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CONDIVISIONE, IMPEGNO DI LUNGO TERMINE NELL’ABRUZZO FERITO CON LA GENTE, TRA LE TENDE MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLII - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA VIAGGIO NELLA CRISI 3 URTO A NORD-EST, SARÀ GUERRA TRA POVERI? CRISI E CARITAS LA CARICA DEI 114 PROGETTI GUINEA SOLANGE E MERIAM, IN FORESTA LA SALUTE NON È PER TUTTI maggio 2009

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CONDIVISIONE, IMPEGNO DI LUNGO TERMINE NELL’ABRUZZO FERITO

CON LA GENTE, TRA LE TENDE

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLI I - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA. IT

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VIAGGIO NELLA CRISI 3 URTO A NORD-EST, SARÀ GUERRA TRA POVERI?CRISI E CARITAS LA CARICA DEI 114 PROGETTI

GUINEA SOLANGE E MERIAM, IN FORESTA LA SALUTE NON È PER TUTTI

maggio 2009

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editoriale di Vittorio NozzaLO STESSO PIANTO, ORA RICOMINCIAMO DA CAPO 3parola e parole di Bruno MaggioniCOMANDO ANTICO E NUOVO, SOLTANTO L’AMORE RIVELA DIO 5

nazionaleVICINI AI TERREMOTATI, È IL TEMPO DI CONDIVIDERE 6DON DIONISIO E I SUOI RAGAZZI: NOTTI IN AUTO, GIORNI DI SERVIZIO 8a cura dell’Ufficio comunicazioneVIAGGIO NELLA CRISI / 3NORD-EST, URTO IN ARRIVO: SARÀ GUERRA TRA POVERI? 10CHIAMPO, AZIENDE-MONDO. MA PARINDRA TREMA PER I FIGLI 12servizi di Ettore Sutti con Maria Grazia Bonollo e Cristina SalviatiMOBILITAZIONE CARITAS, LA CARICA DEI 114 PROGETTI 16di Walter Nanni e Andrea LareginaEUROPA: DOPO LO SVILUPPO INIQUO CAMBIAMENTO PER TUTTI 19a cura del Servizio Europacontrappunto di Domenico Rosati 21

panoramacaritas LAMPEDUSA, TURCHIA 22progetti DIRITTO AL LAVORO 24

internazionaleVIAGGIO NELLA CRISI / 3ARGENTINA: “EFFETTO RIFLESSO”, I POVERI SOFFRONO I TAGLI 26di Susana Nuin NúñezIL MICROCREDITO ROVESCIA IL CICLO DELLA SFIDUCIA 30di Marco Santori e Maria Cecilia Graiff2010 senza povertà di Egidiu Condac 33nell’occhio del ciclone di Marco Iazzolino 34GUINEA: UN SORRISO PER SOLANGE, UN RINTOCCO PER MERIAM 35di Eleonora Albanese e Moira Monacellicontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44

incontri di servizio di Angelo PittalugaDIGNITÀ E CARTOLINE, LA VITA CORAGGIOSA DI AHMED 47

IN COPERTINAUn’anziana di fronte alla tenda

in uno dei campi dove hanno trovato rifugio

gli sfollati, dopo il terremotoche ha colpito L’Aquila.

La rete Caritas si proponedi condividere e lavorarecon loro per lungo tempo

foto Giancarlo Giuliani /Famiglia Cristiana

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Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Versamento su c/c postale n. 347013● Bonifico una tantum o permanente a:

- Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, RomaIban: IT19 W030 6905 0921 0000 0000 012

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5 PER MILLEPer destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primodei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditie indicare il codice fiscale 80102590587

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 79600165 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

CONDIVISIONE, IMPEGNO DI LUNGO TERMINE NELL’ABRUZZO FERITO

CON LA GENTE, TRA LE TENDE

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VIAGGIO NELLA CRISI 3 URTO A NORD-EST, SARÀ GUERRA TRA POVERI?CRISI E CARITAS LA CARICA DEI 114 PROGETTI

GUINEA SOLANGE E MERIAM, IN FORESTA LA SALUTE NON È PER TUTTI

maggio 2009

LO STESSO PIANTO,ORA RICOMINCIAMO DA CAPO

editoriale

que, la morte, vinto per sempre?Come uno schiaffo poderoso, l’enigma della morte

piombata come “aquila rapace” sull’Abruzzo ci interro-ga perentoriamente. Davvero vince la morte, in unanotte di terremoto, come, alla fine, nelle nostre singolevite? Cos’è la Pasqua, se non la memoria di un sepolcrovuoto, di un Dio risorto dalla morte? In cosa crediamo,con chi stiamo davvero?

Il terremoto, ogni terremoto, rende incerto quel checi circonda. L’Aquila non fa eccezione. Spariscono i cor-tili in cui si è giocato, i negozi dove si è fatta la spesa, laporta del vicino. Ora conta la toponomastica delle ten-dopoli, sapere dov’è la tenda della mensa, della scuola,della messa, della Caritas (che poi, in molti campi, sonola medesima). Tra le certezze crollate, alcune fanno be-ne all’anima e anche alla società. Il sisma cancella i con-fini degli status e talvolta anche quelli del censo, l’ope-raio e il gioielliere calpestano lo stesso fango e il politico

la sua mensa trionfale in un piazza-le disadorno. Duecentocinque bare,neanche tutte quelle delle vittime,comunque un colpo d’occhio anni-chilente, davanti alla fredda geome-tria di una caserma. Duecentocin-que bare in fila, qualcuna, bianca epiccola, assurdamente piccola, so-pra una grande. Bambini morti, av-vinghiati alla madre, al padre. Quel-le bare alla vigilia della Pasqua, e at-torno, fra le macerie, i peschi in fio-re: una beffa atroce.

Dov’è la Pasqua? Dov’è la spe-ranza di una madre sopravvissuta aifigli, di chi ha scavato cercando unfratello, di chi è vivo ma solo? Dav-vero la morte ha messo in atto unagrandiosa prova della sua capacitàdi distruzione. Il silenzio davanti aquelle bare è il silenzio del Calvario,dopo l’ultimo grido di Cristo. Il si-lenzio dell’uomo e il silenzio di Dio,nell’ora sospesa sull’abisso: ha dun-

Era tutto pronto per il Venerdì santo. L’antica processionedel Cristo morto. Le Confraternite cittadine, per il mestocorteo lungo le strade buie e silenziose della città, enti

ed associazioni per la scorta al simulacro di Cristo. Eranopronti i cori e le orchestre di violini per elevare l’accorata pre-ghiera del Miserere (“Miserere mei, Deus, secundum magnammisericordiam tuam”). Il popolo era pronto per ascoltare lapotenza corale e la dolcezza melodica, che crea un’atmosfera

di profonda mestizia, tale da far sca-turire “una fontana di lacrime”.

Erano pronti. Ma adesso l’A-bruzzo è martoriato. I paesini arroc-cati tra il Velino e il Gran Sasso feriti,L’Aquila sventrata come dopo unaguerra, sferzati dipinti e chiese, do-cumenti e monumenti: 750 anni distoria cancellati in pochi secondi. IlVenerdì santo si è materializzato intutta la provincia con una proces-sione di dolore, senza figuranti.Ognuno ha sofferto in silenzio, sen-za capire il significato. Il grido di di-sperazione, il compimento del destino personale e di unpopolo, passato attraverso la via misteriosa della croce.

La morte di Cristo fu reale, come lo è stata quella di uo-mini e donne d’Abruzzo. Come la loro, fu insensata e bru-tale. E sentita ingiusta. La morte di Cristo e la morte degliuomini sono uguali. E il dolore che ne scaturisce è lo stes-so. Lo stesso pianto, il medesimo crampo allo stomaco. Lostesso venir giù delle luci. Lo stesso serrare i pugni, lo stes-so buttarsi nell’abbraccio l’uno dell’altro. Come per met-ter quiete a qualcosa che fa rompere il petto. Il dolore diLui che moriva fu dello stesso tipo del dolore di molti chenon ce l’hanno fatta sotto le macerie. Il soffocamento fu lostesso. E anche la disperazione di Cristo fu la stessa diquella che hanno provato in tanti, in troppi, in Abruzzo.

Dov’è la speranza?Nel Venerdì santo d’Abruzzo, la morte ha apparecchiato

L’Abruzzo si preparava al Venerdì Santo.

E ha vissuto la medesimadisperazione di Gesù.

Il sacrificio delle vittimedel terremoto va onorato

con un senso di responsabilità condivisa.

Caritas lo fa, grazie ai gemellaggi: “Con la gente”

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreVittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, RenatoMarinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177205-249-287-505inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie [email protected]. 06 66177202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 24/4/2009

sommario ANNO XLII NUMERO 4

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fa la fila con loro per un piatto di pasta. Naturalmenteun terremoto comporta anche incertezze “ordinarie”,per quanto dolorose. Migliaia di sfollati non rivedrannole vecchie case, i luoghi del lavoro, della vita sociale, del-la comunità ecclesiale. Purtroppo queste incertezze etutte le altre non intaccheranno l’unica certezza, ossia ilnumero dei morti. Il loro sacrificio va ripagato a sua vol-ta con un’altra certezza: che l’impegno comune, il sen-so di responsabilità condivisa e la trasparenza nell’af-frontare la ricostruzione, annunciate di fronte alle bare,reggano la sfida del tempo, dei protagonismi e dei vele-ni. Vorrei sbagliarmi, ma anche su questo piano s’intra-vede qualche preoccupante incertezza.

Ci credono, noi con loroTutto il paese si trova chiamato a un’assunzione diretta diresponsabilità, anche economica. Tutto il paese significaesattamente ognuno di noi cittadini, ma anche ogni isti-tuzione, ente, associazione, corpo sociale. Davanti a unaprova così pesante deve entrare in campo doverosamen-te lo stato, strumento di una solidarietà generalizzata ediffusa. Poi serve un impegno corale come quello a cui hachiamato la Chiesa italiana con una grande colletta. Eserve la volontà di imboccare la via indicata, ancora unavolta, con felice concretezza, da Caritas Italiana.

Parlo dei “gemellaggi”, strumento collaudato consuccesso sin dal dopo-terremoto del Friuli, nel 1976,quando le iniziative nate dal basso sopperirono alle la-cune dell’intervento pubblico. Se la pratica del gemel-laggio diventasse metodo operativo diffuso, certamentei tempi della ricostruzione sarebbero abbreviati, gli aiu-

ti giungerebbero in forma mirata, le sovrapposizioni diinterventi e gli sprechi si ridurrebbero e – da ultimo, nonper ultimo – i professionisti delle speculazioni e i pesci-cani delle ruberie avrebbero vita impossibile.

La strada del gemellaggio è percorribile da tutti, a va-ri livelli: dalle istituzioni pubbliche al mondo dell’im-prenditoria, dal sindacato alla cultura, dall’istruzioneall’arte. E così via. La Chiesa in Italia con la Caritas (incollaborazione con Azione cattolica, Pastorale giovani-le, molteplici associazioni) sta dando l’esempio. Ognirealtà gemellante si fa carico di un intervento nei limitidella propria disponibilità e la realtà gemellata si impe-gna a fare il miglior uso degli aiuti ricevuti.

Ridare una casa, una scuola, una struttura comunita-ria, un’attività lavorativa a chi attende di cancellare letracce degli artigli del terremoto, una chiesa a chi pregain una tenda: è questione di solidarietà e speranza, nonsemplicemente di soldi e strumenti – per quanti ne oc-corrano, e molti. Ciò chiede di stare a lungo accanto aqueste popolazioni, in una regione chiusa tra le monta-gne, non ricca, una terra da cui da sempre si emigra perpoter “ricominciare da capo”. La terra li ha traditi, la casali ha traditi, in molti hanno addosso un lutto lacerante.Eppure, più che rabbia, più che ribellione, si coglie tra lo-ro qualcosa che sembra una percossa, ma tenace fedeltà.Occorre risponderle con un segno. Caritas Italiana e leCaritas diocesane hanno cominciato a metterlo in atto:Con la gente. “Si avvicinò e camminava con loro” (Lc.24,15). È lo slogan del nostro intervento di condivisione,oltre il terremoto. In Abruzzo ci credono, noi con loro:“Dio vuole che ricominciamo da capo”.

La terra li ha traditi, la casa li ha traditi, in moltihanno addosso lutti laceranti. Eppure, più che rabbia

o ribellione, si coglie tra loro una percossa,ma tenace fedeltà

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COMANDO ANTICO E NUOVOSOLTANTO L’AMORE RIVELA DIO

parola e parole

primo: «Non noi abbiamo amatoDio, ma Dio ama noi». Ed è ancheesigente, perché la risposta a questoamore di Dio che discende verso dinoi è il nostro amore verso il prossi-mo. Ed è amore che libera, non cheimprigiona, che strappa dal male econverte, non che illude: «Perché vi-vessimo per mezzo di Lui» (4,9),«per espiare i nostri peccati» (4,10).

Ma la cosa più sorprendente èun’altra. Giovanni è convinto che solonell’amore si può conoscere Dio:«Chiunque ama conosce Dio e chinon ama non ha conosciuto Dio». Dionon lo si raggiunge anzitutto con l’in-telligenza, ma lo si sperimenta all’in-terno di una prassi concreta di veroamore. Dio è amore, e di conseguen-za Egli si svela unicamente a colui cheha imparato ad amare. Dio è amoreed è sempre in un’esperienza di amo-re – quella del Cristo prima, poi la no-stra che lo imita – che possiamo tro-vare la categoria umana, storica, alla

nostra portata, per intravedere il volto del divino. Chi nonama non può conoscere Dio, esattamente come un cieconon vede i colori, ed è inutile che parli di Lui: parlerebbe diuna realtà di cui non ha alcuna esperienza.

Giovanni conclude che nessuno ha mai visto Dio, affer-mazione già ripetuta a conclusione del prologo del suovangelo. Ma se ci amiamo gli uni gli altri (espressione ripe-tuta ben tre volte nel nostro breve passo), Dio è in mezzo anoi. L’autore non dice che vediamo Dio. Dio non è raggiun-gibile, rimane invisibile. Lo si può conoscere, sperimentare,ma non vedere. Amarsi a vicenda e conoscere Dio, due co-se diverse. E tuttavia strettamente legate: Dio è amore.

(come afferma nel passo al capitolo2,7-8 della stessa lettera). La secon-da volta per dirci che il modello diquesto amore è il Cristo: «Da questoabbiamo conosciuto l’amore: Egliha dato la sua vita per noi! Noi puredobbiamo dare la vita per i nostrifratelli» (3,16). La terza volta, ap-punto, nel “nostro” passo, per sotto-lineare la dimensione teologica del-la carità: «Dio è amore».

Gratuito ed esigenteIl passo di Giovanni inizia affer-mando che “l’amore è da Dio”. Poi passa a spiegare cheDio stesso è, nella sua realtà profonda, amore. Non èun’affermazione che definisce Dio astrattamente, mauna deduzione tratta dall’evento di Gesù Cristo, dallastoria che Egli ha vissuto fra noi.

Non si tratta, suggerisce insomma la lettera, di parti-re da noi, dal nostro povero amore umano, per capirechi è Dio. Il cammino è alla rovescia. L’originario non èil nostro amore, ma quello di Dio manifestatosi nell’e-vento di Gesù. Che cosa sia l’amore vero – quello di Dioe il nostro – è Gesù che ce lo dice.

L’amore che viene da Dio è gratuito, Dio ci ama per

Giovanni torna più volte sul tema della carità,principio e sorpresa

per la nostra vita. L’amoreviene da Dio. E solo in esso

si può conoscere Dio. Egli resta invisibile. Ma raggiungibile,

se ci amiamo gli uni gli altri

Nella domenica di metà maggio, la seconda lettura dellamessa è un passo molto noto della prima lettera di Gio-vanni. Il suo tema è la carità, un tema che Giovanni con-

sidera importante al punto da ripeterlo nella sua lettera almenotre volte. La prima volta l’autore intende dirci che si tratta di uncomando insieme antico e nuovo: nuovo, perché sempre sor-prende e sempre è portatore di gioia di vivere; antico, perché ap-partiene alla tradizione irrinunciabile che risale al principio

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato daDio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. (…) In questosta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1 lettera Giovanni 4, 7-10)

di Bruno Maggioni

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stato il terremoto più grave, almeno standoagli effetti, dell’ultimo quarto di secolo in Ita-lia. L’evento che ha sconvolto l’Aquila e unacinquantina di comuni dell’Abruzzo, nellanotte tra il 5 e il 6 aprile, non solo ha seminatolutti e dolore tra decine di migliaia di persone,

ma ne ha anche compromesso per anni la quotidianità.Perdere un famigliare o un conoscente è cosa terribile.Perdere casa, lavoro, beni assemblati in una vita di sacrifi-ci significa dover ricominciare daccapo. Con attorno,però, un intero territorio compromesso. Uffici chiusi, ser-vizi azzoppati, scuole nelle tende, ospedali sfrattati, fab-briche ferme, negozi vuoti: ogni tentativo di ricostruire lanormalità si scontra con un contesto a dir poco precario.

Caritas Italiana, in questo scenario, per dimostrare vi-cinanza alle popolazioni e alla chiesa ferite dal terremo-to, ha impiantato dalla mattina successiva al sisma unmodello di lavoro sperimentato in occasione di prece-denti emergenze. Il Centro di coordinamento nazionaleaperto nei locali della parrocchia San Francesco d’Assisidi Pettino, quartiere periferico dell’Aquila (sede provviso-

Èria) ha inglobato l’équipe della Caritas diocesana dell’A-quila e farà da perno per una rete di presenze solidali chesi stenderà nei prossimi mesi e anni sull’intero territorioterremotato. Una disponibilità all’aiuto e alla condivisio-ne, che avrà per protagonisti volontari e operatori di tut-ta Italia (intorno ai 1.500, in base a precedenti esperien-ze), coordinati dalle 16 delegazioni regionali Caritas.

Avviati i gemellaggiL’intervento Caritas si articola in tre fasi. Nella prima, gliaiuti di emergenza hanno visto protagoniste soprattuttole Caritas dell’Abruzzo e del Molise, le più vicine ed emo-

tivamente coinvolte: grazie alla mobilita-zione di circa 400 volontari, hanno allestitoe gestito un magazzino per gli aiuti nellachiesa di Pettino, e altri tre di supporto nel-la regione. Inoltre, hanno organizzato, neiterritori di Chieti, Pescara e Teramo, una capillare presen-za di aiuto, materiale e morale, ai circa 25 mila sfollati incentinaia di alberghi lungo la costa adriatica.

La seconda fase è scattata una settimana dopo il sisma,con l’arrivo, dall’Umbria, della prima delegazione regiona-le delle Caritas diocesane. A ruota sono giunti rappresen-tanti di tutte le altre delegazioni, che il Centro di coordina-mento ha “dirottato” nelle otto zone omogenee in cui è sta-to suddiviso il territorio terremotato. Ne è scaturito l’avviodei gemellaggi, destinati a protrarsi per almeno due anni:operatori e volontari provenienti da tutta Italia sarannochiamati a operare nelle tendopoli (poi, quando sarannocostruite, nelle “cittadelle” dei prefabbricati), insieme alleparrocchie locali, ascoltando i bisogni della popolazione,dedicandosi alle fasce vulnerabili (anziani, malati, disabili,minori, migranti), registrando le esigenze di ricostruzionea integrazione dell’intervento pubblico.

Aggiornata al 24 aprile, la lista dei gemellaggi vedeva leCaritas umbre attive nel territorio di Pile insieme a quelledel Piemonte - Val d’Aosta, le Caritas lombarde e siciliane aPaganica, Onna e dintorni, quelle del Triveneto e dellaCampania a Roio, Bagno e dintorni, la delegazione dell’E-milia Romagna a Collemaggio e località circostanti con laPuglia, la Liguria nella zona di Barisciano, le Marche aMontereale e Pizzoli e dintorni, la Toscana a San Demetrioe dintorni, il Lazio a Scoppito, Tornimparte e dintorni,mentre le delegazioni di Basilicata, Calabria e Sardegnadovevano mettere a fuoco le rispettive aree di intervento.

Scuole e centri della comunitàI gemellaggi sono fondamentali per dare continuità edefficacia al lavoro di ascolto e aiuto, creando uno spiritodi condivisione e collaborazione tra delegazioni Caritase comunità terremotate. Essi sono anche premessa ne-

cessaria alla terza fase di intervento, per-ché la ricostruzione non sia calata dall’al-to, ma risponda ai bisogni reali della popo-lazione. È ancora presto per dire cosa co-struirà la rete Caritas, ma è presumibile

che particolare attenzione venga dedicata a scuole ecentri della comunità (strutture socio-pastorali polifun-zionali, pensate per offrire spazi pubblici di incontro elavoro alla comunità parrocchiale e civile). Questi furo-no anche gli ambiti di impegno per la ricostruzione do-po il terremoto del Molise (2002): delle scuole fruironocirca 1.000 alunni, dei centri della comunità circa 42 mi-la persone, ed è presumibile che in Abruzzo i beneficia-ri degli interventi siano almeno altrettanti. Inoltre, nellaterza fase verranno avviate anche iniziative (strutture diaccoglienza, microcredito, sostegno a cooperative so-ciali e produttive) rivolte a fasce vulnerabili (anziani, fa-miglie in difficoltà, soggetti svantaggiati, migranti, ecc),sulla base dei bisogni emergenti dal territorio.

Sin dai primi giorni dopo il sisma, insomma, si sonoposte le basi di una prolungata esperienza di prossimità,incoraggiata anche dal cardinale Angelo Bagnasco, pre-sidente della Conferenza episcopale italiana, che nellasua visita ai luoghi del terremoto, martedì 14 aprile, hafatto tappa al Centro di coordinamento nazionale Cari-tas. Il cardinale ha confermato un ulteriore stanziamen-to di 2 milioni di euro da parte della Cei (in aggiunta ai 3stabiliti sin dall’inizio) che saranno messi a disposizionedi Caritas Italiana, e la colletta nazionale, svoltasi dome-nica 19 aprile in tutte le parrocchie italiane.

Alla mobilitazione delle Chiese italiane si è aggiunta lasolidarietà delle Caritas di tutto il mondo. Oltre 40 Caritasnazionali dei cinque continenti, dalla Polonia al BurkinaFaso, dal Brasile a Sri Lanka e all’Australia, hanno mani-festato vicinanza alla sorte delle vittime e disponibilità acontribuire alla ricostruzione. In alcuni casi si è espressoun impegno economico limitato, ma dotato di grande va-lore morale: una piccola Caritas di un paese islamico inguerra, la Somalia, ha versato mille euro, mentre dalla

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nazionale

La rete Caritas è intervenuta all’Aquilasin dalle prime ore dopo il sisma del 6 aprile. Messaggi e aiuti sonogiunti da tutto il mondo, mobilitate le delegazioni regionali: un modellod’aiuto che durerà anni, e che fonda la ricostruzione sulla prossimità

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VITA SCONVOLTAA sinistra, donne tra le tende. Sopra, la chiesadi Paganica, giochi nei campi, macerienel centro dell’Aquila

terremoto in abruzzo

VICINI AI TERREMOTATI,È IL TEMPO DI CONDIVIDERE

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Georgia è pervenuta l’offerta di duemila euro. Un caloro-so messaggio di partecipazione al dolore delle vittime èinvece arrivato da Bosnia Erzegovina e Iran.

