ho ricordato è solo per affermare che non è, e non deve essere,questo il motivo primario per cui dobbiamo interrogarci di più e megliosulla psicoterapia sistemica individuale, sui suoi fondamenti teorici, sullateoria della clinica.

A mio parere, infatti, il motivo primo e prioritario è di natura teorica.Proporrò in questo saggio alcune riflessioni sulla centralità della relazione

terapeutica in psicoterapia, con il fine di suggerire una tesi apparentementeprovocatoria: possiamo e dobbiamo considerare l'approccio sistemicocome l'approccio elettivo in psicoterapia individuale.

* Bianciardi M., Responsabile scientifico Associazione Episteme, Via Ricasoli 4, Torino. Tei.011882821. E-mail: [email protected].

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pazientesistema

persona

II soggetto della cibernetica di second'ordine

L a cibernetica di secondo ordine ha riconosciuto appieno l'importanzadell'individuo come soggetto di esperienza, di conoscenza, di significati,

di emozioni, di passioni, di progetti, di sogni, di desideri. Se l'individuodella prima cibernetica era, semplificando un po', una pedina presa dentroun 'gioco' più grande di lui, oggi consideriamo l'individuo come il soggettoche propone attivamente la propria visione del mondo e la propria descri-zione delle relazioni; ciascuno di noi è, come ha affermato von Foerster,responsabile del proprio mondo - della versione del mondo, cioè, che eglicrea, inventa, 'mette innanzi'.

È bene però ricordare che la riscoperta del soggetto da parte dellacibernetica di secondo ordine non reintroduce il soggetto della logica clas-sica (un soggetto ontologico, dotato di un proprio statuto autonomo che èindipendente dalla relazione e precede la possibilità di entrare in relazionecon gli altri e con i contesti di vita), bensì scopre un soggetto epistemico,un soggetto di conoscenza.

Il soggetto epistemico della cibernetica di secondo ordine non è un'ideaastratta, bensì è un concreto organismo biologico dotato della potenzialitàdi porsi come 'osservatore' assumendo un punto di vista per certi versiunico ed irripetibile sulle relazioni e sui contesti dei quali tuttavia resta pursempre partecipe e parte di.

Il concetto di 'osservatore' non è ontologico, bensì operazionale: unorganismo o una macchina in grado di operare distinzioni o di cogliere dif-ferenze, grazie alla chiusura dei circuiti retroattivi che ne specificano Pope-razionalità, è un osservatore.

Dico un osservatore perché ^Osservatore (con l'articolo determinativo e lainiziale maiuscola, per intenderci) non esiste: esistono miriadi di osservatoriconcreti, ciascuno dei quali è specifico, unico, irripetibile, in quanto è radica-to nella storia che lo ha preceduto e calato nel contesto entro cui si pone.

Del resto, il celebre aforisma di Maturana suona precisamente, e non acaso, come segue: "Tutto ciò che è detto è detto da un osservatore" (e non,appunto: "Tutto ciò che è detto è detto da /'osservatore").

Ciò che mi preme sottolineare è che ogni osservatore biologico (qualenoi siamo) è un organismo il quale ha sì la potenzialità di differenziarsi daicontesti che lo hanno generato, ponendosi così come osservatore del conte-sto medesimo e costruendo una propria 'realtà', ma quest'ultima sarà, enon potrà che essere, congruente ai vincoli e alle possibilità secondo cui laderiva evolutiva lo ha costruito come organismo in grado di porsi comeosservatore. L'osservatore della cibernetica di secondo ordine, quindi, deve

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essere considerato come un organismo in carne e ossa: un organismo con-creto, fatto di carne e di sangue, di organi sensoriali e circuiti neuronali, equindi per nulla avulso, disincarnato, autonomo, rispetto ai processi dell'e-voluzione biologica.

Si tratta di un osservatore storico e contestuale, strettamente vincolatoalla nicchia ecologica e alla storia evolutiva, che ne specificano le caratteri-stiche percettive stesse secondo cui egli costruisce la propria 'realtà'.

Come hanno mostrato Maturana e Varela, l'organismo costruisce una'realtà', una versione del suo mondo, che emerge dalla chiusura ricorsivasecondo cui il cervello comunica con l'organo sensoriale che comunica dinuovo con il cervello, ecc. Ora, il fatto che la percezione costruisca unmondo che emerge dalla chiusura di questo processo, può far pensare cheil reale (la realtà là fuori di noi, la 'cosa in sé' kantiana, inconoscibile in sé eper sé) non entri per nulla in questo anello che si chiude su stesso. Ma ilreale è presente a monte, è presente come condizione di possibilità. Sipotrebbe dire, anzi, che il reale è già e fin da subito onnipresente, in quantolo è in ogni singola cellula del cervello e dell'occhio dell'organismo, nonchénella forma e nelle proprietà dell'anello ricorsivo medesimo.

