Computer Music Studio (Dicembre 2014)

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Pino Pischetola Approccio, esperienza e gusto nel mix Orchestra virtuale La scelta della library Acustica pratica Le basse frequenze Teoria e pratica Le curve della compressione Studio Lounge L’elettronica nella musica DAW Steinberg Nuendo 6.5 Plug-in SSL X-Phase Plug-in K-Devices Autobeat Monitor Unity Audio The Rock MK II Serie 500 Chandler Little Devil Compressor Controller Nektar Impact LX49 Propellerhead Reason 8 iZotope Ozone 6 Advanced Antelope Audio Zen Studio Avid Fast Track Solo ISSN: 2039-4217 - Anno X - Bimestrale - Poste Italiane Spa - Sped. in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano. € 6,90 • DICEMBRE 2014 • WWW.COMPMUSIC.IT

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L'elettronica nella Musica, evoluzione virtuale.

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Pino PischetolaApproccio, esperienza e gusto nel mixOrchestra virtualeLa scelta della libraryAcustica praticaLe basse frequenzeTeoria e praticaLe curve della compressione

Studio LoungeL’elettronica nella musica

DAWSteinberg Nuendo 6.5

Plug-inSSL X-Phase

Plug-inK-Devices Autobeat

MonitorUnity Audio The Rock MK II

Serie 500Chandler Little Devil Compressor

ControllerNektar Impact LX49

Propellerhead Reason 8iZotope Ozone 6 AdvancedAntelope Audio Zen Studio

Avid Fast Track Solo

ISSN:

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no. € 6,90 • DICEMBRE 2014 • WWW.COMPMUSIC.IT

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CAMPIONATORI, SYNTH, NUOVE SOLUZIONI CREATIVE. STRATEGIE, MODI E TEMPI DI PRODUZIONE PER CHI HA FATTO DELL’ELETTRONICA UN ELEMENTO CARDINE DELLA PROPRIA MUSICA.

INCHIESTASTUDIO LOUNGE di Stefano Pinzi

Evoluzione virtuale

L’elettronica nella musica

Il ruolo dei computer e degli strumenti virtuali nel campo della produzione musicale è in questi anni diventato sempre più fondamentale e accentratore: fondamentale perché è evidente che realizzare un’intera produzione senza l’ausilio di un software sarebbe oggi quasi impensabile e accentratore perché queste risorse virtuali hanno ormai raggiunto delle potenzialità tali da spazzar via quasi completamente tutto ciò che c’era prima. Sintetizzatori e campionatori hardware se ne vedono ben pochi e molto spesso sono le stesse persone che li hanno usati per anni a riporli in un angolo per manifesta inferiorità. Si salvano gli strumenti storici, quelli pluri-emulati in versioni digitali che non sono però in grado di riprodurne fedelmente tutte le caratteristiche sonore e alcune (poche) soluzioni moderne particolarmente innovative. Per tutto il resto l’ambiente virtuale la fa da padrone incontrastato, con strumenti e plug-in che per costi, comodità e versatilità non hanno rivali. Abbiamo scelto di analizzare più da vicino il fenomeno all’interno di alcune produzioni che di questi strumenti fanno un uso costante e intensivo,

cercando di creare un confronto aperto su più fronti. Per questa ragione abbiamo invitato a partecipare alla nostra discussione tre producer molto diversi tra loro, sia per ragioni anagrafiche sia per stili e generi musicali di riferimento. Ne è scaturito un utilissimo e interessantissimo confronto, ricco di spunti e suggerimenti su come organizzare e gestire nel migliore dei modi, sia tecnicamente che dal punto di vista logistico, una produzione di musica elettronica.

DUSTY KIDDusty Kid, al secolo Paolo Alberto Lodde, è un giovanissimo musicista e producer di casa nostra che nell’arco di pochi anni è riuscito a guadagnare grande stima e notorietà a livello internazionale (www.dustykid.it). In età giovanissima intraprende gli studi musicali presso il conservatorio di Cagliari, la sua città natale, ma ben presto la sua attenzione e propensione creativa si indirizzano verso sequencer, sintetizzatori, drum machine e campionatori. Da allora la sua evoluzione professionale ha incrociato collaborazioni sempre più importanti, portandolo a esibirsi in club di tutto il mondo e inserendo la sua musica nei set di molti noti dj. È proprio da queste sue esperienze che vorremmo cominciare a definire un quadro più completo di questo genere di produzioni; ci siamo perciò fatti raccontare come viene strutturato un suo progetto, di cosa si occupa in prima persona e quali sono mediamente i tempi di realizzazione. 

