Con gli occhi a mandorla

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Sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti. Negli ultimi anni il Giappone e la sua cultura hanno goduto in Occidente di un notevole aumento di popolarità. Mode, tendenze, piccole e grandi manie del postmoderno si sono imposte fra i giovani e in certa misura anche fra gli intellettuali. Il libro è un’agile raccolta di saggi scritti da competenti autori che spiega, con vivacità e rigore, i principali aspetti di quel particolare Giappone giunto in Italia attraverso le sue espressioni pop.

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Con gli occhi a mandorlaSguardi sul Giappone dei c a rt o o n e dei fumetti

— S E C O N D A E D I Z I O N E A G G I O R N ATA —

A cura di Roberta Ponticiello e Susanna Scrivo

P r e f a z i o n e di Luca Raffaelli

Contributi diClaudia Barrera – Giulia Basso – Ilaria Capasso

Max Ciotola – Gianluca Di Fratta – Susanna ImpegnosoGiacomo Leone – Andrea Molle – Marco Pellitteri

Roberta Ponticiello – Cristian Posocco – Susanna ScrivoAlessandro Vegliante – Elena Vitagliano – Yu p a

Lapilli. Culture 2

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I edizione: febbraio 2005II edizione aggiornata: marzo 2007Copyright © Tunué Srl

Via degli Ernici 3004100 Latina – [email protected]

Diritti di traduzione, riproduzionee adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN-13/EAN 978-88-89613-21-4

Progetto grafico e illustrazione dicopertina: Daniele InchingoliGrafica di copertina: Carlo Piscicelli© Tu n u é

Stampa e legatura:Arti Grafiche del Liri SrlVia Napoli 8503036 Isola del Liri (FR)I t a l y

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Indice

Prefazione di Luca RaffaelliIntroduzione di Roberta Ponticiello – Susanna Scrivo

I TV Invaders. Quando gli a n i m e arrivarono in Italiadi Roberta PonticielloI pacifici «invasori»I . 1 Come sopravvivere nella giungla televisivaI . 2 Considerazioni sul piano stilistico

Uno sguardo sulla programmazione degli a n i m e in Giapponedi Roberta Ponticiello e A k i h i ro Ts u c h i y a

I I A n i m e q u o t i d i a n edi Susanna ImpegnosoI I . 1 Famiglie giapponesiI I . 2 A b i t a z i o n iI I . 3 A b b i g l i a m e n t oI I . 4 Divertimenti giapponesiI I . 5 Struttura delle strade e mezzi di trasportoI I . 6 Passeggiando per T ô k y ô

I quartieri più popolari visti negli a n i m eI I . 7 C u r i o s i t àI I . 8 Il linguaggio: come il modo di esprimersi

influenza il comportamento e viceversa

Cibo e m a n g a del Sol Levantedi Giulia Basso

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I I I A n i m e v i o l e n t edi Max CiotolaI n t r o d u z i o n eI I I . 1 I n v a s i o n e

I I I . 1 . 1 Made in US AI I I . 1 . 2 Made in Japan

Parte II I I . 2 Studiare (sul serio) la violenza

I I I . 2 . 1 Tipi violentiI I I . 2 . 1 . 1 Interludio 1: l’anima dei c a rt o o nI I I . 2 . 1 . 2 Interludio 2: la morale è sempre quella

I I I . 2 . 2 Applicare gli schemiI I I . 2 . 3 Luoghi poco comuniI I I . 2 . 4 Giochiamo alla guerra?

Parte III I I . 3 Miti e leggende

I I I . 3 . 1 La verità è là fuori

I V A Est di Oliver Tw i s tdi Marco PellitteriI V. 1 Romanzo sociale, romanzo d’appendice,

romanzo di formazioneI V. 2 Lacrime, B i l d u n g s roman e soap opera

nei c a rt o o n g i a p p o n e s iI V. 2 . 1 A n i m e tratti da classici stranieriI V. 2 . 2 A n i m e di sola ideazione nipponica

ma ambientati in OccidenteI V. 2 . 3 A n i m e di sola ideazione nipponica

e ambientati in GiapponeI V. 3 Conclusioni. La società giapponese, anello mancante

V Pop & Japan: le tante facce della cultura popolare giapponesedi Claudia Barre r aV. 1 Il fenomeno Banana Yo s h i m o t o

e la pop culture di Haruki Murakami

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Quando i giapponesi diedero un’anima ai videogiochidi A l e s s a n d ro Ve g l i a n t e

Pac-Man e i suoi fratelliVideogiochi consigliati

V. 2 Letteratura fra a n i m e, m a n g a, film e d r a m a

Le nipotine di Lady Oscardi Susanna Scrivo

Uno sguardo al cinema giapponesedi Giacomo Leone

Una piccola premessaCinema di oggi, di ieri, Oriente, OccidenteInversioni di tendenza

V I Anime alla modadi Ilaria CapassoPremessa. I m a n g a come espressione popolare del socialeV I . 1 La moda nel manga e nell’a n i m e

V I . 1 . 1 Gli anni Sessanta: minimaghe e minigonneV I . 1 . 2 Gli anni Settanta:

pantaloni a zampa e carrozzerie sgarg i a n t iV I . 1 . 3 Gli anni Ottanta e la moda metropolitanaV I . 1 . 4 Gli anni Novanta e la moda globale

V I . 2 La moda come stato interiore: Ai Ya z a w aV I . 3 La moda in anime e m a n g a, oggiV I . 4 Ancora sul k a w a i i nella modaC o n c l u s i o n i

V I I Anime a scuoladi Susanna ImpegnosoV I I . 1 Sistema scolastico e struttura delle lezioniV I I . 2 Edificio scolastico e organizzazione internaV I I . 3 Le uniformi

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V I I . 4 Rapporti fra studenti e vita scolastica quotidianaV I I . 5 Fantasmi e prove di coraggioV I I . 6 I clubV I I . 7 Sport e rappresentazione drammaticaV I I . 8 Esempi di manga e a n i m e s p o r t i v i

V I I I Dèi, dèmoni, angeli e messiadi Yu p aV I I I . 1 Dèmoni dallo spazioV I I I . 2 Deus sive NaturaV I I I . 3 Satana a T ô k y ôV I I I . 4 Te c n o a p o c a l i s s i

I X La via dei s a m u r a idi Gianluca Di FrattaI X . 1 Il b u s h i d ôI X . 2 S e i s h i n s h u g i: lo spirito vince la materiaI X . 3 G i r i: il senso del dovereI X . 4 G a m a n: il sacrificio di séI X . 5 Ideali e virtùI X . 6 Spirito di gruppoI X . 7 Uomini soli

Morire per un gruppo che ci odia…di A n d rea Molle

X L’impero dei disegnidi Cristian Posocco

L’e m a k i m o n o, antenato del m a n g adi Elena Vi t a g l i a n o

X I Manga e a n i m e a confrontodi Elena Vi t a g l i a n oX I . 1 Due forme di comunicazione a confronto

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X I . 1 . 1 L’arte della sequenzaX I . 1 . 2 L’arte delle immagini disegnate dinamiche

X I . 2 Genesi operativa di due forme espressiveX I . 2 . 1 Nascita di un m a n g aX I . 2 . 2 Lavorazione di un a n i m e

X I . 2 . 2 . 1 I d e a z i o n eX I . 2 . 2 . 2 Realizzazione pratica

X I . 2 . 3 Il character designerX I . 3 Rapporti fra m a n g a e a n i m e

X I . 3 . 1 Il m a n g a di Oniisama e…X I . 3 . 2 D i fferenze tra il m a n g a

e la versione animata di Oniisama e…

X I I Fumetti e c a rt o o n da Est e da Ovest,una serena convivenzadi Marco PellitteriX I I . 1 Ut disneiana animatio docetX I I . 2 Dall’animazione totale all’animazione (quasi) nullaX I I . 3 Frattanto, in GiapponeX I I . 4 Una breve analisi comparata

X I I . 4 . 1 D i fferenze di ordine storico-graficoSketch e c a rt o o n V S. emakimono e kami shibai

X I I . 4 . 2 D i fferenze di ordine sociolinguisticoe antropologico. Va u d e v i l l e, chalk talk e tipi umani V S. teatro K a b u k i, teatro N ôe idioma multidimensionale

X I I . 4 . 3 D i fferenze di ordine semiotico-comunicativoEnfasi verbale d’impostazione teatraleV S. predominio dell’immagine sulla parola

X I I . 5 Conclusioni. Il X X I secolo, la globalizzazionee tutto quanto

Riferimenti bibliograficiGli A u t o r i

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P re f a z i o n edi Luca Raffaelli

Ricordo che un giorno uscì un R a d i o c o rr i e re TV con gli occhiali perguardare in 3D un cartone giapponese. Non vorrei sbagliare, ma credoche fosse R e m ì. Avevo intorno ai diciotto anni e avevo già messo piedenel mondo del fumetto e dell’animazione con una rivista, L’ u r l o, a cuicollaboravano Boschi, Bruno, Caroti, Coniglio, Cristante e vari altriamici ora ben noti nel settore e non solo. Il nostro atteggiamento era diinteresse generale verso tutto quello che era fumetto e cinema d’anima-zione. C’era però un’eccezione: il cartone animato giapponese. A l l o r anon si chiamava ancora a n i m e. Né, d’altra parte, a quel tempo si eraancora visto un solo m a n g a. I cartoni giapponesi erano considerati brut-ti, cattivi e fastidiosi. E stupidi erano considerati, generalmente, tuttiquelli che li guardavano. Così, vedendo quegli occhialetti delR a d i o c o rr i e re TV pensai: un’altra trappola per convincere i ragazzini aguardare questi cartoni giapponesi. Questi brutti cartoni giapponesi chesfruttano la lacrima e la violenza per farsi apprezzare. Che voglionoa ffascinare per corrompere il pensiero e le capacità critiche degli spetta-tori. Mi ricordo che sull’U r l o pubblicammo anche un articolo di unabrava giornalista di Paese sera, quotidiano per cui a quel tempo colla-boravo, che era una sorta di appello dei genitori di sinistra contro iresponsabili televisivi. L’obiettivo era: eliminare i cartoni giapponesi.Mi pare chiaro.

C’era qualcosa però che non quadrava con la mia coscienza. Lo dicosenza ironia. Ed era una cosa fondamentale. Un fatto che rendeva cosìdiscutibile la mia posizione antigiapponese da sembrare a me assoluta-mente odiosa. Il fatto era che io quei cartoni giapponesi non li avevo maivisti. Da quando erano apparsi in T V mai mi ero soffermato a darci

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un’occhiata. Oppure, non me lo ricordo, ma un’occhiata di sfuggitamagari l’ho gettata, solo per convincermi che non era il caso di prestareattenzione a quella roba. Si sa che c’è un’età nella vita, diciamo intornoai dodici anni, in cui molti abbandonano insieme la religione e i cartonianimati. Io l’ho fatto. Ai cartoni però sono ritornato (con la religione lafaccenda è molto diversa). Anche se c’era questo problema dei cartonigiapponesi, da condannare senza averli visti.

Oddio, proprio senza averli visti per niente no. Io sono stato fra i primia vederli, ma quando li facevano al cinema, non in T V. Quando andavoal Cinema Belsito o al Clodio o al Dei Piccoli di Villa Borghese (aRoma) a vedere Le meravigliose favole di A n d e r s e n, Il gatto con gli sti -v a l i, L’orsetto Panda e gli amici della fore s t a. Guardando questi carto-ni ero perfettamente consapevole che si trattava di roba nuova e diver-sa. Mi accorgevo anche di certi trucchi per risparmiare sui disegni, maquando il racconto funzionava – soprattutto nel caso dell’orsetto Panda,ma non solo – la cosa mi rendeva felice e curioso. Avrei voluto sapernedi più (adesso con internet sarebbe un’altra cosa) ma non sapevo come.Allora non si sapeva nulla di nulla. O, peggio, quel che si sapeva erafuorviante: capivo da me che il regista dell’orsetto Panda non si potevachiamare Al Bisney, com’era scritto sui manifesti.

