Confronto Tra Tre Intavolature Italiane Del Xvii Secolo

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1 TRESOLDI ALBERTA MATRICOLA 11799 ESAME DI INTAVOLATURE A.A. 2014/2015 CONFRONTO TRA TRE INTAVOLATURE ITALIANE DEL XVII SECOLO INTRODUZIONE Il termine Intavolaturain Italia viene utilizzato per la prima volta nel 1507 a Venezia, in un’opera stampata per liuto da Petrucci, intitolata Intabulatura per lauto. Essa nasce quindi come sistema pratico di notazione per il liuto 1 . Successivamente il termine viene esteso anche alle opere a stampa per gli strumenti a tastiera, tra le quali la prima è il volume Frottole intabulate da sonare organi/ Libro primo stampato a Roma da Andrea Antico da Modena nel 1517, il cui scopo principale è di adattare allo strumento a tastiera delle musiche nate per il canto. Nel corso del XVI e XVII secolo il sistema di intavolature si evolve e arriva a differenziarsi anche enormemente a seconda delle scuole di pensiero e delle influenze subite da altre correnti, e anche dal luogo in cui vengono stampate. Molto diverse infatti sono le intavolature spagnole da quelle francesi e tedesche, così come quelle italiane. Lo scopo principale della ricerca di una notazione specifica per lo strumento a tastiera è la praticità e chiarezza per chiunque la legga, anche non esperto, in modo da poter arrivare a suonare senza problemi la musica scritta 2 . Il lavoro svolto durante quest’anno scolastico mi ha permesso di analizzare e suonare tre tipi di composizioni italiane dalle intavolature originali; esse sono, in ordine cronologico, La Partita sopra la Follia di Girolamo Frescobaldi, dal libro di Toccate e Partite di Intavolatura di Cimbalo et Organo stampato per la prima volta a Roma nel 1616, seconda edizione 1617, e terza edizione 1637, Il Ballo Ongaro e il Ballo alla Polacha di Giovanni Picchi, dal libro Intavolatura di Balli d’Arpicordo, stampato a Venezia tra il 1618 e il 1619, ed infine un Balletto di Bernardo Storace, tratto da Selva di varie compositioni d’intavolatura per cimbalo ed organo stampato a Venezia nel 1664. In questo breve scritto, per prima cosa cercherò di contestualizzare ognuna delle tre composizioni nel suo tempo, analizzandone la forma e cercando di capire quali fonti di prima mano ci sono rimaste, infine si tenterà di fare un confronto meramente formale tra i tre tipi di intavolature. 1 BELLASICH-FADINI-LESCHIUTTA-LINDLEY, Il Clavicembalo, Torino, EDT, 1984, p. 96. 2 Ibid., p. 97.

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Tesina discussa in sede dell'esame di "Intavolature"

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TRESOLDI ALBERTA – MATRICOLA 11799

ESAME DI INTAVOLATURE – A.A. 2014/2015

CONFRONTO TRA TRE INTAVOLATURE ITALIANE DEL XVII SECOLO

INTRODUZIONE

Il termine “Intavolatura” in Italia viene utilizzato per la prima volta nel 1507 a Venezia, in

un’opera stampata per liuto da Petrucci, intitolata Intabulatura per lauto. Essa nasce quindi come

sistema pratico di notazione per il liuto1.

Successivamente il termine viene esteso anche alle opere a stampa per gli strumenti a tastiera, tra le

quali la prima è il volume Frottole intabulate da sonare organi/ Libro primo stampato a Roma da

Andrea Antico da Modena nel 1517, il cui scopo principale è di adattare allo strumento a tastiera

delle musiche nate per il canto.

Nel corso del XVI e XVII secolo il sistema di intavolature si evolve e arriva a differenziarsi anche

enormemente a seconda delle scuole di pensiero e delle influenze subite da altre correnti, e anche

dal luogo in cui vengono stampate. Molto diverse infatti sono le intavolature spagnole da quelle

francesi e tedesche, così come quelle italiane.