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“NELL’ATTUALE MERCATO

DELL’ELETTRONICA È TUTTO MOLTO SEMPLICE

E TERRIBILMENTE OMOLOGATO”

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Dusty Kid: Lavorando da solo mi occupo pressoché di tutto io, anche se ultimamente preferisco affidare la fase di masterizzazione a persone più competenti; quindi tutto ciò che viene prima della finalizzazione del brano è sempre e solo un mio compito. I miei progetti non hanno una linea ben definita, solitamente parto da una melodia o un’armonia che ho in testa, a meno che non si tratti di tracce di matrice strettamente techno, in quel caso l’approccio è più dettato da incastri di ritmiche e giochi di effetti. Per questo genere di produzioni i tempi di realizzazione sono spesso estremamente brevi: non ci sono strutture particolari e di solito il mix è sempre molto scarno, dunque nel giro di qualche ora al massimo si ottiene abitualmente un prodotto finito. Nel caso di veri e propri brani, con una linea melodica e magari voci e/o strumenti reali per i quali è richiesta una ripresa microfonica, i tempi si allungano ma anche qui il discorso è piuttosto relativo: ho fatto dei brani iniziati e chiusi in due o tre giorni, altri magari più impegnativi hanno richiesto settimane, se non mesi talvolta. Non sempre è facile ottenere il risultato che si ha in testa, per cui tendo ad accantonare il progetto per poi tornarci in seguito con orecchie “resettate”.

CMS: Quali sono i principali vantaggiche hai riscontrato nell’affidare lafinalizzazione dei tuoi lavori a deglistudi di mastering professionali? È solouna questione di qualità sonora delprodotto finale o ritieni anche che unpaio di orecchie in più possano aiutarea ottenere un risultato più curato in tuttii dettagli?DK: Tutto dipende da cosa si vuole ottenere: nel caso in cui la mia versione finale non sia soddisfacente per le mie orecchie, allora trovo opportuno passare il compito a delle orecchie fresche e predisposte per questo tipo di lavoro. Se magari non si ottenesse il risultato voluto

alla prima versione, sarà sufficiente spiegare a chi si occuperà del mastering come vogliamo che il pezzo suoni, per raggiungere un obiettivo che non si era ottenuto pienamente in fase di creazione.

CMS: Per i suoni di synth e campionatori utilizzi unicamente strumenti virtualioppure ti affidi anche a macchine hardware analogiche o digitali?DK: È sempre stato un mix dei due mondi, digitale e analogico, hardware e software; non sono mai stato un purista ma ho sempre avuto un debole per i sintetizzatori vintage, sebbene le mie scelte non siano mai state dettate dal tipo di macchina o software usato, ma dalle necessità e dal suono che volevo ottenere. Sull’analogico ho sempre preferito macchine del passato e mai attuali; non so per quale motivo ma le macchine analogiche recenti non mi hanno mai entusiasmato né mai le ho trovate così diverse da certi synth software. Il brutto del vintage però è che spesso e volentieri porta via tanto tempo e snervanti richieste di assistenza da parte di tecnici che hanno sempre tempi biblici per la riparazione, ricerca dei componenti originali etc. Il software ha le sue incredibili comodità, ma l’approccio alla sintesi di un suono con una macchina hardware non è minimamente paragonabile, è un po’ come suonare un pianoforte coi tasti pesati e una master keyboard da 100 euro, la differenza si sente anche se si tratta di muovere dei potenziometri anziché suonare dei tasti. 

CMS: In questo momento sono disponibili sul mercato enormi quantità disintetizzatori e campionatori virtuali, un universo di strumenti ciascuno con la propria

lunghissima lista di preset e parametri. Ci si trova spesso a dover cercare il giustocompromesso tra l’avere un suono interessante e originale e il trascorrere ore e ore inquesto labirinto di possibilità. Tu come gestisci normalmente questa situazione?DK: Qui vale nuovamente la regola del less is more: negli anni ho imparato a capire che estendere il proprio campo di scelte non può far altro che depistare, allontanare dal proprio obiettivo e di conseguenza appesantire e complicare un lavoro che a volte può essere molto semplice. Per cui ultimamente preferisco affidarmi a poche, pochissime macchine che conosco bene e che so cosa possono fare ed utilizzarle a seconda delle necessità. 

