con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62...

68
9 7 7 1 5 9 4 1 2 3 0 0 0 6 0 0 1 8 30 APRILE 2016 NUMERO 18 | SETTIMANALE 2,50 con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini, Mario Pianta e Chiara Saraceno

Transcript of con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62...

Page 1: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

9 7 7 1 5 9 4 1 2 3 0 0 0

6 0 0 1 830 APRILE 2016NUMERO 18 | SETTIMANALE

€ 2,50

con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini, Mario Pianta

e Chiara Saraceno

Page 2: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

BioBottle Sant’Anna. Per il benessere di mamme e bambini.

Dai vegetali nasce la prima bottiglia al mondo biodegradabile*. Senza una sola goccia di petrolio.

*Tutti i dettagli sul sito. Il tappo è in PE e deve essere conferito nella raccolta di� erenziata della plastica.

www.santanna.it santannasanthe

Page 3: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

330 aprile 2016

ONDA PAZZAdi MAURO BIANI

Page 4: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

4 30 aprile 2016

SOMMARIO DEL NUMERO 18 - 30 APRILE 2016

03 ONDA PAZZA di Mauro Biani05 EDITORIALE di Corradino Mineo06 LETTERE07 PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari07 IL NUMERO07 LA DATA07 UP&DOWN

08 FOTONOTIZIE 10 PARERI di Filomena Gallo11 PARERI di Claudio Riccio36 VAURANDOM di Vauro Senesi60 LIBRI di Filippo La Porta60 TEATRO di Massimo Marino61 ARTE di Simona Maggiorelli

62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli62 START UP di Sophie Duras63 APPUNTAMENTI 64 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli66 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti

PRIMO PIANOCapitalismo oligarchico quando la famiglia contadi M. Franzini e M. Pianta 12Un lavoro purché siadi Chiara Saraceno 16Quello che le donne non cedonodi Tiziana Barillà 17 A partita Iva ma contentidi Luca Sappino 17Luca Barbarossa: sono un cane sciolto e canto il primo maggio di Alessandra Grimaldi 20

SOCIETÀLa Riforma Boschi e le critiche di 56 costituzionalisti 22

Mafia capitale, corruttori o mafiosi di Marco Carta 28Manager contro managerdi Giulio Cavalli 30La teoria economica ha fallito.Ecco perchédi Andrea Ventura 34

ESTERILe identità in frantumi minacciano la democraziadi Martino Mazzonis 38Le università indiane ultimo baluardo laicodi Matteo Miavaldi 42Dilma processata per corruzioneda una banda di ladridi Tiziana Barillà 45

CULTURA E SCIENZAAmerica Latina, il realismomagico non abita quidi Bruno Arpaia 48Sepùlveda, raccontare, resisteredi Simona Maggiorelli 51La scienza della pacedi Pietro Greco 54La periferia dalla A alla Zeta di Fabrizio Galassi 56Storie e ricette di cibo senza padronidi Don Pasta 58

«Se otto ore vi sembran poche, pro-vate voi a lavorare». Il primo maggio racconta le lotte per ridurre l’orario e per aumentare i diritti. Dopo la Lunga Recessione, con l’incubo della Sta-gnazione Secolare, ora che il lavoro si svaluta e diventa liquido, spesso viene pagato con i voucher, “a marchetta”? Ne scrivono Maurizio Franzini e Mario Pianta, ne parla Chiara Saraceno, Tiziana Barillà intervista commesse e cassiere che si ribellano alle discrimi-nazioni, sociali e sessiste. Luca Bar-barossa racconta il suo antico cantar per strada fino al concerto in piazza San Giovanni. Abbiamo poi scelto di pubblicare il documento di 56 costitu-zionalisti che criticano, nel merito, la riforma del Senato firmata da Renzi e Boschi. Qualcuno gli risponderà? Il te-sto è a pagina 22. In India le università sono l’ultimo baluardo contro l’estre-mismo indù: Matteo Miavaldi, pagina 42. E poi Mafia Capitale, la cronaca del processo, pagina 28. Con Sepùlveda, intervistato da Simona Maggiorelli, torniamo al tema della copertina, la resistenza contro ogni sopruso, contro il vento della restaurazione capitalista che soffia in Sud America e che ha per epicentro il Brasile, del “golpe bianco” ai danni di Dilma Rousseff, pagina 45. Ma non l’aveva messa sotto accusa la Camera, e a larghissima maggioranza? Sì, ma il New York Times, che non è proprio l’house organ del chavismo, ha definito “una banda di ladri” quelli che la accusano di corruzione e che voglio-no sostituirla. Pane, lavoro e pace: si parla a Napoli della Carta di Science for Peace, un gruppo di scienziati contro la guerra. E Vauro, naturalmente: siamo lavoratori, non provate a sfotterci!

12

22

38

48

Page 5: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

530 aprile 2016

Matteo Renzi si è seduto al tavolo buono. Una tavola rotonda, per essere precisi, che il 25 apri-le ha riunito, a fianco del premier italiano, Fran-cois Hollande, Angela Merkel, Barak Obama e David Cameron. I leader dei 5 Paesi chiamati a decidere della guerra al Daesh, del modo di accogliere o respingere i profughi, della sorte dell’Ucraina e dei rapporti tra Occidente e Rus-sia, dei trattati a tutela del libero commercio e del futuro dell’Unione Europea, vale a dire wel-fare, diritti, politica e istituzioni comuni.

Non so cosa abbia detto: questi colloqui ven-gono registrati dallo staff ma secretati, perché ognuno dei leader possa poi contarsela con i media domestici. So cosa avrebbe dovuto dire: L’Italia crede nell’Europa, cerca la distensione con la Russia - senza concessioni a Putin sul tema dei diritti -, è convinta che si debba chiu-dere la partita con i terroristi di al Bagdadi, ap-poggiando tutte le forze che li combattano sul campo e minacciando l’embargo contro Arabia Saudita e Turchia se continueranno il loro dop-pio gioco. I profughi vanno accolti, non manda-ti a casa a morire come fecero gli americani nel ’39 con gli ebrei della St. Louis. Vinto l’Isis, con una grande sottoscrizione mondiale si finanzi il ritorno a casa di tutti coloro che vorranno. Sul libero commercio, se ne discuta ma senza clausole segrete e senza consegnare alle mul-tinazionali le chiavi della politica e degli Stati. E quanto all’Europa, sia unita, si dia istituzioni democraticamente elette, affermi nel mondo tolleranza e diritti, e adotti una politica fiscale solidale, con eurobond che finanzino un piano europeo per il lavoro.

Utopia? Niente affatto. Cameron è un leader dimezzato. Se le forze che sostengono il Brexit vinceranno, sarà lo sconfitto; se perderanno

sarà per merito di Corbyn, degli scozzesi, di Obama e financo di parte della City. Obama quel discorso l’avrebbe ascoltato con interesse: in fondo con la riforma sanitaria, dell’immigra-zione e con la condanna dell’uso delle armi, egli ha portato in America dosi omeopatiche di Europa. E Merkel e Hollande? Il motore euro-peo è ingolfato, i due si attaccano al timone per governare l’abbrivio della nave. Finché andrà.

Questo è il tempo della politica. Una grande po-litica europea, liberale e solidale. Democratica perché consegna ai cittadini le leve delle scelte fondamentali. Visionaria, perché scommette su di un mondo multipolare, sull’innovazione e la ricerca, sulla dignità di tutte le persone umane, quali che ne siano il colore o le scelte sessuali.Purtroppo non è questa la politica di Renzi. La sua politica rinuncia a cambiare il mondo mentre chiede per il suo governo una delega molto ampia, riduce il voto alla scelta del capo, usa bonus e sgravi fiscali come surrogato dei contratti liberamente sottoscritti e dei diritti acquisiti. Una politica che pretende di arrestare i corrotti mettendo il bavaglio alle intercetta-zioni e chiede ai magistrati di non disturbare il manovratore. Nell’interesse dell’Italia, s’inten-de. Non dubito che faccia questo con le migliori intenzioni, perché la sua gli sembra l’unica po-litica realista e perché non sa fare altro.

Dico però che non sarà lui il principe capa-ce di svegliere l’Italia, bella e addormentata. I nostri giovani hanno bisogno di sognare, non di diventare politicanti. La nostra gente deve tornare a partecipare, non delegare al governo o disertare le urne. Il primo maggio torni «il giorno del risveglio alla luce e alla conoscenza, in un’alleanza fraterna per combattere ogni op-pressione, ogni arbitrio, ogni sfruttamento».

REALISMO DELLA POLITICA E DIRITTO DI SOGNARE

EDITORIALEdi Corradino Mineo

Page 6: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

Al fianco di Matteo Renzi, François Hollande, Angela Merkel, Barack Obama e Da-vid Cameron. La foto è stata scattata ad Hannover il 25 aprile, durante i lavori di un vertice informale che i giorna-li hanno subito chiamato G5. Guardatela, perché ne sentire-te parlare a lungo nei prossimi mesi. L’Italia al tavolo dove si decide, il riscatto del Belpa-ese, i nostri obblighi inter-nazionali, oneri e onori, e fra questi l’imperativo morale di combattere il terrorismo isla-mico, l’invito a non fare i fessi e dunque a difendere i no-stri interessi a cominciare da quelli petroliferi in Libia. Fino al referendum costituzionale per cui voteremo forse a otto-bre. Non c’entra niente? Non ne siamo sicuri: invece di ri-spondere nel merito alle criti-che, che pubblichiamo in altra parte di questo giornale, di pa-recchi e autorevoli costituzio-nalisti, ci verrà detto che non possiamo sfiduciare il premier proprio mentre sta riportando la patria agli onori del mon-do. Noi di Left ci prepariamo a questo simpatico dibattito. Per il momento osserviamo che, dopo quel vertice, si dà ormai per scontato l’invio di soldati italiani in Libia; ma il Parlamento non ne ha ancora discusso. Che difendere i poz-zi può essere più pericoloso e mortale che inseguire l’Isis. Che non sappiamo bene chi siano gli amici e i nemici. Haf-tar cos’è? E i Fratelli musulma-ni? Quelli della tavola rotonda ne avranno discusso. Che dite, ci fidiamo?

Corradino Mineo

HANNOVERRE RENZI E I CAVALIERI DELLA TAVOLA ROTONDA

Foto di Carolyn Kaster, AP Photo

FOTO NOTIZIA

Page 7: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI
Page 8: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

8 30 aprile 2016

La legge sull’acqua stravolta dal Pd è uno schiaffo ai 26 milioni del 2011

Non sono passati più di tre giorni dalla rivendicazione da parte di Renzi dell’a-stensionismo nel referendum sulle trivel-lazioni, che il governo e il Pd compiono l’ulteriore atto di disprezzo della volontà popolare. Il tema questa volta è l’acqua e la legge d’iniziativa popolare, presentata dai movimenti nove anni fa, dopo aver raccolto oltre 400mila firme. Una legge dimenticata nei cassetti delle commissio-ni parlamentari fino alla sua decadenza e ripresentata, aggiornata, in questa legislatura dall’intergruppo parlamen-tare in accordo con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua. La legge è stata approvata il 20 aprile alla Camera, fra le contestazioni dei movimenti e dei de-putati di M5s e Si, dopo che il suo testo è stato letteralmente stravolto dagli emen-damenti del Pd e del governo, al punto che gli stessi parlamentari che lo avevano proposto hanno ritirato da tempo le loro firme in calce alla legge. Nel frattempo, procede a passo spedito l’iter del decreto Madia (Testo unico sui servizi pubblici locali) che prevede l’obbligo di gestio-ne dei servizi a rete (acqua compresa) tramite società per azioni e reintroduce in tariffa l’“adeguatezza della remunerazio-ne del capitale investito”, ovvero i profitti, nell’esatta dicitura abrogata dal voto referendario. Un attacco concentrico, con il quale il governo Renzi prova a chiudere un cerchio: quello aperto dalla straordi-naria vittoria referendaria sull’acqua del giugno 2011 (oltre 26 milioni di “dema-goghi” secondo la narrazione renziana), sulla quale i diversi governi succedutisi non avevano potuto andare oltre all’o-stacolarne l’esito, all’incentivarne la non applicazione, ad impedirne l’attuazione.Il rilancio della privatizzazione dell’ac-qua e dei servizi pubblici risponde a precisi interessi delle grandi lobby finanziarie che non vedono l’ora di potersi sedere alla tavola imbandita di business regolati da tariffe, flussi di cassa

elevati, prevedibili e stabili nel tempo, titoli tendenzialmente poco volatili e molto generosi in termini di dividendi: un banchetto perfetto, che Pd, governo Renzi e ministro Madia hanno deciso di apparecchiare per loro. Ma poiché la spoliazione delle comunità locali attraverso la mercificazione dell’acqua e dei beni comuni, necessita una drastica sottrazione di democrazia, ecco che lo stravolgimento della legge d’inizia-tiva popolare sull’acqua e lo schiaffo al vittorioso referendum del 2011 non rappresentano semplici effetti collate-rali di quanto sta accadendo, bensì ne costituiscono il cuore e l’anima. A tutto questo occorre rispondere con una vera e propria sollevazione dal basso, con iniziative di contrasto in tutti i territori e l’inondazione di firme in calce alla pe-tizione popolare per il ritiro del decreto Madia, promossa dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua all’interno della stagione appena aperta dei referendum sociali. Oggi più che mai, si scrive acqua e si legge democrazia.

Marco Bersani (Forum italiano dei movimenti

per l’acqua - Attac Italia)

Viareggio è solidale con Boris, il creatore di bolle cacciato dalla passeggiata

Un abbraccio collettivo a Boris. La vigilia della festa di Liberazione non poteva essere festeggiata in maniera migliore.Un migliaio, tante famiglie di Viareg-gio, hanno condannato la cacciata del creatore di bolle reagendo con allegria e partecipazione all’atto inqualificabile compiuto dal commesso e dal titolare di un negozio della passeggiata viareggina. Un gesto condannato da tutti, forse da troppi. Il comunicato della Lega nord che elogia Boris sa di burla.Non si vuole forzatamente portare la questione in politica, ma non si può neppure nascondere tale aspetto.

Mario Navari associazione Sinistra lavoro

Lettere [email protected]

Corradino [email protected]

VICE DIRETTORE RESPONSABILEIlaria Bonaccorsi

[email protected]

REDAZIONETiziana Barillà

[email protected]

Donatella [email protected]

Ilaria [email protected]

Raffaele [email protected]

Simona [email protected]

Luca [email protected]

TEAM WEBMartino Mazzonis

[email protected]

Giorgia [email protected]

GRAFICAAlessio Melandri (Art director)

[email protected]

Antonio Sileo (Illustrazioni)

Monica Di Brigida (Photoeditor)[email protected]

Progetto grafico: CatoniAssociati

EDITORIALENOVANTA SRLSocietà Unipersonale

c.f. 12865661008Via Ludovico di Savoia 2/B

00185 - Romatel. 06 91501100

[email protected] delegato:

Giorgio Poidomani

REDAZIONEVia Ludovico di Savoia, 2B - 00185 - Roma

tel. 06 91501239 - [email protected]

PUBBLICITÀFederico Venditti

tel. 06 91501245 - [email protected]

ABBONAMENTI

Dal lunedì al venerdì, ore 9/[email protected]

STAMPANuovo Istituto Italiano

d’Arti Grafiche S.p.a.Via Zanica, 92 - Bergamo

Coordinamento Esterno:Alberto Isaia [email protected]

DISTRIBUZIONEPress Di

Distribuzione Stampa Multimedia Srl20090 Segrate (Mi)

Registrazione al Tribunale di Roman. 357/1988 del 13/6/1988

Iscrizione al Roc n. 25400 del 12/03/2015

QUESTA TESTATA NON FRUISCEDI CONTRIBUTI STATALI

Copertina: Vauro Senesi

CHIUSO IN REDAZIONEIL 26 APRILE 2016 ALLE ORE 21

Page 9: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

930 aprile 2016

Varoufakis a Vienna per i rifugiati Hofer, il candidato che ama sparareHa una pistola, si fa fotografare al poligono di tiro ammetten-do di «sparare volentieri» e ha affermato che «l’Islam non è parte dell’Austria». Si chiama Norbert Hofer ed è candidato del Fpö, il partito della nuova destra che porta il segno di Hai-der. Al primo turno delle presi-denziali ha vinto con oltre il 35% dei voti e potrebbe davve-ro essere lui il nuovo presiden-te della Repubblica austriaca. Il 22 maggio se la vedrà al ballot-taggio con il candidato dei Ver-di, ma intanto l’ondata nazio-nalista dilaga in tutto il Paese. L’Austra ha blindato i confini con l’Ungheria e la barriera al Brennero sta andando avanti.

«Conquistare voti erigendo recinzioni e violando la legi-slazione sui rifugiati è l’ultima spiaggia di politici pronti a sa-crificare l’integrità delle loro nazioni per le loro miserabili meschine ragioni», ha detto Yanis Varoufakis a proposi-to della barriera tra Austria e Italia. Il 5 maggio, il suo mo-vimento DiEM25 approda a Vienna proprio per affrontare il tema della paura dei migran-ti. «La crisi dei rifugiati è una manifestazione della disinte-grazione dell’Europa» ha detto Vaoroufakis. Insieme a lui, tra gli altri, Srecko Horvat, Saskia Sassen, Erich Fenninger, Wal-ter Baier e Katja Kipping.

UP DOWN

In piazza il 7 maggio a Roma Stop Ttip per manifestare con-tro il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti. I tempi per l’accordo tra Euro-pa e Stati Uniti si fanno stretti. L’accordo prevede una netta ri-definizione delle regole per fa-cilitare lo scambio di prodotti. Questo significa che verranno immessi sul mercato europeo prodotti e servizi che incide-ranno sull’alimentazione e la sicurezza alimentare, sull’a-gricoltura, sulle prospettive occupazionali, sulla gestione dell’assistenza sanitaria. In una parola, i diritti fondamentali relativi a salute, welfare e lavo-ro. stop-ttip-italia.net

Cala in Italia la speranza di vita alla nascita. Per le donne si passa da 85 anni nel 2014 a 84,7 del 2015. Per gli uomini da 80,3 anni del 2014 a 80,1 del 2015. Sono dati dell’Osserva-torio della salute nelle regioni italiane. Questa è la media, perché ci sono regioni dove l’aspettativa di vita alla nascita è più bassa, come la Campania (78,5 per gli uomini e 83,3 per le donne). «Il calo è generaliz-zato in tutte le regioni» ha det-to il direttore dell’Osservasalu-te Walter Ricciardi. Il rapporto segnala anche il calo di inve-stimenti pubblici in sanità: dai 112,5 miliardi di euro del 2010 si è passati ai 110,5 del 2014.

Ci sono persone che credono nel sogno dell’autode-terminazione e hanno deciso di cambiare lavoro e vita contemporaneamente. Lucia Bertell è una sociologa che si occupa di pratiche di cittadinanza attiva, fondatrice del gruppo interuniversitario Tilt (Territori in libera tran-sizione) e da tempo indaga sui percorsi personali che conducono molti uomini e donne e non pochi giovani ad intraprendere attività “fuori pista”, non ordinarie e non convenzionali. Ne è nato un libro fresco di stampa, Lavoro ecoautonomo. Dalla sostenibilità del lavoro alla pratica-bilità della vita, edito da Elèuthera, che indaga sul lavoro nelle cosiddette Economie diverse attraverso uno studio di casi e oltre 30 interviste raccolte prevalentemente in Sar-degna, e ne trae avvincenti conclusioni d’ordine teorico. Emanuela coltiva lo splendido zafferano (servono 120mila fiori per fare un chilo di spezie). Michele ripara e assembla biciclette su ordinazione. Luciano e Rosalba hanno messo in piedi una cooperativa di agricoltura sociale. Nico lavora in una scuola parentale libertaria. Maria Luisa coltiva bio-logico, tinteggia stoffe, insegna Filosomatica e riesce anche a prendersi un po’ di “tempo vuoto”. Mauro fa l’ortolano. Barbara e Fabrizio fanno i pastori. Roberta la libraia. Altre ancora sono le conoscenze che l’autrice approfondisce. Sono persone che quasi sempre hanno abbandonato per scelta lavori tradizionali, guidate da forti motivazioni eti-che e professionali. Mantengono forti legami con le loro famiglie (che spesso partecipano e aiutano nell’impresa) e rapporti territoriali con le comunità locali. Collaborano con associazioni come il Centro sperimentale di autosvi-luppo Domusamigas, fondato da donne del movimento nonviolento dell’Iglesiente, la rete dei produttori Biosar-dinia, la rete di autoproduzione Genuino Clandestino, il World-wide opportunities on organic farms, la rete degli ecovillaggi, i produttori legati ai Gruppi di acquisto solidale e alle Reti di economia solidale, e altre ancora. La forma giuridica delle loro imprese non conta molto. Alcune sono ditte individuali, altre cooperative, altre società di persone. Difficili da classificare nelle categorie ufficiali. Sono forme di produzione economica “altre” e “diverse” da quelle con-suete. Non hanno lo scopo di massimizzare le rese, cresce-re le produzioni, accumulare i profitti. Dichiara una delle intervistate: «Il denaro è una questione importante, ma non la fondamentale». La lotta per non andare in perdita è quotidiana e dura per tutti. Ma il loro obiettivo è vivere meglio proprio perché meno dipendenti dalle logiche mer-cantili. L’autrice pensa che la radicalità delle motivazioni e la coerenza delle scelte di vita dei casi analizzati debbano portare queste forme di lavoro produttivo oltre il Terzo set-tore, oltre l’economia solidale, oltre l’altra-economia: l’e-coautonomia è il nuovo termine che viene proposto.

LA DATA IL NUMEROPICCOLE RIVOLUZIONI di PAOLO CACCIARI

L’ISOLA DOVE IL LAVORODIVENTA ECOAUTONOMO

7maggio

201684,7

© B

ernd

Von

Jut

rcze

nka/

Epa A

nsa -

Ron

ald Z

ak/A

p Pho

to

Page 10: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

10 30 aprile 2016

econdo la relazione 2016 dell’Osser-vatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze di Lisbona (Oedt) elaborata insieme a Europol, il traf-

fico di stupefacenti è «una delle attività più lucrative della criminalità organizzata in Eu-ropa» e coinvolge gruppi dediti ad «altre for-me di criminalità, incluso il terrorismo». Di questo mercato illegale, che vale 24 miliardi di euro l’anno, la fetta più consistente è rap-presentata dalla cannabis, circa il 38% tota-le, tra gli 8,4 e i 12,9 miliardi l’anno, seguono eroina, 28% delle vendite di stupefacenti per un ammontare tra i 6 - 7,8 miliardi e la co-caina, 24%, tra i 4,5 e i 7 miliardi di incassi. Le anfetamine e l’ecstasy rappresentano ri-spettivamente l’8 e il 3% del totale di que-sto commercio illegale. Negli ultimi anni, la vendita e il consumo della cannabis e suoi derivati sono divenuti legali in quattro Stati degli Usa e in Uruguay. In Portogallo, Spagna e Repubblica Ceca la coltivazione per uso personale non è penalizzata, e da oltre 40 anni nei Paesi bassi un (florido) commercio è tollerato. Il nuovo governo canadese di Ju-stin Trudeau ha avviato un processo nazio-nale di consultazioni per la legalizzazione della pianta e suoi derivati, mentre in Italia è incardinato un progetto di legge d’inizia-tiva parlamentare per la regolamentazione della produzione, consumo e commercio della cannabis. Che la cannabis sia popola-re anche in Italia ce lo dice la relazione del governo del 2015, che stima in 4 milioni il numero dei consumatori, ma ce lo dimostra anche l’incoraggiante inizio della raccolta firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare che l’Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani hanno lanciato il 20 aprile scorso con il sostegno della Coalizione Ita-liana per le Libertà civili e democratiche, Forum droghe, Antigone, La Società della Ragione, La PianTiamo e il coordinamen-

to dei grow shop italiani. L’iniziativa vuole complementare i testi presentati alla Came-ra e accompagnare dal fuori del Palazzo il dibattito parlamentare, purtroppo sospeso al momento. Di cannabis si è anche molto parlato al Palazzo di Vetro dal 19 al 21 aprile scorsi in occasione della sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite dedicata alle droghe. Alla sanguinaria “guer-ra alla droga”, che comunque miete ancora vittime in mezzo mondo, si son sostituite pa-role d’ordine più diplomatiche che invitano gli Stati ad applicare le convenzioni interna-zionali con “flessibilità”. Un’interpretazione che però, secondo la Giunta internazionale per gli stupefacenti, non include, a conven-zioni vigenti, la possibilità di legalizzare. Quel che sta avvenen-do negli Usa intorno alla cannabis - a no-vembre di quest’an-no altri quattro Stati, tra cui la California, voteranno per la le-galizzazione - è mol-to probabilmente l’inizio di una nuova era di “controllo delle droghe” che si basa sulla regolamentazione legale in radicale alternativa alla proibizio-ne. Una risposta antiproibizionista come lo furono le campagne storiche del Partito radicale per la legalizzazione del divorzio e dell’aborto: consentire scelte consapevoli e libere protette dalla legge. Non si tratta di promuovere gli stupefacenti, ma di creare le condizioni per cui chi decide cosa assumere possa farlo senza incorrere in sanzioni di al-cun tipo e, se del caso, accedere all’assisten-za socio-sanitaria necessaria. Si tratta, cioè, di garantire diritti.

