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Commemorazione nell’Aula del Senato Palazzo Madama, 28 maggio 2008 Aldo Moro 1916-1978

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Commemorazione nell’Aula del SenatoPalazzo Madama, 28 maggio 2008

Aldo Moro1916-1978

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Commemorazione della figura di Aldo Moro,in occasione del trentesimo anniversario del suo assassinio e della strage della suascorta per mano delle brigate rosse

Palazzo Madama, 28 maggio 2008

Aldo Moro1916-1978

Senatodella Repubblica

Il presente volume raccoglie il resoconto stenografico della commemorazione di Aldo Moro svoltasi nell’Aula di Palazzo Madama il 28 maggio 2008 in occasione del trentesimo anniversario della morte.In appendice è riportato il resoconto della commemorazione svoltasi sempre nell’Aula di Palazzo Madama il 10 maggio 1978.

La presente pubblicazione è stata curata dal Servizio dei resocontie della comunicazione istituzionale.

Impaginazione e editing Luciano Baldini - Ufficio Comunicazione istituzionale

Finito di stampare nel mese di giugno 2008

© 2008 Senato della RepubblicaUfficio comunicazione istituzionale

SENATO DELLA REPUBBLICAXVI LEGISLATURA

9ª seduta pubblica (antimeridiana):mercoledì 28 maggio 2008

Commemorazione della figura di Aldo Moro, in occasionedel trentesimo anniversario del suo assassinio e della strage

della sua scorta per mano delle brigate rosse

PRESIDENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5, 17, 23 e passimFINOCCHIARO (PD) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12MAURO (LNP) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17GASPARRI (PDL) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23D’ALIA (UDC-SVP-AUT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24FOLLINI (PD) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28ANDREOTTI (UDC-SVP-AUT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31BUGNANO (IDV) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32BODEGA (LNP) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35ZANDA (PD) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37PISANU (PDL) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40PISTORIO (MISTO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46COLOMBO (UDC-SVP-AUT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53BELISARIO (IDV) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56MARINI (PD) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60QUAGLIARIELLO (PDL) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66ROTONDI, ministro per l’attuazione del programma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

Appendice:Commemorazione di Aldo MoroSenato della Repubblica - VII legislaturaResoconto stenografico della seduta n° 266 del 10 maggio 1978 (pomeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

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Presidenza del presidente SCHIFANI

(...)Commemorazione della figura di AldoMoro, in occasione del trentesimoanniversario del suo assassinio e della strage della sua scorta per mano delle brigate rosse (ore9,37)

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e conlui tutta l’Assemblea). Onorevoli colle-ghi, ricorre quest’anno il trentesimoanno dell’omicidio di Aldo Moro edegli uomini della scorta, RaffaeleIozzino, Oreste Leonardi, DomenicoRicci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.

La morte dell’onorevole Moro, forsela più emblematica di quella difficilestagione, e la morte delle vittime delterrorismo sono state recentementericordate dal presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano, inoccasione del Giorno della Memoria,come «tragedie» non solo di singoliuomini ma di un intero Paese.

In questa circostanza il Senato dellaRepubblica ha offerto ai cittadini lapossibilità di accedere, per la primavolta, gratuitamente sul proprio sitoinformatico, a tutti i documenti dellaCommissione stragi – filone Moro –grazie ad una preziosa ed importanteiniziativa del nostro archivio storico.

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Questo vuole essere un segno tangi-bile ed immediato dell’esigenza di veri-tà, quella verità che lascia sempre ecomunque un sentimento di insoddi-sfazione e precarietà di fronte allamorte di servitori dello Stato, veri testi-moni e martiri dell’umanità.

Stato, diritto, morale: tre parolepregne di valore e passione nella vita enella testimonianza dell’onorevoleAldo Moro.

Quella che, con un’intuizione, direidrammatica, Roberto Ruffilli, altra vit-tima della follia terroristica, ha definitola «concezione umanistica dello Stato»di Moro, assume una valenza calataprofondamente nella realtà della viadegli uomini e sfugge ad ogni ammic-camento o vagheggiamento teoricoastratto.

Risale al 1940 il primo incarico diinsegnamento della filosofia del dirittoche Moro – già avviato ad un precocis-simo cursus honorum che lo porteràalla cattedra di diritto penale – svolse aBari e di cui raccolse le dispense informa di volume per il successivo annoaccademico 1942-1943.

Con spiccata ed autorevole raffina-tezza, Giuliano Vassalli ha notato lasingolare apertura di quello chepotremmo definire il «discorso sulloStato» di Moro: la prima lezione è dedi-cata al «Problema della vita».

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Scriveva allora Moro: «La vita hacome suo compito infinito una ricercae utilizzazione del proprio valore (...).L’amore è appunto energia conscia,slancio vitale, ha in sé come implicito ilconcetto di una legittimazione che nonpuò derivare da altro che dalla intrin-seca verità che esso realizza (...). Puòdarsi allora che questa che vorremmochiamare fede nella gioia che trasparein ogni dolore umano nella vita etica,questa credenza, questa attesa ansiosadella verità, della bontà, del valore eperciò della razionalità della vita è lasola e vera molla potente che spingeall’azione, che dà la possibilità diaccertare e compiere gioiosamente, inogni circostanza il dovere di vivere».

L’intima correlazione tra lo Stato ela vita degli uomini diventa qualcosa dipiù di una premessa di metodo dell’agi-re civile: è il punto di saldatura di undiritto esclusivamente enunciato, cri-stallizzato nel testo di una disposizio-ne, con un diritto innervato nella storiae alimentato dall’esperienza e dalla vitareale delle persone.

Quel «dovere di vivere» del qualeMoro diede diretta testimonianza è perlo Stato un fattore di coesione e di coe-renza delle condotte individuali e col-lettive. Per le singole coscienze, il«dovere di vivere» rappresenta la matu-razione piena della consapevolezza che

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ogni percorso di ricerca del bene, delbuono, del giusto si accompagna aduna proiezione morale delle condotte ditutti gli uomini, ciascuno dei quali si faportatore di quel frammento di veritàche lo rende libero, autentico, vitale.

La cerniera tra Stato e morale è rap-presentata dalla testimonianza quoti-diana, immagine e sviluppo coerentedella tensione etica sottesa alle scelte divita degli individui e delle stesse deci-sioni politiche.

Entro questa trama ideale Moroassolverà il suo ruolo di politico e diuomo delle istituzioni declinandolo,fino alle estreme conseguenze, comemissione e servizio. Il dono, il darsi el’essere per l’altro, per lui sfuggono adogni retorica di circostanza e diventa-no il suggello del proprio martirio, ilparadigma della persecuzione e dell’in-giusta sorte subita.

La logica della solidarietà – parolasimbolo del suo progetto di politica peril Paese – vale tanto a livello sociale ecomunitario, quanto entro la dimensio-ne dei rapporti più strettamente politicinelle assemblee elettive.

Quello della solidarietà è innanzi-tutto uno stile di presenza mite, manon rinunciatario. La sua traduzionesul piano dell’effettività delle decisioniparlamentari è l’alto valore del com-promesso, che non diventa mai com-

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promissorio ed invece si fa espressioneleale, coraggiosa, trasparente e profeti-ca del dialogo tra Istituzioni e sulleIstituzioni.

Una delle critiche mosse alla politi-ca di Moro e troppo sbrigativamente eriduttivamente formulata nei terminidel neotrasformismo, del continuismo,del moderatismo, cade in modo frago-roso di fronte alla forza della coerenzae della paziente, tenace ricerca di quelbene comune che non è appannaggioesclusivo di uno o pochi, ma patrimo-nio di condivisione e civiltà dell’interaNazione.

Anzi, solo perché patrimonio ditutti, di una comunità, di una storiacondivisa, di una cultura, di una tradi-zione, può tradursi come segno di rico-noscimento e di identità inclusiva per isingoli, per le diverse esperienze e per imolti percorsi politici e civili che sonola ricchezza del Paese.

La sua mitezza, il suo tratto medita-tivo, il suo essere uomo di pace, di dia-logo, di profonda e autentica fede, sonopertanto sinonimo di coraggio e diricerca non di facili soluzioni, ma discelte eticamente giuste, al di là degliopportunismi o delle convenienze delmomento.

Scrive ancora Moro alla fine deglianni Sessanta: «Si affaccia sulla scenadel mondo l’idea che, al di là del cini-

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smo opportunistico, della stessa pru-denza e dello stesso realismo, una leggemorale, tutta intera, senza compromes-si, abbia infine a valere e a dominare lapolitica, perché essa non sia ingiusta eneppure tiepida, ma intensamenteumana».

L’umanità per un uomo politico puòforse apparire come un punto di debo-lezza, in una logica sterile del poterefine a se stesso e divincolato da ognicriterio di giudizio in chiave di valore.Per Moro l’umanità è invece l’esaltazio-ne della buona politica, di una politicain cui si ha quasi timore a restareimbrigliati dentro l’astrazione di valorisolo pronunciati e non praticati e vis-suti nella concretezza dell’agire quoti-diano.

Moro non ha paura di dichiararsidebole, di piangere, di riconoscere in sestesso le paure, le angosce, le speranze,che sono i sentimenti e le pulsioni rac-chiusi nel cuore di tutti gli uomini. Eglinon ha mai voluto essere qualcosa dipiù o di diverso dal cittadino comune,da un padre, da un marito, da un sem-plice e umile servitore dello Stato.

L’intreccio non dipanabile tra ilpolitico, il giurista, l’uomo potrebbesintetizzarsi con le parole del teologo efilosofo Romano Guardini: «essereuomini significa essere responsabili delmondo».

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Sembra quasi di assistere ad un dia-logo ideale tra Aldo Moro, i filosofi delbene, gli uomini di buona volontà delsuo e del nostro tempo. Un dialogo cheè quasi sospeso, incerto, perennementeaperto. Quelle parole pronunciate daMoro nel 1940 – vita, amore, slanciovitale, verità, bontà, vita etica – rie-cheggiano nella meditazione e nellapreghiera, da tutti noi conosciuta, diPaolo VI: «Chi può ascoltare il nostrolamento, se non ancora tu, o Dio dellavita e della morte? Tu non hai esauditola nostra supplica per l’incolumità diAldo Moro, di questo uomo buono,mite, saggio, innocente ed amico (...)».

L’amicizia! Ancora una parola di«umanità» fa eco alla memoria di AldoMoro. Cosa ha significato e cosa signi-fica ancora oggi essergli amici ed esse-re amici della verità? Quali comporta-menti, quali scelte possono vincere lapaura e far prevalere il coraggio di unsentimento forte e genuino nei con-fronti di chi ha dato tutto se stesso peril bene della sua comunità e della suagente?

Il «dovere di vivere» che Aldo Moroindicava ai suoi studenti nel lontano1940 come l’unico baluardo alla digni-tà della propria vita ci costringe a vive-re nell’inquietudine di un ricordo delquale siamo tutti debitori e che ciimpedisce, oggi come allora, di restare

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inerti spettatori di una storia scritta daaltri.

Alla memoria di Aldo Moro e degliuomini della scorta Raffaele Iozzino,Oreste Leonardi, Domenico Ricci,Giulio Rivera e Francesco Zizzi, ai lorocari, quest’Assemblea si inchina insegno di rispetto e deferente devozione.

Vi invito, colleghi, ad osservare unmomento di silenzio. (L’Assembleaosserva un minuto di silenzio).

Prima di dare la parola ai colleghiche hanno chiesto di intervenire, rivol-go a nome mio e dell’Assemblea unsaluto ed un abbraccio alla figlia dellostatista Maria Fida Moro, che ricordoessere stata anche nostra collega.(Generali applausi all’indirizzo diMaria Fida Moro, presente nelle tribu-ne riservate al pubblico).

E’ iscritta a parlare la senatriceFinocchiaro. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO (PD). SignorPresidente, onorevoli colleghi, desideroiniziare il mio intervento con un ricor-do personale.

Quella mattina del 16 marzo ero,con altri giovani studenti e laureati, inuna delle aule della mia facoltà di giu-risprudenza. Avevamo organizzato perquel giorno, noi studenti democratici(così si chiamavano coloro i quali par-tecipavano a quel gruppo studentesco),

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una giornata di riflessione sulla legisla-zione dell’emergenza. Io avrei dovutosvolgere la relazione.

Venivo dalla scuola di NeppiModona, di Bricola. Entrò un docenteuniversitario, nostro caro amico, il pro-fessor Barcellona, pallidissimo. Miprese da parte e mi disse: «Hanno rapi-to Aldo Moro. Non puoi tenere la tuarelazione».

Quel fatto in qualche modo cam-biava tutto. Credo che questo dia ilsegno di come davvero quei tragiciavvenimenti accaduti trent’anni fa, purse raccontati attraverso il filtro di unpiccolissimo ricordo personale, segninonella memoria di chiunque li abbia vis-suti, ma anche nella memoria dellanostra società, uno spartiacque indele-bile: allora per davvero tutto sembròcambiare.

