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Conferenza ESPAnet Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015 Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto Quale comunicazione sociale contro la violenza sulle donne? Analisi comparativa delle rappresentazioni del fenomeno e delle strategie di prevenzione e contrasto nelle campagne di comunicazione sociale dei Governi italiano e spagnolo Autore Gabriella Polizzi Università di Enna “Kore”

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Conferenza ESPAnet

ITALIA Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015

Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di

sviluppo a confronto

Quale comunicazione sociale contro la violenza sulle

donne?

Analisi comparativa delle rappresentazioni del

fenomeno e delle strategie di prevenzione e contrasto

nelle campagne di comunicazione sociale dei Governi

italiano e spagnolo

Autore

Gabriella Polizzi

Università di Enna “Kore”

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Quale comunicazione sociale contro la violenza sulle donne? Analisi comparativa delle rappresentazioni del fenomeno e delle strategie di

prevenzione e contrasto nelle campagne di comunicazione sociale dei Governi italiano e spagnolo1

1. Introduzione

Nell’ultimo ventennio il fenomeno della violenza nei confronti delle donne è entrato a pieno titolo

nell’agenda dei Governi di un numero crescente di Stati europei (Corradi, Stöckl 2014), all’interno

della quale – anche in virtù dell’azione esercitata del sistema dei media – esso è stato assunto al rango

di «problema sociale» (Hilgartner, Bosk 1988).

Guardando ai singoli Stati, a fianco di fondamentali provvedimenti legislativi nazionali, volti a

codificare come “reati” comportamenti precedentemente non tematizzati come “devianti” e, a volte,

percepiti come “normali” perfino dalle vittime, si è assistito alla proliferazione di campagne di

comunicazione sociale, intese come uno degli strumenti utili ad implementare politiche volte a dare

supporto alle vittime di violenza, e in anni più recenti, a prevenire le cause potenziali di insorgenza

del fenomeno.

In questo ambito comunicativo, attori sociali differenti – quali, anzitutto, i movimenti femministi, e

poi le istituzioni pubbliche, il mondo dell’associazionismo civile e, non ultimo, il sistema dei media

– hanno messo in atto specifici interventi, che hanno visto da parte di tutti gli attori coinvolti il

tentativo di applicare – in maniera più o meno consapevole – principi, strategie e tecniche proprie del

marketing sociale (Kotler, Roberto 1989).

A partire da queste premesse, la ricerca qui presentata, attualmente in corso, intende identificare quali

rappresentazioni della violenza sulle donne e quali strategie comunicative di prevenzione e contrasto

del fenomeno stiano emergendo dalle campagne di comunicazione sociale realizzate dagli Stati

membri dell’Unione europea.

La ricerca intende saggiare alcune ipotesi di partenza in base alle quali Paesi caratterizzati da

differente esperienza nel campo dell’intervento pubblico in materia di violenza contro le donne stiano

attuando campagne di comunicazione che differiscono, da un Paese all’altro, sulla base di variabili

quali i tipi di violenza trattati, i tipi di destinatari e beneficiari delle campagne, le modalità di

rappresentazione delle vittime, degli atti di violenza, dei loro autori e dei contesti socio-ambientali in

cui le violenze si consumano e, infine, i frame utilizzati per definire il fenomeno, gli obiettivi

1 Sintesi della relazione accettata all’Ottava Conferenza di ESPAnet-Network for European Social Policy Analysis, sezione ESPAnet Italia su “Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto”. Università degli Studi di Salerno, Fisciano, 17-19 settembre 2015.

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comunicativi perseguiti dalle campagne e le strategie comunicative adottate all’interno di queste

ultime.

Al riguardo, sulla base della proposta avanzata da Corradi e Stöckl (2014) – che, in relazione al

differente periodo di avvio degli interventi pubblici in materia di violenza sulle donne, hanno distinto

gli Stati europei in tre gruppi, rispettivamente, early bird, intermediate e newcomer – ci si attende

che, passando dai Paesi newcomer a quelli intermediate a quelli early bird, si passi da campagne di

comunicazione più “generaliste” a campagne maggiormente differenziate rispetto alle suddette

variabili.

A partire da questa cornice teorica, questo contributo intende cominciare a saggiare tali ipotesi

mettendo a confronto due dei ventotto Stati dell’Unione europea, l’Italia e la Spagna,

tradizionalmente accomunati da matrici culturali simili ma annoverabili, rispettivamente, tra i

newcomer e gli intermediate in relazione al differente periodo di avvio degli interventi pubblici in

materia.