Per me tutto cambiò nel 1985. Avevo ventisei anni. Quell’anno venniinviato dal festival di Lucca a seguire la prima edizione del festival diHiroshima. Per la prima volta ero in Giappone. Mi si rivelò un altromondo affascinante, complesso, di straordinario interesse. In quei gior-ni densi d’emozione e di solitudine (ero l’unico italiano presente) strin-si la mano di e parlai con Osamu Tezuka sapendo solo vagamente chifosse. Poi, per una serie di ragioni che sarebbe lungo raccontare, miritrovai per una settimana di agosto a Tôkyô, da solo, e così, quasi percaso, andai a visitare gli studi della Tôei e della Tôkyô Movie Shinsha(TM S). Per caso incredibile mi capitò anche di cenare a Shinjuku conuna giornalista canadese e Mœbius, che era a Tôkyô per collaborare allarealizzazione di Little Nemo, lungometraggio che la TM S stava realiz-zando. Comprai dei rodovetri originali, altri me li regalarono. Due sonodello Sherlock Holmes che Marco Pagot realizzò con Hayao Miyazaki.Mi accorsi che tutto era fatto a mano, t u t t o, da giapponesi che il più delle

PREFAZIONEXII

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volte arrivavano al lavoro in bicicletta. Vidi che non c’era un computer,non uno con cui gli studi realizzassero le loro serie T V. I responsabili concui parlai mi fecero leggere lettere di appassionati italiani, che loro nonriuscivano a capire. Erano emozionanti, parlavano di una passionesegreta, quasi clandestina, del desiderio di imparare il giapponese perandare a vivere e lavorare lì. Il volo allora era di ventiquattr’ore, duescali compresi. Dal finestrino dell’aereo riuscii a guardare attraverso ilcielo privo di nuvole tutta una fetta di mondo, che dal Giappone arriva-va fino all’Italia. Mi sentivo frastornato ed elettrizzato, come un esplo-ratore dopo una scoperta importante. Tornato a casa, cercai di recupera-re, di capire, di vedere. Non era facile, allora, senza le videocassette. Mapiano piano entrai in questo pianeta di grande interesse, che riservavapiaceri e sorprese.

Ebbi allora una conferma dalla vita. Che una cosa soprattutto si rifiuta,che di una cosa soprattutto si ha paura: ciò che non si conosce. Io avevorifiutato il cartone giapponese in T V perché non sapevo cosa fosse e sape-vo che sarebbe stato un bell’impegno capirlo. La scorciatoia, la stradafacile, era quella di rifiutarlo, di accodarmi al coro che lo demonizzava.

A tutti coloro che amano l’a n i m e e vogliono capire il perché, maanche a tutti coloro che pensano di non amarlo, sono dedicati libri comequesto, scritto con l’accurato impegno di chi vuol approfondire i motividi una propria passione, e che questa analizza attraverso punti di vistadiversi. Perché ci sono due cose importanti da fare nella vita: conosce-re quello che non capiamo, e capire ciò che amiamo.

Roma, febbraio 2005

PREFAZIONE XIII

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CON GLI OCCHI A MANDORLA

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Av v e rtenza lessicaleAlcune brevi chiarificazioni linguistiche vanno fatte subito, anche se il lettore le incontre-

rà altrove nel corso del volume. Il cinema d’animazione in Italia viene chiamato in più modi.Uno di questi è il termine c a rt o o n, che in inglese vuol dire ‘disegno caricaturale’ e, associa-to all’aggettivo a n i m a t e d (‘animato’), indica i disegni umoristici animati ma che oggi, tantoin inglese quanto in italiano, designa colloquialmente l’animazione in generale. Tuttavia initaliano l’animazione è per lo più indicata con «cartoni animati», espressione che cerca ditradurre l’inglese animated cart o o n ma è formalmente scorretta. Qui in genere si è preferitol’uso dei termini c a rt o o n e disegni animati, che designano una delle tante tecniche del cine-ma d’animazione e in particolare quella usata per la gran parte dell’animazione giapponese;tuttavia, poiché l’espressione «cartoni animati» è di uso ormai universale in italiano, e pos-siede un’aura semantica quasi affettuosa (ancorché un po’ sminuente, in certi contesti), s’èscelto di usare nel libro anche tale definizione, seppure con moderazione.

Nel volume si usano spesso i termini a n i m e e m a n g a. Il primo indica l’animazione nip-ponica, specialmente di ambito televisivo ma non solo, crasi del termine inglese a n i m a -t i o n; il secondo designa il fumetto nell’idioma giapponese.

Nota sulle norme editorialiI termini stranieri, tranne alcuni casi comunemente accettati (la g a g, gli s t u d i o s, la n a ï -

v e t é ecc.), sono di norma al singolare e al maschile. I rinvii biografici sono così costituiti:Autore/i, Titolo della pubblicazione, pagina/e di riferimento (se necessario; per esempio: U.Eco, Apocalittici e integrati, pp. 23 sgg). I dati completi di ogni citazione testuale sonosempre riscontrabili nei Riferimenti bibliografici.

I nomi giapponesi sono indicati, per maggior chiarezza del lettore, con il sistema occi-dentale Nome-Cognome (es. Machiko Hasegawa), laddove invece in Giappone vige ilsistema Cognome-Nome (es. Hasegawa Machiko).

Avvertenza linguisticaPer i termini giapponesi è stato adottato il sistema di trascrizione Hepburn, secondo cui

le vocali sono pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese. In particolare:

ch è un’affricata come la c nell’italiano cena;g è sempre velare come la g nell’italiano gara;h è sempre aspirata;j è un’affricata come la g nell’italiano gesso;s è sorda come nell’italiano sasso;sh è una fricativa come l’italiano sc di scena;u in su e tsu è quasi muta;w va pronunciata come una u molto rapida;y è consonantica e si pronuncia come la i dell’italiano ieri;z è dolce come l’italiano rosa; o come in zona se iniziale o dopo la n.û, ô, â e in generale le vocali con l’accento circonflesso indicano l’allungamento

della stessa, in luogo del macron (¯).

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I n t ro d u z i o n edi Roberta Ponticiello – Susanna Scrivo

Un istintivo fascino lega da secoli Oriente e Occidente: agli occhidegli abitanti di entrambe le aree le caratteristiche peculiari, sia fisicheche culturali, di ciascuna di esse risultano infatti esotiche.

L’avvicinamento reso possibile nel tempo, dapprima dagli scambicommerciali, poi da quelli culturali in senso stretto e attualmente daquelli mediatici, ha sicuramente consentito una maggiore conoscenzadelle lingue, delle tradizioni, delle credenze o delle produzioni culturalidei rispettivi popoli, senza riuscire, però, a garantirne al tempo stessouna reale comprensione. Ciò nonostante, soprattutto nell’ultimo secolo,alcuni di questi aspetti «alieni» sono stati assorbiti, criticamente o meno,all’interno del tessuto socioculturale della «controparte».

In quest’ottica può essere visto per esempio l’arrivo in Occidente, inItalia ma anche in buona parte d’Europa, delle serie animate giappone-si che, entrate a far parte della quotidianità dei più giovani a partire daitardi anni Settanta, suscitarono il disappunto del pubblico adulto ilquale, disapprovandone non solo il livello dell’animazione ma anche letematiche affrontate, si preoccupava per i possibili effetti sui bambini, dicontro rapiti ed entusiasmati da questi «cartoni animati».1

Il libro è nato dall’idea che se fosse possibile guardare queste produzio-ni attraverso gli occhi di un giapponese si potrebbe comprendere il moti-vo di gran parte delle scelte stilistiche e contenutistiche in esse adottate.

1 L’espressione «cartoni animati», sebbene di uso comune, è in realtà imprecisa in quanto trae origineda un’impropria traduzione di animated cart o o n, dove c a rt o o n non sta per ‘cartone’ (c a rd b o a rd) ma per‘disegno caricaturale’, ‘vignetta’. Bisognerebbe quindi definire tali produzioni come disegni animati ocinema (f i l m)d ’ a n i m a z i o n e. Tuttavia si è scelto di non escludere del tutto l’utilizzo della locuzione «car-toni animati», alternandola a più «elevati» sinonimi, perché immediata e facilmente identificabile da tutti.

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Qualcuno potrebbe chiedersi allora perché gli autori non siano giappo-nesi. Innanzitutto perché questo fenomeno dei malintesi culturali, perovvie ragioni, non ha certo coinvolto il paese d’origine; ma soprattuttoperché le persone che hanno lavorato a questo progetto editoriale, nate ecresciute negli anni Settanta e Ottanta, durante quella che alcuni hannodefinito «invasione nipponica», hanno rivolto, da grandi, i loro studi einteressi proprio verso il Giappone. Ed è questo forse l’effetto più vistosoe diffuso che la visione degli a n i m e, la lettura dei m a n g a2 o ancora l’avergiocato con i videogiochi nipponici ha avuto sui bambini di allora.

A l l a rgando lo spettro d’analisi a tutti i paesi occidentali è impossibilenon notare come la maggiore familiarità con gli usi e i costumi delGiappone, dovuta forse anche alla diffusione di queste forme d’intratte-nimento, abbia deviato, negli ultimi decenni, i meccanismi d’attrazionedegli occidentali verso il Sol Levante. Dall’iniziale fascinazione esoticasi è passati a un interesse diffuso, più consapevole nei confronti delleespressioni culturali (animazione e fumetto in primis, seguiti da cinemae letteratura), di quelle tradizionali e spirituali (dalle arti marziali allereligioni) o ancora di alcuni aspetti della quotidianità (dall’arte culinariaall’arredamento). D’altra parte il Giappone, più di ogni altro paeseorientale, si è rivelato altrettanto ricettivo, se non di più, nei confronti dimoltissimi aspetti della cultura occidentale, che infatti convivono e simescolano con quelli locali così come di norma avviene tra gli elemen-ti tradizionali e contemporanei della cultura nipponica.

Oggi la maggior parte dei giapponesi vive in città ultramoderne, rico-struite dopo la guerra, o in seguito a terremoti e incendi, dove gli aspet-ti tradizionali del Giappone, laddove persistono, sono per lo più relega-ti a quartieri ormai turistici, come Asakusa a Tôkyô; si percorrono ognigiorno distanze inimmaginabili per un occidentale per recarsi al proprioposto di lavoro, e gli orari dei s a l a ry m e n (i «colletti bianchi» giappone-si) sono inconcepibili altrove. La tradizione e la cultura nipponiche sonocontinuamente bombardate e contaminate da ogni genere di prodotto

2 La parola a n i m e deriva dalla contrazione dell’inglese a n i m a t i o n e indica i disegni animati giappo-n e s i. M a n g a (composto da m a n, ‘svago’ e ga, ‘immagine’) è il termine con il quale in Giappone si desi-gnano i fumetti.

4 INTRODUZIONE

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proveniente da culture diverse, e non si può certo negare che i giappo-nesi si mostrino molto ricettivi verso le influenze straniere. La musica,il cinema, i modi di vestire e tutte le tendenze contemporanee sonoinfluenzate dalla cultura occidentale e benché molti possano rammari-carsi per la perdita dei valori tradizionali, non è possibile ignorare unfenomeno pervasivo come quello dell’occidentalizzazione della vitaquotidiana dei giapponesi.

Anche la lingua sta cambiando: vengono pubblicati di continuo dizio-nari per i termini di derivazione straniera, per lo più di provenienzaangloamericana, e nel caso di scrittori come Haruki Murakami è la strut-tura stessa dello stile scrittorio che viene modificato, tanto da sembrareuna traduzione dall’inglese piuttosto che un giapponese di prima mano.

Le immagini di una tentacolare società dei consumi hanno influenzatoi rappresentanti della letteratura nipponica contemporanea nella sceltadei loro temi e soggetti. La visione che essi offrono è quella di unGiappone in continua evoluzione e le pagine dei loro racconti sono attra-versate da indizi che testimoniano dell’incredibile velocità con cui tuttociò che è nuovo e diverso viene individuato e venduto per la distribuzio-ne di massa. Come dire che, se il mondo fosse un gigantesco m a n g a, que-sti scrittori moderni ne sarebbero gli sceneggiatori. Per il citato HarukiMurakami, come per altri scrittori giapponesi contemporanei qualiBanana Yoshimoto, Eimi Yamada e Ryû Murakami, la citazione diventaomaggio. Ponendosi non criticamente, ma in modo quasi sentimentaleverso il repertorio culturale con il quale nutrono le loro opere, essi riesco-no a superare l’imbarazzo dell’accostamento fra cultura «alta» e cultura«bassa» e a donare dignità letteraria anche a semplicissimi esempi di cul-tura p o p quali gli a n i m e, la musica leggera e i m a n g a.