CMS: A quali software ti affidi per la gestione del progetto? Quali sono lecaratteristiche che ricerchi in questo genere di piattaforme?DK: Utilizzo Ableton Live e un editor audio esterno non distruttivo. Ableton è un software grandioso, intuitivo, che dà risultati immediati con la minima programmazione. Ha ancora delle carenze per l’editing MIDI e audio ma per tutto il resto sovrasta qualsiasi altro software presente sul mercato, inclusa la stabilità, una delle ragioni che mi hanno spinto ad abbandonare quasi del tutto software come

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Figura 1 - Native Instruments Massive

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Apple Logic e Steinberg Cubase, che ho utilizzato per anni e per anni mi hanno fatto perdere la pazienza innumerevoli volte.  CMS: Le tecnologie e le attrezzatureutilizzate possono essere determinantiper ottenere un sound internazionale,ma ci sono anche delle tecniche oun vero e proprio metodo di lavoroche contraddistingue certi prodottidi riferimento? Quali sono i dettagliche possono fare la differenza tra unprodotto casalingo e uno di alto livello? DK: Nell’attuale mercato dell’elettronica è tutto molto semplice e terribilmente omologato, specialmente quando si tratta di produzioni di un certo livello. Il vantaggio di oggi è che basta un computer non troppo datato e puoi fare pressoché qualsiasi cosa, raggiungendo qualsiasi risultato. Il metodo in the box si basa proprio su questo: ha certamente i suoi pro e i suoi contro, ma il risultato non è assolutamente mai dato dai tools utilizzati ma solo ed esclusivamente dall’utilizzo che se ne fa. Dieci anni fa avevo un computer mediocre e una scheda audio da 20 euro e chiunque sentisse i miei lavori era convinto che usassi costosissimi sistemi Avid Pro Tools e sintetizzatori e outboard stellari!

VINCENZO CALLEADiamo voce a questo punto a qualcuno che l’ambiente delle produzioni di musica elettronica lo bazzica da parecchio tempo. Vincenzo Callea (vincenzocallea.com) vanta infatti una lunga e fortunata carriera, cominciata nei primi anni ’90 con i tanti grandi successi del progetto Ti.Pi.Cal. Il suo percorso musicale prosegue in questi ultimi anni come solista, con la pubblicazione di singoli di primissimo piano come Turn off the Lights, suonati da alcuni dei dj più importanti al mondo come Pete Tong, Tiesto o Nicky Romero. Dalla sua esperienza ci aspettiamo di ricavare consigli preziosi e una visione ampia su ciò che il panorama musicale e tecnologico ha da offrire a chi, come lui, basa sull’impiego degli strumenti elettronici una buona fetta del proprio lavoro di produzione.

CMS: Partiamo proprio dalla tua storia professionale: come è cambiato il tuo approccio alla produzione in questi anni?Vincenzo Callea: I brani prodotti da quando è cominciata questa mia nuova avventura da solista probabilmente sarebbero inquadrati nel genere EDM che va per la maggiore, anche se in realtà conservano una chiave che da sempre accompagna i miei pezzi, ovvero la presenza di cantati melodici. Fondamentalmente continuo a occuparmi di musica elettronica cantata, però in questo ultimissimo periodo nel quale sto lavorando alla produzione del mio prossimo disco, sto rivedendo alcune mie posizioni. L’EDM che si sta ampiamente vendendo, utilizzando e diffondendo nei festival trovo che sia un po’ lontana dal mio gusto musicale, con sempre più brani strumentali e con pochissima evoluzione nella ricerca di nuovi suoni. Non mi permetto di criticare un genere che sta funzionando benissimo, però personalmente mi ha un po’ annoiato e quindi sto andando alla ricerca di soluzioni nuove, tendenzialmente cercando di ammorbidire i suoni e le atmosfere. Si è un po’ perso a mio parere l’appeal che mi aveva fatto avvicinare a questo mondo, fatto per esempio dai cantati magici come quello di Save the world o Don’t You Worry Child degli Swedish House Mafia. È una vita che faccio questo lavoro e quando mi annoio di una cosa ho bisogno di cambiare, non ci sono altre soluzioni. CMS: È un cambiamento di rotta che riguarda in qualche modo anche le sceltetecniche e di strumentazione?