Questi lunghi anni passati dal fero-ce omicidio di Aldo Moro e della suascorta sono trascorsi – su questo forsedobbiamo riflettere – nell’interpretazio-ne e nel tentativo di attuazione dei pro-blemi che il presidente Moro avevaposto con lucidità politica tra le piùalte della nostra Repubblica, perchécomunque torniamo a riflettere e aricordare quei giorni, quei fatti, quellavicenda. C’è un tratto che non possia-mo nasconderci e che anzi emerge conuna evidente solarità: Aldo Moro fu

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ucciso per la dirompente novità del suoprogetto, della sua intuizione politica,della sua intuizione culturale, perchèaveva percepito come fosse giunto ilmomento per la società italiana di arri-vare finalmente ad una democraziacompiuta. Ed ebbe la capacità di capirein grande anticipo – e questo lo con-dannò – molte cose che solo oggi appa-iono in procinto di realizzarsi.

La sua idea di arrivare all’elabora-zione di una possibilità che prevedesseuna democrazia dell’alternanza eraqualcosa di più di una semplice formu-la di governo: era in qualche modo lanaturale conseguenza del modello cul-turale dei nostri padri costituenti. Unaconseguenza che Moro credette fossesul punto di compiersi, grazie anche alsuo interlocutore, altro straordinariostatista, Enrico Berlinguer, entrambiuniti dallo stesso senso dello Stato edelle istituzioni, ma soprattutto unitidalla rara capacità, che appartiene soloai grandi della storia, di capire ed inter-pretare i tempi nuovi. Insieme eranogiunti alla convinzione che, attraversoi maggiori partiti del Paese, laDemocrazia cristiana e il Partito comu-nista, larghi strati di masse popolaripotessero convergere in un interessenei confronti della vita pubblica, inte-grandosi sempre di più nel governo delPaese e dello Stato.

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Moro ebbe nei confronti del Partitocomunista italiano un atteggiamentoche, senza rinnegare il suo democraticoanticomunismo, andò certamente oltreil mero progetto di un’alleanza contin-gente per governare. Si rivolse alla pos-sibilità di avviare un processo politicodi lungo periodo, capace di dotare ilnostro Paese di stabilità democratica edi possibilità dell’alternanza, senza chequesto scatenasse forze occulte di resi-stenza.

La cosiddetta mediazione moroteanon fu dunque l’esaltazione del com-promesso tra soggetti politici, ma lospecchio della complessità della politi-ca. Certamente in questa complessitàspesso sono sembrati poco presenti iproblemi concreti nella loro immedia-tezza. Questo perché il pensiero diMoro si muoveva in un contesto in cuinon fu preminente, come in altre fasipolitiche, l’attuazione del programmagovernativo, il fare quella riforma piut-tosto che un’altra, ma l’elemento deci-sivo rappresentato dal rapporto con ipartiti che si trovano in una situazionedi diversità, di alterità rispetto agli elet-tori del Paese stesso.

Era un pensare in grande. Era lalungimiranza delle classi dirigenti. Eracercare la politica come futuro. Eral’ambizione di cambiare il Paese consa-pevole delle necessità di un significati-

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vo contributo dell’Italia sui destini delmondo. Lo ha fatto costantemente conspirito critico che a volte a qualcunosembrava esasperato, ma che era soste-nuto da una ferrea e – riprendo un con-cetto espresso dal presidente Schifani –talvolta apparentemente ingenua fidu-cia che le cose potessero cambiare,cambiare radicalmente, cambiare rapi-damente.

La singolarità e la straordinarietà diAldo Moro è stata, quindi, quella diessere al tempo stesso un uomo digrande cultura, un uomo di grandepolitica: la cultura come capacità dicogliere i nodi profondi della società, lesue fragilità, le sue potenzialità; lapolitica anche come capacità di portarela sfida con parole nuove nel sistemapolitico di quel momento, la politicacome azione per offrire nuovi orizzon-ti al futuro del Paese e al futuro delmondo, consapevole del ruolodell’Italia.

Da parte mia voglio aggiungere unaconsiderazione tutta personale. Lalezione di Moro insieme a quella diBerlinguer hanno rappresentato perme, in una sintesi politica e culturale,quella leva che mi ha convinto diquanto positivo sia stato il percorso cheha portato alla nascita del PartitoDemocratico, che ho contribuito a farcrescere e nascere in questo spirito

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appena enunciato.Credo che nella grande novità del

pensiero di Moro, un pensiero di tren-t’anni fa, si esprima una delle ragionidel modo in cui oggi il sistema politicoitaliano ha trovato il suo assetto. La suatragica fine ha condizionato – l’ho giàdetto – tutta la storia successivadell’Italia, ma la sua straordinariacapacità critica resta e tocca a noi tra-smetterne l’eredità preziosa alle giova-ni generazioni che vogliono costruireuna nuova idea della politica e, di con-seguenza, una nuova e migliore idea disocietà, ma – lasciatemelo dire – anchedi se stessi, del loro ruolo e dell’impor-tanza che essi hanno per l’Italia.(Generali applausi).

PRESIDENTE. E’ iscritta a parlare lasenatrice Mauro. Ne ha facoltà.

MAURO (LNP). Signor Presidente,onorevoli colleghi, vi sono eventi chelasciano una traccia indelebile nellavita di ciascuno di noi, che il temponon cancella ed anzi rafforza, renden-doli parte della propria più intima sto-ria personale. Avevo solo 16 anni inquella triste e angosciosa primavera del1978, eclisse di una stagione politicadifficile e punto di non ritorno diun’intera generazione, cresciuta conmiti e ideali resi incerti dall’intreccio

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impazzito e perverso tra carica ideolo-gica e pratica sociale. Eppure, comemolti di noi, ho lucido e vivo il ricordoanche solo di dove e con chi mi trova-vo quando arrivò come una dirompen-te e cupa sciagura la notizia dell’assas-sinio dell’onorevole Aldo Moro. Unsentimento di paura e terrore, quasismarrimento, ci colpì tutti, fino alpunto di scoraggiarci addirittura aduscire di casa, per l’imprevedibile sven-tura che avrebbe potuto colpire anchenoi.

A trent’anni da quella tragedia, chegià dal giorno fatidico del rapimentocolpì gli uomini della scorta, fedeli ser-vitori dello Stato, Raffaele Iozzino,Oreste Leonardi, Domenico Ricci,Giulio Rivera e Francesco Zizzi, l’inse-gnamento di Aldo Moro rappresenta, aldi là di ogni appartenenza politica, unpatrimonio morale irrinunciabile per leistituzioni e gli stessi partiti.

Moro ha sempre creduto nel ruolodecisivo dei partiti quale fattore di coe-sione e collante tra le istanze dellasocietà civile e lo Stato democratico.

Il primato della politica si arricchi-sce nella sua riflessione e nella suatestimonianza di uomo di Stato del piùalto significato ideale e simbolico.

La politica, infatti, diviene espres-sione del senso di responsabilità alquale tutti indistintamente, rappresen-

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tanti e cittadini, si devono sentire acco-munati.

Ecco perché il partito, mutuando lestesse parole di Moro, rappresenta il«punto di passaggio obbligato dallasocietà allo Stato», in quanto «ricondu-ce costantemente lo Stato alla fonte delpotere, lo tiene in allarme, lo pone incrisi, lo spinge a controllare in ogniistante la sua giustizia e la sua umani-tà. La dialettica cittadino-Stato è ineli-minabile. Ma essa si realizza attraversola mediazione dei partiti, senza la qualela distanza appare incolmabile e risultaimpossibile l’equilibrio della libertàindividuale e dell’autorità sociale».

Senza una mediazione autenticache si faccia interprete delle istanze deiterritori e delle loro esigenze è lo stes-so rapporto tra «autorità» e «libertà» arisultarne compromesso. Lo Stato daentità astratta deve invece essere perce-pito come vicino alle singole realtà,anche le più piccole, che lo compongo-no e ne rappresentano l’asse portante.

Giustizia e umanità sono per AldoMoro sorgente tanto del diritto quantodell’attività politica o forse, con mag-giore precisione, la «politica del diritto»resta sempre ancorata alla solidità diuna «opzione etica fondamentale».

La lezione di Moro è pertanto nonsuscettibile di fraintendimento, né distrumentalizzazione. Ogni qualunqui-

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stica scorciatoia che riducesse il pro-blema della politica del Paese al para-digma dei suoi costi, sebbene facileespediente per ammiccare all’opinionepubblica, risulterebbe alla fin fine fuor-viante, se non pericolosa, perché forie-ra di sentimenti antistituzionali edantidemocratici. La risposta che i parti-ti devono dare ai cittadini non è l’in-ganno o l’appagamento di un desiderioretrivo di vendetta, ma l’esempio e latestimonianza di saper interpretare leloro esigenze quotidiane all’interno diuna cornice di valori e di principi fon-dativi della stessa comunità civile.

Come ebbe a dire con grande luci-dità Pietro Scoppola, già autorevolecomponente di questa Assemblea e delquale dopo la recente scomparsa restavivo il ricordo, il punto di contatto trala riflessione di Moro e quella diBerlinguer era la necessità, avvertitacome ineludibile premessa di ogni atti-vità pubblica, di ancorare ad un tessu-to morale condiviso la pratica parla-mentare. Centralità dei partiti e centra-lità del Parlamento significava pertantonon acquietarsi di fronte ai processidecisionali codificati, ma rafforzarli inun’ottica di moralizzazione profondadei comportamenti individuali e collet-tivi.

Certamente non è nelle priorità del-l’onorevole Moro il tema della riforma

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dello Stato, almeno nella sua riflessio-ne sulla cosiddetta terza fase, che egliintroduce al Consiglio nazionale dellaDemocrazia cristiana del luglio 1975.Non è però estranea al suo sentimentoe al suo pensiero la piena consapevo-lezza che lo Stato e le istituzioni vivo-no di un indissolubile legame con leaspirazioni, i bisogni e i desideri realidei popoli. Sono questi stessi sentimen-ti ad esserne la linfa ed il limite, poichécome ebbe modo di dire al XIII con-gresso della Democrazia cristiana, «lapolitica deve essere conscia del propriolimite».

Irrinunciabile per tutti noi è allorariconoscere come il dialogo, la disponi-bilità all’incontro, la ricerca di unatavola condivisa di idealità non rappre-sentino un arretramento rispetto aipropri convincimenti. Al contrario, lacondivisione delle scelte è il metodopiù coerente perchè i valori in cui sicrede possano essere riconosciuti e nonsiano percepiti come imposizione discelte di parte, frutto di contingenzestoriche.

Tuttavia, la strada della condivisio-ne non è quella dell’immobilismo, di unmoderatismo fine a se stesso, di un ten-tativo surrettizio di bloccare ogni per-corso virtuoso di realizzazione delleproprie finalità politiche, le quali legit-timano la stessa rappresentanza. La

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logica del «compromesso» – alto, nobi-le, coraggioso – non è la logica dei«compromessi», delle convenienze,degli opportunismi. E’ innanzitutto unalogica di esercizio quotidiano di virtù.

Per Aldo Moro la politica, fin dallasua formazione nella FUCI, non è infat-ti una semplice tecnica o un’arte sot-tratta alla potenzialità arricchente diuna prospettiva carica di idealità.L’azione politica per Moro è prioritaria-mente una testimonianza morale, undovere verso la verità. Ancora unavolta, le parole di Moro sono un inse-gnamento prezioso: «la verità è troppoimportante per essere meno di un crite-rio di discriminazione del bene dalmale».

Certamente questa postilla si ritro-va in uno scritto giuridico del 1954 enon in un intervento in un’Aula parla-mentare, ma rappresenta forse, proprioperché consegnata ad una riflessionelontana nel tempo dal suo impegno piùmarcatamente politico, il criterio digiudizio di tutta la sua attività politicasuccessiva.

La testimonianza ed il martirio diAldo Moro e degli uomini della scortarendono ancora più acuti il lamento, laprotesta, la vibrante richiesta, rivolta aciascuno di noi e più in generale a chiassolve ad una funzione al servizio delPaese, di agire coerentemente ed in

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ogni circostanza restando uomini «den-tro». Non limitandoci cioé, con le paro-le di Italo Mancini, a fare del dirittouna finzione, ma salvaguardandonesempre l’anima, che altro non è se nonla giustizia.

Ogni pretesa di voler sottrarre adun giudizio politico il nostro operare,nascondendosi dietro il paravento fra-gile ed incerto delle procedure, simostrerebbe ben presto come pretesto.Di fronte alla vita e alla morte, nessunnichilismo può diventare un alibi.Resta solo il pianto, il dolore, l’agonia.Resta solo il silenzio di una colpa.(Applausi dai Gruppi LNP, PdL e PD).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Gasparri. Ne ha facoltà.