D’altra parte il Giappone stesso sta affrontando solo recentemente undissidio culturale che altri paesi moderni, come gli Stati Uniti ol’Inghilterra, avevano già cominciato ad affrontare prima della Secondaguerra mondiale, senza per questo esserne ancora venuti realmente acapo: la divisione tra cultura popolare e cultura classica. In paesi dalleforti radici culturali, come appunto l’Inghilterra, non è semplice accet-tare la popular culture come parte della «cultura seria», perché essaentra in conflitto con le tradizioni letterarie in cui la cultura alta si rico-

5INTRODUZIONE

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nosce e si identifica, dando spazio alla descrizione di realtà umane piùglobali. Alcuni giovani scrittori giapponesi, rinunciando nei loro raccon-ti alle descrizioni delle tradizionali cerimonie del tè e dei ciliegi in fiore,hanno dato vita a un nuovo stile letterario che trae ispirazione non piùdai grandi autori degli anni Cinquanta e Sessanta, ma piuttosto da unaletteratura d’importazione, più in sintonia con la vita di tutti i giorni, econ toni fortemente occidentalizzati. La taishû bungaku, o letteratura dimassa, costituisce un imponente fenomeno sociale, legato al forte inte-resse da parte dei giapponesi per la lettura e allo straordinario sviluppodell’industria editoriale, notevolmente incrementato soprattutto dopol’era Meiji (1868-1912). Ciò nonostante essa è ancora molto sminuitadalla critica ufficiale, che tende a relegare questo tipo di letteratura a unruolo secondario, considerandola altra cosa rispetto alle letture cosiddet-te serie. D’altra parte la letteratura non è più l’oggetto di studio esclusi-vo degli ambienti accademici e dotti: essa deve ormai passare anche alvaglio del pubblico più vasto che, giudicandola secondo il propriogusto, meno competente forse, ma sicuramente degno di considerazio-ne, ne ha cambiato i parametri estetici e contenutistici.

Una delle principali ragioni di questa sorta di snobismo culturale daparte di alcuni intellettuali tradizionalisti sta nel carattere leggero, avolte quasi adolescenziale, che questo tipo di letture presuppone. La cri-tica ufficiale, pur così attenta a ogni novità e così scrupolosa nel regi-strare fenomeni d’avanguardia – sia pure solo per contestarli – amamantenere un silenzioso distacco di fronte a un prodotto di largo consu-mo, convinta forse del fatto che un tipo di letteratura troppo commercia-le non possa essere considerata qualitativamente valida. Il bagaglio cul-turale di questi nuovi scrittori affonda le proprie radici nella pop cultu -re occidentale, lontana dal gusto degli autorevoli esponenti della lettera-tura ufficiale, ed è molto difficile, in effetti, comprendere il linguaggiodi autori come quelli sopra menzionati se si è a digiuno di cinema, c a r -t o o n e musica leggera. I critici locali, dunque, spesso non sono in gradodi giudicare tali prodotti e opere, perché non ne comprendono il simbo-lismo né la strategica importanza negli effettivi, e oggi massivi, consu-mi culturali della popolazione nipponica.

Non è possibile, per l’appunto, ignorare l’interesse che questi autori

6 INTRODUZIONE

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suscitano nel grande pubblico di lettori, né i riconoscimenti ufficiali chehanno ricevuto e che continuano a ricevere. Ci si trova dunque di fron-te al problema di dover ufficializzare un tipo di arte che, seppure abbiaradici fortemente popolari e non del tutto indigene, rappresenta comun-que un chiaro specchio della società giapponese contemporanea, che haormai assimilato molti aspetti della cultura occidentale. Questo spiegaforse l’enorme divario di opinione che esiste fra la critica ufficiale e ilpubblico dei lettori, i quali non trovano affatto oscure le metafore diquesti scrittori, anzi le riconoscono come qualcosa di vicino e tangibile,che racconta di fatti noti in un linguaggio a loro più comprensibile diquanto possa esserlo quello usato da scrittori classici come Yu k i oMishima, Yasunari Kawabata o Jun’ichirô Tanizaki, pur molto vicini neltempo ai nostri giorni.

Negli anni Cinquanta e Sessanta questi autori hanno fatto conoscerela letteratura giapponese ai lettori internazionali, offrendo loro unavisione romantica e stereotipa del loro paese, un Giappone che certo eraallora molto più vicino a quelle immagini di quanto non lo sia oggi.Sono passate solo poche decadi, eppure molte cose sono cambiate. Esono cambiate così in fretta che molti critici letterari non hanno nemme-no avuto il tempo di rendersene conto. Altri, invece, sembrano aversaputo cogliere i cambiamenti che hanno reso l’uomo un essere assorbi-to dal caos delle metropoli e sempre più alienato da sé stesso, un c y b o rgquasi che, stando a film come M a t r i x, non può più fare a meno della tec-nologia, e infine un destinatario della letteratura e della cultura in gene-rale al quale non è più necessaria «la volontaria sospensione dell’incre-dulità», perché in questo mondo tutto è ormai possibile. HarukiMurakami una volta ha spiegato a un intervistatore quale sia la situazio-ne che uno scrittore contemporaneo deve affrontare per riscuotere unbuon successo di pubblico. La lettura di romanzi, secondo lui, devecompetere con lo sport, la radio, la T V, il cinema, la cucina e un milionedi altri passatempi piacevoli. Uno scrittore non deve aspettarsi che il let-tore impieghi tempo e fatica per cercare di comprendere una vicendatroppo astrusa. Il suo compito è quello di raccontare storie di impattoimmediato, usando un linguaggio comprensibile e, se possibile, diver-tente. È quindi la letteratura che va incontro al pubblico, parlandogli in

7INTRODUZIONE

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un linguaggio familiare, che mette i lettori a proprio agio e raccontaloro, spesso e volentieri, cose che conoscono, non lontane dalle lororealtà, e quindi, per l'appunto, «popolari».

Allo stesso modo, fumetti e disegni animati parlano in Giappone a unpubblico se possibile ancora più ampio di quello raggiunto dalla lettera-tura, sia in patria che all’estero. E nella fattispecie in Italia, dove glia n i m e vengono spesso proposti in T V, a torto o a ragione, anche a bam-bini in età prescolare e dove i manga sono fra le letture più vendute pres-so il pubblico adolescenziale e giovanile. Ma questo nostro pubblico, siaesso di età giovanile o adulta, è davvero pronto a raccogliere e compren-dere appieno il valore di queste due forme di comunicazione?

Questa è la domanda che ci siamo poste, e alla risposta che ci siamodate, «no», abbiamo sentito la necessità di pubblicare questo volume,modesto veicolo d’informazione e d’analisi su di una cultura lontanadalla nostra, della quale, però, ormai anche più d’una generazione è resapartecipe proprio grazie ad a n i m e e m a n g a, strumenti della pop cultureparticolarmente amati. I saggi che compongono Con gli occhi a man -d o r l a parlano di moda e di religione, di censura e di s a m u r a i, di orfanie di quotidianità, e di molto altro: descrivono e analizzano gli aspettidella cultura giapponese che ci raggiungono, come essi vengano frain-tesi e come, invece, potrebbe essere guardare un «cartone animato» conocchi nuovi, con gli occhi di chi capisce cosa succede, di chi compren-de o almeno si sforza di comprendere di cosa si stia parlando.Comprensione come base della cultura.

E proprio questo è quello che speriamo di offrire. Una nuova, piccolapossibilità di comprendere qualcosa di estraneo ma non tro p p o.

8 INTRODUZIONE

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R i n g r a z i a m e n t i

Innanzitutto entrambe rivolgiamo un ringraziamento particolare a tutti gliautori che hanno aderito e creduto in questo progetto: senza la loro professiona-lità e la loro passione non saremmo mai arrivati fino a questo punto.

R o b e rta PonticielloSono passati due anni dalla prima edizione e, da allora, sono cambiate tante

cose. Ho sentito così l’esigenza di modificare i miei ringraziamenti, innanzitut-to dedicando questo libro a Francesco, la persona più positiva che abbia maiconosciuto. Mi mancherai tanto.

Ringrazio tantissimo mia madre, nonché mia migliore amica, e il mio tenacepapà sognatore. Ale, insostituibile compagno di viaggio; Susanna per aver con-diviso ancora una volta con me questa splendida avventura e i miei cuginiAchille, Carolina (ora non sono più così piccoli), Giorgia e Giordana (semprepiù dura la distanza!).

La vita milanese, sebbene difficile, mi ha riservato delle belle sorprese e voglioringraziare tutti quelli che hanno contribuito a renderla un’esperienza interessan-te: le mie colleghe, e ora grandi amiche, Elena, Ilaria, Laura, Luisa e Valeria, e poiDario (il mio «legale», latitante) e Paolo; i miei compagni di giapponese, soprat-tutto Daniela, Davide, Mario, Thomas e Ting Ting; le mie coinquiline (alle qualiora si è aggiunta Manù! Sono troppo felice!) e la mia grande amica Gabriella.

Il mio cuore però è ancora a Napoli: un ringraziamento speciale va ai miei zii,ai miei nonni e a tutti gli amici che purtroppo vedo poco. Cristiana e Luca, sieteancora uno dei motivi per cui desidero tornare; Paolo, resti il mio g u ru in fatto disigle dei c a rt o o n; Alessandro Rak, credo che non smetterò mai di ringraziarti peraver realizzato la copertina della prima edizione, e Marco, sono proprio contentadi essere di nuovo in contatto con te, anche se tra un po’ p a r t i r a i …

Non posso che ringraziare poi: Raffaella, che segue ancora con interesse lemie iniziative; Gianluca, con il quale è un piacere confrontarsi e Carlo, senza ilquale non avrei mai avuto il coraggio di tenere la lezione!

L’angolino serioso si è allargato: oltre a Luca Raffaelli, Fabrizio Margaria eSimona Fabbri, voglio ringraziare Alberto e Daniela per avermi dato la grandeopportunità di crescere professionalmente, e Giannalberto Bendazzi che mi hareso più sicura di me stessa.

9INTRODUZIONE

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Susanna ScrivoOltre agli ovvi, ma mai sufficienti, ringraziamenti a Roberta, per la sua pro-

fessionalità e pazienza, e a tutti gli autori, ancora, per la loro disponibilità e col-laborazione, ringrazio i professori Giorgio Amitrano e Paolo Calvetti per i pre-ziosi insegnamenti, Baby Grotto per il supporto morale (e informatico!), MaikoMori, Michiko e Keisuke Namekawa, Gota Senda e Reiko-chan per la loro ami-cizia (o sewa ni natta!), l’Opossum e mio fratello Stefano per il lap link cable!

Infine, un grazie particolare a mio papà, che mi ha trasmesso la passione peri fumetti, e a mia mamma che ci sopporta!

10 INTRODUZIONE

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I . TV I n v a d e r sQuando gli a n i m e a r r i v a rono in Italiadi Roberta Ponticiello

Ma questi cartoni giapponesi non sono proprio adatti ai bambini!

I pacifici «invasori»

I primi «cartoni» animati giapponesi ad arrivare nelle T V i t a l i a n e ,Barbapapà (13 gennaio 1976), Vickie il Vichingo (2 gennaio 1977) eHeidi (7 febbraio 1978),1 furono trasmessi nell’ambito della program-mazione pomeridiana della RA I, determinata ad abbandonare la c o n s u e-t a formula della TV dei Ragazzi.2

Questi anime, malgrado non ricordassero i c a rt o o n cui il pubblico ita-liano era abituato, riuscirono a passare piuttosto inosservati, complicisicuramente le origini occidentali dei tre soggetti3 e la delicatezza deidisegni e delle storie. Se però per Vickie il Vichingo e B a r b a p a p à il trat-to grafico, non direttamente riconducibile agli stilemi di una precisascuola nazionale d’animazione, e la scelta di suddividere le avventure inepisodi autoconclusivi, non rendevano tali serie poi tanto diverse dalleproduzioni statunitensi ed europee per la T V (quelle che avevano per pro-

1 Dati ufficiali RA I. Anche se, va detto, altre fonti riportano che H e i d i giunse in Italia già nel 1976( c f r. IF – Immagini & Fumetti, speciale Orfani e ro b o t, n. 5/8, 1983, Milano, Epierre). Inoltre, va da séche qui si sta parlando di c a rt o o n televisivi, poiché già negli anni Sessanta e primi anni Settanta alcu-ni film d’animazione giapponesi per il cinema avevano raggiunto le nostre sale.

2 In onda dal 1954 al 1976, La T V dei Ragazzi era un programma contenitore quotidiano della dura-ta di circa due ore, che prevedeva appuntamenti settimanali con documentari, spettacoli in studio, tele-film e disegni animati americani.

3 I protagonisti di Barbapapà ( i d . ) , del 1973, furono ideati da Annette Tison, francese, e Ta l u sTa y l o r, americano, per la versione stampata; ma fu dalla collaborazione fra la casa olandese Polyscopee la giapponese Topcraft che nacque la serie animata. Vickie il Vi c h i n g o (Chiisana Viking Vi k k e), del1974, è tratto dai racconti dello svedese Runer Jonsson, K i n d e r b u c h Vi c k i e Vi k i n g (1963). Heidi (A l p sno shôjo Heidi), anch’esso del 1974, è invece tratto dal celebre romanzo (1880) della scrittice svizze-ra Johanna Spyri. Entrambi sono frutto di una coproduzione con la Germania: Taurus Film – Zuiyo(oggi Nippon Animation) – Fuji TV – ZD F – OR F.