Lo scopo principale della ricerca di una notazione specifica per lo strumento a tastiera è la praticità

e chiarezza per chiunque la legga, anche non esperto, in modo da poter arrivare a suonare senza

problemi la musica scritta2.

Il lavoro svolto durante quest’anno scolastico mi ha permesso di analizzare e suonare tre tipi di

composizioni italiane dalle intavolature originali; esse sono, in ordine cronologico, La Partita sopra

la Follia di Girolamo Frescobaldi, dal libro di Toccate e Partite di Intavolatura di Cimbalo et

Organo stampato per la prima volta a Roma nel 1616, seconda edizione 1617, e terza edizione

1637, Il Ballo Ongaro e il Ballo alla Polacha di Giovanni Picchi, dal libro Intavolatura di Balli

d’Arpicordo, stampato a Venezia tra il 1618 e il 1619, ed infine un Balletto di Bernardo Storace,

tratto da Selva di varie compositioni d’intavolatura per cimbalo ed organo stampato a Venezia nel

1664.

In questo breve scritto, per prima cosa cercherò di contestualizzare ognuna delle tre composizioni

nel suo tempo, analizzandone la forma e cercando di capire quali fonti di prima mano ci sono

rimaste, infine si tenterà di fare un confronto meramente formale tra i tre tipi di intavolature.

1 BELLASICH-FADINI-LESCHIUTTA-LINDLEY, Il Clavicembalo, Torino, EDT, 1984, p. 96.

2 Ibid., p. 97.

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GIROLAMO FRESCOBALDI, TOCCATE D’INTAVOLATURA DI CIMBALO ET

ORGANO

Questa raccolta di composizioni di Frescobaldi, l’unica delle tre analizzate di cui abbiamo certezza

della stampa su rame (procedimento notoriamente costoso, riservato alle pubblicazioni più

prestigiose, che la rende molto elegante e ben leggibile) venne pubblicata in prima edizione nel

1616, in seconda edizione nel 1617, ed infine nel 1637, a Roma, da Nicolò Borbone.

All’inizio della raccolta Frescobaldi, rivolgendosi al “Lettore”, ci consegna una serie di

“Avvertimenti” su come vorrebbe che fosse eseguita la sua musica: l’esecutore non deve seguire

ritmicamente le battute ma seguire l’andamento, ispirandosi alla musica vocale:

Primieramente che non dee questo modo di sonare stare soggetto a battuta; come veggiamo

usarsi nei Madrigali moderni, i quali quantunque difficili si agevolano per mezzo della

battuta portandola hor languida, hor veloce, e sostenendola etiandio in aria, secondo i loro

affetti, o senso delle parole.3

Altro utile “avvertimento” è quello al punto VIII, nel quale Frescobaldi raccomanda di respirare

bene prima di affrontare un passaggio complesso di semicrome, in modo da

Tanto più fare apparire l’agilità della mano.4

La composizione della raccolta studiata in questa sede è la Partita sopra la Follia.

La Follia nasce come un tipo di danza alla corte portoghese nel secolo XVI. La caratteristica

principale di tale danza era che si alternavano ritmi estremamente lenti a ritmi molto veloci, quasi

sfrenati. Fra il XVII secolo ed il XVIII, specie in Italia, ma anche in Francia, Germania ed

Inghilterra, la “Follia” si arricchì di brani che di “folle” avevano soprattutto tratti compositivi

stravaganti e bizzarri, ed essi stessi si potevano associare, in una medesima composizione, per

affinità o per contrasto. In sostanza, però, quando si ritornava alla “Follia”, si riproponeva anche il

tempo musicale detto ostinato, quale era il tipo di danza originario in sé e per sé, con uno schema

fisso di basso.5

C’è anche da dire che il tema della Follia evolse nel tempo, nel tema della Tarda Follia, portato

nella musica colta per la prima volta da Lully alla corte francese.

3 FRESCOBALDI G., Toccate d’Intavolatura di cimbalo e organo, Roma, Nicolò Borbone, 1637, Prefazione

dell’Autore. 4 Ibid.