GASPARRI (PdL). SignorPresidente, colleghi, la giornata di oggiè dedicata ad un solenne ricordo diAldo Moro. Per il Gruppo Il Popolodella Libertà, che si associa al ricordocommosso e deferente dell’Aula e cheha ascoltato con piena condivisione leparole del presidente Schifani, interver-ranno i senatori Pisanu e Quagliariello.Ho ritenuto però nella mia veste diPresidente del Gruppo portare un brevecontributo di riflessione a nome di tuttiperché la vicenda di Moro, come è giàstato detto da alcuni colleghi e come

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certamente diranno i colleghi Pisanu eQuagliariello, è una di quelle che hasegnato la storia della Repubblica, siaper un impegno politico intenso, con-vinto e appassionato che per una trage-dia che ha segnato la storia dellaRepubblica e che anche nei giorni scor-si il presidente della RepubblicaNapolitano, in occasione di quellasolenne cerimonia dedicata alle vittimedel terrorismo, ha voluto ulteriormentericordare.

L’auspicio, affidando ad autorevolicolleghi l’intervento a nome delGruppo, è che quella luce, che AldoMoro nella sua ultima lettera sperava diintravedere, possa rischiarare il cammi-no della Repubblica italiana anche gra-zie al ricordo di chi ne ha vissutointensamente la storia e ha concluso lasua esistenza in un eccidio tragico che,come ha voluto giustamente ricordareil presidente Schifani, insieme ad AldoMoro travolse il personale della scortache lo accompagnava.

Il Gruppo Il Popolo della Libertàricorda commosso Aldo Moro, il suoinsegnamento e il suo sacrificio.(Applausi dai Gruppi PdL, LNP e PD).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore D’Alia. Ne ha facoltà.

D’ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor

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Presidente, onorevoli colleghi, adistanza di trent’anni dall’eccidio di viaFani non possiamo e non dobbiamoinnanzitutto dimenticare gli uominidella scorta dell’onorevole Aldo Moro,barbaramente uccisi, così come nonpossiamo dimenticare le loro famiglieprivate di affetti così cari; vite spezza-te come tante altre di appartenenti alleforze dell’ordine colpevoli di aver scel-to di stare sempre e comunque dallaparte giusta, lo Stato, vittime che nonhanno privilegi a differenza dei lorocarnefici.

Il rapimento e l’assassinio di AldoMoro provocarono una grande reazio-ne nel Paese. Allora, adolescente, notaicon grande sorpresa due fatti per mesorprendenti: la grande partecipazionedi popolo, a dispetto di chi pensava chela DC fosse soltanto un partito di pote-re e di apparato, e la solidarietà reale ditanti dirigenti e militanti periferici dellaDC veramente provati, angosciati eumanamente legati a questo grandeuomo. Ho visto le bandiere, i dirigentie i militanti dei partiti di maggioranzae di opposizione e la loro vera parteci-pazione umana.

Quei 55 giorni hanno cambiato lavita di un intero Paese, di singoli citta-dini e di tanti partiti delle istituzioniitaliane. Quei tragici giorni hannoindotto tanti giovani ad impegnarsi in

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politica e a comprendere gli insegna-menti di Aldo Moro. Leggendo i suoidiscorsi abbiamo imparato ad apprez-zare la sua altissima concezione dellapolitica. Abbiamo conosciuto un uomofiero della propria identità, fermo sullesue convinzioni, ma aperto al dialogo eal confronto. Per lui gli avversari nonerano nemici ma espressione di valoriconcorrenti.

Moro ci ha consegnato una grandecapacità di ascolto e di lettura dellasocietà, anche nelle sue manifestazionipiù chiuse ed indecifrabili.

Il suo richiamo continuo al senso diresponsabilità, allo spessore delle deci-sioni da assumere, anche quando que-ste non sono popolari e non asseconda-no il comune sentire, è di estremaattualità. Il richiamo sempre orgogliosoe fermo ai valori della Democrazia cri-stiana, a ciò che il partito rappresenta-va per il Paese, la rivendicazione orgo-gliosa delle grandi scelte di libertà e diprogresso di cui i cristianodemocraticisono stati protagonisti, devono farciriflettere anche oggi, soprattutto oggi.Restano scolpite nei nostri cuori, neinostri principi, nella nostra praticaquotidiana le parole di Moro, quandodiceva che questo Paese non si salverà,la grande stagione dei diritti risulteràeffimera se non nascerà in Italia unnuovo senso del dovere.

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La domanda che oggi dobbiamoporci è se è nato questo nuovo sensodel dovere, se le parole di Moro ancoraoggi importanti hanno trovato praticaattuazione. Sinceramente non ho ilcoraggio di rispondere a questadomanda.

Nel dicembre 1975, da presidente diturno del Consiglio europeo a Roma,Moro ottenne l’elezione diretta delParlamento europeo, nonostante l’op-posizione di Gran Bretagna eDanimarca. Indimenticabili le paroleche rivolse alla Camera dei deputati nel1977 a sostegno dell’elezione a suffra-gio diretto della principale istituzionedemocratica del vecchio continente.

La sua visione dell’Europa e delleistituzioni europee come strumento dimoltiplicazione e crescita della demo-crazia in tutti i Paesi che ne diventava-no membri era ed è centrale anche nel-l’attuale fase critica del processo diintegrazione politica dell’Europa.Queste tesi vincenti dovrebbero farciriflettere oggi in cui emergono nelnostro Paese tentazioni isolazioniste,localismi esasperati e tentativi di rifor-me elettorali utili più a questa o a quel-la parte politica che al bene comune.Ma la cosa più importante e che restaancora più impressa della storia politi-ca e umana di Moro è la sua grandecapacità di persuasione.

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Le sue idee non avevano il confor-to dei numeri, ma erano sempre vin-centi perché innovativo e positivo era illoro contenuto. Questa è la più grandelezione dal mio punto di vista: nonpensare mai che i numeri, la forzanumerica siano la soluzione ai proble-mi. Senza idee e senza valori non si vada nessuna parte. Le idee e i valori nonriposano nella forza dei numeri manella capacità dei leader di interpretar-le e applicarle al servizio del benecomune.

Evitiamo quindi di celebrare ritual-mente questo tragico evento e sforzia-moci tutti di trarre lezioni pratichedalle parole di questo statista e di que-sto grande uomo cui l’Italia deve tanto.(Applausi dal Gruppo UDC-SVP-Aut).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Follini. Ne ha facoltà.

FOLLINI (PD). Signor Presidente,vorrei togliere dal ricordo di Moro uneccesso di solennità e raccontare sem-mai la sua persona attraverso il detta-glio di un piccolissimo e simbolico epi-sodio. Nel 1975, lo ricorderà il senato-re Pisanu, da ragazzo mi trovai adaccompagnare il presidente delConsiglio dell’epoca, che era Moro, invisita alla Fiera del levante.

Percorremmo per ore e ore padi-

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glione dopo padiglione tutti gli standin lungo e in largo sotto un caldoopprimente. Dopo mezza giornata tor-nammo alla macchina, che a me appa-riva una sorta di miraggio, ed a quelpunto si avvicinò all’onorevole Moroun signore molto semplice, con l’ariadimessa, con i vestiti un po’ in disordi-ne e con perentorietà gli disse cheall’altro capo della fiera si era dimenti-cato di visitare il padiglione dei for-maggi del paese di Rutigliano. Moro,con un sorriso, scese dalla macchina, sirimise in cammino ed arrivò all’altrocapo della fiera.

E’ un episodio da niente, ma rilevaanche questo qualcosa della personali-tà di Moro. Per Moro la politica era unesercizio di pazienza, un’attività percosì dire al dettaglio, mai all’ingrosso;un’attenzione mirata alle persone, adognuna di esse. Per lui non c’era mai lafolla, la massa, il plebiscito; c’erano lepersone ed ognuna di esse era, per dirlacon le sue parole, un universo.

C’è un argomento che ricorre spes-so nel pensiero e nell’azione di Moro:la sua Italia era un Paese fatto di pas-sioni forti e di strutture deboli.

La politica, con le sue ideologie econ il suo carico di aspettative, potevaessere dirompente e lacerante, ma leistituzioni che avrebbero dovuto rego-larla e temperarla erano un argine sem-

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pre troppo fragile. Questo contrasto tralo spirito di parte, così forte, ed il sen-timento dell’interesse generale, cosìdebole, avrebbe potuto letteralmentefare a pezzi il Paese. Se la Repubblicaha potuto reggere questo urto credo siastato in larga parte per il contributoche proprio Moro, più di tanti, seppeoffrire.

Fu un uomo di fede profonda, maiesibita, mai ostentata, e forse anchequesto tratto così riservato ce lo faapparire oggi agli antipodi dei nostriusi e costumi più attuali. A trent’annidalla morte, Moro è sicuramente uomodi altri tempi. L’Italia che è uscita dalleprove di questi anni e dal voto del-l’aprile scorso credo sia lontana del suomodo di vivere la politica e le istituzio-ni. Sarebbe arbitrario iscrivere Moro aquesta o a quella forza politica, ma dicerto la sua idea oggi combatte e perde,temo, con il percorso politico che nelfrattempo il Paese ha imboccato.

A dispetto dell’oleografia ricorren-te, Moro fu un uomo difficile, contro-verso, rigoroso e severo. Fu contrastatocon ferocia, e non solo dalle brigaterosse che lo hanno ucciso. A noi oggiresta di lui un ricordo forte, e forse èvero quello che scrisse una voltaBorges: che nessun uomo muore maifinché è vivo qualche altro uomo che loricordi. Il ricordo che ho di Moro è

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quello di un uomo sconfitto, ma vivo.(Applausi dai Gruppi PD, IdV e UDC-SVP-Aut).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Andreotti. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI (UDC-SVP-Aut).Signor Presidente, credo che per ricor-dare Aldo Moro giovi rifarsi al momen-to in cui, durante gli anni universitari,fummo avvicinati da Gonella per cer-care di avere un qualche coinvolgimen-to nell’attività politica clandestina dellaDemocrazia cristiana.

In quell’occasione, Moro rispose:no, il nostro compito è quello di studia-re, il nostro compito è nell’ambito dellacultura. Successivamente, fu l’ambientedi Bari (in modo particolare l’arcivesco-vo Mimmi) che lo indusse ad accettarela candidatura per l’Assemblea costi-tuente, dove, insieme ad un altro picco-lo gruppo di intellettuali, diede unapporto veramente notevole, comerisulta della stessa stesura di alcuniarticoli della Costituzione dellaRepubblica.

Nel momento che stiamo dedicandoal suo ricordo, dopo trent’anni dall’as-sassinio, credo che ciò che conta siacercare di non dimenticare quello chefu il suo insegnamento fondamentale,cioè la profonda coerenza tra l’impe-

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gno politico, la preparazione culturale,la fede religiosa. Moro è stato e restaveramente, sotto questo aspetto, unesempio inimitabile. (Generali applau-si).

PRESIDENTE. E’ iscritta a parlare lasenatrice Bugnano. Ne ha facoltà.

BUGNANO (IdV). Signor Presidentedel Senato, signori rappresentanti delGoverno, senatori colleghi, il 9 maggioè stato il giorno del ricordo e del pub-blico riconoscimento che l’Italia datempo doveva alle vittime del terrori-smo, il giorno della riflessione su quel-lo che il nostro Paese ha vissuto in annitra i più angosciosi della sua storia eche non vuole mai più in alcun modorivivere. La scelta della data per il gior-no della memoria è caduta sull’anni-versario dell’assassinio di Aldo Moro.

Nel periodo del terrorismo si sonoincrociate per molto tempo diversetrame eversive, da un lato di destraneofascista di impronta reazionaria,dall’altro di sinistra estremista rivolu-zionaria, ma non c’è dubbio che domi-nanti siano ben presto diventate questeultime con il dilagare del terrorismodelle brigate rosse; ed il bersaglio piùalto che questo terrorismo ha raggiun-to è stato il presidente Moro, sequestra-to, tenuto prigioniero per quasi due

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mesi e infine ucciso con decisione spie-tata. Non si scelse un obiettivo simbo-lico, si decise di colpire il perno princi-pale del sistema politico e istituzionalesu cui poggiava la democrazia repub-blicana. Molti altri vennero colpiti inquella stagione: magistrati, avvocati,amministratori locali, rappresentantidei lavoratori, militari, uomini delleforze dell’ordine. In Moro però i terro-risti individuarono il nemico più con-sapevole, che aveva più di chiunquecolto quello che si muoveva in queglianni e premeva nella società: la crisidei vecchi equilibri politici, il travaglioe la domanda di rinnovamento dellenuove generazioni e, quindi, avevalanciato l’estremo allarme.

Egli non dubitava dell’esito finaledel confronto tra le istituzioni demo-cratiche, tra le forze democratiche e leforze che conducevano un così graveattacco allo Stato, ma era coscientedella durezza della lotta. Per quello cheegli rappresentava storicamente e perquello che contava in quel momentocome punto di riferimento ai fini di unarisposta concorde all’offensiva terrori-stica e di una sapiente tessitura, volta arinnovare e consolidare la democraziadel nostro Paese, il presidente Morodivenne la vittima designata.