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tagonisti i supereroi Marvel o i simpatici personaggi ideati dalla Hanna-Barbera), per H e i d i il discorso era diverso. Sia lo stile grafico che la strut-tura narrativa presentavano già quelle che sarebbero diventate poi lec a r a t t e r i s t i c h e distintive delle produzioni provenienti dal Sol Levante. Lapresenza nello staff, però, di due dei più grandi maestri dell’animazionenipponica, Isao Takahata e Hayao Miyazaki,4 contribuì indubbiamente arendere la serie un’opera intramontabile, un vero e proprio c u l t, capaceinfatti di ottenere, ancora oggi, altissimi risultati d’ascolto.5

Il 4 aprile del 1978, poco tempo dopo la messa in onda di H e i d i, congrande entusiasmo dei giornalisti fu trasmesso, durante B u o n a s e r ac o n …,6 Atlas UF O R o b o t, con il celebre Goldrake:

tempo fa […] Retedue, mandò in onda una fortunata serie di fumetti[s i c] in T V che piacque molto. Adesso, memori di questa esperienza[…] «Buonasera con…» propone alcuni fumetti [s i c !] legati a due per-sonaggi extraterrestri: Superman e Atlas Ufo-Robot. Il primo è un eroepopolarissimo anche ai meno giovani, mentre il secondo, creato inGiappone, è poco conosciuto in Italia. Ma sia la storia di Atlas Ufo-Robot, sia quella di Superman […] sono abbastanza simili: in tutte edue, un ragazzo, scampato alla distruzione del suo pianeta, raggiungecon una navicella spaziale la terra e vive sotto sembianze umane. […]La Rai ha pensato di abbinare a questa serie televisiva (iniziata la scor-sa settimana) un concorso a premi, forse per stimolare un maggioreascolto. Se è così, non c’era da preoccuparsi: in tempi dove a vedere«Guerre stellari» e «Incontri ravvicinati del terzo tipo» corrono milio-

12 TV INVADERS. QUANDO GLI ANIME ARRIVARONO IN ITALIA

4 Allora essi erano ancora sconosciuti in Occidente, ma attualmente godono dell’ammirazione deiloro colleghi americani e anche del favore di critica e pubblico. Basti pensare che La città incantata(Sen to Chihiro no kamikakushi), diretto da Miyazaki e prodotto dalla compagnia creata con Ta k a h a t a ,lo Studio Ghibli, ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2002 e il premio Oscar nel 2003, e I lcastello errante di Howl (H a u ru no Ugoku Shiro) è stato presentato al Festival di Venezia nel 2004.

5 La serie, storicamente in onda sulle reti RA I, è stata di recente acquistata dalla Mediaset e ha otte-nuto dati d’ascolto all’altezza delle più moderne produzioni rivolte ai bambini; trasmessa nel periodo18.05.2004 – 28.08.2004 alle ore 17, ha ottenuto uno s h a re medio del 17,81%, mentre la recentissimae amata serie H a m t a ro, piccoli criceti grandi avventure, in onda, nella stessa fascia oraria, dal30.08.2004 al 29.10.2004, ha registrato uno s h a re medio inferiore, del 15,93% (dati Auditel –M e d i a s e t ) .

6 Contenitore che abitualmente ospitava serie d’azione americane.

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13I PACIFICI «INVASORI»

ni di spettatori, si può star certi che un programma imperniato sugliextraterrestri piacerà, come si dice, a «grandi e piccini».7

Gli elementi di profonda originalità e innovazione, in linea con l’inte-resse manifestato all’epoca per la fantascienza, e l’effettiva similitudinecon le avventure dei supereroi americani8 furono ben presto sostituiti daun diff u s o atteggiamento di preoccupazione legato ai possibili eff e t t inegativi che la visione di questo tipo di c a rt o o n avrebbe potuto avere suibambini. Se ne fece un gran parlare, in particolare da parte della stam-pa, la quale assolse a uno solo dei suoi «compiti»: essa fece da cassa dirisonanza amplificando la portata dei pregiudizi nei confronti dell’ani-mazione nipponica,9 piuttosto che fornire informazioni corrette. Si giun-se così, nel corso del ’78, addirittura a un’interrogazione parlamentarea ffinché venisse sospesa la trasmissione di Atlas UF O R o b o t .1 0

La T V di stato italiana, che sin dall’esordio, il 1° gennaio del 1954, siera legata all’animazione trasmettendo I Fratelli dinamite11 e che neglianni successivi aveva sempre dato spazio ai grandi classici cinematogra-fici targati Disney, Warner Bros. e Metro-Goldwyn Mayer (MG M), cosìcome alle produzioni realizzate per il piccolo schermo dal prolifico stu-dio Hanna-Barbera,1 2 o ancora ai cortometraggi d’autore europei tra-smessi all’interno del programma Mille e una sera…, aveva forse osatotroppo portando nelle case di tutti gli italiani una serie animata comeAtlas UF O R o b o t? Cos’aveva questo prodotto narrativo di così sbagliatoda suscitare tanto scalpore nel pubblico?

7 «La T V ci regala due Superman», la Repubblica, 13 aprile 1978.8 Analogia che potrebbe essere estesa a molte serie d’azione nipponiche, prima fra tutte Dragon Ball.9 «Per realizzare G o l d r a k e e C., questi emuli di Disney dagli occhi a mandorla, hanno fatto ricorso a

un cervello elettronico nel quale hanno inserito i dati riguardanti le vicende, il tipo di disegno e i coloriprevisti. Il computer ha quindi fornito tutti i ragguagli tecnici perché i cartoni animati risultassero per-fetti. Una tecnica fantascientifica», nell’articolo «Anteprima! Torna Atlas Ufo Robot!», To p o l i n o, n.1181, 16 luglio 1978; e ancora «Fortunati quelli che hanno il televisore a colori: la tecnica giapponesein questo campo ha fatto passi da gigante introducendo apparecchiature elettroniche che programmanosia i movimenti che i colori», nell’articolo di Paolo Cucco, Tv Sorrisi e Canzoni, n. 51, dicembre 1978.

1 0 Senza per questo ottenere i risultati sperati.11 Uno dei primissimi lungometraggi a colori realizzati in Italia, a opera, nel 1947, dei fratelli Pagot.1 2 Tutti c a rt o o n accomunati da un’inconfondibile ironia e dalla scelta di tematiche scanzonate e diver-

tenti o da forti richiami all’immaginario favolistico e fiabesco occidentale, e dove il lieto fine è d’obbligo.

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In alto, a sinistra, Vickie il Vi c h i n g o (Chiisana Viking Vi k k e), 1974 © Taurus Film – Zuiyo (oggi NipponAnimation) – Fuji TV – ZD F – OR F. A destra, G o l d r a k e ovvero Atlas UF O R o b o t (UF O Robot Gre n d i z e r)© Go Nagai/Dynamic Planning/Toei A n i m a t i o n .Sopra, a sinistra, Heidi (Alps no shôjo Heidi), 1974 © Taurus Film – Zuiyo (oggi Nippon A n i m a t i o n )– Fuji TV – ZD F – OR F. A destra, m e rc h a n d i s i n g dei Barbapapà ( i d . ) , 1973 © Annette Tison – Ta l u sTaylor – Polyscope – To p c r a f t .

14 TV INVADERS. QUANDO GLI ANIME ARRIVARONO IN ITALIA

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Per rispondere a questa domanda bisogna fare un piccolo passo indie-tro e analizzare il contesto nel quale questo c a rt o o n si inserì. Dopo oltrevent’anni di esclusivo e incontrastato monopolio statale1 3 lo scenariotelevisivo italiano stava modificando il suo aspetto, e in modo moltorapido. Contemporaneamente all’introduzione nelle case italiane delleprime televisioni a colori iniziarono a nascere le prime emittenti locali,a cui presto si aggiunse anche la terza rete RA I.1 4 In quegli anni tutte leconvinzioni ormai consolidate, così come le abitudini di consumo, furo-no costrette a un repentino cambiamento, trovando tuttavia impreparatala maggior parte degli italiani. Era forse normale che si cominciasseroad avere timori nei confronti di un mezzo di comunicazione così invasi-vo e in tale crescita (sia in termini di aumento delle emittenti che delnumero di ore di trasmissione quotidiana) come la T V, figurarsi poi setra i programmi in onda erano previsti prodotti tanto diversi e distantinon solo dalla consueta programmazione pedagogica proposta dallaRA I1 5 ma più in generale dalla cultura e dall’immaginario occidentali. Èinfatti in questo scenario di panico latente che ebbe inizio una sorta di«inquisizione» non appena ci si rese conto che, piuttosto che presentarele solite favolette o le rocambolesche avventure tipiche dei c a rt o o namericani, le produzioni giapponesi affrontavano, usando un «linguag-gio per bambini», tematiche inusuali, complesse, talvolta piuttosto forti

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1 3 Periodo durante il quale la maggiore novità era stata rappresentata dalla possibilità offerta aglispettatori di scegliere tra la programmazione di due canali. Il 4 novembre 1 9 6 1 fu lanciato il Secondocanale che, per molti anni (fino al ’75), ebbe una programmazione giornaliera limitata a poche ore n e ltardo pomeriggio, o a volte solo alla sera, rispetto alla dozzina circa su cui si era attestato in quegli anniil Primo canale.

1 4 Nel 1977 si cominciarono a diffondere le prime T V a colori, sebbene tecnologicamente sarebbe statopossibile introdurre questa tecnologia già sul finire degli anni Sessanta. Riscontrata, a seguito di variesentenze nel corso degli anni Settanta, l’incostituzionalità del monopolio statale, fu consentita a una seriedi emittenti private la trasmissione limitata ai rispettivi territori locali; negli anni Ottanta le reti princi-pali si consociarono formando i primi circuiti televisivi e trasmettendo, in determinate fasce orarie, incontemporanea in tutte le regioni, gli stessi programmi; nacquero così Canale 5 di Berlusconi, Italia 1 diRusconi e Rete 4 di Mondadori, riunite tutte poi sotto l’ala Fininvest nel 1984 trasformandosi in n e t -w o r k. Le prime trasmissioni di RA I Tre risalgono invece al 15 dicembre 1979. Per approfondire la sto-ria della T V in Italia cfr. Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Ve n e z i a ,Marsilio, 1992 e l’Enciclopedia della televisione, a cura di Aldo Grasso, Milano, Garzanti, 2002.

1 5 Basti pensare che, fino ad allora, durante la fascia oraria destinata ai bambini (che oscillava tra leore 16 e le 18) non solo veniva trasmessa una buona dose di documentari ma erano previste, prima odopo, delle pause nella programmazione o la messa in onda di T G o programmi educativi (Non è mait roppo tard i per esempio), per evitare che i giovani fossero distratti dalle loro attività scolastiche.

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o forse troppo vicine alla realtà. Non più, quindi, atmosfere edulcorate,ma esplicita rappresentazione, talvolta esasperata, anche del dolore, dellas o fferenza, della guerra e persino della morte.1 6 Non solo finzione edivertimento, insomma. Ogni aspetto della vita poteva, e ovviamente puòtuttora, diventare oggetto dell’animazione nipponica, affrontato in modorealistico oppure umoristico, grottesco o fantastico a seconda delle fina-lità narrative o più spesso in base al pubblico al quale il c a rt o o n è rivol-to. E questo è un punto cruciale sul quale bisogna soffermarsi: il t a rg e t.

In Giappone l’ingente produzione di m a n g a, dai quali molto spessovengono tratti gli a n i m e, è divisa per fasce d’età e per sesso: dai bambi-ni in età prescolare (ovviamente più la versione animata che quellastampata, data la loro incapacità di leggere) agli scolaretti, dagli adole-scenti ai giovani in età post-adolescenziale, fino a raggiungere una parteragguardevole di consumatori adulti. Dunque l’animazione era conside-rata dai giapponesi, già allora, precorrendo un po’ i tempi rispetto a noioccidentali, non semplicemente una forma d’intrattenimento a esclusivoappannaggio dei bambini, ma un vero e proprio linguaggio audiovisivocapace di modellarsi con efficacia a seconda del pubblico e del mezzodi comunicazione per i quali viene creato. Tutto questo doveva risultarestrano, se non inconcepibile, agli occhi degli adulti, in particolare deigenitori, della fine degli anni Settanta, ormai assuefatti agli s c a n z o n a t icortometraggi Warner e alle romantiche fiabe Disney, rivolti innanzitut-to ai bambini ma al tempo stesso perfetti per tutta la famiglia.17 Anzi è

1 6 Per rappresentazione esasperata si intendono per esempio i lacrimoni che sgorgano come fiumi inpiena dai grandi occhi di Candy Candy o più recentemente da quelli di Rossana e Magica Doremì nelleserie eponime, oppure la sdrammatizzazione della morte in Dragon Ball, dove nessun personaggio muorerealmente ma, grazie alla magia, ha la possibilità di essere fatto resuscitare. O ancora in serie comeYa t t a m a n, in cui gli scontri tra il bene e il male, pur concludendosi sempre con la sconfitta dei cattivi, sug-gellata da un’esplosione che ricorda molto il fungo atomico (inevitabilmente parte integrante dell’imma-ginario nipponico), non ne portano all’eliminazione o alla consegna alla giustizia ma a una divertente fugadopo la quale, nell’episodio successivo, essi saranno pronti ad affrontare nuovamente i loro avversari. P e rconsiderazioni più estese sui valori e sui concetti veicolati dagli a n i m e c f r. i Capitoli III, IV, VIII e IX. Inparticolare, a proposito della morte cfr. l’approfondimento contenuto nel Capitolo IX.