Altre Caritas hanno promesso impegni consistenti.Caritas Svizzera ha annunciato di poter raccogliere contri-buti ingenti, fino a 1 milione di euro. Anche Caritas Austria

ha avviato una raccolta fondi che promette sviluppi im-portanti. Significativa, non solo dal punto di vista econo-mico, si annuncia la partecipazione di Caritas Germania,che sta esaminando, insieme alle autorità pubbliche tede-sche, la possibilità di finanziare un progetto a favore dellapopolazione di Onna, uno dei paesi più devastati dal ter-

remoto, ma anche il luogo dove il 1° giugno 1944 civili in-nocenti furono uccisi da truppe naziste.

L’Italia, l’Europa, il mondo: tutti vicini alla popolazionedell’Aquila. Ma le risorse per rialzarsi, la gente d’Abruzzoha mostrato di volerle e saperle trovare anzitutto in se stes-sa. Monsignor Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana,

on è retorica, ma amara constatazione, direche hanno perso molto. Chi una casa, chi ad-dirittura due (quella dove viveva in affitto equella nuova, prossima alla consegna). In ognicaso, entrambe le sedi di lavoro. Ma la mattina

di quel maledetto lunedì si sono cercati, si sono accor-dati, si sono reincontrati. Nel frattempo, da Roma, era-no arrivati gli operatori della sede nazionale. Però c’è dacredere che don Dionisio e i suoi ragazzi si sarebberorimboccati le maniche anche da soli, con la dedizione eil coraggio che hanno mostrato di possedere nei giornisuccessivi al disastro. Dormendo nelle tende o persinonelle macchine, la notte, presentandosi puntuali al la-voro, l’indomani mattina, fino a sera inoltrata: una inin-terrotta processione di richieste, telefonate, contatti,contrattempi da smaltire, dentro uffici di fortuna, con losmarrimento della gente attorno, con l’ansia in fondo alcuore, ma sempre – e non è un modo di dire – con il cer-vello sintonizzato sui nuovi schemi di lavoro, impostidall’emergenza, e il sorriso sulle labbra, per regalare eregalarsi normalità, fondamento della speranza.

Non è foltissima, la squadra degli operatori della Cari-tas diocesana dell’Aquila. Ma è tenace, reattiva, generosa.Il direttore viene dalla Colombia, però è stato ordinato sa-cerdote in Italia: fa il parroco a Paganica, e due anni fa èsubentrato, alla guida dell’organismo pastorale, a donNatale Chelli, l’amato predecessore, purtroppo scompar-so prematuramente, di cui era vice. Insieme a don Dioni-sio Humberto Rodriguez, ci sono il vice Angelo Bianchi,memoria storica del gruppo, e Augusto Ippoliti, AgataAntonucci, Alessia Donati, Ivana Damiani: hanno smes-so di lavorare il venerdì e hanno puntualmente ripreso il

lunedì, in mezzo un terremoto che ha sconvolto anche laloro vita, ma non ha sbrecciato la loro convinzione che,nel tempo della serenità e in quello della tribolazione,prima di tutto bisogna pensare agli altri. Si meritano unacitazione, per l’esempio che hanno offerto e offrono,coordinando adesso, dal Centro nazionale Caritas di Pet-tino, l’arrivo e il lavoro delle Delegazioni di tutta Italia.

Attorno a loro, si ricomporrà gradualmente anche il “gi-ro” dei volontari Caritas aquilani, quelli del centro d’ascol-to e del guardaroba, delle strutture d’accoglienza, delle vi-site domiciliari, del servizio civile, dell’ufficio immigrazio-ne, del laboratorio delle Caritas parrocchiali, in tutto unacinquantina di persone: alcuni hanno dato segno di volercominciare fin dai primi giorni dopo il sisma, nonostantel’inaccessibilità della sede centrale, “prigioniera” dell’arci-vescovado pericolante al limite del crollo, e la distruzionedel centro operativo diocesano, che era sede dei servizi diascolto e assistenza. Non sarà facile, riorganizzare l’opera-tività della Caritas diocesana. Ma se i muri cadono, restanosalde le motivazioni profonde, quelle che fanno del servi-zio non un espediente per riempire il tempo libero, bensìuna ragione di vita, anche quando il tempo sembrerebberequisito dalle necessità del pensare anzitutto a se stessi.

I volontari di don DantePresso la parrocchia di San Francesco di Pettino, nei cor-tili circostanti e persino dentro la chiesa, ha preso formasin dalle prime ore dopo il sisma un’altra ammirevoleprova di solidarietà, spontanea e caotica agli inizi, via viasempre più organizzata. Una cucina da campo capace disfornare duecento pasti sia a pranzo che a cena, la di-stribuzione di indumenti sul sagrato (con retrovia logi-

stica estesa fin quasi all’altare), il magazzino degli aiuti(viveri, medicinali, prodotti per l’igiene, tende, lettini,coperte) nei locali sottostanti la chiesa: decine di volon-tari locali, coordinati dal parroco, don Dante Di Nardo, ecoadiuvati in modo via via più robusto dai ragazzi dellediocesi abruzzesi e molisane, sono diventati punto di ri-ferimento per gli abitanti del quartiere (Pettino è una zo-na periferica dell’Aquila, molto estesa e popolosa), maanche per l’invio di aiuti materiali ai campi della città edel territorio circostante, ufficiali e spontanei, soprattut-to là dove l’intervento della Protezione civile ha lasciatoscoperti alcuni bisogni della popolazione terremotata.

Attorno all’unica parrocchia rimasta agibile all’Aqui-la – la struttura, moderna, in cemento armato, ha rettoindenne all’urto delle scosse – si è insomma riorganiz-zato lo spirito di prossimità della chiesa abruzzese. Do-po una decina di giorni, un container installato nel cor-tile ha persino consentito la riapertura del primo ufficiodi curia. Don Dionisio e i suoi ragazzi, don Dante e i suoivolontari: nel mosaico della speranza che si va ricom-ponendo all’Aquila, con tessere collocate da volontari ditutta Italia, c’è anche la loro firma discreta. Lontana dairiflettori, vicina alla gente.

Don Dionisio e i suoi ragazzinotti in auto, giornate di servizioHanno perso case e sedi di lavoro. Ma dalle ore successive al sisma, operatori e volontari di Caritas L’Aquila hanno ricominciato a spendersi per la propria gente

terremoto in abruzzo

Per sostenere gli interventi in corso (causale “TerremotoAbruzzo”) si possono inviare offerte a Caritas Italiana tramite:. Conto corrente postale n. 347013 (*BIC: BPPITRRXXX). Bonifici bancari . Unicredit Banca di Roma S.p.a. IBAN IT38 K03002

05206 000401120727 (*BIC: BROMITR1707). Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma IBAN: IT19W030 6905 0921 0000 0000 012 - *BIC: BCITITMM. Allianz Bank, via San Claudio 82, Roma IBAN: IT26F035 8903 2003 0157 0306 097 - *BIC: BKRAITMM. Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma IBAN: IT29U050 1803 2000 0000 0011 113 - *BIC: CCRTIT2T84A. CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06 66177001 (orario di ufficio)

* per bonifici provenienti dall’estero

Per le offerte alla Caritas locale (causale “TerremotoAbruzzo”), indirizzarle a:. Caritas diocesana L’Aquila, piazza Duomo 33, 67100

L'Aquila, conto corrente postale n. 70687 IBAN IT 87U 06040 03601 000000070687 (BIC BPMOIT22XXX- BPMOITQ1XXX).

COME CONTRIBUIRE

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ha ribadito che Caritas intende “fare”, per le vittime, ma so-prattutto “stare” con loro. «La fase dei gemellaggi – ha di-chiarato – servirà proprio ad approfondire le relazioni, afarsi vicini alle persone nel bisogno, soprattutto alle più de-boli. L’importante, adesso e per i prossimi mesi, è condivi-dere il dolore. E riconquistare insieme la speranza».

TERREMOTATI, OPERATIVIA sinistra, Agata, Angelo, Ivana, Augusto e Alessia, staff di Caritas L’Aquila, direttada don Dionisio Rodriguez (al centro).A destra, don Dante Di Nardo, parroco di Pettino

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tante: il mutuo, le rate della macchina, l’apparecchio deidenti della figlia…». Poi la crisi. E tutto è cambiato. «Il tito-lare ha fatto venire autisti dalla Romania – racconta –. Pi-gliavano un terzo dello stipendio e lavoravano sempre, ilcamion come casa. Per un po’ ho tenuto gli stessi ritmi, poinon ce l’ho più fatta. Mi sono messo sul mercato, ma nes-suno mi vuole. Per nessun lavoro. Sono vecchio, dicono.Ogni tanto faccio consegne per un amico che fa il corriere,ma la paga è anche più bassa. Ho cominciato a chiederesoldi a tutti: amici, banche, finanziarie. Ora nessuno mi dàpiù nulla: il debito aumenta e mutuo e rate sono lì da pa-gare. Che faccio? Sono settimane che la notte non riescoquasi a dormire. Vado in camera delle bambine. Le guardo.Penso a quale futuro potrò garantirgli».

Saltano gli atipiciSecondo Cgia (il centro studi dell’Associazione arti-giani e piccole imprese di Mestre) i disoccupati in Ve-neto, a gennaio, erano 172.188, di cui 41.877 stranieri,e nel periodo gennaio-febbraio sono state autorizzateoltre 3 milioni 700 mila ore di cassa integrazione.Un’enormità, se si considera che in tutto il 2008 ne so-no state autorizzate circa 15 milioni.

«L’impressione è che in Veneto siamo ancora agli ini-zi – spiega don Giovanni Sandonà, responsabile della de-legazione Caritas del nord-est –. O, almeno, non emer-gono ancora episodi di consapevolezza diffusa della si-tuazione di crisi. Per il momento l’unica rete di protezio-ne presente in Italia, le famiglie, stanno tenendo. Ma co-sa succederà quando la copertura della cassa integrazio-ne sarà finita? I primi a saltare, quelli che già oggi sono indifficoltà enormi, sono i lavoratori atipici (così poco tu-telati che non si sa nemmeno quanti siano esattamente)e le persone più fragili del sistema produttivo. Tra loro,migliaia di lavoratori migranti, che fino a dicembre vive-vano di lavoro interinale e ora non trovano nulla. La cri-si si diffonde a macchia d’olio in tutto il Triveneto, ma delsuo potenziale impatto sociale pochi sembrano esserecoscienti. Il grado di consapevolezza delle persone è ca-ratterizzato da abbondanti e inconsapevoli rimozioni.Siamo ben lontani dalla messa in discussione di un mo-dello produttivo economico e sociale ormai alle corde,dall’analisi delle cause che hanno prodotto questa crisiinternazionale, dalla revisione degli stili di vita».

Il peggio deve ancora venire? Già adesso la situa-zione non è delle più rosee. «La caratteristica di questacrisi – spiega Marina Bergamin, segretaria generaledella Cgil di Vicenza – è che è molto diffusa e profon-

he le cose fossero cominciate a cambiare losapevano tutti. Ma i più stupiti di tutti sonoloro, i volontari dei comitati di sicurezza, au-toadesivo della Lega in mostra sulle auto, chestazionano davanti alle “Cucine economichepopolari” di Padova, storico ente caritativo

che eroga circa 600 pasti al giorno (450 a pranzo, 150 acena). Da qualche tempo, infatti, sempre più italiani“normali” si mescolano ai tradizionali utenti delle cuci-ne, homeless e immigrati. Lo stesso accade, anche se unpo’ di nascosto, nei centri di ascolto delle parrocchie,

dove anche gli italiani chiedono un pacco viveri, unpiccolo aiuto economico, vestiti per i bambini.

«Non so più che fare, ci credi? Da sei mesi ho perso il la-voro e adesso i soldi sono veramente finiti. Tutti. Anchequelli in prestito. Come mi sento? Non so, mi manca il re-spiro. È come annegare». Antonio vive in piccolo centro al-le porte di Treviso. Ha 51 anni, ha sempre fatto l’autotra-sportatore, è sposato, due figlie di 12 e 8 anni. «Ho sempreguadagnato bene, anche se il lavoro era duro: avanti e in-dietro da Romania e Polonia. Tutto l’anno, estate e inverno.Non mi lamentavo. Noi stavamo bene, una famiglia come

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nazionale

La crisi nel Triveneto picchia duro:disoccupazione in forte crescita, anche se famiglie e imprese per orareggono. Ma cosaaccadrà quando le tutele siesauriranno? Degli “atipici” cosa sarà? E i lavoratori migranti si ritroveranno clandestini?

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I NUMERI

172.188 i disoccupati in Veneto a gennaio 2009, di cui 41.877 stranieri

6.717 i lavoratori coinvolti nelle crisi nel 2008, 3.129 tra gennaio e febbraio 2009

335 aperture di crisi per aziende nel 2008, 139 tra gennaio e febbraio 2009

100% aumento degli utenti allo sportello Caritas per la distribuzione degli alimenti zona di Arzignano (Vc)

32,5% alunni stranieri sul totale dei circa 1.000 iscrittialle scuole del circolo di Arzignano

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NORD-EST, URTO IN ARRIVO:SARÀ GUERRA TRA POVERI?

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servizi di Ettore Sutti hanno collaborato Maria Grazia Bonollo e Cristina Salviati foto di Marco Zorzanello

viaggio nella crisi €3

da: sono poche le aziende che navigano in buone ac-que. Si registrano perdite di ordini che arrivano al 30-40%, il comparto meccanico è quello che sta soffrendodi più. Le difficoltà maggiori le incontrano i lavoratoridella piccola impresa e quelli dell’artigianato, che pos-sono contare su protezioni parziali. Operano quasisempre di imprese subfornitrici, che risentono del ral-lentamento delle grandi imprese e che non hanno unforte potere contrattuale rispetto al credito bancario».

Infatti, secondo Unioncamere Veneto, tra luglio e di-cembre 2008 oltre un terzo degli imprenditori che ope-rano nel settore manifatturiero hanno registrato un ina-sprimento nelle condizioni del credito loro riservatodalle banche. «Il sistema produttivo si è trovato dallamattina alla sera in una situazione di mercato e con unastretta creditizia molto forti – spiega il responsabile delsettore piccole e medie imprese di Confindustria Vene-to, Luca Cielo –. Le piccole imprese stanno pagando ilprezzo più alto. Se l’introduzione dei cosiddetti Tre-monti bond genererà dei benefici, ci attendiamo cheparte vengano riversati sulla parte produttiva del paesee reinvestiti nel territorio. Sul fronte degli ammortizza-tori sociali, invece, credo che le risorse siano sufficienti.Non ravviso pericoli di esclusione di alcuno. Anche per-ché alle risorse nazionali si aggiungono quelle regionali(Fondi europei), che uniscono il sostegno al reddito apercorsi di formazione e reimpiego. Ciò rappresenta unapproccio innovativo e fortemente orientato a generarenuove competenze e possibile nuova occupazione».

Immigrati, si riparte da zero?La cosa positiva, e su questo sono tutti d’accordo, è che la

TUTELE A TUTTI?Un operaio italiano

e uno stranieroin una fabbrica veneta

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maggior parte degli imprenditori, a parte qualcuno cheutilizza la crisi per fare “pulizia etnica”, lasciando a casaanziani, donne e portatori di handicap, stanno facendol’impossibile per andare avanti. Ciò è dimostrato dal fat-to che le ore di cassa ordinaria sono nettamente superio-ri a quelle di straordinaria (anticamera del licenziamen-to): si tenta fino alla fine di “tenere” l’occupazione.

Però c’è una fascia grigia, non ben definibile, che sof-fre molto. «È composta dall’esercito di interinali e atipici– spiega don Sandonà –, dai lavoratori migranti in attesadel rinnovo del permesso di soggiorno, dai richiedentiasilo che vengono messi fuori già prima di poter entrare.E da tutti quegli operai che, pur avendo un contratto atempo indeterminato, non sono più in grado, a causadella riduzione dello stipendio e delle entrate famigliari(spesso accade che marito e moglie lavorino nella stessaditta), di reggere i costi di mutuo, bollette, rate. La situa-zione in alcune zone è già deteriorata. Nella Val delChiampo, zona storica di concerie e immigrazione, nellescuole gli alunni stranieri sono già diminuiti del 20%, ri-spetto a un anno fa. Gli immigrati vendono le case e ri-mandano moglie e figli al paese d’origine, per poi condi-videre un appartamento con i connazionali, riducendo lespese al minimo. Io non ci trovo nulla di male nel favori-re i lavoratori stranieri che maturano la scelta del ritornoal paese d’origine. A patto, però, che ciò avvenga attra-verso percorsi strutturati, fondati sulla loro responsabi-lità. Ma, ripeto, c’è da chiedersi cosa succederà quandol’onda d’urto arriverà. Cosa accadrà quando un datore dilavoro deciderà di licenziare tutti i lavoratori stranieri, op-pure di tenersi in azienda un lavoratore migrante con al-ta professionalità, lasciando a casa un veneto?».

L’invito che giunge da più parti, in questo senso, è ri-vedere o congelare per un periodo adeguato la leggeBossi-Fini sull’immigrazione, per evitare che migliaia distranieri si ritrovino irregolari sei mesi dopo aver persoil lavoro. A chiederlo non sono solo le organizzazionisindacali o del privato sociale, ma anche i sindaci, cioèchi tutti i giorni è a contatto con le necessità primariedei cittadini. L’appello è giunto chiaro in un recente in-contro tra il vescovo di Vicenza, monsignor Cesare No-siglia, e i sindaci dei comuni sopra i ventimila abitanti: iprimi cittadini chiedono di non essere costretti a rinun-ciare a professionalità acquisite e a 15 anni di politichedi integrazione e inclusione collaudate, per poi magari,tra due o tre anni, passata la crisi, dover ripartire da ze-ro, con un’altra ondata di immigrati. «Ritengo quasi im-morale – continua don Sandonà – non riconoscere i di-ritti minimi di cittadinanza. Se perdi il lavoro diventi ir-regolare: un’assurdità giuridica che sta in piedi solo perpregiudizio ideologico. Perché non derogare di almenosei mesi la scadenza di soggiorno, quando c’è un ogget-tivo riscontro di licenziamento? Non si può compro-mettere così la dignità di famiglie, persone, comunità».

Imbottigliati o disoccupati?Secondo Confindustria Veneto questi problemi si por-ranno, ma in modo marginale. «Il Veneto – osserva Lu-ca Cielo –, a differenza di altre regioni italiane ha vis-suto un importante processo di integrazione dei lavo-ratori extracomunitari con regolare permesso di sog-giorno, oggi tutelati con eguali ammortizzatori socialie doti di reimpiego, come i lavoratori italiani. Non cre-do che gli stranieri regolari pagheranno in modo par-

ticolare il prezzo della crisi. Lo conferma il fatto chenella realtà veneta il 40% dei lavoratori attualmente incassa integrazione è costituito da immigrati».

Fondamentale appare, dunque, pensare a “reti” alter-native, capaci di generare risposte e vicinanza. È questol’obiettivo del documento che le Caritas diocesane delNord-est hanno concordato lo scorso 27 gennaio, dan-dosi una cornice di intervento uniforme. «La premessada cui siamo partiti – dice ancora don Sandonà – è chequesta crisi è frutto di un modello di sviluppo incapacedi difendere i deboli. Bisogna ristabilire alcune coordi-nate culturali ed etiche, altrimenti si rischia di fungere daammortizzatori di un cortocircuito e di diventare fun-zionali a un sistema che ha invece evidenti motivi per es-sere messo in discussione. Tenendo presente questopunto di partenza, le Caritas del Triveneto stanno lavo-rando per costruire una rete di azioni diffusa, al fine diintegrare gli interventi di istituzioni, enti pubblici, sinda-cato e privato sociale. L’obiettivo è offrire strumenti direinserimento lavorativo e sociale, organizzare forme diaiuto e microcredito, avviare un ragionamento ap-profondito su come cambiare gli stili di vita».

Questa crisi, insomma, quando finirà non potrà esserearchiviata come un (sia pur grosso) incidente di percorso.

«Da tempo – conclude Marina Bergamin di Cgil Vicenza–ragioniamo su come coniugare stili di vita più sobri edesigenze produttive. Percorsi possibili ce ne sono, ma spes-so le strade sono in salita. Recentemente la Recoaro, con-trollata Nestlè, ha dichiarato alcune decine di esuberi, acausa del calo dei consumi acqua in bottiglia. Noi da tem-po promuoviamo il consumo dell’“acqua del sindaco”(quella del rubinetto), meno costosa e meno inquinante.Ma cosa accadrà a quei lavoratori se tutti smettessero diconsumare acqua in bottiglia? Servono percorsi nuovi econdivisi per ridurre i consumi e trasformare il lavoro, le-gandolo non solo alla produzione, ma anche ai servizi, alsostegno reciproco (welfare) e alla green economy».

«Anche la comunità cristiana – conclude don San-donà – deve guardare a questa realtà come opportunitàdi cambiamento e crescita. Per fare questo occorre co-struire una rete di vicinanza solidale alle comunità e allepersone. In questo è fondamentale il ruolo delle parroc-chie, che possono dare un forte contributo a ritessere latrama di solidarietà sociale che era tipica della nostra so-cietà. La fantasia della carità può davvero farci superare,in questo momento di difficoltà, la “sindrome da blinda-tura” che negli ultimi vent’anni, anche qui nel nord-est,ci ha fatto rinchiudere nel nostro privato».

arindra ha il sorriso e l’espressione dolce chehanno spesso gli indiani. Ha 44 anni, ne dimo-stra dieci in meno. Per pudore, quando parla,difficilmente guarda in faccia l’interlocutore.Sembra impaurito, ma ha volontà e coraggio.

Altrimenti dodici anni fa non avrebbe abbandonato il

suo paese per venire in Veneto, ospite dei cugini, ed en-trare in conceria. Lavoro duro, straordinari spesso obbli-gatori, pagato mica tanto, a contatto con il cromo chemacchia tutto di azzurrino. «Ho sempre lavorato sodo –racconta –, mai rifiutato un turno in più. Così ho potutofar venire qua mia moglie, comprare casa, far nascere i fi-

gli, un maschio di 9 e una femmina di 7. Pensavo di es-sere a posto. Ma poi ci si è messa questa crisi...».

