Comuni infiltrati

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Venticinque i comuni sciolti per inltrazioni e collusioni con la criminalità organizzata nel 2012. Peggio di così solo il 1993, quando gli scioglimenti furono trentuno. Cinque le amministrazioni comunali decadute in Sicilia in seguito al provvedimento, con il “ritorno illustre” di Campobello di Mazara in provincia di Trapani e del palermitano Misilmeri, già sciolto nel 1992 e nel 2003. Viaggio nell’isola dove la convivenza tra maa e amministratori locali è ancora forte di Saul Caia i e Dario De Luca e

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Venticinque i comuni sciolti per infiltrazioni e collusioni con la criminalità organizzata nel 2012. Peggio di così solo il 1993, quando gli scioglimenti furono trentuno. Cinque le amministrazioni comunali decadute in Sicilia in seguito al provvedimento, con il “ritorno illustre” di Campobello di Mazara in provincia di Trapani e del palermitano Misilmeri, già sciolto nel 1992 e nel 2003. Viaggio nell’isola dove la convivenza tra mafia e amministratori locali è ancora forte. (Pubblicato sul mensile Narcomafie, numero 2, anno 2013)

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Venticinque i comuni sciolti per in!ltrazioni e collusioni con la criminalità organizzata nel 2012. Peggio di così solo il 1993, quando gli scioglimenti furono trentuno. Cinque le amministrazioni comunali decadute in Sicilia in seguito al provvedimento, con il “ritorno illustre” di Campobello di Mazara in provincia di Trapani e del palermitano Misilmeri, già sciolto nel 1992 e nel 2003. Viaggio nell’isola dove la convivenza tra ma!a e amministratori locali è ancora forte

di Saul Caia di Saul Caia di e Dario De Lucae Dario De Lucae

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Misilmeri, ventuno chilome-tri da Palermo. Lo scorso 10 ottobre, Piero D’Aì assume l’incarico di consigliere pro-vinciale di Palermo, tra le !la del partito Popolari di Italia Domani (Pid). Primo dei non eletti alle provinciali del 2008, succede a Bartolo Di Salvo, compagno di partito nominato frattanto assessore al Turismo, alla Programmazione negozia-ta, alle Politiche comunitarie e all’Agricoltura di Palermo presso Palazzo Comitini, sede del consiglio della Provincia del capoluogo siciliano. L’avvicendamento risultereb-be lineare, se non fosse che, pochi mesi prima – esattamen-te il 27 luglio – Piero D’Aì ave-va rassegnato le dimissioni, dopo due anni di mandato di primo cittadino del comune di Misilmeri. La decisione non era stata casuale: quello stesso giorno, a distanza di qualche ora, il consiglio dei Ministri avrebbe disposto lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, indi-cando in una nota le accuse sui presunti condizionamenti dell’attività dell’amministra-zione locale. A portare all’avviso di garanzia e al conseguente scioglimen-to del Comune, l’operazione denominata “Sisma” che, ad aprile 2012, condusse all’ar-resto di Francesco Lo Gerfo, ritenuto dagli inquirenti il capo del mandamento di Cosa nostra a Misilmeri; Mariano Falletta, anch’egli di Misilme-ri; Stefano Polizzi, presunto referente del mandamento di Bolognetta, e Antonino Mes-sicati Vitale, uomo d’onore di Villabate, recentemente arre-stato in Indonesia dopo una

latitanza durata alcuni mesi. Tra le attività economiche riconducibili al mandamento di Misilmeri, il controllo dei videopoker e la gestione del ciclo dei rifiuti attraverso una massiccia penetrazione all’in-terno della Coinres (consorzio per la raccolta dei rifiuti tra i 22 comuni dell’Ato 4). Se-condo gli inquirenti, Lo Gerfo avrebbe guadagnato fiumi di euro tramite un’azienda inte-stata in maniera fittizia a terzi e posta sotto sequestro.Nella prima fase dell’inchie-sta (siamo nel periodo in cui nella vicina Palermo si svol-geva la campagna elettorale per le comunali), ad essere coinvolti furono altri uomini politici riconducibili al Pid-Cantiere Popolare. Tra questi Giuseppe Cimò in qualità di presidente del consiglio co-munale di Misilmeri ed Enzo Ganci, candidato consigliere proprio alle comunali di Pa-lermo in una lista civica che sosteneva la candidatura della deputata regionale Marianna Caronia, anch’essa del Pid. La carriera politica di Ganci iniziò proprio a Misilmeri, dove nel 1998 venne eletto consigliere comunale, a ca-vallo tra i due scioglimenti del Comune per infiltrazioni mafiose, avvenute nel 1992 e nel 2003.