La 'realtà' dell'osservatore biologico non è in-formata dalle caratteristi-che del reale là fuori, bensì è in-formata da (è formata coerentemente a) lecaratteristiche dei suoi organi sensoriali, percettivi, cerebrali. Il punto è chel'organismo biologico stesso appartiene al reale, appunto, e resta quindiinconoscibile in sé, pur essendo la condizione di possibilità della costruzio-ne di ogni 'realtà' - ivi comprese le 'mappe' o le descrizioni che l'organismopuò fare di sé medesimo (che noi possiamo fare del nostro corpo e del suofunzionamento).

La storia e i contesti, quindi, costruiscono le caratteristiche biologichedell'osservatore, il quale costruirà il proprio 'mondo' coerentemente allapropria biologia.

L'esperienza specificatamente umana

L f esperienza dell'uomo, in quanto linguistica e culturale, è caratterizzatada una specificità e da una complessità che la differenziano dall'espe-

rienza degli altri osservatori biologici. Tale specificità però non elimina(ma, piuttosto, conferma ad un differente livello) il suo essere radicato neicontesti che egli abita ed il suo far parte della storia di un processo evolutivo.

Il soggetto umano infatti è un soggetto linguistico, il quale, oltre al radi-camento nel reale che caratterizza ogni organismo biologico, sperimenta unradicamento culturale, sociale, linguistico.

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—pazientesistema

persona O

La lunghissima dipendenza sperimentata dai cuccioli dell'uomo (neote-nia), farà dell'uomo adulto un animale caratterizzato da una dialettica tradipendenza e autonomia propria a lui solo: una dialettica come vedremoper certi versi drammatica, e che sarà precisamente ciò che affrontiamo inpsicoterapia.

Il linguaggio infatti permette quella meravigliosa autonomia soggettivache è l'autonomia del costruire la propria 'realtà'. Si tratta della libertà dicreare, con le parole, sempre nuove versioni dell'esperienza, o di evocare erendere attuale nel discorso ciò che in quel momento non è presente, o,ancora, di sognare un mondo inesistente e di impegnarsi per costruirlo opartire per cercarlo: è la autonomia dal mero dato di realtà, è la libertà del-l'utopia, è la possibilità di creare la 'realtà' della nostra esperienza e delmondo che abitiamo, di creare mondi 'controfattuali'... Autonomia altempo stesso meravigliosa e fragilissima, perché è una autonomia che nascenella dipendenza più intima e radicale: la dipendenza dall'altro che ci donala parola (e si tratta di un dono, lo sappiamo, di quelli che non si possonorifiutare).

Ora, questa dipendenza dall'altro è così drammatica perché essa è, ine-vitabilmente, relativa anche alla definizione di sé (o all'immagine di sé): laquale innanzi tutto dipende dalla relazione primaria (perché è all'internodella relazione primaria che viene costruita la prima versione di una defini-zione di sé, o dell'immagine di sé: la matrice, per così dire); e che, in seguito,dipenderà dalla relazione con gli altri significativi. Si potrebbe dire che lalunghissima dipendenza del piccolo dell'uomo per la sua sopravvivenzaconcreta, da una parte permette una straordinaria autonomia dal reale,d'altra parte comporta una dipendenza dall'altro per la sopravvivenza psi-cologica, dipendenza da cui il soggetto non potrà mai emanciparsi deltutto.

Infatti, poiché la definizione di sé nasce da come raccontiamo noi a noistessi, poiché l'immagine di sé non è 'oggettiva' bensì è anch'essa creata, oinventata, nel linguaggio, sia l'una che l'altra dipendono due volte dall'altro:dipendono dall'altro in quanto sono costruite con i termini, le parole, e leregole sintattiche che ciascuno di noi ha solo potuto ricevere, accettare efare propri; e dipendono dall'altro in quanto sia l'una che l'altra sono arbi-trarie per definizione, e non possono quindi prescindere dal bisogno di unaconferma all'interno delle relazioni significative.

Il nostro sé è una costruzione autonoma segnata dalla dipendenza, siaperché i mattoni per costruirlo li abbiamo ricevuti in dono, sia perché èuna costruzione che non si regge da sola, che non sta in piedi senza la con-tinua, costante, conferma dell'altro.

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La dialettica dipendenza-autonomia quindi si colloca, e si manifestafino alle sue estreme conseguenze, al cuore della peculiarità dell'essereuomo dell'uomo; e deve essere rintracciata alla radice del divenire 'uomo'da parte di quel cucciolo del tutto incapace di sopravvivere per tempi lun-ghissimi che tutti noi siamo stati: tale dialettica si da nel nodo che intreccia,nel linguaggio, la libertà di creare mondi possibili [autonomia] al disperato,assoluto, bisogno della conferma dell'altro [dipendenza],

II linguaggio introduce, e per sempre, ad una dimensione ove il legametra la parola e ciò che il termine designa si fa debole, praticamente inesi-stente, del tutto convenzionale (da cui la libertà di inventare il mondo cheabitiamo), ma ove, anche e proprio per questo, il legame all'altro, e al biso-gno della conferma pragmatica dell'altro, si fa drammatico, in ultima analisiobbligato, necessario (da cui la dipendenza non risolvibile all'altro per sal-vaguardare un'identità pur sempre minacciata, provvisoria, da farsi e rifarsicostantemente nel racconto di sé a se medesimi...).