A tal fine, durante l’Ottava Conferenza ESPAnet Italia 2015 (d’ora in poi: Conferenza), dopo avere

discusso il ruolo che la comunicazione sociale contro le violenze sulle donne può avere nei confronti

della rappresentazione del fenomeno, verranno presentati metodo e risultati emersi dall’analisi

testuale delle campagne televisive di pubblicità sociale realizzate sul tema tra il 2009 e il 2015 dai

Governi italiano e spagnolo, con l’obiettivo ultimo di mettere a confronto le modalità di

rappresentazione della violenza sulle donne e le strategie comunicative di prevenzione e contrasto del

fenomeno adottate nei due Paesi.

2. Il ruolo della comunicazione sociale contro le violenze sulle donne

In letteratura c’è un sostanziale accordo sul fatto che la comunicazione sociale si configuri come uno

degli ambiti specifici di quel tipo di comunicazione, definibile come “pubblica”, nella misura in cui

essa ha per oggetto affari di interesse generale. Caratteristica distintiva della comunicazione sociale

è che essa affronta argomenti che rivestono un grado di controversialità relativamente basso, se

confrontati con quelli trattati in altri ambiti della comunicazione pubblica, quali l’ambito della

comunicazione politica (Gadotti 1992; Mancini 1996; Grandi 2001).

Al riguardo, richiamando la distinzione tra temi e valori, «è possibile che la comunicazione sociale

propriamente intesa affronti dei temi che, almeno in parte, presentano un certo livello di

controversialità ma sottintende valori a proposito dei quali sono ben poche le posizioni discordanti»

(Mancini 1996, p. 233). Una simile definizione può essere utilmente applicata anche alle campagne

di comunicazione contro la violenza sulle donne di fonte governativa. Riprendendo in questa sede

una riflessione condotta altrove da chi scrive (Polizzi, Oliveri 2015), è possibile affermare che se,

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all’interno di uno Stato, può riscontrarsi disaccordo tra differenti forze politiche, o tra queste e i

cittadini, a proposito di quali debbano essere i provvedimenti più utili a contrastare il fenomeno, è

indubbio che negli ultimi anni – in un numero crescente di Stati dell’Unione europea, compresi la

Spagna, prima, e l’Italia, poi – attori sociali differenti (il Governo, il mondo dell’associazionismo

civile, il sistema dei media, e, più recentemente, le istituzioni scolastiche) abbiano espresso un elevato

grado di accordo circa la necessità di contrasto alle violenze di genere.

Sulla base del tipo di azione che la campagna di comunicazione sociale chiede al destinatario di

mettere in pratica e a seconda delle possibili relazioni tra comunicatori, destinatari e beneficiari dei

messaggi della campagna, previste all’interno della stessa, è possibile distinguere tre tipi di campagne

di comunicazione sociale (Gadotti 1992, pp. 24-28):

1. gli appelli al pubblico;

2. le campagne di comunicazione di sensibilizzazione;

3. le campagne di comunicazione di educazione.

Come previsto dal Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria Italiana, gli appelli al pubblico sono

caratterizzati dal fatto che l’ente comunicatore – cioè, la fonte della campagna sociale – si rivolge ai

destinatari chiedendo loro «il volontario apporto di contribuzioni in denaro, beni o prestazioni di

qualsiasi natura», i beneficiari dei quali saranno, in un primo tempo, l’ente comunicatore, e, in un

secondo momento, i soggetti ai quali – in forme dirette o indirette – quest’ultimo indirizzerà il

contributo ricevuto. Nel caso di un problema sociale come quello della violenza contro le donne, gli

appelli al pubblico potrebbero essere finalizzati, ad esempio, alla raccolta di fondi per la costruzione

di un centro di accoglienza che ospiti donne che hanno sporto denuncia contro i propri maltrattatori.

Le campagne di comunicazione di sensibilizzazione, invece, presentano messaggi volti a proporre,

incentivare, modificare o scoraggiare opinioni, atteggiamenti o comportamenti dei propri destinatari

nei confronti di altri soggetti. Questi ultimi rappresentano i beneficiari del vantaggio che i destinatari

della campagna potranno produrre in loro favore, se sceglieranno di aderire al messaggio che la

campagna propone. Nel campo delle violenze contro le donne, potrebbe trattarsi di campagne che

hanno come destinatari – attuali o potenziali – soggetti maltrattatori oppure testimoni di atti di

violenza, ai quali una campagna di comunicazione di sensibilizzazione può suggerire di adottare

nuove idee e/o nuovi comportamenti, dai quali, a sua volta, può scaturire un beneficio per le attuali o

potenziali vittime di violenze.