A Campobello, piccolo comune in provincia di Trapani, nel dicembre 2011 si è arriva-ti addirittura all’arresto del sindaco che si proclamava “antimafia”. Si tratta di Ciro Caravà, ritenuto dagli inqui-renti l’espressione politica di Cosa nostra e allo stesso

tempo l’emblema della cosid-detta “antimafia di cartone”. A differenza del sindaco di Misilmeri, Caravà non lasciò la poltrona di primo cittadino fino all’irrevocabile decisio-ne – giunta lo scorso luglio – del commissariamento. Campobello si trova a pochi chilometri di distanza da Ca-stelvetrano, il comune che ha dato i natali alla famiglia di Matteo Messina Denaro, attualmente latitante. A inca-strare la doppia identità del sindaco Caravà, le intercet-tazioni telefoniche: il primo cittadino era in prima fila per l’inaugurazione di una sezio-ne Avis in un bene confiscato alla mafia, salvo poi scusarsi immediatamente dopo con la moglie del boss di Cosa nostra, Nunzio Spezia, a cui il bene apparteneva prima del seque-stro. Come se non bastasse, il sindaco s’impegnò, da quanto emerso nell’inchiesta, a pa-gare i viaggi della consorte del boss verso il carcere di Secondigliano dove all’epo-ca il marito era detenuto. Le vicissitudini del comune del trapanese si allargano anche al 2008, quando i commissari prefettizi inviati dal ministero dell’Interno scrivono nero su bianco come ben il 70 per cento degli appalti siano stati assegnati a ditte riconducibili alla mafia. Quando – nel 1992 – il comune fu sciolto per infiltrazioni mafiose, Caravà ricopriva il ruolo di consi-gliere comunale, considerato dagli inquirenti (insieme al collega Antonio Passanante) «in rapporti di amicizia con noti pregiudicati ed esponen-ti mafiosi», tra cui proprio Nunzio Spezia. La politica

A Campobello di Mazara, il sindaco

antimafia era l’espressione

politica di Cosa nostra

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Marilisa Magno dal 30 agosto 2010 è il prefetto di Trapani. Nel corso della sua carriera ha rico-perto il ruolo di Commissario straordinario in tre Comuni della Campania sciolti per infiltrazioni di stampo mafioso. Inoltre è stata coordinatrice della commissione di accesso presso il comune di Frattaminore per la verifica di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata.

Ve ne sono principalmente due, entrambi risultato di un’attività dell’autorità giudiziaria. Per il Comune di Salemi c’era stato un provvedimento di sequestro ai sensi della normativa antima-fia operato dalle forze di poli-zia riguardante Giammarinaro, che è una persona molto vicina all’allora sindaco di Salemi (Vit-torio Sgarbi, nda), in quanto lo influenzava nella gestione del Comune. A Campobello c’è invece stato l’arresto del sindaco (Cirò Caravà, nda) per reati di 416 bis e per tutta una serie di attività che erano collegate al suo ruolo nel Comune. Questa è una delle tante azioni che noi abbiamo svolto in quest’anno per la prevenzio-ne antimafia e per combattere la criminalità organizzata.