M i sono soffermato su questi aspetti per ricordare fino a che punto l'e-sperienza dell'uomo sia, per definizione, relazionale: il 'mondo' che

egli crea, e di cui deve considerarsi pur sempre responsabile, da un altropunto di vista emerge dalla pratica delle relazioni linguistiche: dalle intera-zioni primarie per il piccolo dell'uomo, e dalle relazioni emotivamentesignificative per l'individuo adulto. E poiché la 'realtà' che ciascuno di noiinventa comprende anche quell'ininterrotto racconto di sé a se medesimiche è la soggettività, ne consegue che la soggettività di ciascuno di noi èsottomessa al primato della relazione.

Se, quindi, il soggetto si vede e si considera 'incapace', o 'sfortunato'(per fare esempi semplici, anche se un po' banali, che ci introducono find'ora alla clinica), da un lato dobbiamo considerarlo pienamente responsa-bile di questa descrizione (che, naturalmente, non ha nulla di oggettivo),d'altro lato dobbiamo riconoscere che essa è emersa all'interno delle rela-zioni primarie, e viene continuamente rinegoziata, per così dire, all'internodelle relazioni in cui egli si impegna come adulto; e qui sta la complessitàdel punto di vista attuale, che, nel riscoprire la centralità del soggetto, nondeve dimenticare la centralità dei contesti, i quali intessono il soggetto dal-l'interno, e sono presenti in ogni singola parola del suo narrare a se stessola propria esperienza soggettiva.

Ed è questa la complessità della posizione soggettiva, il suo abitare unnodo in cui si intrecciano la autonomia non riducibile del punto di vistasoggettivo e la dipendenza non eludibile dalle relazioni e dai contesti cuil'individuo partecipa.

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II dramma di ognuno di noi sta precisamente nel fatto che d'un lato lasoggettività nasce intessuta fin nell'intimo dalle parole e dalla struttura stes-sa della lingua naturale entro cui ci poniamo come soggetti, e che, d'altrolato, dobbiamo saperci pienamente responsabili delle modalità secondo cuifacciamo uso di quelle parole, di quella sintassi, di quelle premesse implici-te e segrete a noi stessi, per declinare nel tempo l'inesausto racconto cherivolgiamo a noi stessi della nostra esperienza di vita.

Si potrebbe dire che l'esperienza soggettiva è attraversata da questacomplessità, o che si da nell'abitare questo nodo in cui la responsabilità el'autonomia individuale si intrecciano con la contestualità e la relazionalitàdell'esperienza: l'individuo deve riconoscersi pienamente responsabile diqualcosa che non controlla affatto, o comunque non controlla in modo uni-laterale.

Questa complessità dell'esperienza soggettiva resta pur sempre 'miste-riosa', avrebbe detto Bateson - misteriosa perché per definizione non pos-siamo com-prenderla dall'esterno.

E, proprio in quanto così inafferrabile nella complessità non riducibileche la caratterizza, l'esperienza soggettiva che la persona porta in psicotera-pia individuale può risultare davvero coinvolgente ed appassionante.

E forse per questo che, in psicoterapia individuale, mi accade piùsovente di provare quella che io chiamo la profonda gratitudine del tera-peuta, la gratitudine per il fatto che una persona si affidi a me e mi raccontile sue esperienze più difficili, e riesca a volte a dirmi ciò che era fino a quelmomento segreto a lui stesso ... e sento più spesso che davvero la storia, ele vicissitudini, e il cammino dell'altro, mi arricchiscono come persona, miinsegnano molto sulla vita, e, a volte, anche su di me e sulla mia esperienza.

Priorità della relazione nell'approccio sistemico

A bbiamo visto come il soggetto riscoperto dalla cibernetica di secon-d'ordine sia un soggetto di conoscenza che è un concreto organismo

biologico che obbedisce alle caratteristiche secondo cui la storia evolutivalo ha generato; e abbiamo sottolineato come l'esperienza dell'uomo sicaratterizzi come linguistica (e quindi come contestuale e relazionale) finnel cuore dell'esperienza di sé: nella costruzione di una immagine di sé enel racconto di sé rivolto a se stesso.

Riprendiamo quindi la tesi che ho proposto all'inizio di queste rifles-sioni: i sistemici dovrebbero considerarsi i più interessati alla psicoterapia

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individuale, perché in realtà l'approccio sistemico può e deve essere consi-derato il più appropriato ad affrontare una domanda di psicoterapia indi-viduale.

Per comprendere il senso e le ragioni di questa affermazione si conside-ri che in psicoterapia individuale la relazione più significativa(da ognipunto di vista) presente nel qui-e-ora è la relazione terapeutica. E si ricordiche i cimici sistemici si caratterizzano precisamente per questo: per il fattodi considerare primaria la relazione nel qui-ed-ora.

Ora, come notò Freud quando scoprì il fenomeno da lui denominato'transfert', è ben difficile lavorare con qualcosa che non c'è (in absentia o ineffigie, per dirla, con Freud, in modo colto). Ciò su cui si può fare ipotesi, esoprattutto ciò su cui si può intervenire, è ciò che è presente nel qui-ed-ora,cioè la relazione terapeutica (per Freud, quindi, i fenomeni di transfert econtro-transfert).