Già, la crisi ha iniziato a picchiare duro anche nellaVal di Chiampo, distretto vicentino leader del pellame:duemila aziende, 12 mila lavoratori, il 40% immigrati.Nei comuni di Montecchio Maggiore, Arzignano e

Chiampo si registra la più alta concentrazione di mano-dopera straniera in Italia. Un fenomeno unico, tanto chegli economisti si sono dovuti inventare un nome per de-finirlo: “delocalizzazione inversa”. Invece di spostare il la-voro in giro per il mondo, gli imprenditori si portano ilmondo in fabbrica. Il 2008, però, si è chiuso con un calo

Val di Chiampo, aziende-mondoMa Parindra trema per i figli

PLa “delocalizzazione inversa” ha iniettato livelli record di manodopera straniera neldistretto del pellame. Equilibrio sinora vincente. Ma da scuola cominciano i ritiri…

MITICO NORD-ESTAzienda semideserta,conceria da affittare,distribuzione di spesagratuita: tre immaginisimbolo della crisi in provincia di Vicenza

viaggio nella crisi €3

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fatti concreti anche dai comuni.Ritengo inaccettabili le scelte diinterventi sociali discriminatoriche, in alcuni casi, sono anchecontroproducenti proprio per

chi si vorrebbe privilegiare. Non è ammissibile che lacrisi porti alla clandestinità di lavoratori regolari.

Questa crisi è figlia di un sistema economico mala-to. In futuro serviranno nuove regole. Quale potràessere il ruolo del sindacato nei processi di rinno-vamento del sistema?

Le nuove regole internazionali sulla finanza e maggioricontrolli pubblici servono già ora. Il contributo del sinda-cato sta nel sostenere tre sfide: la partecipazione dei lavo-ratori nelle imprese, un nuovo sistema di welfare sul lavo-ro (“flessicurezza”), infine maggiore capacità di coordina-re la propria azione a livello europeo e internazionale.

«Una grande rotatoria senza paesaggio, senza regoledi precedenza, dove i pedoni non possono passare. E, di conseguenza, creare relazioni». È la società in cui viviamo secondo Ilvo Diamanti, sociologo,presidente dell’istituto Demos & Pi di Vicenza,prorettore dell’università di Urbino. È stato ospite del convegno “Animatori di prossimità oggi: paura e speranza” organizzato da Caritas Vicenza, sarà uno dei relatori al prossimo Convegno nazionale delle Caritas diocesane (Torino, giugno). «Abbiamoperso il concetto di società – spiega il professore –.Quello che un tempo era uno spazio in cui incontrarepersone e formare relazioni è diventato, per una seriedi cause legate tra loro (eccessiva urbanizzazione,paura del diverso, lavoro disumanizzante), un desertodi sentimenti. Oggi viviamo vicini, ci sfioriamo, ma non ci incontriamo. Siamo uniti geograficamentema molto lontani sentimentalmente: non abbiamotempo per noi e per gli altri, viviamo prigionieri delle nostre paure. Di più: la maggior parte di noipensa di avere e coltivare rapporti significativi, ma il più delle volte ci accontentiamo di comunicazionivirtuali e telematiche, dove i sentimenti sono sempremessi in secondo piano».

In nome di un non ben chiarito concetto di progresso abbiamo cancellato, insomma, i tradizionali luoghi di incontro e relazione. «Non si possono costruire rapporti – continuaDiamanti – senza gli spazi adatti (cortili, piazze,marciapiedi), o senza legami parentali o amicalisignificativi. Senza tutto ciò cosa ci resta? La paura di uscire dal nostro piccolo e tranquillizzantemondo». Come superare questa situazione, al tempi di una crisi che esaspera le paure? «Ricette sicurenon ne esistono – conclude Diamanti –, ma io credomolto nel bisogno delle persone di spendersi e stare con gli altri. Fare qualcosa per il prossimosignifica fare qualcosa per la società: stare con gli altri, cercare gli altri significa ammettere di aver bisogno di relazioni con chi ci vive accanto.Solo tramite relazioni significative è possibilesconfiggere la paura che ci blocca».

Diamanti: «La grande rotatoriaci lascia orfani di relazioni»

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nazionale

a situazione sta diventandopesante anche in Veneto: an-zi, rischia di diventare dram-matica, se non si metterannoin campo politiche di soste-

gno al reddito importanti e condivise.Ma dalla crisi si può uscire: parola diFranca Porto, segretario regionale del-la Cisl Veneto.

I numeri relativi alla cassa integra-zione all’occupazione raccontanoche la crisi in Veneto c’è. Quali sono ilavoratori su cui si accanisce di più?

Quelli che incarnano tre condizioni: es-sere occupati in settori esposti (mani-fatture), avere rapporti di lavoro “debo-li” (contratti a termine) e trovarsi senza ammortizzatori

adeguati (sussidio di disoccupazione):le troviamo soprattutto nelle piccoleaziende e nelle cooperative di servizi.Se a ciò si aggiunge la mancanza di unafamiglia di appoggio, la situazione di-venta drammatica.

Tra qualche mese per moltissimi la-voratori finirà la cassa integrazione.Migliaia di famiglie rischiano di ri-trovarsi senza un soldo e migliaia dilavoratori stranieri, dopo anni di la-voro regolare, a essere “clandestini”.Come scongiurare il rischio di unoscontro sociale?

Stiamo lavorando per allargare l’areadegli ammortizzatori sociali. Gli accor-

di con la regione vanno in questo senso, poi attendiamo

«A termine e non “ammortizzati”ecco i lavoratori che rischiano»Tre domande alla segretaria della Cisl regionale, Franca Porto. «Lavoriamoper allargare l’area delle tutele sociali. No a interventi sociali discriminatori»

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del valore della produzione superiore al 18% e un tagliodi addetti del 9,1%. E il 2009 è partito peggio: in alcunecasi la domanda è scesa del 40% e secondo Confindu-stria Vicenza nel primo bimestre le ore di cassa integra-zione del comparto sono aumentate del 561% rispettoallo stesso periodo del 2008.

Parindra abita ad Arzignano, uno dei comuni con lamaggiore densità di immigrati d’Italia: il 20% della po-polazione è di origine straniera. Non ha amici del posto.E anche il suo italiano è piuttosto stentato. «Frequento iparenti e qualche altro della comunità indiana – spiega–, ma per il resto facciamo vita isolata. Anche perché, do-po il lavoro, chi ha la forza di fare qualcosa? Per i miei fi-gli è diverso: non hanno la cittadinanza ma sono italiania tutti gli effetti. Parlano italiano, hanno amici italiani,sogni italiani. Spero solo di riuscire a garantirglieli».

Non è scontato. Perché da qualche tempo nelle scuo-le della Val di Chiampo si registrano i primi ritiri e man-cate iscrizioni di ragazzi che gli immigrati rimandano alpaese d’origine insieme alle mogli. In attesa che passi la

crisi. Nel 1983 ad Arzignano c’erano 27 alunni stranieri,lo scorso anno tra materne ed elementari erano 335, il32,5% dei circa mille iscritti alle scuole del circolo.Condominio e sportelloTutto bene dunque? La convivenza sinora ha funzionato,dimostrando che l’equazione immigrati-insicurezza èfalsa. Altrimenti, con il 20% di stranieri, sarebbe statodavvero il far west. Ma adesso che il lavoro comincia amancare. E allora torna più che mai utile il progetto“Condominio 3”, avviato dai comuni di Montecchio Mag-giore, Arzignano e Chiampo proprio per gestire e risolve-re i problemi di convivenza. Un pool di 14 mediatori pro-fessionisti, affiancato da una decina di mediatori stranie-ri, lavora a partire da un ben preciso concetto di cittadi-nanza: stranieri e italiani, tutti si devono sentire coinvoltinel promuovere il bene comune. L’obiettivo è affrontare iconflitti, anche quelli minimi (cattivi odori sulle scale,sacchi della spazzatura chiusi male, biancheria stesa do-ve non si dovrebbe), per evitare che inneschino strasci-chi. Lavoro difficile, peggiorato dalla crisi.

Intanto allo sportello Caritas, dove si distribuisconogeneri alimentari alle famiglie, l’utenza è aumentata del100%. I volontari da soli non erano in grado di gestire la si-tuazione e hanno fatto intervenire i mediatori comunali,che hanno contribuito a tamponare la situazione. Almenoper ora. «Da noi in fabbrica è iniziata la cassa integrazione– conclude Parindra –. Per ora facciamo a turno. Ma quan-do qualcuno dirà che il lavoro è poco e spetta ai veneti, noicosa potremo fare? Io tengo duro, ma ho paura. I miei figlisono terrorizzati: per la prima volta alcuni ragazzi del po-sto li hanno chiamati stranieri. Cosa sarà di loro? Non vo-glio che siano stranieri in Italia e stranieri in India...».

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RESTARE A GALLAFila alla distribuzionedella spesa gratis alla Caritas; a sinistra,lavoratore straniero

Page 9: CON LA GENTE, TRA LE TENDEti giungerebbero in forma mirata, le sovrapposizioni di interventi e gli sprechi si ridurrebbero e – da ultimo, non per ultimo – i professionisti delle

na risposta rapida, silenziosa, capillare. Le Ca-ritas diocesane hanno reagito con prontezza,in tutta Italia, agli effetti sociali che la crisi glo-bale ha cominciato a innescare nei rispettiviterritori. Da oltre trent’anni, d’altronde, ope-rano sulla prima linea del contrasto alla po-

vertà economica e all’esclusione sociale. L’esperienza nonmanca, insomma, per intercettare i primi indizi di un cli-ma di impoverimento che, anche se non va drammatizza-to, è tutt’altro che irreale, e anche le differenze tra le dina-miche odierne e i fenomeni di povertà più tradizionali.

Caritas Italiana ha avviato, dal suo canto, un’azionepermanente di monitoraggio degli effetti della crisi e del-le risposte, in termini di assistenza e di aiuto, attivate dal-le chiese locali in Italia. Dai primi risultati di questa anali-si in progress, risulta che nella maggioranza dei casi taliiniziative sono promosse dall’intera comunità cristianalocale, con il coinvolgimento di attori di varia natura, nonsolamente ecclesiali (Caritas e uffici diocesani, ma anche

associazioni, movimenti, istituti di credito, enti locali,ecc.). Preziosi, in vista di una prima mappatura del feno-meno, si stanno rivelando i dati e le informazioni prove-nienti dagli Osservatori diocesani delle povertà e delle ri-sorse (presenti nel 70% delle diocesi italiane), che da di-versi anni studiano i fenomeni di povertà a partire soprat-tutto dagli accessi ai centri d’ascolto Caritas.

Quelli che bussanoDati esaustivi di livello nazionale sugli effetti della crisi neiluoghi di ascolto, accoglienza e aiuto saranno disponibilinei prossimi mesi. Allo stato attuale è possibile fare riferi-mento ad alcuni segnali, provenienti da realtà specifiche.

Una prima conseguenza visibile riguarda l’evidenteaumento delle persone che chiedono aiuto alla Caritas:già nel passaggio dal 2007 al 2008 si erano registrati in-crementi medi di utenza pari a circa il 20%. Alcuni esem-pi: alla fine del 2007 la Caritas diocesana di Potenza so-steneva 836 famiglie povere; un anno dopo, alla fine del2008, le famiglie seguite sono diventate 1.020 (+22%). AComo, nel 2008, la Caritas diocesana ha erogato oltre 26mila pasti, + 17% rispetto all’anno precedente.

Un secondo indicatore del crescente impoverimentodelle famiglie italiane consiste nel forte aumento degliitaliani tra gli utenti degli oltre 2.500 centri di ascolto pre-senti nelle diocesi italiane. A Treviso, nel 2007 gli italianiche si rivolgevano alla Caritas per ottenere un sostegnoper far fronte alle spese o per avere un cestino di cibo rap-presentavano poco più del 18%, nel 2008 erano il 22%.Nella diocesi di Termoli-Larino (Molise), in soli tre mesi(da novembre 2008 a gennaio 2009), gli utenti italiani so-no passati dal 42 al 59%. Aumentano soprattutto le don-ne italiane (madri e mogli, portatrici di problemi econo-mici non più risolvibili con il solo “giro di vite” sui consu-

mi familiari), che passano dal 51 al 64% di tutti gli utenti. Questa tendenza di intensificazione delle richieste ha

prodotto un’intensificazione delle risposte, da parte delleCaritas e delle Chiese locali. Da un primo monitoraggiodelle esperienze in atto o in fase di attivazione, effettuatopresso tutte le diocesane italiane, al 31 marzo 2009 si rile-vavano almeno 114 iniziative, articolate in sei ambiti ge-nerali di intervento: microcredito, fondi speciali per fa-miglie, strumenti per la spesa solidale, strumenti di con-sulenza per il lavoro, strumenti di sostegno e consulenzaper la casa, aiuti generali. Tali esperienze non compren-dono tutte le iniziative promosse dalle diocesi italiane sultema della povertà economica, ma solo quelle attivate orimodulate in tempi recenti, in risposta alla crisi econo-mico-finanziaria. L’esito del monitoraggio è sintetizzatonella tabella che compare in queste pagine.

I tratti salienti dell’emergenzaIn termini di analisi, secondo quanto emerge dalle rile-vazioni condotte e dalle delegazioni regionali Caritas, lacrisi sembra presentare alcuni tratti salienti:

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COMPRO SOLIDALEVolontari dell’EmporioCaritas di Prato. Il sostegno alla spesa è una delle sei tipologie di progetti anticrisi lanciati dalle Caritas diocesane

Da Como a Termoli, da Potenza a Trevisola crisi moltiplica le richieste d’aiuto ai centri Caritas. Le realtà diocesane si organizzano con iniziative innovative:microcrediti, fondi famiglia, spesesolidali, consulenze per casa e lavoroU

MOBILITAZIONE CARITAS,LA CARICA DEI 114 PROGETTIdi Walter Nanni e Andrea Laregina

Famiglie minacciate dalla crisi, fondo Cei per garantire prestiti

La Chiesa italiana non rimane a guardare. Il Consigliopermanente della Conferenza episcopale, nella sedutadi fine marzo, ha varato un fondo di garanzia a sostegno delle famiglie alla prese con la pesante crisi economica,“come segno di comunione e solidarietà”. La Cei, hannoriferito le testate giornalistiche all’indomani dell’annuncio fattodal segretario generale, monsignor Mariano Crociata, punta a costituire un fondo da circa 30 milioni di euro: in base a un accordo con l’Abi (l’Associazione bancaria italiana)garantirà prestiti che, nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa,dovrebbero raggiungere un valore dieci volte superiore e avere come beneficiari almeno 20 mila nuclei familiari.

“Consapevoli della gravità e dell’ampiezza della crisifinanziaria ed economica in atto – scrivono i vescovi nel comunicato stampa che annuncia l’operazione –, i membri del Consiglio permanente hanno formalizzato la costituzione di un fondo di garanzia a sostegno dellefamiglie numerose o gravate da malattia o disabilità che abbianoperso ogni fonte di reddito (…). L’annuncio del Vangelo esige,infatti, costante attenzione alle necessità concrete dei fratelli,perché la comunione ecclesiale si sostanzi di fattiva carità”.

Il fondo garantirà prestiti concessi secondo alcuni criteri,

per sostenere le esigenze dei soggetti più vulnerabili: esso“si pone l’obiettivo di permettere alle famiglie con almeno trefigli a carico, oppure segnate da situazioni di grave malattia o disabilità, che abbiano perso o perderanno ogni fonte di reddito, di ottenere dal sistema bancario un prestito mensileper 12 o 24 mesi, da restituire a condizioni di favore quandoavranno ritrovato il lavoro, così da poter fare fronte alle speseper la casa e a necessità impellenti. È un segno di speranza,finalizzato ad aiutare un numero di casi necessariamentecontenuto, ma significativo per la tipologia scelta. Esso si affianca alla capillare azione di carità svolta dalle Caritasdiocesane e dalle organizzazioni del volontariato cattolico e sociale e non intende sostituirsi ai doverosi e irrinunciabiliinterventi che competono allo stato e agli enti pubblici”.

L’analisi dei casi ammessi a fruire dei prestiti competeràalle Caritas diocesane e ai patronati Acli. Il fondo sarà“finanziato con una colletta nazionale, che si terrà in tutte le chiese italiane – conclude il comunicato Cei – domenica 31 maggio, solennità di Pentecoste. Il gesto tradizionale della colletta (…) educa alla solidarietà e alla condivisione (...),a non vivere solo per se stessi, ripiegati sui propri problemie interessi, ma con cuore fraterno e compassionevole”.

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Iniziative anticrisi delle diocesi e delle Caritas diocesane italiane

1.MICROCREDITO: 66 INIZIATIVE. 19 sviluppate nell’ambito della convenzionenazionale di Caritas Italiana con Banca Etica;. 25 sviluppate in collaborazione con le Banche di credito cooperativo (Bcc);

I modelli di microcredito sono due:> micro credito “socio-assistenziale”: rivolto alle fasce deboli della popolazione e alle famigliecon difficoltà economiche. Si tratta in genere di soggetti con difficoltà di accesso al creditobancario ordinario. L’intervento si attua mediantepiccoli prestiti a tasso agevolato, da restituire a piccole rate mensili, tenendo conto dellasostenibilità di rimborso delle famiglie. Il credito è erogabile sulla base di appositi fondi di garanziadi diocesi e Caritas diocesane;> micro-credito rivolto alle piccole imprese:ha lo scopo di agevolare l’accesso al credito, sia per inizio attività che per incremento di attivitàgià avviate.. 22 esperienze autonome, locali, adatte

alle esigenze dei territori. Le finalità: aiuto alle famiglie, sostegno per difficoltà lavorative, sviluppo d’impresa, ecc.

2.FONDI SPECIALI PER FAMIGLIE: 26 INIZIATIVEFinalizzate a erogare contributi economici a famiglie colpite dalla crisi e che, in situazione di monoreddito, necessitano di contributi a fondo perduto.

3.EMPORI E SPESE SOLIDALI - CARTE ACQUISTI: 8 INIZIATIVEFavoriscono l’accesso ai beni primari, a favore di chi ha difficoltà anche nell’acquisto di alimenti o altri beni materiali di base

4.CONSULENZA LAVORO: 4 INIZIATIVERivolte soprattutto a persone in età matura che hanno perso il lavoro e vanno aiutate nel reinserimento

5. SOSTEGNO E CONSULENZA CASA: 4 INIZIATIVEPer ricerca di abitazioni, rivolte soprattutto a giovani coppie

6. AIUTI IN GENERE: 6 INIZIATIVEPer spese giornaliere o pagamento utenze

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. si concentra a macchia di leopardo, a seconda delle at-tività produttive che caratterizzano le diverse aree geo-grafiche. In generale, le aree più colpite sono quelle do-ve il sistema produttivo è più direttamente collegato al-le dinamiche finanziarie nazionali e internazionali. Evi-denti difficoltà sono rilevabili anche nei territori segna-ti da prospettive di sviluppo poco chiare e difficoltàeconomiche e ritardi infrastrutturali preesistenti;. sono particolarmente colpite dal fenomeno le famigliemonoreddito, giovani o giovani-adulte, anche con figlipiccoli a carico, che basavano il loro reddito su lavoriinterinali, stagionali o a tempo determinato, a cui nonsono stati riconfermati i contratti;. il forte aumento della cassa integrazione e della mobi-lità determina gravi difficoltà economiche, che colpi-scono soprattutto i nuclei familiari con capofamigliaadulto o prossimo alla pensione; . in grave affanno sono le famiglie disgregate (famigliemonoparentali, genitori separati, ecc.), che accusa-no situazioni economiche difficili;. anche le famiglie “normali” hanno difficoltà e devonoabbassare drasticamente il tenore di vita, in quantol’accumulo di debiti e impegni economici risalente atempi di relativa agiatezza non è più sostenibile;. sono intaccati il capitale sociale e le prospettive di fu-turo delle famiglie del ceto medio: la crisi è anche di fi-ducia e implica il crollo della speranza per l’avvenire;. famiglie e singoli in situazione di povertà tradiziona-le e cronica vedono farsi più difficile la loro battagliaper la sopravvivenza. Le fasce deboli avvertono unevidente deterioramento delle proprie condizionieconomiche, anche perché le difficoltà di bilanciodegli enti locali determinano una contrazione o eli-minazione di alcuni servizi sociali essenziali;. nel mezzogiorno la crisi attuale non va confusa con ilmancato sviluppo di alcune aree territoriali, che ha ori-gini molto più antiche. In alcuni casi, anzi, rappresentauna sorta di alibi per operazioni strumentali di razio-nalizzazione o speculazione produttiva da parte delleimprese (cassa integrazione, spostamento territorialedella produzione, ecc), oppure è utilizzata per masche-rare evidenti responsabilità politiche, a cui va ricondot-to, dal punto di vista storico, il mancato sviluppo;. dal punto di vista culturale, vengono messi in discus-sione stili di vita consolidati, modi di vivere e di con-sumare, stereotipi culturali in base ai quali il “primomondo” si pensava come modello e prototipo.

ualsiasi crisi, in quanto movimento dinami-co, può essere osservata da diversi punti di vi-sta, e condurre a valutazioni anche molto dif-ferenti. Adottando un punto di vista socio-pa-storale, si può valutare il modo con cui le Ca-ritas e le Chiese in Europa stanno facendofronte all’attuale, critica congiuntura econo-

mico-finanziaria. Pur in una varietà estrema di posizioni econtesti, in Europa si delineano due tendenze comple-mentari, una di tipo reattivo, una di tipo proattivo.

Sul versante “reattivo” emerge la preoccupazione, evi-dente, e a tratti sconcertante, riguardo il potenziale effettocongiunto che potrebbe avere, nel breve e nel medio pe-riodo, l’aumento delle situazioni di povertà che vengono incontatto con i servizi ecclesiali, combinato alla contrazio-ne delle offerte e delle risorse finanziarie con le quali i si-stemi ecclesiali sono soliti fare fronte ai bisogni. Nel mon-do del non profit è una preoccupazione della quale si è fat-ta recentemente portavoce, presso le istituzioni europee enazionali, la Rete europea contro la povertà – Eapn, dellaquale anche Caritas Europa è membro, con una richiestamolto esplicita e propositiva ai capi di stato e di governo.Non mancano peraltro riflessioni e prese di posizione daparte di grandi Caritas europee (tedesca, austriaca, spa-gnola, francese), legittimamente allarmate per le conse-guenze che, in termini di offerta di servizi di welfare, l’at-tuale congiuntura può comportare nei rispettivi paesi.