La norma per evitare l’infiltrazio-ne diretta e indiretta funziona. Viene applicata da anni e prende in considerazione tutti gli aggiu-stamenti che ha avuto con il primo e il secondo pacchetto sicurez-

za nel biennio 2008-2009 e che hanno permesso l’introduzione di precisazioni che tendono a salvaguardare l’autonomia degli enti locali. Faccio riferimento al fatto che bisogna andare a verifi-care la sussistenza degli elementi concreti univoci e rilevanti sui collegamenti diretti e indiretti, bisogna dimostrare che ci sono degli elementi tangibili e non solo un fumus persecutionis. Altre modifiche hanno riguardato anche la possibilità di non arrivare ad un vero e proprio scioglimento ma a dare indicazione laddove l’amministrazione politica non risulti infiltrata, per consentire ad un sindaco o ad un ente di intervenire sull’apparato. Questa è un’altra possibilità che il prefetto ha in tal senso: dare indicazioni di attenzione a tutta l’ammini-strazione.

La creazione della white list è stata comunque inserita nella legge anticorruzione prevista; spetterà alle prefetture nella loro attività antimafia la formazione di questo registro delle imprese controllate. La white list ha bisogno di una verifica continua, cioè di un mo-nitoraggio, perché ci può essere la possibilità che una compagine societaria cambi e quindi ci sia successivamente un soggetto che possa essere controindicato. Nel nuovo testo unico sulle misure di prevenzione e antimafia, in un primo momento erano venute meno le certificazioni atipiche cioè quando non si dispone di una certificazione interdittiva secca ma di tutta una serie di in-formazioni fornite dalla stazione appaltante per valutare la socie-

tà nell’affidamento definitivo. Questa certificazione atipica è stata poi reintrodotta in questa seconda modifica. Noi siamo in attesa che questa norma entri a pieno regime, perché attraverso la formazione di una banca dati nazionale si avranno sicuramente degli strumenti maggiori.

È già prevista nella norma del testo unico degli enti locali. Noi abbiamo avuto l’incandidabilità per tutti e due i casi degli sciogli-menti dei nostri Comuni (Salemi e Campobello nda). L’iter prevede che il ministro mandi all’autorità giudiziaria la relazione affinché si valuti l’eventuale proposta d’in-candidabilità.

Ai fini della dichiarazione d’in-candidabilità, il ministro degli Interni invia senza ritardo la pro-posta di scioglimento al tribuna-le competente che poi valuta la sussistenza degli elementi con riferimento agli amministratori indicati nella proposta. Quindi c’è stata la pronuncia da parte del tribunale che dichiarava l’incan-didabilità facendo venire meno la sua possibilità di presentarsi alle amministrative di Cefalù.

Intervista a Marilisa Magnodi D. D. L. e S. C.

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per Caravà è stata sempre un vezzo: nel 2008 si candidò alle regionali siciliane in una lista collegata all’attuale senatrice del Partito democratico Anna Finocchiaro. Un tentativo andato male per il sindaco antimafia.

Nella città natale dello scrittore Leonardo Sciascia, nel marzo di un anno fa è stato disposto lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose. I commissari pre-fettizi inviati dal ministero dell’Interno nei mesi prece-denti avevano avuto modo di verificare diverse irregolarità nella gestione delle commesse pubbliche e dei relativi affida-menti a ditte ritenute vicine a Cosa nostra agrigentina o intestate a prestanome. Sotto la lente d’ingrandi-mento, i presunti favori alle aziende “Euroscavi s.n.c.” e “Cedil”, i cui titolari e i loro stretti congiunti venivano tratti in arresto per reati di mafia nel 2006 e nel 2007. Un dato di fatto che avrebbe do-vuto portare ad una gestione più accorta delle commesse. Come nel caso di Polizzi Ge-nerosa, anche a Racalmuto si intrecciano parentele e ami-cizie pericolose: nel 2010, l’ex presidente del consiglio comunale Salvatore Milioto è il testimone di nozze di uno dei figli di Nicolò Cino, boss di Cosa nostra condannato all’ergastolo nel 2009 per as-sociazione mafiosa e omicidio. Anche un altro componente della giunta – l’assessore ai Lavori Pubblici Luigi Di Naro – è, nel 2006, il testimone di nozze di Eduardo Cino

(fratello di Nicolò), che sarà successivamente condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi per associazione mafiosa ma assolto in appello. I due testimoni di nozze, così come l’ex sindaco Salvatore Petrot-to (coinvolto nell’inchiesta “Sorgente”), sono stati resi incandidabili su disposizione del ministero dell’Interno.