Il punto è che, per Freud, la relazione non è primaria: ciò che è, eresta, primario è l'inconscio - anche se poi le modalità inconsapevoli sitrasferiscono, appunto, nella relazione e lì possono e devono essereaffrontate.

È bene sottolineare a questo proposito che i sistemici restano infondo dentro la stessa logica di Freud se e quando considerano primariala famiglia (i 'giochi' familiari, ad esempio). Questo modo di considerarele cose resta pur sempre lineare-causale: c'è stata l'esperienza in famiglia,e ora la persona viene da noi e ripropone con noi le modalità che ha deu-teroappreso in famiglia. In questo modo restiamo dentro una logicalineale e di tipo causale, perché consideriamo primario qualcos'altro (inquesto caso non l'inconscio, ma il sistema familiare) e secondaria la rela-zione nel qui ed ora.

Ciò che a mio parere ha caratterizzato fin dal suo nascere l'approcciosistemico è stato il riconoscere che ciò che noi sperimentiamo è la relazioneattuale, mentre sul passato e sul futuro facciamo ipotesi e costruiamo storie.

È la relazione nel qui-ed-ora che ridefinisce il passato (di solito lo con-ferma, ma questa è un'altra storia). Non è il passato che determina il pre-sente. Noi sistemici questo lo studiarne nelle prime pagine di Pragmaticadella comunicazione umana, è Vabc della sistemica, insomma: ma nel vivo del-l'incontro con l'altro ce ne dimentichiamo quasi subito, perché ricordarseloè davvero difficile.

Certamente, non possiamo non fare ipotesi e cercare spiegazioni che ciappaiano convincenti. Ma non dobbiamo dimenticare che le nostre spiega-

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pazièntesistema

persona Q

zioni (ad es. l'ipotesi del deuteroapprendimento nel contesto delle relazionifamiliari) è solo una delle possibili modalità di spiegare la nostra esperienza nel-l'incontrare ora quella persona. Ce ne sono altre, e sono altrettanto interes-santi e plausibili; ma in fondo ciò che conta, quando incontriamo l'altro, èsolo una cosa: il definirsi della relazione tra me e lui nell'incontro che avvienequi e adesso. Di conseguenza, se si tratta di psicoterapia, ciò che conta è chetra me e l'altro si definisca una relazione in cui l'altro possa narrare diversa-mente a se stesso la propria esperienza, e quindi non riproporsi, ad esempio,come 'depresso'.

Ora, considerare primaria la relazione, significa essere davvero convintiche è primaria la relazione nel qui ed ora, cioè la relazione con me - e questoè molto difficile (per me resta comunque un'esperienza soggettiva assai rara).Significa ad esempio essere davvero convinti, esserlo emotivamente, esserlocon la pancia e con il cuore, 'sentirlo' oltre che 'pensarlo'... che il depressonon è depresso, bensì propone anche qui, anche ora, anche con me, unarelazione all'interno della quale venga visto e descritto come 'depresso' -ma, se ci riesce, questo dipende innanzi tutto dall'incontro con me adesso,non dal passato.

Tutto ciò ci permette di riaffermare che l'approccio sistemico è l'ap-proccio 'elettivo' per la psicoterapia individuale.

Appunto perché si fonda sulla priorità della relazione, e riconosce lacentralità della relazione nel qui-ed-ora, ovvero la centralità dell'incontro edella relazione tra persone che la psicoterapia individuale è.

In definitiva: i sistemici considerano primaria la relazione nel qui-ed-ora,e considerano secondarie tutte le possibili ipotesi, spiegazioni, teorie, cosìcome le diverse tecniche, pratiche, ecc.

Tutti gli altri approcci terapeutici considerano, per lo meno in teoria, larelazione solo come un 'mezzo' (che può favorire o ostacolare il processo) inquanto considerano qualcos'altro come prioritario (sia l'inconscio, sia il com-portamento, siano i 'giochi' familiari nella psicoterapia familiare 'classica').

La differenza di fondo è tra il pensare che ci sia un 'qualcosa' che prece-de la relazione e che poi si manifesta (nel comportamento, nel sintomo,nella relazione), e l'accettare il fatto che ciò che precede la relazione nel quied ora è, sempre e solo, un universo di possibilità: le molteplici possibilità chetutti noi abbiamo di proporci nella relazione.

Naturalmente, questo universo di possibilità non è infinito (in quanto sida entro i vincoli del nostro essere concreti organismi biologici), e, soprat-tutto, tende a presentarsi come molto più ridotto, almeno operativamente,

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rispetto all'universo teorico delle possibilità (questo ridursi, o limitarsi, diun universo di possibilità teoricamente molto ampio è spiegato dalla teoriadella comunicazione come il risultato dell'effetto limitante della comunicazio-ne, ovvero dell"abitudine', delle 'premesse', delle 'aspettative', ecc.. Ed èesperienza di tutti noi che più la persona è 'malata' più è probabile che ilsuo numero di possibilità nel proporsi si restringa, per lo meno su di unpiano operazionale).