Per maggiori informazione sulla proposta di legge d’iniziativa popolare www.legalizziamo.it

Perché dire sì alla legalizzazione dell’uso personale di cannabis

DIRITTIdi Filomena Gallo

PARERI

S

In Italia il numero dei consumatori si stima intorno ai 4 milioni. Non si tratta di promuovere gli stupefacenti ma di combattere il mercato clandestino. Dal 20 aprile la Coscioni raccoglie le firme

Page 11: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

1130 aprile 2016

l continente che respinge chi scappa da guer-ra, fame e miseria, il continente attraversato da filo spinato e barriere che tornano a di-videre gli Stati nazionali, il continente delle

lacrime ipocrite davanti ai migliaia di morti nel Mar Mediterraneo, questo continente non è l’Eu-ropa cui abbiamo guardato e per cui continuiamo a lottare. Questa Europa è un assetto istituzionale funzionale a consentire la libera circolazione dei capitali e frenare quella delle persone.Non basta l’indignazione, non basta la commozio-ne. Per questo a partire dall’appello “disobbedire ai confini” promosso da attivisti dei movimenti e dei sindacati, parlamentari, attivisti, semplici cit-tadini, siamo partiti per il confine del Brennero alla vigilia del 25 aprile e in contemporanea alle elezioni austriache.Il presidente Fischer, commentando la decisione di innalzare un muro al confine con l’Italia, ha det-to che «servono più controlli per chi vuole entrare in Europa», come se l’Italia non ne facesse parte, come se rendere l’Europa una fortezza non sia proprio una delle principali cause della sua fragili-tà. Se rincorri gli xenofobi di solito vincono gli xe-nofobi, se assecondi la paura vieni mangiato dalla paura. E, infatti, dopo che la grande coalizione tra i popolari dell’Övp e i socialdemocratici SPÖ, aveva rincorso la destra estrema sul suo stesso terreno, proprio nel giorno della nostra manifestazione, l’estrema destra xenofoba dell’Fpo, è balzata al primo posto con oltre il 35%. La minaccia dei nuo-vi fascismi è sempre più concreta davanti al falli-mento delle socialdemocrazie europee.Per questo abbiamo deciso di reagire, antifascisti, antirazzisti e pronti a lottare per costruire in Italia e in Europa un’alternativa concreta. Siamo partiti in centinaia, in particolare dall’Emilia Romagna, in una commistione tra politico e sociale, tra mo-vimenti e rappresentanti istituzionali, con una si-nistra che non si limita a rappresentare le istanze delle lotte, ma partecipa attivamente ad esse.Il corteo colorato e festoso, è partito dal piazza-le della stazione di Bolzano, con il sole di mon-

tagna che illuminava questa giornata fredda di aprile. In testa i gommoni, e tanti con i giubbot-ti salvagente arancioni a ricordare a tutti noi il dramma del Mediterraneo e la grande strage di migranti. In mano cartelli colorati contro il ver-gognoso accordo con la Turchia, i cori “no bor-der, no nation, stop deportation!”, “la nostra Eu-ropa non ha confini, siamo tutti cittadini!”. Con in mano i passaporti di “cittadini del mondo” abbiamo deciso di varcare il confine con l’Au-stria, ma pochi metri dopo la linea che divide i due Paesi, dove a breve sorgerà il muro di divi-sione, la polizia era schierata: centinaia di poli-ziotti in assetto antisommossa, con manganelli e spray al peperoncino e idranti pronti a entrare in azione respingono a lungo il corteo, ritiran-do l’autorizzazione per il percorso e provando a disperdere la manifesta-zione che simbolicamente chiede solo di proseguire oltre il confine che per tut-ti e a maggior ragione per noi europei non dovrebbe essere impossibile varcare.Come se non bastasse, al termine della manifesta-zione - un attimo prima di rientrare in Italia dal nostro breve sconfinamento - la polizia piomba nel corteo e trascina via uno dei promotori Gian-marco De Pieri, del Tpo di Bologna e candidato alle elezioni comunali a sostegno di Federico Martelloni con Coalizione civica. Dopo oltre un’ora di fermo dietro un imponente cordone di polizia i parlamentari di Sinistra Italiana riescono con l’intervento della Farnesina, a sbloccare la si-tuazione ottenendo il rilascio di Gianmarco. L’as-surdo motivo del fermo è “istigazione alla ma-nifestazione”. Abbiamo istigato collettivamente e continueremo a farlo. Siamo stati al Brennero, torneremo e ci mobiliteremo insieme a tante e tanti per abbattere i muri e ricostruire un conti-nente che sia degno di chiamarsi Europa.

* attivista Act! - Sinistra italiana

Contro l’Europa dei muridisobbedire ai confini

MIGRANTIdi Claudio Riccio*

I

Siamo stati al Brennero, torneremo e ci mobiliteremo insiemea tante e tanti per abbattere i muri e ricostruire un continente che sia degnodi chiamarsi Europa

Page 12: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

12 30 aprile 2016

© Illustrazione Antonio Pronostico

Page 13: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

1330 aprile 2016

n “capitalismo oligarchico” si sta afferman-do nei Paesi avanzati e la situazione econo-mica e sociale che lo caratterizza assomiglia

a quella che prevaleva all’inizio del XX secolo. Sot-tolineando l’importanza della ricchezza ereditata per le prospettive individuali di vita e per il suo impatto sulla complessiva concentrazione della ricchezza, l’economista francese Thomas Piketty sottolinea la somiglianza tra le nostre società e quelle descritte nei romanzi di Jane Austen e Ho-noré de Balzac, dove «il passato tende a divorare il futuro». I due fattori trainanti del “capitalismo oligarchico” sono l’importanza della ricchezza ereditata e l’influenza delle condizioni econo-miche della famiglia di provenienza sul successo ottenuto nel mercato del lavoro. Due esempi nei quali “la famiglia conta”. La ricchezza ereditata esercita un’influenza de-terminante sulla disuguaglianza economica e so-ciale. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale la ricchezza ereditata ha perso d’im-portanza e i risparmi effettuati nell’arco di una vita, da chi percepiva redditi da lavoro, permette-vano di accumulare un ammontare di ricchezza non troppo diverso da quello che veniva in media ereditato. In Francia, il Paese per il quale sono di-sponibili dati attendibili per un lungo periodo di tempo, tra il 1950 e il 2010, secondo le stime di Piketty, il flusso annuale delle eredità come quo-ta del reddito nazionale è cresciuto da poco più del 4% a oltre il 12%; il valore più alto di questo rapporto (24%) è stato raggiunto all’inizio del XX secolo. Oggi, la quota di ricchezza ereditata sulla ricchezza totale è vicina al 70%, e potrebbe sta-

bilizzarsi tra l’80 e il 90%, cioè a un livello simile a quello all’inizio del XX secolo. La crescente im-portanza della ricchezza ereditata ha serie impli-cazioni. Il passato tende a contare più del presen-te e del futuro e perciò si affermerà un modello di distribuzione del reddito che ha poco a che fare con il merito, l’efficienza economica e la giustizia sociale. Il divario, tra coloro che vivono della ric-chezza ereditata e coloro che vivono dei loro red-diti da lavoro, si allarga e a causa di ciò l’eredità accresce ulteriormente le disparità di reddito. In-fatti, la ricchezza ereditata è distribuita in modo molto disuguale e, se la sua importanza cresce, la disuguaglianza aumenterà e tenderà a trasmet-tersi sempre più da una generazione all’altra. Le forze che determinano queste tendenze pos-sono essere facilmente individuate. La prima è l’aumento del tasso di rendimento sulla ricchez-za, che ha permesso di accrescere i valori patri-moniali trasmessi attraverso i lasciti ereditari. Il secondo meccanismo è il trattamento fiscale: le imposte di successione possono essere uno stru-mento efficace contro la concentrazione della ricchezza. In molti Paesi il trattamento fiscale delle eredità è divenuto più favorevole, e questa è una delle principali ragioni delle tendenze in atto. Secondo il recente Worldwide Estate and Inheritance Tax Guide di Ernst & Young (EY, 2014) molti Paesi (tra cui l’Austria, la Norvegia e la Sve-zia) hanno eliminato le imposte di successione dopo il 2000; altri avevano fatto un passo simile trent’anni prima (Australia e Canada), in altri an-cora questo tipo di imposta semplicemente non esiste (Russia). In un buon numero di Paesi sono

Il passato divora il futuro, come all’inizio del XX secolo. Ancora oggi, di padre in figlio,si trasmettono ricchezze e disuguaglianze. E la forbice tra ricchi e poveri continua ad

allargarsi. Un estratto del libro Disuguaglianze. Quante sono e come combatterle

di Maurizio Franzini e Mario Pianta

CAPITALISMO OLIGARCHICO QUANDO LA FAMIGLIA CONTA

U

Page 14: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

14 30 aprile 2016

state introdotte modifiche che hanno reso più fa-cile trasferire la ricchezza dai genitori ai figli, alle figlie o ad altri parenti. Oltre che per la trasmissione della ricchezza, la famiglia conta perché influenza - in diversi modi, non sempre immediatamente visibili - il succes-so economico delle generazioni più giovani, in particolare incidendo sul reddito guadagnato sul mercato del lavoro. I dati disponibili mostrano che, almeno in alcuni Paesi, la correlazione tra il reddito da lavoro dei figli e il reddito dei loro genitori è molto alta. Ciò significa che i genitori ricchi trasmettono ai loro figli non solo la ricchez-za da cui traggono reddito da capitale, ma anche altri vantaggi che permettono loro di ottenere, in media, un reddito da lavoro più elevato, sia come lavoratore dipendente sia come lavoratore au-tonomo. I Paesi in cui la trasmissione di questo vantaggio sembra essere più forte sono i Paesi europei mediterranei, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Si noti che questi sono anche Paesi in cui la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi correnti è relativamente alta e ci sono buone ra-gioni per credere che non si tratti di una semplice coincidenza. La trasmissione delle disuguaglianze da una generazione all’altra ha molto a che fare con il concetto di mobilità. La mobilità economica e sociale tra generazioni può essere diversamente interpretata e c’è una certa confusione nell’uso di questi termini. I sociologi, che la studiano da molti decenni, usano distinguere tra mobilità as-soluta e mobilità relativa. Si ha mobilità assoluta verso l’alto quando la situazione economica e so-ciale dei figli è migliore di quella dei loro genito-ri. La mobilità relativa, invece, si realizza quando la posizione dei figli nella classifica economica e sociale della propria generazione non dipende da quella dei propri genitori. Questo concetto di mobilità ha molto a che fare con la disuguaglian-za e la sua trasmissione da una generazione alla successiva. Infatti, se la disuguaglianza è com-pletamente trasmessa dai genitori ai figli, questi ultimi occuperanno la stessa posizione dei propri genitori nella scala sociale o economica. Elevata mobilità relativa significa che i figli dei poveri non saranno concentrati nella parte bassa della scala sociale, né i figli dei ricchi si troveranno principal-mente nelle posizioni superiori. Se, al contrario, è possibile prevedere con precisione la posizione che i figli avranno nella distribuzione del reddito

sulla base della posizione dei genitori, allora se ne può dedurre che la mobilità economica è assente. Il contesto familiare può influenzare i redditi di un individuo in tre modi: attraverso una maggio-re probabilità di raggiungere un più elevato livello di istruzione; attraverso una maggiore probabilità di ottenere un buon lavoro; e attraverso un effet-to diretto residuale associato sia al capitale uma-no non osservabile e non legato all’istruzione sia a imperfezioni di mercato che premiano chi ha origini familiari più elevate. In quasi tutti i Paesi, questa influenza aggiuntiva dell’origine familiare non è trascurabile, e in alcuni casi è perfino con-siderevole. Nel Regno Unito, ad esempio, il figlio di un manager guadagna il 26% in più rispetto al figlio di un operaio, a parità di livello di istruzione. In altri Paesi, il divario è più contenuto ma comun-que significativo: è il caso dell’Irlanda, dell’Italia, della Spagna e, più limitatamente, della Francia e

egli ultimi trent’anni nelle nostre società le condizioni eco-nomiche delle persone sono diventate più disuguali», scri-vono Franzini e Pianta nelle prime righe di Disuguaglianze.

Quante sono e come combatterle (Laterza, 2016). Sono quattro i “mo-tori” alla radice del fenomeno: il potere del capitale sul lavoro, il capi-talismo oligarchico, l’individualizzazione, l’arretramento della politica. Come si combattono lo abbiamo chiesto al professor Pianta. Una volta individuate le quattro radici delle disuguaglianze, quali politiche occorre adottare per combatterle?Le politiche contro le disuguaglianza devono affrontare i quattro “motori” che le alimentano. Innanzi tutto serve riequilibrare i rap-porti capitale-lavoro, con misure che ridimensionino la finanza, li-mitino le posizioni di rendita (compresa quella immobiliare), assi-curino ai salari una parte dei benefici che vengono da tecnologia e aumenti di produttività, introducano un salario minimo efficace e riconoscano un ruolo maggiore ai contratti di lavoro nazionali. Un secondo insieme di politiche deve fermare l’ascesa del capita-lismo oligarchico, mettendo un limite ai super-redditi milionari di top manager e degli altri (pochi) strapagati oltre ogni ragionevolezza, e riportando significative imposte di successione, fortemente pro-gressive, che riducano l’attuale trasmissione ereditaria di gran parte della ricchezza. Il terzo tipo di azioni deve contrastare l’individualiz-zazione delle condizioni economiche, che hanno fatto aumentare le disparità anche all’interno dei percettori di salari. Si devono ridurre la frammentazione dei contratti di lavoro e la precarietà e, dall’altro lato, rafforzare un’istruzione pubblica egualitaria che è la base per

«N

Ridimensionare la finanza, ridurre la precarietà, rafforzare l’istruzione pubblica. Il professor Mario

Pianta ci spiega come si cerca l’uguaglianza

LE DISUGUAGLIANZE SI COMBATTONO UNA AD UNA

GLI AUTORI

Mario Piantaè professore di Politica economica all’Università di Urbino. Maurizio Franziniè professore di Politica economica alla Sapien-za di Roma, dove dirige la Scuola di dottorato in Economia.

Page 15: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

1530 aprile 2016

le possibilità di mobilità sociale. Infine, la politica deve tornare ad assicurare efficaci politiche di redistribuzione.In quali campi e con quali conseguenze la politica ha abdicato?In quasi tutti i Paesi avanzati, la politica ha seguito i precetti neolibe-rali: ha lasciato fare sempre di più a meccanismi di mercato che per loro natura alimentano le disparità, ha ridotto l’uso di tassazione e spesa pubblica per ridurre le disuguaglianze. Quello che serve ora è una politica che riduca innanzitutto le enormi disparità negli stock di ricchezza - che sono molto più gravi di quelle nei redditi ottenuti ogni anno - introducendo una tassazione appropriata - e progressiva - della ricchezza a livello nazionale, con politiche coerenti a livello europeo e internazionale. Poi occorre accrescere la progressività del-le imposte sul reddito, in modo da aumentare gli effetti redistributivi dai ricchi ai poveri. Infine serve un reddito minimo.Un reddito minimo universale “sarebbe utile” o “è indispensabile”?È indispensabile come riconoscimento di un diritto sociale, come strumento per tutelare i più poveri, i più precari, i meno fortunati. È lo strumento chiave e più ugualitario per evitare l’aumento della povertà. E sarebbe importante in parallelo assicurare un più ampio accesso al lavoro, anche con interventi pubblici. Tutto questo ridur-rebbe immediatamente le disuguaglianze e aiuterebbe la ripresa dell’economia attraverso un aumento dei consumi e della domanda.Non avete affrontato la questione della sostenibilità ambientale del sistema economico, pur riconoscendo che si tratta di «un fenomeno molto importante che può generare nuove forme di disuguaglianza». La gravità dei cambiamenti climatici sta producendo nuove vittime di crisi ambientali, in Italia e ancor più nei Paesi in via di sviluppo. Persone che perdono reddito, terra, casa, vedono peggiorare le proprie condi-zioni di vita e aumentare malattie e cause di morte dovute a degrado ambientale, inquinamento, inondazioni, fenomeni climatici estremi. È una disuguaglianza complessa da documentare ma con cui dovremo fare presto i conti, innanzitutto fermando il cambiamento climatico.Un’ultima domanda, è raggiungibile la perfetta uguaglianza?È una questione di teoria politica ben più ampia degli obiettivi del no-stro libro. Ci accontentiamo di mostrare che nelle nostre società un po’ più di uguaglianza farebbe davvero bene a tutti.

Tiziana Barillà

disuguaglianza: le abilità e le caratteristiche gene-tiche come l’intelligenza, la salute e l’aspetto fisi-co; quindi le competenze e le conoscenze acqui-site durante l’istruzione formale o per il tramite dell’influenza del background familiare. Ulteriori fattori di disuguaglianza sono le aspirazioni e i valori culturali di ciascuno, nonché le preferenze personali che influenzano anche l’impegno con il quale si svolge il proprio lavoro. Classificare cia-scuno di questi fattori come una circostanza (che genera disuguaglianza inaccettabile) o come im-pegno (visto come causa di disuguaglianza giusta) non è un compito semplice. Se tutti questi fattori fossero considerati come circostanze, nessuna di-suguaglianza sarebbe accettabile. Come sostiene Roemer, in questo caso nessuno sarebbe respon-sabile di nulla e, quindi, soltanto l’uguaglianza piena dei risultati sarebbe accettabile. La posizio-ne estrema opposta presuppone che tutti questi fattori dipendano dalla responsabilità individua-le, cosicché qualsiasi disuguaglianza nei redditi è pienamente accettabile. Entrambi i punti di vista sono insostenibili. Potremmo, ad esempio, tollerare la pigrizia e non penalizzarla sulla base dell’argomento che essa è il risultato di preferenze per le quali non ha alcuna responsabilità chi le de-tiene? O, all’opposto, dobbiamo davvero puntare ad annullare l’influenza di qualsiasi caratteristica geneticamente trasmessa? Come sostiene Swift, alcuni di questi tratti sono costitutivi dell’identità umana. In conclusione, la disuguaglianza si tra-

smette da una generazione all’altra attraverso i patrimoni lasciati in eredità e, in modo più sottile, attraverso i van-taggi che un miglior ambien-te familiare può offrire e che sono apprezzati nel mercato del lavoro. Entrambi questi elementi sono fattori chiave di quel ‘capitalismo oligarchi-co’ che abbiamo individuato come uno dei motori della

disuguaglianza contemporanea. Gli argomenti concettuali e i dati presentati in questo capitolo dovrebbero consentire di comprendere meglio da un lato i meccanismi che sono all’opera e, dall’al-tro, le politiche che potrebbero essere adottate per rovesciare l’inaccettabile e pericolosa tenden-za a trasmettere da una generazione all’altra la ricchezza e il privilegio.

della Germania. Il divario tra i figli dei “colletti bianchi” e quelli dei “colletti blu” è minore, ma ancora significativo nel Regno Unito, in Italia, in Spagna e in Francia. Se la trasmissione intergenerazio-nale delle disuguaglianze è consi-derata un aspetto negativo della nostra società, possiamo doman-darci: una società con trasmis-sione nulla delle disuguaglianze sarebbe davvero desiderabile? Dal punto di vista dell’uguaglianza delle opportunità non sono ac-cettabili le disuguaglianze dovute a fattori che sfuggono al controllo individuale, fattori che Roe-mer chiama “circostanze”. Al contrario, l’impegno individuale può essere considerato una giusta causa di disuguaglianza. Di nuovo seguendo Roe-mer, possiamo elencare i più importanti fattori di

Nel Regno Unitoil figlio di un manager guadagna il 26% in più rispetto al figlio di un operaio, a parità di livellodi istruzione. Il divario tra i figli dei “colletti bianchi” e dei “colletti blu”è significativo anchein Italia, Spagna e Francia

Page 16: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

16 30 aprile 2016

a distinzione tra lavoro autonomo, libero-professionale e dipendente in questi anni si è fatta sempre più tenue. Mentre grandi

professionisti hanno clienti regolari e fideliz-zati che garantiscono loro entrate prevedibili e continuative, oltre che elevate, molti lavoratori che un tempo sarebbero stati alle dipendenze, e che di fatto lavorano come se fossero alle di-pendenze per quanto riguarda orari e rapporti di subordinazione, sono costretti a una condi-zione di prestatori d’opera individuali: impiegati dell’anagrafe o delle poste, post doc all’universi-tà, ricercatori in istituti di ricerca impiegati con contratti di lavoro a progetto periodicamente rinnovati; muratori, camerieri, baristi, brac-cianti, scaricatori nei mercati generali con Par-tita iva, o “somministrati”, o pagati con voucher. Non c’è occupazione che non veda, accanto a contratti di lavoro standard, rapporti di lavoro che, pensati per una nicchia o casi particolari, stanno diventando la norma in un mercato del lavoro sempre più selvaggio, ove la competizio-ne è sempre meno sulle competenze e il pro-dotto, ma tra chi accetta le condizioni di lavoro meno vantaggiose. Una competizione che ormai

non mette più solo gli operai polacchi o albanesi contro quelli italiani, ma è anche interna alla offerta di lavoro ita-liana, specie tra i giovani di entrambi i sessi e le donne di ogni età (queste ultime costituiscono il 50 per cento di tutti coloro che lavorano a voucher), ma anche tra chi ha perso il lavoro in età matura ed è ancora lontano da una

pensione i cui criteri di accesso si spostano sem-pre più in avanti. Stante la scarsità di domanda di lavoro, i lunghi anni di crisi che hanno inde-bolito la capacità di tenuta e redistributiva del-le economie famigliari, la fila di chi accetta un lavoro purchessia (alla faccia di chi li definisce

schizzinosi) è sempre lunga. E i datori di lavoro ne approfittano. Anni fa la parola d’ordine lan-ciata ai giovani (e alle donne di ogni età) era di diventare imprenditori di se stessi. Oggi questa “imprenditività” sembra doversi concentrare, almeno per una buona parte, nell’affannosa ri-cerca di spezzoni di lavoro e nella accettazione della “creatività” contrattuale dei datori di lavo-ro. La società liquida non è solo quella dell’in-dividuo diventato puro consumatore bulimico e senza comunità di cui parla Zygmunt Bauman. È anche quella dei lavoratori senza appartenen-za e senza identità come tali, usa e getta. (E quali conseguenze ha tutto questo sull’identi-tà - sicurezza, insicurezza, e sull’autostima delle persone?, le abbiamo chiesto, ndr.) Premesso che c’è anche chi non desidera impegnarsi in pro-getti e appartenenze lavorative di lungo perio-do, perché desidera viaggiare, alternare lavoro a viaggi o altre attività, così come c’è chi dalla precarietà si sente sfidato a trovare strade nuo-ve, per la maggior parte delle persone una situa-zione di precarietà lavorativa che duri a lungo impedisce di fare progetti e anche di occuparsi seriamente di altro che il lavoro. Impedisce an-che di costruire e arricchire capitale umano. Se, alla precarietà si aggiunge la percezione di do-ver competere con tutti, quindi ogni altro è un potenziale concorrente, non un alleato, l’esito è una sorta di individualismo coatto, non per egocentrismo narcisista, ma per autodifesa, per quanto perdente. (Quali misure sociali - coper-ture universali o che altro - immagina ridurre il danno? ndr.) Il co-working, la creazione di spazi fisici comuni che consentono anche la possibi-lità di sviluppare relazioni e collaborazioni, se non altro tramite il passaparola, è un antidoto interessante, ma che vale solo per alcune profes-sioni, così come le reti create da co.co.pro ad alta qualificazione. Oltre a contrastare i fenomeni di sfruttamento che sono emersi nel lavoro interi-nale e nell’utilizzo dei voucher, occorre anche trovare strumenti di aggregazione per questi la-voratori che siano loro utili per rafforzarsi e pro-teggersi. Emerge anche sempre più chiaramente la necessità di avere una garanzia di reddito che non solo aiuti a traghettare da uno spezzone di lavoro a un altro o a integrare un reddito da lavo-ro insufficiente, che riduca la ricattabilità di la-voratori che troppo spesso sono costretti a sce-gliere tra un lavoro poco pagato e nessun lavoro e nessun reddito.

Se alla precarietàsi aggiunge la percezione

di dover competere,l’esito è una sorta

di individualismo coatto, per autodifesa.