Ricordiamo oggi Aldo Moro nelvivo di un passaggio cruciale della

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nostra vicenda politica italiana. Credosentiamo tutti l’attualità di Aldo Moroe un po’ la nostalgia di una concezionedella politica che non parte da sé, daidisegni personali di potere, ma da unapiù alta coscienza storica.

Penso a Moro e al significato delsuo assillo tenace ed ininterrotto sucome dare una risposta al problema difondo – credo tuttora irrisolto – dellastoria italiana. Una democrazia diffici-le: è questa l’espressione che ritornavacontinuamente nella sue parole e chefu il grande tema su cui egli si impe-gnò.

Possiamo inchinarci con rispetto ecommozione dinanzi alla tragedia vis-suta trent’anni fa da un grande prota-gonista della storia democraticadell’Italia repubblicana; un grande pro-tagonista che merita che sulla suavicenda sia fatta chiarezza fino infondo, che su quei 55 giorni della suaprigionia i cittadini sappiano esatta-mente che cosa è successo.

Mantenere viva la storia, l’esempioe il ricordo di Aldo Moro servirà anchea scongiurare ogni rischio di rimozionedi una così sconvolgente esperienzavissuta dal nostro Paese; per prevenireogni pericolo di riproduzione di queifenomeni che sono tanto costati allademocrazia e agli italiani; per ribadiree rafforzare senza ambiguità un limite

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assoluto: il limite del rispetto dellalegalità, non essendo tollerabile che,anche muovendo da iniziative di liberodissenso e contestazione, si varchi ilconfine che le separa da un illegalismosistematico e aggressivo. (Applausi daiGruppi IdV e PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Bodega. Ne ha facoltà.

BODEGA (LNP). Signor Presidente,il ricordo di Aldo Moro e di tutti gliuomini della sua scorta merita unariflessione che vada oltre la legittimaemozione e, soprattutto, richiami intutta la sua tragica complessità il climadi quegli anni, di quella guerra apertaallo Stato dalle brigate rosse.

Per quanto ci riguarda, la figuradello statista democristiano deve esserecolta in tutto il suo valore morale ecivile. Si parla in questi giorni di unclima politico nuovo, di rapporti piùdistesi e costruttivi tra maggioranza eopposizione, e più di un osservatore siè richiamato al pensiero moroteo.Credo che anche nelle commemorazio-ni sia doveroso esprimere liberamente ein piena autonomia il proprio giudizio;a noi pare che sia perlomeno forzatointrodurre analogie tra tempi così lon-tani, che ci fanno dire come sul pianopolitico non siano trascorsi trent’anni,

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ma un’epoca. Il leader democristiano,vittima delle brigate rosse, immaginavauna politica nella quale le masse popo-lari cattoliche e comuniste si incontras-sero e si facessero rappresentare con laformula del compromesso storico.Un’operazione ardita, se solo pensiamoche la caduta del Muro di Berlinoavvenne 11 anni dopo.

Voglio anche aggiungere come ilsistema politico e partitico di queglianni ruotasse intorno alla Democraziacristiana e al Partito comunista, rite-nendosi in difficoltà e non esaurital’esperienza di centrosinistra (cioè l’al-leanza fra democristiani, socialisti epartiti laici minori), e nessuno pensavaa cambiare l’assetto politico del Paese.Ora ci troviamo in una situazione asso-lutamente diversa, con una semplifica-zione del quadro politico: semmai,occorre sottolineare come i progetti e levisioni di maggioranza e opposizionesiano alternativi, e non credo che regi-streremo tante convergenze sui provve-dimenti concreti; va invece salvaguar-data la volontà di collaborare laddovesi affrontano i temi delle riforme istitu-zionali e costituzionali; già nei giorniscorsi abbiamo visto come il PartitoDemocratico non abbia voluto condivi-dere il piano sicurezza e quello per irifiuti di Napoli, che sono invocati dauna larghissima parte dei cittadini.

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Conosciamo perciò storicamente ilsignificato della politica di Moro:conosceremo, cammin facendo, se oggisi potrà andare oltre le buone maniere;certamente, più che un’indicazionepolitica, da Moro viene una lezionemorale, che può essere utile per opera-re con l’obiettivo di una democraziamatura e compiuta. (Applausi dalGruppo LNP).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Zanda. Ne ha facoltà.

ZANDA (PD). Signor Presidente,oggi il Senato, con Aldo Moro, ricordatutte le vittime del terrorismo che neidecenni passati hanno insanguinatol’Italia: dal 1969, 421 morti, 15.000attentati e 1.200 feriti; un immensocarico di dolore e di vite spezzate, unasofferenza incancellabile per tantefamiglie ed una tragedia infinita per ilnostro Paese.

Ma, in particolare, oggi il Senatovuole onorare Aldo Moro, nel trentesi-mo anniversario del suo martirio, delsuo assassinio e di quello degli uominidella sua scorta. Al di là delle incancel-labili responsabilità criminali di chiquel delitto ha voluto e commesso odelle responsabilità politiche di chi loha giustificato, più passa il tempo, piùla morte di Aldo Moro ci pesa addosso

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e ci coinvolge tutti direttamente. Nontocca da vicino solo la coscienza di chinel 1978 governava il Paese e di chifaceva opposizione, di chi giudicava edi chi doveva prevenire, di chi allorascriveva sui giornali e di chi parlava intelevisione; ma anche la coscienza dilarga, larghissima parte della societàitaliana, di tanta gente comune, cheforse, adesso, finalmente comprendequanto diversa sarebbe stata la storiase, negli anni che hanno preceduto eanche in quelli che hanno seguito il1978, fossimo stati capaci di isolare laviolenza politica con tutta la severitànecessaria, dandole meno spondesociali, meno giustificazioni e menocomprensione.

Ha ragione Andrea Casalegno,quando, riflettendo sull’assassinio delpadre Carlo, ricorda che i terroristi nonvivevano nell’isolamento e che tuttiquelli che li conoscevano e non lihanno denunciati sono anch’essi degliassassini, come i terroristi stessi.

Non è solo questa, ma è anche que-sta una delle ragioni di quel senso dicolpa personale e collettivo che dal1978 ci portiamo dietro. Ma per noi cheoggi sediamo in Parlamento, oltre alricordo e al rimorso, c’è un dovere inpiù. C’è la responsabilità di riuscire aparlare di Aldo Moro ai giovani chenon l’hanno conosciuto e raccontar

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loro cosa ha rappresentato nella storiadel nostro Paese. Ai giovani dobbiamosaper dire che dopo di lui la politicaitaliana non è più riuscita ad avere unaltro Aldo Moro.

Dopo di lui non abbiamo più trova-to un altro dirigente politico democra-tico, di alta ispirazione cristiana (comelo ha definito Leopoldo Elia), in gradodi esprimere la stessa forza di idee e lastessa lungimiranza di visione di cui luiè stato capace.

Chi, se non Moro, avrebbe maipotuto ricordarci, con quelle sue parolesempre così dense di significato e disperanza, che «i giovani chiedono unvero ordine nuovo, una vita sociale chenon soffochi, ma offra liberi spazi, unaprospettiva politica non conservatrice omeramente stabilizzatrice, chiedono lalievitazione dei valori umani».

Chi, se non Moro, avrebbe maipotuto spiegarci meglio e con più sem-plicità che in uno Stato moderno i ter-mini del confronto politico e della dia-lettica democratica sono quelli delladiversità e che l’uno sia e resti maggio-ranza di governo, l’altro sia e restiopposizione a dimostrazione che il dia-logo democratico non deve portare adalcuna confusione.

E’ a noi, proprio a noi, che Moro staparlando. Siamo noi, con i nostri pro-blemi di oggi, i destinatari del suo mes-

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saggio di ben 40 anni fa!Più volte mi sono chiesto come

Aldo Moro avrebbe affrontato le que-stioni che l’Italia di questo nostrotempo si trova davanti, come avrebbevoluto che noi ci orientassimo, come ciavrebbe guidati, quale sia il sensoattuale del suo insegnamento. Conpoca originalità anch’io mi sono rispo-sto che il messaggio di Moro all’Italia ètutto compreso in quella sua bellissimafrase che dice «questo Paese non si sal-verà e la stagione dei diritti e dellelibertà si rivelerà effimera, se non cre-scerà un nuovo senso del dovere». Inqueste parole c’è tutto il pensiero, tuttal’etica politica di Moro, tutta la suaansia di condurre l’Italia verso lademocrazia compiuta. A noi non restaproprio nient’altro da dire. (Applausidai Gruppi PD e IdV).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Pisanu. Ne ha facoltà.

PISANU (PdL). Signor Presidente,onorevoli colleghi, non mi è facile par-lare con il dovuto distacco dell’uomo,del maestro impareggiabile, dell’amicoche più di chiunque altro ha orientatola mia esperienza umana e politica.

A trent’anni di distanza dalla stragedi via Fani e dal martirio di Aldo Moro,nonostante ben cinque processi e due

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Commissioni parlamentari d’inchiesta,non siamo ancora riusciti a fare pienaluce su quella terribile vicenda che hainsanguinato e lungamente condizio-nato l’evoluzione democratica delnostro Paese. C’è dunque una domandadi verità che oggi a giusta ragione siestende alla straordinaria personalità diAldo Moro, troppe volte sacrificata allefragorose polemiche sugli ultimi crude-li 55 giorni della sua vita. Qualcosa, inquesto senso, si sta muovendo e ildibattito di questa mattina lo dimostra.Finalmente ricostruzioni obiettive deifatti e letture scrupolose degli scritti dalcarcere delle brigate rosse comincianoa restituirci il vero profilo del prigio-niero politico Aldo Moro, aprendo cosìla strada ad una rimeditazione piùimpegnativa del ruolo che egli ebbe neiprimi trent’anni della nostra storiarepubblicana e delle molte cose che egliancora può dire al nostro tempo.

Dalla Costituente alla ricostruzione,dal centrismo al centro-sinistra ed infi-ne alla progettazione della «terza fase»,Aldo Moro fu innanzi tutto l’uomodello studio, del confronto e del dialo-go per il consolidamento della demo-crazia. Sapeva che in un Paese segnatoda profonde lacerazioni, occorrevaricostruire un comune senso di appar-tenenza alla nazione italiana, in modoche su questa base la dialettica demo-

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cratica potesse dispiegarsi compiuta-mente, senza più alcun rischio disopraffazione o avventura illiberale.Moro cercò sempre il dialogo, senzamai rinunziare ai suoi ideali cristiani edemocratici. Come De Gasperi guardò asinistra e prestò grande attenzione aquelle idee, ma non fu mai un uomo disinistra. Fu sempre, invece, un cattoli-co moderato e riformatore, con unsenso alto della laicità della politica.

Ha scritto un autorevole filosofo deldiritto, padre Italo Mancini: «con unparadosso si potrebbe dire che il menoteologico dei politici italiani, AldoMoro, ha realizzato la situazione teolo-gica più feconda tra fede e politica.

Moro fu il più laico dei politici cri-stiani». E’ un pensiero, onorevoli colle-ghi, che ben possiamo consegnare allospaesamento post-ideologico dei nostrigiorni, dove laicismo e clericalismo rie-cheggiano come termini contrappostima ormai vecchi e poveri di senso.

L’ispirazione cristiana fu la stellapolare di Aldo Moro e la laicità dellapolitica fu la bussola delle sue scelte.Proprio per questo egli poté sempreaccostarsi con animo aperto a quantodi nuovo germogliava nel Paese e pote-va essere coltivato e messo a frutto.

Così, nel difficile processo di eman-cipazione della donna, egli avvertì lanecessità di valorizzare appieno, sono

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parole sue: «quella dimensione femmi-nile del mondo, qualche volta ignoratao sminuita, che costituisce un’enorme,inesplorata ricchezza della societàdemocratica».

Nel 1968 Moro percepì, da Berkeley,a Nanterre e all’Università di Roma, isegni, come ebbe a dire: «di una svoltadecisiva nella storia del mondo»,l’avanzare di una nuova umanità cheesprimeva domande generose e aspet-tava risposte magnanime. Ma al tempostesso intuì il pericolo della violenzapolitica, delle confusioni astratte epenalizzanti, come diceva, destinate «asfociare, prima o poi, dal terreno dellascuola a quello dello Stato».

Tuttavia, otto anni dopo, quando lesue previsioni si erano già almeno inparte dolorosamente avverate, egliaffermò: «Noi non siamo chiamati afare la guardia alle istituzioni, a preser-vare un ordine semplicemente rassicu-rante. Siamo chiamati, invece, a racco-gliere, con sensibilità politica e consa-pevolezza democratica, tutte le inven-zioni dell’uomo nuovo».