5 LOPEZ POSA S., PROFETI M.G., Follia, Follie, Firenze, Alinea Editrice, 2006, pag. 314.

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Nel nostro caso, invece, Frescobaldi sviluppò la sua Follia dal tema della Primitiva Follia. La

Partita è composta da sei parti, che si alternano in un ritmo lento-veloce, mantenendo lo stesso

basso e il ritmo ternario.

GIOVANNI PICCHI, INTAVOLATURA DI BALLI D’ARPICORDO

Giovanni Picchi viene nominato come “maestro di balletto” nel libro di Fabrizio Caroso Nobiltà di

Dame…Libro, altra volta, chiamato Il Ballarino, del 1600. Egli visse a Venezia dove era organista

nella Scuola Grande di San Rocco, e si sa che tentò, senza successo, di diventare organista a San

Marco.

La sua raccolta Intavolatura di balli d’Arpicordo venne stampata tra i il 1618 e il 1619 a Venezia da

Alessandro Vincenti. La prima edizione, nominata nell’Indice di tutte le opere di musica che si

trovano Nella stampa della Pagina di Alessandro Vincenti, nel 1619, è andata perduta. E’ rimasta la

seconda edizione del 1620, nella cui prefazione, Ai gratiosi lettori, Picchi indica la sua volontà di

creare ulteriori volumi di raccolte di danze oltre al primo, se avessero avuto successo. Non si sa se

esistano altre raccolte, purtroppo ci è rimasto solo il primo libro.

Picchi venne riscoperto nel tardo Ottocento da Oscar Chilesotti, che nel 1884 curò un’edizione dei

Balli d’Arpicordo per le Edizioni Ricordi.

Chilesotti nella prefazione della raccolta ottocentesca rimarca un fatto che già Picchi si era

preoccupato di far notare nella sua prefazione originale:

dove prometto far veder cose in modo fuori dalla maniera usata, che perciò non solo parrà a

studiosi difficile il sonarle, ma quasi impossibile il vederle tuttavia non è cosa difficile non

che impossibile à chi vuole, se al volere s’aggiunge la industria, e la solecitudine, avertisca

ciascuno, che quantonque, si scopriranno in molti luoghi queste mie compositioni

discordanti, e false: suonino però non altrimente che come stanno che sentiranno soavissima

melodia.6

Il curatore dell’edizione Ricordi dice che è molto interessante pensare ad un confronto tra Picchi e il

suo contemporaneo Frescobaldi, compositori in un’epoca in cui la tonalità come la intendiamo oggi

non esisteva ancora, i quali

6 PICCHI G., Intavolatura di Balli d’Arpicordo, Venezia, Vincenti, 1620, Prefazione dell’Autore.

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Tentavano, specialmente nella scuola veneziana, strani passaggi d’accordi e stranissime

dissonanze suggerite dall’ispirazione artistica individuale.7

Un esempio chiaro di queste dissonanze considerate quasi scandalose all’epoca è una settima

ripetuta ben due volte nel Ballo Ongaro.

Le due composizioni stesse che ho studiato in questi mesi sono due danze molto particolari e

inusuali, cioè il Ballo Ongaro e il Ballo alla Polacha. Entrambi, come tutte le altre composizioni

della raccolta, sviluppano uno stesso schema armonico in diverse variazioni (chiamate Alio modo) e

terminano con un saltarello.

BERNARDO STORACE, SELVA DI VARIE COMPOSITIONI D’INTAVOLATURA PER

CIMBALO ED ORGANO

Della vita di Bernardo Storace non si sa quasi nulla, se non che era vice maestro di Cappella a

Messina.

La sua unica opera conosciuta è la Selva di Varie Composizioni, della quale è rimasto un unico

esemplare originale nella biblioteca del Conservatorio di Napoli, esemplare stampato a Venezia nel