Per quanto perdente

A Chiara Saraceno abbiamo chiesto di spiegarci se dovremo rassegnarci a rapporti di lavoro liquidi, pagati a prestazione. E lei ci ha risposto che...

di Chiara Saraceno

UN LAVORO PURCHÉ SIA

L

Page 17: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

1730 aprile 2016

aternità, permessi, rientro con mobbing. Turni infernali. Sulla scrivania, decine di fogli: leggi, contratti, studi comparativi

con il resto d’Europa. Michela, Maria, France-sca e le altre sono sedute una accanto all’altra. Sono lavoratrici del commercio nel settore priva-to. Qualcuna fa la commessa e qualcuna sta alla cassa, tutte lavorano nella grande distribuzione organizzata. Dentro i centri commerciali della Capitale che, spesso, troviamo aperti fino a tardi, anche nelle domeniche e nei giorni di festa. Zara, MediaWorld, Coin, catene alimentari. Sono 3 mi-lioni i lavoratori del settore commercio in Italia e almeno l’80 per cento sono donne.Formulano ipotesi e si preoccupano di «non pesa-re troppo sugli altri colleghi, quelli che i figli non ce li hanno», fa notare alle colleghe Maria, la com-messa di Zara che ha una bimba di quasi nove anni. «La mia situazione, poi, non è nemmeno delle peggiori, ho un contratto part-time verticale: 14-23 è la mia fascia oraria. Sono fortunta perché questa formula mi consente di gestire la mia fa-miglia. A lavoro me lo rinfacciano tutti i giorni...

anche se me lo hanno fatto loro!», dice sarcastica Maria, «siamo la generazione delle quarantenni e c’è un tempo per ogni cosa. Questo per molte di noi è il tempo di essere anche madri. Dammi il mio tempo, no?!». Nella discussione irrompe Mi-chela, 37 anni e un figlio di quasi 6, che aggiunge: «Gli orari sono impossibili, soprattutto quando ci chiedono di lavorare la domenica. Nei luoghi di lavoro del commercio, come un tempo nelle fabbriche, le donne sono impiegate su turni este-nuanti, senza il riposo domenicale, e hanno sem-pre meno diritti», spiega Michela, anche lei com-messa al centro commerciale, che s’è messa alla guida di questa battaglia. «Molte lavoratrici sono ancora studentesse, perciò accettano qualunque orario. La verità è che i contratti nazionali hanno lasciato al caso come regolare i nostri rapporti di lavoro». Chiedono orari più umani, che tengano conto della loro maternità, almeno finché i loro bambini non abbiano compiuto i 3 anni.Il lavoro nella grande distribuzione, poi, è anche classificato come categoria a rischio per le gravi-danze, perciò viene consigliata la riassegnazione

Rientrare a lavoro dopo la gravidanza è sempre più difficile: in 65mila “mollano” dopo il parto. Altre resistono, fondano un sindacato,

o scelgono il telelavoro. Storie di donne che si organizzano

di Tiziana Barillà

A COSA LE LAVORATRICI NON RINUNCIANO

Illu

stra

zione

Ant

onio

Pro

nost

ico

Page 18: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

18 30 aprile 2016

in un’area non a rischio o la maternità anticipata, lo riconosce anche la legge, la 81 del 2008. «Que-sto, purtroppo, non accade quasi mai», denuncia la sindacalista di Usb Michela, «a meno che la la-voratrice non si impunti. E non è difficile capire che questa negligenza del datore di lavoro va a di-scapito della donna e del bambino, non è un caso che nei nostri negozi ci siano stati casi di aborti

spontanei». Dopo il parto la vita non è certo più facile. Anche perché, il welfa-re si riduce spesso alla rete familiare: nonni, zie, amici di famiglia (per chi ci può conta-re). Negli ultimi due anni è in crescita il

numero delle donne che, diventate madri, sono costrette a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli: 65mila ogni anno, si stima. Una di loro è Cristina, torinese, un compagno e due bimbe, Viola di 8 anni e Flora di 3. Dalla sala riunioni rag-giungiamo Cristina in chat: «Ho perso il lavoro nel 2008 nonostante avessi un contratto a tem-po indeterminato in una società di informatica», racconta. «In quel periodo cominciava la crisi lavorativa e diventavo mamma per la prima vol-

ta, ai primi esuberi è toccato subito a me. Poi a niente sono valsi i colloqui per i lavori più dispa-rati... Ero mamma, e questo non andava bene a nessuno». Forte di una laurea al Dams e di anni di esperienza in grafica e web design, Cristina pren-de in mano la situazione quando - «dopo mesi di scoramento» - s’inventa NetworkMamas: «Un modo affinché le mamme potessero telelavorare conciliando famiglia e lavoro». Oggi con la sua community offre i servizi più vari: curriculum in-novativi, scrittura di blog-post, vendita attraverso vetrine online. Ma è riuscita a conciliare lavoro e famiglia?, le chiediamo. «Sì», risponde soddisfat-ta: «Questo assetto ha molti vantaggi, riesco a ge-stire gli impegni quando le bimbe sono a scuola o a dormire». Anche economicamente, dice Cri-stina, la scelta paga: «Il lavoro va bene e vogliamo aiutare sempre più mamme, in Italia e, chissà, anche all’estero».Torniamo a Roma, dalle nostre lavoratrici dietro casse e scaffali. Sono agguerrite e si dicono pronte a fondare un sindacato ad hoc perché «soprattutto nel settore privato nessuno ha finora provato ad ampliare i diritti che, con fatica, le donne hanno conquistato sul tema maternità». La riunione si scioglie, le idee sono chiare: «Studiare, capire, condividere. E venire allo scoperto». Il primo ap-puntamento è fissato per l’11 maggio a Roma.

Il welfare si riduce spesso alla rete familiare: nonni, zie, amici di famiglia (per

chi ci può contare). E cresce il numero delle donne

che, diventate madri, sono costrette a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli

ntrano nella redazione di un noto sito di informazio-ne, gli ispettori dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, mostrando il tesserino. Così prescrive la

procedura: ci si qualifica, si ispezionano i locali dove si svolge il lavoro redazionale, e si parla poi con i giornalisti presenti. Salvo scoprire, nel caso specifico, che molti non sono giornalisti e che quasi tutti non hanno il contratto giusto per stare lì, non sono dipendenti ma freelance, con

Giornalisti, avvocati, camerieri. Quasi tutti sono finti lavoratori autonomi, ma a

qualcuno piace l’idea di lavorare in proprio

ALLA RICERCA DI UNA PARTITA IVA CONTENTA

E

partita Iva o ritenuta d’acconto. Nelle agende redazionali ci sono segnati i turni, chi apre ogni mattina e chi chiude ogni sera, chi ha compiti di coordinamento, chi rispon-de invece alle direttive dei superiori. C’è un direttore re-sponsabile, almeno, ma il suo è l’unico contratto come si deve. Per il resto, spazio alla fantasia: contratti del com-mercio, collaborazioni, prestazioni occasionali. Il sito fa oltre 100mila clic al giorno e l’editore è un big della Rete, ma evidentemente non basta per rispettare pure tutte le leggi. Il rapporto di forza d’altronde lo permette: di gior-nalisti a spasso è pieno il Paese e chi ha un lavoro così certo non si lamenta. Non si lamenta perché l’alternati-va è la disoccupazione, e non si lamenta perché è ormai più liquido del lavoro liquido. Anche se non è orgoglioso, nel caso specifico, come invece capita in altri settori. Il mito della libera professione, salvo per i reporter di guer-ra e pochi altri, non c’è mai stato nel mondo dell’infor-mazione. Né in quello televisivo, salvo per i conduttori, dove pure ormai si è partita Iva anche per fare l’autore,

Page 19: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

1930 aprile 2016

per firmare un programma quotidiano che va in onda da anni su una rete che, chiuso quello, potrebbe comunque impiegarti su altri prodotti simili. Fate irruzione in una riunione per il copione di un talk mattutino di La7 o della Rai e chiedete. Nove mesi di contratto l’anno e poi altri due per lo stesso programma nella sua versione estiva, è cosa assai frequente. Il mese che avanza? Per chi lavora in tv, a partita Iva o con contratti di collaborazione, quel-le ormai si chiamano ferie. A Giulia, inviata, quando ti racconta cosa farà l’estate, non fa più caso al fatto che in quei giorni nessuno la paghi. Il mito della libertà però c’è invece tra gli avvocati, che infatti sono partite Iva, spesso contente, anche se lavorano in un grande studio, e an-che se di tempo per la libera professione, nella loro gior-nata, in realtà non ce ne è. «Così funziona, da noi. Posso scegliere in qualunque momento di cambiare studio», ci spiega Maria, trent’anni, «e se volessi fare l’avvocato di-pendente posso sempre cercare di entrare in un’azienda o uno di quelli studi che si organizzano così, assumen-

do». C’è dunque qualcuno contento di fatturare a fine mese, ma è categoria particolare, quella dell’avvocatura. Rischia comunque di essere un problema del passato, già superato, dell’altro secolo, quello delle partite Iva, il cui abuso è norma in ogni azienda. Con il lavoro pagato via app, con Uber e le piattaforme di crowdworking come il Mechanical Turk di Amazon. O anche più banalmente con i voucher, che l’Italia ha liberalizzato, non limitan-doli più alla sola agricoltura, come avveniva fino al 2008 (quando i lavoratori a tagliando erano meno di 25mila, contro il milione e 400mila di oggi) e come avviene an-cora in Francia, ad esempio. Lì stanno migrando molti lavori. Lo dice lo stesso rapporto annuale del ministero del Lavoro: nel 2015, il 10 per cento dei lavoratori retri-buiti con voucher aveva avuto, nei sei mesi precedenti, un rapporto - però contrattualizzato - con lo stesso dato-re, soprattutto nel turismo e nel commercio. Camerieri, commessi, non certo imprenditori di loro stessi.

Luca Sappino

© Il

lust

razio

ne A

nton

io P

rono

stico

Page 20: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

20 30 aprile 2016

uale sarà la prima cosa che dirai quando fa-rai il tuo ingresso su quel palco pazzesco? «E la dico a te?». Inizia con una fragorosa risata

la chiacchierata con Luca Barbarossa, mente ge-nerosa per propositi e buoni sentimenti. Classe 1961, cantautore di strada alla fine degli anni Settanta, fa il suo esordio a Sanremo nel 1981 con un omaggio alla sua città: “Roma spogliata”. Arriva il successo: i concerti, ancora Sanremo, ancora storie da suonare, anche insieme al po-liedrico Neri Marcorè. Poi la radio, con il quoti-diano Radio2 Social club che - tra commenti e canzoni, in duetto con illustri colleghi - ha por-tato alla realizzazione di Radio DUEts Musica Li-bera, un album per sostenere l’associazione Li-bera. Il Primo maggio è sul palco del Concertone di Roma, in piazza San Giovanni, per condurre il tradizionale appuntamento promosso da Cgil, Cisl e Uil. Sono giorni intensi questi, tra prove e dichiarazioni da rilasciare a chi, come me, vuol sapere tutto della sua carriera, dei suoi pensie-ri, dei suoi progetti. Lo inchiodo al telefono, in una sera di aprile. È ora di cena e «sta cadendo la notte sopra i tetti di Roma», come cantava nella poetica “Via Margutta”.Ci riprovo, che dirai dal palco di San Giovanni?Ho pensato a tante cose da dire, ma ogni gior-no le cambio. È un evento con tante implicazio-ni sociali e politiche, un palco particolarmente sensibile a ciò che accade intorno. Io sono un cane sciolto, un uomo libero che non si fa con-dizionare da nessuno, perciò tratterò i temi che riguardano quella che io chiamo la precarietà esistenziale, una condizione diffusa in Italia e

non solo, se pensiamo a quello che succede nel Mediterraneo. È un pa-radosso: siamo considerati un pun-to di arrivo, l’Italia è una porta per l’Europa, figuriamoci in quali con-dizioni sono queste persone, che rischiano di perdere la vita in mare. Che cosa intendi per “precarietà esistenziale”?La precarietà esistenziale è possi-bile quando non c’è rispetto della dignità del lavoro, perché si dà ai giovani questa sensazione che non stanno costruendo, ma che pas-sano da un lavoretto all’altro, con stipendi risibili, con capacità e atti-tudini non riconosciute. Si dovreb-be pianificare a lunga scadenza, investire sulla conoscenza, la ricerca, l’università, sulle scuole pubbliche. I giovani, così come gli immigrati, sono il motore della società. Occupazione giovanile e difesa dei diritti del-le classi più deboli, sono queste le priorità hai detto più volte. Ho tre figli e non voglio in nessuna occasione abbandonarmi al pessimismo di chi dice che questa è una nazione che non ce la fa, che non riparte, dove la corruzione fa la parte del leone ed è impossibile creare nuova occupazione. Io ai miei tre figli, quando li guardo negli occhi o ci parliamo, ho il dovere di dirgli che è un Paese che ce la farà, soprattutto grazie a loro. Non solo a Roma si porteranno musica e con-tenuti, insieme. Anche a Taranto, per esempio,

Quando sei stato un artista di strada, rimani un artista di strada per tutta la vita. Ho girato l’Europa con la mia chitarra, ho conosciuto tanta gente. È stato meraviglioso

Q

«Per me il Primo maggio è festa popolare, di dignità, libertàe difesa dei diritti». Luca Barbarossa, che quest’anno chiuderà

il concertone di piazza San Giovanni, si racconta a Left

di Alessandra Grimaldi

SONO UN CANE SCIOLTO E OTTIMISTA

Page 21: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

2130 aprile 2016

Modena City Ramblers e altri ancora, impe-gnati e spesso indignati.Sì, sarà un palco davvero ricco e saranno loro i protagonisti: un’onda positiva in cui si fondono musica e contenuti importanti che riguardano tutti noi.Barbarossa cantautore parla spesso anche di donne, come con “L’amore rubato” o “Portami a ballare”. Mostrando un’attenzione privilegia-ta verso l’universo femminile.Con “L’amore rubato” ho parlato di un argomen-to terribile, all’interno di una canzone ispirata dal monologo di Franca Rame, che ha trasfor-mato il suo stupro in energia positiva, in una pièce con cui lo ha denunciato. Sono tante le forme di prevaricazione nei confronti delle don-ne da condannare, e quando posso lo faccio. Ho avuto la fortuna di aver incontrato donne che mi hanno stimolato, aperto gli occhi. Così come l’a-more per loro mi ha migliorato.Stai preparando un disco nuovo?Non ci crede più nessuno, ma sì, ho scritto alcu-ni inediti e dovrebbe uscire nel 2017… Mi viene da ridere solo a dirlo.Ai tuoi esordi a Piazza Navona ci pensi mai?

Sì, e penso di essere sempre quello lì, lo potrei rifare da un momento all’altro, se ne avessi occasione o necessità. Quando sei stato un artista di strada, rimani un artista di strada per tutta la vita. Ho girato l’Europa con la mia chitarra, ho conosciuto tanta

gente. È stato meraviglioso.Adesso che cielo c’è sopra via Margutta?Un cielo bellissimo, il problema è quello che c’è sotto: molti uomini supportati dai partiti e dalle lobby che hanno infangato il nome di Roma. Il ro-mano è quello che dal Comune, dalle istituzioni e dallo Stato ha solo fastidi, non ha aiuti di nessun tipo. E Roma ha un tessuto sociale da ricostruire completamente: la nettezza urbana, i trasporti, le scuole. Non c’è una cosa che funzioni ed è amaro constatare che non è per mancanza di fondi, ma perché qualcuno quei fondi se li metteva in tasca, minacciando con sistemi da usurai. Roma non se lo merita, i romani non se lo meritano.Un’ultima, inevitabile, domanda: hai le idee chiare su chi votare come sindaco di Roma? Ho le idee chiare su chi non votare.

dove hai condotto un’edi-zione. Occasioni come que-ste possono ancora essere utili per manifestare un pensiero o fare il punto del-la situazione?Ovunque venga festeggiato, il Primo maggio è il benvenuto. È una festa popolare, di dignità, libertà e difesa dei diritti. Ogni città ha le sue emergenze, Taran-to ne ha di drammatiche per tutto ciò che succe-de intorno all’Ilva, ma questo non toglie impor-tanza ad altre realtà. Non hai mai voltato le spalle a nessuna forma di sostegno sociale, come con Libera.Collaboro con loro da quando è nata, vent’anni fa! Lo scorso novembre, ho fatto anche un disco per finanziare un centro polivalente nella Locri-de, un bene confiscato alla mafia dove oggi ven-gono fatte varie attività, anche musicali. Il fatto di convertire terreni sottratti alle cosche, resti-tuendoli alla comunità per realizzare attività che allontanano i giovani dalle scorciatoie che le ma-fie offrono, è un lavoro di ricostruzione morale.Avrai ospiti come Skunk Anansie, Capossela,

Roma ha ancora un cielo bellissimo, il problema è quello che c’è sotto: uomini supportati da partiti e lobby che ne hanno infangato il nome. Alle elezioni? Ho le idee chiare su chi non votare

Il cantautore Luca Barbarossa

© V

aler

ia To

mas

ulo

Page 22: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

22 30 aprile 2016

i fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costitu-zione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti, do-centi, studiosi e studiose di diritto co-

stituzionale, ritengono doveroso esprimere al-cune valutazioni critiche. Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo. Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivi-sibili intenti di miglioramento della funzionali-

D

Pubblichiamo l’integrale del documento che analizza il testo della legge di riforma del Senato, ne sviscera le contraddizioni, ne svela gli intenti demagogici e chiede che a ottobre

si voti su più quesiti. Per evitare che tutto si riduca a un plebiscito pro o contro il premier

LEGGE RENZI-BOSCHI ECCOLE CRITICHE DI 56 COSTITUZIONALISTI

tà delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione par-lamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una po-tenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito del-la Costituzione. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma - ascritto ad una iniziativa del Governo - si presenti ora come risultato rag-

Pubblichiamo di seguito l’appello di 56 costituzionalisti per il No alla riforma Boschi-Renzi della Carta costituzionale. Come vedrete, tutto si può dire di questo documento tranne che non entri nel merito. I firmatari esprimono, anzitutto, preoccupazione per il modo con cui la riforma è stata approvata «da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche». Osservano che il su-peramento del bicameralismo «è stato perseguito in modo incoerente e sbagliato». Denunciano il ri-schio di un caos legislativo visto che la riforma prevede una pluralità di procedimenti differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato, «con rischi di incertezze e conflitti». Avvertono che «l’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indeboli-to attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia». Considerano la riduzione dei “costi della politica” vantata da Renzi «un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme del-la politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri». Chiedono, infine, come ultima chance per evitare un conflitto tutto politico - pro o contro Renzi - che il referendum si articoli in più quesiti. Questo scrivono, questo chiedono, 56 studiosi con esperienze e culture diverse. Qualcuno risponderà loro, restando nel merito? È quel che speriamo. Buona lettura.

Page 23: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

2330 aprile 2016

giunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione refe-rendaria sia presentata agli elettori come deci-sione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legit-timamente voluti dalla maggioranza del mo-mento, ma esprime le basi comuni della con-vivenza civile e politica. È indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica con-tingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è di-mostrata più fonte di conflitti che di reale mi-glioramento delle istituzioni.Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur larga-mente condiviso e condivisibile, di un supera-mento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare

la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribu-zione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia sta-to perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regiona-li, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né fun-zioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articola-te in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti - con moda-lità rinviate peraltro in parte alla legge ordina-ria - anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista nu-merico le componenti del Parlamento in sedu-ta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repub-blica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso

© Giuseppe Giglia/Ansa

Page 24: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

24 30 aprile 2016

il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse im-prontato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configura-zione di una pluralità di procedimenti legislati-vi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicame-rali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenzia-te a seconda che tali emendamenti possano es-sere respinti dalla Camera a maggioranza sem-plice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attra-verso un riparto di competenze che alle Regio-ni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia in-tatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso me-desimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia - che non posso-no mai essere separate con un taglio netto - ma piuttosto nella mancanza di una coerente le-gislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” del-

lo Stato riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni ge-nerali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra cen-tro e periferia. Invece di limitarsi a correg-gere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto ten-de sostanzialmente, a soli quindici anni di di-stanza, a rovesciarne l’impostazione, assumen-do obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie. Il progetto è mosso anche dal dichiarato inten-to (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istitu-zioni. Ma il buon funzionamento delle istitu-zioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto in-tervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamen-to, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un se-sto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e co-struire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e raziona-lizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere

Invece di una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, si è configurato un Senato indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un regionalismo cooperativo

© A

nsa

Page 25: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

2530 aprile 2016

i modi in cui garantire sedi di necessario con-fronto fra istituzioni politiche e rappresentan-ze sociali dopo la soppressione del Cnel: questi non sono modi adeguati per garantire la ric-chezza e la vitalità del tessuto democratico del Paese, e sembrano invece un modo per striz-zare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di par-tecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meri-tano di essere guardate con favore: tali la restri-zione del potere del Governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Gover-no che ne caratterizzano l’indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi susci-ta perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a vo-tare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata pe-raltro ad un indeterminato futuro) che preve-da referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.

Tuttavia questi aspet-ti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto.Inoltre, se il referen-dum fosse indetto - come oggi si preve-

de - su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, fa-cendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diver-samente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la riforma in più progetti, approvati dal Parlamento separatamente). Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità di interventi riformatori che in-vestano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma.

I firmatariFrancesco Amirante, magistrato; Vittorio Angiolini, Università di Milano Statale; Luca Antonini, Università di Padova; Antonio Baldassarre, Università Luiss di Roma; Sergio Bartole, Università di Trieste; Ernesto Bettinelli, Università di Pavia; Franco Bile, magistrato; Paolo Caretti, Università di Firenze; Lorenza Carlassare, Università di Padova; Francesco Paolo Casavola, Università di Napoli Federico II; Enzo Cheli, Università di Firenze; Riccardo Chieppa, magistrato; Cecilia Corsi, Università di Firenze; Antonio D’Andrea, Università di Brescia; Ugo De Siervo, Università di Firenze; Mario Dogliani, Università di Torino; Gian-maria Flick, Università Luiss di Roma; Franco Gallo, Università Luiss di Roma; Silvio Gam-bino, Università della Calabria; Mario Gorlani, Università di Brescia; Stefano Grassi, Università di Firenze; Enrico Grosso, Università di Tori-no; Riccardo Guastini, Università di Genova; Giovanni Guiglia, Università di Verona; Fulco Lanchester, Università di Roma La Sapienza; Sergio Lariccia, Università di Roma La Sapien-za; Donatella Loprieno, Università della Cala-bria; Joerg Luther, Università Piemonte orien-tale; Paolo Maddalena, magistrato; Maurizio Malo, Università di Padova; Andrea Manzella, Università Luiss di Roma; Anna Marzanati, Università di Milano Bicocca; Luigi Mazzella, avvocato dello Stato; Alessandro Mazzitelli, Università della Calabria; Stefano Merlini, Università di Firenze; Costantino Murgia, Università di Cagliari; Guido Neppi Modona, Università di Torino; Walter Nocito, Università della Calabria; Valerio Onida, Università di Mi-lano Statale; Saulle Panizza, Università di Pisa; Maurizio Pedrazza Gorlero, Università di Ve-rona; Barbara Pezzini, Università di Bergamo; Alfonso Quaranta, magistrato; Saverio Regasto, Università di Brescia; Giancarlo Rolla, Univer-sità di Genova; Roberto Romboli, Università di Pisa; Claudio Rossano, Università di Roma La Sapienza; Fernando Santosuosso, magistrato; Giovanni Tarli Barbieri, Università di Firenze; Roberto Toniatti, Università di Trento; Romano Vaccarella, Università di Roma La Sapienza; Filippo Vari, Università Europea di Roma; Luigi Ventura, Università di Catanzaro; Maria Paola Viviani Schlein, Università dell’Insubria; Ro-berto Zaccaria, Università di Firenze; Gustavo Zagrebelsky, Università di Torino.

Indire il referendum su un quesito unico, non

omogeneo, vuol dire voler far prevalere le ragioni

“politiche”, che però sono estranee al merito

della riforma costituzionale

In apertura, l’originale della Costituzione italiana con le firme di De Nicola, De Gasperi e Terracini. A sinistra, 22 dicembre 1947, il presidente De Nicola, firma la Costituzione della Repubblica Italiana

Page 26: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

26 30 aprile 2016

elle pause agli imputati capita di fare ca-pannello fra loro e di prendersela coi po-chi giornalisti presenti nell’aula bunker di Rebibbia: «Ancora non avete capito che Mafia Capitale è tutta una montatu-

ra?». Matteo Calvio lo “spezzapollici” che preten-de di essere chiamato il “Bojo”, è l’unico che tro-va il tempo di sorridere, tiene alto il morale dei compagni di cella, Fabrizio Franco Testa e l’ex consigliere regionale Luca Gramazio. Massimo Carminati e Riccardo Brugia compaiono in video collegati dai penitenziari dove sono detenuti: as-sistono alle udienze seduti, ma si mettono a cam-minare nervosamente quando in aula si parla di loro. Salvatore Buzzi, anche lui in collegamento, chiama di continuo il suo legale, seduto in aula accanto alla compagna Alessandra Garrone, la quale annota diligente tutti i passaggi del proces-so. Appena può Buzzi prende la parola per ribal-tare la ricostruzione del Ros. Il 13 aprile scorso ha parlato circa due ore, offrendo la sua ennesima versione dei fatti: «È stato colpito il Pd di Bersani e non quello di Renzi», ha detto stavolta.Tutti insieme, un ex sindaco come Gianni Ale-manno, criminali di quartiere, professionisti e dirigenti un tempo stimati come Luca Odevai-ne («Gli davo 5mila euro al mese perché era uno che dava del tu al prefetto», dice di lui Buzzi), politici in rampa di lancio come Luca Gramazio, burocrati, pescatori e anche uomini delle forze dell’ordine, come i poliziotti che informavano Caminati o il carabiniere del Quirinale, di cui Buzzi dice: «Gli abbiamo dato 19mila euro, ma ci ha truffato».