VC: Sto riscoprendo degli strumenti che non utilizzavo da tempo, tutti rigorosamente virtuali dato che da molti anni lavoro solo con quelli. Poco alla volta li avevo accantonati perché questo genere EDM prevede degli standard molto rigorosi, sia di struttura che di stesura ed è difficile uscirne, probabilmente anche per mancanza di coraggio da parte di noi produttori, me compreso. Ci sono anche delle scelte sonore quasi obbligatorie come quella del build-up, che è il classico lancio con i rullanti grossi e molto effettati o come l’accoppiata di synth che contraddistingue la parte strumentale. Volenti o nolenti, si finisce con l’utilizzare tutti quanti le stesse procedure e gli stessi strumenti, come ad esempio il Sylenth1 di Lennar Digital

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o il Massive di Native Instruments. Ho ricominciato per queste ragioni a riaprire virtual instrument che non consideravo da parecchio tempo, come il Minimoog Arturia e a utilizzare processing di segnali come i Virtual Buss Compressors della Slate Digital. È come se mi trovassi in una nuova sala giochi, nella quale mi sento più libero di sperimentare, abitudine che forse un po’ per pigrizia avevo abbandonato negli ultimi due anni.

CMS: La sperimentazione è unaspettoche nella routine quotidiana dellavoro tende a passare gradualmentein secondo piano e ogni tanto ci siaccorge di quanto sia invece importantecoltivarla...VC: È vitale, direi! Un passo alla volta mi ero allontanato dal mio modo abituale di produrre un disco, mentre ora sto riscoprendo l’importanza della sperimentazione. Non voglio esagerare, per carità, i miei pezzi continuano ad avere un’impronta mainstream e a rispondere a certe esigenze di natura radiofonica. Però non mi pongo più certi problemi, se per esempio voglio scrivere un brano a 124 BPM lo faccio tranquillamente. Può sembrare una cosa banalissima, però per anni abbiamo prodotto brani con il BPM fisso a 128 e non parlo solo dei miei lavori ma anche di grandi artisti internazionali. Qualche paletto è giusto che ci sia, ma una standardizzazione di questo tipo mi pare eccessiva.

CMS: Come costruisci l’ossatura dei tuoibrani? Da cosa cominci?VC: Per mia abitudine parto sempre da alcuni provini piano-voce o chitarra-voce e poi registro le parti vocali a cappella con la canzone priva di sezione ritmica. Non capita quasi mai e non capitava nemmeno prima con i Ti.Pi.Cal., di registrare dei cantati sulle basi dance. Il mio approccio è sempre stato quello di usare l’elettronica per contaminare dei brani pop, mi piace lavorare innanzitutto sulle atmosfere che accompagnano e

supportano la parte cantata, creando una texture che risulta fondamentale per il mio modo di fare musica. Anche colleghi che mi conoscono molto bene mi chiedono a volte come faccio a dedicare così tanto tempo ad aspetti che abitualmente richiedono al massimo mezza giornata. Con i remix riesco anche a completare un brano nell’arco di tre o quattro giorni, perché in quelle situazioni riesco a decidere in modo più freddo e quindi più veloce. Ma quando devo lavorare sulla mia musica valuto ogni decisione per un’infinità di volte.

CMS: Dal punto di vista dei software quali sono le tue scelte più comuni?VC: Per quanto riguarda il sequencer sono oramai un fedelissimo utilizzatore di Apple Logic, lo uso da tantissimi anni e lo conosco come le mie tasche. Per quanto riguarda invece gli strumenti virtuali, ho ripreso a utilizzare il Battery di Native Instruments come drum machine e continuo a usare moltissimo la Xfer Nerve di Steve Duda, che trovo molto fantasiosa. Sul versante dei sintetizzatori mi ha particolarmente colpito il Serum, anch’esso partorito dalla mente di Steve Duda. È uno dei virtual synth più innovativi, che va oltre il continuo tentativo di emulare qualcos’altro. Sarà perché nasce dalle idee di un dj, tecnico mostruoso, ma è davvero inimitabile. La teoria vorrebbe che fossimo noi a dominare le macchine e a decidere come utilizzarle in base a ciò che abbiamo in testa, però devo dire che a volte è anche bello e divertente aprire uno strumento e lasciarsi guidare.