Infine, le campagne di comunicazione di educazione si caratterizzano per il fatto che il destinatario

ed il beneficiario ultimo delle stesse coincidono: si tratta di campagne che si rivolgono direttamente

al beneficiario, proponendo a quest’ultimo l’adozione di idee, atteggiamenti o comportamenti dai

quali egli stesso trarrà un vantaggio. Esempi di campagne di comunicazione di educazione contro le

violenze sulle donne possono essere rintracciati in tutte quelle campagne che hanno come destinatari

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le donne vittime di violenze e che suggeriscono a queste ultime di intraprendere specifiche azioni –

come, ad esempio, l’abbandono del partner violento o il ricorso ad un servizio telefonico anti-violenza

– che produrranno benefici per le medesime.

Anche nel campo della comunicazione sociale contro la violenza sulle donne appare utile distinguere

diversi tipi di campagne di comunicazione a seconda del fatto che esse si pongano in prevalenza uno

dei seguenti quattro obiettivi: rinforzo, richiamo, amplificazione o anticipazione di un tema (Gadotti

2003). In particolare, in presenza di problemi che presentano un carattere di permanenza, una

campagna sociale può perseguire l’obiettivo di rinforzo nei confronti di uno specifico tema oppure di

richiamo, a seconda che il tema goda, rispettivamente, dell’interesse attuale o potenziale da parte

dell’opinione pubblica.

Al contrario, se il problema trattato presenta carattere di emergenza anziché di permanenza, una

campagna sociale può perseguire l’obiettivo di amplificazione dello stesso oppure di anticipazione, a

seconda che il tema goda, rispettivamente, dell’interesse attuale o potenziale da parte dell’opinione

pubblica.

Con specifico riferimento alla pubblicità sociale – da più parti considerata come uno dei principali

strumenti della comunicazione sociale – ne sono state identificate due fondamentali funzioni,

rispettivamente, in termini di shaper e di mirror (Gadotti, Bernocchi 2010, p. 24), le quali sono

rintracciabili anche nelle campagne contro le violenze sulle donne.

Guardando alla funzione di shaper, è possibile affermare che le campagne di pubblicità sociale – in

aggiunta ad una molteplicità di testi mediali di altro genere (testi giornalistici, programmi della fiction

televisiva, canzoni, ecc.) – contribuiscono alla creazione di «rappresentazioni sociali», le quali

consistono in insiemi organizzati di credenze sul mondo che si costruiscono e si sedimentano grazie

a processi di interazione sociale. Le rappresentazioni sono in grado di orientare gli individui

all’azione, nella misura in cui strutturano in essi specifiche percezioni del mondo (Moscovici 1961;

Farr, Moscovici, eds., 1984).

Tale funzione di shaper propria della pubblicità sociale è coerente con la «teoria della coltivazione»

(Gerbner, Gross 1976; Gerbner et al. 1986), la quale evidenzia il ruolo dei media e, in particolare,

della televisione, come agenti di socializzazione a lungo termine e «coltivatori» di rappresentazioni

del mondo nella mente dei loro fruitori.

Con riferimento alla funzione di mirror, la pubblicità sociale agirebbe, invece, come una sorta di

«specchio» – sia pure non fedele – in grado di riflettere e, spesso, amplificare il livello di importanza

che un valore o specifici temi ad esso collegati hanno assunto nella «sfera pubblica mediata»

(Thompson 1995). Si pensi ad esempio alla campagna governativa di pubblicità sociale contro lo

stalking realizzata in Italia a partire dal 2009, la quale ha rispecchiato la risonanza attribuita in quegli

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anni – sia da parte del sistema politico sia da quello dei media – a nuovi provvedimenti legislativi in

materia.

A sua volta, il “contenuto” riflesso dalle campagne di pubblicità sociale – cioè gli argomenti che sono

diventati oggetto di attenzione da parte di tali campagne – potrà contribuire a produrre nuovi discorsi

sul tema, i quali andranno ad alimentare ulteriore dibattito, ad esempio, all’interno di un talk show

televisivo. Quest’ultimo esempio evidenzia come sia possibile rintracciare tale funzione di mirror

anche nel più generale campo della comunicazione contro le violenze sulle donne, all’interno del

quale discorsi prodotti da attori sociali differenti si richiamano a vicenda, secondo continui rimandi

intertestuali, in una logica di “specchi” posti l’uno di fronte all’altro.

Da questo punto di vista, campagne di pubblicità sociale come quelle realizzate dai Governi nazionali,

agendo sia da shaper che da mirror di problemi sociali, contribuiscono al processo di agenda setting

(McCombs, Shaw 1972), nella misura in cui si affiancano agli organi di informazione nel costruire

un «ordine del giorno» di argomenti di discussione etichettati come «rilevanti» per la discussione

pubblica.