In una calda giornata d’estate – 6 agosto 2011 – in un’aula gremita di giornalisti, il sindaco del comune situa-to nel cuore della Valle del Belice smentisce fermamente la presenza della ma!a nella cittadina da lui amministrata, ribadendo: «La ma!a a Salemi non esiste, tutto quello che si chiama ma!a sono fossili», tuonando contro chi si permet-te, a suo dire, di accostare il suo operato alla ma!a. Alcune settimane più tar-di lo stesso primo cittadino depositerà presso la procura della Repubblica di Marsa-la una querela nei confronti del comandante della stazio-ne dei carabinieri di Salemi, Giovanni Teri, e del questore Carmine Esposito, colpevoli di «aver mentito» nel de!nire l’attività amministrativa del comune di Salemi soggetta a «condizionamenti ma!osi». Le accuse? Abuso di uf!cio, calunnia, diffamazione e falso ideologico. Salemi viene storicamente ac-costata ai cugini Nino e Ignazio Salvo, noti come gli “esattori di Cosa nostra” e legati a Pino Giammarinaro, ex deputato regionale Dc, a sua volta vicino ad Andreotti e Totò Cuffaro. Giammarinaro già nel ’94 fugge

in Croazia per evitare l’arre-sto; condannato per peculato e concussione, è assolto dal reato di 416 bis e sottoposto alla misura di sorveglianza speciale per quattro anni con l’obbligo di soggiorno a Salemi. La sua attività di imprenditore e politico però non si scal!-sce. Danzando tra Democrazia Europea, Udc e gruppo misto, appoggia la candidatura a sin-daco di Vittorio Sgarbi per le amministrative del 2008. Grazie all’operazione “Salus iniqua” datata maggio 2011, secondo gli inquirenti, emerge come Giammarinaro controllas-se lucrose attività economiche nel settore della sanità otte-nendo !nanziamenti pubblici regionali, attraverso la compli-cità di imprenditori, medici, operatori sanitari e dirigenti della Asl di Trapani. Il meto-do era sempre lo stesso. L’ex deputato Dc gestiva diverse strutture di assistenza conven-zionata con l’azienda sanitaria, collegate tra loro da una !tta rete di prestanome, allo scopo di in!ltrarsi nella sanità locale e nella pubblica amministra-zione regionale assicurandosi rimborsi. In un’intercettazione Girolamo Turano, attuale presi-dente della Provincia di Trapani in quota Udc, si lamentava con il proprio interlocutore della capacità di Giammarinaro di ri-uscire a determinare le nomine di manager e dirigenti sanitari nei vari ospedali. La questura di Trapani, sempre nell’ambito dell’operazione “Salus Iniqua”, gli sequestrerà beni per un va-lore di 35 milioni di euro e il comune, su richiesta del mini-stro degli Interni Annamaria Cancellieri, sarà sciolto per in!ltrazione ma!osa.

A Racalmuto, politici locali erano testimoni di nozze

di boss mafiosi

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«A Salemi, tutto quello che si chiama mafia sono fossili», così il sindaco della città

Nel piccolo comune di Polizzi Generosa, alle amministra-tive del 2008 Patrizio David viene eletto sindaco – nella coalizione di centro-destra “Alleati per Polizzi” – con un plebiscito: 1.423 voti (56,18%). Quando manca appena un anno alla nuova tornata elettorale, il primo cittadino rassegna le dimis-sioni, abbandonando così l’incarico insieme a tutta la giunta. Nei mesi precedenti, una commissione del ministe-ro degli Interni, su richiesta del prefetto di Palermo, aveva ispezionato atti e documenti dell’amministrazione comudell’amministrazione comu-nale, raccogliendo numerose nale, raccogliendo numerose informazioni e realizzando informazioni e realizzando una relazione per avviare la una relazione per avviare la procedura che avrebbeprocedura che avrebbe potuto culminare con lo scioglimento culminare con lo scioglimento anticipato della giunta per anticipato della giunta per infiltrazione mafiosa.infiltrazione mafiosa. Dalle indagini della Dda di Palermo indagini della Dda di Palermo e dei carabinieri, era emere dei carabinieri, era emer-so che alcuni componenti so che alcuni componenti dell’amministrazione (politici dell’amministrazione (politici e dipendenti) risultavano lee dipendenti) risultavano le-gati a doppio filo alle famiglie gati a doppio filo alle famiglie Maranto e David, appartenenti ai mandamenti di San Mauro Castelverde e Gangi, che con-trollano il traffico degli stu-pefacenti e degli appalti nelle Alte Madonie, oltre ad aver coperto in passato la latitanza di super boss come Brusca, Provenzano e Badalamenti. All’interno del consiglio co-munale figurava Giuseppe Macaluso, coinvolto nel 2009 nell’operazione “Centopassi” che portò alla carcerazione di Leonardo Badalamenti, figlio minore di “don Tano”, e dei fratelli Antonio e Saverio Ma-ranto, figli del defunto boss