Lobbing presso i candidatiDopo una prima fase di smarrimento e attendismo, ciòche in generale sembra contraddistinguere oggi le reazioniecclesiali alla crisi, in particolare del mondo Caritas, è peròun approccio maggiormente “proattivo” rispetto alle altreong, che deriva dalla matrice sostanzialmente pastoraledel loro agire. Pressoché tutte le Caritas nazionali europee,e la stessa Caritas Europa, stanno cogliendo l’occasioneper rilanciare con forza il proprio messaggio pastorale dicambiamento. Pur con diversità di toni e accenti, si rilevanei comunicati, nelle prese di posizione e nei progetti di in-

tervento attivati contro gli effetti della crisi dalle diverse Ca-ritas e Chiese nazionali, un’attenzione a comunicare alme-no tre messaggi fondamentali: la crisi è conseguenza di unmodello di sviluppo sbilanciato e iniquo, che ha fatto di-menticare come la costruzione del benessere sia una re-sponsabilità comune, dunque occorre cambiare anzituttostili di vita; la povertà è preoccupazione di tutti e tutti de-vono essere responsabili nel darvi risposta; vi sono paesi erealtà che, per permettere al mondo avanzato di mantene-re il tenore di vita che lo ha portato alla crisi, dalla crisi nonsono mai usciti, dunque non si può affrontare la crisi di-menticandosi di loro e non si possono non considerare lequestioni dello sviluppo e della lotta globale alla povertàdentro le misure anti-crisi che si pensano di attivare.

Questi messaggi stanno conoscendo diverse forme ditraduzione e azione, dalle proposte pastorali integrate per

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ESPOSTIALLA CRISIFamiglia numerosa,“candidata”alla povertà

I fenomeni di impoverimento e l’indebolirsi del welfare preoccupanole Caritas d’Europa. Ma in tutte c’è unaconvinzione: la crisi è figlia di modellisocio-economici ingiusti, per uscirnebisogna lottare contro la povertà

DOPO LO SVILUPPO INIQUOCAMBIAMENTO PER TUTTIa cura del Servizio Europa di Caritas Italiana

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Principali modalità di reazione alla crisi in alcune Caritas europeeDIBATTITO DOCUMENTI PROGETTI DOCUMENTI PROGETTI LEGAMIINTERNO PRODOTTI E INIZIATIVE EPISCOPALI EPISCOPALI CON IL 2010A CARITAS DA CARITAS CARITAS

AUSTRIA SI NO NO NO NO SIBELGIO (Fiandre) SI NO SI NO NO SIBELGIO (Vallonia) NO SI NO NO NO NOBULGARIA NO NO NO NO NO NOFRANCIA SI SI SI SI NO SIGERMANIA NO NO NO NO NO NOIRLANDA SI SI NO NO NO SILUSSEMBURGO SI NO SI SI NO SIMALTA NO NO NO NO NO NOPORTOGALLO SI SI SI SI SI NOREPUBBLICA CECA SI NO NO NO NO NOSLOVACCHIA SI SI SI SI NO NOSLOVENIA SI SI SI SI NO NOSPAGNA SI SI SI SI SI SISVEZIA SI NO NO NO NO NOSVIZZERA SI SI SI NO NO SI

contrappunto

Il potere si ascoltaLe conseguenze di una simile rivolu-zione? Non ancora prevedibili. A co-minciare dall’identificazione dellegaranzie pubbliche in un contesto incui il flusso ininterrotto dei dati ren-de meno riconoscibile l’apporto deisingoli operatori e concentra ogni re-sponsabilità, sempre più “oggettiva”,sul direttore, nel suo peculiare rap-porto col proprietario-editore.

Precisamente qui si rinviene unacriticità, inerente non più il veicolo(cartaceo, digitale, ibrido) che tra-sporta l’informazione, ma l’infor-mazione in quanto tale, l’attendibi-lità del suo contenuto, la sua com-pletezza, in una parola la sua qua-lità. Il precetto per cui i fatti andreb-bero tenuti distinti dalle opinionimantiene un sapore utopico quan-do le esigenze degli editori diventa-no criteri di lettura dei fatti. È notoche, in particolare in Italia, non esi-stono editori “puri”, capitalisti cheinvestono in modo esclusivo sulla

comunicazione. La specie più frequente è quella di im-prenditori impegnati in settori (costruzioni, appalti, te-lecomunicazioni, ecc) i cui interessi vogliono esserepromossi anche sul piano editoriale.

E resta da esplorare il capitolo del rapporto tra co-municazione e potere, a proposito del quale si può sem-pre citare l’antica diagnosi di Marx: “Attraverso la stam-pa il potere ascolta se stesso”. Alcuni ritengono che l’i-nondazione delle informazioni e la pluralità delle fonticomporteranno un allentamento degli strumenti checontrollano la formazione della pubblica opinione. Altrisono del parere opposto. La soluzione sarebbe nella li-bertà interiore dei giornalisti. Che però è parte del pro-blema da risolvere.

C’è un futuro per i giornali? La domanda non tocca solo gli addettiai lavori e le loro prospettive professionali, ma tutti noi cittadi-ni. Due scuole di pensiero: ottimisti e pessimisti (prevalenza di

questi ultimi). C’è addirittura chi ha compilato necrologi sul “passaggioa miglior vita” dell’industria dei giornali: perché la pubblicità diminui-sce, i giovani non comprano, le aziende si indebitano per far fronte aicosti sempre rigidi, internet e affini fanno concorrenza invasiva.

Chi vuole saperne di più può attingere al bel libro di LorenzoScheggi Merlini Tutti giornalisti. Orientarsi nel mondo dell’informa-zione (Edizioni Kappa 2009), dove l’obsolescenza dei “mediasauri”,cioè dei giornalisti finora esistenti, èinquadrata in una prospettiva ditrasformazione che lascia sul terre-no morti e feriti, ma non si concludecon l’azzeramento di una funzione– l’informazione, appunto – che ri-sponde a un’esigenza sociale co-munque da soddisfare.

Non estinzione, dunque, ma tra-sformazione del giornalismo. Il fu-turo vedrà stabilizzarsi una convi-venza tra carta e web, tra edizionitradizionali e prodotti online. Maciò comporta “una più marcata in-tegrazione delle redazioni, un forte rinnovamento deilinguaggi e un’apertura sempre maggiore dei giornali aldialogo interattivo con il lettori”. Con un’indispensabilespecificazione delle funzioni. Come dire: le notizie sullelinee immateriali, le opinioni sulla carta.

Tutto questo ha conseguenze sia sul modo di lavorareche sullo status degli addetti ai lavori. Ai giornalisti infatti sichiede di operare in redazioni sempre più multimediali,“trattando” la materia prima – la notizia – di volta in voltaper la stampa o la radio e la tv o i terminali portatili o i te-lefonini. Ed è già utilizzabile in America un foglio elettroni-co di plastica (reader, lettore) che può contenere centinaiadi pagine di giornale, “montabili” e sfogliabili a piacimentodell’utente: una sorta di rassegna stampa personalizzata.

MEDIASAURI IN PENSIONE,I GIORNALI HANNO UN FUTURO?di Domenico Rosati

Cresce il dibattito sulle trasformazioni

che il progresso imponeall’informazione.

Cambieranno i supportitecnologici

e la professione. Ma non verrà meno

l’esigenza di qualità.Anche se gli editori sonosempre meno “puri”…

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la Quaresima di Caritas Portogallo, alle campagne e ai ser-vizi di monitoraggio del Secours Catholique francese, dal-le analisi socio-economiche e i servizi di accoglienza po-tenziati nelle Caritas spagnole ai messaggi dei vescovi disvariate conferenze episcopali, sino ai documenti in virtùdei quali molte Caritas sono state chiamate a parteciparea tavoli di lavoro governativi contro la crisi (è accaduto inSlovenia, Irlanda, Slovacchia).

In alcuni paesi Ue (Belgio, Lussemburgo, Germania),non mancano neppure iniziative di lobbing condotte dal-le Caritas a favore delle persone colpite dalla crisi presso icandidati alle imminenti elezioni per il parlamento euro-peo, in molte realtà considerato istituzione degna dellamassima considerazione anche nella politica interna.

Va notato anche che in molti contesti, specie nell’Euro-pa dell’est e fuori dall’Unione Europea, si avverte ancorauna certa mancanza di coordinamento tra le letture pasto-rali delle Caritas e gli interventi attivati; ciò accade in parti-colare dove i rispettivi stati nazionali sono economica-mente deboli ed esclusi dai circuiti decisionali europei piùrilevanti e non appaiono quindi in grado di attivare strate-gie di fronteggiamento efficace e di mobilitare risorse si-gnificative, alle quali anche Caritas possa avere accesso. Èuna situazione diffusa, ad esempio, presso le Caritas na-zionali dell’ex blocco sovietico, ma riguarda anche paesiUe (Bulgaria e Romania) e paesi extra-Ue dell’orizzontebalcanico (Albania, Serbia-Montenegro, Bosnia-Herzego-vina). Molte di queste realtà soffrono peraltro già da tempodi difficoltà economiche e di sviluppo: pertanto in questi

paesi la crisi ha effetti e sviluppa percezioni affatto partico-lari, comprese reazioni di rifiuto e vissuti ulteriormentepersecutori; avviene, per esempio, quando vengono chiu-si stabilimenti precedentemente de localizzati in questipaesi da imprese dell’ovest europeo. Una situazione parti-colare è invece vissuta da Caritas nazionali come quelle diMoldova e Ucraina, paesi dove al disagio preesistente e al-le conseguenze della crisi si sommano un quadro politicocritico e una situazione sociale tesa e conflittuale.

Concentrati sul 2010Per concludere, va ricordato che molte, se non quasi tuttele Caritas nazionali europee guardano con attenzione adue appuntamenti dei prossimi mesi. Il Social Policy Fo-rum di Caritas Europa si è tenuto a Praga dal 27 al 30 apri-le: più di 150 partecipanti da tutto il continente si sonoconfrontati sul tema della crisi e delle sue conseguenze suiservizi e le attività della Caritas. Il secondo appuntamentoè il 2010 - Anno europeo contro la povertà, che la stessaCommissione europea ha recentemente presentato comestrumento fondamentale contro la crisi.

In ambedue i casi l’aspettativa delle Caritas nazionaliverso Caritas Europa è grande, ma dipenderà dallo sforzodi tutti la possibilità di trovare punti di forza sui quali la-vorare insieme. Resta, come punto di partenza non irrile-vante e comune a tutte le Caritas, la dottrina sociale dellaChiesa, con i suoi principi e un metodo di discernimentobasato sul bene comune, unica probabile via di uscita al-le criticità storiche che i tempi presentano.

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panoramacaritas

PILLOLE MIGRANTI TRE GIORNI SULL’ISOLA

Caritas a Lampedusa,vicina ai migrantie alla popolazione

Guida sulla protezione,per l’Oil l’Italia è razzistaVADEMECUM SULLA PROTEZIONE. È stato diffuso il vademecum per coloro che richiedono la protezioneinternazionale in Italia, curato dal ministero dell’interno e aggiornato con le modifiche introdotte dal decretolegislativo n. 159 dell’ottobre 2008. Il vademecum si prefigge di facilitare l’orientamento, attraverso le procedure amministrative, dei richiedenti la protezioneinternazionale. Il testo del vademecum, indirizzatoprincipalmente agli stranieri, è disponibile in dieci lingue(oltre all’italiano, inglese, francese, spagnolo, arabo, tigrino,amarico, somalo, farsi, curdo), in relazione alle principaliprovenienze dei richiedenti asilo e protezione.RAPPORTO OIL CONDANNA L’ITALIA PER RAZZISMO.L’Onu, attraverso un rapporto dell’Oil (Organizzazioneinternazionale per il lavoro) ha accusato l’Italia di xenofobiae razzismo nei confronti degli immigrati, soprattutto i rom. E il governo ha replicato, “respingendo al mittente”affermazioni giudicate “false”, secondo quanto dichiaratodal ministro degli esteri, Franco Frattini. Il testo Oil punta il dito sul nostro paese, accusato di discriminare gli immigrati, e chiede al governo interventi per contrastareil clima di intolleranza e garantire la tutela agli immigrati. Il rapporto non lesina accuse ai leader politici italiani, rei – si legge nel testo – di usare una “retorica aggressiva e discriminatoria nell’associare i rom alla criminalità,creando così un sentimento di ostilità e antagonismonell’opinione pubblica”. Il documento – pubblicato a iniziomarzo – spiega che il clima di intolleranza ha un impattosugli standard minimi di protezione “dei diritti umani e del lavoro” nonché sui livelli di vita dei migranti,ponendosi in contrasto con la convenzione 143, sulla“Promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti”, ratificata dall’Italia nel 1981.SCUOLA: ALLO STUDIO “TETTO” PER GLI ALUNNISTRANIERI. Il ministero dell’istruzione “sta ragionando per introdurre un tetto intorno al 30%” alla presenza degli alunni stranieri nelle classi. Il provvedimento verrebbeintrodotto a partire dal 2010. Lo ha annunciato il ministroMariastella Gelmini in una conferenza stampa a PalazzoChigi. «Non credo – ha aggiunto – che ciò sia possibile dal prossimo anno, ma dal successivo. Sto comunquechiedendo ai dirigenti uno sforzo per risolvere i casi-limitegià dal prossimo anno». Ci sono vicende, ha detto il ministro, «che devono far riflettere. Si devono impegnarerisorse per accompagnare i bambini immigrati nella conoscenza della lingua italiana».

Il vescovo che analizzòle “attese di carità” di RomaA dieci anni dalla morte, la figura di monsignor ClementeRiva (nella foto) è ancora attuale. Uomo di grandissimaspiritualità e di straordinaria sensibilità, ha dedicato il suoapostolato alla dottrina teologica e filosofica, prestandoparticolare attenzione ai problemi sociali e allacomprensione e al dialogo tra le culture. Nato a Medolago,in provincia di Bergamo, nel 1922, a 17 anni entrònell’Istituto della Carità dei Padri Rosminiani. Ordinatosacerdote nel 1951, nel 1953 si laureò in teologia alla Pontificia università lateranense con una tesi su Antonio Rosmini, suo grande maestro di vita, oltre che di pensiero, imparando la “passione” per la Chiesa e il papa, l’amore per i poveri e, nello stesso tempo, per l’intelligenza e la cultura. Formatore di generazioni

di intellettuali cattolici che hanno vissutoil grande rinnovamento sfociato nel Concilio Vaticano II, monsignor Riva ebbe l’incarico di redigerecommenti teologici per i giornali cattolicisui lavori che si svolgevano nell’Aulaconciliare, producendo un patrimonioprezioso che sarebbe stato alla base di molte successive pubblicazioni.

Il vescovo del dialogoUn momento eccezionale della sua vita è coinciso con la relazione teologico-pastorale tenuta nel convegno del febbraio 1974 sulla “Responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma” (passato poi alla storia come il convegno su “I mali di Roma”): monsignor Riva in quella sede posel’accento sul ruolo fondamentale della Chiesa locale per rispondere alle “attese di carità e di giustizia” del popolodi Dio, funzione propria di Caritas Italiana, che in queglianni muoveva i suoi primi passi, e preludio alla costituzionedi Caritas Roma (1979). L’esperienza di religioso e di pretedi monsignor Riva è stata spesa quasi tutta a servizio dellaChiesa di Roma, di cui divenne, nel 1975, vescovo ausiliareper il Settore sud, nonché presidente della Commissioneper l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. In questa vesteagevolò, con grande senso di equilibrio, lo sviluppo dei rapporti tra la Santa Sede e la comunità ebraica. Vennedunque definito il “vescovo del dialogo con gli ebrei”; fu lui,insieme con il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, a renderepossibile la storica visita di Giovanni Paolo II alla sinagogadella capitale, il 13 aprile 1986. Francesco Dragonetti

ARCHIVIUM

ISOLA DEI CONTRASTIPreghiera dei delegati Caritaspresso il monumento “Portad’Europa”; sopra, nave naufragata

Dieci anni dopo il devastanteterremoto che colpì l’area di Adapazari, in Turchia(provocando, nell’agosto1999, migliaia di vittime), una delegazione di CaritasItaliana (nella foto), guidata da monsignor Giuseppe Merisi,presidente dell’organismo,ha visitato il paese,concentrandosi sulle iniziativerealizzate grazie al sostegnodi Caritas Italiana, a favoredei terremotati ma anche per altre finalità. La visita si è sviluppata tra Istanbul e le sedi vescovili regionali

“Lampedusa: porta d’Europa, grande cuore del Mediterraneo”: con questo slogan, circa 100 rappresentanti di CaritasItaliana, delle delegazioniregionali Caritas italiane, della Fondazione Migrantes e delle Chiese e Caritas di Sicilia si sono ritrovati a Lampedusa, dal 25 al 27marzo, per un confronto sul complesso fenomenoimmigratorio e per approfondirela situazione degli approdisull’isola. L’iniziativa ha costituito un segno di vicinanza e solidarietà con i migranti e con quanti a vario titolo si occupano di accoglierli e assisterli. La “tre giorni” isolana si è articolata in un incontrodel Coordinamento nazionaleCaritas sull’immigrazione, in un seminario pubblico, in una preghiera presso il monumento “Porta di Lampedusa – Portad’Europa” (realizzato dalloscultore Mimmo Paladino in memoria dei migranti mortidurante le traversate nel Mediterraneo), in momentidi confronto con gli altriorganismi che operano a Lampedusa (Oim, Unhcr,Croce Rossa Italiana, Save the Children, Inmp),infine nelle visite al Centro di identificazione ed espulsionedell’isola e al Centro di accoglienza aperto nell’exbase aerea Loran (dove ad alcuni migranti cristiani

sono state consegnate delle Bibbie). Dalle intensegiornate è emersa, da partedi Caritas Italiana, una richiestadi grande attenzione ai percorsie alle rotte della disperazione,a partire dalle condizionidi vita nei paesi di origine dei migranti, senza dimenticarei bisogni e le attese di una popolazione e una terra provate dal grandesforzo di accoglienza. Due considerazionifondamentali sono risuonate:«Abbiamo constatato una grande attenzione da parte di tutti gli addettiall’accoglienza – hacommentato monsignorGiuseppe Merisi, vescovodi Lodi e presidente di CaritasItaliana – ma rimane apertauna domanda fondamentale:la legislazione e il sistemavigenti sono in gradodi coniugare accoglienza,rispetto dei diritti umanie legalità?».

Coscienze raschiateA conclusione dei lavori,Caritas Italiana ha promessoun rinnovato impegno (anchein termini progettuali) accantoalla diocesi di Agrigento e allaparrocchia di Lampedusa.Tutti i soggetti partecipanti(in rappresentanza delleChiese di Sicilia c’era anche il cardinal Paolo Romeo,arcivescovo di Palermo)hanno espresso l’impegnoper attivare un laboratoriopastorale sull’immigrazione.

TURCHIAVisita ai progetti dieci anni dopo il terremoto

(con relative Caritas) a Iskenderun (Anatolia) e Izmir (Smirne).Accompagnava la delegazioneil direttore di Caritas Turchia,Rinaldo Marmara. Le attività a favore dei terremotati sonoconsistite nella ricostruzionedi case e strutture di interessecomunitario. Oltre a questiinterventi, si è aggiunto il finanziamento a progettisociali e formativi per rifugiati,minori, malati, anziani, disabili,vittime di altre emergenze.Nella messa finale a Meryemana (Efeso),monsignor Merisi ha auspicatoche la Turchia trovi il giustocollocamento, come e quandopossibile, in un’Europa che non può fare a meno di un’entità così significativa e culturalmente importante.

Infine, il Coordinamentonazionale Caritas ha manifestato l’intenzionedi approfondire i problemiriguardanti, soprattutto,la cura della salute e dei ricongiungimenti familiari.Quanto alla visita al Cie e allaex base Loran, i contatti coni trattenuti «sono stati veloci –ha sintetizzato FrancescoMarsico, vicedirettore Caritas–. Molti immigrati chiusi damesi nel centro chiedevanolibertà: aspirazione legittima,

che però questa legislazionenon può garantire». Vescovi e delegati Caritas sono rimastimolto colpiti dai racconti deglioperatori sanitari del centro, chehanno descritto le drammatichecondizioni delle personeappena sbarcate. «Un postocome questo – ha conclusomonsignor FrancescoMontenegro , vescovo di Agrigento e presidente sino al 2008 di CaritasItaliana – raschia il nostrocuore e le nostre sicurezze».

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progetti > diritto al lavorointernazionale

“MICRO” – NUOVE PROPOSTEKOSOVOMicroimpresa informatica per imparare a convivere La vita dei giovani, a Mitrovica, è segnata dalla divisionein comunità reciprocamente ostili, l’albanese e la serba, ma anche dalla sfida quotidiana all’integrazione sociale,culturale ed economica. Ecco perché un corso professionaledestinato a giovani disoccupati serbi ed albanesi è stato un piccolo ma importante segno di speranza: da questainiziativa è nato un progetto per fare impresa; ora si prevedel'acquisto di sei postazioni per computer, per avviare un internetpoint che sarà gestito dai giovani formati. > Costo 5.276 euro > Causale 36/09 Kosovo

CONGOUn mulino dà autonomia alle ragazze madriNel villaggio di Kilese le ragazze madri, con l’aiuto della comunità parrocchiale, si sono organizzate per crearsiopportunità professionali. Sfuggire alla prostituzione,alla delinquenza e alla povertà è il loro primo obiettivo.Il programma prevede l’acquisto di un mulino e di 300 sacchiper lo stoccaggio di granaglie, con l’obiettivo di creare unacooperativa femminile che vedrà protagoniste le ragazze madri.> Costo 3.000 euro > Causale 07/09 Repubb. democratica Congo

INDIALaboratorio di informatica per ragazzi di stradaIl centro educativo di Premalaya è destinato a ragazzi di stradaprovenienti dagli slum della periferia di Bangalore. Il lavorodi riabilitazione e sviluppo rivolto a ogni singolo ragazzo passaanzitutto attraverso la formazione di base e professionale.Il programma prevede l’acquisto di strumenti informaticiper allestire un laboratorio destinato ai ragazzi, anche al finedi fornire loro cognizioni spendibili nel mondo del lavoro. > Costo 2.480 euro > Causale 25/09 India

INDONESIATaglio e cucito per ragazze disoccupateNell’isola di Flores una piccola comunità di suore ha iniziato una serie importante e articolata di interventi di promozioneumana. L’insegnamento della lingua cinese, il lavoro con gli anziani, l’accoglienza degli stessi e dei malati sono soloalcune delle attività quotidianamente promosse dalla comunità.Ma ora si stanno avviando percorsi di formazione professionaliper giovani: il programma prevede l’acquisto di due macchine da cucire, due ferri da stiro, forbici e una macchina da ricamoper avviare un laboratorio di taglio e cucito, destinato a formarecome sarte le ragazze disoccupate dell’isola.> Costo 4.970 euro > Causale 29/09 Indonesia

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La crisi economica globale porterà a un drammatico aumento del numerodei senza lavoro. È la previsione,formulata a inizio 2009 nel suo Rapporto annuale,dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Il numero dei disoccupati a livello mondiale potrebbeaumentare, rispetto al 2007, di una cifra compresa tra i 18 e i 30 milioni (il tasso di disoccupazione globale passerebbe dal 5,7% al 6,1 o al 6,5%). Secondo le previsioni più pessimistiche, l’aumento potrebbe superare i 50 milioni (7,1% di disoccupazione); ingenterisulterebbe anche l’aumento di lavoratori poveri e di persone con posti di lavoro vulnerabili. In questo quadro, Caritas Italianasostiene, in tanti paesi del mondo,progetti per la promozione del lavoro,inteso non solo come strumento di guadagno e sostentamento, ma anche come contributo allo sviluppo materiale, sociale e culturale dell’intera comunità.