Con riferimento a ciascuno dei quattro obiettivi che una campagna di comunicazione sociale può

porsi – rinforzo, richiamo, amplificazione o anticipazione di un tema – è possibile concludere che la

funzione di mirror propria della pubblicità sociale si esercita nei casi in cui una campagna persegua

l’obiettivo di rinforzo oppure quello di amplificazione di discorsi già circolanti su un problema,

mentre la funzione di shaper è propria di quelle campagne che, affrontando temi sui quali non c’è

sufficiente consapevolezza e attenzione da parte dell’opinione pubblica, necessitano di un’azione di

richiamo o di anticipazione.

Più in generale, la comunicazione sociale – come tutte le forme di comunicazione pubblica,

soprattutto quelle che promanano da istituzioni pubbliche – persegue sia obiettivi funzionali sia

obiettivi di integrazione simbolica (Mancini 1996).

Applicando tale distinzione all’ambito delle campagne governative di comunicazione sociale contro

le violenze sulle donne – oggetto della ricerca illustrata nei prossimi paragrafi – è possibile affermare

che tali campagne perseguono obiettivi funzionali tutte le volte che sono finalizzate a definire i ruoli

e gli ambiti di competenza dell’istituzione-committente, e ad agevolare la circolazione delle

informazioni riguardanti i servizi erogati a favore dei cittadini-utenti, ossia a supporto delle donne

che hanno subito violenza; si pensi, a questo proposito, alle campagne che informano circa

l’attivazione di un centro anti-violenza e che ne promuovono il numero di telefono mediante appositi

spot pubblicitari. Al riguardo, svariati studiosi hanno identificato tale ambito della comunicazione

sociale che persegue prevalentemente obiettivi funzionali come «comunicazione di pubblico servizio»

(Gadotti, a cura di, 2001; Mancini 1996) o «comunicazione di pubblica utilità» (Faccioli 2000) per

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distinguerlo da quello della «comunicazione sociale propriamente intesa», che avrebbe, invece,

prevalente funzione di integrazione simbolica.

Le campagne di comunicazione contro le violenze sulle donne che si propongono principalmente

quest’ultimo obiettivo perseguono non tanto una finalità di informazione su specifici servizi quanto

la promozione di valori. Tali valori vengono assunti e presentati come socialmente rilevanti

dall’istituzione che commissiona la campagna, in ragione di una emergenza sociale che può consistere

nell’aumento di specifici reati o, meglio, nella loro emersione resa possibile dall’aumento delle

denunce e dalla parallela accresciuta visibilità offerta loro dagli organi di informazione, come si è

verificato in Italia, ad esempio, a proposito del reato di stalking.

La distinzione tra comunicazione funzionale e comunicazione di integrazione simbolica non esclude

che una medesima campagna di comunicazione sociale – o anche, uno dei singoli strumenti di

comunicazione che supportano la realizzazione della campagna (affissione, annuncio su quotidiani,

spot televisivo, sito Internet, evento in piazza ecc.) – possa perseguire simultaneamente entrambi gli

obiettivi, attraverso una strategia che, generalmente, parte dalla promozione di un valore socialmente

rilevante, alla quale segue l’offerta di informazioni su uno specifico servizio, presentato come mezzo

mediante il quale quel valore può essere riaffermato e tutelato.

La modifica di idee, la creazione di specifiche emozioni e la promozione di nuovi comportamenti

presso i suoi destinatari sono tra i principali obiettivi di una campagna sociale, la quale si prefigge

sempre di ottenere uno o più effetti persuasori.

Guardando al più vasto campo di ricerca sulla persuasione, uno studio estremamente noto e

applicabile anche all’analisi dell’efficacia delle campagne di comunicazione sociale è quello di

Lavidge e Steiner (1961), i quali hanno individuato sei fasi tipiche che un consumatore attraversa nel

processo decisionale che lo condurrà all’acquisto di un prodotto o servizio. Com’è proprio delle

campagne di comunicazione sociale – che interpellano i propri destinatari come “cittadini” anziché

come “consumatori” – il processo decisionale suddetto ha come punto terminale non tanto l’acquisto

di un prodotto (che, se semmai, è uno degli obiettivi intermedi della campagna) quanto l’adozione di

una nuova idea o di un nuovo comportamento da parte dei destinatari. Secondo il modello di Lavidge

e Steiner tale processo decisionale è scomponibile nelle seguenti fasi:

- le fasi della consapevolezza (1) e della conoscenza (2) strutturano la dimensione cognitiva

(learn) del processo decisionale, nella misura in cui in ciascuna di esse l’individuo acquisisce

informazioni – più o meno intenzionalmente – e sulla base di tali informazioni si forma opinioni

su idee o comportamenti che la campagna intende promuovere;

- le fasi del gradimento (3) e della preferenza (4) implicano nel destinatario lo sviluppo di

emozioni che agevolano l’accettazione di idee o comportamenti che la campagna intende

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promuovere, e, pertanto, hanno a che fare con la dimensione affettivo-emotiva (feel) del

processo decisionale;

- infine, le fasi della convinzione (5) e dell’acquisto (6), quest’ultimo inteso nella suddetta

accezione di adozione di una nuova idea o di un nuovo comportamento, si riferiscono alla

dimensione conativa (do) del processo decisionale, nella misura in cui hanno come potenziale

esito finale un’azione.