Con eguale sensibilità Aldo Morocolse e assecondò i segnali positivi chevenivano dal sistema politico. Quandovide la crisi del centrismo, si mosse conprudenza e coraggio per la costruzionedel centrosinistra. Non si trattava, però,di andare semplicemente a sinistra o

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semplicemente di spostare a sinistral’asse politico del Paese, bensì di allar-gare le basi della nostra democrazia,chiamando al Governo, per la primavolta, il Partito socialista italiano. Equando anche la formula del centrosi-nistra giunse all’esaurimento, Morosostenne l’intesa programmatica con ilPartito comunista nel segno della paci-ficazione nazionale e della crescitademocratica del Paese. Però la concepìcome una forma transitoria di solida-rietà nazionale, il cui compito principa-le era quello di fronteggiare la crisigravissima che colpiva contempora-neamente l’economia, la società, le isti-tuzioni e la stessa vita politica naziona-le. Compiuto quel passaggio,Democrazia cristiana e Partito comuni-sta – sono parole sue – sarebbero tor-nati ad essere partiti tra loro natural-mente alternativi.

Questo e non altro era il progettomoroteo della «Terza fase»: l’avventocioè di una democrazia matura dell’al-ternanza, nella quale Democrazia cri-stiana e Partito comunista, per loronatura partiti contrapposti e tuttaviariconciliati dall’esperienza della solida-rietà nazionale, si sarebbero potutitranquillamente alternare alla guida delPaese.

Gli storici diranno se per questoprogetto egli fu condannato a morte

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dalle brigate rosse. Noi possiamo direche il processo politico, da lui avviatoin singolare sintonia con EnricoBerlinguer, è venuto avanti anche aprezzo di ulteriori, drammatiche rottu-re, fino a risolversi nell’attuale bipola-rismo politico italiano. Questo bipolari-smo ci porterà ad una matura democra-zia liberale soltanto se le ragioni deldialogo tra i partiti riusciranno a pre-valere definitivamente, al di là di ognifinzione, sulle ragioni irragionevolidello scontro politico.

Oggi, mentre incupisce l’orizzonteeconomico e lievita il rischio di graviconflitti, abbiamo la pungente necessi-tà di coltivare il dialogo come strumen-to ordinario del confronto democraticoe, allo stesso tempo, di sviluppare lacompetizione tra i partiti sul terrenopiù propizio dei grandi problemi delPaese. Ma la parola competizione deri-va da cumpetere, che vuol dire concor-rere in maniera agonistica alla ricercadella soluzione migliore.

«Il potere» – diceva Aldo Moro –«conterà sempre di meno, e conterà dipiù una parola detta discretamente,rispettosa e rispettabile». Auguriamociche la sua parola e il suo esempiorivivano nei nostri comportamentipolitici. Sarà il modo migliore dionorarlo tra i padri nobili della nostrademocrazia. (Applausi dai Gruppi PdL,

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IdV, PD, UDC-SVP-Aut e Misto.Congratulazioni).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Pistorio. Ne ha facoltà.

PISTORIO (Misto). SignorPresidente, colleghi senatori, sono pas-sati trent’anni da quando Aldo Moro furapito dalle brigate rosse e la sua scor-ta barbaramente trucidata. Trent’anniper metabolizzare il peso di un destinointerrotto; trent’anni di storia italianaper superare un diffuso senso diresponsabilità per un omicidio che hasegnato le coscienze di tutti e che,anche per quanto mi riguarda, ha cam-biato in modo radicale il mio giovane,allora, percorso politico.

La frase di Aldo Moro che tanti sta-mattina citiamo – «Questo Paese non sisalverà e la stagione dei diritti e dellelibertà si rivelerà effimera se non cre-scerà un nuovo senso del dovere» –dovrebbe essere iscritta a caratteri dipietra in una sorta di manifesto civiledell’Italia repubblicana quale monito dicome deve essere l’etica pubblica e pri-vata in questo Paese. Con queste paro-le egli stigmatizzava la realtà sociale diun’Italia imbarbarita da profondi con-flitti sociali, ma oggi, a 30 anni dallasua scomparsa, l’attualità e la forzaprofetica del suo pensiero incidono

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ancora profondamente le nostrecoscienze.

Tuttavia, se si vuole rendere davve-ro onore alla figura di Aldo Moro, èdoveroso innanzitutto ricordare gliuomini della sua scorta, che da annidifendevano la sua incolumità e che inquel lontano 1978 per primi hannotentato di difendere con la propria vitalo Stato, trovandosi contro una forzainaspettata e omicida. Ricordare oggi illoro sacrificio, ricordare oggi inquest’Aula uomini semplici, nati delnostro Mezzogiorno, è il miglioreomaggio che possiamo tributare allafigura di Aldo Moro; una figura alta, diinsigne giurista, il cui impegno politicofin dalla Costituente presentava straor-dinari elementi di novità rispettoall’impianto centrista della Democraziacristiana che De Gasperi aveva indica-to. Moro aveva intuito infatti che laprima necessità era l’allargamento dellabase democratica del Paese con la par-tecipazione attiva di tutti i partiti pre-senti in Parlamento, a prescindere dairuoli di maggioranza o di opposizione.Tale intuizione proiettava la sua strate-gia politica nel futuro e gettava le basiper la realizzazione dei primi Governidi centrosinistra, fatto allora percepitocome traumatico in alcuni ambientiche condizionavano fortemente l’equi-librio politico precedente.

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Aldo Moro, però, non aveva lavisione radicale sulle riforme; egli eraconsapevole che il Paese non era anco-ra pronto a subire incisive trasforma-zioni istituzionali, economiche e socia-li e che bisognava procedere prima alrafforzamento dei diritti che andavanoemergendo sotto la spinta della moder-nizzazione e della crescita chel’Occidente, seppur in maniera diversi-ficata, stava attraversando. A partiredal 1963 fino al 1978 tutta la strategiapolitica di Moro fu rivolta ad accompa-gnare il processo di modernizzazionedell’Italia nel contesto internazionale,avendo ben in mente che la democraziasi poteva consolidare – e quindi moder-nizzare – solo se si fossero allargate lesue basi di rappresentanza anche aquelle forze politiche che tradizional-mente rappresentavano culture antago-niste a quella moderata.

Aldo Moro era sicuramente asserto-re della centralità del partito dei catto-lici italiani all’interno del sistemademocratico, ma era altresì convintoche una democrazia poteva dirsi dav-vero compiuta quando diventava agibi-le l’ipotesi dell’alternanza di Governo.La strategia delle convergenze paralle-le, attraverso il contributo dei partiti diopposizione, segnò il punto più alto diallargamento e di inclusione nel pro-getto politico di riforma delle istituzio-

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ni. La lungimiranza della strategia poli-tica morotea determinò non pochiattriti, ma, grazie alla sua grande capa-cità di persuasione e di mediazionedelle diverse esigenze, riuscì sempre aorientare il partito della Democraziacristiana ed il Paese verso prospettivedi rinnovamento e di modernità.

Dotato di una fede straordinaria,riuscì a coniugare i grandi princìpidella dottrina sociale della Chiesa, dacui era profondamente ispirato, con leesigenze di una società in trasforma-zione, in cui il capitalismo e l’indivi-dualismo, se non fossero stati regolatida orientamenti etici, avrebbero pro-dotto un livello di conflittualità socialeche avrebbe minato ben presto lanostra convivenza civile. Aldo Morosapeva che dopo le trasformazioni deglianni Sessanta una nuova stagione didiritti e di libertà avrebbe condizionatola cultura politica del nostro Paese edera consapevole che le aspirazioni digiustizia sociale, insieme alle nuoveistanze della modernità, rendevanonecessaria una nuova strategia cultura-le e politica per promuovere spazi dipartecipazione attiva dei cittadini, rap-presentando l’esigenza di un nuovosenso del dovere nell’attività pubblica.

Va ricordata, in particolare, la suariflessione profonda sull’interpretazio-ne dei «tempi nuovi» in cui si trovava-

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no ormai gli italiani dopo la fondazio-ne del regime democratico. Tutta unanuova generazione, nata dopo la finedella guerra, entrava allora con unasensibilità nuova nella vita politica delPaese: le agitazioni studentesche e glistessi deragliamenti violenti di mino-ranze ne erano un segnale vistoso.Aldo Moro si impegnò più di tutti inuno sforzo profondo di comprensionedi questi fenomeni per consentire alleistituzioni di interpretarli in modo vivi-ficante e dinamico e garantire, quindi,una pacifica convivenza civile.

Cari colleghi, egli da vero democra-tico intendeva operare perché fossesuperata gradualmente la dura con-trapposizione ideologica che divideva ipartiti e la società italiana di allora.L’obiettivo non era la scelta o la presadi posizione su questo o quel problemasociale da risolvere insieme, ma unaapertura misurata, costante, che ren-desse condivisa e più stabile la basestessa della democrazia in Italia. Di quiil suo sforzo costante di contribuire alprogressivo coinvolgimento nel sistemaparlamentare di forze e ceti precedente-mente esclusi; ma di qui anche, neimomenti di maggiore contrapposizionepolitica e, perciò, di possibile rischioper la tenuta delle istituzioni democra-tiche, la volontà di ricercare la conver-genza tra partiti di diversa estrazione

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culturale e politica.Rispetto a questi obiettivi, la realiz-

zazione piena della possibilità di alter-nanza democratica era, nella concezio-ne di Moro, qualcosa di più alto edambizioso di una formula politica: nonil compromesso storico, come pure si èdetto, ma una alternanza al Governosenza rischi per il sistema è semprestata sullo fondo delle iniziative e dellestrategie morotee.

E’ credibile ritenere che le brigaterosse l’abbiano voluto uccidere proprioperché egli era il principale promotoredella politica di stabilità democraticanazionale e dell’adesione più diffusaalla democrazia.

Aldo Moro fu uomo di Stato e diGoverno che, con il suo sacrificio e ilsuo esempio, ha incarnato il senso civi-co più alto a difesa delle istituzionirepubblicane. Con la scomparsa diMoro è venuto meno non solo un pro-tagonista delle vicende politiche delPaese, ma anche uno dei più convintiassertori della funzione del Parlamentocome punto più alto di raccordo e diequilibrio tra i valori fondanti dellaRepubblica, le istituzioni, i partiti e ilpopolo.

L’attività politica del suo insegna-mento oggi, seppure in una mutatasituazione, permette di considerare conottica diversa questioni cui il processo

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riformatore deve dare ancora risposteadeguate: «Noi» – aveva egli affermatoalla Costituente – «non siamo chiamatia fare la guardia alle istituzioni, a pre-servare un ordine semplicemente rassi-curante. Siamo chiamati invece a rac-cogliere con sensibilità popolare, conconsapevolezza democratica, tutte leinvenzioni dell’uomo nuovo a questolivello dello sviluppo democratico».

La preoccupazione per i rischi diradicalizzazione della lotta politica,l’attenzione alla compatibilità tra l’evo-luzione del quadro democratico con letradizionali scelte internazionali delnostro Paese, il senso vivissimo dellegame tra le istituzioni e il consensopopolare hanno rappresentato le coor-dinate costanti dell’iniziativa politica diAldo Moro. Dalla sua testimonianzapolitica ed umana ci è venuta la riaffer-mazione del suo convincimento pro-fondo che le istituzioni democratichesono le espressioni più alte dei valorifondanti della nostra convivenza civilee perciò appartengono a tutti.

Oggi più che mai maggioranza edopposizione devono responsabilmenteriprendere insieme il cammino delleriforme. Devono quindi, con rinnovatosenso di responsabilità, dare il lorocontributo per riaffermare i valori dellacomune appartenenza ad un progettoche torni a dare forza e credibilità alle

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istituzioni. Se questo sarà, ne uscirànotevolmente rafforzato quel fonda-mentale filo di continuità che lega lacostruzione legislativa dei costituenti,il senso dell’impegno democratico diAldo Moro, la legislazione e il ruolopolitico delle Assemblee parlamentari.

Egregi colleghi, questo sarebbe ilmodo più alto per ricordare davveroAldo Moro che, insigne giurista ed emi-nente politico, fu prima di tutto unuomo semplice, di dialogo, di verità, difede e specialmente di testimonianzaalta e convinta. Cari colleghi, nel nomedi Aldo Moro, possiamo auspicare che«tempi nuovi si annunciano».(Applausi dai Gruppi Misto e PdL).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Colombo. Ne ha facoltà.

COLOMBO (UDC-SVP-Aut). SignorPresidente, onorevoli colleghi, è deltutto naturale che il ricordo della figu-ra e del martirio di Aldo Moro trovioggi una maturità di analisi ed unacomprensione calibrate sia sull’intrec-cio di fattori interni ed internazionaliche incisero sulle anomalie della storiaitaliana, sia sul ruolo che egli ha eser-citato nel discorso pubblico e nella vitapolitica ed istituzionale del nostroPaese. Quindi, ricordare Moro per me eper la generazione che ha vissuto con

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lui pagine significative della lotta poli-tica in Italia non significa solo evocar-ne la forza del messaggio politico esegnalarne la percezione lucida delpassaggio critico attraversato dallademocrazia italiana nel cuore dell’as-salto terroristico e del declinare dellaforza elettorale della DC.