A guardarlo dall’alto, quel quadro sfilacciato che sembrava non tenersi insieme, dopo il clamore dei primi arresti nel dicembre 2014, di giorno in giorno prende sempre più corpo: udienza dopo udienza, quattro a settimana dal 5 novembre, l’accusa tesse la sua tela, nonostante l’oblio me-diatico calato sul processo, nonostante la politi-ca si tenga alla larga dall’aula bunker di Rebib-bia, tentando così di sminuire, di banalizzare il processo, nonostante la Rai abbia deciso di non mandare più telecamere proprio nei giorni in cui chiamava in studio il figlio di Riina. La procura pensa di chiudere il cerchio, di dimostrare che di mafia, e non solo di corruzione, si sia trattato, con le deposizioni del pentito Roberto Grilli e di Sebastiano Cassia, previste in prossimo giugno. E gli avvocati della difesa, protagonisti di una durissima battaglia all’inizio del processo contro la richiesta di sospendere per tutti gli imputati i termini della custodia cautelare, ora sembrano in attesa.«A Roma non ci sono morti ammazzati perché qui ci sono soldi per tutti e dunque non è neces-sario uccidere», ha spiegato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone nel corso di una conferenza alla Luiss. Ed è un punto importante, perché in effetti nel “Mondo di mezzo” di morti ammazzati così come delle armi si parla al tele-fono, ma non c’è traccia, nessun riscontro. C’è il resto, però. La paura, le estorsioni, l’intimidazio-ne, i ricatti, la corruzione, il rispetto criminale e l’omertà. Un sistema di potere tentacolare, che partiva da un benzinaio di Roma nord per tenere insieme politica, appalti del Comune, cooperati-

N

Nel processo negano di conoscere Carminati, trovano scuse, banalizzano i fatti. Ma in aula la paura si taglia a fette. Come sempre accade quando c’è di mezzo la mafia. Il punto sull’inchiesta romana

di Marco Carta

QUELLI DI MAFIA CAPITALECORRUTTORI E MAFIOSI

Page 27: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

2730 aprile 2016

© A

less

andr

o Di M

eo/A

nsa

Page 28: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

28 30 aprile 2016

ve, con ex militanti dell’estrema destra, i reduci della banda della Magliana, con quelli delle Bri-gate Rosse. Mondi che sembrerebbero distanti anni luce ma che, testimonianza dopo testimo-nianza, appaiono tenuti insieme da una pluralità di interessi, spesso individuali.Un dato accomuna praticamente tutti i testimo-ni più importanti: dicono di aver scoperto real-mente chi fosse Massimo Carminati, solo dopo,

su internet. «Ho letto in Rete che era l’ottavo re di Roma - ha det-to ad esempio Paolo Passeri - Io pensavo che fosse Paolo Roberto Falcao», l’ottavo re. Chi non può dire di non averlo conosciuto, Carminati, cerca di prenderne le distanze. E la presidente del tribunale, Rosanna Ianniello, a più riprese ironizza: «Vedo molti

rapporti british» qui dentro.In aula nessuno ammette di sentirsi intimorito, eppure dall’inchiesta risulta solo una persona ha avuto il coraggio di tentare una ribellione contro i soprusi e le minacce degli uomini vicini a Mas-simo Carminati. È Augusto de Megni, vittima nel 1990 di un sequestro dell’Anonima sarda durato 110 giorni. De Megni, quando il suo amico Rai-mondo Pirro, fratello dell’ex pilota di Formula 1

I testimoni più importanti dicono di aver scoperto chi

fosse Massimo Carminati solo dopo. «Ho letto in Reteche era l’ottavo re di Roma

- ha detto Paolo Passeri - Io pensavo che fosse Paolo Roberto Falcao l’ottavo re»

Le prossime tappe

Dalle politiche sociali fino alla municipa-lizzata dei rifiuti Ama. Aspettando la de-posizione dei “pentiti” Sebastiano Cassia e Roberto Grilli, chiamati a ricostruire il microcosmo criminale attorno alla figura del “nero” Carminati e attesi in aula rispettivamente il 7 e l’8 giugno, a essere protagonista del processo Mafia Capi-tale, nei mesi di maggio e giugno, sarà il Comune di Roma. Sono tanti, infatti, i testimoni che sfileranno nell’aula Bunker di Rebibbia di fronte ai giudici della X Sezione penale nel bel mezzo della cam-pagna elettorale per le amministrative. Obiettivo: ricostruire le vicende al centro dell’indagine della procura di Roma. Oltre ai carabinieri del Ros, che hanno condotto l’inchiesta, alcuni di questi te-stimoni sono protagonisti del passato re-cente della città. Come il prefetto Marili-sa Magno (che sarà sentita il 31 maggio), a capo della commissione d’accesso sul Comune di Roma avviata dall’ex prefetto Giuseppe Pecoraro, l’ex dg di Ama ai tempi di Alemanno, Giuseppina Anelli (1 giugno), il suo successore Alessandro Filippi (31 maggio) e l’ex assessora al Sociale di Roma Rita Cutini (6 giugno), in-visa al re delle coop Salvatore Buzzi e sul punto di essere sostituita dall’ex sindaco Ignazio Marino con Daniele Ozzimo, poi convolto nell’inchiesta giudiziaria esplosa nel dicembre del 2014.

A destra, Massimo Carminati in collegamento durante

un’udienza del processo. In apertura, i pubblici ministeri

Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli

Page 29: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

2930 aprile 2016

Emanuele, viene aggredito in un bar dei Parioli per un debito non saldato, prova a reagire. Ma è l’unico. Per tutti gli altri la paura che emerge da-gli atti non si è attenuata nemmeno con la chiu-sura delle indagini e dopo gli arresti del 2 dicem-bre 2014.Luigi Seccaroni, proprietario di un autosalone, è stato capace di ritrattare il suo verbale di fronte ai carabinieri e ha provato a sminuire il tenore delle intercettazioni che lo vedono protagonista: «Era un periodo molto difficile della mia vita - ha detto - le cose non andavano bene con mia moglie e mi sentivo stressato». Però, parlando al telefono con l’amico Alessandro Zanna, Seccaro-ni aveva raccontato con precisione le minacce subite da Brugia, che insieme a Massimo Carmi-nati lo pressava perché vendesse un terreno di sua proprietà: «Ti mandiamo a fuoco tutto». Poi in aula, i due sono diventati semplici “clienti”, se non addirittura “amici”. E ora Seccaroni rischia l’incriminazione per falsa testimonianza. Lo stesso ha tentato di fare Filippo Maria Macchi, un giovane imprenditore ambizioso, che sogna-va di concludere l’affare della vita. Acquistare a prezzo stracciato, 28 mila dollari al chilo, un ca-rico d’oro proveniente da una miniera in Africa. Per realizzare il suo sogno, Macchi aveva chiesto in prestito del denaro anche a Brugia e Carmina-

ti, circa 30mila euro da restituire, secondo il pm Luca Tescaroli, «con interessi annuali superiori al 400%». I tassi sono da usura, ma Macchi non si sente una vittima, «dato che non ho restituito il debito, né pagato gli interessi». Prima Macchi aveva tentato due volte di non presentarsi, ad-ducendo un impegno lavorativo una volta e la seconda inventandosi di sana pianta il funerale di uno zio, che non è mai morto. Come mai? I carabinieri lo hanno intercettato: «Fare da testi-mone contro un usuraio è sempre complicato – diceva -. Sono cose che uno se le porta appresso per tutta la vita. Purtroppo la legge italiana non sbatte in carcere l’usuraio per 25 anni e queste sono persone che si sono rivalse e si rivalgono contro chi gli testi-monia contro». Il contrario della sua deposizioneParlare è un rischio che non conviene affrontare. All’impren-ditore Riccardo Manattini, vitti-ma di una tentata estorsione e aggredito in pieno centro da due sconosciuti per la restituzione di un debito, a poche settimane dal processo, il 25 settembre 2015, è capitato di essere avvicina-to da due uomini dal forte accento romanesco. Nessuna minaccia ma solo un consiglio: «Non si costituisca parte civile, viva la sua vita serena». All’imprenditore Flavio Ciambella, che aveva de-ciso di collaborare con la giustizia, qualcuno ha spedito una lettera con un proiettile e poche pa-role inequivocabili: «Fatti i cazzi tuoi». Secondo l’avvocato Alfredo Galasso, decano di parte civile e presidente onorario dell’associa-zione Antonino Caponnetto, questi segnali non devono essere sottovalutati: «A Roma le vittime continuano ad avere timore e non parlano, come un tempo accadeva in Sicilia». Galasso, che ha seguito in prima linea anche il primo maxi pro-cesso di Palermo, come legale della famiglia Dal-la Chiesa, ricorda ancora quei giorni e non può fare a meno di confrontarli con quello che sta accadendo al processo contro Mafia Capitale e di connettere le cose: «Il mio primo libro si intitola-va La mafia non esiste, proprio perché anche in Sicilia, come oggi a Roma, si sosteneva che non ci fosse la mafia. Si capisce che a nessuno faccia piacere ammettere la presenza di un’associazio-ne mafiosa che controlla il territorio, ma negarlo non è senza conseguenze, significa coltivare la serpe nel proprio seno».

L’imprenditore Riccardo Manattini, vittimadi una tentata estorsione,è stato avvicinato da due uomini. «Non si costituisca parte civile, viva la sua vita serena» gli hanno consigliato

© M

assim

o Per

coss

i/Ans

a

Page 30: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

30 30 aprile 2016

© A

less

andr

o Par

is/Im

agoe

cono

mica

Page 31: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

3130 aprile 2016

ultimo inciampo è accaduto in zona Giambellino-Lorenteggio, periferia milanese da sempre serbatoio di voti del Pd. Beppe Sala è arrivato indossando la

sua maschera da campagna elettorale, sorriso responsabile gigioneggiando di-sponibilità, alla Casetta Verde, sede del comitato di quartiere, pronto a tessere la solita rete di promesse per le periferie. Mentre si intratteneva con una storica abitante del luogo è stato contestato da un gruppo di residenti. Meglio: secon-do lo staff di Sala si sarebbe trattato di “antagonisti organizzati” mentre loro, i contestatori, dichiarano di essere «sem-plicemente cittadini della zona che non dimenticano gli sgomberi e le politiche sulle periferie, oltre al bilancio di Expo che non arriverà prima delle elezioni». Comunque le accuse devono aver colto nel segno se è vero che Sala sarebbe sta-to “cinturato” dai suoi collaboratori per evitare lo scontro fisico ed è stato neces-sario l’intervento della polizia. «Ci pia-ce pensarti così, di corsa che scappi da chi non si fa prendere in giro e oggi ti ha sputato la verità in faccia»: hanno scritto sui social alcuni esponenti del Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio.Mister Expo che perde le staffe, comun-que, è il sintomo di una campagna elet-torale che vede contrapposti per la corsa

alla poltrona da sindaco due manager - Beppe Sala per il centrosinistra e Stefano Parisi per il centrodestra - che sembrano poco avvezzi a una campagna elettorale che non si vincerà certo con le strette di mano o con l’altisonanza dei curricula. I milanesi puntano sulla concretezza del-le risposte chiare alle domande precise, nessun fumo, e se Beppe Sala ha pensato che bastasse la retorica di “Expo = grande successo” e la benedizione di Renzi per navigare tranquillamente verso la poltro-na di Palazzo Marino, oggi si deve ricre-dere e cercare un cambio di passo. «Serve un Beppe più umano…», si ripete tra i suoi, «meno distante», e così la strategia del “manager vincente” oggi sembra ave-re esaurito la forza propulsiva. Dall’altra parte, Stefano Parisi intanto guadagna punti e sorriso: secondo un sondaggio dell’Huffington Post avrebbe recuperato il gap iniziale e risultereb-be addirittura vittorioso al ballottaggio contro Sala. “I due candidati clone”, li chiamano i detrattori: anche Parisi, in-fatti, come Sala, viene dal mondo degli affari e della burocrazia senza “espe-rienza di partito”, eppure, se è vero che Sala è stato city manager di Milano con Letizia Moratti sindaco (così come Pari-si lo fu con Gabriele Albertini prima di lui), il candidato del centrodestra ha una lunga frequentazione con la politica: a

L’

Il gioco è scoprire le differenze tra i due candidati sindaco di Milano.Perché Beppe Sala, centrosinistra, e Stefano Parisi, centrodestra, non hanno

solo i manifesti, ma anche una storia simile. E idee generiche sulla città

di Giulio Cavalli

MANAGER CONTRO MANAGER

28 anni era già consigliere del ministro del Lavoro socialista Gianni De Michelis (erano gli anni della “scala mobile”) che ha poi seguito agli Esteri. Siamo negli anni 80, nel pieno fulgore del craxismo in italia. Negli anni 90 invece, mentre tutto intorno crolla, Parisi avanza fino a Palazzo Chigi: capo del dipartimento Economia del premier Amato e poi del presidente del Consiglio “tecnico” Carlo Azeglio Ciampi: arriva Silvio Berlusconi e lui, il camaleonte Parisi, è sempre lì; poi arriva Prodi (e il governo dell’Ulivo) e Parisi rimane inamovibile. Solo nel 1997 approdò a Milano a seguito dell’al-lora sindaco Albertini, per diventare poi direttore generale della Confindustria con il presidente Antonio D’Amato. Una vita più di scontri che di mediazioni: a Milano aveva rotto con la Cgil sul patto del lavoro e fu uno dei collaboratori del giuslavorista Marco Biagi completando-ne il lavoro dopo l’omicidio: mentre Cof-ferati portava il sindacato in piazza, Pari-si dialogava con Berlusconi e Maroni per inseguire tutt’altro modello economico. Ed è lì probabilmente che è scoccata la scintilla che ha convinto Berlusconi (ma anche Salvini) a puntare su di lui per la corsa a sindaco. Candidato di un centro-destra che, qui a Milano, è ben distante dal complicato scenario nazionale se è vero che alla presentazione della sua

Page 32: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

32 30 aprile 2016

candidatura il parterre era composto da Salvini, l’ex ministro Lupi passando per La Russa e Gelmini: roba da fantascien-za, in Parlamento.Dal canto suo Beppe Sala conta su una maggioranza che è sostanzialmente quasi tutta Pd. Nonostante la narrazione spinga nell’immaginario della continui-tà con il sindaco Giuliano Pisapia, sono molti i pezzi a sinistra che hanno deciso di farsi da parte. Rifondazione Comuni-sta e i civatiani di Possibile (che furono con Pisapia) hanno deciso di puntare sull’esperienza di Basilio Rizzo «per usci-re dalla logica dei manager e tornare alla politica e alla città» e anche alcuni del Movimento Arancione (che portarono allo straordinario risultato di Giuliano Pisapia nel 2011) si sono detti indispo-nibili per l’opzione Sala. Politicamente, quindi, la continuità con l’attuale giunta arancione è già fallita ed è sintomatica la situazione di Sinistra italiana: il partito nato da Sel e alcuni fuoriusciti dal Pd è spaccato con gli ex vendoliani (non tut-ti, per la verità) controvoglia nelle lista di Sala (e quindi alleati del Pd) mentre gli “ex Pd” rifiutano «qualsiasi contami-nazione con il renzismo» e ripiegano su altri candidati, Basilio Rizzo in primis. Insomma: a Milano il Partito della na-zione si ripete nelle rotture a sinistra ma senza riuscire a sfondare al centro e così la sfida che sembrava senza storia oggi si gioca sul filo del rasoio. Senza contare che anche le primarie del centrosinistra sembrano avere lasciato strascichi: «gli altri candidati sembrano concentra-ti ora a capitalizzare voti per se stessi piuttosto che fare lavoro di squadra», dice un ex dirigente dei democratici, «e anche Renzi sembra essersi lentamente sfilato dalla corsa»E i programmi? Già, i programmi. Le pagine locali si riempiono soprattutto delle accuse tra candidati e, al di là del-le solite dichiarazioni di facciata, i due contendenti sembrano voler punta-re sulla propria storia personale: l’uno (Sala) sull’esperienza da amministratore di Expo e dirigente in Pirelli, l’altro nel mondo di Confindustria e come ammi-

nistratore di Fastweb. Quando qualcuno chiede esattamente che idea abbiano di città entrambi strabuzzano gli occhi (“ma non vi basta, questo?” sembrano sottintendere) e si perdono nei soliti miti lombardi dell’operosità, della pro-duttività e... bla bla bla. Anche sui temi che dovrebbero nettamente dividere non si assiste a un granché: Sala non esita a immaginare una Milano «sem-pre più solidale» (ma è il tributo dovuto all’assessore Pierfrancesco Majorino, già sconfitto alle primarie e capolista per il Pd) mentre Parisi promette “ordine” ma senza disdegnare «la possibile costruzio-ne di una moschea» (ben sapendo quan-to a Milano città il salvinismo spinto possa allontanare il voto moderato). Per quanto riguarda i programmi elettorali Sala dal suo sito ci informa che 32 gruppi tematici, hanno lavorato «all’elabora-zione di progetti e prio-rità capaci di rendere la nostra città sempre più innovativa ed inclusiva» anche se per ora del pro-gramma sul suo sito non c’è traccia, mentre Parisi punta su poche parole chiave: semplificazione della burocrazia, peri-ferie e riqualificazione, sicurezza, rispetto delle regole, il sogno di riportare a votare tutti gli aventi diritto al voto. «Lavoreremo su flussi migratori, mobilità, sicurezza. Nel frattempo, fare-mo gli amministratori del condominio, per dirla con le parole di Gabriele Alber-tini. Perché spesso quelli che si conside-rano problemi minori sono poi problemi veri (decoro urbano, sicurezza, tasse)».E sulla sicurezza (elemento centrale ormai delle campagne elettorali lom-barde) Sala ha dichiarato: «È una legit-tima ambizione. Io non apparterrò mai a quella categoria di politici per cui chi parla di sicurezza è urlare più forte. La sicurezza vera è il diritto dei cittadini. Noi vogliamo porre la massima atten-zione al tema dell’abitare. Il tema delle periferie è delicato e chi fa il sindaco deve immaginare a quello che farà non

solo in cinque anni, ma alle fondamenta dei prossimi venti. Dob-biamo attingere a nuo-ve sperimentazioni di collaborazione con il privato. Credo di essere l’unico in grado di met-tere insieme l’opera del governo, delle istituzio-

ni, di Cassa Depositi e Prestiti», svoltan-do poi sulla generosità: «Solo essendo forte Milano può aiutare chi è meno gio-vane, ed essere ascensore sociale equa, sicura e generosa. Gli anziani devono trovare nuove risposte. Bisogna cogliere tutte le opportunità affinché possano dare il loro contributo alla crescita della città. Ricordiamo che a Milano ci sono 300mila persone sopra i 65 anni e due terzi vivono da soli. La peggiore delle in-giustizie è voltare la testa rispetto a colo-ro verso i quali dobbiamo riconoscenza e che hanno fatto un percorso con noi. La riconoscenza è una mia ragione di essere». Rimane poi il sogno della ria-pertura dei Navigli, sogno che Sala colti-va da tempo e cha aveva abbozzato an-che da amministratore di Expo. «Milano nasce sull’acqua, noi ci impegneremo a

Sinistra italiana si spacca: alcuni vendoliani sono conil candidato presentato dal Pd. Gli altri, puntano su Basilio Rizzo. Così come faranno Rifondazione e Possibile di Civati

Page 33: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

3330 aprile 2016

studiare a fondo la possibilità di riaprire in Navigli. Ci saranno i politici del non si può, ma anche su Expo dicevano così», ha promesso, mentre ha destato una certa preoccupazione la sua intenzione di «mettere mano al Pgt (piano di gover-no del territorio) chiedendo l’attribu-zione di poteri straordinari al sindaco». Ma come? Ma non si parlava di politica della partecipazione? Sono in molti a chiederselo e il segretario cittadino del Pd si è precipi-tato a precisare che si tratta semplicemente di portare a compimento le azioni della Giunta Pisapia.Una cosa è certa: sia Parisi che Sala sanno bene di non poter ambire alla comoda rappresentazione di due candidati “super partes” per almeno due motivi: innanzitutto perché i milanesi non sembrano così facilmente disponibili a dare credito fa-cile e, per assurdo, perché così facendo si somiglierebbero troppo. «Ma cos’è? Un gioco? - scrive qualcuno sulla pagi-na Facebook dei candidati - Dobbiamo capire chi è il candidato per il centrode-stra e chi per il centrosinistra?».

Parisi ha coalizzato attorno a sé tutta la destra al completo.Alla presentazionedella sua candidatura c’erano Salvini, Lupi,La Russa e Gelmini. Roba da fantascienzain Parlamento

l’attuale presidente del Consiglio comunale, Basilio Rizzo, e ha una lunga carriera politica alle spalle an-che se parlare di carriera forse è troppo per uno che da

sempre si è dedicato alla sua città, Milano. Senza prestigiosi incarichi nazionali e faraonici stipendi: quando a sinistra si è capito che “l’esperienza arancione” era ormai giunta al termine alla fine hanno deciso di convergere su di lui. La coalizione che lo sostiene (“Milano in comune”) tiene insieme Rifondazione comunista, Altra Europa con Tsipras e Possibile di Pippo Civati ma con loro c’è anche un pezzo del mondo universitario, del mondo del lavoro e del sinda-cato, del movimento Lgbt e dell’associazionismo. «Ho deci-so di candidarmi perché Sala e Parisi sono due figure pra-ticamente sovrapponibili e credo che la democrazia abbia bisogno di confronto piuttosto che di uguaglianza di pro-grammi. Devono dominare gli interessi dei cittadini o quel-li consociativi?», mi dice. Del resto, Rizzo, ha puntato tutto proprio sull’essere “l’unica alternativa ai due manager” ma c’è già chi lo accusa di voler fare vincere il centrodestra: «Ma figuriamoci. Noi abbiamo deciso di presidiare dei valori che non potevano essere abbandonati. Sento parlare ad esem-pio di riforma della macchina amministrativa ma né Sala né Parisi sanno che intervenire tagliando ed esternalizzando significa meno servizi per i cittadini». Anzi, dice, «sarebbe il caso di modificare il rapporto tra gli stipendi dei dirigenti di Palazzo Marino e i dipendenti: che al massimo sia di 10 a 1».Basilio Rizzo, del resto, non ha peli sulla lingua e non ha lesinato critiche anche a Giuliano Pisapia da cui confessa di essersi sentito «deluso tutte le volte che non abbiamo ri-spettato gli impegni presi nel 2011». Qualcuno lo accusa di essere ormai politico di vecchio cor-so («come se Pisapia non avesse il mio stesso percorso», sorride) ma intanto è stato il primo a denunciare ad alta voce la vergogna di un bilancio (quello di Expo) che è stato “rimandato” a dopo le elezioni: «Non riesco a capire come possa essere in attivo un bilancio che ogni anno è stato ne-gativo. Bah. Sono curioso di vedere». Mi saluta e torna in strada. La sua campagna elettorale “è sui marciapiedi”, di-cono i suoi.

Giulio Cavalli

Alla fine la sinistra ha deciso di convergere su di lui. Pisapia? «Mi ha deluso ogni volta che non ha rispettato gli impegni presi»

L’ANTI MANAGER BASILIO RIZZO IN CAMPAGNA SUI MARCIAPIEDI

È©

Ale

ssan

dro P

aris/

Imag

oeco

nom

ica

Page 34: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

34 30 aprile 2016

uando la regina Elisabetta, nel novem-bre 2008, chiese ad alcuni professo-ri della London School of Economics come mai non avevano previsto la cri-si appena scoppiata, l’economia aveva

appena ricevuto la migliore valutazione acca-demica tra tutte le discipline del Regno Unito. Quanto al dibattito che ne è seguito, Robert Lu-cas, premio Nobel e fondatore della moderna macroeconomia, che solo qualche anno prima aveva affermato che «il problema della preven-zione della depressione, per tutti gli scopi prati-ci era ormai stato risolto», sviluppò un contorto ragionamento secondo il quale la crisi non era stata prevista perché secondo la teoria econo-mica certi eventi non possono essere previsti. Come può sussistere un contrasto così stridente tra l’effettiva capacità di una disciplina di inter-pretare la realtà e il prestigio di quella stessa di-sciplina nell’accademia e nell’opinione pubbli-ca? Come mai, a distanza di otto anni, si ricorre ancora a quella teoria per superare questa per-durante fase di crisi?È attorno a queste domande che scorre uno dei percorsi di ricerca del volume di Francesco Sylos Labini, Rischio e previsione. Cosa può dir-ci la scienza sulla crisi, appena pubblicato per i tipi della Laterza. Le discipline economiche, ci ricorda Sylos Labini, si sono sempre caratteriz-zate per la presenza di diverse scuole di pensie-ro, ciascuna delle quali si associava a differenti concezioni della storia, della società e della po-litica. Purtroppo, negli ultimi trent’anni, tra di esse ha preso il sopravvento la teoria economi-ca neoclassica. Difficile dare pienamente conto

del perché una scuola di pensiero, nata nella seconda metà dell’800 e accompagnata, fin dai suoi esordi, da critiche assai fondate, sia oggi il principale se non unico riferimen-to per accademici, politici e tecnici. Alcune di queste ragioni possono essere rintracciate nel fatto che, sul piano metodologico, essa è riu-scita a presentarsi come interprete dei successi ottenuti in quel secolo dalla fisica newtoniana, imitando-ne la struttura e il metodo. Da qui scaturiscono i caratteri fondamen-tali di questa teoria: la riduzione del soggetto ad atomo isolato sul mercato (individualismo metodologico), l’idea della tendenza all’equilibrio tra forze (interessi) contrapposti, l’eliminazione dal campo della te-oria pura di qualsiasi problematica non trattabi-le matematicamente. In sostanza, è nella scelta metodologica la ragione ultima della devastan-te emarginazione dall’economia neoclassica di tutti quei temi - culturali, storici, giuridici, con-nessi alla giustizia sociale - che nel moto dei pia-neti non trovano alcun corrispettivo.Questo nucleo teorico ha affermato la propria egemonia culturale avvalendosi anche di ope-razioni propagandistiche ai limiti della truffa. La vicenda del cosiddetto “premio Nobel” in economia è particolarmente istruttiva. Alfred Nobel, inventore della dinamite, non voleva che il suo nome restasse associato a uno strumento di distruzione, dunque con i suoi ingenti gua-dagni istituì un fondo per premiare chi si fosse

I limiti del pensiero economico: considerare il soggetto come un atomo isolato nel mercato ed emarginare i temi legati alla giustizia sociale, alla cultura e alla storia

Q

Incapaci di prevedere la crisi del 2008, gli economisti neoclassici,che da 30 anni dettano legge, sbagliano metodo.