Al riguardo, una campagna di comunicazione sociale può mirare esclusivamente al raggiungimento

di un obiettivo comunicativo di tipo cognitivo, affettivo-emozionale o conativo, oppure, può

perseguire contemporaneamente una gerarchia di obiettivi.

Infine, a seconda del rapporto tra l’enunciatore (l’ideal-tipo di soggetto che comunica il messaggio)

ed enunciatario (l’ideal-tipo di soggetto al quale il messaggio è rivolto) iscritti all’interno del testo è

possibile distinguere tre tipi principali di strategie comunicative, basate, rispettivamente, sulla

distanza pedagogica, sulla distanza non pedagogica o sulla complicità (Fisher e Veron 1986). Tale

distinzione può essere utilmente applicata al campo della comunicazione sociale, come mostrato, ad

esempio, dall’analisi che Grandi (2001) ha condotto con riferimento alle campagne sociali contro

l’uso della droga realizzate dal Governo italiano negli anni ’90 del secolo scorso.

La strategia della distanza pedagogica è caratterizzata dal fatto che l’enunciatore è dotato di saperi e

competenze specifiche maggiori rispetto a quelli dell’enunciatario, al quale queste risorse sono

trasmesse tramite apposite «istruzioni» secondo modalità quali, ad esempio, il volere, il potere ed il

dovere, esemplificate, rispettivamente, da marker testuali quali “se vuoi/volete sapere”, “tu puoi/voi

potete fare”, “tu devi/voi dovete fare”. L’uso di una simile strategia all’interno delle campagne di

comunicazione sociale contro la violenza sulle donne potrebbe essere finalizzato a persuadere, ad

esempio, le vittime o anche i testimoni di atti di violenza a compiere azioni specifiche (quali,

rispettivamente, lasciare il partner violento, e supportare la vittima nel momento in cui lei deciderà di

denunciare il maltrattatore). In altri termini, campagne del genere sembrano più adatte a raggiungere

prevalentemente obiettivi di tipo conativo ed, eventualmente, anche obiettivi di tipo affettivo-

emozionale, specie nel caso in cui siano presenti appelli e/o immagini che sollecitano nei destinatari

emozioni quali il senso di responsabilità e, come suo correlato, il senso di colpa.

La strategia della distanza non pedagogica, tipicamente rintracciabile nei testi prodotti nell’ambito

dell’informazione giornalistica, mira a presentare i fenomeni trattati come se fossero “fatti oggettivi”.

Per raggiungere questo effetto di senso, le figure dell’enunciatore e dell’enunciatario tendono ad

essere celate e l’enunciatore – anche in questo caso “distante” dall’enunciatario poiché dotato di

saperi e competenze maggiori – pressoché in nessun caso tende a rivolgersi direttamente

all’enunciatario per dargli istruzioni. Per questa ragione, l’adozione di una simile strategia all’interno

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delle campagne di comunicazione sociale contro la violenza sulle donne sembra essere utile a

raggiungere prevalentemente obiettivi di tipo informativo e, secondariamente, di tipo conativo.

La strategia della complicità, riconoscibile dall’uso del «noi» inclusivo, è caratterizzata dal fatto che

l’enunciatore attribuisce a se stesso il medesimo sapere e saper fare, e spesso anche il medesimo

volere e potere, attribuiti all’enunciatario. In casi del genere, lo spot solitamente chiama in causa il

suo destinatario, rappresentandolo come protagonista all’interno dello spot e mostrandone un

comportamento etichettato come «positivo», con l’intento di rinforzare tale comportamento e di

scoraggiare il comportamento opposto. Per questa ragione, l’uso di una simile strategia all’interno

delle campagne di comunicazione sociale contro la violenza sulle donne potrebbe essere adatto a

raggiungere prioritariamente obiettivi di tipo affettivoemozionale, grazie alla diretta chiamata in causa

del destinatario come co-responsabile della soluzione del problema e alla conseguente probabilità che

quest’ultimo si immedesimi nella figura dell’enunciatore del messaggio, abbracciandone opinioni e

stati d’animo.