Significa essenzialmente interro-garsi sul valore della sua lettura dei«segni dei tempi» – per citare un’espres-sione usata da Aldo Moro e già, primadi lui, da Giovanni XXIII – e sul sensodel suo realismo politico venato di pes-simismo: inclinato cioè a scrutare le viedi uscita e di risalita dalla crisi italiana.Significa risalire alle ragioni del dete-riorarsi del rapporto fra democrazia econsenso nel cuore di quegli anniSettanta che sono stati il passaggio piùdifficile e tragico della vicenda civileitaliana. Significa anche intendere finoin fondo il valore di una sensibilità cosìattenta a investigare l’evoluzione e iprocessi di maturazione cui andavaincontro il comunismo italiano nei suoipossibili approdi dentro la democraziadell’alternanza. Significa altresì chie-dersi cosa abbia rappresentato la lungatransizione che ha segnato la vita ita-liana, tuttora irrisolta, se è vero cheancora stenta a prendere forma unademocrazia compiuta, finalmente defi-nita, vuoi nei suoi esiti neoparlamenta-

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ri, vuoi in quelli pseudopresidenziali,quando non plebiscitari. Intendo unademocrazia per la quale non si intrave-de tuttora un robusto pensiero civile ingrado di unire il Paese e di dargli ilvigore e le ali per riconquistare unacapacità di reggere, per coesione e tem-perie politica e morale, le grandi sfidedella globalizzazione.

Siamo ancora, pur se in una stagio-ne più avanzata, in piena transizione.Con forze politiche alla ricerca diun’identità, di un progetto, di una spe-ranza, perfino di un linguaggio ingrado di parlare, prima che agli umori,all’intelligenza e al cuore del Paese.

Moro, quindi, paradossalmente, èancora qui fra noi, con le sue domandesospese, con il suo sacrificio cherappresentò il culmine dell’attacco cheil terrorismo portò allo Stato; unsacrificio oggi sempre più compresocome il prezzo che il Paese ha pagatoad un disegno crudele e regressivo,come rivelazione (nel senso gobettianodel termine) di una transizione irrisolta,aperta tuttora, pur se il Paese rischia diignorarne il senso, illudendosi nelconformismo di una stagione per unverso carica di promesse e per un altropriva di un pensiero che si riveliall’altezza della crisi che stiamoattraversando. (Applausi dai GruppiUDC-SVP-Aut, PD e IdV).

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PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Belisario. Ne ha facoltà.

BELISARIO (IdV). SignorPresidente, colleghi, in circostanzesolenni come quella che stiamo viven-do oggi è difficile, intervenendo, con-servare un distacco lucido da quegliavvenimenti che ricordiamo, specie perchi, come me, molti e molti anni fa si èformato alla scuola del cattolicesimodemocratico, una scuola altamente for-mativa e che lascia il segno anche nelpercorso parlamentare attuale. Per que-sto, l’emozione ci prende partendo dalpiù profondo dei nostri sentimenti, nelpensare a Moro giurista, statista, maanche e soprattutto all’uomo di fede, almarito affettuoso, al padre premuroso.

Aldo Moro, martire dellaRepubblica italiana, venne barbara-mente trucidato, e prima di lui la suascorta, cui va un commosso ricordo,per un disegno che ancora oggi è oscu-ro, perché nascosto agli occhi dellagente comune, ma anche a quelli del-l’interprete più avveduto, nascosto dafatti, circostanze, sospetti, dubbi, pro-cessi giudiziari e storici, analisi socio-politiche e indagini parlamentari cheancora non ce l’hanno saputo spiegare.

La morte prematura e sconvolgentedi Moro segna un discrimine fonda-mentale nella vita pubblica italiana,

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uno spartiacque di cui avremmo volen-tieri fatto a meno, ma che oggettiva-mente mostra la fine di un ciclo storicoe politico, partito dal 1945 e chiusosinel maggio del 1978. E’ il periodo chepartendo dal dopoguerra, passando perla riforma agraria, produceva prima ilboom economico e la ripresa del nostroPaese, la nascita delle Regioni ed infinel’attacco del terrorismo alle istituzionidemocratiche.

Ebbene, proprio la tragica scompar-sa del politico pugliese ha segnato lafine di una vicenda, quella del terrori-smo, che proprio da quel terribile even-to avrebbe forse voluto ricevere legitti-mazione politica e popolare. I valoridella democrazia e la intensa parteci-pazione di tutta la società italianahanno consentito di sradicare con fer-mezza questo cancro pericoloso, che hacercato più volte di minare le istituzio-ni e la vita italiana tutta nelle sue com-plesse articolazioni. Qui, in sedutasolenne – e ringrazio ancora ilPresidente del Senato per la sollecitudi-ne con cui ha accolto la richiesta parti-ta dall’Assemblea – il Senato dellaRepubblica ricorda questa triste edallarmante vicenda che è storia fattadel nostro Paese.

Questa è la ragione per il ricordo diuna figura centrale della nostraRepubblica, che evidenzia come l’ini-

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ziativa politica e la vita stessa di Morohanno inciso su importanti trasforma-zioni. In questo senso – affidati allastoria – autorevoli studiosi individuanoil rapimento e l’uccisione dello statistademocristiano come l’inizio della rottu-ra del rapporto di fiducia tra cittadinida una parte e politica e istituzioni dal-l’altra, manifestatasi in modo concla-mato con le vicende di Tangentopoli.

Moro ha sempre esaltato lo spiritodi servizio verso le istituzioni ed ildovere da parte di queste di ascoltare leistanze provenienti dalle diverse edarticolate categorie sociali. Parlando aMilano nell’autunno del 1959 egliaffermava che lo Stato democratico, loStato del valore umano, lo Stato fonda-to sul prestigio di ogni uomo e chegarantisce il prestigio di un uomo, èuno Stato nel quale ogni azione è sot-tratta all’arbitrio e alla prepotenza, incui ogni sfera di interesse e di poteredeve ubbidire ad una rigida delimita-zione di giustizia. Ed anche quando viè contrapposizione tra programmi evisioni alternative mai potrà essereeluso il tema dei valori condivisi.

Per questo nel suo pensiero prende-va via via corpo l’idea di una democra-zia compiuta che contemperava unavisione del diritto degli altri, anche ipiù lontani, da tutelare non meno deipropri. La democrazia di Moro non è

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soltanto il regime della maggioranza,ma il regime del rapporto necessariodella garanzia permanente di esistenzae funzionalità di una maggioranza e diuna minoranza in un rapporto civile,dialettico, democratico.

E sull’azione di governo mirabile èla riflessione contenuta nel discorsoalla Camera dei deputati del 3 marzo1966: «Il Governo rispetterà le autono-mie, tutte le autonomie nelle quali viveuna democrazia, la sospingerà all’unitànell’ordine, nella solidarietà e nellagiustizia; si fermerà, consapevole deilimiti propri del pubblico potere, difronte ai diritti inviolabili dellacoscienza, della cultura e della perso-nalità umana». Per tale ragione, laricerca del consenso era per Moro nonuna pratica commerciale.

Moro si ispirava ad uno stile di vitasobrio e ad una rigorosa distinzione trapubblico e privato. Momenti come que-sto sono assolutamente importanti perl’intera democrazia del Paese perché ciaiutano a riflettere su di un quotidianoche non sempre risponde ai princìpi diequità, trasparenza, lungimiranza, divoglia di collaborare spesso conclama-ta ma non sempre testimoniata.

Aldo Moro ci ricorda un modo par-ticolare di vivere le istituzioni, quello alquale noi del Gruppo Italia dei Valoricercheremo di mantenere fede e testi-

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monianza. (Applausi dai Gruppi IdV,PD e PdL).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Marini. Ne ha facoltà.

MARINI (PD). Signor Presidente,colleghi, come tanti di noi con commo-zione mi associo al cordoglio unanime-mente espresso in occasione del ricordodel tragico rapimento di Moro, dellabarbara e crudele uccisione sua e deicinque uomini della scorta. Ancora nonsi è potuto fare piena luce sulle ragionidi quei fatti, sui mandanti, su tutti gliesecutori, sul disegno criminale che erastato ordito. La nostra memoria civile epolitica soffre di questo vuoto di pienaconoscenza anche perché molti degliautori materiali di quei fatti, pur aven-do perduto la loro folle e cinica sfidaallo Stato democratico, non hanno maivoluto offrire una piena e leale collabo-razione.

Come ha detto il presidenteNapolitano, non devono più esserci tri-bune per coloro che non accettano leregole elementari di trasparenza nellavita democratica.

Ma oggi voglio richiamare il Morovivo, il suo pensiero e il suo agire poli-tico. La brevità mi consente solo tresottolineature. In primo luogo, il ricor-do di Moro negli anni recenti si è spes-

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so soffermato sugli ultimi suoi discorsiquando, non senza lucido coraggio,delineava l’evoluzione della democra-zia italiana verso la dimensione di unademocrazia compiuta dove forze politi-che di maggioranza e di opposizione siconfrontavano e si alternavano per ilgoverno del Paese. Questo dato è statomolto richiamato questa mattina. Moronon temeva questa maturazione demo-cratica del Paese, anzi la designavacome una sfida per la Democrazia cri-stiana, anche per sollecitarne un’inizia-tiva di rinnovamento all’altezza deibisogni del Paese. Moro, infatti, eraanzitutto un democratico cristianoconvinto, mai integralista, ovvero maianimato da un senso di superiorità o didemonizzazione dell’avversario politi-co. Moro aveva una concezione forte ebasilare del partito, della sua funzionee della sua autonomia, nei tanti anninei quali la Democrazia cristiana ed iGoverni si intrecciavano profondamen-te. Parlando al Consiglio nazionaledella DC, nel gennaio del 1964, inoccasione della nascita del primo cen-trosinistra, Moro sollecitava «l’azionedi un partito che, conquistata attraver-so un lungo dibattito ed una tormenta-ta esperienza una linea politica capacedi tradursi in atto, la approfondisce,l’arricchisce di contenuto, la salda conle proprie migliori tradizioni politiche,

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la pone in costante collegamento conl’opinione pubblica e con il corpo elet-torale». E’ la sintesi forte del suo pen-siero: un partito che nella discussione,nell’analisi franca al suo interno, defi-nisce la linea politica e poi si pone incostante collegamento con la società,con gli elettori, per spiegare le proprieproposte e le proprie ragioni, per svi-luppare quella funzione di canale dipartecipazione democratica che laCostituzione assegna ai partiti. Non unpartito virtuale o mediatico (quantodanno porterà, secondo me, al vigore,alla rinascita e al nuovo sviluppo diquesti fondamentali strumenti dellanostra democrazia, la diffusa e superfi-ciale concezione che ormai la politica èsolo comunicazione; la comunicazioneè importante ma ci sono altre funzioniche debbono essere recuperate), ma unaforza politica di uomini e di donne chesi pone al servizio del Paese, che discu-te, analizza e si unisce sempre per offri-re una proposta forte ed incisiva per ilGoverno e per lo sviluppo della società.Se oggi nella vita dei nostri partiti que-ste condizioni non ci sono, c’è bisognodi riconquistare a loro queste aperture,queste caratteristiche; secondo me neha bisogno la democrazia italiana.

Proprio il rapporto costante – ed èquesta la seconda sottolineatura – conla società e con i suoi cambiamenti è

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alla radice della sua concezione delpotere e della democrazia. «Ci deve puressere una ragione, un fondamentoideale, una finalità umana» – diceMoro, nel 1969 – «per i quali ci si costi-tuisce in potere e il potere si esercita. Aldi fuori di essi, al di fuori del rispetto diun criterio di moralità, il potere non èpiù un riferimento efficace e perde lasua credibilità, per prospettare un ordi-namento sociale libero». Questa analisisenza veli – espressa senza paura esenza seminare paura – di fronte aicambiamenti enormi che si manifesta-vano (siamo nel 1969), fa emergeretutta la grandezza di Moro, per il qualela politica aveva una dimensioneumana e per questo doveva occuparsidei problemi sociali delle persone, dellaloro crescita civile e democratica.

Questa sua visione della politica loaccompagnerà tutta la vita, fino al con-fronto con i suoi carcerieri, quandoprobabilmente scoprì che si trattavaanche, assieme a dei criminali incallitied a gente che aveva disegni forse piùgrandi, di giovani dissennati che vole-vano sovvertire lo Stato e la vita socia-le. Anche da prigioniero Moro, conquesta consapevolezza, tenta di capiree di dialogare. Le sue lettere sonosegnate da questa coscienza umanadella politica, dai rapporti con i suoiamici di partito e con la sua famiglia.

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Non una visione eroica o ideologica,superiore e staccata dalla realtà, nellavita delle forze politiche, che tanti guaiha prodotto nell’Europa del Novecento.Non un senso del potere chiuso, mauna profonda dedizione umana allapolitica, al valore del legame personalee morale con le persone: la politicacome strumento di partecipazione e diprogresso per tutti gli uomini. In questoforse ritroviamo la complessità dellasua ispirazione cristiana.