Lo sostiene il fisico teorico Francesco Sylos Labini

di Andrea Ventura

LA TEORIA ECONOMICAHA FALLITO. ECCO PERCHÉ

Page 35: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

3530 aprile 2016

Eppure, lungi dal seguire quelle prescrizioni, quale debba essere la strada per il progresso e il benessere sembra evidente: in una società in continua evoluzione scientifica e tecnologica, dove la competitività dei sistemi produttivi è sempre più legata alla capacità delle imprese di innovare, la centralità dello sforzo pubblico per l’istruzione e la ricerca non dovrebbe neanche essere oggetto di discussione. Assistiamo inve-ce all’assurdo di un ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che esprimendo un modo di pensare assi diffuso tra le nostre classi dirigenti, affermò: «Perché dobbiamo pagare uno scien-ziato quando facciamo le scarpe più belle del mondo?». In sintonia con altri Paesi dell’Europa meridio-nale, l’Italia rischia così di compromettere per generazioni il proprio futuro. Non solo, ma l’as-segnazione dei fondi per la ricerca segue criteri che nulla hanno a che vedere con la qualità di quest’ultima: l’analisi impietosa di Sylos Labi-ni dello stato delle discipline economiche e del modo in cui l’economia dominante impedisce lo sviluppo di programmi di ricerca alternativi,

non è isolata. Troviamo qui un secondo pregio del volu-me: emergono con chiarez-za i limiti di una concezione della formazione che trascu-ra la ricerca di base per quel-la applicata e, per distribuire i fondi e valutare studenti, docenti e ricercatori, si affi-

da a improbabili indicatori di tipo quantitativo. L’autore - che è anche co-fondatore e redattore di Roars.it, brillante rivista dedita proprio a di-scutere dei temi connessi alla ricerca - ci illustra bene quale sorte avrebbero avuto oggi Wittgen-stein, Frege, Semmelweis; lo stesso Einstein, il quale fu escluso dall’accademia e trovò posto all’ufficio brevetti di Berna, alla luce dei criteri oggi vigenti per le pubblicazioni scientifiche, nel 1905 si sarebbe visto rifiutare l’articolo in cui espone la teoria della relatività ristretta.In sostanza, la credenza nel fatto che tutto ciò che ha un valore debba avere una misura quan-titativa, che troviamo in economia, investe an-che cultura e ricerca. Il metodo neoliberista si costituisce dunque come simbolo di un modo di pensare agli esseri umani e alla società che rischia di inaridire le fonti principali del nostro progresso sociale e civile.

reso utile all’umanità nei campi della fisica, della chi-mica, della medicina, della letteratura e per la pace. Nel 1969 la Banca di Svezia, per dare all’economia il prestigio e la visibilità connessi all’as-segnazione di un premio di così grande successo, istituì un “premio in Scienze economiche in memoria di Alfred No-bel” con fondi che non hanno nulla a che vedere con quest’ultimo. Recentemente, come ricorda Sylos Labini, Peter Nobel, avvocato e discenden-te di Alfred Nobel, ha dichiarato che «quello che è accaduto è un esempio senza precedenti di violazione di un marchio di successo». Sostenuta dunque da un potente apparato pro-pagandistico e da un’immensa disponibilità di risorse private e pubbliche, piuttosto che ren-dere un servizio utile all’umanità, l’economia neoclassica è riuscita in questi ultimi anni a trasformare una crisi nata nella finanza priva-ta in una crisi causata dall’eccessiva generosità delle retribuzioni e del welfare. Di qui i colpi alla scuola, all’università, e a quelle politiche di austerità che stanno devastando gran parte del continente europeo.

Con molte risorse e propaganda si è riusciti a far passare una crisi nata nella finanza privata come una crisi dovuta all’eccessiva generosità di welfare e retribuzioni

CHI È

Sylos Labini è fisico teorico, presso l’Istituto per i sistemi complessi del Cnr di Roma. Per Laterza ha scritto nel 2010 I ricercatori non crescono sugli alberi. Co-fondatore di Roars (Return on academic research), collabora con riviste e siti di divulgazione scientifica in Italia e all’estero. Ha collaborato anche alla stesura di Università 3.0 (Ecommons, 2015) e ha curato Paolo Sylos Labini economista e cittadino (Sapienza University Press, 2015).Rischio e previsione (Laterza) sarà pre-sentato a Venezia il 6 maggio (ore17.15, Ca’ Foscari).

© E

vere

tt Ke

nned

y Bro

wn/ E

pa A

nsa

Page 36: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

36 30 aprile 2016

Page 37: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

3730 aprile 2016 3730 aprile 2016

Page 38: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

38 30 aprile 2016

evo dire la verità, di movimen-ti nazionalisti e xenofobi avrei preferito non occuparmi. Me-glio pensare al resto del mondo politico e a come cambia. Ma

ahimé, i successi di questi partiti in tutta Europa mi hanno costretto a occuparmi anche di quel fe-nomeno». Collin Crouch, sociologo e scienziato politico britannico, autore di Post-Democracy e critico della deriva democratica nell’era del neo-liberismo, sorride mentre si impone di parlare in italiano. Ci tiene, anche se la cosa finisce col ren-dere la comunicazione più complicata. Crouch ha appena parlato a un convegno alla Camera dei deputati (dove è stato invitato da Giulio Marcon) e ci fermiamo a discutere con lui dei temi che ha affrontato e che sono i suoi da tempo: la crisi del-le forme della democrazia novecentesca, il decli-no della partecipazione in politica; un fenomeno che, a suo modo di vedere, consegna in questa fase storica un peso e una centralità enormi all’u-nica identità forte che rimane. Quella nazionale.Lei ha parlato di una perdita di identità socia-le che rende inservibili le strutture politiche novecentesche, mentre i movimenti che, per loro natura, vivono un tempo limitato, riesco-no meglio a intercettare le caratteristiche della nostra epoca e a rappresntarle più di quanto non facciano le strutture tradizionali. Quali sono i fattori che determinano la crisi dei par-titi nazionali tradizionali?Le ragioni di una profonda crisi delle strutture po-litiche tradizionali risiede - in Europa occidentale

- nel declino del peso della religione e nei cambia-menti nella struttura delle classi sociali nella so-cietà postmoderna. Le identità di classe formatesi durante l’economia industriale erano fortemente segnate dalla politica e vivevano del conflitto tra inclusione ed esclusione: chi era fuori lottava per essere incluso, chi era dentro si batteva per tenere fuori gli esclusi. Quel periodo speciale della Storia si è concluso: la società contemporanea non sen-te di avere radici profonde, le identità senza radici non durano. Benché esistano ancora burocrazie e strutture politiche importanti, i rapporti tra queste e gli individui spesso diventano più frammentati, temporanei. I social media sono solo l’espressio-ne estrema di questo fenomeno generale. I partiti e anche i sindacati pagano il prezzo forte per que-ste profonde trasformazioni. Il paradosso è che con l’imporsi di una cittadinanza universale, con ugua-li diritti per tutti, si perdono il significato e il ruolo politico delle strutture cresciute nel conflitto per ot-tenere quei diritti. Inoltre, la riorganizzazione post-industriale dell’economia contribuisce a frammen-tare le identità di ciascuno. Possiamo essere addetti a un call center, tifosi di una squadra, appassionati di un genere musicale e impegnati in politica allo stesso momento e con la stessa intensità. Alla do-manda «chi sono io?» possiamo dare risposte mol-teplici, ma poche richiamano il ruolo della politica.La globalizzazione dell’economia non ha con-tribuito a rafforzare l’autorevolezza percepita delle istituzioni democratiche…La globalizzazione contribuisce a determinare una crisi della democrazia ed è un ulteriore ele-

«D

«Le regole sono nazionali, l’economia no. Così la politica democraticaha sempre meno strumenti». Il difficile rapporto tra partiti e movimenti secondo

Collin Crouch, il sociologo britannico autore di Post-Democracy

di Martino Mazzonis

LE IDENTITÀ IN FRANTUMI MINACCIANO LA DEMOCRAZIA

Page 39: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

3930 aprile 2016

xxxxx Equiaerspe mostrum qui dolent ea cus, ad et as ex est velluptatem a consed ut volupta comnist hiliquiat volorum, quas xxxxxxxxHendeni sit ut pressimus derrum

© C

hrist

ophe

Pet

it Te

sson

/ Epa

Ans

a

Page 40: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

40 30 aprile 2016

mento che indebolisce la forma partito tradizio-nale. Il livello a cui si prendono le decisioni eco-nomiche è sempre più spesso sovranazionale: le regole sono nazionali, l’economia no. E di con-seguenza la politica elettiva ha sempre meno strumenti. L’Europa e l’Europarlamento sono un tentativo di creare uno spazio democratico e una rappresentanza sovranazionali, ma vengo-no a loro volta percepite come istituzioni distan-ti: più la politica si avvicina al potere e più viene sentita come lontana dal vissuto delle persone.Che efficacia e che ruolo possono dunque ave-re i movimenti sociali per rispondere alla crisi di senso della democrazia europea? È un va-lore che questi movimenti siano spesso trans-nazionali? Che dialogo o che lavoro comune è possibile con la sinistra tradizionale?A differenza dei partiti, nati e cresciuti nel siste-ma precedente e quindi organizzati attorno a un modello che non regge più, i movimenti sociali contemporanei sono una risposta alle trasfor-mazioni. Non si definiscono su identità sociali tradizionali ma vanno incontro a questioni spe-cifiche, anche se talvolta generali, e prendono

la forma flessibile delle organizzazioni contem-poranee: i movimenti sono creativi e innovativi, sanno adattarsi, mutare, comunicare in maniera efficace. Somigliano insomma di più al capitali-smo contemporaneo e alle sue forme. Ma queste caratteristiche sono al tempo stesso debolezze. Già, perché l’organizzazione delle imprese e dei governi postmoderni, benché strutturata in for-me flessibili e informali, garantisce comunque una concentrazione di potere forte e rigida. I partiti tradizionali e i nuovi movimenti hanno quindi bisogno gli uni degli altri. I movimenti contribuiscono a collegare le istituzioni politi-che alla realtà sociale, ma devono a loro volta comprendere che senza democrazia formale non potranno rimuovere certe rigidità, non in-trodurranno nuove regole, non cambieranno le cose che vorrebbero cambiare.A suo parere da dove nasce l’ondata naziona-lista che attraversa l’Europa e quanto è preoc-cupante e rischiosa per la democrazia?

Partiti e movimenti hanno bisogno gli uni degli altri. I movimenti contribuiscono a collegare le istituzioni

politiche alla realtà sociale, ma devono registrare che senza democrazia formale non si cambiano le cose

A fianco, una manifestazione di Pegida, il movimento nazionalsta tedesco, a Jena

(il tatuaggio 88 sta per Heil Hitler). Nella pagina precedente, un’immagine della Nuit Debout contro la riforma del

lavoro a Place de la Rèpublique a Parigi

C’è una grande unica eccezione alla fine delle identità novecentesche: quasi tutti ci sentiamo membri di una comunità nazionale di cui gli al-tri non fanno parte. E questo spiega il successo delle forze nazionaliste e xenofobe: mentre le altre identità scompaiono, queste restano forti. Se sommiamo l’effetto, la globalizzazione che rende insicuri, questa forma del conflitto inclu-sione/esclusione (dalla comunità nazionale), diventa centrale. L’identità nazionale può ri-manere sopita e innocua, ma sotto la pressio-ne della globalizzazione, dell’immigrazione di massa e del terrorismo islamico - tutti fenome-ni di questi ultimi anni - può risvegliarsi come realtà forte e profonda. E minaccia la democra-zia, perché sceglie come bersagli della rabbia immigranti e profughi, che non sono causa ma vittime del disagio.In Gran Bretagna si vede una forte spinta nazio-nale per separarsi dall’Europa, ma si vede anche la paura di isolarsi e di perdere centralità se al

Page 41: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

4130 aprile 2016

referendum vincesse la Brexit. Chi ha paura e chi no? Che nazionalismo è quello contempora-neo britannico, dove trova la sua base sociale?Certo, il nostro stupido referendum sull’Euro-pa è figlio di una lotta tra due paure diverse: la paura dell’isolamento, nel caso decidessimo di lasciare l’Unione europea, e la paura del potere degli stranieri (che si tratti di immigrati o della burocrazia di Bruxelles) nel caso decidessimo di restare a farne parte. Il nazionalismo britannico attuale rimanda a una nostalgia per l’impero, anche se questa nostalgia resta del tutto implici-ta. Gli avvocati del cosiddetto Brexit sostengono che la Gran Bretagna da sola sarebbe più pesante e importante di quanto non sia il Paese dentro l’Europa. Affermazione che avrebbe senso, che sarebbe vera, solo nel caso che fossimo di nuovo un impero. Questo sentimento è diffuso in una parte del popolo, ma credo che sia minoritario. La verità è che la spinta più importante del Brexit è la paura dell’immigrazione.

omenica scorsa, al primo turno delle presidenziali, Nor-bert Hofer, candidato dell’Fpo, il Partito della libertà, la destra nazionalista austriaca, ha preso il 36% dei voti.

Secondo è arrivato l’indipendente ambientalista Alexander Van Bellen con il 20%. Terzo e quarto sono arrivati i candida-ti dei partiti tradizionali, popolari e socialdemocratici. Quel-lo austriaco è però solo l’ennesimno rovescio delle famiglie politiche tradizionali. Partiti nuovi o vecchi ritrovano vigore, movimenti populisti e/o alternativi diventano protagonisti di exploit elettorali in ogni angolo del continente.Una delle ragioni di questa tendenza, clamorosamente con-fermata dal voto austriaco, è il ridursi della distanza ideo-logica tra i partiti di centrodestra e quelli di centrosinistra. I più colpiti dalla crisi sembranno quelli di centrosinistra, forse perché hanno scelto - a partire dalla Terza via - di col-locarsi al centro, di «preferire voti e posizioni di governo alle vecchie politiche», come scrivono Sara Hobolt e Catherine De Vries, che insegnano alla London School of Economics e a Oxford, in un articolo su Policy Network intitolato “Chal-lenger parties and the decline of the European left”. Le autri-ci esaminano i risultati elettorali in Francia, Germania, Da-nimarca, Gran Bretagna e Austria e notano come il sostegno alla famiglia socialdemocratica sia passato dal 41% dell’80 al 28 di oggi, mentre i partiti extra-sistema sono passati dal 9% al 23%. E i Paesi presi in esame non sono neppure i casi più più clamorosi.Fatto sta che in Francia, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Danimarca, Svezia, Olanda, Finlandia e in misura minore e diversa in Gran Bretagna - dove l’elettorato ha pre-miato sia la destra dell’Ukip sia gli scozzesi di sinistra dell’Snp - dovunque nelle ultime tornate elettorali sono cresciute for-mazioni di destra che hanno usato la crisi dei rifugiati come un randello. In Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda (i Paesi più colpiti dalla crisi economica) sono i partiti di sinistra, nuovi come Podemos o più antichi, ad averne tratto profitto. L’Italia delle 5 stelle fa storia a sé, e così pure il colosso tedesco, che si mostra più stabile, nonostante avanzi la destra dell’Afd.Nel loro articolo, Hobolt e De Vries, segnalano alcuni aspetti importanti dell’ascesa di quelli che definiscono “partiti sfidan-ti”, che usano argomenti tradizionalmente fuori dall’agenda politica (a destra l’immigrazione e il no all’integrazione euro-pea, a sinistra la critica all’austerità), che affermano la volontà - ma a dire il vero non vale per tutti - di stare fuori dai giochi di governo, e che propongono leader in grado di dare un volto al partito stesso. Interessante l’esempio danese: il partito del popolo è il primo partito, ma invece di provare a formare una coalizione di centrodestra ha scelto di influenzare il governo sui temi che gli sono cari, ottenendo una legge sul sequestro dei beni ai rifugiati. A votare per queste forze un elettorato che si sente escluso dalla globalizzazione, non molto istruito, fatto di lavoratori manuali, arrabbiato con il business as usual della politica. Lo stesso elettorato che alle primarie degli Stati Uniti si divide tra Sanders e Trump. Un elettorato popolare, un tem-po attratto dai partiti tradizionali di sinistra. m.m.

ECCO PERCHÉ LA SINISTRA DELLA REALPOLITIK PERDE

D

© J

ens M

eyer

/AP

Phot

o

Page 42: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

42 30 aprile 2016

el 2014, alle ultime elezioni naziona-li in India, per Narendra Modi fu una cavalcata trionfale. Grazie anche alla macchina del consenso più moderna ed efficiente che la storia recente india-

na ricordi, Modi riuscì a intercettare una marea di uomini e donne unita in un sogno: quello di un’India forte, lanciata verso il futuro, finalmen-te a testa alta tra i grandi della comunità inter-nazionale. Un Paese galvanizzato inoltre, dal ritrovato orgoglio per il rimbalzo dell’economia fiaccata dalla crisi globale del 2008.Un popolo sterminato che, accordando alla ca-mera bassa del parlamento una maggioranza as-soluta da record al Bharatiya Janata Party (Bjp) - 282 seggi su 543, non succedeva dagli anni Ot-tanta - ha creduto alle promesse elettorali del-la cosiddetta Modi Wave: investimenti, posti di lavoro, fine della corruzione del Paese e il ma-terializzarsi presto di quella Shining India tanto agognata da chi si considera classe media.A due anni dalla vittoria di Modi, con l’econo-mia che riparte ma non troppo - crescita stima-ta intorno al 7 per cento del Pil, anche grazie a dei giochi di luci ed ombre introdotti dai tecnici dell’Ufficio di statistica nazionale, una sorta di doping dell’aritmetica - gli investimenti che ar-rivano ma non troppo e la corruzione che sem-bra mantenersi a livelli tradizionali, purtroppo, uno degli aspetti più tangibili dell’opera di go-verno del Bjp riguarda l’impennata dei cosid-detti episodi di «intolleranza». Un eufemismo per indicare la spinta sull’acceleratore dell’hin-

duizzazione del Paese da parte degli ambienti della maggioranza più vicina alla dottrina fon-dante della destra extraparlamentare ultrain-duista, la cosiddetta hindutva. In due parole: l’India è degli hindu e chi non è d’accordo non è benvenuto.Ora, in un Paese dove si conta la terza comunità musulmana al mondo - 180 milioni di persone, stima al ribasso -, una comunità intellettuale progressista e laica decisamente attiva, seppur orfana di un riferimento partitico chiaro in par-lamento, e milioni di dalit ancora discriminati secondo i dettami della tradizione castale au-toctona - i volgarmente detti “intoccabili” - l’a-desione alle norme comportamentali da “buon cittadino hindu” diventa operazione piuttosto complicata da estendere all’intera popolazione.E la tentazione della repressione è forte. Dopo episodi di intolleranza lungo tutto il 2015 - scrittori “razionalisti” assassinati in pubblico da estremisti hindu, linciaggi contro musulma-ni rei di consumare carne bovina, una campa-gna “anti beef” condotta contro ristoranti che, a norma di legge, servono carne di bufalo - lo scorso mese di gennaio il suicidio di Rohith Ve-mula alla Hyderabad Central University (Hcu) ha segnato l’inizio di una stagione di lotta po-litica che vede gli studenti universitari indiani come ultimo baluardo a difesa dello spirito lai-co e multuculturale dell’India repubblicana.Vemula, 26 anni, al secondo anno di Phd, era un attivista dell’Ambedkar Students Associa-tion (Asa), collettivo interuniversitario intitolato

N

A due anni dal trionfo alle elezioni, il premier Narendra Modi deve fare i conti con la rivolta degli studenti. Sono loro a difendere

lo spirito multiculturale indiano minacciato dalla destra ultrainduista

di Matteo Miavaldi

LE UNIVERSITÀ INDIANE ULTIMO BALUARDO LAICO

New Delhi, 27 gennaio 2016. Una studentessa chiede le dimissioni del ministro dell’Istruzione dopo il suicidio dello studente Rohit Vemula. Nella pagina seguente, Mumbai, 21 gennaio: una manifestazione silenziosa contro il governo

Page 43: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

4330 aprile 2016

naio si è impiccato all’interno del campus. La lettera scritta appena prima di togliersi la vita - divulgata dalla stampa nazionale - raccon-ta la frustrazione di un uomo nato e cresciuto nell’India della discriminazione castale, dove le politiche di sostegno alle cosiddette “backward castes” sono spesso vanificate dallo zelo di funzionari, politici, burocrati e studenti vicini all’ultranazionalismo hindu.In risposta alla morte di Vemula, migliaia di universitari in tutto il Paese hanno iniziato una mobilitazione contro l’ultrainduismo di Sta-to propagato, secondo loro, da alcuni membri dell’esecutivo di Modi. Le indagini intorno al suicidio di Vemula, infatti, hanno fatto emer-gere l’intervento della ministra delle risorse umane indiana Smriti Irani, che in un carteggio col rettore di Hcu avrebbe incentivato misure esemplari da prendersi contro gli “elementi anti nazionali” all’interno del campus.Qualche settimana dopo, e siamo a New Del-hi, la caccia agli studenti anti nazionali porta-

al politico simbolo della lotta per i diritti dei dalit, attraverso il quale aveva organizzato diversi eventi ex-tracurricolari all’interno del cam-pus di Hcu per sensibilizzare gli studenti su temi di discriminazione religiosa, castale e di genere. Un’attività che mal si concilia-

va con lo spirito patriottico hindu che anima l’Akhil Bharatiya Vidyarti Parishad (Abvp), la sigla dell’associazione politica studentesca vi-cina al Bjp. Una scazzottata tra studenti dei due gruppi era sfociata in una denuncia alle autori-tà di polizia e alla sospensione di Vemula e altri quattro di Asa, cacciati dal dormitorio e senza borsa di studio. Una pena sproporzionata, con-siderando il solo richiamo verbale che aveva interessato gli scazzottatori di Abvp. Dopo 12 giorni passati a dormire fuori dai cancelli del campus in protesta, Vemula non ha retto il muro di gomma dell’amministrazione di Hcu - vicina al Bjp - e nel pomeriggio del 17 gen-

Una lunga sciadi intolleranza: dagli

scrittori “razionalisti” assassinati da estremisti

hindu al suicidio dello studente Rohit Vemula

ingiustamente sospeso©

Alta

f Qad

ri/AP

Pho

to

Page 44: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

44 30 aprile 2016

ta avanti dal governo indiano si è spostata nel campus della Jawaharlal Nehru University (Jnu), il “tempio laico” dell’istruzione progressista in-diana che sorge nella zona sudoccidentale del-la capitale. Da Jnu, in decenni di attività, sono uscite le menti più eccelse dell’India contem-poranea: politici, economisti, scrittori, poeti, registi, giornalisti. Il campus, immerso in un verde che ha del miracoloso nel panorama del-la polverosa New Delhi, per generazioni è stata una zona franca del libero pensiero; un luogo protetto dalle ingerenze della politica nazionale dove studenti da ogni angolo del Paese poteva-no discutere liberamente di tutto, affrontando col confronto anziché con la repressione i temi sensibili della contemporaneità indiana.A metà febbraio, sempre grazie allo zelo degli studenti di Abvp, la polizia è entrata nel cam-pus di Jnu - non succedeva dagli anni 70, i tempi della crisi democratica, dell’Emergency di Indira Gandhi - arrestando Kanhaya Kumar, presidente del sindacato degli studenti (Jnusu) e leader dei collettivi di sinistra, con l’accusa di sedizione. Il reato: aver organizzato un evento in memoria di Afzal Guru, kashmiro condan-nato a morte per terrorismo sul cui processo permangono ancora, a tre anni dall’esecuzione del 2013, diversi sospetti di parzialità. Durante l’evento - questa l’accusa - si sarebbero levati slogan “anti indiani”.Il raid della polizia, ordinato dal ministro degli interni Rajnath Singh, doveva essere da esem-pio per tutti coloro che osavano mettere in di-scussione l’integrità territoriale del Paese.Dopo quasi un mese di detenzione, senza pro-ve a suo carico e una campagna d’informazione viziata da video ritoccati, dopo pestaggi subiti sotto gli occhi della polizia da parte di “avvocati patriottici”, Kumar è stato rilasciato su cauzio-ne per sei mesi. Stesso destino riservato ad al-tri due studenti di Jnu, Anriban Bhattacharya e Umar Khalid, quest’ultimo additato addirittura come cellula dormiente del terrorismo islami-co di matrice pakistana. Tutto questo senza uno straccio di prova.La reazione degli studenti e dei docenti di Jnu è stata esemplare. Per due mesi si sono tenute dentro e fuori il campus marce a sostegno dei compagni in carcere, con la partecipazione di migliaia di esponenti della società civile. Al tem-po stesso si sono tenuti seminari accademici

pubblici dove, nello spirito del confronto di Jnu, intellettuali e accademici indiani hanno svisce-rato temi come il concetto di nazione, patriotti-smo, libertà d’espressione, laicità e multicultu-ralismo nell’India di ieri e di oggi.L’impressione è che il vuoto politico creatosi attorno al successo strabiliante di Modi e del modismo - una dottrina economica poggiata sull’ultracapitalismo in salsa hindu e sull’an-nuncismo - abbia lasciato campo libero alle istanze più estreme di una parte dell’India che sostiene Narendra Modi: lo zoccolo duro e in-tollerante che vorrebbe un Paese a misura di in-duismo, deciso a spazzare via con la repressione ogni forma di dissenso.Una tendenza che oggi, con l’Indian national congress (Inc) in prolunga-ta crisi d’identità e consensi, vede nell’attivismo studentesco l’ultimo argine di contenimento degli effet-ti - collaterali e angoscianti - della Modi Wave del 2014.