1664. Nel 1982 ne è stata pubblicata una copia anastatica a cura di Laura Alvini.

Non ci è rimasto il nome dello stampatore che fece incidere la raccolta presumibilmente su lastre di

rame; la grafia dell’incisore è molto elegante, e mette in risalto il trattamento delle diverse voci, e in

questo Storace sembra vicino ai compositori suoi contemporanei del nord Italia. Allo stesso tempo,

però, la sua predilezione per gli intervalli cromatici e le dissonanze eccentriche lo legano anche ai

suoi contemporanei del sud Italia. L’uso non costante delle quattro voci, che diventerà sempre più

una caratteristica propria della letteratura clavicembalistica, induce anche a pensare che nella

dicitura presente sul frontespizio non sia stato un caso che il Cembalo sia stato anteposto

all’Organo.8

La Selva è inoltre l’unica pubblicazione a stampa di un compositore del Sud Italia in intavolatura

per tutto il XVII secolo. Sono presenti in essa diversi tipi di composizioni: partite, variazioni su

basso ostinato, danze stilizzate e pezzi organistici.

Nel nostro caso è stata analizzata una delle danze stilizzate, il Balletto. Esso è diviso in sei sezioni,

cinque in tempo quaternario, l’ultima in tempo ternario e denominata “corrente”; le sei sezioni

ripetono lo stesso schema armonico risultante da due semifrasi ripetute. Ci sono frequenti salti di

ottava al basso che marcano i tempi forti delle battute.

7 CHILESOTTI O. (A cura di), Biblioteca di Rarità Musicali, Volume II, Balli d’Arpicordo di Giovanni Picchi, Milano,

Ricordi, 1884, Prefazione del curatore. 8 CANNIZZARO D., La musica per organo e clavicembalo nei regni di Napoli e di Sicilia tra XVI e XVII secolo,

Roma, Università degli studi “La Sapienza”, p. 138.

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CONFRONTO E CONCLUSIONI

Sappiamo per certo che la composizione di Frescobaldi e quasi per certo che quella di Storace sono

state stampate da lastre incise di rame, invece non è stato possibile trovare informazioni riguardo

alla stampa dei Balli di Picchi.

I righi, superiore e inferiore, sono destinati a contenere le note affidate rispettivamente alla mano

destra e sinistra dell’esecutore, e non ad indicare la ripartizione polifonica delle voci secondo i loro

ambiti; il ricorso ai tagli addizionali fuori rigo è praticamente evitato grazie all’uso di un

ottogramma (eptagramma nel caso di Storace) provvisto di due chiavi (Fa e Do) per la mano sinistra

e di un esagramma (pentagramma per Picchi, ma con chiave di soprano) con chiave di Sol oppure

Do per la mano destra.

A differenza della barra di misura moderna, le stanghette dell’intavolatura hanno molto spesso una

funzione di semplice riferimento, riflettendo solo in parte la pulsazione metrica del brano, per cui si

possono riscontrare, nell’ambito dello stesso brano, quantità variabili tra una stanghetta e l’altra. Le

irregolarità delle ripartizioni delle stanghette derivano anche dal fatto che, alla fine della riga, dove

non c’è mai barra, restano spesso quantità incomplete, delle quali l’incisore non tiene sempre conto

nell’andare a capo. La fine di un brano è contrassegnata da una doppia barra, indipendente per ogni

rigo musicale, solo se resta spazio sufficiente alla fine della riga.

I segni di ripresa sono sempre doppi, anche alla fine dei brani, e figurano separatamente su ciascun

rigo musicale. Essi non appaiono mai all’inizio di una sezione: quindi per ripetere una sezione

occorre basarsi sulla presenza di tale indicazione alla fine della stessa, e mai all’inizio.

Le sole alterazioni originali che si trovano sono i diesis e i bemolle. Un’alterazione è sempre

annullata dalla alterazione opposta (che svolge la funzione del moderno bequadro). Quando non è in

chiave l’alterazione vale, in linea di massima, solo per la nota a cui si riferisce; è valida per le

ripetizioni successive solo nel caso di trilli. Le alterazioni si possono trovare davanti o sotto alla

nota. Accidenti scritti sotto alle note o addirittura fuori dal rigo potrebbero costituire integrazioni

effettuate all’ultimo momento su lastre già incise.

In certi brani (in questo caso, nei balli di Picchi) si riscontrano intervalli di decima alla mano

sinistra, che all’epoca erano semplici da raggiungere in quanto gli strumenti italiani antichi avevano

l’ottava corta.