CMS: Come affronti la fase di finalizzazione dei tuoi dischi?VC: Inizialmente mi occupavo in prima persona anche di questo aspetto, avevo creato alcune mie catene di processori per il mastering. Io però sono un dj, non mi ritengo né un musicista né un fonico, e mi rendo conto di quelli che sono i miei limiti tecnici. Per questa ragione ho cominciato a provare alcuni studi di mastering, alcuni anche all’estero, spesso conosciuti per il passaparola di qualche collega. Alla fine ho trovato una persona in Italia che sia chiama Roberto Romano, che ha un piccolo studio di mastering in provincia di Latina e so di non offenderlo se lo definisco “piccolo”, ma che ha un grande gusto e col quale mi sono sempre trovato molto

“IL MIO APPROCCIO È SEMPRE STATO QUELLO DI USARE

L’ELETTRONICA PER CONTAMINARE DEI

BRANI POP”

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Figura 2 - Giorgio Sancristorofo Software Berna 2

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bene. Mi ha fatto crescere moltissimo in questi anni, segnalandomi sempre gli errori tecnici che commettevo. Ora gestiamo il processo quasi in simbiosi: è cambiato completamente il mio modo di consegnare i mix, senza più nessuna compressione sul master e sugli stem e lui ha capito benissimo cosa io mi aspetto di ottenere al termine del lavoro di mastering.

CMS: Come immagini i cambiamenti chepotranno avvenire in futuro per questogenere di musica?VC: Eh, bella domanda! Mi capita spesso di fantasticare su cosa potrà succedere in futuro e io mi sono prefigurato due possibili strade: la prima è quella di una rincorsa alle continue evoluzioni della tecnologia, la seconda è quella di una riscoperta degli strumenti e delle attrezzature che hanno caratterizzato per tanti anni il sound di queste produzioni. Io credo che si debba guardare con attenzione alle nuove generazioni, che con un computer spesso sanno fare cose incredibili ma alle quali devo anche tirare un po’ le orecchie perché troppo spesso non hanno il coraggio di osare. Da loro mi aspetto la follia, l’incoscienza di chi comincia, e invece troppo spesso li ritrovo vincolati a degli standard ormai consolidati da anni.

GIORGIO SANCRISTOFOROCambiamo decisamente indirizzo musicale, perché Giorgio Sancristoforo (www.giorgiosancristoforo.net) da alcuni anni a questa parte si occupa prettamente di produzioni di musica conteporanea, collaborando con il centro di produzione, ricerca e sperimentazione musicale AGON (agonarsmagnetica.it). Il centro si occupa di progettare e realizzare produzioni di musica contemporanea che spesso integrano l’impiego di strumenti acustici, tipici della composizione orchestrale, con una massiccia presenza di suoni e strumenti elettronici. Nelle due precedenti interviste si è parlato molto di sperimentazione e di ricerca sonora, e l’ambito nel quale Giorgio si muove è indubbiamente all’avanguardia in tal senso. È per questa ragione che la sua esperienza e il suo punto di vista saranno particolarmente utili a completare il panorama della nostra inchiesta.

CMS: Prima di tutto chiederei a te una descrizione più dettagliata di questo genere diproduzioni, poco conosciute ai più. Giorgio Sancristoforo: La sfida più grande per queste produzioni è quella di riuscire a creare un software nuovo per ogni nuovo progetto. Quello in cui io opero è un ambiente estremamente aperto, nel quale i software tradizionali non sono quasi mai sufficienti a soddisfare le esigenze di ogni caso specifico. Gran parte delle produzioni vengono concepite innanzitutto per essere rappresentate dal vivo, prima ancora che per la realizzazione di prodotti discografici e in questo mondo del Live Electronics ci troviamo spesso nella necessità di far interagire in tempo reale strumenti acustici, oppure voci, con gli strumenti elettronici. Per fare un esempio che probabilmente potrà aiutare a capire un po’ meglio la natura di questi progetti, posso dire che abbiamo realizzato un’opera di Pietro Pirelli, una delle più grandi Arpe di luce del mondo, se non la più grande. Si tratta di uno strumento nel quale luce e suono interagiscono per mezzo di sei fasci laser lunghi circa venti metri che vengono letti, diciamo così, da un apposito software creato con Max-MSP. Inoltre lavoriamo quasi sempre con audio multicanale, perché la spazializzazione nella musica contemporanea ha un’importanza fondamentale. In fin dei conti il mio ruolo non si limita all’aspetto tecnico ma deve necessariamente contemplare anche le qualità artistiche della produzione. Ho realizzato in questi anni diversi software, molti dei quali acquistati e utilizzati da molti grandi artisti

in tutto il mondo, tra i quali anche Ryuichi Sakamoto e da diversi Istituti e Conservatori. Uno dei prodotti più recenti di questa mia attività è Berna, una simulazione virtuale del famoso studio di Fonologia della RAI di Milano, impiegato anche da Ben Frost nel suo penultimo disco. Il software, il cui nome non deriva dalla città svizzera ma è una contrazione dei nomi dei due compositori Berio e Maderna, è stato interamente realizzato da me con Max-MSP e con l’impiego di Illustrator per la parte grafica. L’obiettivo è quello di creare soluzioni innovative che non siano già presenti sul mercato. Nonostante ciò sono e resto un grandissimo appassionato di sintetizzatori analogici vintage, il mio ultimo acquisto

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è stato infatti un Buchla Music Easel, un sintetizzatore dal suono davvero impressionante. Continuiamo a usare questo genere di strumenti perché per certi aspetti il suono analogico è ancora imbattibile.