polizzano Vincenzo. Proprio quest’ultimo è stato padrino di battesimo di Vincenzo Cascio, vicesindaco durante l’ultima amministrazione e dimesso-si in seguito alle burrascose indagini prefettizie. Al suo posto doveva succedergli la sorella Tiziana, avvocatessa di 28 anni, che in seguito ha ri-fiutato l’incarico perché desi-derosa di «aspettare gli esiti» dell’accertamento ministeria-le e «rinviando al futuro ogni eventuale impegno diretto in politica». A “Pulizzi”, come è pronunciato in siciliano il nome del paese, negli ultimi mesi c’è stata un’escalation di attentati e atti intimidatori. Il comune è noto soprattutto per il feudo di Verbumcaudo, confiscato al boss Michele Greco e gestito dal consorzio “Sviluppo e Legalità”. Il fondo si estende per 150 ettari, di cui 143 destinati a seminativo e sette ad uliveto.

«Un di-segno per isolarmi, creato ad hoc dall’ex sindaco Stefano Bologna e dai consiglieri di minoranza». Questa era stata la reazione dell’allora sindaco di Isola delle Femmine Ga-spare Portobello, conosciuto come “il Professore”, quando nell’aprile 2012 irruppero in Comune gli ispettori prefettizi per analizzare delibere e atti amministrativi. Passa qualche mese e la città marinara viene commissariata per infiltrazio-ni della mafia. Tutto ha avuto inizio nel 2009, quando i consiglieri comunali di minoranza chie-dono le dimissioni dell’as-sessore all’Ambiente Mar-cello Cutino, ritenendo la

sua composizione familiare in contrasto con il codice etico contro la mafia adot-tato dal Comune. La moglie di Cutino è infatti parente di Pietro Bruno, condannato per mafia, legato in passato al padrino di Cinisi Gaetano Badalamenti e nuovamente tratto in arresto (insieme ad altre 62 persone) nell’opera-zione “Addio Pizzo 5” che ha smantellato le famiglie mafiose del mandamento di San Lorenzo. Tra le motiva-zioni che hanno portato allo scioglimento: due conces-sioni edilizie date a ridosso delle elezioni comunali (una di questa annoverava tra i be-neficiari Giuseppe Vassallo, figlio del defunto Vincenzo, indicato come il capo mafia di Capaci), e l’approvazione (nel 2008) di una sanatoria edilizia per la costruzione di un capannone. Nell’area dove sarebbe dovuta sorgere un’autoconcessionaria, gli inquirenti hanno scoperto che il terreno risultava tra i beni sequestrati dai Ros poiché ritenuto di proprie-tà del mandamento mafioso dei Madonia-Di Trapani di Resuttana (Pa). Sui lavori si erano incentrate le attenzioni di Salvatore Lo Piccolo, capo indiscusso di Cosa nostra ar-restato nel 2007 dopo 25 anni di latitanza. Nel suo covo di Giardinello (Pa) vennero tro-vati tra i tanti pizzini alcuni che facevano riferimento ai la-vori edilizi nel territorio ma-rinaro. A confermarlo anche le dichiarazioni di Gaspare Pulizzi, divenuto collabora-tore di giustizia nel 2008, già “colonnello” dei Lo Piccolo e capo mafia di Carini.