In ogni caso, se e quando riusciamo a 'sentire' e 'sapere' che prioritaria èla relazione nel qui-ed-ora, allora le domande che ci poniamo non sono sulpassato (dell'altro), bensì sul presente (ove noi siamo coinvolti appieno).

Ad esempio: come mai ora e nella relazione con me l'altro si proponecome 'depresso' ?

E come posso propormi io, al fine di offrirgli altre possibilità di propor-si nella relazione con me in questo momento ?

Credo che per un sistemico mantenere aperta e centrale questa doman-da sia di per sé difficile (perché lo è sempre). Ma credo anche che sia ancorpiù difficile per tutti coloro che non considerano prioritaria la relazione.

Per questo la terapia sistemica deve considerarsi elettiva in psicoterapiaindividuale.

Prima di procedere devo però sottolineare che questa convinzione (chel'approccio sistemico sia l'approccio elettivo per la psicoterapia individua-le) deve accompagnarsi alla consapevolezza di una grande ignoranza: unagrande ignoranza relativa sia alle modalità secondo cui viene a definirsi larelazione nel qui ed ora dell'incontro individuale, sia a come proporsi nellarelazione con l'altro.

Le modalità secondo cui l'altro propone una modalità relazionale in cuivenga confermato il suo essere 'depresso', sono implicite e non dette, avven-gono, per così dire, all'insaputa del soggetto, si pongono sul piano dellepremesse logico-emotive, che, in quanto pre-poste al modo di raccontare disé e delle proprie esperienze, precedono il racconto che l'altro fa di sé edella relazione con me, sono come la precondizione del racconto medesi-mo. Inoltre, tali modalità non sono semplici, univoche, coerenti e monoliti-che; al contrario, esse sono complesse, articolate, contradditorie, ambiva-lenti, sottili, si sviluppano su registri differenti, per così dire sottotraccia,tra le righe e le pieghe del racconto...

Credo che dobbiamo riconoscere che gli psicoanalisti (pur all'interno diuna cornice teorica che non considera la relazione come primaria) su que-sto sono un po' meno ignoranti di noi: di fatto ci hanno riflettuto e scrittomolto.

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persona O

La relazione terapeutica come relazione emozionale

E bene a questo punto sottolineare che, oltre al bagaglio di questa igno-ranza, il conversazionalismo/narrativismo comporta un rischio: quello

di privilegiare i contenuti rispetto all'intensità della relazione.La narrativa ha il dono di liberarci dalle illusioni create dal verbo 'essere'

(nessuno è 'depresso', o 'schizofrenico', o 'bravo', o 'cattivo', ma tutte que-ste caratteristiche vengono inventate, proposte, negoziate, confermate,ridefinite, nello scambio di parole); libertà meravigliosa ma anche terribile,inquietante, difficilissima, perché le illusioni create dal verbo 'essere' sonodavvero rassicuranti e di cui abbiamo bisogno ben al di là di quantoriusciamo ad ammettere... siamo letteralmente aggrappati alle beate illusio-ni che costantemente creiamo, come in un gioco di prestigio, dialogandotra noi e dentro di noi: perché nel dialogo usiamo costantemente, in modocomplice e collusivo, descrizioni della forma verbo essere + aggettivo qualifi-cativo, come se stessimo fornendo descrizioni 'oggettive' !

D'altra parte, come ho anticipato, la narrativa comporta anche unrischio: ponendo l'accento sulla parola e sul racconto, rischia di farcidimenticare che le parole sono emozioni - infatti 'feriscono', 'curano', avolte 'uccidono', altre volte 'guariscono'. Mentre una parola, o un racconto,che non sia emozione, è una parola morta, inerte, vuota: il contenuto piùmeravigliosamente 'terapeutico' non ha alcun effetto se il legame della rela-zione in atto non è più forte del legame soggettivo con le proprie narrazioniprecedenti.

La narrativa non deve dimenticare che in principio è la relazione.E che le narrazioni nascono, emergono, si danno, entro la relazione.La pratica clinica ci mette costantemente di fronte a modalità narrative

che, per quanto siano dolorose e facciano soffrire, pare siano inestirpabili:l'impressione è che, per il soggetto, liberarsene sia come strapparsi i viscerie uscire dalla propria pelle.

Il motivo, come abbiamo visto, è che il soggetto le ha costruite e 'inven-tate' all'interno delle relazioni primarie, nel tempo e nel luogo di unadipendenza dall'altro che d'un lato è stata essenziale per la sopravvivenzastessa, e che d'altro canto è stata il contesto stesso entro cui egli ha avutoaccesso al linguaggio e quindi alla possibilità stessa di narrare di sé a semedesimo.

La narrazione di sé, quindi, è stata declinata, fin dal suo primo porsi eproporsi, secondo quelle modalità narrative, che ora appaiono come ine-stricabilmente parte del tessuto stesso, della trama del racconto, che il sog-getto rivolge a se stesso.