A febbraio la poliziaè entrata nel campus di Jnu e ha arrestato il leader dei collettivi di sinistra. Per due mesi gli studenti hanno reagito con marce pacifichee seminari accademici

© D

ivyak

ant S

olan

ki/ E

pa A

nsa

Page 45: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

4530 aprile 2016

n Brasile è in atto un “golpe bianco”, denun-ciano Dilma Rousseff e i suoi sostenitori. Le strade di San Paolo e Rio sono invase da folle tinte di rosso o di verde oro, a seconda che vogliano difendere la presidente o manife-

starle la loro ostilità. «L’onda della mobilitazione della sinistra, che considera il voto della Came-ra per l’impeachment a Dilma un golpe bianco», dice a Left Breno Altman, direttore del quotidiano Opera Mundi, «crescerà nei prossimi giorni, in forma più organizzata e centralizzata, con gran-di concentramenti popolari e scioperi». Dall’altra

parte, «le reazioni dell’opposizione di destra e dell’informazione (tutta contro Dilma) appaio-no piuttosto guardinghe nonostante la vittoriosa battaglia alla Camera. I settori meno insensati del conservatorismo brasiliano sembrano imbaraz-zati dal predominio di posizioni fondamentaliste e neofasciste nel voto del 17 aprile, quando in aula si è visto anche un deputato dell’ultra destra, Jair Bolsonaro, dedicare il suo voto contro Rousseff al colonnello Carlos Brilhante Ustra, che durante la dittatura militare guidava l’unità militare che tor-turava i dissidenti e che torturò la stessa Dilma.

I

Il Brasile è squassato da manifestazioni pro e contro Dilma Rousseff. Lei definisce “golpe bianco” la procedura di impeachment avviata alla Camera. E il New York Times

definisce «una banda di ladri» lo schieramento che vorrebbe deporla.L’analisi di Breno Altman

PROCESSATA PER CORRUZIONE DA UNA BANDA DI LADRI

© E

rald

o Per

es/A

P Ph

oto

Page 46: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

46 30 aprile 2016

«Lei non ha rubato nulla, ma sta per essere giudicata da una banda di ladri», ha scritto di Dilma il New York Times il 15 aprile, mentre la presidente denunciava all’Onu il colpo di Stato. Ma perché parlare di golpe se l’impeachment è previsto dalla Costituzione? «Perché la legge prevede l’impeachment solo se vi è un crimine commesso, ma qui», risponde Breno Altman, «non c’è nessun reato che possa esserle attribu-ito». L’accusa mossa a Rousseff non ha niente a che fare con la corruzione, la presidente è accu-sata di aver falsificato i bilanci dello Stato allo scopo di mascherare la recessione del Paese, nel corso della campagna elettorale per la sua rielezione del 2014. «Sono pratiche purtroppo comuni a tutti i governi dal 1985 a oggi», ripren-de il direttore del giornale indipendente, «e per-sino la Corte dei conti federale ha autorizzato simili forme di maquillage contabile. A carico di Dilma Rousseff non c’è alcun procedimento penale per corruzione, mentre la stessa cosa non si può dire per per chi l’accusa: per il vice-presidente Michel Temer, per esempio, e per il presidente della Camera dei deputati, Eduar-do Cunha, accusato di aver ricevuto massicce tangenti da parte di gruppi d’affari. Dei depu-tati che hanno votato per l’impeachment, in 28 sono imputati per corruzione. E ben 215 dei 367 parlamentari che si sono schierati contro la pre-sidente devono rispondere di reati finanziari».

I 25 partiti presenti nel Parlamen-to brasiliano, spiega Altman, «sono politicamente divisi in quattro aree tra loro relativamente equilibrate, ciascuno con un sostegno appros-simativo del 25% della società: la sinistra, la destra, il centro-demo-cratico e il centro-conservatore». Ad abbandonare Dilma Rousseff e rompere l’alleanza di governo sono i parlamen-tari centristi. «La sinistra, contando sul 20% dei voti e il 25% della rappresentanza parlamentare, era riuscita a controllare la presidenza dal 2003, ma solo alleandosi con le forze del centro-de-mocratico e del centro-conservatore per preser-vare la governabilità. Ma poi il quadro comin-cia a cambiare con le elezioni di ottobre 2014, quando Rousseff ha deciso di far sua, almeno in parte, l’agenda economica dell’opposizione di destra». Spiega Altman: «Riconfermata con un margine molto stretto e spaventata dal crollo degli investimenti privati, Dilma ha cercato di stabilire un ponte con i suoi avversari politici e di classe. È stato un vero disastro. Il nuovo as-setto ha disorganizzato, smobilitato e diviso la sinistra, mentre consentiva alla destra di recuperare iniziativa politica, di accusare la presidente di frode elettorale, di portare in piazza folle della classe media, che gridava-no contro la corruzione, confortate da settori

Dei deputati che hanno votato per l’impeachment, 28 sono imputati per corruzione. E ben 215 dei 367 parlamentari che si sono schierati contro la presidente devono rispondere di reati finanziari

DA SAPERE

Per golpe bianco si intende un

colpo di Stato che si svolge senza

ricorrere alla forza

© E

rald

o Per

es, A

ndre

Pen

ner/A

P Ph

oto

Page 47: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

4730 aprile 2016

della magistratura, pubblici ministeri e polizia federale». È in questo contesto, in cui Dilma e il Pt (il Partito dei lavoratori) diventano il capro espiatorio dell’insoddisfazione dei ceti medi, che il centro-democratico si sposta a destra e si unisce al centro-conservatore, formando un blocco che sul 70-75% del Parlamento.Dopo la crescita impetuosa dei primi anni Due-mila e le speranze suscitate dai programmi so-ciali di Lula, la presidente ha dovuto fare i con-ti con la recessione degli ultimi anni. Le scelte di austerity alla brasiliana le hanno procurato critiche anche da sinistra, critiche non prive di

fondamento, analizza Altman: «Il grande errore di Rousseff è stato quello di aver risposto con una po-litica recessiva all’esaurimento del modello economico sostenuto dal 2003 al 2010. Un modello che ave-va permesso di distribuire reddito e aumentare il tenore di vita dei più poveri senza ridurre il potere d’ac-quisto dei più ricchi. Dal 2011 la

situazione è cominciata a cambiare e servivano scelte coraggiose per continuare con una poli-tica di inclusione sociale: aumentare le impo-ste sul capitale, limitare i trasferimenti di fondi pubblici alle società private, contenere il potere degli oligopoli finanziari». Scelte difficili perché la grande impresa chiedeva, al contrario, soste-

gno finanziario e tagli ai salari. «La presidente ha resistito alla pressione durante il suo primo mandato, ma ha ceduto dopo la rielezione. Ed è così andata incontro a una perdita enorme di consenso nella base sociale della sinistra, ha in-debolito la sua capacità di egemonia, mentre si aggravava la recessione e il Brasile perdeva po-sti di lavoro e di reddito».Tuttavia, dice Altman, la presidente «non è at-taccata per gli errori che ha fatto, ma perché rappresenta un ostacolo alla contro rivoluzione capitalista invocata dai grandi gruppi d’affari e dai loro portavoce politici. Le forze conservatrici non vogliono destituire Dilma, ma criminaliz-zare tutte le forze progressiste e dei movimenti sociali, impedendo qualsiasi alternativa di po-tere che possa disturbare la ricostruzione dell’e-gemonia borghese». Il golpe branco, per molti, non è che l’anello di una catena che si snoda lungo l’intero Continente: «Il rovesciamento di Rousseff è parte di una strategia geopolitica, il cui principale obiettivo è quello di sconfigge-re il processo di cambiamento progressista in America Latina, che è iniziato con l’elezione di Hugo Chavez nel 1998. La crisi internazionale e il consolidamento dei blocchi regionali rende indispensabile al capitalismo americano ritro-vare il subcontinente e subordinarlo di nuovo ai propri interessi».

Tiziana Barillà

Dilma ha risposto alla crisi con l’austerity

alla brasiliana, che le ha procurato critiche anche

da sinistra. Tuttavia non è attaccata per i suoi errori, ma per essere un ostacolo

alla ripresa capitalista

Da sinistra: Brasilia, 16 aprile 2016. I deputati dell’opposizione mostrano cartelli con la scritta in portoghese “Addio cara” e “Impeachment ora” durante il dibattito alla Camera; San Paolo, 19 aprile. Un murale ritrae Rousseff con il vicepresidente Michel Temer. In apertura, un primo piano della presidente Dilma Rousseff

Le tappedell’impeachment

La notte tra il 16 e il 17 aprile la Camera dei deputati ha vo-tato l’ammissibilità, avviando la procedura di impeachment. La seconda tappa è attesa in Senato, dove con il voto a maggioranza semplice si deciderà se approvarla o archiviarla. Nel caso l’opposizione risul-tasse vittoriosa in questa fase, che dovrà avvenire tra il 10 e 12 maggio, la presidente Dil-ma Rousseff sarà provvisoria-mente allontanata dal potere fino al suo giudizio. La terza tappa dovrà svolgersi nell’ar-co di massimo 180 giorni. Il giudizio è di responsabilità del Senato e la condanna del presidente, con la sua depo-sizione definitiva, necessiterà dei due terzi dei voti (54 senatori su 81).

Page 48: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

48 30 aprile 2016

© M

arco

Uga

rte/A

P Ph

oto

Page 49: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

4930 aprile 2016

Fuori da ogni esotismo la letteratura latino americana mostra un volto nuovoe impegnato. Non arrendendosi alla crisi e ai venti di destra

che spazzano via i diritti in Paesi come il Messico, il Venezuela e l’Argentina

di Bruno Arpaia

Il realismo magico non abita qui

dispetto della realtà, per anni e anni noi euro-pei abbiamo elaborato un’immagine distor-ta del mondo ispanico. Nelle nostre teste la Spagna era rimasta congelata alle corride, alla paella, ai campi aridi di Castiglia, a una «movida» spruzzata di follia chisciot-tesca, o al massimo a Zapatero. L’Ameri-ca latina, invece, sapeva di esotismo e di magia (ah, il presunto «realismo magi-co»…): ci sembrava un mondo selvag-

gio e innocente come il primo gior-no della creazione, un continente di sognatori a spasso tra prodigi, banani e mangrovie, dove poter collocare le utopie che noi non eravamo riusciti a realizzare.Oggi va un po’ meglio, ma non poi tanto. Di quel mondo, i grandi mezzi di comunica-

zione continuano a resti-tuirci una «narrazione» minima, superficiale,

manichea, quando non assolutamente distor-

ta. In realtà, la Spagna è costituzionalmen-

te plural, mentre già solo parlare di

«America latina» potrebbe essere un errore. Se-condo lo scrittore messicano Jorge Volpi, infatti, quel concetto esiste solo «nella misura in cui si organizzano congressi letterari, sociali, politici e artistici - mai scientifici - sull’America latina», oppure «si conserva solo nelle guide turistiche (e nella nostalgia occidentale). I suoi diversi Paesi quasi non si conoscono tra loro e le loro società sono diventate sempre più aperte e plurali, più restie all’incasellamento». Parole sante. Che mira-no al cuore della pigrizia di noi europei, perché, trattandosi di un continente fin troppo rigoglioso, dove fioriscono grandi contraddizioni e diversità, è più facile ricorrere ai luoghi comuni piuttosto che capirlo davvero, è più facile fare dell’esotismo e accomunare ciò che è diverso. E invece, tra il Río Bravo e Capo Horn, fra Tijuana e Ushuaia, ogni regione ha una storia a sé e vi si parlano decine e decine di lingue, oltre allo spagnolo e al portoghe-se, per cui perfino la definizione di America latina diventa problematica.Eppure sarebbe importante conoscerle più a fon-do, quelle realtà, perché dopo tutto ci sono vici-nissime; e poi perché le strade percorse da quelle parti possono aiutarci a trovare le nostre o a evi-tare di perderci per sentieri impraticabili. Anche se, per quei Paesi, non sono tempi facili. Sferzata dalla crisi, impoverita nel tessuto sociale, lacerata

Page 50: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

50 30 aprile 2016

dai conflitti nazionalistici, la Spagna è da diversi mesi senza governo, in una situazione di appa-rente stallo in cui fatica a prendere concretezza una speranza di cambiamento. Dall’altra parte dell’Oceano, le esperienze, pur diversissime tra loro, che hanno incarnato il cosiddetto venten-nio post-neoliberista subiscono una dopo l’altra pesanti batoste, come in una «teoria del domino» al contrario: in Venezuela, Maduro è stato scon-fitto alle elezioni e annaspa tra «mano dura» con l’opposizione e tracollo economico; Correa sen-te l’Ecuador sfuggirgli di mano; la Bolivia, che pure cresce a ritmi sostenutissimi con una net-ta riduzione delle diseguaglianze sociali, nega a Evo Morales la possibilità di essere rieletto e lo vede sprofondare in squallide storie di lenzuo-la e favoritismi; in Brasile, dove pure 40 milioni di esclusi sono stati integrati nel consumo, Lula e Dilma Rousseff subiscono l’attacco (un «golpe 2.0», l’ha definito qualcuno) di una destra corrot-ta e impresentabile, ma comunque ben radicata in un Paese che manifesta una forte volontà di cambiamento; l’Argentina, infine, ha voltato bru-scamente le spalle a Cristina Kirchner e ai suoi (spesso anche maldestri) ten-tativi di resistere alle politiche di austerity. Per non parlare di un Perù pronto a riconse-gnarsi a una Fujimori (la figlia dell’ex dittatore) o di un Mes-sico in preda ai narcos, alla violenza, alla corruzione, alla violazione continua dei diritti umani da parte delle autorità.È ovvio che i governi post-neoliberisti dell’A-merica latina non sono esenti da colpe ed er-rori: le loro leadership faticano a liberarsi da atteggiamenti caudillistici, in alcuni settori la corruzione è innegabile, spesso le prospettive politiche non sono chiare e la loro concezione della democrazia non sempre è nitida. Eppu-re, anche a chi è allergico a qualunque teoria del complotto non può non sorgere il dubbio che sia in atto una strategia concertata per mettere fine, magari per via giudiziaria, maga-ri facendo leva proprio su quegli errori, a un ventennio di tentativi (non tutti e non sempre condivisibili) di imboccare una via diversa per il subcontinente.Comunque stiano le cose, l’era delle buone no-tizie dalla Spagna e dall’America latina sembra

ormai terminata. E tuttavia, da quelle parti c’è ancora qualcosa che fa ben sperare. Prima di tutto, diversamente che in Italia e in gran parte dei Paesi europei, gli occhi di molti spagnoli e latinoameri-cani sono ancora rivolti al fu-turo: il tempo, per loro, non si

è ancora del tutto ridotto al nostro eterno presen-te, alla rassegnata palude in cui ci dibattiamo. E il conflitto sociale e politico è ancora vivo e vegeto.Anni fa, Pier Vincenzo Mengaldo ha scritto che «la narrativa vive, è vissuta negli ultimi decenni, ed è vigorosa nei luoghi ancora attraversati da vere tensioni culturali, sociali, politiche (certo, anche tragiche)». È anche per questo che il livello del loro dibattito politico e culturale è spesso più alto e interessante del nostro, che i loro intellettuali, scrittori e musicisti hanno ancora moltissimo da dire, come potrà constatare chi verrà a Perugia, al Festival Encuentro, dal 4 all’8 maggio. Ascolte-rà voci diverse e non incasellabili, voci solitarie o espressioni di istanze collettive, ma comunque voci in cui la voglia di capire, di combattere e di raccontare non si è ancora spenta.

L’era delle buone notizie dall’America Latina sembra ormai terminata. E tuttavia da quelle parti c’è ancora qualcosa che fa ben sperare. Gli occhi di molti latinoamericaniguardano al futuro

In apertura, una manifestazione per il giornalista Gregorio Jimenez ucciso in Messico nel 2014.

A fianco, lo scrittore cileno Louis Sepùlveda. Sotto, la copertina del suo ultimo libro e quella

del nuovo romanzo di Bruno Arpaia, in uscita per Guanda

© Guido Montani/Ansa

Page 51: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

5130 aprile 2016

lcuni Paesi latinoamericani sem-brano attraversare una crisi demo-cratica che mette a rischio diritti ci-vili acquisiti negli ultimi vent’ anni.

Che cosa sta accadendo in Paesi come il Mes-sico, il Venezuela l’Argentina? Lo abbiamo chiesto a Luis Sepùlveda, che dal 4 all’8 mag-gio sarà al festival Encuentro. «In realtà non si tratta di una crisi democra-tica», risponde lo scrittore cileno. «Il grande problema è la corruzione politica e il degrado morale di chi è al potere e dei loro complici. Il neoliberismo ha capito che per mantenere il dominio assoluto del “mercato” con questi livelli di sfruttamento serve la complicità dei governanti, di parlamentari e di amministra-tori corrotti. Il problema è universale. Bisogna smettere di vedere l’America latina come un continente di scimmie ammaestrate che a vol-te si comportano bene e altre volte male».E nel Brasile di Lula e Rousseff, invece?In Brasile abbiamo assistito a un tentativo di “colpo di Stato senza armi” di cui è protagoni-sta il Parlamento più corrotto. Lula e Rousseff hanno commesso un grave errore strategico non spiegando da un punto di vista politico, in modo trasparente, passo dopo passo, tutto ciò che stavano facendo, e che cosa ostacola-va e chi si opponeva ai grandi cambiamenti che intendevano attuare.In Messico i giornali non sono liberi e mol-ti giornalisti rischiano la vita o addirittura vengono uccisi. È diventato impossibile?Da quando il narcotraffico si è imposto come un potere assoluto in Messico, la professione di giornalista come voce indipendente, obiet-tiva, eticamente corretta, è diventata qualcosa di molto pericoloso. E se a questo si aggiunge la complicità del Pri, un narco partito politico, il quadro appare ancora più drammatico.La letteratura può contribuire a cambiare questa situazione drammatica?Che la letteratura di per sé contribuisca a cam-biare la realtà è un mito, spetta ai cittadini e alle cittadine; solo loro possono e devono cambia-re le cose. La letteratura può aiutare, forse, ma

non possiamo dimenticare che uno scrittore è prima di tutto un cittadino e poi uno scrittore.Dunque, cosa significa per lei essere uno scrittore latinoamericano oggi?Significa essere un cittadino resistente agli abusi del potere. Per lo meno così la intendo io, ma non sono certo che la maggioranza la pensi allo stesso modo.Il Cile ha attraversato una stagione demo-cratica ma la Costituzione è ancora quella di Pinochet, che ne pensa?Dal 1990 il Cile ha sperimentato una sorta di “promessa impossibile di realizzare”. La dittatura e i partiti che negoziarono la tran-sizione lo fecero alle spalle delle aspirazioni e dei desideri della maggior parte dei cile-ni. Invece di ricostruire i valori democratici hanno preferito conservare il modello eco-nomico neoliberale della dittatura e farlo diventare più crudele e perverso. Che la Co-stituzione vigente sia ancora quella stilata dalla dittatura è la dimostrazione che poche cose sono cambiate. L’ex presidente Patricio Alwyn promise «una democrazia per quanto possibile», «una giustizia per quanto possi-bile» ma quel « possibile» fu deciso da civili complici della dittatura e dai partiti che han-no governato proprio dal 1990.Scrivere per i bambini implica una partico-lare sensibilità oltreché fantasia. Che cosa le preme trasmettere?Sì, non è facile scrivere per lettori giovani, è una sfida molto grande. E a me piacciono le sfide. Più grandi sono e più mi stimolano. Non cre-do al famoso “messaggio”. Scrivo e con le mie storie cerco di condividere valori umani, etici.Dopo Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà pubblicato in Italia da Guanda sta scrivendo un nuovo libro?Sto finendo un nuovo romanzo a cui lavoro da due anni e spero di consegnarlo entro giugno. Non posso dire di più, non racconto mai nulla dei miei libri prima che escano. Ne riparleremo quando sarà in libreria.

Simona Maggiorelli (traduzione di Gabriela Pereyra)

IL FESTIVAL

Dal 5 all’8 maggio Perugia diventa teatro del festi-val Encuentro, rassegna della letteratura in lingua spagnola. Tantissimi gli ospiti a cominciare da Luis Sepùlveda e la sua compagna la poetessa Carmen Yáñez. Ci sarà Paco Ignacio Taibo II che in Italia ora è pubblicato da La nuova frontiera. E anco-ra Rodrigo Hasbún, autore del bellissimo Andarsene (Sur) e José Muñoz che parlerà di Cortazar di cui ha illustrato il racconto L’inseguitore (Sur). E poi il cubano Leonardo Padura Fuentes autore di Ereti-ci. Un’indagine di Mario Conde (Bompiani), Arturo Pérez-Reverte e molti altri. www.encuentroperugia.it

«La letteratura non può cambiare il mondo. Spetta alle cittadine e ai cittadini», dice Luis Sepùlveda. «Uno scrittore è prima di tutto

un cittadino che resiste e si oppone agli abusi di potere»

Raccontare, resistere. La sfida degli scrittori latino americani

A

Page 52: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

52 30 aprile 2016

Svuotare gli arsenali, eliminare i robot killer, difendere i dirittidei migranti e garantire cibo per tutti. Scienziati, studenti e cittadini, riuniti

alla Città della scienza di Napoli, dicono che abolire la guerra si può

di Pietro Greco

La scienzadella pace

Page 53: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

5330 aprile 2016

© Il

lust

razio

ne A

nton

io P

rono

stico

Page 54: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

54 30 aprile 2016

re obiettivi magari lontani ma certo concreti su cui lavorare tutti insieme, scienziati e cittadini comuni, per “svuotare gli arsenali”, come ama-va dire il presidente Sandro Pertini: creare un mondo senza armi nucleari, mettere al bando le armi autonome e abolire la guerra stessa. E altri tre obiettivi per “costruire la pace”: riconoscere i diritti di tutti i migranti, che abbiano lasciato le loro case a causa della guerra o per cause am-bientali; potenziare il sistema di welfare e di in-clusione sociale e lavorativa per tutti; garantire la sicurezza alimentare per tutti.Non è facile tirare le somme dell’incontro “Svuo-tare gli arsenali, costruire la pace” organizzato a Napoli il 22 e il 23 aprile scorsi dal Centro studi di Città della Scienza. Forse il primo in Italia cui hanno partecipato organizzazioni e gruppi, i più diversi, che magari perseguono lo stesso obiet-tivo, costruire la pace con l’ausilio della scienza, con modalità diverse: dalle Pugwash Conferen-ces, premio Nobel per la Pace, agli studenti di un liceo, il Majorana di Orvieto; dai medici di Emergency ai membri dell’Unione scienziati per il disarmo (Uspid); dai rappresentanti della Twas, l’Accademia mondiale delle scienze, ai docenti e agli studenti che presso l’università di Pisa stu-diano le “scienze per la pace”; dagli storici e dai filosofi delle università di Napoli alle cooperative sociali della stessa città, come Dedalus; dai me-dici esperti dell’International physicians for the prevention of nuclear war (Ippnw) ai cittadini non esperti di Senzatomica.