CMS: A quali caratteristiche attribuirestiquesta sostanziale differenza rispetto aldigitale? GS: Fondamentalmente il digitale è un’approssimazione numerica della realtà, ed è difficile che un computer riesca a riprodurre tutte le irregolarità e le non linearità degli strumenti analogici. Ogni componente in uno strumento analogico ha un suo colore e solo scendendo a un livello di programmazione molto basso, per esempio in C++, si può pensare di riprodurre certe caratteristiche. C’è poi anche una questione di immediatezza d’uso e di gestione del routing, proprio perché il mio utilizzo di queste apparecchiature avviene molto spesso dal vivo. Però il computer resta, seppur per altri aspetti, uno strumento interessantissimo e molto più potente di qualsiasi sintetizzatore analogico, la musica contemporanea è l’ambito della musica elettronica nel quale puoi realmente spingere la tecnologia al massimo. In fondo se ci ragioniamo attentamente la produzione musicale odierna è in gran parte ancora legata a degli schemi nati negli anni ’70 e ‘80, c’è ben poco delle potenzialità del nuovo secolo in corso.

CMS: È anche un po’ la ragioneper cui spesso si parla di musicad’avanguardia...GS: Faccio un po’ fatica a chiamarla in questo modo perché è un termine che riferisco a un diverso periodo storico, però effettivamente lo è perché abbiamo la fortuna di poter sperimentare. Ed è una fortuna perché sappiamo benissimo che nella produzione tradizionale la sperimentazione è ridotta in tempi molto stretti per esigenze di mercato.

CMS: Come è strutturata una produzione di questo genere?GS: Ogni progetto è una storia a sé, dipende un po’ da come il compositore lo concepisce e lo vorrebbe realizzare. Se si tratta solo di musica elettronica hai un certo flusso di lavoro, ma se a questa ci si aggiunge un solo performer, che potrebbe anche essere un attore che recita una parte, tutto il processo può cambiare profondamente. Figuriamoci poi quando c’è un’intera orchestra da far interagire con l’elettronica. Sicuramente c’è alla base un processo creativo comune, ma è molto difficile generalizzare perché la tendenza è proprio quella di cercare di creare sempre qualcosa di nuovo. È proprio questa una delle ragioni che mi porta ad affidarmi a un software come Max-MSP, che mi consente di programmare e personalizzare l’elettronica in tempo reale, anziché utilizzare uno dei sequencer software convenzionali. Se tutti utilizzano lo stesso sequencer, con gli stessi strumenti e con gli stessi plug-in, alla fine si avrà un suono in qualche modo già sentito, mentre in questo modo si può uscire da questo genere di schemi tecnologici. Il fatto di non essere vincolati da nessuna logica commerciale permette di dedicare le proprie attenzioni all’arte nella sua forma più pura. Ovvio che, complice anche la carenza di finanziamenti alla cultura di questi anni, la produzione di una composizione per elettronica e orchestra può diventare molto costosa.

CMS: Come vedi l’evoluzione futura di wqueste applicazioni?GS: Credo che per chi vuol produrre musica elettronica al giorno d’oggi e vuole farlo in modo originale, sia essenziale potersi creare i propri strumenti di lavoro. L’originalità è a mio modo di vedere uno dei fattori più importanti della musica e, ahimè, di musica originale non se ne ascolta molta. Non serve una laurea in ingegneria informatica, anzi software come Max-MSP, Open Music, CataRT, Spat, Super VP, Modalys, AudioSculpt o Processing vengono definiti linguaggi ad alto livello proprio perché non costringono a impostare percorsi di programmazione più complessi.© RIPRODUZIONE RISERVATA

“LA PRODUZIONE MUSICALE ODIERNA

È IN GRAN PARTE ANCORA LEGATA A DEGLI SCHEMI NATI NEGLI ANNI ’70 E ’80, C’È BEN POCO DELLE POTENZIALITÀ DEL NUOVO SECOLO IN

CORSO”

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