La diocesi di Latacunga è situata nel centro dell’Ecuador,nella regione del vulcano Cotopaxi; più di un terzo dei suoi abitanti sono indigeni. Qui la Pastoral Social Caritassostiene un programma rivolto a dieci gruppi organizzati di donne contadine (circa dieci per gruppo), della durata di un anno. Esso punta a migliorare la capacità di redditodelle famiglie interessate, sostenendo piccoli progettiproduttivi. Dopo la selezione dei gruppi, la seconda fasedel programma prevede la stesura dei progetti. Alcuni esempi: produzione di materia prima (orti organici),

produzione agricola invernale (serre), produzione frutticola,produzione agricola intensiva, trasformazione di prodottiagroalimentari (succhi di frutta, marmellate, farinealimentari), allevamento di animali da carne (conigli,pollame, maiali). I progetti sono rigorosamente “biologici”:non utilizzano componenti agro-tossiche come insetticidi e pesticidi. Il contributo finanziario verrà erogato nella forma del credito, erogato a soggetti altrimentiimpossibilitati ad accedervi tramite il circuito bancariotradizionale. Beneficiari dei prestiti saranno però i gruppi:ciò rappresenta una forma di responsabilizzazionecollettiva all’uso del denaro e al risparmio.> Costo 25.560 euro > Causale Ecuador – AL/2008/39

ECUADOR Coltivazioni “bio” grazie ai creditia dieci gruppi di donne contadine

IL PROGETTO

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La crisi, in Argentina,segue quella interna del 2001-2002. Ai margini delle cittàmolti si accontentanodei changas, lavorisporadici. Ma anchequesti, in tempi di “sobrietà forzata” per le classi medie e alte, vengono meno…

n recente rapporto redatto da esperti Onu(Situazione e prospettive per l’economiamondiale 2009) avverte che tanto più la si-tuazione peggiora nei paesi sviluppati, acausa della recessione economica mondia-le, tanto più si fa delicata nei paesi in via disviluppo. Il testo mette in risalto che, in tali

circostanze, i programmi di lotta alla povertà e la stabilitàpolitica e sociale dei paesi in via di sviluppo verrebberoseriamente compromessi. Il documento pronostica la

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Coscienza di sobrietà?L’Argentina è senza dubbio uno dei paesi dell’AmericaLatina che mantiene nella sua composizione socialeun’alta percentuale di classe media. Storicamente è sta-ta una caratteristica importante: il cosiddetto “benesse-re” della classe media, però, negli ultimi decenni, e inparticolare a partire dalla crisi del 2001-2002, si è vistominacciato da un processo di impoverimento, che ha ri-guardato vasti settori della classe media. Oggi la crisiglobale batte alle porte dell’Argentina; alcuni comincia-no a individuare reali conseguenze sul piano del lavoroe dei consumi. Sebbene non si abbiano cifre sicure, for-nite da organismi statali, tuttavia si può leggere la realtàche comincia a incidere sui settori più svantaggiati.

È vero che chi sta sommerso nella povertà profondae non gode di un posto di lavoro stabile non può esserecolpito dal fenomeno dei licenziamenti e meno ancoradalla diminuzione dei consumi. Ma i sociologi parlanodi “effetto riflesso”: esso si manifesta nell’interazione trai diversi settori della popolazione, condizione che sipercepisce reale, più che la divisione economica tra leclassi sociali. È un fatto che va oltre le frontiere delleclassi sociali: un esempio concreto dell’“effetto riflesso”lo si ha quando la diminuzione dei consumi della clas-se media immediatamente produce un impatto nelletasche dei poveri, in un modo o nell’altro.

La “sobrietà” delle classi superiori si propone oggi co-me diretta conseguenza della crisi economica mondiale.Ciò si avverte anche in Argentina, in diversi ambiti, dallavita familiare alla fruizione del tempo libero (turismo,sport, ristorazione, divertimenti). Ma la crisi colpisce tuttii livelli, a cascata, a partire dai più alti, fino a chi si arran-gia lavorando in maniera improvvisata, a ore, per soprav-vivere. Soffrono dunque le aziende del comparto del turi-smo, ma soffre anche il taxista fai-da-te, solito a staziona-re presso un parcheggio, un locale, un ristorante. La ridu-zione dell’impiego colpisce anche, tra coloro che stannopiù in basso nella scala sociale, e per effetto del modificar-si dei comportamenti delle classi medie, il servizio dome-stico: si riduce l’attività lavorativa, spesso sino alla metàdelle ore previste un tempo, normalmente 4 o 8 al giorno.

Si tratta di “misure preventive”? O è una nuova “co-scienza di sobrietà” maturata dalla classe media? Larealtà attuale pare configurarsi come un’interessantecombinazione lungo tre linee di azione, da parte delleclassi detentrici di capacità economiche: prevenzione esobrietà, ma anche l’adeguarsi a dati reali di minor ric-chezza disponibile. Però, se per la classe alta e media ar-

te vivono 184 milioni di poveri: il 31% in Brasile, il 28% neipaesi della Comunità Andina, il 19% in Messico, l’8% neirimanenti paesi del Mercosur (Paraguay, Uruguay e Ar-gentina) e in Cile, il 14% in America Centrale.

In realtà, i dati relativi all’Argentina nel rapporto Cepalarrivano solo fino al 2006. Fonti dell’organismo hanno spie-gato che cifre più aggiornate sono indisponibili. I dati sullapovertà in Argentina sono ufficialmente rilevati dall’Istitutonazionale di statistica e censimento (Indec); la loro attendi-bilità è stata però messa in dubbio a partire dal 2007.

internazionale

“EFFETTO RIFLESSO”,I POVERI SOFFRONO I TAGLI SENZA SOLDI

Mercato del baratto a Quilmes. Ne sorsero molti in Argentinadopo il crack del 2001, preludio della grande crisi mondiale

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caduta dei prezzi dei cosiddetti “beni primari” (materieprime e alimenti) e anche quella della domanda. Di con-seguenza sia l’Onu che la Commissione economica perl’America Latina (Cepal) annunciano un aumento dellapovertà in America Latina nel 2009, a causa della crisieconomica internazionale. Secondo il rapporto Cepal(elaborato nel dicembre 2008), l’occupazione ristagneràdurante il 2009: i salari reali subiranno con lievi ribassi,mentre un chiaro deterioramento si avvertirà nelle casedei lavoratori atipici e in nero. Attualmente nel continen-

di Susana Nuin Núñez

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gentina i cambiamenti che si richiedono sono molto si-gnificativi, non lo sono da meno quelli che interessano isettori della povertà, sui quali si manifesta il più concre-to impatto sociale della crisi. Facce di povertà profonda:mentre la classe media può ancora permettersi di esseresobria, i poveri soffrono spietatamente dei tagli finali.

Misure sufficienti?Le autorità nazionali stanno mettendo in campo misurein grado di affrontare la nuova emergenza sociale? Vi so-no interi settori popolari profondamente disarticolatiper mancanza di lavoro. Indubbiamente i piani delinea-ti dal ministero dello sviluppo, a livello statale e nelleprovince, sono e sono stati palliativi a fronte di situazio-ni che erano più che di emergenza, in quel momento.Piani di enorme entità e importanza risalgono alla crisieconomico-sociale argentina del 2001-2002: riguardaro-no le famiglie in stato di necessità, ma la somma degli in-terventi per gruppo familiare poteva assicurare la so-pravvivenza della popolazione, ma non lavoro, e ancormeno l’apprendimento di una cultura del lavoro.

In ogni caso si incontrano quotidianamente famigliemolto bisognose che vivono in una bidonville o in unasentamiento (insediamento abusivo, di solito esito di

occupazioni di terre improduttive), dove in tre o quattrogenerazioni nessuno è riuscito a trovare un lavoro de-gno di questo nome, dove crescono bambini che nonhanno mai visto lavorare i loro nonni, padri e fratelli. Omeglio, li hanno visti realizzare “lavori sporadici”, i co-siddetti changas, impieghi occasionali. Queste personee queste famiglie non sono colpite dal taglio – che nonsi è verificato – dei piani di intervento di intervento o deiprogrammi sociali del governo, che restano però insuf-ficienti per far fronte al problema della povertà, e tantomeno all’emergenza proposta dalla nuova crisi.

La situazione si è aggravata soprattutto nei “quartieridella povertà”, ovvero gli asentamientos o le bidonville. Larealtà vissuta dalle persone che versano in stato di po-vertà, nelle grandi periferie, siano esse della “Grande Bue-nos Aires” o di città in altre province, è la realtà di chi si “ar-rangia alla meglio”. La stessa capacità di trovare improvvi-sando “lavori alternativi”, sembra svanire o allontanarsiogni volta di più. Intanto il costo della vita va aumentan-do, rendendo sempre più inaccessibili gli alimenti di pri-ma necessità. Portando al paradosso un’ampia compo-nente della società: in molti, pur appartenendo a un pae-se produttore di alimenti, a “numero uno” di questo setto-re della produzione economica, patiscono la fame.

Movimenti sulla scenaL’Argentina rischia dunque nuove tensioni sociali? Latensione cresce, senza alcun dubbio. Come detto, la dif-fusione della povertà si amplia continuamente, in assen-za di sforzi organici per ricostruire la cultura del lavoro,ma anche per la presenza di un maggior numero di di-soccupati e per l’assenza della ripresa della produzione.Ne scaturisce un corollario di conseguenze sociali signi-ficative, dall’insicurezza interna all’aumento del trafficodi droga, all’abbandono scolastico in giovane età all’au-mento della delinquenza. Questi elementi, e molti altri,si stanno sommando in uno scenario comune: la com-plessa crisi attuale non è altro che la punta dell’icebergdi una crisi sociale molto più grave.

Dopo la crisi del biennio 2001-2002, l’Argentina non èpiù la stessa. Ancora non aveva finito di risollevarsi, sulpiano socio-culturale, da una crisi terribile, quando eccoarrivarne un’altra. Gli squilibri sociali aumentano. E in ge-nerale il paese, pur essendo potenzialmente ricco, in ra-gione delle sue risorse naturali, delle sue materie prime edel suo potenziale culturale, che offre gli strumenti pertrovare la propria strada allo sviluppo, si sta ripiegando suse stesso, a causa del clima di depressione socio-culturale.La crisi odierna può rappresentare una reale possibilità di

vera trasformazione sociale e culturale, verso un mondopossibile per tutti. Ma le conseguenze delle forti crisi eco-nomiche fanno supporre che i processi socio-culturali ededucativi (grazie ai quali, soli, si possono trovare reali vied’uscita dalle emergenze) richiederanno tempi lunghi.

In questo quadro, i movimenti sociali, particolarmenteattivi negli ultimi decenni, stanno nuovamente tornandosulla scena: cortei nelle strade, proteste attive, presenza dimolta gente nelle strade. Persino il movimento sindacale,decimato in termini di consensi, perché impegnato a pre-servare le grandi conquiste contenute nelle leggi sociali deidecenni scorsi, più che a rappresentare le vittime e gli ef-fetti delle crisi recenti, sembra voler far dimenticare i suoiritardi con proteste silenziose sempre più ampie.

L’intera società, nelle sue molteplici espressioni, si in-terroga sulla ricerca di nuovi percorsi, per fare fronte alleurgenze improcrastinabili del tempo attuale. Cristina Cal-vo, economista, dirigente di Caritas Argentina, ha affer-mato che «siamo di fronte a una crisi endogena e struttu-rale di un mondo finanziario, che assicura guadagni im-mensi a pochi attori e gigantesche disuguaglianze a tuttoil pianeta». L’Argentina non è aliena a questo scoraggian-te panorama. Anche se aveva cominciato a soffrirne, benprima che in depressione cadesse il mondo intero.

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Caritas Italiana è attiva in Argentina, nell’arcidiocesi di Mendoza,nell’ambito di un programma di “Sostegno alimentare e promozione della comunità”, che ha come destinatarie famiglie sotto la soglia di povertàe si articola in diversi ambiti: risposta alla domanda di maggiore e correttaalimentazione, fornitura di medicinali, promozione umana tramite azionieducative e occasioni ricreative, promozione di attività microimprenditoriali.Tutte le attività del progetto vengono realizzate nella zona di Gran Mendoza(Maipù, Lujan, San Martin, Las Heras...), per lo più in quartieri e asientamientoscon spiccati problemi sociali ed economici. La finalità è offrire sostegno e accompagnamento alle famiglie più disagiate, anche attraversol’organizzazione di laboratori educativi, culturali e ricreativi, rivolti soprattutto a bambini e madri. Con i bambini si realizzano attività di recupero scolastico e artistiche, cercando di colmare i deficit educativi e di apprendimento. Attivitàformative e aggregative vengono rivolte anche agli adolescenti, nel tentativo di offrire strumenti per migliorare la propria condizione economica e sociale. Le madri, invece, vengono inserite soprattutto nei laboratori di nutrizione, cucito e salute: promuovono l’apprendimento di abilità pratiche e lavorative,ma anche lo spirito di cooperazione e la socializzazione. Questo lavoro incideanche sull’autostima delle donne, condizione indispensabile per rafforzare il nucleo familiare, di cui esse sono elemento portante, spesso l’unico genitorepresente; inoltre divengono, grazie a queste azioni, agenti di cambiamento e di autosviluppo locale. Caritas Italiana sostiene il progetto con fondi e tramitela presenza di due volontarie in servizio civile nazionale (caschi bianchi).

L’IMPEGNO CARITASMeno elettrodomestici venduti, vuoto il carretto di Juan PedroMi chiamo Juan Pedro, ho 47 anni. Dal 2001 lavoro raccogliendo cartone a Buenos Aires. Tutte le sere vengo da Quilmes, 45 minuti dalla capitale, a bordo di un camion insieme a venti compagni. Nel camion porto il miocarretto, con il quale raccolgo cartone nel quartiere commerciale, è un carretto che tiro con le mie braccia... Da quando ho cominciato, i maggiori fornitori di cartone erano i negozi di elettrodomestici, perché lì tutti gli involucri dei prodotti sono a base di cartone. Ogni giorno riempivo il carretto passando in cinque centricommerciali di elettrodomestici. Ora, a causa della crisi, le vendite sono talmente diminuite che mi tocca lavorareil triplo, passando da un maggior numero di negozi per poter riempire la carretta. Devo fare uno sforzo molto piú pesante per raccogliere la stessa quantità di cartone. E guadagnarmi così la giornata…

Gabriela non fa più la domestica, insieme ai figli vende fazzolettiniMi chiamo Gabriela, ho 38 anni e 4 figli. Ho sempre lavorato come domestica, generalmente 9-10 ore al giorno.Quando è cominciata la crisi, mi hanno detto che erano molto dispiaciuti (servivo quella famiglia da più di 15 anni), ma il padrone di casa aveva perso una parte del lavoro nell’agenzia di vendita di auto e non potevanocontinuare a pagarmi per piú di 4 ore al giorno. Allora in questi mesi mi sono messa in cerca, ma non trovolavoro. Però mi dò da fare da sola: mi alzo presto, a causa dei ragazzi; non posso lasciarli soli in casa, è pericoloso, mio marito esce di casa presto per il lavoro. Me ne vado con loro a vendere fazzoletti usa e getta,forcine per capelli e altre cosucce. Cerco in questo modo di recuperare lo stipendio che ho perso. Mi costa moltosacrificio: uscire con tutti i ragazzi, quando piove, fa freddo o caldo, è faticoso e complicato. Ma non ho altrascelta, se voglio dar loro da mangiare… PANORAMA DI DESOLAZIONE

Immagine di uno dei barrio di Mendoza,i quartieri periferici di baracche

dove si svolgono i progetti Caritas

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Conquistare credibilitàUn panorama analogo si è sviluppato per i fondi d’investi-mento: accanto a quelli commerciali convivono fondi che,pur salvaguardando la redditività degli investimenti, privi-legiano gli obiettivi di sviluppo, d’accordo con gli investito-ri. Negli ultimi anni, oltre al rating delle aziende, per deci-dere dove investire si sono sviluppate analisi di impatto so-ciale caratterizzate da differenti approcci e sensibilità. Ecosì si arriva alla conclusione dell’anticiclo.

La frammentazione del rischio e i sistemi di controlloche si attuano sono la premessa per incentivare persino igrossi gruppi bancari a investire nel settore, per conquista-re la credibilità dei risparmiatori e promuovere investimen-ti “semplici”, legati all’economia reale. Le istituzioni di mi-crofinanza sono pronte ad accettare questa sfida, accom-pagnando la crescita delle comunità di base e delle econo-mie reali di prossimità verso la prospettiva di uno svilupposostenibile, in un mondo sempre più interdipendente.

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i vuole coraggio a parlare di credito in questoperiodo. La fiducia, nel mondo, è ai minimistorici e ciò deprime le prospettive di futuro dimolte persone. Ma questa volta non è fallitouno stato povero. E non sono stati scontri neipaesi meno sviluppati, né tanto meno la guer-ra al terrorismo, a condizionare il prezzo delle

materie prime e del petrolio. È stata la crisi a mettere in di-scussione il modo di concepire, a livello globale, la finan-za, l’economia, il reddito familiare e il consumo.

Viviamo questa situazione perché chi gestiva il ciclo ri-sparmio-credito ha speculato sopra ogni limite, chi dove-va controllare non lo ha fatto, chi amministrava il bene co-mune non è intervenuto: una catena di responsabilità dif-fuse. Ormai siamo tutti coinvolti: ricchi e poveri, paesi svi-luppati e regioni disgraziate e dimenticate.

Leggendo gli statuti di molte istituzioni bancarie italia-ne, si rimane meravigliati per le origini nobili e i valori cheli ispirano. A organizzarsi, nei secoli, sono state le comu-nità, le Chiese locali, le cooperative, le associazioni di ca-tegoria, i sindacati… insomma, collettività che si sono do-tate di strumenti per concedere credito e credibilità ai po-veri, ai lavoratori seri e onesti, senza distinzioni tra im-prenditori, dipendenti o liberi professionisti. Si sono co-struiti anche ammortizzatori sociali e strumenti automa-tici di sostegno alle persone in crisi, dai fondi di garanziaalla cooperazione sociale, dalle banche dei territori allebanche specializzate a sostenere il terzo settore. E si è fat-ta esperienza della mutualità e della solidarietà, costruen-

do un modello di protezione sociale universalistico.La storia ha insegnato, in ogni caso, che le crisi non si

superano con slogan o annunci di nuovi strumenti, ma an-zitutto con il lavoro duro, comunitario, solidale. Nonostan-te la consapevolezza che prima della crisi la differenza traricchi e poveri cresceva, e probabilmente crescerà ancora.

I vent’anni di EtimosNell’ultimo mese il consorzio Etimos, che per conto del si-stema Banca Etica si occupa di concedere microcrediti neipaesi poveri, ha organizzato – in occasione del suo 20° an-niversario – visite in Sri Lanka, Cambogia, Ecuador e Nica-

ragua, per incontrare i suoi soci locali. Dal 1989 Etimos haerogato finanziamenti per più di 40 milioni di euro a favo-re di oltre 100 organizzazioni sociali di microcredito. Gra-zie a questi partner, sono state raggiunti più di 600 mila be-neficiari finali, con una netta prevalenza di donne. Ma lacrisi è arrivata anche in quegli angoli di mondo, dove mol-ti, pur non avendo investito in titoli tossici né titoli di ban-che o finanziarie americane o dei paradisi fiscali, si ritrova-no a soffrire. Perché? Principalmente per tre motivi. Anzi-tutto c’è un problema di liquidità del sistema finanziario enessuno effettua più prestiti tra banche, anche tra quellelocali, che così non hanno i soldi per continuare l’attivitàcreditizia. Poi la riduzione del costo petrolio (e delle mate-rie prime in genere) ha comportato un deficit fiscale per glistati, che non possono garantire gli interventi pubblici pro-grammati; la riduzione di liquidità deprime inoltre la do-manda, quindi il tessuto economico sottostante. Infine, lerimesse degli immigrati si sono ridotte e questo pesa nel-l’economia familiare di questi paesi.

A questi motivi se ne aggiungono due, che interpellanola nostra responsabilità. I paesi donatori hanno ridotto, ealcune volte cancellato, interi programmi di intervento dicooperazione allo sviluppo, in barba ad accordi condivisi,adducendo come ragione la crisi o in alcuni casi l’instabi-lità politica del paese beneficiario; le istituzioni finanziariesocialmente orientate hanno ridotto gli investimenti e ten-denzialmente stanno rendendo sempre più difficile l’ac-cesso al credito. Così si rafforza una convinzione: la micro-finanza può essere, nel contesto di crisi globale, anticiclica.Gran parte delle organizzazioni di microfinanza sono natecome ong, grazie a fondi a dono o agevolati resi disponibi-li dalla cooperazione internazionale privata e pubblica, so-prattutto in Africa, America Latina, Asia ed Europa dell’est.Molto spesso la stessa Caritas si è fatta promotrice di espe-rienze di credito comunitario e microfinanza, promuoven-do cooperative e associazioni comunitarie.

Nell’ultimo decennio il settore della microfinanza ècresciuto costantemente, tra il 20 e il 40% all’anno; con-temporaneamente, ha conosciuto una profonda segmen-tazione. I beneficiari hanno superato quota 200 milioni. Leorganizzazioni di microfinanza, vero tramite tra chi erogaprestiti (come Etimos) e beneficiari finali, hanno affinato imetodi d’intervento e differenziato i prodotti: accanto alcredito propongono spesso la raccolta del risparmio, servi-zi di assicurazione, di trasferimento del denaro, di micro-leasing. Accanto alle grandi organizzazioni ne sono sortepiccole e medie, mentre altre in fase di avvio manifestanoattenzione specifica ai ceti più poveri della popolazione.

internazionale

La crisi è nata dalla grande finanza.Ma la finanza “micro” può essere“anticiclica”: concede credibilità ai poveri, dà linfa all’economiareale, riattiva il sistema dei controlli.Cresce del 20-40% all’anno. E ha 200 milioni di beneficiari…

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IL MICROCREDITO ROVESCIAIL CICLO DELLA SFIDUCIAdi Marco Santori Presidente consorzio finanziario Etimosfoto di Maria Cecilia Graiff

viaggio nella crisi 3€

MICROIMPRESEUna commerciantee un artigiano, finanziatiin Tailandia da Etimos e Caritas

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Il peperoncino e la gommaWi Chai ha 42 anni, coltiva peperoncino e lo rivende a unintermediario che una volta alla settimana raccoglie ilprodotto. Ha ricevuto un prestito di 20 mila baht (430 eu-ro), grazie al quale ha raddoppiato la sua piccola pianta-gione: adesso ha 1.500 cespugli, che gli fruttano 3 milabaht alla settimana. È contento dei progressi fatti ma staprogettando, insieme ad altri membri del saving group, dicreare una cooperativa, per poter vendere direttamente ilpeperoncino, saltando l’intermediario e ottenendo cosìguadagni migliori. Intanto è felice di essere riuscito a iscri-vere il figlio maggiore all’università a Phuket; tra un paio

d’anni vorrebbe fare lo stesso con ilsecondogenito.