La prima finalità dell’incontro è stata quella di conoscersi reciprocamente e verificare la possi-bilità, pur nel pieno rispetto dell’autonomia di ciascuno, di unire le forze per fare massa critica almeno nel tentativo di rompere il muro della di-sattenzione dei media e della società su un tema tanto fondamentale - la pace, come unica alter-nativa alla guerra - in un’epoca in cui la guerra è da molti, da troppi considerata l’unico modo per risolvere i conflitti.Creare una cultura della pace non è un’astratta utopia. Ma una necessità concreta e impellente, ha ricordato Vittorio Silvestrini fondatore e pre-sidente della Città della Scienza. E infatti sono almeno sei gli obiettivi concreti che, pur con accenti diversi, hanno indicato i partecipanti all’incontro di Napoli. Il primo è stato ricordato da Paolo Cotta Ramusino (segretario generale

delle Pugwash Conferences), ma anche da Diego Latella (Uspid), da Enza Pellecchia (Senzatomi-ca), da Carlo Schaerf (Isodarco) e da Michele Di Paolantonio (Ippnw: riprendere il progetto che è stato non solo di Albert Einstein e Bertrand Rus-sell, e poi di Joseph Rotblat, ma anche di politici, di orientamento il più diverso, da Michail Gor-baciov e Henry Kissinger e riproposto, da ultimo (forse troppo timidamente), dal Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: svuotare gli arsenali nucleari. Perché l’atomica rappresenta anco-ra un duplice e mortale pericolo: quello di una guerra nucleare totale, capace di distruggere la civiltà umana; e quello di guerre nucleari locali, che - ha ricordato Cotta Ramusino - hanno al-meno tre focolai potenziali: il conflitto tra India e Pakistan; il conflitto tra Israele e il mondo arabo; quello tra la Corea del Nord e la Corea del Sud. Per svuotare gli arsenali nucleari tra le due gran-di superpotenze atomiche (Usa e Russia) e tra gli altri membri del Consiglio di sicurezza (Cina, Regno Unito e Francia) occorre accelerare i ne-goziati intorno al Trattato di non proliferazione delle Nazioni Unite. Ma per svuotare gli arsenali minori ed evitare il rischio terrorismo atomico - ha sottolineato Paolo Cotta Ramusino - occorre ridurre i conflitti locali, cambiando atteggiamen-to. Abbandonando quello di una regia dall’alto di impronta occidentale (esportare la democrazia anche con i carri armati) e creando una rete di al-leanze anche con movimenti lontani dalla nostra visione del mondo ma disponibili a lavorare per la pace o, comunque, a non globalizzare i conflit-ti (due esempi per tutti, i Fratelli Musulmani in Egitto e i Talebani in Afghanistan).

Discorso difficile, quello di Paolo Cotta Ramusi-no, ma in grado di dare risultati concreti. È stato proprio grazie a una sua mediazione che i Tale-bani e il governo di Kabul si sono incontrati per la prima volta in Qatar e hanno iniziato un possi-bile (ma non scontato) percorso di pacificazione. Resta il fatto che per svuotare gli arsenali nucle-ari a ogni livello occorre una pressione dell’opi-nione pubblica mondiale: occorre che scienziati e cittadini facciano sentire il loro fiato sul collo dei governi. È il progetto di Senzatomica, che sta portando in giro una mostra che ha già toccato sessanta città italiane (da ultimo, proprio a Napo-li) e che ha avuto finora 320.000 visitatori, di cui 110.000 studenti. Un successo, spiega Enza Pel-

Page 55: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

5530 aprile 2016

lecchia, che può ricreare una forte e consapevole opinione pubblica per un “nuclear free world”: mondo senza armi nucleari. In una prospettiva analoga, anche se in maniera preventiva, si muo-ve l’obiettivo proposto da Guglielmo Tamburrini, filosofo e pioniere della campagna internaziona-le “Stop Killer Robots”, lanciata qualche tempo fa da un pool internazionale di ong. L’obiettivo è proprio quello di mobilitare l’opinione pubblica perché le Nazioni Unite mettano al bando i “Kil-ler Robots”, ovvero quelle “armi autonome” che, secondo alcuni, combatteranno le guerre del fu-turo con una scarsa capacità di controllo umano e, dunque, con esiti imprevedibili.Ancora più radicale è l’obiettivo proposto da Emergency: mettere al bando la guerra stessa. Mobilitare l’opinione pubblica perché la guerra diventi un tabù. Oggi può sembrare un’utopia remota. Ma è la più realistica delle utopie, vista la potenza devastatrice crescente delle armi e la globalizzazione dei conflitti. Se vogliamo salva-re la civiltà umana non abbiamo altra opzione: dobbiamo abolire la guerra.

Abolire la guerra è possibile, ha convenuto Telmo Pievani, filosofo della biologia intervenuto per conto della Fondazione Veronesi. Perché la vio-lenza non è iscritta nei nostri geni, ma è una co-struzione sociale. E così come Homo sapiens ha edificato il moloch della guerra, lo può distrug-gere. Pievani ha coordinato il gruppo di lavoro degli scienziati che hanno elaborato la Carta di Science for Peace, che può essere non solo sotto-scritta, ma anche diffusa. Per questa essa è stata adattata in modo tale da poter essere studiata criticamente dai bambini delle scuole elementa-ri e dai ragazzi delle scuole medie.La formazione è condizione forse non sufficien-te, ma assolutamente necessaria per “costruire la pace”. Lo hanno spiegato i docenti e gli studenti sia del Corso di laurea sia del Corso interdiparti-mentale di “scienze della pace” dell’Università di Pisa. Si tratta di una formazione molto partico-lare. Perché deve dare gli strumenti per ricono-scere la complessità dei fenomeni: pochi sanno, ha sottolineato lo storico Giorgio Gallo, che i pro-fughi siriani lasciano in massa il loro Paese non solo per la guerra atroce, ma anche per la siccità. E che guerra e siccità sono legate l’una all’altra. Ma la formazione deve saper cogliere anche le contraddizioni dell’azione politica. A tutt’oggi

l’Europa ha speso 13 miliardi di euro per con-trastare i migranti e il risultato sono 500 campi profughi sparsi per il continente in cui, troppo spesso, i diritti dell’uomo sono sospesi.

La pace non è semplicemente l’assenza di guer-ra. È molto di più. È una condizione di assenza di ingiustizie e di risposta cooperativa alla doman-da di cittadinanza di tutti e di ciascuno. La scien-za ha un ruolo molto importante nel “costruire la pace” mettendo a nudo le ingiustizie più fero-ci: Giovanni Sabato ha ricordato come medici e genetisti stiano aiutando le “nonne di Piazza de Majo” a rintracciare i figli dei desaparecidos, vit-time durante la dittatura militare argentina, di una doppia ingiustizia: l’assassinio dei genitori e l’adozione da parte dei carnefici. Ma la scienza ha un ruolo ancora più importante, ha rilevato l’inge-gnere ed economista Moctar Toure, uno dei vicedirettori dell’Accade-mia mondiale delle scienze (Twas) nel «costruire la pace attraverso la sicurezza alimentare». Entro il 2050 saremo 10 miliardi sulla Terra. Tutti avranno diritto al cibo. E, se voglia-mo un mondo in pace, a tutti dobbiamo ricono-scere il diritto al cibo. La scienza non basta, per-ché occorre anche e soprattutto la politica. Ma difficilmente senza scienza potremo produrre cibo a sufficienza per tutti in un pianeta in cui la superficie arabile è limitata. Ecco perché la scienza ha un ruolo essenziale nel “costruire la pace”.Ma il diritto alla vita e alla dignità di un lavoro deve essere assicurato anche a quelle persone che sono costrette a lasciare le loro case per ogni tipo di causa: militare, economica o ambientale che sia. Per questo opera Dedalus che sta realiz-zando a Napoli “luoghi di inclusione”. E per que-sto gli studenti del Liceo Majorana hanno elabo-rato una Carta dei diritti dei migranti ambientali che hanno sottoposto anche alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, prima di venire a illustrarla a Napoli. Un’iniziativa “dal basso” di “cultura della pace” davvero incoraggiante, men-tre altri in Europa vanno erigendo mura. Che dal Vallo di Adriano alla Muraglia Cinese non sono mai serviti a nulla se non a creare facili e fallaci illusioni, come ha ricordato lo storico Luigi Ma-scilli Migliorini.

La violenza, ha detto Telmo Pievani, non è iscritta nei nostri geni ma è una costruzione sociale. Per far trionfare la pace serve una cultura di pace. Ecco che un gruppo di scienziati lanciala Carta di Science for Peace

Page 56: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

56 30 aprile 2016

Il film Zeta di Cosimo Alemà è il ritratto, onesto e credibile,di una generazione. Quella che ha alimentato la scena rap italiana, finalmente

liberata dall’emulazione degli artisti Usa, e si è fatta movimento

di Fabrizio Galassi

La periferia (quella vera) dalla A alla Zeta

l rap è quel genere di musica che fa appa-rire vecchio tutto il resto: il rock e la sua parte più estremista, l’indie, i cantauto-ri e la musica popolare contemporanea (come adesso si chiama la musica legge-ra). Fa apparire vecchio anche il concetto di musica dal vivo, da sempre interpreta-to da una band sul palco e il resto sotto. Mentre i rapper tendono a trasformare il locale in una festa: senza sopra o sotto, puntano sempre al sottosopra.

L’America perde sempre più smalto come modello di riferimento; pur rimanendo un faro nello stile, non influisce più così pesan-temente sul comportamento (vedi Clementino). E in Italia sono servite tre ondate di rap nostra-no per arrivare al punto in cui siamo: oggi un 20enne può nuovamente pensare alla musica come a una vera e propria professione, difficilis-sima ma possibile.Zeta è questo sogno. La periferia vera, senza finti-ghetti-per-emulazione-statunitense, è l’innocen-za di un ragazzo fotografato la prima volta che commette il classico errore di innamorarsi della fidanzata del suo miglior amico. Zeta è il film che definisce una generazione, che la rappresenta in maniera onesta, sincera, ma soprattutto credibi-le. Come Izi, un rapper che sa anche recitare, per evitare di incappare nelle pantomime di attori che sanno anche canticchiare o suonicchiare. Izi è Diego Germini che interpreta Zeta, Izi sorpas-sa facilmente i 2 milioni di views su Youtube, si fa

notare per la sua formula innovativa, ma soprat-tutto per il carisma fotogenico. Quando il regista Cosimo Alemà lo contatta è già un wünderkid (ragazzo prodigio) della scena, è sicuro di quello che dice e di come lo dice, e il passo da Youtube al grande schermo non sembra così grande.Se Izi rappa bene, Diego Germini recita ancora meglio, e il paragone non è tanto 8 Mile di Emi-nem quanto The Blues Brothers, con la differen-za del genere: John Landis ha fatto una comme-dia coinvolgendo artisti storici, Cosimo Alemà un film drammatico con Salmo che interpreta un regista, Fedez un localaro, Tormento un prete, Salvatore Esposito (Genny Savastano) un rapper già avviato, J-Ax la coscienza. Con il resto del cast che sembra un festival hip hop: Clementino, Ensi, Briga, Baby K, Lowlow, Ran-core, Shade, Noyz Narcos, Shablo, Metal Carter e Rocco Hunt.La prima preoccupazione da parte della produ-zione e della regia è stata proprio quella della credibilità, fondamenta sulla quale ruota tutto il genere. Se non lo sei, credibile, non puoi far parte della scena e non puoi rappresentarla. In realtà, guardando Zeta, questo problema non si pone: perché già dal primo fotogramma in cui vediamo Salmo sul palco, accettiamo tutto come fosse la realtà. Le barriere tecniche si abbassano lasciando campo aperto all’emozione, e per l‘ul-tima battle contro l’invincibile Ensi assicuratevi un posto in sala appartato se volete mantenere la vostra di credibilità.

IL FILM

Alex-Zeta, cresciuto nella periferia romana tra lavoretti e piccolo spaccio, si trova cata-pultato nel mondo del rap ma la notorietà lo fagocita. Protagonista del film musicale Zeta, diretto da Cosimo Alemà, è il giovane rap-per di Cogoleto Diego Germini, nome d’arte Izi, assieme all’attrice Irene Vetere (in primo piano nella foto in alto). Nelle sale dal 28 aprile.

Page 57: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

5730 aprile 2016

Ma se scontro generazionale deve essere, Zeta ha il compito di cavalcare i nuovi linguaggi spazio-temporali, allungare il respiro e sconfinare nella serie tv per rispondere con le rime a Vinyl, perché quella frontiera punk che conviveva con la disco music di fine anni 70 a New York City, è la stessa che mette difronte il rap dal basso con quello im-posto dai talent. Come Zeta capirà presto, se cer-chi la celebrità hai una scadenza appena sotto il codice a barre che ti identifica come prodotto; se invece miri alla popolarità, sarai immortale.Come ci siamo arrivati a questo punto e perché sarà il rap a definire lo scontro generazionale? Una risposta arriva da Numero Zero - Alle Ori-gini del Rap Italiano (uscito a dicembre 2015, online da 10 euro), documentario che racconta le gesta, le motivazioni e le ingenuità dei pionie-ri del genere in Italia. Ci sono le Posse degli anni 90, i centri sociali, la politica, il sociale e Neffa, che lascerà il testimone alla seconda ondata ca-pitanata da Fabri Fibra e Modo Marcio. I secon-di sono sempre più svegli dei primi e capiscono che per coinvolgere l’ascoltatore digitale (quello dei primi anni 2000) devi andare sul personale; così iniziano a raccontare i propri problemi, le ansie, quanto sono sfigati ma anche quanto rie-scono a farti il culo se non stai attento.Poi è arrivata la terza ondata con tutti questi “cosi colorati” che hanno abbandonato il sociale per il social, hanno unito il rap al pop, compon-gono come David Guetta e sfruttano le nuove

Quando il rapha iniziato

a usare il ritmo dell’elettronica e a contestare,

i testi hanno acquisito spessore

e velocità. Lo spessore

è il generee la velocità

è l’immediatezza con cui le parole

ti colpiscono

correnti di musica elettronica (adesso è la trap). Ma la cosa più importante è il culto della perso-nalità, che coltivano a propria jpeg e somiglian-za; non è un contenitore vuoto però, non siamo negli anni 80. I nuovi MC’s scuotono coscienze, entrano nel politico, partecipano ai talk show come esperti, hanno un ruolo in televisione, ma non si vergognano di cantare dell’amore.Nel frattempo ci siamo, in parte, de-americaniz-zati, e adesso è più normale ascoltare musica in italiano, ma solo se dall’altra parte c’è qualcuno che ha qualcosa da dire; le barre del rap sono il luogo perfetto per argomentare il proprio disa-gio e descrivere quello degli altri. Le nuove gene-razioni poi sono più aperte e tollerano la diffe-renza dei generi, talmente tanto da averli quasi uccisi: una sorta di transgenderismo musicale.Il rap è diventato grande quando ha smesso di rubare i ritmi dai brani funk e ha iniziato a com-porre? «Questo grande cambiamento inizia nei primi anni del nuovo secolo quando l’onda del-la musica elettronica stava crescendo a dismi-sura», spiega a Left Cosimo Alemà, intervistato non tanto come regista di Zeta quanto come sociologo culturale giovanile. «Ma il mondo che creava tendeva a freddare i cuori più che a scal-darli, era un mondo enorme che ha finito per chiudersi in se stesso. Il rock non riusciva più a essere un mezzo di comunicazione per i ragaz-zi, era invecchiato diventando un genere per adulti. Così quando il rap ha iniziato a utilizzare il ritmo dell’elettronica e a contestare, come fa-ceva il rock quando era giovane, ecco che i testi hanno acquisito spessore e velocità. Lo spessore è il genere, e la velocità è l’immediatezza con la quale le parole ti colpiscono. E finalmente una generazione ha nuovamente voluto far parte di un movimento».

© M

atte

o Gra

ia

Page 58: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

58 30 aprile 2016

Oggi spopola il cibo figlio del capitalismo, delle mode, delle regole.Di contro, resiste una cucina intesa come sapere diffuso. Il dj

e food performer Don Pasta ce la racconta nel suo Kitchen Social Club

di Don Pasta

Storie e ricettedi cibo senza padroni

l cibo è morto. Nell’accezione che si è avuta per millenni e sino al ’900 quella nozione di cibo non esiste più. Non esiste il cibo di sussistenza, il rapporto simbiotico uomo-natura, e non esiste più il patrimonio culinario popolare all’origine della cucina italiana, intesa come sapere diffu-so. Esiste ora un cibo figlio del capitalismo, delle mode, delle regole, che al primo si contrappone. Scompaiono nei fatti i contadini, i pescatori sostituiti da produttori che forniscono la gran-de distribuzione. Il mutamento è sostanziale e fa paura. In questo libro esiste dunque uno spartiacque nitido tra le forme contemporanee di intendere il cibo e le forme di resistenza di cui si ha un assoluto bisogno. Ci siamo dun-que ritrovati di fronte a una urgenza. Abbiamo lanciato tanti messaggi in tante bottiglie per chiedere aiuto, per sapere se ci sia ancora gente che tenga al senso profondo del cibo, e se esista ancora il tema dell’etica, della responsabilità in ciò che si produce e si cucina. Per farlo ci siamo messi diligentemente a cercare in tutta Italia, in ogni angolo recondito e ci siamo rassicurati. Abbiamo trovato cuochi, contadini, pescatori, distributori, reti solidali, migranti, consumato-ri, ristoranti, osterie, spazi occupati che messi insieme costruiscono una rete molto ampia di resistenze. Siamo in tanti, infinitamente tanti a credere che mangiar bene, dar da mangiar bene, sia un atto di militanza quotidiana, con pochi giri di parole, fatta di gesti spicci e di tan-ta integrità.

Abbiamo iniziato a cercar forme di resistenza e continueremo a farlo.

Yogurt Ci sono certe storie che sembrano inventate o frutto di fantasia, tanto sembrano poco verosi-mili. Un ragazzo parte per ragioni probabilmente dolorose dalla sua terra e dopo un viaggio dram-matico arriva in una terra inospitale. Gente che ha fatto un viaggio infinito per cercare speranza, rischiando tante volte la morte, accettando le peg-giori ingiustizie, che si ritrova a rivoltarsi alla ma-fia, lui solo in mezzo a tanti impensabili complici italiani, nel momento in cui la loro cifra di uomini scende sotto lo zero. Ecco che cos’è quel mondo chiamato caporalato, la riduzione della persone a esser meno di esseri umani. Questo è ciò che succede in gran parte delle campagne. Ma poi la vita è strana. Che ha da portare un migrante con sé? Un sapere ancestrale nel fare le cose, un lega-me con pratiche antiche, la consapevolezza che esiste un modo forse più equilibrato di coesistere tra uomo, terra e i suoi prodotti. Questo mistero dell’ancestrale spesso rischia di confondersi con l’arretratezza. Ad esempio gli yogurt che vanno dati ai nostri figli sono sicuri, garantiti, certificati. Ma magari non sanno di niente, che già è uno dei primi criteri che salta quando la garanzie sanitarie diventano prioritarie rispetto alla garanzia che un prodotto abbia un buon sapore. Va da sé che per aver un buon sapore il latte deve esser buono, i fermenti lattici lo devono essere, la pastorizzazio-

Page 59: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

5930 aprile 2016

ne deve esser fatta senza uccidere tutti i principi attivi che rendono vivo un prodotto. Il ragazzo e i suoi amici questo hanno portato da lontano, un saper fare le cose in equilibrio con il tempo. Ecco perché l’odissea drammatica di alcuni di-venta una opportunità per tanti: per loro in pri-mis, che hanno salvato la loro vita, e poi per chi compra. Dal momento in cui assaggiano quello yogurt si accorgono della differenza gigantesca tra uno yogurt fatto in serie e uno yogurt fatto da persone appassionate.

PaneL’origine di ogni cosa, il pane. Origine dell’ali-mentazione, origine del rapporto dell’uomo con la natura nel momento in cui l’assemblaggio di due elementi, farina e acqua, si trasforma in al-tra cosa, grazie all’opera dell’uomo. È come se ne fosse metafora, perché c’è questa cosa della vita. O me-glio ci dovrebbe essere que-sta cosa della vita, se esistesse un lievito con una vita dentro. Pare ne esistano di secolari di lieviti madre. Ma ora il lievito è in bustina e poca vita ha in sé. Per non parlare della farina per il vostro pane nell’epoca delle allergie. Poi il grano, che grano? Con che sementi? C’è qualcuno che dall’altra parte del mondo ti dà un seme che ti garantisce una resa maggiore, che basta innaffiarlo tanto ma tanto, poi ti dice quando mettere la profilassi, quando mettere la medicina e tutto andrà per il meglio. Nel frattempo la volpe, amico del gatto che ti vende il seme, ti dice che quell’antica pratica dell’uomo di conservare sementi non è corretta perché non è tracciabile, perché quel grano che tu e i tuoi avi avete osservato mutare nella tua campagna per decenni e secoli, non è cataloga-bile tra le specie utilizzabili. Serve ordine nella campagna, quindi tu solo quel seme che arriva da lontano, vuoi o non vuoi, dovrai usare.Questo è il conflitto, radicale, storico, non ne-goziabile, tra chi fa il pane buono per i propri figli e chi obbliga in un modo o nell’altro a dare del pane cattivo ai propri figli. Ma visto che un tempo per il pane si facevano le rivolte epocali, alcuni hanno iniziato a farla piano piano, dol-cemente, con un profumo di lievito che non si dimentica.

Erbe selvaticheQual è la salvezza della cucina italiana? Cosa ha sostentato i nostri avi? In tanti, tantissimi potevano raccogliere erbe selva-tiche perché, proprio da selvati-che, a nessuno appartengono se non alla terra che ne dà origine. Ma quali erbe prendere? Una

qualunque? Assortendole? E come? C’era un pro-fessore dell’università a spiegarlo agli affamati? O sarà stato forse il contrario? Un professore univer-sitario che chiede a degli ignoranti, analfabeti a saper a cosa serva una pianta? E loro che sapeva-no, come lo sapevano? Attraverso l’osservazione di come il corpo reagiva? Questi trogloditi defini-vano dunque le proprietà di una pianta attraverso il rapporto tra territorio, terreno e corpo umano? Degli sciamani, dunque. E come la catalogavano? Su un libro? Oralmente? Cioè c’era qualcuno che si prendeva la briga di conservare nella propria memoria tutti i principi benefici di ogni pianta e scambiava tale informazione con il vicino per avere, come comunità, la più ampia catalogazio-ne possibile? E nessuno che questo sapere se lo facesse pagare oro! Perché di fondo, basterebbe provarla, almeno una volta, l’esperienza di rac-cogliere una e tante erbe e mangiar solo quella e accorgersi che il corpo, lo stomaco, reagiscono emozionati, sentono una eccitazione, un senso di pulizia. Ecco cosa è il mangiar erba per un uomo. Un atto enciclopedico.

Visto che un tempo per il pane si facevano le rivolte epocali, alcuni hanno iniziato a farla piano piano, dolcemente, con un profumo di lievito che non si dimentica

IL LIBRO

Kitchen Social Club. Manifesto dei cuochi, del cibo e delle cuci-ne sociali e popolari. Storie & ricette, edito da Altreconomia a cura di Don Pasta, è un “libro di cucine”. Un manidesto dedicato a chi ama il cibo per quello che do-vrebbe essere: non una merce ma un patrimonio comune.25 storie di cibo senza sfruttamento e accessi-bile a tutti, dalle arance allo zafferano; 25 ricette di cuochi resistenti e cu-cine popolari, di osterie a filiera corta e trattorie meticce; 25 racconti di contadini militanti e di prodotti “genuini e clandestini”.