17 Q u e s t ’ a ffermazione rappresenta una voluta semplificazione. Se è vero che fino agli anni Novanta,con le dovute eccezioni, la produzione occidentale, soprattutto televisiva, era poco segmentata, è anchevero che le primissime sperimentali animazioni, sia europee che americane, erano prevalentementerivolte a un pubblico esigente e adulto; bisogna anche ricordare che gran parte dei cortometraggi dellaWarner o della MG M venivano realizzati per precedere la proiezione di lungometraggi cinematograficidal vero non necessariamente rivolti ai bambini. Cfr. in proposito il Capitolo XII.

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possibile che la maggior parte di essi, e ci si riferisce anche ai responsa-bili della programmazione, ignorasse che a ogni c a rt o o n può corrispon-dere una precisa fascia di pubblico, altrimenti sarebbe difficile spiegarsitante scelte quanto meno azzardate. Va poi aggiunto che, malgrado i mol-teplici aspetti negativi ravvisati dagli adulti, dalla qualità visiva ai conte-nuti, i bambini nati a partire dagli anni Settanta in poi – pur senza rinun-ciare agli immancabili appuntamenti al cinema o in T V con i lungome-traggi Disney e le divertenti g a g di Wile Coyote e Beep Beep, o con leavventure di Scooby Doo e dei F l i n t s t o n e s – stravedevano per i loronuovi beniamini nipponici e per tutti i giocattoli, le figurine, i 45 giri ogli albi da colorare che portavano la loro eff i g i e .1 8

In tal senso non è poi così difficile capire la reticenza dei genitori adaccettare questi nuovi personaggi. In pochissimi anni erano avvenuti trop-pi cambiamenti perché potessero essere recepiti in modo equilibrato econsapevole. Dal nuovo assetto televisivo alla massiccia presenza dellapubblicità, dal crescente numero di ore dedicate ai programmi per bambi-ni all’inferiore varietà degli stessi: se fino a pochi anni prima erano previ-sti documentari, giochi in studio e più di rado c a rt o o n, negli anni a caval-lo tra i Settanta e gli Ottanta la proporzione si ribaltò. L’arrivo dei prodot-ti giapponesi, indubbiamente massiccio, fu percepito come una vera e pro-pria invasione. E in questo quadro la loro diversità divenne sinonimo dip e r i c o l o s i t à . I disegni animati nipponici diventarono così, tutti indistinta-mente, il bersaglio di facili accuse, accolte però di buon grado d a l l ’ o p i n i o-ne pubblica, che ormai formava un fronte compatto. Malgrado diversi traloro per generi, stili grafici e tematiche affrontate, gli a n i m e vennero visticome un’unica entità omogenea per la quale valevano più o meno le stes-se considerazioni: erano brutti, freddi e con un’animazione «a scatti» (per-ché si presumeva fossero creati da fantomatici computer), troppo violentie/o troppo drammatici, portatori di messaggi considerati diseducativi econ frequenti ammiccamenti al sesso. Bisogna ammettere che descritticosì farebbero preoccupare chiunque.

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1 8 Questo fenomeno non era una novità. Il primo a rendersi conto delle infinite possibilità di guada-gno legate alla vendita di oggetti associati ai carismatici personaggi dei c a rt o o n fu Walt Disney, chegià sul finire degli anni Venti, dopo lo strepitoso successo di Mickey Mouse, fece in modo che To p o l i n ofosse presente su tutti i prodotti capaci di attirare l’attenzione dei bambini.

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Se il contesto storico, in cui Atlas UF O R o b o t1 9 fece da apripista, rappre-senta una componente essenziale nell’aver generato tanto scalpore nelpubblico, a determinare una tale reazione furono le tematiche affrontate eforse più di tutto le modalità espressive. Malgrado le similitudini con serieamericane come S u p e r m a n, nei c a rt o o n seriali americani accomunatedalla presenza di un supereroe alieno in lotta contro il male, la scelta nip-ponica di affidare le sorti della Terra a una macchina, nella fattispecie unrobot (sebbene a guidarlo fosse un ragazzo), piuttosto che a un extraterre-stre dalle fattezze umane, risultò meno facile da accettare. Inoltre, contra-riamente a quanto accade in Atlas UF O R o b o t, durante il confronto traSuperman e il cattivo di turno nessuno si ferisce. Molti combattimentinelle serie robotiche risultano invece letali almeno per il nemico.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto perché mostrare anche ai bam-bini gli aspetti brutti della vita. Forse perché ne fanno parte? Ma forseanche per un’inconscia necessità di esorcizzare l’attacco nucleare subìtonel ’45, creando personaggi supertecnologici di cui potersi avvalere perfronteggiare faccia a faccia il nemico. Intervengono infine due sostanzia-li differenze culturali: la concezione del bambino giapponese, che, piùresponsabilizzato (in misura proporzionale alla sua età), viene protettomeno dalla realtà rispetto a quanto si faccia abitualmente in Occidente, eil rapporto con la morte. Non bisogna pensare però che Gô Nagai, il crea-tore di Goldrake, avesse ideato il suo robot pensando di rivolgersi aibambini più piccoli, ma ai ragazzini dai dieci anni in su.2 0 Ecco perché lascelta italiana di collocarlo all’interno dei programmi per bambini, inten-d e n d o con questo un pubblico che andava indistintamente dai quattro aidodici anni, creò non pochi problemi.

1 9 G o l d o r a k (questo il nome francese) ebbe sorti simili in Francia. Trasmesso qualche mese più tardirispetto all’Italia, venne programmato dalla responsabile della programmazione di Antenne 2 durantele vacanze estive (a partire dal 7 luglio del ’78), con la speranza di non destare troppo l’attenzione deglispettatori. Contrariamente alle sue aspettative, malgrado la presenza nell’a n i m e di contenuti forti, laserie ebbe un successo straordinario che impedì, in seguito, la sospensione della messa in onda. Permaggiori informazioni sul fenomeno francese si rimanda al sito h t t p : / / d j s p a c e . c l u b . f r / i n t ro d . h t m l.

2 0 Sebbene la nascita di Atlas UF O R o b o t (in originale UF O Robot Gre n d i z e r) sia legata alla pressio-ne esercitata sul suo ideatore, Gô Nagai, dall’azienda di giocattoli Bandai dopo i risultati clamorosidelle vendite di altri robot inventati dall’autore, Nagai è ben più famoso per la sua produzione indiriz-zata a un pubblico di adolescenti e adulti, che viaggia su registri ben più cruenti e drammatici rispettoalle serializzazioni televisive per i ragazzini dai dieci anni in poi (cfr. al proposito il Capitolo V I I I ) .

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Ciò nonostante nel giro di cinque anni (dal ’78) molti altri robot entra-rono nelle case italiane: Mazinga Z e il Grande Mazinga, Jeeg Robot,D a i t a r n 3 e G u n d a m sono forse gli esempi più rappresentativi. È interes-sante rilevare, tuttavia, che di questi solo un numero piuttosto contenutopassò sulle reti RA I e inoltre che a partire dalla seconda metà degli anniOttanta l’acquisizione di serie fantascientifiche subì una vistosa battutad’arresto anche sui canali privati. Le cause vanno probabilmente attribui-te da un parte al desiderio di evitare le consuete polemiche legate a que-sto genere di produzione nipponica, ma dall’altro anche all’incredibilevarietà di serie disponibili sul mercato. A n i m e come Anna dai capelliro s s i (RA I Due, 1980),21 Bia, la sfida della magia (RA I Due, 1981), C a n d yCandy (Canale 5, 1982), Lady Oscar (Italia 1, 1982) o Mimì e laNazionale di pallavolo (Italia 1, 1983), che puntavano più su un pubbli-co femminile,2 2 o come Lupin I I I (reti locali, 1979) Rocky Joe (Rete 4,1983), Carletto il principe dei mostri (Rete 4, 1983), diretti prevalente-mente a quello maschile,2 3 o ancora L’ape Maia (RA I Uno, 1980), D o nChuck Story (reti locali, 1980) e D o r a e m o n (RA I Due, 1982), rivolti inve-ce ai più piccini, riuscivano a suscitare un grande interesse nel pubblico;accortesi di ciò, tutte le emittenti decisero di effettuare una maggiorediversificazione. Alcune di queste scelte, però, non evitarono alle reti cri-tiche sulla programmazione, dovute alla presenza in diversi a n i m e d itematiche che potevano risultare piuttosto forti per i più piccoli. Per risol-vere questa situazione le emittenti avrebbero potuto sospendere i pro-grammi «incriminati» o programmarli in appropriate fasce orarie. LaRA I, optando per serie dai toni, dai ritmi e dai contenuti s o f t, operò unascelta abbastanza coerente e che, nel rispetto dei suoi doveri come T V d istato, diede la giusta importanza alle esigenze dei bambini. La Fininvestinvece ritenne opportuno intervenire sugli a n i m e già in suo possesso con

19I PACIFICI «INVASORI»

2 1 I dati relativi alla messa in onda di queste serie derivano da note rilasciate dagli attuali responsa-bili della programmazione delle rispettive emittenti e dalla consultazione del sito w w w. l i s t a c a rt o n i . i t,fonte inesauribile di interessanti informazioni.

2 2 Alcune di queste serie in realtà erano già apparse in Italia sui canali locali qualche anno prima – peresempio Candy Candy apparve sulle reti locali dal 1980 e Mimì e la Nazionale di pallavolo dal 1981 –ma si è ritenuto più interessante indicare la data in cui tutti gli italiani poterono apprezzarne la visione.

2 3 Questa considerazione vale più per Rocky Joe che per Lupin I I I e C a r l e t t o; quest’ultimo, in parti-colare, basato su di una grottesca reinterpretazione di personaggi come il Mostro di Frankenstein o ilConte Dracula, riusciva con il suo umorismo a catturare anche il pubblico femminile.

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20 TV INVADERS. QUANDO GLI ANIME ARRIVARONO IN ITALIA

operazioni censorie, allo scopo di piegare il prodotto alle esigenze tele-visive. Rispetto ai primi passaggi, le repliche di L a d y O s c a r o L u p i n I I I,per esempio, subirono diversi tagli: alcune scene o intere sequenze ven-nero eliminate. L’unico risultato fu però solo quello di alterare la norma-le successione narrativa rendendo, molto spesso, davvero difficile lacomprensione della storia, senza riuscire a offrire un buon servizio nean-che al pubblico che avrebbero dovuto proteggere. Per quasi vent’anni lereti Fininvest/Mediaset portarono avanti questa politica a p p l i c a n d o l aanche alle nuove acquisizioni.2 4 Piuttosto che effettuare una selezione piùaccurata o creare fasce orarie dedicate al pubblico adolescenziale (targ e tal quale molti a n i m e sono generalmente destinati), diverse serie subiro-no notevoli modifiche attraverso non solo il rimontaggio degli episodima anche la sostituzione dei nomi giapponesi dei personaggi con altrioccidentali, o ancora lo stravolgimento dei dialoghi originali.

Se negli anni Ottanta questa strategia non era nota ai più e destavasolo l’attenzione di una minoranza rappresentata da ragazzini davveroappassionati, le differenze e le discrepanze con i primi adattamenti, ocon la versione giapponese, vennero alla luce nel decennio successivo.I bambini di allora erano ormai cresciuti e adesso avevano gli strumen-ti e le capacità per dimostrare il loro disappunto.2 5 Gli adolescenti deglianni Novanta continuavano a essere infatti profondamente legati all’ani-mazione nipponica (anche di nuova concezione) e desideravano dimo-strare quanto l’intervento dei responsabili Fininvest/Mediaset avessecontribuito a distruggere quelli che, con le dovute eccezioni, potevanoessere considerati invece dei buonissimi prodotti. Alessandra Va l e r i

2 4 A proposito delle acquisizioni effettuate dagli anni Ottanta in poi, non solo dalle reti Fininvest, èinteressante notare che il 1982 e il 1983 furono gli anni in cui si registrò il maggior numero di nuoveproduzioni in onda sulle emittenti italiane, cifra che subì una progressiva flessione (compensata senzadubbio da un alto numero di repliche delle vecchie serie) nel corso degli anni Ottanta, toccando il mas-simo picco negativo nel 1993 per poi risalire lentamente, con alti e bassi, negli anni successivi, senzamai raggiungere però i valori del 1982. Queste considerazioni sono frutto dell’analisi del numero diserie classificate sul sito w w w. l i s t a c a rt o n i . i t, che, sebbene sia aggiornato al 2002 e presenti ben 107titoli non classificati, risulta senza dubbio la fonte più completa in rete.