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Naturalmente, nel dire questo, sto nuovamente costruendo una ipotesisui motivi per cui alcune persone appaiono così drammaticamente attacca-te, abbarbicate direi, a narrazioni che pure le fanno visibilmente soffrire.

Costruire ipotesi è inevitabile, ed è anche utile ovviamente.Ma si tratta poi di tornare alla relazione nel qui ed ora, e interrogarci

quindi su come proporsi nella relazione con l'altro in modo da offrirgli lapossibilità di decostruire, modificare, ampliare, complessificare, i modi narra-tivi che tanto lo tengono legato ad una impossibilità di cambiare ed evolvere.

Ed io credo che in questi casi, sia utile intervenire sulla relazione stessache l'incontro psicoterapeutico è: sulla relazione tra me e l'altro.

L'intervento attivo sulla relazione terapeutica

V i sono pazienti che presentano sensibili miglioramenti semplicementelasciando aperta la conversazione, introducendo e proponendo nuove

letture e nuovi significati, o anche ricorrendo ai vecchi 'trucchi' dei rituali,delle prescrizioni, ecc.

Nella mia esperienza questo accade soprattutto quando sono in giocosintomi specifici, di solito insorti in epoca relativamente recente, in unmomento del ciclo vitale che ha rotto i vecchi equilibri... probabilmente inquesti casi il fatto che il terapeuta non creda al sintomo in termini 'oggetti-vi', e si interessi a cercare altri significati (ad es. il comportamento sintoma-tico è un messaggio, oppure è orientato al futuro, oppure è finalizzato amantenere lo statu quo precedente, o ancora è utile per evitare pericoli mag-giori...), è sufficiente per sbloccare il classico circolo vizioso che si creaquando il tentativo di soluzione diventa il problema.

Non so se in questi casi si potrebbe parlare di 'fuga nella guarigione' (infondo si tratta di una definizione che può avere senso da un certo punto divista e non da altri), ma è certo che in questi casi a volte poi la persona (oun familiare, se si tratta di un trattamento familiare o di coppia) chiede unaterapia non centrata sul sintomo.

In realtà, soprattutto in psicoterapia individuale, frequentemente ladomanda di psicoterapia è più ampia e nello stesso tempo più profonda;certo è pur sempre possibile ridurla a obiettivi specifici e delimitati ... maperché trattare da 'macchine banali' i nostri simili ? il 'sintomo' sì, ha lecaratteristiche di ripetitività, di prevedibilità, di ottusità direi, delle macchi-ne banali, ma le persone che incontriamo no.

In sintesi: credo che il 'sintomo' sia trattabile utilmente senza coinvolge-re la relazione terapeutica, o meglio 'usando' la relazione (l'autorevolezza,

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la fiducia accordataci, ecc.) per proporre altre letture, altri racconti, o even-tualmente un intervento 'tecnico'. Ma se ci appassioniamo ai racconti sog-gettivi delle persone che a noi si rivolgono, e, naturalmente, se è presenteuna domanda che ci interroga sul nodo di cui parlavo prima (l'essere piena-mente responsabili di una 'realtà' che non possiamo controllare unilateral-mente poiché emerge dalle relazioni), fermarsi al sintomo e alla sua soluzio-ne sarebbe davvero riduttivo.

Vediamo quindi alcuni aspetti specifici di una pratica che mette al cen-tro la relazione terapeutica così come si definisce nel qui ed ora dell'incon-tro interpersonale.

Un primo ambito di intervento è l'intervento sul setting, in particolaresui tempi della terapia.

Quante volte e ogni quanto tempo incontrare la persona che ci chiedeuna psicoterapia individuale ?

La risposta classica in psicoterapia sistemica è la seguente: almeno inteoria, o in linea di principio, una seduta al mese per un numero di seduteconcordato.

Io direi, invece: è possibile, ed utile, deciderlo con la persona a partireda una ipotesi sulla relazione terapeutica. Ho capito che in linea di massi-ma è bene ed è utile accettare i tempi dell'altro, naturalmente per parlarne,farne occasione di comprensione ed ipotizzazione a proposito della relazio-ne terapeutica.

Roberta è una educatrice professionale che chiede una psicoterapiaindividuale dopo essere rientrata a casa della madre, insieme al figlio di 4anni, a seguito di una burrascosa separazione.

È molto motivata, vuole venire fuori in fretta dal brutto periodo che staattraversando, e pur sapendo che il mio modello di psicoterapia prevedesedute distanziate nel tempo chiede di iniziare, per lo meno per un perio-do, con sedute settimanali. Io inizialmente la faccio riflettere sul fatto cheforse la sua richiesta sottende l'idea, o il pregiudizio, che una analisi sia più'approfondita', ecc., e che forse è questo che lei vorrebbe fare... ma leiasserisce di non voler intraprendere una analisi, e quindi accetta la mia pro-posta che prevede 3 sedute quindicinali, per poi passare ad incontri mensi-li. Dopo le tre sedute, restituisco a Roberta una prima ipotesi relativa allasua storia familiare, ai guai in cui si è cacciata con un matrimonio decisa-mente sbagliato, all'immagine di sé fortemente svalutata dopo il fallimento,ecc. Lei comprende bene, razionalmente, ma il suo non verbale è decisa-