© Pidjoe/iStock

Page 60: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

60 30 aprile 2016

TEATRO LIBRI

L’universo beckettiano di

Scimone e Sframeli

Quando il sessoè strumentodi dominio

l corpo nudo non dà più scandalo, non è più una forza sovversiva. Dovun-

que esibito e mercificato. Con Salò (1975), film terminale e disperatamente didascalico, Pier Paolo Pasolini intuì una verità del genere, che poi riaf-fora negli scrittori “cannibali” alla metà degli anni Novanta. Eppure si tratta di una veri-tà unilaterale. Il corpo infatti continua oggi a oscillare tra mercificazione e conoscenza, tra gestione dell’apparenza e incontro reale con l’altro. Di cosa parliamo quando parliamo di sesso? I racconti di Elena Bibolotti, impren-ditrice nel Web e nella di-dattica musicale, La pioggia dorata (Giazira, prefazione di F. Abate) mostrano quanto il sesso possa essere ancora uno strumento conoscitivo fondamentale. Già a partire dal titolo mettono in scena una galleria di ritratti (soprat-tutto di donne) e un variega-to repertorio di perversioni sessuali, con una descrizione insolitamente precisa, iperre-alistica - e dunque straniata - degli organi sessuali. Però il loro centro semi sommerso è

A Bologna e a Milano una imperdibile retrospettiva del

celebre duo siciliano

Nei racconti Elena Bibolotti indaga

i naufragi del rapporto con il diverso da sé

di Massimo Marino di Filippo La Porta

S I embra sempre di essere di fronte allo stesso spettacolo nel

teatro di Spiro Scimone e Francesco Sframeli. Eppure ogni loro lavoro intona note singolari, infantili, strazian-ti, “metafisiche”. Bene han-no fatto a Bologna Arena del Sole e Soffitta a presentare quattro opere di questi atto-ri-autori, le due del debutto, Nunzio (1994) e Bar (1997) in dialetto messinese, l’ulti-

ma, Amore, la recente Pali. Firmate tutte da Scimone, brevi, epigrammi dell’in-quietudine, passano dall’i-perrealismo di facciata degli inizi a un apparente surre-alismo. In realtà indagano a fondo l’essere umano, le sue fragilità, le inconsisten-ti ineliminabili speranze, le malinconie, le immedicabili ferite. I discorsi quotidiani, usurati, ripetitivi aprono crepacci interiori e sociali dove si può solo precipitare, cercando per salvarsi piccoli futili appigli. Se in Nunzio e Bar siamo in poveri trascu-rati interni specchio delle anime, in Pali (con Gianluca Cesale e Salvatore Arena) i colori si fanno addirittura da pittura manierista: due personaggi appollaiati su legni che sembrano croci rovesciate dialogano con altri reietti precipitati da un mondo senza senso, senza speranza. In Amore (con Gianluca Ce-sale e Giulia Weber) un vec-

chio e una vecchia blatera-no sperduti su una tomba, di fianco a un’altra tomba, davanti a cipressi di fiaba. Irrompono due altri anziani amanti segreti, un pompiere e il suo comandante, come sempre pronti a spegnere le fiamme indomabili del-la passione. Tutti ricuciono il passato dalla prospettiva del decadimento fisico, dei pannoloni da cambiare, del-la morte vicina, con qualche vaga rabbia o rassegnazione, con le parolacce che non si aveva il coraggio di dire, con l’oblio che dilava. Le tombe diventano letti, mentre le frasi, i ricordi, i lapsus si ripetono in loop che somigliano a quelli della ba-nale vita ormai lontana, delle occasioni sprecate, sprofon-dando in un crepuscolo che diventa buio della morte. Ti stringe allo stomaco questo spettacolo con i suoi fuochi fatui di parole di amore, echi lontani di vite perdute. All’El-fo di Milano dal 2 maggio.

Page 61: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

6130 aprile 2016

ARTE

Sulle rotte della scrittura

etruscaLa stele di Poggio

Colla e la mostra di Cortona realizzata

con il Louvre

di Simona Maggiorelli

Imedia hanno subito para-gonato la scoperta dell’i-scrizione etrusca di Poggio

Colla a quella della stele di Ro-setta (il blocco di basalto tro-vato dall’esercito napoleonico al delta del Nilo e che permise di decriptare la scrittura ge-roglifica). Certo è che questo reperto etrusco riemerso, a fine marzo, non lontano da Fi-renze è un testo insolitamen-te lungo e non di argomento funerario, diversamente dalla maggior parte dei frammen-ti di scrittura etrusca arrivati fino a noi, perché protetti e conservati in tombe ipogee. In questo caso si tratta di una pietra arenaria alta un metro (pesa più di 200 kg) che era posta alla base di un tempio; «probabilmente veniva espo-sta come simbolo di autorità» ha ipotizzato Gregory Warden del Mugello Valley Archaeolo-gical Project, che l’ha riporta-ta alla luce. La speranza è che possa aiutare gli studiosi ad ampliare la conoscenza del vocabolario etrusco, offrendo nuove chiavi di accesso a una lingua, che, in forma parlata e scritta, fra il VII e il I secolo a.C. ebbe larga diffusione nell’area del Mediterraneo. La maggior parte dei testi etruschi erano su supporti leggeri come lino e papiro, dunque facilmen-te deperibili. Sappiamo però

altrove, e ci trasmette una ve-rità dell’eros, vicina a un teo-rema caro al Pasolini di Petro-lio: “possedere” coincide con il “Male” (si possiede sempre qualcosa di limitato), mentre “essere posseduti”, per quan-to possa implicare dolore e umiliazione, è l’unica espe-rienza possibile del “Bene”. E lo fa creando personaggi vivi, credibili, immersi nel loro quotidiano. L’eros auten-tico è abbandono all’altro, rinuncia a qualsiasi presa, a qualsiasi volontà e progetto. Prendiamo il racconto forse più bello e concentrato: “Il serpente piumato”. Valeria, manager spietata e “caccia-trice di teste” nelle aziende, mai un dubbio o una distra-zione, si diverte a rimor-chiare ragazzi, a dominarli, a spremerli e gettarli via: il ses-so «l’aveva tenuto nell’hard disk della propria esistenza, infilandolo però nelle utility». Poi succede che il giovane Pablo filma la loro relazione di nascosto e la ricatta. Non vuole soldi da Valeria, come lei aveva sperato, ma ciò che lei ha di più caro, «il suo mondo solitario e buio».

che gli etruschi avevano una letteratura magico-religiosa, con testi di aruspicina, di arte divinatoria basata sulla lettu-ra delle viscere degli animali oppure dei fulmini, ma man-cano testimonianze letterarie vere e proprie. Non fecero in tempo a produrre una propria letteratura? È stato poi il do-minio romano a cancellarne le tracce? Tante sono le ipotesi suggestive e altrettante le do-mande che aspettano anco-ra una riposta documentata. Per continuare la ricerca, in attesa di conoscere i risultati delle analisi degli etruscologi sulla stele di Poggio Colla ri-salente al 500-550 a.C., parti-colarmente interessante ci è sembrata la mostra dal titolo Gli etruschi maestri di scrit-tura aperta fino al 31 luglio nel Museo dell’Accademia etrusca di Cortona e realiz-

zata in collaborazione con il Louvre e il Museo Henri Pra-des di Lattes. Proprio grazie a questa sinergia è stato pos-sibile per il museo della città di Cortona ottenere prestiti importanti come le lamine di Pyrgi (in foto) e la mummia di Zagabria: un manuale rituale scritto su una lunga striscia di lino che fu riciclato come ben-da di una mummia femminile in età tolemaica. Quel testo religioso si pensa fosse ap-partenuto ad alcuni etruschi vissuti ad Alessandria d’Egitto. Queste rare testimonianze di epigrafia etrusca, insieme ad alcune sculture e a raffinati vasi dipinti compongono un percorso espositivo che, in modo suggestivo, lascia in-tuire quanto la cultura etru-sca fosse diversa e lontana dall’impostazione razionale greco-romana.

Page 62: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

62 30 aprile 2016

BUON VIVERE START UP

La zuppa di cipolleche saziava

il Re Sole

In Finlandia niente muri. I migranti

sono una risorsa

uigi XIV, le roi Soleil. A partire dal XVII seco-lo la Francia divenne

patria indiscussa del buon mangiare e della gastrono-mia. Contributo che venne anche dai regnanti e soprat-tutto dal Re Sole, così come scrive Giovanni Ballarini ne Il libro dell’anno 2003, enciclo-pedia Treccani. «Già Luigi XIII se ne dilettava e si era spe-cializzato nel cuocere in vari modi le uova, ma un enorme sviluppo alla gastronomia fu dato soprattutto da Luigi XIV, il cui appetito formidabile è testimoniato da numerosi au-tori: il suo pasto tipo si com-poneva di tre piatti di zuppa, un fagiano, una tortora, due costolette d’agnello, un piatto di prosciutto, dolci e frutta, e ancora più abbondanti erano i suoi pranzi di corte che ar-rivarono a comprendere da venti a trenta portate diverse». In questo periodo si diffusero anche piatti nuovi come «la salsa spagnola e i piselli, e i prodotti provenienti dall’O-riente e dall’America, fra cui caffè, cioccolato, tè. Luigi XIV diede anche notevole impul-so al consumo della verdura e della frutta». Nell’imbarazzo della scelta, prepariamo con qualche variante la rinomata in Francia soupe à l’oignon, ovvero zuppa di cipolle.

nato nel settembre del 2015. E oggi, Startup Refugees raccoglie nel

suo network più di 350 spon-sor fra aziende locali piccole e grandi, imprenditori, busi-ness angels, associazioni che lavorano con migranti, istitu-ti di ricerca e media. Tra que-sti, la finlandese Supercell, Microsoft, il ministero degli Interni finlandese e il Servi-zio Immigrazione finlandese, così come diverse comunica-zioni e agenzie di Pr, universi-tà e istituti di ricerca. Le gran-di aziende donano denaro, le piccole imprese e gli esperti di business il loro tempo. Lo scorso anno il progetto è stato attivato in due distretti e a gennaio di questo, è pre-sente già in cinque distretti e sei centri di accoglienza. Inoltre è stata lanciata una piattaforma web di servi-zi per l’impiego e nel corso dell’anno ai migranti verrà

Al Roi Soleil si deve lo sviluppo della

cucina e della gastronomia francese

Mentre Svezia e Austria chiudono, in Finlandia spopola

Startup Refugees

di Francesco Maria Borrelli di Sophie Duras

L ÈIngredienti per 4: cipolle bianche 800gr; burro 120gr; farina 60gr; brodo 1,5-2 l; vino bianco; groviera 150gr; pane 4 fette; sale; peperoncino.Fate sciogliere sul fuoco il bur-ro in padella, aggiungete le ci-polle affettate sottili e lascia-tele rosolare qualche minuto. Aggiungete a pioggia la farina e mescolate parecchio per farla assorbire. Sfumate con poco vino bianco e aggiun-gete subito e poco alla volta il brodo (casalingo o di dado). Regolate di sale e peperonci-no e cuocete a fiamma bassa per una mezz’oretta. Mettete le fette di pane abbrustolito in 4 tegami di terracotta, versate la zuppa, sopra la groviera a fette sottili e gratinate in for-no a 180 °C.

Vino consigliato: Sassone-ro, Doc Colli Euganei Merlot, azienda agricola Ca’ Lustra. «È il nostro vino più venduto, 100% Merlot, matura tre anni in rovere prima di essere im-bottigliato. Ne amo il colore intenso e sorseggiandolo an-che da solo riscoprire l’evo-luzione dei sapori con note calde, speziate e persistenti al palato. Tipicità e tradizione euganea sono anche in eti-chetta con l’antico alfabeto locale», racconta Linda Zano-vello dell’azienda di famiglia.

data l’opportunità di portare la propria idea in incubatori d’impresa e ricevere fondi e finanziamenti per avviarla. L’obiettivo è quello di trasfor-mare i centri di accoglienza in luoghi vivi. Gestiti dagli stessi richiedenti asilo, dove circo-lano idee e saperi e nascono nuove attività imprenditoria-li supportate dal network di Startup Refugees. Ad oggi nei centri di accoglienza sono state inaugurate lavanderie, scuole, asili nido, un negozio di tessitura di tappeti e un media center. Così, mentre Svezia, Danimarca e Austria hanno attivato misure che li-mitano il trattato di Schengen (inclusi nuovi muri), la Fin-landia ha deciso di fare ben altro. E per confrontarsi con il numero sempre crescente dei richiedenti asilo e creare nuo-va occupazione, ha deciso di ripartire proprio dai centri di accoglienza, costruendo il network no-profit (ideato dalla GimmeyaWallet Pro-ductions Ltd) per supportare l’occupazione e l’imprendi-torialità dei richiedenti asilo o anche, semplicemente, per aiutarli a connettersi con il mercato lavorativo locale in-fondendo, al tempo stesso, nuova linfa. L’obiettivo è an-che cambiare la percezione pubblica nei media dei rifu-giati. Uno dei fondatori ha dichiarato: «Spesso si parla di loro come degli animali, dimenticando che sono solo persone diverse da noi e per-sino tra loro».

Page 63: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

6330 aprile 2016

Il giro del mondo a ritmo d jazz

Dall’Emilia di Ghirri Forografia Europea

APPUNTAMENTI

Ravenna - Un vero mappa-mondo del jazz va in scena a Ravenna jazz dal 2 al 14 mag-gio con i Take 6 dagli Usa e dalla Repubblica Dominicana Michel Camilo, viaggiando poi via via verso Israele con Avishai Cohen e il Portogallo di Carmen Souza (in foto). E molto altro. Qui il programma. www.ravennajazz.it

Reggio Emilia - Come sem-pre ricca di mostre e incontri Fotografia Europea 2016, dal 6 maggio al 10 luglio ruota attorno al tema La via Emilia. Strade, viaggi, confini: una ri-flessione sul tema della strada. A partire dall’opera collettiva sul paesaggio che fu curata da Luigi Ghirri, nel1986. www.fotografiaeuropea.it

Bologna - Al Mast, dal 4 mag-gio, la Romagna raccontata da 200 scatti di 16 grandi fo-tografi. Fra i quali Lewis Baltz, Gabriele Basilico, Olivo Bar-bieri e Walter Niedermayr. E poi le foto industriali delle Of-ficine Minganti e alcune foto-grafie di scena dal film Deser-to rosso di Antonioni (in foto).www.mast.org

Sesto Fiorentino - L’istituto Ernesto de Martino festeg-gia i 50 anni con la rassegna InCanto dall’1 al 28 maggio, ricreando il canzoniere italia-no con nuovi talenti perché il viaggio continui. Accanto a nomi storici come Giovanna Marini (in foto) ci saranno, per esempio, Marco Rovelli e Rita Marcotulli. www.iedm.it

Bologna - Torna dal 3 all’8 maggio, a Bologna, il Future film festival diretto da Giuliet-ta Fara e Oscar Cosulich. Tema d’indagine della XVIII edizio-ne è Welcome aliens! questio-ne cardine in un momento storico in cui l’accoglienza come valore, diritto e dovere, è al centro del dibattito. www.futurefilmfestival.org

Udine - È Martin Caparros (in foto) con il libro inchie-sta Fame (Einaudi) a vincere il Premio Terzani 2016. Che nasce nell’ambito del festival Vicino/Lontano in program-ma dal 5 all’ 8 maggio. Tra gli ospiti Farhad Khosrokhavar, Stefano Allievi, Guido Crainz Riccardo Staglianò e moltissi-mi altri. www.vicinolontano.it

Venezia - Per il 30simo anni-versario dalla sua partecipa-zione alla Biennale del 1986, dove vinse il Leone d’Oro, Palazzo Grassi ospita la pri-ma retrospettiva italiana di Sigmar Polke, organizzata in collaborazione con The Esta-te of Sigmar Polke e curata da Elena Geuna e Guy Tosatto. www.palazzograssi.it

Rovigo- “Ama quello che fai”. Con questo motto prende il via la III edizione di Rovigorac-conta, il festival dei libri, della musica e del teatro organizza-to dall’associazione culturale Liquirizia e ospitato dal 5 all’ 8 maggio dalla città veneta. Con un pieno di scrittori da Chiara Moscardelli a Salvatore Stria-no. www.babelagency.it

Le foto di scena di Antonioni al Mast

L’Istituto De Martino festeggia 50 anni

Benvenuti alieni! Torna il Future Film Festival

Le voci dell’inchiesta Vicino/Lontano

Tutto Sigmar Polke a Palazzo Grassi

Tutte le strade dell’arte del racconto

Cour

tesy

Bib

liote

ca P

anizz

i. Ph.

Luig

i Ghi

rri, S

assu

olo,

1985

Page 64: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

64 30 aprile 2016

Il calore di primavera aveva reso liquida e trasparente l’indifferenza per il mondo che aveva verniciato la pelle da quando erano giunte le parole nuove che ripensava-no la realtà della nascita umana. Andai nella terrazza per

immergermi nel fogliame e mi avvicinai alla ringhiera guar-dando in alto, lontano dove la foresta del Gianicolo fermava la vista che voleva andare... all’ultimo orizzonte.

Lo sguardo si abbassò e, come la punta di una linea pene-trò la superficie della terra e vide il tempio della dea Fortuna che i romani avevano costruito più di duemila anni fa. Come se lo studio non fosse protetto dalle pareti di vetro entrò una folata di caldo e investendo un libro lo aprì, le pagine vola-rono poi si distesero come se fossero ante di finestre aper-te e restarono immobili. Leggo il nome: Montale: “forse un mattino...” e le linee nere delle righe scritte si dissolsero in un insieme di punti invisibili diventando una nuvola bianca senza confini.

Nella nebbia, come il miope che vede soltanto da vicino, chino la testa sul piano della scrivania e, toccando gli oggetti, riesco a riconoscere la penna. Sul foglio bianco, che è come un muro impenetrabile, la mano scrive: “un mattino andan-do...” e non si ferma. Riscrive: “forse un mattino andando...un mattino andando...”. Lascio la penna inerte sul piano della scrivania come se, ammalata, non sapesse più scrivere.

Lascio andare la colonna vertebrale sullo schienale della poltroncina e vedo l’aria limpida delle settimane passate quando, andando in un pomeriggio verso l’orizzonte dove si immerge il sole rosso, compare nella mente “Sempre caro mi fu quest’ermo colle...”. Ed il pensiero, che riuscì ad essere parola uscendo dalla gola tentò, tremando, di ricor-dare “...interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissi-ma quiete...”.

Correva poi veloce il tempo che non si misura ed il ricordo della lezione del 2005 a Chieti, sparì e venne il torpore del-la coscienza che ondeggiò nella memoria di settanta anni fa quando ormai solo, camminando, aspettavo che emergesse un pensiero che non era “...l’inganno consueto”. Leggevo Le-opardi ma ripetevo i versi letti e, senza ricordare, penso che le mie parole non avevano il suono degli scritti silenziosi.

Vennero nella mente le parole: fantasia di sparizione, in-conscio mare calmo ma la memoria mi ricorda che, per tan-to tempo, mi accusai di non essere me stesso perché mare calmo era una figura del ricordo cosciente. Sapevo che il ter-mine ricreazione chiedeva la memoria di una realtà passata, scomparsa.

Mi emendai quando pensai di dire: memoria dell’espe-rienza vissuta. Ma il feto non ha “esperienze”! e dissi: me-moria della sensazione avuta. Vidi che, con queste ultime parole si poteva parlare di trasformazione della realtà bio-logica senza mente in realtà non materiale. Poi non dissi più trasformazione ma creazione della realtà biologica umana.

Un giorno la Fortuna e il Caso, ovvero il movimento del-la natura, che è realtà materiale, fecero aprire alla mano il libro che, chiuso, nascondeva Il mercante di Venezia di Sha-kespeare. Lessi: Tell me, where is fancy bred/ or in the heart or in the head? / How begot, how nourished? / Replay, replay. / It is engender’d in the eyes, / With gazing fed; and fancy dies / In the cradle, where it lies.

Ma questa è la fantasia di sparizione! esclamai nella soli-tudine del piccolo studio dove facevo le analisi individua-li. Avevo già da tempo realizzato la definizione dell’istinto di morte come pulsione di annullamento che, alla nascita esiste ma non c’è, emerge in coloro che hanno perduto la vitalità. Subito sintetizzai i versi di Shakespeare con le pa-role italiane: nasce negli occhi e muore nella culla dove nasce. Poi respinsi sempre “l’inganno consueto” che non parlava di fantasia ma traduceva fancy bred con amore.

Tante volte, in cinquant’anni, le parole di Shakespeare tornavano sempre e la coscienza cercava di trovare i termi-ni per dare, in italiano, alla realtà del corpo la verità delle parole: nasce e muore. E fantasia di sparizione era eterna-mente scontenta di se stessa ma sembrava sempre che non esistevano altre parole per dire i due opposti: vita e mor-te. Sentivo che il rifiuto dell’ideologia balorda che gli esseri umani sono tutti, per nascita, pazzi era grande.

Si fermò quella creazione spontanea, naturale, l’Analisi collettiva. Tanti mi chiesero l’interpretazione dei sogni ed io vidi che si poteva realizzare che gli esseri umani abban-donassero l’identità professionale, sociale e familiare per realizzare in se stessi l’umano con le sue possibilità. Iniziò l’interpretazione dei sogni che non era più la ricerca del ri-cordo cosciente.

La seduta era pubblica e tutti potevano ascoltare e vedere la dialettica tra psichiatra e paziente che non c’era mai stata nella storia della psicoanalisi che non aveva avuto mai pen-sieri sul cosiddetto inconscio. Fu ed è sempre la ricerca della realtà mentale “inconoscibile” in cui, alla descrizione di un sogno, rispondeva la rivelazione con le parole trasformate e nuove del pensiero del linguaggio delle immagini.

TRASFORMAZIONE

non è uguale in tutti i poeti

La fantasia di Leopardi, realizzando la solitudine,crea parole nuove che parlano del misterioso silenzio della nascita

Montale scrivendo: nulla, vuoto, terrore non crea parole nuove

Il risveglio

Page 65: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

6530 aprile 2016

Massimo Fagioli psichiatra

Ven-gono,

all’alba, “tra le chiu-

se imposte per lo balcone

insinuava il sole” “interminati spazi,

sovrumani silenzi, pro-fondissima quiete”. Non si

odono e non si vedono, sono soltanto “simulacro di colei che

amore prima insegnommi e poi lasciommi in pianto”. È la seconda

grande stazione della vita umana, la se-parazione da colei che ci aveva riscaldato

e nutrito fermando il destino della morte. Ma il pensiero cosciente, sento, è grosso e bana-

le come se non fosse separato dal ricordo delle parole udite. So che “ermo colle” non ha la figura

del ricordo ma parla di una realtà uguale a Il Passe-ro solitario. Illuso e felice penso al ’98 e il mio giungere

nella soffitta abbandonata. Si aprirono alla mente… “altri orizzonti”.

Giungevano, al risveglio dal sonnellino pomeridiano, le altre parole di Amleto, sempre ripetute da tutti cui nessuno aveva dato un senso. È la trasformazione, pensai, dei termini: vita e morte. E torna felice la parola fantasia di sparizione che ha in sè, insieme, la pulsione che fa la menzogna della pulsione di annullamento: il mondo non esiste e la realtà biologica umana della nascita.

To be or not to be, diventano essere o non essere. E viene la parola linguaggio. Penso al linguaggio articolato che fa l’identi-tà comune a tutti coloro che appartengono ad un gruppo detto nazione. Torna Montale con il suo “Forse un mattino andando in un’aria di vetro, arida...” e un’altra folata di vento primaverile investe il libro di Leopardi e apre le pagine a Il sogno.

“Era il mattino, e tra le chiuse imposte/ per lo balcone insinuava il sole/ nella mia cieca stanza il primo albore;/ quando in sul tem-po che più leve il sonno/ e più soave le pupille adombra,/ stettemi allato e riguardommi in viso/ il simulacro di colei che amore/ prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto./ Morta non mi parea, ma trista, e quale/ degl’infelici è la sembianza”.

Leggo che sono mattini diversi che, se fanno vedere il termi-ne verbale uguale, in verità l’uno ha un suono che l’altro non ha. In Montale c’è un “Forse” che, in Leopardi è “C’era”. L’uno pensa al futuro e dice “vedrò compirsi il miracolo” l’altro vive il presente e, nel dormiveglia, vede “il simulacro”. È l’immagine di una donna... Kafka dice: “insetto immondo”. Entrambi, con parole diverse dicono “Es war keine Traum”

L’orrore che suscitano i nomi di Freud e Lacan con i loro ter-mini verbali “Das erste Wunschen allucinatorische Besetzen...” in cui l’uno dice che l’immagine è allucinazione ovvero non esistenza del pensiero e l’altro che con Le manque annulla il senso della parola desiderio, sparisce di fronte all’italiano “incomprensibile” di «interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete». Penso, insieme a fantasia di sparizione verso il mondo che fa l’indifferenza, alla parola nuova: ricrea-zione.

I due termini verbali, opposti l’uno all’altro, che crearono la parola nuova che parlava di nascita umana, dopo cinquant’anni, furono rifiutati da dieci o venti parole nuove. Pulsione è non essere nel suo volgersi verso la natura non umana nell’istante in cui la luce giunge sulla sostanza cerebrale della rètina. È simultaneamente, senza tempo, essere nel creare la vitalità che è trasfor-mazione... ricreazione della capacità biologica di reagire del feto, che è senza vita né pensiero.

Diventa sapere senza coscienza e senza immagine interiore dell’esisten-za della realtà materiale del corpo, creare la realtà non materiale della memoria che non è ricordo della percezione dei cinque sensi. Ed alla nascita, che è separazione del corpo dal corpo della donna, non c’è fantasia. Poi, il tempo-movimento fa riapparire “capacità di im-maginare” verso realtà esterne a se stesso quando il bambino crea la linea di fronte all’immagine del suo volto allo specchio e riconosce se stesso. Non è più quello di prima, ha un’iden-tità propria, originale diversa dagli altri.

Il 6 novembre dissi: il neonato, intorno ai nove mesi di vita, “disegna” la linea intorno al volto e riconosce se stesso. È una linea senza larghezza come diceva Euclide. E vengono le parole: creata e non perce-pita... È necessario per ricreare, con la fantasia di sparizione del mondo materiale, la fantasia che ricrea la nascita umana che è pulsione, vitalità, movimento, suono, capacità di immaginare, memoria, certezza che esiste un seno.

Page 66: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

66 30 aprile 2016

IN FONDO A SINISTRA di FABIO MAGNASCIUTTI

Page 67: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI
Page 68: con il contributo di Luca Barbarossa, Maurizio Franzini ... · 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 START UP di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI

210x280,5_IlTest_Istituzionale.indd 1 04/04/16 17:56