Pla Muan, 50 anni, e sua moglieNam Ja Rii, 42, possiedono un ettarodi terreno con 200 alberi della gom-ma. Non è un buon momento per ilmercato della gomma: il prezzo oscil-la parecchio, i margini di guadagno siriducono. È un lavoro duro, bisognauscire di notte verso le 2 a incidere lecortecce, poi verso le 6-7 si esce dinuovo per raccogliere il liquido chenel frattempo è gocciolato nei conte-nitori di cocco applicati sugli alberi,sperando che nel frattempo non sia

piovuto perché se la gomma si annacqua diventa pratica-mente inutilizzabile e perde il 90% del valore. Poi alle 8 co-mincia la lavorazione: aggiunti gli acidi necessari, la gom-ma viene messa negli stampi, lasciata indurire, pressataper formare i fogli messi a essiccare al sole...

Con il prestito di 20 mila baht ricevuto dal gruppo, i co-niugi hanno comperato un buon fertilizzante e piantatoalberi giovani. Ci vorranno almeno 4-5 anni perché co-mincino a essere produttivi. Però la qualità della gommaè già migliorata e ciò ha permesso loro di superare la fortecrisi di mercato dei mesi scorsi. Basta un piccolo prestito,a volte, per affrontare grandi tempeste.

internazionale2010 senza povertà

PIÙ BISOGNI, MENO FONDISERVE UN MODELLO DIVERSO

da fondi propri o dal mercato ban-cario, ma la recessione internazio-nale che ha colpito per prime le isti-tuzioni finanziarie di credito ha fattosì che le banche siano molto più re-ticenti nella concessione di prestiti.

Emigranti di ritornoLa crisi alimenta anche fenomeninuovi. Gli emigranti, che fino a qual-che mese fa non suscitavano l’inte-resse delle autorità o dei mass me-dia, cominciano a tornare. Primarappresentavano solo un numero: icirca 7 miliardi di euro annui di ri-messe, che certamente giocano unruolo importante per l’economia ro-mena. Oggi, mentre lavoratori quali-ficati continuano a emigrare e men-tre ogni partenza si lascia dietro pe-santi lacerazioni delle relazioni fa-miliari, anche questa fonte di entra-te appare a rischio, perché moltepersone, perdendo il lavoro all’este-ro, fanno ritorno a casa.

Di fronte a questo scenario fitto di problemi, le orga-nizzazioni non governative non vogliono, né possonosostituirsi agli organismi governativi, perché non è que-sta la loro missione. Esse tentano di trovare piattaformecomuni di discussione e di azione, per poter influenza-re i meccanismi legislativi e decisionali riguardanti la di-stribuzione dei fondi pubblici. Evitando che organizza-zioni fittizie possano beneficiare di fondi pubblici, ascapito dei crescenti bisogni della popolazione.

Occorre dunque che ci si impegni sempre più nell’e-laborazione di progetti e programmi, su scala nazionaleo locale, che rispecchino una certa visione di economiasociale, affinché le sempre più scarse risorse pubblichesiano utilizzate per rispondere non solo a bisogni pun-tuali, ma a costruire un modello sociale diverso.

Ad esso si associa la rapida diminu-zione degli investimenti stranieri inRomania: ne consegue una diffusacrisi di fiducia e di liquidità.

Alcuni parametri relativi alla si-tuazione sociale (il crescente tasso didisoccupazione, la diminuzione del-la popolazione attiva, l’aumento deipensionati) pongono pesanti interro-gativi sul futuro del paese e sollecita-no una forte mobilitazione da partedelle ong e della Caritas. Tuttavia, lacrisi ha direttamente influito sulla ca-pacità di queste organizzazioni di re-perire fondi, sia pubblici che privati, per attività di caratte-re sociale, in Romania esclusivamente gestite dal settorenon profit. I fondi pubblici per il welfare sono diminuitidel 20%. E si sono ridotte anche le donazioni provenientidall’estero. Associazioni e organizzazioni non governativehanno quindi difficoltà a elaborare programmi, in lineacon il principio di sussidiarietà, sulla base delle previsionidi spesa dell’amministrazione centrale e di quelle locali.

Certo, l’ingresso del nostro paese nell’Unione hacomportato l’arrivo dei fondi strutturali europei. Pur-troppo, anche questa fonte di finanziamento pubblico siè dimostrata una noce difficile da schiacciare. Molti nonconoscono il difficile linguaggio burocratico di Bruxel-les; d’altro canto, il co-finanziamento, richiesto ormai inqualsiasi progetto europeo, può essere assicurato solo

In Romania l’economia è in frenata. Lo dimostrano

molte statistiche. Nel frattempo i servizisociali, la cui gestione

è affidata quasi per interoai soggetti non profit,soffrono di incertezze

e restrizioni nell’erogazionedegli stanziamenti pubblici

di Egidiu Condac Direttore Caritas Romania

Si susseguono le notizie, soprattutto in sede di Unione Europea, ri-

guardanti l’impatto della crisi economica e finanziaria internaziona-

le sui paesi dell’Europa dell’Est. Per capire cosa stia succedendo in

Romania, basta prendere in esame i dati statistici ufficiali. Quello sulla

vendita al dettaglio dei prodotti alimentari evidenzia che la crisi economi-

ca influisce direttamente sulla vita quotidiana delle persone. Si registra in-

fatti una drastica diminuzione dei consumi, che è stato uno degli elemen-

ti di forza della forte crescita economica del paese negli ultimi anni.

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internazionale

ioggia torrenziale. La foresta intricata di man-grovie diventa di un verde ancora più intenso.Bang Wan è un piccolo villaggio di pescatori del-la Tailandia, lungo la costa delle Andamane, unotra quelli maggiormente colpiti dallo tsunami

del 2004. Toey ha 30 anni: nella sua palafitta di legno sonoriuniti molti abitanti del villaggio, i membri (da più di dueanni) del saving group, il gruppo di risparmio promossodalla Caritas locale e sostenuto da Caritas Italiana grazie aifondi del consorzio Etimos. Sono circa 40 e ogni mese si in-contrano per analizzare problemi, ri-cevere informazioni, presentare e di-scutere richieste di credito.

È cominciata la stagione dellepiogge, il periodo più duro per gli abi-tanti dei villaggi della provincia diPhang-Nga, forse la più piovosa dellaTailandia. Il tempo spesso non dà lapossibilità di uscire in mare a pesca-re, né di raccogliere la gomma, le atti-vità principali dell’economia locale.Così le entrate diminuiscono e diven-ta difficile gestione i risicati budgetfamiliari. Allora bisogna ingegnarsi atrovare occupazioni alternative: peresempio preparare in casa dolci o la salsa al peperoncino,per rivenderli nei villaggi vicini.

Toey ha una barca tradizionale long tail e pesca gran-chi, che nei canali della foresta di mangrovie hanno il lorohabitat naturale. La moglie lo aiuta a preparare le trappolecon il filo di ferro, posizionate durante l’altra marea e rac-colte dopo qualche giorno durante la bassa. L’uomo ha ri-cevuto dal gruppo un credito di 10 mila baht (poco più di200 euro) e ha appena finito di ripagarlo: ci ha comperatonuove reti per poter pescare in mare aperto e diversificarecosì le sue entrate. Toey ha tre figli: le spese per i loro studisono alte, ma bisogna onorarle anche quando piove...

Il circolo dei prestiti di Bang Wan,le piogge non fanno più pauraIn un villaggio di pescatori della Tailandia, funziona il “gruppo di risparmio”promosso da Caritas. Così Toey può pescare più al largo. E far studiare i due figli…

di Maria Cecilia Graiff

P

viaggio nella crisi 3€

PESCATORE DI GRANCHIUno dei membri del gruppo di risparmiodi Bang Wan, provincia di Phang-Nga

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internazionalenell’occhio del ciclone

TAGLIA, BRUCIA, COLTIVASULL’ISOLA NASCE IL CONFLITTO

Nell’oceano, senz’acquaL’ecosistema del Madagascar è straor-dinario, con molte specie vegetali eanimali uniche. Tuttavia, a causa del-la penetrazione dell’uomo in aree untempo incontaminate, questo patri-monio biologico risulta in pericolo:530 sono le specie animali a rischio diestinzione (dato 2004) e centinaia sisono già effettivamente estinte.

Ma c’è di più. Un inadeguatosmaltimento delle acque reflue, unitoall’erosione dei suoli causata dalladeforestazione e a un massiccio usodei pesticidi per le monocolture, hacondotto a inquinare le acque di su-perficie. Nelle zone rurali solo il 35%della popolazione ha accesso all’ac-qua potabile e solo il 34% (dato 2004)dispone di servizi igienici; in genera-le, solo metà della popolazione di-spone di acqua potabile.

«In un’isola dotata di immensericchezze naturali – sintetizza mon-signor Rosario Vella, vescovo di Am-

banja, una delle più grandi città dell’isola – il 70% dellefamiglie non riesce a provvedere al fabbisogno alimen-tare, tanto meno a curarsi né a mandare con regolarità ifigli a scuola. E solo il 13% della popolazione può com-prarsi le medicine necessarie…».

Il sociologo Karl-Ludwig Shibel, nel rapporto Nell’occhiodel ciclone, pubblicato a gennaio da Caritas Italiana, ricordache ogni anno nel mondo 13 milioni di ettari di bosco sonovittime della deforestazione, a causa della trasformazionedelle foreste in superficie agraria, in particolare a favore del-la creazione di monocolture industriali di soia e mais. È unoscenario che si ripete in altri paesi africani, con analoga, senon maggiore complessità. Ne nascono, come nel caso delMadagascar, spirali di conflitto che una coscienza ambien-tale più avvertita ed equa potrebbe disinnescare.

conflitto nello stato-isola dell’oceanoIndiano presenta rilevanti implica-zioni ambientali. Il diritto alla terra eil sentire la natura come parte dellapropria identità sociale e culturale èstato uno degli elementi che ha pro-vocato un crescendo di manifesta-zioni popolari, che ha prodotto unprecipitoso, e per fortuna non moltocruento, cambiamento di governo.

“Quando gli elefanti lottano, chine soffre è l’erba”, ricorda un anticoproverbio malgascio. La povertà dif-fusa (il reddito medio pro capite è329 dollari l’anno) fa del Madagascar uno dei paesi piùpoveri del mondo; ma a ciò si aggiunge uno sfrutta-mento intensivo dell’ambiente, gestito da multinazio-nali e ricchi proprietari fondiari.

Il 15,9% del Madagascar è coperto da foreste, ma latutela ambientale riguarda solo il 2,6% (dati 2007) dellasuperficie territoriale. Anche l’alto tasso di crescita del-la popolazione, negli ultimi anni, ha comportato un for-te aumento di pressione sull'ambiente. La tecnica dideforestazione “taglia e brucia” per far posto all'agricol-tura e la dipendenza dalla legna da ardere come fonte dienergia causano vaste perdite di copertura forestale. Ilpaese ha avuto, nel periodo 1990-2005, un tasso annuodi deforestazione dello 0,42%, dovuto per buona parteall’azione indiscriminata delle multinazionali.

Il Madagascar ha vissutoun traumatico cambio

di regime. Alla base delle convulsioni politiche,

la povertà diffusa,nonostante le enormiricchezze, soprattuttoforestali, del territorio.Sprecate e “appaltate”

alle multinazionali

di Marco Iazzolino

L’aver ceduto, senza contropartita ufficiale, un territorio di 1,3 mi-

lioni di ettari (circa la metà dei terreni coltivabili in Madagascar)

alla coreana Daewoo Logistic, interessata a coltivarvi mais e pal-

ma da olio, è stata una delle cause della recente caduta del presidente

Marc Ravalomanana in favore del giovane sindaco della capitale Antana-

narivo, Andry Rajoelina. La gente è scesa in piazza a febbraio, nelle gran-

di città del Madagascar, gridando slogan come «Chi ha diritto di vendere

la terra degli antenati?». A testimonianza del fatto che anche il recente

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econdo l’Oms (Organizzazione mondiale dellasanità) “la salute è uno stato di benessere fisico,mentale e sociale”: dunque una condizione in-fluenzata da fattori biologici, comportamentalie ambientali. Ci sono molti luoghi del mondo,però, dove il diritto alla salute resta ancora ogginegato, o comunque difficilmente accessibile, a

molte persone. Uno di questi luoghi è la Guinea, piccolopaese dell’Africa occidentale, dove pure dalla fine degli an-ni Ottanta si è cercato di adottare una strategia in camposanitario, sia curativa che preventiva, atta a soddisfare i bi-sogni primari della popolazione, ma capace anche di con-siderare l’aspetto sociale ed educativo, fondamentale nel-la formazione di una coscienza collettiva sull’argomento.

La Guinea si è dedicata soprattutto all’organizzazionedi un sistema di trattamenti curativi basilari a partire daidistretti sanitari locali di base, cercando di mettere in attouna politica di decentralizzazione dei servizi, attraverso la

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internazionale

S

UN SORRISO PER SOLANGE,UN RINTOCCO PER MERIAMtesti e foto di Eleonora Albanese e Moira Monacelli Due giovani donne, due gravidanze,

due destini opposti: il diritto alla salute, nella foresta dellaGuinea Conakry, non è garantitoa tutti in modo uguale.Va rafforzato il sistema pubblico. Ancheintegrando la medicina tradizionale

GRAZIE ALLA MATRONEMamma Solange

e la piccola Agnes:parto a lieto fine

guinea

creazione di centri di salute anche nei villaggi più piccoli epiù lontani dalle città. Ma ancora oggi curarsi è un’impre-sa difficile, che non tutti riescono ad affrontare.

Papà Koly, uomo fortunatoPapà Koli Théa, per fortuna, finora ha vinto la sua sfida.Il suo dolore cresceva silenzioso, giorno dopo giorno, eindeboliva il suo corpo. Ma finché l’ha potuto sopporta-re ha stretto i denti ed è andato avanti, perché dovevagestire una famiglia con 16 figli lavorando tutti i giorni

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La Guinea è considerata dal Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) uno dei paesi più poveri del mondo:nonostante sia un territorio ricco di acqua, foreste e risorse minerarie,il paese vive una situazioneestremamente travagliata,caratterizzata da una forte instabilitàpolitica, una pesante crisi economicae un’insicurezza sociale dilagante.

Le cause di tali condizioni vannoricercate nella vicenda storico-politicadel paese originatasi a partiredall’indipendenza dalla Francia(1958). Fino al 1984, la Guinea è stata guidata dal dittatore AhmedSekou Touré: in questa fase una ristretta e dogmatica visione

politica, nonché una totale mancanzadi preparazione dal punto di vistaeconomico, hanno costituito il primoreale ostacolo per lo sviluppo del paese. Dopo la morte di Touré,nel 1984, è salito al potere con un colpo di stato militare il generale Lansana Conté: con le nuove politiche economichedegli anni Novanta si è avviato untortuoso processo di democratizzazione,che ha dato vita sulla cartaall’attuale repubblica presidenziale,mantenendo tuttavia in concreto un governo di tipo dittatoriale.

La grave crisi economica in cui da anni ristagna il paese, l’approcciopesantemente negativo nei confrontidell’opposizione politica

e la crescente crisi sociale hanno causato, agli inizi del 2007,l’apertura di una stagione di scioperie rivendicazioni, finalizzati a sollecitare un maggiore impegno,da parte delle istituzioni governative,per il miglioramento delle condizionidi vita della popolazione.

Ne sono seguite diversi momentidi conflitto e di violenze diffuse nel paese. Attualmente la Guinea è guidata dal Conseil national pour la democratie et ledeveloppement (Consiglio nazionaleper la democrazia e lo sviluppo), che ha preso il potere con un colpodi stato nel dicembre 2008, dopo la morte del presidente Conté.Ma la grave crisi perdura.

Territorio ricco di acqua e risorse, a dicembre l’ultimo colpo di stato

cite a cui è stata sottoposta non ha lasciato traccia. E lei,orgogliosa, mostra la pelle perfettamente lucida e risal-data. Dalla sua cartella clinica, che in Guinea viene trat-tenuta dal paziente, si evincono un trattamento sanita-rio attento, l’accuratezza del dottore che l’ha presa incarico. Sorridente e serena, la donna è pronta a tornaread accudire la famiglia e a lavorare: la malattia e l’emer-genza saranno presto una parentesi.

Le due storie rivelano un panorama di contrasti. Da unlato, si rileva nel paese un aumento progressivo del nume-ro delle strutture sanitarie “di prossimità” (dispensari, cen-tri di salute distrettuali) e delle persone che vi si rivolgono,nonché un sensibile incremento della percentuale di po-polazione vaccinata, passata da meno del 5% a più del60% in due decenni. D’altro canto, il valore di alcuni indi-catori resta preoccupante: l’invio di casi dai centri di salu-te distrettuali agli ospedali regionali, per provvedere curepiù adeguate, continua a riguardare il 3% dei pazienti. An-che il tasso di mortalità materna resta particolarmenteelevato, e addirittura in aumento in alcuni territori: nellaregione forestale del paese ha raggiunto il 52 per mille.

Molteplici fattori concorrono a definire questo qua-dro problematico: l’elevata percentuale di analfabeti-smo; una scarsa formazione circa le norme igienico-sani-

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munque in un luogo dove sembra impossibile poter ri-trovare la salute, o vederla garantita.

Morire senza un perché finisce così per diventare lanormalità, quasi la quotidianità. Un’infezione, anche lapiù banale, se non curata in tempo e in modo adeguato,porta a conseguenze terribili, fino – appunto – alla mor-te. Per le donne, in particolare, i problemi possono esserenumerosi e diversi, soprattutto in gravidanza, quando sa-rebbero importanti e auspicabili controlli periodici e unmonitoraggio costante dello stato di salute della futuramamma, mentre nella maggior parte dei casi, nonostan-te numerose campagne di sensibilizzazione, si tendono a

ignorare o trascurare ifattori di rischio. Ma-riam, una giovane don-na, era incinta di ottomesi. Risiedeva in unvillaggio alla periferiadi N’Zérékoré, appa-rentemente godeva dibuona salute. Ha conti-nuato a gestire la suaquotidianità familiare,senza tenere sotto con-trollo l’evoluzione dellagravidanza, sottovalu-tando i segnali di peri-colo: il rintocco dellecampane alle sedici diun pomeriggio qua-

lunque ha concluso la sua breve vita e la sua triste storia.

La “matrone” arriva di nottePurtroppo epiloghi simili non sono rari e affondano leproprie radici, oltre che nell’inefficacia del sistema sani-tario pubblico, nell’ignoranza e nel ricorso tardivo allecure mediche, spesso in favore di rimedi casalinghi ina-deguati. Nei contesti rurali, tuttavia, non può essere tra-scurata, soprattutto parlando di salute materna, l’impor-tanza del sostegno, e in alcuni casi della complementa-rità, che si può realizzare tra le strutture sanitarie e lamedicina tradizionale, in modo da promuovere la tuteladella salute della mamma e del bambino, valorizzandonel contempo la cultura locale e rispettando la conce-zione della donna e della famiglia che vige all’interno deivillaggi. La matrone, figura tradizionale, resta infatti unafigura chiave: a lei si fa ricorso per consigli, aiuto e assi-stenza al momento del parto e nei giorni successivi. Per

guinea

nei campi. E perchè le cure mediche sono costose, e lasfiducia verso le strutture sanitarie decisamente alta.«Da lì si entra ma non si sa se poi si esce», ripetono spes-so le persone del luogo, riferendosi all’ospedale regio-nale di N’Zérékoré, città al confine centro-orientale delpaese, territorio fitto di foreste.

Poi però, quando le fitte diventano troppo forti, rivol-gersi all’ospedale più vicino diventa un obbligo. La fami-glia di Papà Koli Théa si mobilita nella notte. E la rispostache riceve è scoraggiante: «Ci dispiace, qui all’ospedale re-gionale non siamo attrezzati per questo tipo di emergen-ze e operazioni. Dovete correre a Beyla, li c’è uno speciali-sta che può salvare vostro padre».

Daniel, uno dei figli, ricorda ancora scosso. Nella strut-tura più grande della regione non c’erano mezzi e risorseumane per operare suo padre alla prostata. Ma Papà KolyThéa è un uomo fortunato, sufficientemente ricco da po-ter far fronte alle spese per raggiungere in macchina Bey-la e pagare le cure private. Così, nella notte, l’accelerazio-ne lungo i 180 chilometri di pista nella foresta. Una corsacontro il tempo, giunta a buon fine.

Matanée, invece, non si può lamentare dei servizisanitari pubblici. Lei si può permettere di essere citatacome un caso di successo. L’operazione per l’appendi-

tarie da seguire nella vita quotidiana; la difficile accessi-bilità geografica di alcune zone; strutture e attrezzaturespesso non adatte a rispondere ai bisogni della popola-zione; i costi spesso troppo elevati, per le possibilità dellagente comune, di consulti, interventi e cure; la scarsa at-trattiva dei centri di salute e ospedali. E altri elementi siaggiungono, ad accrescere la sfiducia nei confronti del si-stema sanitario pubblico: la scarsità di personale qualifi-cato, la qualità poco soddisfacente delle cure ricevute,l’assenza di specializzazione per farsi carico di alcune pa-tologie pure diffuse, la mancanza di medicinali essenzia-li, lo sviluppo parallelo e incontrollato di un settore me-dico informale (spessofonte di gravi rischi).