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mente distaccato, forse deluso, appare un po' demotivata... Le chiedo sequanto le sto dicendo non la convinca, sottolineo che è lei che deve 'senti-re' se un'ipotesi è utile, perché è lei che 'sa' dall'interno la sua storia; ma leirisponde che è delusa perché le sedute quindicinali le sembravano giàmolto lontane nel tempo, e ora sa che inizieranno le sedute mensili: insom-ma, pare che il contenuto dell'ipotesi o della restituzione non le importimolto a fronte della relazione terapeutica e dei suoi tempi. A quel puntodecido di riprendere l'argomento: subito Roberta si anima, torna ad essereemotivamente presente, si accalora quasi, e riesce a dire che suo papa nonsi interessava mai molto a lei, perché aveva il lavoro, il giornale da leggere,ecc... e lei ha sentito che allo stesso modo io non volessi interessarmi a leial di là degli schemi che il mio modello di psicoterapia prevedevano; riescea dire che ha sempre desiderato di sentirsi un po' 'speciale' per il papa, eche forse la richiesta di avere incontri settimanali era la richiesta di essereuna paziente un po' speciale... Io allora riconosco esplicitamente che que-ste sue riflessioni sono molto pertinenti, e ben si accordano con quanto lestavo dicendo, e concludo proponendole di decidere lei i tempi: lei decidaper quanto tempo incontrarsi settimanalmente, ben sapendo che ne riparle-remo e che le sedute settimanali lasceranno presto spazio a incontri piùdistanziati...

Roberta è molto commossa, ha le lacrime agli occhi, e dice sommessa-mente che per la prima volta ha sentito di essere davvero 'ascoltata', diavere voce in capitolo, di sperimentare un autentico rispetto per la sua per-sona e i suoi desideri...

Il punto essenziale su cui non dobbiamo avere paura di intervenire atti-vamente però non è il setting in quanto tale, bensì la relazione interpersona-le vera e propria.

E vediamo alcuni esempi.

Il sig. Aldo, cinquantenne dirigente d'azienda, sposato con due figli,attraversa una grave crisi personale dopo l'improvviso abbandono da partedella moglie; quest'ultima aveva sempre dettato, a parere di Aldo, le regoledella relazione. Aldo, avendo alle spalle una esperienza difficile come figliounico di una coppia che lui descrive come formata da una madre dura,sempre incazzata col mondo e con la vita, e da un padre gravementedepresso, aveva sempre accettato di buon grado che fosse la moglie a 'por-tare i pantaloni' in famiglia, realizzandosi sul lavoro e sentendosi felicemen-te sposato, fino a che la moglie aveva improvvisamente iniziato una relazio-ne con un uomo ben diverso da lui... (un momento intensissimo, commo-

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vente, davvero ricco anche per me, sarà quando Aldo potrà riconoscere chein un certo senso aveva sempre 'disprezzato' la moglie esattamente comedisprezzava se stesso, e il proprio padre).

Aldo in realtà arriva da me un paio di anni dopo la separazione, e dopodue tentativi di terapia abbandonati da lui dopo poche sedute. La cosa siripete con me, anche perché lavora moltissimo, e ha buon gioco a disdireun incontro per motivi di lavoro e non farsi più sentire. Io lo cerco, e lui,un po' stupito, accetta volentieri di fissare un altro incontro, che sarà dedi-cato a questa sua 'fuga' già verificatasi per ben due volte. Lui afferma chein fondo non crede nelle terapie, che è convinto che nessuno possa real-mente aiutarlo, e mi da l'occasione per intervenire esplicitamente sulla rela-zione terapeutica: "vista la sua esperienza è del tutto comprensibile che leinon senta che qualcuno possa aiutarlo, ma se io la ho cercata è perché sonoconvinto che può farcela: lei ha le risorse per farcela, lei è una persona chenon ha potuto sperimentare la tenerezza e il calore della mamma, e ancormeno ha potuto sentire che suo padre era un uomo con le palle convintoche anche il figlio potesse tirar fuori le palle: quello che lei ha saputo realiz-zare sul lavoro è eccezionale, visto da dove è partito, dimostra che lei ha lepotenzialità per farcela anche nella vita affettiva, ha solo bisogno di sentireche qualcuno ci crede e glielo dice; riesce a sentire che io ci credo?". Inquesti casi i nostri clienti commentano di solito che si tratta di un rapportoprofessionale, che per il terapeuta è un lavoro, ecc., ma il non verbale cambia,sono incuriositi, si animano, non restano indifferenti; e io ribatto che pro-prio perché il setting pone dei limiti precisi, all'interno di questi limiti èpossibilissimo un coinvolgimento emotivo forte, e lo è anche per me: è pos-sibile per me provare interesse reale per l'altro come persona, t tenerci dav-vero al fatto che l'altro stia meglio, e riesca a raccontarsi e sentirsi in unmodo diverso, altrimenti cambierei lavoro...