Venendo al particolare, la Partita sopra alla Follia di Frescobaldi è scritta su due righi di 6 linee

alla mano destra, con chiave di Sol, e 8 linee alla mano sinistra, con indicate le chiavi di Basso e

Tenore. C’è il si bemolle in chiave. Il diesis è indicato con una piccola “x” che annulla il bemolle e

affianca spesso il Fa, e si riferisce sempre solo alla nota alla quale è affiancato. La particolarità

principale della stampa della composizione di Frescobaldi è la tendenza di questa ad essere quanto

più fedele all’espressione che l’autore vuole far ottenere all’esecuzione, anche alla luce dei suoi

“Avvertimenti”: ad esempio i gruppi di semicrome sono isolati dal resto delle note della misura in

cui si trovano, come per far capire che anche il risultato espressivo deve essere “isolato”, risultato

ottenuto per mezzo di profondi respiri.

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La stampa dei Balli d’Arpicordo di Picchi è quella più particolare tra le tre, quasi la più “arcaica”:

sembra quasi sia stata incisa seguendo le regole del Transilvano di Diruta; vi sono due righi, il

primo di 5 linee per la mano destra con indicata la chiave di Do soprano, il secondo di 8 linee per la

mano sinistra, nel quale la chiave di Basso si trova una linea sopra rispetto a Frescobaldi, inoltre nel

balletto del Ballo Ongaro per una misura la chiave di basso viene trasportata, poiché la

composizione richiede in quel frangente un’estensione che le 8 linee non consentono. Altra

caratteristica è il non allineamento tra mano destra e mano sinistra: a differenza di Frescobaldi e

Storace, che isolano i gruppetti di semicrome facendo ben capire come l’accompagnamento alla

mano sinistra debba muoversi, lo stampatore di Picchi adopera note della stessa grandezza e

larghezza, distinguendo il valore solo attraverso i tagli (definiti “bandiere”), quindi un gruppo

esteso di semicrome occupa larga parte del rigo, e sotto l’accompagnamento alla sinistra continua e

si conclude subito lasciando un vuoto per il resto della battuta.

La prima cosa che salta all’occhio vedendo la stampa di Storace è la bellissima miniatura della

prima lettera del titolo di ogni brano. Come stile assomiglia molto a Frescobaldi, presenta due righi

di 6 linee per la destra, con chiave di Do soprano, e 7 linee in basso per la mano sinistra, con chiave

di Basso e di Do segnate come in Frescobaldi. Nel Balletto studiato in questa sede non sono

presenti particolari gruppi di semicrome, e nel contesto le due linee melodiche sono ben allineate.

Bibliografia

BELLASICH A., FADINI E., LESCHIUTTA S., LINDLEY M., Il Clavicembalo, Torino, EDT

Edizioni, 1984.

CANNIZZARO D., La musica per organo e clavicembalo nei regni di Napoli e di Sicilia tra XVI e

XVII secolo, Volume primo, Roma, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, 2004

CHILESOTTI O. (A cura di), Biblioteca di Rarità Musicali, Volume II, Balli d’Arpicordo di

Giovanni Picchi, Milano, Ricordi, 1884

DARBELLAY E., Le Toccate e i Capricci di Frescobaldi: Genesi delle edizioni e apparato critico,

Milano, Suvini-Zerboni, 1988

FRESCOBALDI G., Toccate e partite di intavolatura di Cimbalo, Libro Primo, Roma, 1616, Prima

edizione

FRESCOBALDI G., Toccate e partite di intavolatura di Cimbalo, Libro Primo, Roma, Nicolò

Borbone, 1637, Seconda edizione

KIPNIS I., The Harpsichord and Clavicord: An Encyclopedia, London, Routledge, 2013

LOPEZ POZA S., PROFETI M.G., Follia, Follie, Firenze, Alinea Editrice, 2006

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PICCHI G., Intavolatura di Balli d’Arpicordo, Venezia, Vincenti, 1620, Seconda edizione

VINCENTI A., Indice di tutte le opere di musica che si trovano nella stampa della pagina,

Venezia, 1619