In attesa della “benediction”A N’Zérékoré, cammi-nando lungo i corridoidell’ospedale, ci si sen-te persi. Tutto si svolgeal rallentatore, mentredecine e decine di per-sone affrante e biso-gnose di cure cercanosollievo dal personalesanitario, che rispondesvogliatamente. Le salesono buie e decadenti,gli odori delle malattiesi mescolano con quelli del cibo preparato da chi bivaccanegli spazi liberi dell’ospedale durante la degenza di unparente. Nulla invoglia a farsi curare in questi luoghi. Cer-to, non manca chi, con coraggio e costanza, cerca di dareun senso al sistema, di ricordare a chi ha scelto questo la-voro l’importanza della cura del paziente e del diritto al-la salute. È il caso del direttore dell’ospedale regionale diN’Zérékoré, il dottor Yamoussa Youla. Ma dove mancanorisorse e i salari faticano ad arrivare, è facile imbattersi incasi di corruzione e malasanità, che colpiscono sempre ipiù deboli e poveri, coloro che non sanno difendersi dasoli e che per ricevere una cura sono disposti a sacrifica-re tutto. Giorni di attesa, medicinali non disponibili, di-scriminazioni, inadeguatezza delle cure e spese folli: seun favore o una benediction, come le chiamano nell’o-spedale, può servire a eliminare qualcuno di questi osta-coli, nessuno si sottrae al gioco. L’alternativa è rimanereultimo tra gli ultimi in una lista d’attesa senza fine, co-

IN FILA PER CURARSIDonne di N’Zérékoré aspettano il loro turno fuori da un posto di salute

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NUOVI LEADER CERCANSI,NON SI SPARA AI SOGNI ALTRUI

Il resto del mondo, occidentale,americano, europeo e arabo, hasempre giocato una partita solitaria,dividendo gli attori e cercando unprotagonismo personale in una si-tuazione che ha bisogno invece disforzi corali. C’è un delirio che haimpedito finora di trovare vie diuscita: il delirio nazionalista. Valeper tutti, in Medio Oriente. Mette incampo una violenza tossica che col-pisce arabi e israeliani, destra e sini-stra. Rischia di distruggere la demo-crazia che ancora c’è in Israele, equella che si sta affacciando nel-l’Autorità Palestinese.

È, come detto, un problema dileader. Ed è un problema di opinionipubbliche. Il progetto del nuovo go-verno israeliano (congelare in modoindefinito lo status quo, in cambio diun po’ di benessere economico pertutti, israeliani e palestinesi), lascialatenti e pronte a scoppiare di nuovotutte le tensioni. È, dunque, unascelta senza futuro. Il nuovo pre-

mier, Bibi Nethanyau l’ha già sperimentata e sa benissi-mo che non porta da nessuna parte, se non verso nuovesofferenze. Ma il suo ministro degli esteri, Avigdor Lie-berman, campione della destra xenofoba, ha già decisodi spazzar via ogni piccolo tentativo di dialogo, denun-ciando gli accordi di Annapolis e facendo carta stracciaanche della road map, che almeno garantiva una so-pravvivenza, ancorché precaria, al processo di pace.

Gli uomini nuovi servirebbero per andare al di là deimiti, che in Medio Oriente si trasformano in muri reali,ideologici e geopolitici. Ma per ora non si vedono, né aTel Aviv, né altrove in Medio Oriente. Così il tempo delledomande non finisce, in attesa del papa e di Barack Oba-ma. Gli unici in grado di spiegare che i sogni diventanorealtà, solo se nessuno spara al sogno dell’altro.

La guerra a Gaza non ha risolto alcun problema. Anzi, ha com-plicato ancor più le cose. Accade così tutte le volte che Israelesceglie la guerra. Ma accade così anche quando sceglie la via

del negoziato. Per la pace in Medio Oriente occorre coraggio, ed èquello che alla fine non si trova. Tutto resta sempre sospeso, in unaterra cruciale non solo per i destini dei popoli che l’abitano, ma an-che per quelli del mondo. Da una parte c’è uno stato ebraico che ri-schia sempre di più l’isolamento internazionale, dall’altra un’opinio-ne pubblica divisa, mentre la pace resta sempre più lontana. Due so-gni si infrangono: una terra per gli ebrei, una terra per i palestinesi.

Ognuno crede che il proprio sia il so-gno migliore, il più giusto, il più deside-rabile. Ma ognuno ritiene anche di po-terlo realizzare solo infrangendo con-temporaneamente il sogno dell’altro.

La via quindi è senza uscita, la lu-ce in fondo al tunnel non si vede.Trionfa la rabbia reciproca. Non c’ènessuno che decida di voltare pagi-na, in modo radicale, definitivo, gio-cando ogni rischio politico. Forse c’èbisogno di una discontinuità geopo-litica, che nessuno, né a Washington,né a Bruxelles, né nelle capitali arabe, né a Tel Aviv, èperò convinto di poter quantomeno cercare.

Delirio nazionalistaIn Medio Oriente non esistono risposte facili alle que-stioni, tutte assai intricate. Ma il fatto è che nessuno simette mai davvero a prepararle. Papa Benedetto XVImesi fa aveva quasi implorato che nuovi leader si affac-ciassero sulla scena. Ora si appresta alla missione piùdifficile, il viaggio in Terra Santa programmato in mag-gio. Non è una missione in Israele. La diplomazia vati-cana sa benissimo che nessun problema si affronta e sirisolve solo sul versante di Tel Aviv. Lo pensa da sempre,dalla prima volta che un papa è andato a Gerusalemme.

Eppure la diplomazia vaticana mai è stata ascoltata.

contrappunto

Il nuovo governo israelianosembra voler ripercorrere

strade del passato. A maggio il papa

va in Terra Santa, dopo aver implorato nuove

dirigenze: l’odio reciproconon è il modo migliore

per affrontaresituazioni complesse

di Alberto Bobbio

internazionale

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internazionaleguinea

Caritas Italiana è impegnata al fianco della Caritas diocesana di N’Zerékoré (OrganisationCatholique pour la promotion humaine, Ocph) in unprogetto sanitario per l’apertura del centro di salute(Centre de Santé Amelioré, Csa) nel villaggio di Gouecké.L’obiettivo del progetto è rispondere all’assenza di servizisanitari di buona qualità nelle zone rurali e densamentepopolate, lontane fino a 50 chilometri dalla città, offrendouna valida alternativa alla popolazione locale, con particolare attenzione alle donne e ai bambini. Il Centro di salute sarà attrezzato con 12 letti, un bloccooperatorio in grado di far fronte alla piccola e mediachirurgia sia generale che ostetrica e un blocco per le consultazioni. Verranno offerti diversi servizi:consultazioni ambulatoriali, analisi di laboratorio,farmacia, cure ospedaliere, parti in sicurezza, interventi di piccola e media chirurgia. Gli interventi a favore del diritto alla salute nella diocesi di N’Zerékoré fannoseguito al lungo impegno che la Caritas e la chiesa italianahanno realizzato in Guinea, dopo il 2000, grazie ai fondiraccolti con la campagna per la remissione del debito estero.

L’IMPEGNO CARITAS

questo sono numerose le attività educative portateavanti da associazioni e organizzazioni che coinvolgonoqueste figure, ne evidenziano le capacità e le potenzia-lità, tendono spesso a integrarle nelle strutture sanitarielocali, per avvicinare la popolazione alle cure medicheappropriate e ai trattamenti ospedalieri.

Solange non ha fatto in tempo a raggiungere l’ospe-dale dalla propria abitazione, alla periferia della città:troppo distante, troppo rischioso partire di notte. Cosìha dato alla luce Agnès in una calda notte di marzo nel-la tranquillità della sua camera, assistita dall’esperienzadella matrone del quartiere, che è stata al suo fianco inogni momento e si è presa cura della salute di mammae bambina. Ma il mattino successivo, consapevole del-l’importanza e della necessità di un controllo medico edella vaccinazione materna e infantile, la giovane si è re-cata in ospedale con la neonata per cominciare il ciclodi vaccinazioni: Solange e Agnès ora stanno bene e so-no l’immagine vivente e sorridente di un felice connu-bio tra modernità e tradizione.

Numerosi sono insomma gli attori che, anche in Gui-nea, anche nella foresta tropicale, nonostante tantissimiostacoli, si impegnano quotidianamente per far sì che ildiritto alla salute non sia più considerato un miraggio.Ma tanta rimane la strada da percorrere. Il coordinatoredell’Organizzazione mondiale della sanità nella regioneforestale di N’Zérékoré, il dottor Diallo Mouctar, sintetiz-za così: «Far fronte alle carenze del sistema sanitario na-zionale non è una sfida facile. È fondamentale decentra-lizzare le strutture, rendere capillari i servizi, attuare

campagne educative sulla salute di base, creare una retedi collaborazione tra i vari soggetti che si occupano del-la tutela del diritto alla salute». Il diritto alla salute, in-somma, deve essere affermato quanto più possibile vici-no alle persone. Altrimenti, anche in Guinea, rimarrà so-lo un’enunciazione, che campeggia nei documenti deigrandi vertici, senza diventare quotidianità.

SANITÀ “DI PROSSIMITÀ”A sinistra, il Centre de Santé Amelioréche Caritas Italiana sta ultimandonel villaggio di Gouecké insiemealla Caritas diocesana di N'Zerékoré.Sopra, bambini dei villaggi della regione

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agenda territori

VICENZA

Gestire le relazioni,per i professionistil’Altro diventa maestro

La Caritas Vicentina (insieme a Consorzio Aaster di Milano, rivista dei Dehoniani Il Regno e FondazioneLanza di Padova), ha avviato un percorsoformativo per professionisti, la cui primatappa durerà un anno. “L’altro maestro”ha preso il via a metà aprile con un evento inaugurale sull’“Altra finanza”.Il corso si rivolge a chi, con diversi ruoliprofessionali (imprenditori, manager,avvocati, medici, docenti, amministratoripubblici e giornalisti) opera a contattocon altre persone, dovendo gestirerelazioni interpersonali sempre piùcomplesse, che influiscono su sferedelicate: giustizia, educazione, salute,bene comune, informazione. Il corsoCaritas intende aiutare ad affrontare la condizione per cui “ognuno di noi è un possibile Altro per gli infiniti suoisimili”, tenendo conto che spesso “l’Altrosi presenta come ultimo, straniero,disabile, ammalato, emarginato”.A questo proposito, il percorso offriràanche la possibilità di conoscereesperienze concrete di accoglienza e aiuto. Negli incontri del percorso, che riprendono a maggio, avrà luogouno scambio interattivo tra i partecipantie alcuni “maestri” (magistrati, medici, psichiatri, filosofi, ma ancheamministratori e un allenatore sportivo).

BOLZANO-BRESSANONE

Odós, da dieci anniaccoglienza e aiutoper detenuti ed ex

Il progetto Odós (gestito dalla FondazioneOdar e indirizzato a detenuti, ex detenuti,persone in attesa di giudizio e persone

in generale privatedella libertà) ha compiuto diecianni. In questaoccasione, a inizio

aprile, ha aperto le porte alle autorità e alla cittadinanza. Da un decennio graziea Odós (“sentiero”) vengono aiutatepersone che hanno avuto esperienza di carcere a ricostruire la propria vita e riallacciare contatti con l’ambienteesterno, per ricominciare a lavorare e guardare al futuro senza ricadere negli sbagli del passato. In concreto,Progetto Odós è una casa d’accoglienzae punto di consulenza: ospita fino a 15uomini; in dieci anni ha aiutato circa150 detenuti. Odós punta a realizzare,con ogni ospite, un inserimentolavorativo; purtroppo, lamentano i responsabili, questo rimane uno degli scogli più duri da affrontare, anche a causa di una incoerenza legislativaaccentuatasi negli ultimi anni (le misurealternative alla detenzione si sonoridotte), oltre che per il fatto che nonsono molti i datori di lavoro disponibili.

CONCORDIA-PORDENONE

Vie della nonviolenza,percorso formativoper risolvere i conflitti

Insieme ad Acli e Ipsia-Acli, la Caritasdiocesana di Concordia-Pordenone ha promosso il percorso “Le vie della nonviolenza”, giunto alla sestaedizione e dedicato al tema “Le dinamiche del conflitto: dalla storia vera alla pratica possibile”. Il percorso, da marzo a maggio, ha analizzato il conflitto israelo-palestinesee sviluppa contenuti sulla risoluzione dei conflitti con modalità nonviolente,attraverso tre concetti: situazione,trasformazione, esplorazione.

MILANO

Cambia la geografia della strada,più bassi età e livello d’istruzione

Le romene (32,3%, decuplicate rispetto a sette anni fa)prendono il posto delle albanesi. Rimangono costanti le nigeriane (poco più del 30%). In generale si abbassanoetà media, livello di istruzione e condizioni economiche e sociali di provenienza. Mentre il racket trova nuovestrategie e canali di reclutamento. Così muta il panoramadella prostituzione su strada in Lombardia, fotografatodall’Osservatorio regionale per l’integrazione

e la multietnicità, cui partecipa Caritas Ambrosiana. La ricerca sul fenomenoè stata presentata dopo metà aprile: si basa su un campione di oltre duemilapersone, il 94% donne, incontrate nei primi sei mesi del 2008 dagli operatorie volontari delle 13 unità di strada del Coordinamento tratta e prostituzioneCaritas della regione Lombardia. Dall’indagine risulta che le donne sono piùconsapevoli rispetto al passato di venire in Italia per prostituirsi. In particolareper le ragazze dell’Europa dell’est, la relazione tra loro e i trafficanti si è modificata; se all’inizio era basata sulla minaccia fisica, con il tempo si è progressivamente trasformata in un rapporto negoziale, nel senso chealle donne viene garantito una sorta di stipendio, minima parte dei proventidella loro attività. Ciò, però, non significa che le donne possono esercitare la prostituzione liberamente. Le unità di strada hanno anche rilevato unasostenuta presenza di prostituzione maschile. La rete delle unità di strada di Milano, tra cui quelle Caritas, contatta migliaia di donne ogni anno; 600sono quelle attualmente accolte in comunità protette. A supportare il lavorodi queste ultime provvederà la raccolta degli indumenti usati e la campagnadiocesana “Mai più vittime”, che Caritas Ambrosiana condurrà in maggio.

VERONA E PADOVA

Homeless lontanidal centro storico?«Serve una struttura»

Verona ha bisogno di “un sempliceluogo di riferimento in centro storico”,dove chi ha bisogno possa accedereliberamente e trovare servizi igienici,docce, un servizio di ristoro. A chiederloè stata la Caritas diocesana di Verona,dopo l’allontanamento dei clocharddal centro cittadino, in seguito a una disposizione comunale. Il semplice decentramento di questepersone non risolve il problema,

ha sostenuto la Caritas. Esse tornerannoin centro e dunque bisogna fare in modo che il centro storico offra un punto di accoglienza. Anche perché i posti a disposizione nei dormitoricittadini, secondo la Caritas, non sonosufficienti. Intanto a Padova si è fatto il bilancio del progetto “Accoglienzainvernale”, che è coordinato dal comunee coinvolge anche la Caritas diocesana.Dal 24 novembre al 15 marzo sono state aiutate più di 600 persone, che hanno ricevuto accoglienza notturna(o comunque coperte), altri servizimateriali (ristoro, bagno, docce) e di orientamento.

ottoxmille

“Segni di speranza” a Brindisi,incontro con i richiedenti asilo

di Salvatore Licchello

Nella sua esperienza trentennale, la Caritas diocesana di Brindisi-Ostuni è sempre stata in prima linea su numerosefrontiere del disagio, affrontando temi quali l’Aids, le dipendenze, il contrabbando,l’immigrazione, la microcriminalità, l’usura,

la disoccupazione, la detenzione, la tratta degli esseri umani… Da luglio2003 l’arrivo nella città di Brindisi di centinaia (oggi migliaia) di giovaniimmigrati richiedenti asilo (eritrei, afghani, iracheni…) ha impegnato la chiesa locale in attività di accoglienza, ascolto, orientamento, assistenzalegale e sanitaria: percorsi di inclusione sociale che vanno dai corsi di alfabetizzazione all’acquisizione di titoli scolastici, dall’inserimento in corsi di formazione professionale all’inserimento lavorativo regolare. I dati parlano di attività e servizi realizzati e potenziati anche grazie ai fondiCei otto per mille giunti tramite Caritas Italiana nell’ambito del progetto“Segni di speranza”: nell’ultimo anno 57.600 pasti e 27 mila cene (nellafoto, la mensa), 24.500 posti letto occupati, circa 1.000 persone ascoltate,155 pratiche di riconoscimento avviate, 13 diplomi di licenza media conseguiti,7 inserimenti in corsi di formazione professionale, 24 inserimenti lavorativi.

Opportunità di crescitaQueste attività e questi numeri, però, avrebbero avuto senso incompiuto se accanto all’erogazione di servizi, indispensabili in una città priva di attenzioni verso alcuni problemi, la Caritas diocesana non si fosseimpegnata a leggere i “segni dei tempi” alla luce del Vangelo e a coglierequeste occasioni per stimolare l’attenzione del popolo di Dio, delle istituzioni locali e della città verso fenomeni emergenti. Tante le disponibilità e le collaborazioni emerse: prime fra tutte le 16parrocchie cittadine, tanti laici (operatori pastorali e non), la rete dei centridi ascolto, l’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, gruppi di volontariato; accanto a essi, prefettura e questura, il comune, la provincia e il centro per l’impiego, l’Asl Br 1, l’università di Lecce, scuole ed enti di formazione professionale del territorio, aziende, comunità di stranieri,botteghe del commercio equo e solidale, persino scuole di danza, gruppimusicali e organi di informazione locali. Un filo sottile ha collegato tutte le iniziative e i servizi offerti dalla Caritas diocesana: la certezza chela presenza dei rifugiati rappresenta da un lato un’opportunità di crescitanel cammino di fede (personale e comunitario), dall’altro l’occasione di un incontro umano e di crescita politica e culturale per la comunitàbrindisina. Un altro segno dei tempi, un’occasione da non sprecare!

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agenda territori

Responsabilità, solidarietà, equità: sono le treparole chiave della “nuova globalizzazione”, per vincere la crisi e garantire un futuro e uno sviluppo sostenibili per l’uomo, i popoli, il pianeta. A dominare, fino a oggi, infatti, è stato un modello di economia insostenibile, in alternativa al quale sono numerosi i progetti e le esperienze che hanno già cominciato a costruire il cambiamento possibile

e necessario: per iniziativa della società civile organizzata, ma anche di singoli cittadini o di gruppi, di enti locali lungimiranti e responsabili, di imprese eticamente orientate. A fare conoscere e a valorizzare questeesperienze è Terra Futura, la mostra convegno internazionale delle buonepratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale, la cui sestaedizione si svolgerà a Firenze, sempre alla Fortezza da Basso, dal 29 al 31 maggio. L’evento, visitato l’anno scorso da 94 mila persone, è promosso e organizzato da Fondazione culturale Responsabilità Eticaonlus per conto del sistema Banca Etica, da regione Toscana e Adescoop -Agenzia dell’economia sociale, in collaborazione con Acli, Arci, CaritasItaliana, Cisl, Fiera delle utopie concrete e Legambiente e altre realtà locali,nazionali e internazionali. Il tema di fondo attorno al quale ruoterà l’edizione2009 è “Il tempo è opportuno: equità, solidarietà e responsabilità per usciredalla crisi”, che è anche il titolo del documento redatto dai promotori e partner e presentato al Forum sociale mondiale di Belem lo scorso gennaio.

Programma culturale ampioAnche la sesta edizione di Terra Futura presenterà, oltre a un’ampiae articolata rassegna espositiva, un programma culturale articolato e di alto livello, fra seminari, dibattiti e convegni. Vi contribuisce ancheCaritas Italiana, promuovendo alcuni momenti di confronto e riflessione,in particolare sul tema della giustizia ambientale, in Italia e nel Mondo. Tra venerdì e sabato 29 e 30 maggio sono previsti diverse proposte“firmate” Caritas: la presentazione del rapporto di ricerca Nell’occhio del ciclone sul rapporto tra ambiente e povertà, tra emergenze climatiche e conflitti dimenticati, realizzata da Caritas Italiana in collaborazione conFamiglia Cristiana e Il Regno; la presentazione della pubblicazione Chiesesorelle, nella solidarietà, dieci dimensioni di analisi per conoscersi fraorganizzazioni ecclesiali di cooperazione internazionale; un incontro delCoordinamento nazionale emergenze e ambiente; un seminario (copro mosso conAcli e Cisl) sul tema “Crisi economica e sviluppo”. INFO www.terrafutura.it

Responsabilità, solidarietà, equità:le proposte Caritas a Terra Futura

NARDÒ-GALLIPOLI

Cacciatori di aquiloni,ricerca e interventia favore dei minori

Partire dall’ascolto, per essere vicini ai giovani. Da questa idea ha preso vita

il progetto “Cacciatori di aquiloni”,iniziativa della diocesi di Nardò-Gallipoli(Lecce). Promosso dalla Caritasdiocesana e dall’Ufficio diocesano di pastorale familiare, in collaborazionecon l’Università degli studi del Salento,si rivolge ai minori tra gli 11 e i 13 anni

(e ai loro educatori), per conoscernebisogni, desideri e devianze, e per supportarli nel loro percorso di crescita e di integrazione socio-pastorale. “Cacciatori di aquiloni” ha coinvolto nella fase di studio realtàecclesiali e istituzioni locali. Ne sono

seguite tre conferenze, con una forteaffluenza di pubblico, e in autunnoverrà presentata una piccolapubblicazione con i risultati del lavoro di studio. Esso si tradurrà presto nella proposta di concrete strategieeducative, in progetti e attività di prevenzione del disagio e di forme di comportamento violente.

CASSANO ALLO JONIO

“Internet sociale”,per consentire a tuttidi navigare e conoscere

Promosso dalla Caritas diocesana, ha aperto i battenti a Cassano allo Jonio(Cosenza) un “Internet social point”.Intento del progetto è “garantire pariopportunità di accesso a un servizioormai essenziale, le cui modalità di utilizzo, se correttamente inquadratein un’ottica cristiana, possono contribuireall’edificazione di una società migliore e più giusta”. Il servizio è rivolto a chinon può permettersi un computer e una postazione internet: ha dunquescopi sociali, educativi, di sostegno allo studio. Dalle postazioni dell’Internetsocial point, installate nella sede della Caritas diocesana, sarà possibilenavigare nelle pagine internet, accederealla casella di posta elettronica, spedire e ricevere messaggi. Per fruire del servizio l’utente dovrà compilare la scheda di registrazione, con l’indicazione dei propri dati e conl’espressa dichiarazione di accettazionedelle norme previste dal regolamento.

I minori di 14 annidovranno essereaccompagnati da un genitore. Ogni utente potràutilizzare le postazioniper un’ora al giorno.

bachecaunclimadigiustizia

I poveri inquinano di meno e soffrono di piùCampagna Caritas-Cidse: “Crea un clima di giustizia”

di Roberta Dragonetti

Il cambiamento climatico riguardatutti, ma non influisce su tutti allo stesso modo. Prima ancorache essere una questioneambientale, è una questione di giustizia e di equità globali. Da questa prospettiva è nata a inizio 2009 “Crea un clima di giustizia” (Let’s grow climate

justice together), campagna internazionale delle reti Caritas e Cidse (le ong di ispirazione cattolica), che pone in evidenzal’impatto che il cambiamento climatico, causato dall’uomo,produce sulle popolazioni povere e vulnerabili dei paesi in via di sviluppo. Essi sopportano, in maniera più accentuatarispetto ad altre popolazioni, le conseguenze di un problemaglobale che meno di altri hanno contribuito a creare.