La terapia di Aldo non è finita ma è andata avanti come cambiandoregistro: da quel momento sono a colloquio con una persona, sofferente,piena di dubbi e di angosce su di sé e sul suo rapporto con le donne, macomunque una persona che sente un rapporto autentico con me..

Anna è una donna vicina alla quarantina, che vive sola dopo un periododi convivenza finito malamente, e riesce a mantenere un lavoro nonostanteuna sintomatologia bipolare grave (il medico che la segue da anni con tera-pia farmacologica le sconsiglia la psicoterapia asserendo che è inutile per-ché lei è malata cronica...). La storia di Anna è davvero triste: parla di unclima familiare di paura, di una mamma così intenta a lamentarsi con leidelle proprie sventure da non avere assolutamente lo spazio mentale perascoltarla, di un padre che ha sempre disprezzato sia la moglie che la figlia,

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fino alla separazione avvenuta quando lei aveva 12 anni. La prima crisieuforica grave, che la porta al ricovero, avviene alcuni anni fa dopo che lamadre ha avuto un incidente stradale perché si era messa alla guida (senzail permesso dei medici) dopo una operazione agli occhi: sopravvive, ma neesce sfigurata in volto, non più autosufficiente, e comunque molto malan-data e muore due anni dopo.

Anna è praticamente sola, perché il padre, che incontra molto raramen-te, pare preoccupato solo di non doversi fare carico della figlia o comunquedi non avere fastidi a causa della sua 'malattia'. Proprio per questo colpisceil fatto che vi sia ancora in lei la voglia di vivere e la fiducia di poter staremeglio: viene ai colloqui da lontano, fa quasi due ore di viaggio in auto perogni incontro, e questo testimonia la sua motivazione.

La prima parte della terapia verte essenzialmente sulle sue richieste diessere rassicurata sulle sue possibilità di miglioramento nonostante quelloche i medici le hanno sempre detto. Io 'sento' che in lei c'è comunque vita-lità, per cui sostengo apertamente che la 'chimica' è una conseguenza delleemozioni che viviamo nei rapporti, che lei ha bisogno di sentirsi 'amata',accettata per quello che è, e ascoltata, da qualcuno per la prima volta invita sua, e io sono lì per quello...Faticosamente Anna lascia il medico cheda anni e anni fa con lei una 'psicoterapia' fatta di colloqui in cui le da del'tu', le dice che sarà cronica tutta la vita e le somministra i farmaci, ed iniziaa farsi seguire per i farmaci da uno psichiatra che sembra più saggio. Nonnego la paura di una ricaduta euforica, che fino ad ora non si è verificata, eriprendo ogni volta con pazienza i temi della sua vita, cercando di far emer-gere la disperazione, la solitudine, il dolore davvero incredibili che la suastoria racchiude...

Maria invece è una signora benestante con un lavoro di responsabilità, èal suo secondo matrimonio, ha un figlio di 6 anni di cui è molto orgogliosa,ma si sente profondamente infelice e in crisi con il marito. Un frammentodi seduta: Maria sta parlando del figlio e racconta commossa che le ha chie-sto: "Ma tu sei felice che io esista ?". Naturalmente io non posso noncogliere una connessione tra questa domanda e molti dei temi più significa-tivi della storia di Maria, e poco dopo le chiedo, molto direttamente. "E leisente che io sono felice che lei esista ? ". Segue uno scambio molto intensoin cui Maria riprende molti aspetti della sua domanda di terapia, ed in par-ticolare il fatto che ha sempre sentito che il papa (da cui si è sentita amata eper il quale si è sentita importante) era però anche un occhio molto giudi-cante e severo, per cui nel suo vissuto lui era felice se lei faceva la 'brava',mentre la mamma aveva sempre da lamentarsi con lei (e in definitiva silamentava della vita che faceva, essendo rimasta 'incastrata' nel matrimonio

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proprio a seguito della nascita di Maria), per cui non appariva affatto felicedella sua esistenza, al contrario...

Conclusioni

A ppare quasi superfluo sottolineare quanto questa modalità di intende-re l'incontro psicoterapeutico metta in luce la responsabilità etica

dello psicoterapeuta.

Se è la relazione nel qui ed ora ciò che ridefinisce il passato (ovvero ilracconto soggettivo delle esperienze passate) non possiamo comunque nonsaperci responsabili di come evolve la relazione terapeutica.

D'altra parte, come nella vita, non possiamo né controllare né prevede-re né indirizzare questa relazione di cui siamo comunque pienamenteresponsabili.

Per questo la nostra responsabilità etica consiste innanzi tutto nel sapermantenere ben salda una posizione di consapevole umiltà e di autentica,attenta, rispettosa curiosità per le persone che incontriamo.

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CLASSIFICAZIONE ARTICOLO

AMBITO

INDIRIZZO TEORICO

CONTESTO DI INTERVENTO

OGGETTO

PROBLEMA O TEMA TRATTATO

PARTE DEL SISTEMA IMPLICATO

ALTRA CLASSIFICAZIONE

intervento

sistemico

psicoterapia

processo terapeutico

relazione terapeutica

individuo

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