2 5 Internet in questo fenomeno ha svolto un ruolo determinante, in quanto ha consentito la diff u s i o-ne di informazioni e il contatto tra appassionati e studiosi. È possibile trovare in rete non solo siti dedi-cati a ogni serie e all’analisi per esempio di tutti i tagli effettuati in ciascuna, ma anche quelli di asso-ciazioni come AD A M Italia (Associazione per la difesa di a n i m e e m a n g a), impegnata nella battagliacontro la censura. Cfr. w w w. a d a m i t a l i a . o rg.

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Manera, per anni responsabile della programmazione per ragazzi dellereti berlusconiane, a lungo è stata considerata quasi una «icona delmale» dagli appassionati di c a rt o o n giapponesi, anche se bisognaammettere che senza di lei molti disegni animati, sebbene snaturati, nonsarebbero mai arrivati sui nostri schermi. E in tal caso tutti noi nonavremmo avuto proprio nulla di cui parlare.

Nel corso degli anni Novanta l’assetto televisivo terrestre raggiunseuna sorta di punto d’equilibrio2 6 e al contempo gli spettatori dimostraro-no, rispetto al passato, di avere un approccio più sereno, maturo e con-sapevole nei confronti della T V e delle problematiche a essa legate. A lpanico incontrollato si sostituì in genere un atteggiamento più costrutti-vo e propositivo, che portò le associazioni di consumatori, ma anche isingoli, a manifestare espressamente l’esigenza di un insieme di normeche regolamentassero l’operato della televisione, in vista soprattuttodella tutela dei minori (ma su questo punto si riferisce più avanti).

Nel contempo s’è assistito a un lento ma sostanziale cambiamentodelle strategie adottate dalle varie emittenti, soprattutto a partire dallaseconda metà del decennio. Le reti RA I, per esempio, hanno ridimensio-nato ulteriormente il numero di ore dedicate all’animazione nipponica infavore delle neonate coproduzioni con altre emittenti europee, createappositamente per le varie fasce di pubblico coperte dalla programma-zione della T V di stato, i bambini in età prescolare e scolare. La decisio-ne di MT V, canale giovanile per eccellenza, di trasmettere dal 1998, inprime time, un tipo di animazione (dapprima di propria produzione, poianche giapponese) piuttosto adulta, sia per i contenuti che per il linguag-gio, visivo e verbale, ha rappresentato una svolta decisiva nel modo ita-liano di proporre animazione in T V. Da quel momento è stato infatti rico-nosciuto anche al pubblico non infantile uno spazio all’interno dellaprogrammazione in cui poter trovare c a rt o o n ricercati, trasmessi in ver-sione integrale e senza equivoci sul target di riferimento.2 7

21I PACIFICI «INVASORI»

2 6 Sul fronte terrestre, ai sei canali nazionali in realtà, negli ultimi dieci anni, si sono aggiunti MT Ve La7 (ex TM C), che rappresentano il terzo polo. Sempre negli anni Novanta sono nate inoltre le primepay T V e pian piano una moltitudine di canali satellitari. Il settore, ancora piuttosto giovane, risponde aregole e strategie diverse e pertanto non viene analizzato in questo contesto.

2 7 Sicuramente per le caratteristiche proprie del canale, che nasce per un pubblico di adolescenti e giova-

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22 TV INVADERS. QUANDO GLI ANIME ARRIVARONO IN ITALIA

Un tentativo, in realtà, era stato già fatto nel 1991, quando Canale 5propose in seconda serata T h e S i m p s o n s,2 8 ma non si trattò di una sceltastrategica e duratura. In meno di un anno infatti l’appuntamento con la«famiglia più irriverente della T V» cambiò più volte, fino a stabilizzar-si, nell’autunno del ’97, nell’ormai consueta collocazione, il primopomeriggio di Italia 1. Fascia orientata al pubblico dagli adolescenti insu, nella quale nel tempo si sono avvicendate serie classificabili, propriocome I Simpson, tra le animated sit-com.

Negli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo Italia 1 puntòancora una volta sull’animazione per adulti programmando in tardaserata un c a rt o o n comico americano, South Park, e in seguito B e r s e r k ,u n anime d’azione. Malgrado l’entusiasmo di una grossa fetta di appas-sionati i risultati d’ascolto non furono altrettanto soddisfacenti per larete che, nel giro di poco tempo, si vide costretta a far sparire dai palin-sesti questo tipo di programmi. Più in generale però si può riconoscereche la programmazione di animazione effettuata negli ultimi anni daItalia 1 è nettamente migliorata: la selezione risulta infatti più oculata,più rispettosa delle varie fasce di pubblico e quasi priva di tagli indebi-ti. Che il merito vada attribuito alla politica adottata dal nuovo respon-sabile della fascia ragazzi della Mediaset? Molto probabile.

Le recenti migliorie nella programmazione italiana, che consistonosostanzialmente in una maggiore valorizzazione dei prodotti e in unadiversa attenzione nei confronti del pubblico, di tutte le fasce d’età, tut-tavia non sono ancora riusciti a scalfire i pregiudizi nei confronti del-l’animazione nipponica. Tuttora molti giornalisti continuano ad alimen-tare i luoghi comuni riguardanti queste produzioni, divenute più voltecapri espiatori di ogni male giovanile.2 9

ni, per la scelta della fascia oraria ma anche perché ogni programma che presenti contenuti forti è precedu-to da un «cartello» (d i s c l a i m e r) che dà alcune informazioni allo spettatore, in modo ironico ma efficace, sullanatura del prodotto.

2 8 Storicamente non era la prima volta che una serie animata americana andava in onda in quella fasciaoraria; sbalordirà forse sapere che prima The Flintstones (G l i A n t e n a t i), nel 1963, poi The Jetsons (IP ro n i p o t i) l’anno seguente, furono programmati sul Secondo canale dopo le 21. Ma si trattò comunque dicasi isolati.

2 9 Può capitare infatti che tra le notizie di cronaca l’i d e n t i k i t di un ragazzo/a «con problemi» preveda, oltrealle difficoltà familiari, che ami Marilyn Manson, gli a n i m e e i videogiochi. Sulle polemiche contro i c a rt o -o n giapponesi un resoconto complessivo è in Marco Pellitteri, Mazinga nostalgia. Storia, valori e linguag -

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I . 1 Come sopravvivere nella giungla televisiva

Non è il caso in questo contesto di sostenere quanto, e se, la T V s i ainnocua o pericolosa. Tuttavia le teorie sui mezzi di comunicazione dimassa sviluppate da due studiosi cileni, Humberto Maturana e FranciscoVa r e l a ,3 0 riescono a fotografare bene la realtà. Dopo avere individuatoun intimo legame tra la comunicazione e l’origine biologica della vita, idue affermano che non esiste un elementare e immediato rapporto sti-molo/risposta (un meccanismo quindi di causa/effetto) ma piuttosto chele trasformazioni avvengono solo se il soggetto è p re d i s p o s t o a tali cam-biamenti. In altri termini sarà possibile riscontrare effetti negativi legatiall’esposizione, ripetuta, a un determinato stimolo (un programma tele-visivo per esempio), solo nelle persone già naturalmente portate a svi-luppare il comportamento, cosiddetto deviante, veicolato dal prodotto inquestione. Questo, se da una parte vuol dire che l’impatto non coinvol-ge le masse indiscriminatamente, dall’altro evidenzia che i soggettideboli sono potenzialmente a rischio. Aspetto che non si può certo igno-rare. È anche vero, però, che l’oggetto in questione, il «cartone anima-to», è di per sé anomalo.

Il carattere «realistico» delle immagini televisive e la familiarità dellospettatore con le convenzioni del medium danno spesso l’impressioneche la T V sia una sorta di «specchio», di «finestra sul mondo», cioè undispositivo «neutro» in presa diretta con il reale. Invece quello della tele-visione è un vero e proprio l i n g u a g g i o, che non riflette la realtà ma la«ri-crea», e che produce significati appoggiandosi a sistemi di regole.3 1

Fra i prodotti televisivi, però, il c a rt o o n può essere considerato ilmeno «realistico», in quanto ciò che si vede non esiste ma deve essere

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gi della Goldrake-generation (I ed. Roma, Castelvecchi, 1999), I I ed. riv. e ampl. Roma, King|Saggi, 2002,c f r. anche Loredana Lipperini, Generazione Pokémon. I bambini e l’invasione planetaria dei nuovi «giocat -toli di ru o l o », Roma, Castelvecchi, 2000.

3 0 C f r. Humberto Maturana – Francisco Varela, El Árbol del Conocimiento. Las bases biológicas delentendimiento humano, Santiago, Editorial Universitaria, 1985 (trad. it. L ' a l b e ro della conoscenza. Unnuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana, Milano, Bompiani, 1992).

3 1 Francesco Casetti – Federico di Chio, Analisi della televisione, Milano, Bompiani, 1998, pp. 219-20.

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24 TV INVADERS. QUANDO GLI ANIME ARRIVARONO IN ITALIA

creato, disegnato. La costruzione, e successiva decodifica, di un prodot-to d’animazione, richiede un’astrazione dalla realtà e la condivisione, daparte dell’autore e del fruitore, di un vero e proprio c o d i c e. Ma, se il c a r -t o o n ha uno specifico linguaggio e al tempo stesso è costretto a adeguar-si anche a quello del medium per il quale viene creato, in realtà è comese avesse un d o p p i o codice, un doppio linguaggio. Non si può che giun-gere alla conclusione che un disegno animato televisivo è totalmenteirreale, insomma una pura finzione.

Ogni testo definisce i suoi significati in rapporto al contesto attraversoun processo collettivo di costruzione del senso […].[…] il significato deltesto nasce da un confronto tra il testo e il suo destinatario: un confron-to che porta a una vera e propria negoziazione del senso. […] Il fruitoreinterpreta [infatti] il messaggio «processandolo» attraverso i suoi sche-mi mentali3 2 [definibili anche come b r a i n f r a m e s3 3]. […] ma affinché lasignificazione si attivi, è necessario che qualcosa assicuri la corrispon-denza tra significanti e significati, allo scopo di formare un repertorio efissare regole comuni tra mittente e destinatario. [Questo processo però]non è naturale ma culturale: infatti il legame tra significante e significa-to è arbitrario […]. Per questo motivo guardare la T V, se pure non richie-de alfabetizzazione, richiede comunque apprendimento e competenza:lo spettatore deve imparare le regole del mondo che la televisione rap-presenta e le regole del modo in cui lo rappresenta.3 4

Se, come si affermava su, la televisione (così come tutti gli altrimedia) non riflette la realtà ma per così dire la filtra, la interpreta, la «ri-crea», è necessario che lo spettatore sia a conoscenza delle regole attra-verso le quali ciò si attua, dato che maggiore sarà la sua competenza,minore sarà la sua fiducia incondizionata rispetto ai messaggi che glivengono proposti. Questo è vero per tutti i programmi che prevedono lapresenza di persone in carne e ossa; nel c a rt o o n, l’implicito carattere di

3 2 I v i, pp. 255-59.33 C f r. al proposito Derrick De Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato (ed. or. Brainframes.

Te c h n o l o g y, Mind and Business, Utrecht, Bosch & Keuning, 1991), Bologna, Baskerville, 1993.3 4 F. Casetti – F. di Chio, op. cit., pp. 221-23.