3. La ricerca

3.1. Obiettivi ed ipotesi teoriche

La riflessione condotta nel paragrafo precedente costituisce la cornice teorica di una ricerca – ancora

in corso – che intende rilevare quali rappresentazioni della violenza sulle donne e quali strategie

comunicative di prevenzione e contrasto del fenomeno stiano emergendo attraverso le campagne di

comunicazione sociale realizzate dai Governi degli Stati membri dell’Unione europea.

In particolare, sulla base della proposta avanzata da Corradi e Stöckl (2014), i Paesi sono stati distinti

in tre gruppi, rispettivamente, early bird, intermediate e newcomer, in relazione al differente periodo

di avvio degli interventi pubblici contro la violenza sulle donne, periodo che per i Paesi early bird è

compreso tra la metà degli anni ‘70 e i primi anni ’80 del secolo scorso, per quelli intermediate si

colloca tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 e, infine, per i newcomer parte dalla metà degli

anni ’90.

La ricerca intende saggiare alcune ipotesi di partenza in base alle quali Paesi caratterizzati da

differente esperienza nel campo dell’intervento pubblico in materia stiano attuando campagne di

comunicazione che differiscono, da un Paese all’altro, sulla base di variabili quali i tipi di violenza

trattati, i tipi di destinatari e beneficiari delle campagne, le modalità di rappresentazione delle vittime,

degli atti di violenza, dei loro autori e dei contesti socio-ambientali in cui le violenze si consumano

e, infine, i frame utilizzati per definire il fenomeno, gli obiettivi comunicativi perseguiti dalle

campagne e le strategie comunicative adottate all’interno di queste ultime.

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Al riguardo, ci si attende che, passando dai Paesi newcomer a quelli intermediate a quelli early bird,

si passi da campagne di comunicazione più “generaliste” a campagne maggiormente differenziate

rispetto alle suddette variabili.

A mano a mano, cioè, che le politiche di contrasto alle violenze di genere evolvono da uno stadio

iniziale di avvio dell’intervento pubblico – che può essere definito “emergenziale” – a fasi in cui tale

intervento diventa progressivamente più sistematico, si può ipotizzare che anche le politiche di

comunicazione si modifichino nella medesima direzione. È ragionevole, quindi, aspettarsi che nella

fase emergenziale le campagne di comunicazione dei Governi vengano costruite principalmente come

strumento finalizzato a creare consapevolezza dell’esistenza del fenomeno agli occhi di un pubblico

ampio e volutamente non differenziato di donne-vittime e a dare informazioni sulle misure di

sostegno immediato offerte a quest’unico tipo di beneficiario. Si può supporre, invece, che – in fasi

più avanzate dell’intervento pubblico – le campagne governative di comunicazione vengano

progettate entro un quadro più articolato di interventi di lungo termine volti alla prevenzione del

fenomeno, interventi che, data la natura multidimensionale del problema, tratteranno tipi di violenza

via via più specifici e saranno conseguentemente rivolti a segmenti di popolazione sempre più

differenziati.

Il contributo qui proposto intende cominciare a saggiare tali ipotesi mettendo a confronto due dei

ventotto Stati dell’Unione europea – l’Italia e la Spagna – tradizionalmente accomunati da matrici

culturali simili ma annoverabili, rispettivamente, tra i newcomer e gli intermediate in relazione al

differente periodo di avvio degli interventi pubblici in materia.

Per raggiungere questo obiettivo, durante la Conferenza verranno presentati i risultati di un’analisi

comparativa delle campagne televisive di pubblicità sociale realizzate dai Governi italiano e

spagnolo, con l’obiettivo ultimo di confrontare le modalità di rappresentazione della violenza sulle

donne e le strategie comunicative di prevenzione e contrasto del fenomeno adottate nei due Paesi.

3.2. Il metodo d’indagine

Il metodo prescelto è consistito nell’analisi testuale degli spot televisivi di pubblicità sociale realizzati

dai Governi italiano e spagnolo tra il 2009 e il 2015.

La scelta di tale arco temporale si è basata sui risultati di una precedente indagine condotta sulle

campagne televisive di pubblicità sociale del Governo italiano contro la violenza sulle donne (Polizzi,

Oliveri 2015). Tale indagine ha identificato il 2009 – anno caratterizzato dall’introduzione in Italia di

fondamentali provvedimenti normativi quali quelli contro lo stalking – come momento a partire dal

quale il Governo nazionale sembra avere intensificato il numero di campagne contro la violenza sulle

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donne. L’indagine suddetta è consistita nell’analisi testuale degli otto spot televisivi realizzati dal

Dipartimento per le Pari Opportunità del Governo italiano tra il 2009 e il 2013 e reperibili presso il

sito Internet ufficiale dell’istituzione (cfr. Sitografia di riferimento).