I membri delle organizzazioni aderenti alla campagnahanno fatto appello a tutti i paesi per giungere a unaccordo globale, che sia vincolante dopo il 2012, basatosul principio che coloro che contribuiscono alle emissioni di gas climalteranti sono chiamati ad avviare rigorosepolitiche di riduzione. La proposta di accordo è articolata in tre istanze: riconoscimento e protezione del diritto delle popolazioni dei paesi poveri a uno sviluppo sostenibile,con priorità alle comunità più povere e vulnerabili; supportoda parte dei paesi industrializzati in termini di finanziamentisufficienti, preordinati, sicuri e accessibili, di condivisionedelle tecnologie, di formazione professionale; limitazionedelle temperature globali indicative terrestri, per andarequanto più possibile sotto un aumento di due gradicentigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Nel contempo,sono necessarie ulteriori azioni per accrescere le capacità

dei paesi in via di sviluppo, e della loro società civile, di partecipare pienamente ai negoziati sul clima.

Necessità di cambiamento radicaleL’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi meteorologiciglobali è un fatto ampiamente riconosciuto. Ne consegue una ricorrenza maggiore di eventi climatici estremi: pioggepesanti e irregolari, siccità (nella foto, campi che si desertificano),elevazione del livello dei mari, scioglimento e arretramento dei ghiacci, diminuzione dei ghiacciai marini e contrazione dei nevai e delle zone in permanenza ghiacciate. Il cambiamento climatico non solo minaccia di ostacolarel’avanzamento dello sviluppo, ma rischia pure di annullare i recenti progressi compiuti nella riduzione della povertà e nella realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

Gli effetti dei mutamenti climatici sulle comunità colpitesono molteplici. Negli anni Novanta sono morte circa 600mila persone in tutto il mondo, a causa di disastri naturalilegati al clima; circa il 95% risiedevano in paesi poveri. E il problema non è solo quello di chi perde la vita, ma ancheil fatto che le abitazioni, i raccolti e le riserve d’acqua vengonocompromessi. La maggiore frequenza e intensità dei disastrinaturali, accelerata dai cambiamenti climatici, significa spesso,per i poveri, non avere tempo o risorse sufficienti per riprendersiadeguatamente da un disastro, prima di essere colpiti da quello seguente. L’uso indiscriminato di risorse naturali da parte delle nazioni economicamente sviluppate, e gli effettidevastanti diretti e indiretti che ne sono scaturiti, gridano la necessità di un cambiamento radicale nelle scelte di vitaindividuali, comunitarie e politiche: occorre favorire uno svilupposostenibile a lungo termine, che tenga conto dell’ambiente e dei suoi abitanti, a partire dai poveri.

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villaggio globale

C’è un approfondito lavoro di ricerca dietro la graphicnovel su don Giuseppe Diana, novità della giovane casaeditrice Round Robin. Una ricostruzione fedele delleimmagini, una cura minuziosa dei particolari, la sceltadegli editori di raccogliere solo testimonianze dal basso,fanno di Don Peppe Diana. Per amore del mio popolo(pagine 128, euro 15) un documento essenziale perrendere nota soprattutto ai più giovani la figura di questosacerdote, ucciso nel 1994 dalla camorra nella sua Casal di Principe a 36 anni. Ucciso per il suo esporsicontro la mafia – e il titolo del volume riprende in parteil messaggio più conosciuto di don Diana, Per amore del mio popolo non tacerò, in cui egli ribadì l’impegnocontro la criminalità –, e in particolare perché una fazionedel clan che stava avendo la peggio in una faida internavolle provocare l’azione repressiva dello stato a scapitodella banda che aveva il controllo del territorio. Gli ultimi anni di vita di don Diana sono resi, nelle tavolein bianco e nero, in maniera mai edulcorata, tanto menosensazionalistica. Pagina dopo pagina, scorrono immaginia fumetti, dai tratti gentili e decisi, della laceratacomunità di Casal di Principe, di boss e sicari, dei genitoridi don Diana, degli scout, delle partite del Napoli,autentica passione del sacerdote, dei giornali complici

di un’operazione di screditamento nei suoi confronti. C’è tutto quello che serve per farsi più di un’idea del contesto in cui è maturatol’omicidio e della normalità di una figura

che semplicemente svolgeva il suo compito con serietà.È il messaggio fondante di questo lavoro: Raffaelle Lupoli,curatore della collana Libeccio – di cui questo è il primotitolo, e che proseguirà con le graphic novel su TanoGrasso, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani, uomini che hanno pagato con la vita il loro schierarsi contro la criminalità organizzata – lo ribadisce nelle presentazioniin giro per l’Italia, da Napoli a Bologna, fino alla FieraInternazionale del Libro di Torino, il prossimo 17 maggio.«Normalità è la parola chiave – racconta Lupoli –, la specialitàdi don Peppe Diana, che protesterebbe se si sentissedefinire “eroe”. Il suo è stato un esempio di cittadinanzaattiva. Se lui e gli altri che racconteremo li mettessimosull’altare degli eroi, risulterebbero figure inavvicinabili, e noi ci troveremmo a scegliere il disimpegno: questi uomini invece hanno qualcosa da insegnarciproprio nella loro dimensione di normalità». [d.a.]

Z OMO

Il terremoto che ha colpito l’Abruzzoha scatenato una gara di solidarietàche coinvolge anche gli strumentidella comunicazione. Un primoesempio è rappresentato dal“giornale” del campo sfollati chenell’ultima decade di aprile è statorealizzato e distribuito nella tendopolidi Acquasanta, grazie a operatori evolontari del Centro servizi volontariatodell’Aquila. I redattori sono ragazzi chevivono con le famiglie in quello che erail campo da rugby e che partecipanoalle attività che i responsabili dellaProtezione civile e di altre associazionidi volontariato organizzanoquotidianamente. L’idea del “foglio” è venuta agli operatori del Csv dopoaver visto l’attenzione che chi vive in tenda dedica quotidianamente allalettura dei giornali. Il passo da lettori a redattori, per i ragazzi, non è statocosì lungo: l’obiettivo è raccontare la propria realtà, incontrare e parlare

con le persone che vivono nella lorostessa situazione, metabolizzare ed elaborare l’esperienza da sfollati.Sul fronte radiofonico, interessantel’iniziativa dei circuiti cattolici Coralloe RadioInBlu: hanno lanciato una sottoscrizione per consentire alla consociata Radio L’Aquila1 di riprendere le trasmissioni, ovviandoai danni strutturali inferti dal sisma, e realizzando così un servizio preziosoper le popolazioni sfollate. Nelle tendopoli si sono attivati anchealcuni artisti aquilani, intenzionati a costituirsi come onlus, che operanoin 15 accampamenti, insieme a psicologi ed educatori, con un’azionedi “pronto intervento” che cerca di aiutare le fasce più fragili (bambini,malati, anziani e disabili) a riacquistareun po’ di normalità. Soprattutto, però, il gruppo ha dato il via a “Teatrod’assestamento”, una rassegna“itinerante” di spettacoli (il primo

si è tenuto il 16 aprile nella tendopolidi Coppito, programma su www.artistiaquilani.it), realizzati da artisti provenienti da tutta Italia,che si sono offerti per venire nelle tendopoli con i loro lavori; a loro si alternano artisti del territorio. Infine,per favorire lo studio dei ragazzisfollati, la Fondazione Mondo Digitaleha lanciato un appello alle aziende del settore per realizzare laboratorididattici completi (macchine e cablaggio) nelle scuole coinvolte nel sisma e che gradualmentepossono riaprire. Secondo il progetto,le aule informatiche comprenderannopostazioni con caratteristiche tecnicheavanzate, collegate a un sistema di rete locale e alla rete internet.

Z OMO

TEATRO

“Animali notturni”,l’obbligo di amiciziagenera schiavitù

Sfruttare una legge controversaa proprio vantaggio. Nel caso specifico la leggesull’immigrazione, la 189/2002,meglio conosciuta come

“Bossi-Fini”. Un uomo decide di utilizzarlaper rendere schiavo un altro essereumano (un immigrato irregolare) che vivenel suo stesso palazzo. È una storia di sfruttamento e vessazioni, che fa da trama allo spettacolo teatrale Animalinotturni. La vicenda rivela però una sorpresa: per il protagonista, infatti,

avere uno schiavo è l’unico modo per avere un amico, per riscattarsi dalla propria mediocrità. «Lo schiavo non viene degradato in senso fisico,costretto a svolgere lavori pesanti o umilianti – commenta il regista Bruno Fornasari –. Ma essere obbligati a costruire un legame di amiciziasottopone la vittima a un degrado ancoramaggiore». Animali notturni, dell’autorespagnolo Juan Mauyorga (nella foto), è ambientato in una città contemporaneadi cui si tace il nome. L’adattamento alla realtà italiana lo svela proprio il numero della legge sull’immigrazioneche dà il là alla storia. Lo spettacolo è in scena al prestigioso TeatroFilodrammatici di Milano sino al 30 maggio.

MUSICA

Canzoni per i diritti,Amnesty premiai “soldati” di Capossela

Vinicio Capossela(nella foto), conLettere di soldati, è il vincitore della

settima edizione del premio Amnesty Italia,indetto nel 2003 dalla sezione italiana diAmnesty International e dall’associazioneculturale “Voci per la libertà”, perpremiare il migliore brano sui diritti umanipubblicato nell’anno precedente. La premiazione di Capossela avrà luogoa Villadose (Rovigo), nella serata finaledel concorso “Voci per la libertà.

Una canzone per Amnesty”, in programma a metà luglio. «Ho iniziato a scrivere questa canzone al tempo dellaprima guerra del Golfo – ha dichiarato il cantautore –. Era la prima volta che la guerra dava l’impressione di arrivare in casa di ognuno, in diretta, per mezzodella tv. Fui vittima, come tutti, dellapaura minacciata ad arte. Poi sonoseguite altre guerre, ancora peggiori.Allora io ho provato a mettere a fuocol’impersonalità dell’uccidere. Gente chesalta in aria da lontano, senza vedersi. E soprattutto il meccanismo della regolad’ingaggio. Il regolamento dell’uccidere.Lo stabilire quando è legale ammazzare.La freddezza della tecnologia delle armi».Tutto si condensa in una canzone che

racconta immagini di guerra crude e realistiche, prive di retorica romantica e senza alcuna traccia di eroismo, che fanno riflettere sulla negazione dei diritti umani implicita in ogni guerra.

POESIA

Concorso per i detenutidelle carceri italiane,chi vince fa solidarietà

La fondazione “Federico Ozanam –Vincenzo De’ Paoli” di Roma promuovela seconda edizione del premio “CarloCastelli”, riservato ai detenuti dellecarceri italiane. I carcerati potrannoscrivere poesie e racconti su un tema

che contiene una provocazione moltoforte: “Fai agli altri quello che vorrestifosse fatto a te”. Il bando del concorso è stato diffuso in tutti gli istitutipenitenziari italiani; i partecipanti devonoinviare le opere entro il 15 giugno, gli elaborati vincenti saranno premiati in autunno. Al primo classificatoandranno mille euro e altri mille sarannodevoluti a una scuola di un paese poveroper l’acquisto di materiale e sussidididattici; il secondo riceverà 800 euro e consentirà a un minore straniero uscito dal carcere di ricevere una borsadi studio di mille euro; il terzo si aggiudicherà 600 euro e un’adozionea distanza per cinque anni.INFO www.fondazioneozanam.org

Don Diana, un esempio a fumetti«La normalità del cittadino attivo»

Giornale, radio, teatro: il terremotosi supera anche con la comunicazione

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incontri di servizio

Ahmed spinge una porticina di legno, blu, mezza scassata. Mi fa segno di seguirlo.Abbasso la testa per entrare. Sull’uscio, per terra, due sacchi duri, forse pieni di sabbia, che fanno da scalino. Ahmed mi sorride: Bienvenu chez moi.

E con la mano scosta una fila di panni stesi per farmi passare.È buio in casa; non ci sono finestre, la luce penetra dal soffitto, che un po’ c’è un po’

non c’è. In una stanza grande e confusa bambini seduti per terra, una signora su undivano, una ragazzina col grembiule che passa col secchio in mano: Pardon monsieur.

Quartiere di Ariba, il più povero di Gibuti. Fuori un traffico immaginabile, e unasporcizia totale: copertoni di auto, latte, bidoni vuoti, pezzi di macchina, caprette chepascolano tra i rifiuti, fango e liquami. E gente dappertutto, bimbi coi vestitini strappati,persone sedute in terra. E polvere, movimento, baccano, grida… chissà dove vanno tutti!

Eppure dentro c’è un’atmosfera calma, pacata. Ahmed sorride, è contento di mostrarmi la sua casa. Ha un sorriso buono. E uno sguardo gentile. È sempre benvestito, oggi indossa una camicia azzurra, pantaloni grigi, sandali neri ben lucidati. Mi sento a mio agio, in questa casetta di lamiera, che per miracolo si regge in piedi.

«Vieni, ti faccio vedere dove lavoro». E ci spostiamo in una stanzetta, con una piccolascrivania, un computer impolverato. Alla parete, quadri. Perché Ahmed è un pittore. Mi mostra le sue ultime opere. Un ritratto di un giovane afar, bianco e nero, una scenadal mercato di Gibuti, donne che vendono spezie avvolte negli scialli colorati. E le cartoline

che disegna, a matita: carovane di cammelli, deserti, donne velate, viandanti.D’improvviso, colpi di tosse. E un respiro affannoso. Dietro una tenda un

letto, con una persona sdraiata. Piccola, rannicchiata, un gracchiante respiroda anziano. Ahmed, di nuovo, sorride: «È mia nonna. Quando la mia famiglia è scappata dall’Eritrea, la polizia l’ha arrestata. Insieme a mio nonno. Li hannointerrogati, volevano sapere dove eravamo fuggiti. E li hanno torturati. Miononno è morto nelle prigioni di stato. Lei non si è più ripresa. Sono tornato ad Asmara per prenderla. Di nascosto. Ma non è cosciente. Dobbiamo nutrirla,portarla in bagno. Cade. A volte mi guarda, sembra che mi riconosca…».

Sorride Ahmed, e io sento il cuore che batte veloce. Sono scosso. Ahmed mista dando un grande esempio di dignità. Vorrei abbracciarlo. Ma lui è un tipopreciso, non gli piacerebbero certe scene... «Bisogna lavorare – ammonisce –.Mi sveglio sempre alle 6, disegno le cartoline. Faccio schizzi fino alle 8, poi i dettagli, alla fine le plastifico. E vado a venderle al mercato. Qualche volta

i clienti mi ordinano tele. La notte lavoro meglio, tutti in casa dormono e sono tranquillo.Ritmi eritrei, si lavora 12, 14 ore al giorno. Dobbiamo trovare i soldi per la famiglia».

Parole semplici, ma con la forza di un tuono. Lo ascolto in silenzio. Io che magariho l’ardire di considerarmi bravo, perché sono partito per il servizio civile in Africa... Di fronte a questo giovane pittore, scappato dall’Eritrea, che si sveglia alle 6 per disegnarecartoline, per comprare da mangiare alla nonna, tanti pensieri, tante ambizioni, tanti desideri si relativizzano. La lezione di Ahmed, impartita con la forza del sorriso e della dignità da una catapecchia di lamiera di Gibuti, la porterò sempre con me.

Visita a una catapecchiadi lamiera, in un

quartiere rumoroso e sporco. Il giovane

rifugiato eritreo ha un sorriso buono.Sandali neri lucidati. Una nonna malata,

strappata alle torture del regime. Dipinge. E miimpartisce una lezione…

a cura di Angelo Pittaluga “casco bianco” Caritas a Gibuti

DIGNITÀ E CARTOLINE,LA VITA CORAGGIOSA DI AHMED

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Trent’anni fa, i “boat people”:fuga da Vietnam e Cambogiatra dramma e accoglienza

paginealtrepagine

villaggio globale

di Francesco Dragonetti

SEGNALAZIONI

Incontro al Risorto,oltre Terrore e Martirio,Mazzolari “di nessuno”

Carlo Maria Martini, Incontro alSignore risorto. Il cuore dellospirito cristiano (Edizioni SanPaolo 2009, pagine 272). Per

fronteggiare le tensioni e le inquietudinidel tempo presente, di cui è attento epartecipe osservatore, il cardinal Martiniindica il solido riferimento della Scrittura,con uno stile capace di toccare le cordepiù profonde del cuore di ogni persona.

Gilles Kepel, Oltre il terrore e il martirio (Feltrinelli 2009,pagine 224). Dopo il fallimentodella guerra americana contro

il Terrore e dell’ideologia del Martiriodell’islamismo radicale, solo una nuovastrategia dell’Europa può mettere finealla barbarie degli ultimi anni.

Anselmo Palini, PrimoMazzolari. Un uomo libero(Editrice Ave 2009, pagine304). Una ricostruzione

rigorosa della vita di un uomo libero, “di nessuno”, sempre al fianco dei debolie degli esclusi, autentico profeta del ventesimo secolo.

Boat people: il termine entrò nell’uso comune nel 1976, dopo l’invasione del Vietnam del sud da parte del regime comunista di Hanoi, all’epoca dellanazionalizzazione delle imprese e della collettivizzazione delle terre. Parecchiemigliaia di oppositori decisero di fuggire via mare. L’esodo fu la conseguenza,oltre che del cambio di regime, dell’estensione della pianificazione dell’economia,della “vietnamizzazione” del settore commerciale nelle regioni meridionali del paese, fino a quel momento monopolio dell’etnia cinese e della tensionetra Hanoi e Pechino, in seguito all’occupazione vietnamita della Cambogia(1979). A distanza di trent’anni, abbiamo dimenticato il dramma dei boatpeople vietnamiti e lo sterminio del popolo cambogiano? Dell’accoglienza dei profughi del sud-est asiatico fu protagonista, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, anche Caritas Italiana: lo ricorderà una mostrafotografica, in occasione del prossimo Convegno nazionale delle Caritasdiocesane (Torino, 22-25 giugno). Ma ci sono anche alcuni volumi di testimoni

privilegiati a celebrare il trentennale. In Tornata dall’inferno (Paoline2006, pagine 164), Claire Ly aveva raccontato la sua agghiaccianteesperienza nell’inferno del regime di Pol Pot, la sua salvezza in Franciae la conversione dal buddismo al cristianesimo; ora torna sulla stradapercorsa tre decenni fa, in fuga dalla sua terra, per ritrovare le sue origini e riannodare i fili di un percorso umano e spirituale che non poteva rimanere sepolto. In Ritorno in Cambogia (Paoline2008, pagine 185) l’autrice visita i luoghi della sua giovinezza, del suo campo di lavoro e di quello dove sono stati assassinati suo marito e suo padre. Questi viaggi, sofferti e impegnativi, sono l’occasione di un percorso interiore in cui gradualmente matura,in serenità, un dialogo spirituale tra la cultura di origine e quella

di adozione. Chi seppe ricostruire la storia tragica del paese asiatico fu TizianoTerzani in Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia (Longanesi 2008, pagine 250).Appassionato cronista e ricercatore della verità di avvenimenti e protagonisti,Terzani ha amato profondamente la Cambogia, la cui storia raccontò comeemblematica della vicenda dei paesi asiatici travolti dai giochi delle grandi potenze.

LIBRI

“Ti credevo un altro”,la centralità dell’Amoreoltre ogni maschera

Dare testimonianza di DioAmore, senza maschere e senza pregiudizi. È il messaggio di Ti credevo

un altro (edizioni Cantagalli), scritto da Carlo Di Cicco, vicedirettoredell’Osservatore Romano, con prefazionedel cardinal Tarcisio Bertone. Ricordi,incontri e riflessioni si intrecciano attornoa una vecchia Bibbia, al Concilio VaticanoII e al Sessantotto: 152 pagine vive e penetranti, che puntano a declinarel’Amore e la Carità evangelica nella storia, nella cultura, nel nostrocontesto sociale, caratterizzato da radicali fenomeni di trasformazione e cambiamento che incidono sul costume e sulla vita delle personeprovocando spesso smarrimenti,chiusure, individualismi ed esclusioni. Il libro contiene un appello e un monitoper tutti: il fallimento dell’amore è la fine storica dell’uomo, dunque ne consegue la necessità di un impegnocomune a costruire percorsi di incontro e condivisione.

Page 25: CON LA GENTE, TRA LE TENDEti giungerebbero in forma mirata, le sovrapposizioni di interventi e gli sprechi si ridurrebbero e – da ultimo, non per ultimo – i professionisti delle

coltivareagire

abitare

governare

produrre

Relazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus

via N.Tommaseo, 7 - 35131 Padovatel. +39 049 8771121 fax +39 049 8771199

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Organizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.via Boscovich, 12 - 35136 Padovatel. +39 049 8726599 fax +39 049 8726568email [email protected]

mostra-convegno internazionale

terrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresaverso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso29-31 maggio 2009VI edizione ingresso libero

www.terrafutura.it

• appuntamenti culturali• aree espositive • laboratori

• animazioni e spettacoli

Terra Futura 2009 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Etica SGR, Rivista “Valori”), Regione Toscana eAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente.In collaborazione e con il patrocinio di Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA, AIAB-Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, AIEL-Associazione Italiana Energia dal Legno, Alleanzaper il Clima, ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, APER-Associazione Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili, Associazione Cultura & Progetto Sostenibili, AUSER, AzzeroCO2, Centro SIeCI-ManiTese, CGIL Nazionale-Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti, CIA-Confederazione italiana agricoltori, CNCA-Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Coordinamento Agende 21 locali italiane,Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, ENEA-Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, Fairtrade Italia, Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, Federbio-FederazioneItaliana Agricoltura Biologica e Biodinamica, FIBA-CISL, FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, Forum Ambientalista, GIFI-Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, ICEA-Istituto per laCertificazione Etica e Ambientale, Istituto Italiano della Donazione, Lega delle Autonomie Locali, Kyoto Club, Metadistretto Veneto della Bioedilizia, Parlamento Europeo-Ufficio d’Informazione per l’Italia, Retedi Lilliput, Multiutility, Rete Nuovo Municipio, Touring Club Italiano, UISP-Unione Italiana Sport Per tutti, UNCEM-Unione Nazionale Comuni Comunità Enti montani, UNDP-United Nations DevelopmentProgramme, UNEP-United Nations Environment Programme, UPI-Unione delle Province d’Italia, Valore Sociale, Wuppertal Institut, WWF, Segretariato Sociale RAI.L’evento gode dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.Media partner: Valori, AGImondoONG, Arcoiris Tv, Asca, Carta, Contrasto, Ecoradio, IPS-Inter Press Service, La Nuova Ecologia, Left, Radio Popolare Network, Redattore Sociale, Unimondo, Vita-nonprofit magazine, Zoes-zona equosostenibile.

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