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i r r e a l t à3 5 costringe immediatamente lo spettatore alla «sospensione deldubbio», all’abbandono della ricerca di una qualsivoglia plausibilità inquanto «in un cartone animato tutto è possibile», anzi la regola basilareè proprio lo stravolgimento di qualsiasi «legge umana».3 6

D’altronde, se si presume che uno spettatore adulto, o comunque al disopra dei dodici anni (potenzialmente interessato ai prodotti di animazio-ne), possa essere considerato «competente» in materia, e quindi menoesposto ai pericolosi processi di immedesimazione ed emulazione, il pro-blema sorge con i più piccini, non ancora perfettamente in grado didistinguere la realtà dalla finzione. Si converrà tuttavia nel ritenere chetra un prodotto di animazione, come già detto doppiamente irreale, e unfilm o telefilm dal vero, è senza dubbio il secondo tipo a presentare perun bambino più problemi di discernimento. Una recente ricercaE u r i s p e s / Telefono A z z u r r o3 7 dimostra per esempio che le immagini tele-visive violente che impressionano di più i bambini sono quelle presentiin film, telefilm e telegiornali, soprattutto se il fatto di cronaca coinvolgeun minore. Nessun riferimento quindi all’animazione. Tuttavia, è utilefornire alcune piccole indicazioni legate alla fruizione televisiva italianadegli anime (molte considerazioni possono essere estese però all’anima-zione in generale), dato che i minori restano comunque i più esposti ai«pericoli» della T V e inoltre è ancora troppo diffusa la convinzione chel’animazione sia un prodotto solo per bambini. D’altra parte è vero che ibimbi sono istintivamente attratti più da un c a rt o o n che da un prodottolive action e che non è sempre facile, per uno spettatore «ingenuo», rico-noscere le serie meno adatte ai più piccoli a una prima occhiata.

Appurato che in base alla fascia di pubblico varia la complessità nar-rativa e linguistica di un a n i m e , in che modo è possibile individuare ilpubblico di riferimento, senza dover visionare per intero una serie o

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3 5 Legato al proprio linguaggio, dunque alla forma in cui si presenta, e a quello del medium a cui sia p p o g g i a .

3 6 Dodicesima regola ideata da Walt Disney e dai suoi collaboratori, quella della e x a g g e r a t i o n, eprincipio fondante del modo di fare animazione di Tex Av e r y. Cfr. Luca Raffaelli, Le anime disegnate.Il pensiero nei c a r t o o n da Disney ai Giapponesi, Roma, Castelvecchi, 1994.

3 7 Terzo rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza elaborato da Eurispese Telefono Azzurro, del 2002. Ben descritto nell’articolo di Emanuele Imperiali su Il Mattino i l1 4 . 11.2002, «I giovani? Peter Pan con le chiavi di casa», dove tuttavia si coglie l’occasione per unattacco – fuori luogo – non troppo bene informato ai disegni animati.

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e ffettuare delle accurate ricerche? Un criterio di massima, suscettibile diimprecisioni ma comunque piuttosto efficace, per individuare agevol-mente la fascia di pubblico di una serie consiste nel confronto con l ’ e t àdei pro t a g o n i s t i. Seppure non sia possibile sostenere l’esistenza di unaperfetta corrispondenza fra l’età dei personaggi principali e quella delloro pubblico, è facile constatare che, soprattutto nel caso delle produ-zioni seriali televisive, la necessità di fidelizzare lo spettatore, creando ipresupposti per un’istintiva immedesimazione, abbia portato e porti tut-tora i produttori a effettuare scelte di questo tipo. In altri termini è moltoprobabile che un c a rt o o n i cui protagonisti sono in età prescolare nonnasca per gli adolescenti, e viceversa.

È anche vero però che sui bambini in generale gioca molto un fattoreaspirazionale, per cui è naturale che essi siano attratti da serie i cui perso-naggi abbiano qualche anno in più, a patto che le loro avventure, o le pro-blematiche affrontate, siano in qualche modo condivisibili. La fascia dipubblico compresa tra i sei e i dodici anni è la più complessa e delicata inquanto, pur essendoci inevitabili differenze, tanto negli interessi quantonella sensibilità e maturità, v’è comunque una contiguità. È plausibilequindi che una serie che analizza la fase di passaggio dall’infanzia allapubertà sia perfetta anche per i più piccoli, soprattutto se si considera cheraggiunti i dodici anni i ragazzini molto spesso smettono, temporanea-mente, di vedere i prodotti d’animazione ritenendoli «cose da bambini».

Quanto affermato finora potrebbe sembrare in contraddizione conl’incredibile successo che invece a n i m e come L u p i n I I I, L a d y O s c a r o lostesso Atlas UF O R o b o t hanno avuto negli anni Ottanta proprio tra ibambini italiani, piuttosto che tra gli adolescenti di allora, originario tar-get di riferimento in Giappone. È necessario precisare che il criteriosopra illustrato può rappresentare un ausilio nell’individuare gli obietti-vi produttivi, e talvolta di programmazione, al solo scopo di proteggerei più piccoli dalla visione di storie più complesse (dalle quali non è dettoche non siano attratti) in quanto destinate a spettatori di età maggiore.

Un’ulteriore precisazione è d’obbligo. Se applicato, per così dire, allalettera, questo metodo selettivo porterebbe a ritenere le serie su citateadatte esclusivamente a un pubblico prossimo ai trent’anni, mentre sirivolgono senza dubbio anche agli adolescenti. L’approccio più corretto

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è invece quello di avvalersene solo come indicazione di un ordine digrandezza, per cui in linea di massima maggiore è l’età dei protagonistimeno le serie sono adatte ai bambini piccoli.

Un secondo aiuto per capire a quale platea ciascun c a rt o o n si rivolge,a condizione che le emittenti televisive effettuino scelte consapevoli,può essere rappresentato dalle fasce orarie in cui i programmi d’anima-zione vanno in onda. Da diversi anni, dapprima con effetti blandi ma piùrecentemente con risultati tangibili, esiste un Codice di autore g o l a m e n -tazione T V e minori e un relativo Comitato di applicazione3 8 che hannocome finalità quella di indicare dei principi generali che guidino le emit-tenti televisive a limitare le scene e i messaggi volgari, violenti o dinatura sessuale in tutti i programmi televisivi (da quelli di informazionealle f i c t i o n, dai varietà agli s p o t pubblicitari) e a far rispettare un insie-me di norme che regolamentano la programmazione televisiva divisa inspecifiche fasce orarie, violate le quali vengono avviati procedimentisanzionatori. Le tre fasce orarie in oggetto sono quella definita «pertutti», che va dalle 7 alle 22,30, in cui è previsto un controllo generalesui contenuti e l’utilizzo di segnalazioni iconografiche, in sovrimpres-sione, che indichino la maggiore o minore adeguatezza dei programmial pubblico dei minorenni; all’interno di questa vi è la fascia «protetta»,dalle 16 alle 19, quella destinata ai bambini e in cui pertanto è richiestala messa in onda di programmi consoni al pubblico di riferimento; einfine quella dalle 22,30 in poi, in cui viene riconosciuta una maggiorelibertà alle emittenti. Il C o d i c e, che aveva tutte le premesse per rappre-sentare un valido strumento, tanto per le emittenti televisive quanto pergli spettatori, in realtà presenta, almeno sul fronte animazione, una rile-vante lacuna: non viene fatto, per l’appunto, alcun riferimento all’ani-m a z i o n e .3 9 Pertanto, se i principi generali vengono comunque seguiti dairesponsabili della programmazione, soprattutto nella fascia protetta ci sideve affidare più alla loro sensibilità che a una normativa specifica.

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3 8 Il 29 novembre 2002 è stato firmato da tutte le emittenti televisive italiane il suddetto C o d i c e,diventato attivo a partire dal 28 gennaio 2003, data in cui si è insediato il Comitato, presieduto daEmilio Rossi. Per la lettura del C o d i c e si rimanda al sito w w w. u r p c o m u n i c a z i o n i . i t.

3 9 Ho affrontato più diffusamente l’argomento nell’articolo «Animazione in T V e minori: norma, pro-blemi, polemiche», e M o t i o n, n. 9, aprile-maggio 2004.

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La seguente indicazione risulterà forse ovvia, eppure è solo da unadecina d’anni che la programmazione televisiva segue con rigore quel-la che può essere individuata come la linea editoriale del canale. Ognirete ha infatti una propria identità che viene costruita nel tempo e chestabilisce una sorta di tacito patto di fiducia con gli spettatori, che nutro-no quindi aspettative precise d a ciascuna emittente.

Italia 1, RA I Due e MT V, con le dovute e profonde differenze, sono icanali con la maggior quantità di programmi per ragazzi, ivi inclusi iprodotti d’animazione. RA I Uno, Canale 5 e La7 (per non parlare di Rete4) ormai non dedicano più spazio all’animazione, se non molto rara-mente e nel caso di lungometraggi cinematografici trasmessi durante iperiodi festivi. RA I Tre, già da diversi anni, si è specializzata invecenella programmazione per i bambini in età prescolare. La consueta pro-grammazione di animazione settimanale è così ripartita: la fascia mattu-tina che, sia per la RA I che per Mediaset, va dalle 7 alle 9 è rivolta nellaprima ora ai bambini in età scolare, seguita poi da c a rt o o n adatti ai piùpiccoli; la fascia dell’ora di pranzo, dalle 13 alle 15, su Italia 1 è dedi-cata (a differenza di quanto avveniva negli anni Ottanta e nei primiNovanta) a un pubblico che va dagli adolescenti ai ragazzi in età post-adolescenziale, mentre su RA I Tre ai bimbi in età prescolare; il cuore delpomeriggio, che corrisponde alla fascia protetta, sia su Italia 1 che suRA I Due è diretto a spettatori in età compresa tra i sei e i tredici anni almassimo. Da molti anni è scomparso sulle reti Mediaset il consuetoappuntamento serale, mentre RA I Due propone cortometraggi classiciamericani, puntando così su tutta la famiglia. La programmazione inprime time di MT V (anche nella replica del day time) invece si rivolgeespressamente al suo c o re t a rg e t, i ragazzi di età compresa tra i quindicie i venticinque anni. A fine settimana la programmazione e il relativopubblico risultano più omogenei: sia Italia 1 che RA I Due e di recenteanche RA I Tre si rivolgono con strategie diverse, sia per quanto riguardail tipo di c a rt o o n che le fasce orarie coperte, primariamente alle famiglie.

Quanto detto finora si basa sull’assunto che anche se la T V ha delleresponsabilità nei confronti del suo pubblico, e in particolare rispetto aiminori, spetta sicuramente ai rappresentanti della categoria degli educa-tori (genitori, docenti) svolgere un ruolo di filtro e supporto nella fruizio-

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ne televisiva.4 0 Infatti, indipendentemente dalle precauzioni che possonoessere prese in fase di programmazione, non va mai dimenticato che pro-porzionalmente alla complessità del programma e all’età del pubblico (diminorenni) aumenta la necessità di una visione assistita, di un confrontoe aiuto, ovviamente da parte degli adulti, nella decodifica dei messaggiveicolati, verbalmente o visivamente, nel corso della narrazione.

I.2 Considerazioni sul piano stilistico

Se in estrema sintesi si dovesse indicare l’aspetto più rappresentativodegli a n i m e, si potrebbe individuare il frequente ricorso al d r a m m a,inteso in una duplice accezione. Una positiva, quando cioè gli eventinarrati vengono drammatizzati, e una negativa, quando sono invece s -d r a m m a t i z z a t i. Tale approccio narrativo, in entrambi i casi, si contrad-distingue soprattutto per la profonda intensità delle emozioni evocate edunque per il forte e totale coinvolgimento, in una parola il p a t h o s, chegenera in chi vi partecipa come spettatore.

Gli animatori giapponesi, soprattutto quelli impegnati nelle produzio-ni televisive (dunque con b u d g e t minimi a disposizione), per potersuscitare questo stato d’animo, non potendosi avvalere di una sofistica-ta, spettacolare e articolata animazione, tipica delle produzioni cinema-tografiche, hanno dovuto inventare un proprio stile. Alla centralità dellastoria, spesso legata alla vita di tutti i giorni, e dell’intreccio narrativo,interrotto sapientemente proprio nel momento culminante, viene cosìa ffiancata una ricercatissima regia, ispirata a quella del cinema dal vero,che si potrebbe definire e m o t i v a. Tale affermazione si basa sull’osserva-zione delle scelte stilistiche adottate più frequentemente: lunghe panora-miche di luoghi desolati, lente z o o m a t e sui volti dei personaggi durante

29CONSIDERAZIONI SUL PIANO STILISTICO

4 0 Per facilitare tale compito sarebbe senz’altro auspicabile che venissero istituiti dei corsi di m e d i ae d u c a t i o n in modo da consentire il rafforzamento delle capacità critiche del bambino e dell’adolescen-te rispetto ai messaggi veicolati da tutti i media, primo fra tutti la televisione. L’on. Alfredo Meocci,commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e relatore del progetto speciale sullatutela dei minori, ne è uno dei maggiori promotori in Italia.

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30 TV INVADERS. QUANDO GLI ANIME ARRIVARONO IN ITALIA

le loro sofferte riflessioni, ritmi incalzanti del montaggio e delle musichedi sottofondo nei momenti di tensione o pericolo, dilatazione temporale.