L’esigenza di confrontare le campagne di comunicazione del Governo spagnolo con quelle del

Governo italiano ha suggerito l’utilità di adottare il 2009 come anno di rilevazione a partire dal quale

sono stati selezionati e analizzati tutti i quattordici spot televisivi contro la violenza sulle donne

realizzati dal Ministerio de Sanidad, Servicios Sociales e Igualdad del Governo spagnolo e reperibili

presso il sito Internet ufficiale dell’istituzione (cfr. Sitografia di riferimento)2.

Nella presente ricerca, quindi, vengono analizzati in prospettiva comparativa otto spot televisivi per

l’Italia e quattordici per la Spagna, realizzati dai rispettivi Governi dal 2009 al 2015.

L’analisi testuale degli spot è stata condotta da chi scrive attraverso l’utilizzo di una griglia di

indicatori che sono stati costruiti ad hoc sulla base della letteratura fin qui passata in rassegna, e dei

quali si offre di seguito una sintetica presentazione, rinviando ai lavori della Conferenza per maggiori

dettagli.

Per ciascuno dei ventidue spot televisivi analizzati sono state rilevate le modalità di rappresentazione

di diversi tipi di comportamento violento contro le donne, distinti in atti di violenza “fisica”,

“sessuale”, “psicologica” e di “stalking” sulla base della medesima classificazione adottata in Italia

dall’Istat (2007).

Per ciascuno dei comportamenti violenti rappresentati negli spot sono state rilevate le caratteristiche

delle vittime, dei maltrattatori e dei contesti socio-ambientali in cui le violenze si sono consumate.

Sono stati rilevati, inoltre, i differenti frame utilizzati per definire i diversi tipi di violenza, gli

stereotipi che gli spot mettono in discussione, e le soluzioni proposte per contrastare e/o prevenire le

violenze.

Da un punto di vista più specificamente comunicativo, dopo avere rilevato le modalità di

rappresentazione dei soggetti comunicatori, dei destinatari e dei beneficiari inscritti negli spot e avere

individuato il tipo di campagna di comunicazione sociale al quale ciascuno spot è riconducibile, sono

stati analizzati gli obiettivi comunicativi perseguiti dagli spot e, infine, le strategie comunicative

adottate all’interno di questi ultimi.

2 Con riferimento agli spot televisivi del Governo spagnolo, in tutti i casi in cui fossero presenti due versioni di durata differente del medesimo spot, si è scelto di analizzare esclusivamente lo spot di durata maggiore, poiché esso includeva i medesimi elementi presenti in quello di durata minore. Inoltre, in presenza di versioni del medesimo spot in più lingue (castigliano, catalano, galiziano, basco e valenziano), si è scelto di analizzare esclusivamente la versione in lingua castigliana di ciascuno spot, in quanto lingua ufficiale dello Stato spagnolo parlata dalla stragrande maggioranza della popolazione.

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4. Principali risultati e future direzioni di ricerca

Il contributo proposto ha inteso cominciare a saggiare l’ipotesi in base alla quale Stati dell’Unione

europea caratterizzati da differente esperienza nel campo dell’intervento pubblico in materia di

violenze contro le donne stiano attuando campagne di comunicazione che differiscono, da un Paese

all’altro, sulla base di variabili quali i tipi di violenza trattati, i tipi di destinatari e beneficiari delle

campagne, le modalità di rappresentazione delle vittime, degli atti di violenza, dei loro autori e dei

contesti socio-ambientali in cui le violenze si consumano e, infine, i frame utilizzati per definire il

fenomeno, gli obiettivi comunicativi perseguiti dalle campagne e le strategie comunicative adottate

all’interno di queste ultime.

Per raggiungere questo obiettivo, la ricerca ha rilevato quali modalità di rappresentazione della

violenza sulle donne e quali le strategie comunicative di prevenzione e contrasto del fenomeno stiano

emergendo nelle campagne televisive di comunicazione sociale realizzate da due dei ventotto Stati

dell’Unione europea, l’Italia e la Spagna, annoverabili, rispettivamente, tra i newcomer e gli

intermediate in relazione al differente periodo di avvio degli interventi pubblici in materia.

In linea con le ipotesi di partenza, l’analisi testuale degli spot televisivi contro la violenza sulle donne

mandati in onda tra il 2009 e il 2015 dai Governi dei due Paesi evidenzia che le campagne realizzate

dal Governo spagnolo sono caratterizzate da un maggiore grado di differenziazione rispetto a quasi

tutte le suddette variabili, a confronto con quanto emerso, invece, nelle campagne, più “generaliste”,

realizzate nel medesimo arco temporale dal Governo italiano.

I risultati dell’analisi comparativa tra Italia e Spagna finora ottenuti saranno illustrati con maggiore

dettaglio durante la Conferenza.