Per ricordare oggi Moro dobbiamoripensare all’attualità della sua lungalezione, che per oltre 35 anni haaccompagnato la nostra crescita demo-cratica ed alimentato la nostra coscien-za collettiva. Moro ha vissuto nel servi-zio al Paese ed è stato ucciso proprioperché credeva che la politica fosseun’attività che doveva dipendere soloda chi la vive, non da poteri estranei edai cittadini che democraticamente vipartecipano.

La terza sottolineatura che mi sta acuore, signor Presidente, è brevissima:io non ebbi dubbi, in quelle giornate,sulla dolorosa necessità che lo Statotenesse. Mi colpirono, però, dopo la suamorte considerazioni (a volte pubbli-che, molto più spesso private) circolan-ti nel contesto della politica sulla suacondotta durante i 55 giorni della pri-gionia. Gli furono attribuite incertezze,

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eccessiva insistenza sui suoi compagnidi partito per la trattativa, quasi uncedimento dinanzi alle pressioni deiterroristi.

Voglio ricordare invece (lo fa inqueste settimane un giovane storico dalnome spagnolo – Miguel Gotor – manato a Roma e che insegna storiamoderna all’università di Torino) che lastoriografia più recente non trascura lagrande nobiltà e lucidità del suo com-portamento. L’analisi accurata delle suelettere dimostra che restò vigile e deter-minato fino alla fine, in condizionidrammatiche, come tutti sappiamo. Usòcon la sua intelligenza l’unico veicoloche i terroristi gli lasciavano per comu-nicare: le lettere, a volte strumental-mente non recapitate, come quella incui parlava drammaticamente del dolo-re per la morte della sua scorta. Usòquesto unico strumento, così difficile,per tenere un filo tutto suo personalecon i destinatari dei suoi scritti.

In sintesi, Moro non si lasciò piega-re dalla violenza e dal cinismo dei suoicarcerieri e difese fino alla fine, in con-dizioni disperate, la sua visione dellavita e della politica. Credo, e il giudizioal riguardo mi pare unanime anchequesta mattina (certamente è stato pre-sente nelle sue parole, signorPresidente), che Moro fu un uomo il cuiassassinio costituì una tragica, irrepa-

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rabile (per quanto nella storia questaparola si possa usare) perdita per lapolitica e per la democrazia italiana.(Applausi dai Gruppi PD, IdV, UDC-SVP-Aut e PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare ilsenatore Quagliariello. Ne ha facoltà.

QUAGLIARIELLO (PdL). SignorPresidente, onorevoli colleghi, la vicen-da umana e politica di Aldo Moro, ilsuo dramma, prendendo a prestito leparole che egli stesso utilizzò il 9 giu-gno 1973 parlando al Congresso nazio-nale della DC, si potrebbe definire l’au-tobiografia di una democrazia difficile.

Aldo Moro appartiene alla secondagenerazione dei politici cattolici italia-ni, quella che, per vincoli generaziona-li, non ebbe modo di conoscere la sta-gione liberale. Non ebbe modo neppuredi partecipare a quel difficile progressi-vo processo di integrazione nello Statoche culminò con il contributo che i cat-tolici diedero alla patria in occasionedella Grande guerra e che pose le fon-damenta per la successiva conciliazio-ne tra lo Stato e la Chiesa.

Partecipe di quella grande esperien-za che fu la Federazione universitariacattolica italiana (FUCI) tra le due guer-re (lui presidente, Giulio Andreotti vicepresidente e monsignor Giovan Battista

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Montini assistente spirituale), AldoMoro si formò in un periodo caratteriz-zato da una profonda crisi del liberali-smo e da una sorta di pregiudizialeantistatuale che trovava origine neldifficile rapporto tra i cattolici e lavicenda dello Stato unitario e venivarafforzata dalla necessità di assumereuna divisa esclusivamente culturale checonsentisse a quei giovani cattolici dinon opporsi apertamente ma nemmenodi compromettersi con il regime fasci-sta. Nonostante le evoluzioni e le modi-ficazioni, questo patrimonio non sareb-be mai stato del tutto contraddetto.Esso incubò una diffidenza di lungoperiodo nei confronti della statualitàche emerge, ad esempio, dai rendicontidella prima Sottocommissionedell’Assemblea costituente, laddove,con Lelio Basso, La Pira, Togliatti,Dossetti, si trovò a prospettare unademocrazia che si avviasse verso formeorganiche per le quali i partiti avrebbe-ro dovuto ricoprire un ruolo addiritturasovraordinato rispetto a quello delleistituzioni dello Stato. Questa radiceoriginaria ebbe però anche una coniu-gazione schiettamente liberale, che inun tempo di ideologie forti ed oppri-menti portava a non perdere di vista ilprimato delle persone e i limiti dellapolitica. Scriveva Moro sulla rivista«Studium» nel luglio del 1945: «Vi sono

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nella esperienza cristiana motivi diquesto senso schiettamente liberali,perché cristiana è l’ansia dell’essenzia-le, cristiano il rispetto religioso pertutte le espressioni della vita, guardatecome manifestazioni irrinunciabilidella persona, anche se vengono natu-ralmente conferite alla vita sociale. (...)Bisogna che la politica si fermi intempo, per non guastare queste cose:bisogna che essa, riconoscendo i suoilimiti, lasci all’uomo il possesso esclu-sivo di questo suo mondo migliore,intimo ed originale. Essa è soltanto unostrumento di questa rivelazione ed ènel suo essere subordinata e pronta aservire la totalità complessa e misterio-sa della vita la sua innegabile grandez-za».

Da queste opposte tensioni, signorPresidente, nasce la controversia per-manente della problematica politica diAldo Moro. Per lui lo Stato non potevaessere né dato a priori e né tantomenopoteva essere una imposizione.

Era un problema aperto; bisognavaricondurre ad esso tutta la linfa vitaledella società, assicurando, sono paroledi Moro, «la piena immissione dellemasse nella vita dello Stato: tutte pre-senti nell’esercizio del potere, tutte pre-senti nella ricchezza della vita sociale».

Questo programma, tradotto in ter-mini costituzionali, nell’Italia dell’im-

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mediato dopoguerra significava assicu-rare un sistema politico ad ampia legit-timazione che riuscisse a superare lapeculiarità di un Paese che ospitava ilpartito comunista più forte dell’Europaoccidentale e una destra che il passatofascista allora troppo recente, da solo,già bastava a delegittimare.

Aldo Moro aveva ben presenti que-ste difficoltà. E allo stesso modo com-prese che il 1953 avrebbe costituito unasvolta in grado di condizionare la poli-tica italiana per decenni e decenni. Sulpiano interno, difese strenuamente lariforma elettorale di quell’anno, con lachiara intuizione che essa avrebbepotuto non solo rafforzare la maggio-ranza del tempo, ma anche accelerarela fine di quel blocco in grado di con-dizionare il sistema che derivava dalleparticolari condizioni geopolitichenelle quali si trovava il nostro Paese.Moro difese allora quella legge conparole che oggi suonano incredibil-mente attuali: «La democrazia non èsoltanto il regime della maggioranza,ma è il regime del rapporto necessario,della garanzia permanente di esistenzae di funzionalità, ciascuna nel proprioambito, di una maggioranza e di unaminoranza. (...) Bisogna, nell’ambito diun reggimento democratico, che lamaggioranza possa orientare, dirigere,prendere iniziative e decisioni, e che la

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minoranza possa con forza e sicurezzaoperare secondo la sua funzione dicontrollo, proporre delle alternative,permettere eventuali mutamenti nel-l’orientamento del Paese».

Quella legge, come è noto, nonesplicò i suoi effetti. Si affermò cosìun’idea di democrazia assolutamentedifferente, che avrebbe prevalso inItalia fino alla fine degli anni Settanta,fino alla morte di Aldo Moro. E questarealtà si coniugò con una nuova fasedella guerra fredda, che dopo la mortedi Stalin rendeva certamente menoprobabile una soluzione armata, mache d’altra parte, già dopo la rotturaintervenuta tra Tito e Stalin, poneval’Italia in un quadro geopolitico che nerichiedeva l’endemica debolezza.

In tale contesto, dunque, da allorain poi Moro avrebbe dovuto sviluppareil suo programma di allargamento dellebasi statuali, sfruttando le opportunitàstoriche e le contingenze internaziona-li senza per questo transigere sulladifesa di una specificità politica e cul-turale che si rifaceva al patrimonio delcristianesimo politico italiano.

In quest’ottica va letta la sua aper-tura al centrosinistra. Si trattò di unascelta riluttante, di paziente ricerca dipunti di convergenza riformistici, chenulla davano per scontato a priori.Moro non esercitò mai una mera devo-

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luzione di potere verso la sinistra; né ilsuo centrosinistra può essere descrittocome una tappa di quella ricerca diequilibri più avanzati, che pure nel par-tito cattolico trovò i suoi adepti. E solodi fronte alle crescenti tensioni cui fusottoposto il sistema, in presenza diuna fase di distensione internazionaleche per un attimo parve destinata adurare, egli spostò la sua attenzioneverso i comunisti. Non si trattò – nem-meno allora – di un’ulteriore apertura asinistra, bensì di un nuovo tentativo diincludere quelle masse e quelle energiesenza le quali tra società e Stato sisarebbe aperto uno iato ai suoi occhitroppo ampio. Moro era ben consape-vole delle differenze sul terreno inter-nazionale, su quello programmatico edella cultura politica: la sua terza fasealtro non era che il tentativo contin-gente di costruire un minimo di tessutoconnettivo, per poi tornare a dividerci;non fu mai un’abdicazione nei con-fronti del suo patrimonio originario,tanto meno nei confronti del suo parti-to.

Valgano, a tal proposito, le paroleche pronunziò in difesa della DC il 9marzo 1977, quando in Italia vi era chiquel partito avrebbe voluto processaresulle piazze: «Difendiamo uniti laDemocrazia cristiana (...). Quello chenon accettiamo che la nostra esperien-

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za complessiva sia bollata con un mar-chio di infamia in questa sorta di catti-vo seguito di una campagna elettoraleesasperata (...). A chiunque voglia tra-volgere globalmente la nostra esperien-za, a chiunque voglia fare un processo,morale e politico, da celebrare, come siè detto cinicamente, nelle piazze, noirispondiamo con la più ferma reazionee con l’appello all’opinione pubblicache non ha riconosciuto in noi unacolpa storica e non ha voluto che lanostra forza fosse diminuita (...).Abbiamo certo commesso anche deglierrori politici (...). Ma come frutto delnostro, come si dice, regime, c’è la piùalta e la più ampia esperienza di liber-tà che l’Italia abbia mai vissuto nellasua storia; un’esperienza di libertàcapace di comprendere e valorizzare,sempre che non si ricorra alla violenza,qualsiasi fermento critico, qualsiasivitale ragione di contestazione, i qualipossano fare nuova e vera la società».

Sia prova di tutto ciò il fatto chequando il 16 marzo Moro fu rapito,prima di recarsi alla Camera dei depu-tati per il dibattito sulla fiducia alprimo Governo che avrebbe dischiusole porte della maggioranza al PCI, iproblemi che riguardavano la composi-zione di quell’Esecutivo erano tutt’altroche risolti (e chi conosce le carte degliarchivi del PCI lo sa bene), proprio per

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la caparbietà con cui Aldo Moro avreb-be voluto difendere princìpi e uomini.Solo questo retroterra consente di leg-gere il comportamento di Moro neigiorni tragici della sua prigionia e didecifrare le sue lettere, che indusseroun interprete d’eccezione comeLeonardo Sciascia ad affermare cheMoro, più che un grande statista, fu ungrande democristiano. Si può conveni-re, aggiungendo però che egli avevaben chiaro che la DC – lo lasci dire ame, signor Presidente, che democristia-no non sono mai stato – rappresentas-se in vigenza di guerra fredda la garan-zia per la costruzione di uno Statoinclusivo, garante di libertà ed effetti-vamente moderno.

Per l’imprevedibilità della storia, ilsuo programma si accelerò solo dopo lasua scomparsa e, dopo la caduta delMuro, è divenuto il problema del siste-ma politico italiano. Una transizionedurata 14 anni attesta quanto fosseforte e resistente, seppur in un quadrostorico modificato dalla fine del comu-nismo, il residuo di quella storia cheMoro cercò di ammaestrare.

Al dunque, la coincidenza tra Statoe società, la legittimazione reciprocatra le forze politiche, la trasformazionedei nemici in avversari è avvenutaattraverso un assestamento del sistemapolitico – come si può dire – dalla parte

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del centrodestra, anziché sulla sinistracome Aldo Moro avevo previsto. Lo sideve alla capacità degli uomini, maanche al cambiamento dei tempi, altramonto di un secolo segnato in pro-fondità dal comunismo internazionalee dalle sue ricadute nazionali. Moronon poteva neppure immaginare unsimile scenario nel momento in cui lasua vicenda terrena si concludeva nelpieno di una recrudescenza dellaGuerra fredda.