La presunta «pericolosità» di tali c a rt o o n consiste forse più nella stra-ordinaria capacità di creare un intimo legame con i personaggi e una sin-cera partecipazione alle loro vicende, dunque una facile immedesima-zione, che nella presenza di messaggi realmente diseducativi.4 1 Non vadimenticato, poi, che i toni drammatici generalmente si smorzano nelcaso delle serie rivolte ai più piccini e soprattutto che esiste una vastis-sima fetta di produzioni che, attraverso una demenziale e dissacranterappresentazione della realtà, tende invece a sdrammatizzare in modogrottesco i problemi e le difficoltà della vita.

Per quanto riguarda le produzioni televisive americane, il loro comunedenominatore è rappresentato dalla scelta di ricorrere ai toni allegri, leg-geri e disimpegnati tipici delle commedie, che implicano l’assenza ditematiche che possano turbare anche minimamente il pubblico, risultan-do quindi pienamente accettati dall’opinione pubblica. D’altra parte,però, proprio questo aspetto determina un coinvolgimento inevitabilmen-te inferiore (non v’è infatti alcun p a t h o s) e dunque una minore aff e z i o n e .Ovviamente a esse va riconosciuto, soprattutto se ci si riferisce ai grandiclassici, l’indiscutibile e impareggiabile capacità di provocare una since-ra ilarità e un momento di aggregazione tra gli spettatori di tutte le età.Un discorso a parte meritano poi le recenti produzioni statunitensi rivol-te a un pubblico più adulto, dove la commedia si trasforma in cinica eparodistica satira della società attuale, suscitando pertanto amare risate.

Vale la pena infine di riallacciarsi a un discorso accennato in prece-denza: la percezione – negativa – che in Italia si ebbe, e si ha, dell’ani-mazione nipponica. Senza addentrarsi nelle analisi che verranno aff r o n-tate in modo completo ed esaustivo nei Capitoli successivi e soprattuttosenza entrare nel merito dei gusti personali e della valutazione dei diver-

4 1 Mi sia consentito, almeno in nota, un piccolo richiamo alla mia esperienza personale. Ricordo diaver pensato più volte, da bambina, d’essere stata adottata, influenzata senza dubbio dalle vicende diun gran numero dei protagonisti degli a n i m e (ispirati peraltro molto spesso ai classici della letteraturaeuropea, cfr. il Capitolo IV), ma al contempo d’essere sempre stata colpita dall’elevato insieme di valo-ri e principi positivi proposti, riguardanti soprattutto la forte carica e spinta a non perdere mai la spe-ranza, ad apprezzare le piccole cose della vita, a credere nelle proprie forze e a lottare per un ideale.

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si canoni estetici che due culture diverse necessariamente comportano,va posta l’attenzione su alcuni interrogativi (volutamente retorici) natidal confronto con le produzioni americane, troppo spesso accettate acri-ticamente, e dai tanti luoghi comuni che ruotano attorno al fenomenodell’animazione giapponese.4 2

Nel definire gli a n i m e «brutti», a quali parametri si fa riferimento? Iclassici americani destinati originariamente al cinema come B i a n c a n e v ee i Sette Nani o Bugs Bunny sono in genere paragonati a serie televisivenipponiche come L’ape Maia o Atlas UF O R o b o t. Perché non si r o v e-sciano mai i termini di paragone, per esempio confrontando un bel lun-gometraggio cinematografico giapponese, come K i k i ’s Delivery Serv i c edi Hayao Miyazaki, con una serie televisiva statunitense, come S c o o b yD o o? Risulterebbe altrettanto equo un parallelo tra produzioni l i v ea c t i o n per il cinema come P s y c h o o The Ring e s e r i a l televisivi comeL’ i s p e t t o re Derr i c k o Buffy l’ammazzavampiri?

E poi, nella valutazione ci si riferisce ai contenuti, allo stile grafico,alla qualità dell’animazione, ai modelli di comportamento, ai messaggiveicolati? si può affermare con assoluta serenità che l’animazione e ildisegno dei personaggi di una serie americana come The Flintstonessiano superiori a quelli del c a rt o o n giapponese Conan, il ragazzo delf u t u ro? cos’è potenzialmente più destabilizzante per un bambino, fra ilsapere che Paperino parla, non ha genitori né fratelli, però tre nipotini,e vive serenamente, oppure che Heidi non ha i genitori, ma un nonnoche l’adora, e che malgrado le difficoltà che la vita le riserva ha unanimo gentile e un’allegria contagiosa?

Perché non scandalizza tanto che Biancaneve e Cenerentola sianoorfane, eppure se questa condizione è presente nell’animazione giappo-nese ha invece una valenza negativa?

Quale messaggio può creare più confusione fra Wile Coyote che,schiacciato da un masso, travolto da un auto, precipitato in un burronesi rialza indenne, e Rubber (dalla serie giapponese O n e Piece –

31CONSIDERAZIONI SUL PIANO STILISTICO

4 2 Sul tema dell’animazione giapponese a confronto con le scuole del c a rt o o n americano cfr. L.R a ffaelli, op. cit.; su una trattazione complessiva sugli a n i m e e sulla loro vicenda italiana cfr. M.Pellitteri, op. cit.

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A l l ’ a rre m b a g g i o) che, dopo aver affrontato i nemici più agguerriti, nonriporta alcun segno, ma solo perché da piccolo ha ingerito un fruttomagico che lo ha reso di gomma?

La morte della mamma di Georgie (protagonista di Lady Georg i e)all’inizio della serie è forse più agghiacciante di quella della mamma diBambi? Le angherie subite remissivamente da Cenerentola sono forsepiù giustificabili di quelle che vengono inflitte a Candy? L’infinità dim e rc h a n d i s i n g associato alla giapponese Magica Dore m ì è davvero cosìdiverso da quello delle italiane Wi n x?

È davvero credibile che i giapponesi si avvalessero di avanzatissimetecnologie, come i tanto decantati, ma inesistenti computer, già a parti-re dagli anni Sessanta, mantenendo un prezzo di mercato tanto basso daconsentire a tutte le emittenti italiane un gran numero di a n i m e in onda,se in realtà tali tecnologie solo nell’ultimo decennio sono diventate diuso comune tanto da poter realmente ridurre i tempi di lavorazione eabbattere i costi?

E, infine, un c a rt o o n americano composto da tanti episodi autoconclu-sivi in cui non v’è nessuno sviluppo narrativo e dove i personaggi resta-no per decenni in un presente atemporale è preferibile a un a n i m e s t r u t-turato invece in altrettante puntate ma concatenate, in cui è possibileseguire una storia, fatta di cambiamenti, crescita fisica e mentale dei pro-tagonisti, e che alla fine volge a una conclusione, quasi sempre lieta?

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Uno sguardo sulla pro g r a m m a z i o n edegli a n i m e in GiapponeDa un confronto con Akihiro Ts u c h i y a1

di Roberta Ponticiello

In questo piccolo approfondimento viene descritto a grandilinee il sistema televisivo giapponese e il suo rapporto con i dise-gni animati, per rendere conto delle differenze e somiglianzerispetto al sistema televisivo italiano, di cui s’è riferito somma-riamente nel corso del Capitolo.

Il panorama televisivo giapponese prevede un’ampia scelta direti con diffusione locale e sette emittenti terrestri capaci di copri-re quasi tutto il territorio nazionale; a queste si aggiungono circa140 canali satellitari. Tra le reti nazionali due sono statali, NH K

(Nihon Hoso Kyôkai) 1 e 2; e NT V (Nippon Television Group),TB S (Tôkyô Broadcasting Service), Fuji TV, TV Asahi e TV

Tôkyô sono private.2 Se si considera che la costruzione del palin-sesto si modella sulle abitudini di consumo degli spettatori, che aloro volta dipendono dallo stile di vita imposto dalla società,risulterà chiara la presenza della maggior parte delle novità tele-visive nei mesi primaverili, quelli in cui in Giappone ha iniziol’anno scolastico e lavorativo. Seguono poi per importanza l’au-tunno e in generale i periodi festivi (Natale e Capodanno, la g o l -den week all’inizio di maggio e la fine delle vacanze estive, nelleultime settimane di luglio). Il prime time, sui canali terrestri, va

33UNO SGUARDO SULLA PROGRAMMAZIONE DEGLI ANIME IN GIAPPONE

1 Akihiro Tsuchiya è stato nel triennio 2000-2003 Senior pro g r a m m e r di MT V J a p a n .Attualmente vive a Londra, dove ha frequentato un m a s t e r in Media & CommunicationsRegulation and Policy presso la London School of Economics. Questo breve approfon-dimento sulla televisione giapponese è frutto di alcune conversazioni private e di scam-bi di notizie e informazioni con lui.

2 È opportuno precisare che molti di questi possiedono delle sottoemittenti locali: NT VGroup conta 27 sottocanali, TB S Group ne ha 28, Fuji TV Group ne possiede 26, TVAsahi Group ne annovera 24 e TV Tôkyô ne ha 6.

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dalle 19 alle 23; il cuore di questa fascia, dalle 20 alle 22, vienedefinito golden time. Sulle emittenti satellitari tutto slitta di qual-che ora, per cui il prime time corrisponde alle 21-24 e il g o l d e nt i m e alle 22-23.

Passando alla programmazione per ragazzi innanzitutto bisognasottolineare che tradizionalmente in Giappone è previsto unappuntamento settimanale con ciascuna serie, piuttosto che la«striscia» quotidiana cui siamo abituati in Italia. Tra i canali terre-stri prima indicati i più seguiti dai bambini sono TV Tôkyô e FujiTV, oltre alle T V di stato, mentre tra i satellitari Animax, CartoonNetwork, Disney Channel, Kids Station e Nickelodeon, che tra-smettono animazione (e in generale spettacoli per bambini) 24 oresu 24. I programmi rivolti agli spettatori più piccoli occupano, suicanali terrestri, prevalentemente la fascia mattutina, che durante lasettimana va dalle 7 alle 9 e nel w e e k e n d dalle 9 alle 11. Sulla T V

di stato le produzioni in onda non si differenziano molto daSesame Stre e t o i Te l e t u b b i e s, i canali commerciali prevedonoinvece serie animate come P o k é m o n. Il primo pomeriggio è dedi-cato ai bambini in età prescolare, dato che quelli più grandi rinca-sano da scuola, o comunque dalle varie attività collaterali, soloverso sera. A partire delle 18 inizia così il cosiddetto prime timedei ragazzi, fascia oraria che non supera quasi mai le 20, durantela quale vanno in onda le serie più commerciali rivolte anche agliadolescenti, tratte dai m a n g a di successo.

Gli a n i m e più sofisticati e/o cruenti, destinati a un pubblico daisedici anni in su, non occupano il prime time ma vengono tra-smessi a notte fonda, verso le 2, spingendo la maggior parte deiragazzi interessati a registrarli piuttosto che a guardarli all’ora dimessa in onda. Possono invece essere considerate serie e v e rg re -e n in Giappone c a rt o o n come D o r a e m o n e soprattutto S a z a e-s a n,inedito in Italia. Trasmessi da oltre vent’anni da Fuji TV, solita-mente durante il tardo pomeriggio delle domeniche estive, otten-

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gono costantemente altissimi risultati d’ascolto, un po’ c o m eavviene in Italia c o n H e i d i, Lady Oscar e Lupin I I I. È interessan-te notare che proprio questi a n i m e, fatta eccezione solo per i filmdi Lupin I I I, in Giappone invece non hanno alcuna attrattiva suibambini e incontrano poco anche il favore degli spettatori piùgrandi; non a caso da anni non sono più presenti nei palinsestilocali. Una serie che invece sembra riuscire a eguagliare inGiappone, ma in realtà anche in Italia, i risultati dei grandi clas-sici, è Detective Conan (Meitantei Konan).

A fferma infine Tsuchiya: «In ogni modo, ma è solo una miateoria, penso che molti bambini in Giappone preferiscano legge-re i m a n g a, piuttosto che vederne la versione animata in T V, per-ché gran parte del loro tempo libero lo trascorrono a scuola nellepause tra le varie lezioni. I m a n g a non solo possono essere facil-mente scambiati tra amici ma possono essere letti ovunque e inqualunque momento. Lo stesso discorso vale anche per i giovaniadulti, di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni, che leg-gono sicuramente molti m a n g a, forse anche più dei bambini».Chissà se l'incessante sviluppo e diffusione di dispositivi elettro-nici portatili, in grado quindi di consentire il consumo di opereaudiovisive (ivi inclusi gli a n i m e) in qualunque luogo non sop-pianterà nel giro di pochi anni il prolifico e affermato mercato deim a n g a anche in Giappone.

35UNO SGUARDO SULLA PROGRAMMAZIONE DEGLI ANIME IN GIAPPONE