In questa sede preme invece evidenziare alcuni dei prossimi avanzamenti alla ricerca.

Con riferimento alla rilevazione delle rappresentazioni della violenza contro le donne e delle strategie

comunicative di prevenzione e di contrasto del fenomeno costruite dai Governi degli Stati dell’Unione

europea, si prevede di allargare l’indagine anche a testi diffusi attraverso strumenti di comunicazione

aggiuntivi rispetto ai soli spot televisivi, quali i manifesti, le brochure informative, gli annunci su

quotidiani e periodici, e i siti Internet istituzionali che trattino il problema della violenza sulle donne.

Al fine di controllare le ipotesi di partenza della ricerca, l’analisi testuale fin qui condotta sulle

campagne televisive realizzate dai Governi spagnolo e italiano verrà estesa agli altri Stati membri

dell’Unione europea appartenenti al gruppo degli intermediate e dei newcomer, come pure agli Stati

del gruppo early bird, con l’obiettivo ultimo di individuare best practice che possano essere

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introdotte, con gli opportuni adattamenti, in Paesi nei quali misure di contrasto e, soprattutto,

interventi volti alla prevenzione delle violenze contro le donne sono in fase di introduzione.

Proprio le politiche governative volte alla prevenzione del fenomeno sembrano rappresentare la nuova

frontiera da esplorare, anche sul piano delle possibili strategie comunicative implementabili al loro

interno. Da questo punto di vista, come si è cominciato ad intravedere nelle campagne realizzate dal

Governo italiano e come sta emergendo, più marcatamente, nelle campagne del Governo spagnolo e,

ancor più, in quelle del Governo britannico – caso, quest’ultimo, attualmente sotto analisi –, sembra

essere è in atto un cambio di paradigma rispetto alle tipiche campagne di comunicazione rivolte

esclusivamente alle donne vittime di violenza. Tale cambio sembra suggerire l’utilità per i Governi di

progettare campagne contro la violenza sulle donne che siano rivolte anche ai loro partner maschili,

nelle vesti di potenziali autori di reati, come pure ai possibili testimoni di atti di violenza, nelle vesti

di co-responsabili della soluzione di un problema che oggi – nel dibattito nazionale e internazionale

– viene rappresentato sempre più frequentemente come fenomeno che incide non solo sulla qualità

della vita di singole donne ma anche su quella di intere collettività.

5. Bibliografia di riferimento

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Milano.

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6. Sitografia di riferimento3

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contro la violenza sulle donne, reperiti all’indirizzo

http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/campagne-di-informazione

1. Nessuno escluso (2009).

2. 1522 – È l’ora di reagire (2009).

3. 800 290 290 – Cancella la tratta (2009).

3 L’ultima consultazione dei siti Internet è avvenuta il 20 agosto 2015.

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4. Stalking: quando le attenzioni diventano persecuzione (2009).

5. Rispetta le donne. Rispetta il mondo (2009).

6. Io dico NO alla violenza (2009).

7. Difendi la tua libertà, inizia a riscrivere la tua vita (2012).

8. Riconosci la violenza (2013).

Spot televisivi di pubblicità sociale del Ministero della Sanità, dei Servizi Sociali e delle Pari

Opportunità del Governo spagnolo contro la violenza sulle donne, reperiti all’indirizzo

http://www.msssi.gob.es/campannas/portada/home.htm

1. Ya No Tengo Miedo. Ante el Maltrato, Todos y Todas a Una (2009).

2. En la Violencia de Género, No hay Una sola Víctima (2010).

3. Saca Tarjeta Roja al Maltratador (2010).

4. No te saltes las señales. Elige vivir – Aislamiento (2011).

5. No te saltes las señales. Elige vivir – Amenaza (2011).

6. No te saltes las señales. Elige vivir – Autoestima (2011).

7. Si la Maltratas a Ella, me Maltratas a Mí (“Imanol"). Hay Salida a la Violencia de Género

(2012).

8. Si la Maltratas a Ella, me Maltratas a Mí (“Juanio "). Hay Salida a la Violencia de Género

(2012).

9. Si la Maltratas a Ella, me Maltratas a Mí (“Mario "). Hay Salida a la Violencia de Género

(2012).

10. Si la Maltratas a Ella, me Maltratas a Mí. Hay Salida a la Violencia de Género (2013).

11. Cuéntalo (“016”). Hay Salida a la Violencia de Género (2014).

12. Cuéntalo (“Amigos”). Hay Salida a la Violencia de Género (2014).

13. Cuéntalo (“Familia”). Hay Salida a la Violencia de Género (2014).

14. Si tu Chico Te da Miedo, Cuéntalo. Hay Salida a la Violencia de Género (2015).