Il suo patrimonio politico e cultura-le appartiene a tutti, e non può essereletto disgiunto dal tempo storico nelquale si è sviluppato.

Quel che però ci sentiamo di affer-mare è che il risultato finale di questalunga stagione, che questo nuovoParlamento attesta con la sua nuovacomposizione e un nuovo rapporto tramaggioranza e opposizione, non glisarebbe spiaciuto. (Applausi daiGruppi PdL e PD e dei senatori De Tonie Fosson. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di interve-nire il ministro per l’attuazione del pro-gramma, onorevole Rotondi. Ne hafacoltà.

ROTONDI, ministro per l’attuazionedel programma. Signor Presidente delSenato, il Governo si associa al ricordo

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e al dolore. Vorrei sottolineare che laseduta si è aperta con un bellissimointervento del Presidente del Senato,che ha dato le corde al dibattito perchélui, come la gran parte di noi, non haconosciuto il presidente Moro e quindiquesto ricordo non è accompagnato(purtroppo per noi) dalle vene dinostalgia e di rimpianto umano cheabbiamo colto nei grandi della DC cheancora siedono in quest’Aula, daAndreotti, a Colombo, a Marini e allostesso Marco Follini, giovane mamemore di un rapporto personale con ilpresidente Moro.

SANTINI (PdL). Pisanu!

ROTONDI, ministro per l’attuazionedel programma. Decido io quando cita-re Pisanu.

Credo sia importante che ricordia-mo Moro fuori e a sufficiente distanzatemporale da quell’evento drammatico,perché oggi non c’è solo la commemo-razione di uno statista, di un grandeuomo politico, ma anche di un eventoche lascia grandi e intatti tutti gli inter-rogativi su cui pure l’Italia ed il mondosi sono affannati per trent’anni.

Cito ora Pisanu, perché ha dettodelle cose bellissime sull’approcciometodologico di Aldo Moro alla letturadella società e a una sua attenzione

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non già ad una generica questionefemminile, ma ad un modo femminiledi concepire la politica che abbiamotrovato anche negli interventi dellesenatrici Finocchiaro e Mauro, chehanno voluto aprire il ricordo conun’istantanea di quello che stavanofacendo nel momento in cui, quel 16marzo, arrivò la notizia del rapimentodi Moro; ho notato in questi anni –abbiamo ormai assistito a molti ricordidi quel giorno – che sono tanti i ragaz-zi di allora, della nostra generazioneche vanno a quel giorno col ricordo diquanto stavano facendo. Questo avvie-ne perché quella data è un punto fermonon solo della storia d’Italia, ma dellanostra vita. C’è un prima ed un dopo il16 marzo del 1978 che è così chiaro intutti noi che ciascuno di noi è in gradodi ricordare quel che stava facendo inquel momento.

Ed è quindi importante che tren-t’anni dopo, in un’Aula in cui AldoMoro non ha seduto perché non è statosenatore, (sicuramente lo sarebbe stato,nel segno di un riconoscimento chepossiamo immaginare sarebbe avvenu-to se la furia omicida del terrorismonon avesse interrotto il suo camminoistituzionale) ci soffermiamo a parlaredi lui con un distacco emotivo chenasce dal non averlo conosciuto. Diròdi più: i ragazzi democristiani che

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hanno parlato, da Follini a Pistorio aD’Alia e, per ultimo, il rappresentantedel Governo, non hanno conosciuto mahanno fortemente percepito Moro, per-ché Aldo Moro è stato la Democraziacristiana più di ogni altro leader, nongià per l’epilogo della sua vita ma per-ché il modo in cui egli stava nellaDemocrazia cristiana faceva scrivere adun giornalista ostile alla DC che neicongressi la sua piccola corrente diven-tava tutta la Democrazia cristiana, unamagia propria solo dei grandi.

Mi sia permessa una annotazioneche si inserisce in un dibattito in cui siscorgono dialettiche interessanti, pensoal pendant tra il discorso del presiden-te Pisanu e del senatore Zanda. Trovoche, a 30 anni di distanza, sul pensierodi Moro sia tempo di svolgere delleriflessioni meno condizionate daldibattito di 30 anni dopo. E’ difficilericondurre Aldo Moro alle categoriepolitiche e a quanto è avvenuto dopo, aquanto avviene oggi. Il senatore Zandadice che potrebbe essere, se ben inter-preto il suo pensiero, un riferimento perl’esperienza politica nella quale egli èautorevolmente e apprezzabilmenteimpegnato. Io credo che Aldo Moro siamolto di più e apprezzo fortemente cheuna persona come il presidente Pisanu,che ha vissuto sulla sua emotività latragedia di Moro, ci abbia oggi voluto

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consegnare un ricordo non condiziona-to dalle emozioni, ma uno sforzo dirappresentare il pensiero di Moro fuoridal luogo comune e direi anche dallaretorica che lo ha accompagnato.Senatore Pisanu, faccio una piccolaautocritica personale: io, nellaDemocrazia cristiana, non ero tra i fau-tori della politica di Aldo Moro.Appartenevo ad una piccola compo-nente che combatteva la politica disolidarietà nazionale ed ero a fianco alleader dei cosiddetti peones, quei depu-tati che allora contrastavano l’accordotra la Democrazia cristiana e il Partitocomunista, perché avevamo financhenoi che vivevamo in quel partito l’ideadi un Moro che volesse creare un inciu-cio, diremmo oggi con una parolarubata al napoletano ma tradotta inmodo inesatto, perché inciucio innapoletano significa pettegolezzo,mentre la nostra mancanza di applica-zione alla traduzione ci fa ritenere chesignifichi pasticcio, accordo sottoban-co. Dunque, avevamo l’idea che Moropilotasse un accordo tra i due grandinemici per addormentare una democra-zia che era, viceversa, molto lontana daquella che oggi chiameremmo la demo-crazia dell’alternanza. Leggendo oggi idiscorsi di Moro, bisogna che alcuni dinoi facciano autocritica, a condizioneperò che, trasportandoli alle cronache

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di oggi, non si ceda alla tentazione dileggerli nell’ottica della secondaRepubblica e del 2008. Moro non era ilteorico di un accordo di potere, eraquello che avete detto tutti nei vostriinterventi e che il presidente Pisanu hasottolineato con più forza: era il teori-co di una stagione diversa della demo-crazia italiana, di un accordo di siste-ma, diremmo oggi, che preparasseun’alternanza di governo. Non so dire,come molti di voi che se lo sonodomandato, se il presagio, l’auspicio,l’anticipo di uno scenario politico siacostato la vita a Moro e alla sua scorta:è una domanda cui non sappiamo enon possiamo rispondere, ma il sensodel presagio è forte in tutta la vicendaumana e politica di Moro, se la rileg-giamo come posteri umili e applicatialla lettura dei suoi scritti.

C’è persino uno squarcio interes-sante – questo sì, per le cronache dioggi – su quello che chiamiamo il feno-meno del Nord-Est, la cosiddetta que-stione settentrionale. Pensate, un uomodel profondo Sud come Moro, un uomodi Bari, un uomo che non ha mairinunciato nemmeno nell’inflessione aquesto senso delle radici, ben prima chesi affermasse la questione settentriona-le e si riflettesse sul fenomeno delNord-Est, chiudeva la campagna eletto-rale del 1968 con un discorso in Veneto

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in cui anticipava il futuro miracolo delNord-Est. E lo annunziava non solocome un impegno del Governo o comeun auspicio, ma come una lettura di ciòche avveniva in quelle terre, afferman-do che il Veneto avrebbe conosciutouna ciminiera – sono parole sue – perogni campanile, cioè un’industria perogni Paese. Era un auspicio al ribassodal momento che poi abbiamo cono-sciuto un Veneto e un Nord-Est conuna ciminiera per ogni camino, cioèun’industria accanto ad ogni abitazio-ne. E tutto questo non possiamo agio-graficamente dire che sia avvenuto peril lavoro di Aldo Moro e per i governidella sua parte politica, ma nemmenoche sia avvenuto nonostante o contro.

Quindi, sono tanti i meriti di Moroche dobbiamo e possiamo riscoprire.

Sono tante le riflessioni che posso-no accompagnare un nostro impegno,che continuerà di sicuro oltre questaimportante giornata. E’ importante per-ché ci siamo ritrovati tutti in questamemoria condivisa ed è importanteperché abbiamo ricordato un grandedella storia della Repubblica che hasaputo anticipare profondamente ifenomeni, le tendenze e le svolte poli-tiche che poi si sono verificate.

Vorrei concludere il mio interventocon il ricordo di un’espressione citatadai «morologi», come erano definiti

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dalla stampa i traduttori di Moro, cui siimputava un linguaggio che oggidiremmo non propriamente comunica-tivo. L’espressione tipica faceva riferi-mento alla «cittadella democratica», chenon si sapeva bene cosa volesse dire,ma dopo aver ascoltato i discorsi dioggi ci resta il dubbio che la sua evo-cazione, che è una città assediata, noncontenesse anch’essa un presagio, unasorta di emozione e di sensazione neldescrivere una democrazia sotto asse-dio, un assedio che avrebbe avuto pre-sto un grande sconfitto: Aldo Moro.(Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. La ringrazio, ministroRotondi. Questa Presidenza sente ildovere di ringraziare tutti gli oratoriintervenuti nel dibattito per la luciditàe la profondità delle analisi politiche.Nello stesso tempo la Presidenza ritieneche la commemorazione di oggi inAula, avvenuta anche grazie alla con-divisione unanime dei Capigruppo aiquali pongo un sentito ringraziamento,possa essere di buon auspicio affinchéquesta legislatura possa iniziare all’in-segna delle parole e del pensiero diAldo Moro.

Auguro fortemente che la volontàdi tante forze politiche di dare vita aduna legislatura di confronto, un con-fronto costruttivo e non pregiudiziale o

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ideologico, possa dare i suoi frutti e chequesto momento di dibattito possarealmente arricchire la coscienza ditutti noi, nella consapevolezza che ilPaese ci osserva e desidera che questoParlamento da un lato realizzi quelleriforme condivise da tanto tempo dallastragrande maggioranza dei cittadini edall’altro si confronti sulle scelte politi-che di maggioranza e opposizione inun clima più sereno e di reciprocalegittimazione delle parti. Vi ringrazio.

APPENDICE

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Senato della Repubblica VII Legislatura266a SEDUTA (pomerid.) ASSEMBLEA - RESOCONTO STENOGRAFICO 10 MAGGIO 1978

Palazzo Madama, 10 maggio 1978: Commemorazione dell’onorevole Aldo Moro 1978

SENATO DELLA REPUBBLICAVII LEGISLATURA

266a SEDUTA PUBBLICARESOCONTO STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 10 MAGGIO 1978(Pomeridiana)

Presidenza del presidente FANFANI,indi del vice presidente ROMAGNOLI CARETTONI Tullia

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Senato della Repubblica VII Legislatura266a SEDUTA (pomerid.) ASSEMBLEA - RESOCONTO STENOGRAFICO 10 MAGGIO 1978

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(...) Commemorazionedell'onorevole Aldo Moro

PRESIDENTE. (Si leva inpiedi e con lui tuttal'Assemblea). Onorevoli col-leghi, la vastità dell'intensocordoglio manifestatosi inItalia e in altri paesi misurapuntualmente la generaleesecrazione per la morte vio-lenta di Aldo Moro; e provala fermezza della condannaper gli sciagurati che l'hannovoluta e prodotta.

Il 16 marzo, in quest’Aularendemmo insieme onore aicarabinieri ed agli agentiuccisi mentre adempivano alloro dovere. E manifestammola « nostra totale, amichevo-le, affettuosa solidarietàall'onorevole Aldo Moro »,rapito in quella tragica con-tingenza. Gli rivolgemmo,anzi, « l'augurio che egli pre-sto, nuovamente libero »

potesse « tornare a dare allasua cara famiglia paternecure, al partito della DC l'au-torevole consiglio... alParlamento la collaborazioneche lo aveva reso benemeritoprotagonista di importantidecisioni, all'Italia i servizinei quali si era sempre esem-plarmente distinto ».

Quando fu preannunciataper Aldo Moro la condanna -iniqua sotto ogni profilo - nelconfermare « rispetto dellaCostituzione e delle leggi »,esprimemmo, in quest’Aula,in quell'estremo momento,l'ardita speranza che « uomi-ni saggi potessero averetempo e modo di prospettareappropriati consigli a quantisi erano attribuiti il potere didecidere della vita di unuomo ».

Oggi, a condanna eseguita,secondo una nobile tradizio-ne del Senato dovremmo

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commemorare tanto illustrecittadino.

Ieri sera con ferma cordiali-tà Eleonora Moro mi illustra-va l'invito a tutti rivolto dicontenere al massimo pubbli-che manifestazioni di lutto ecommemorazioni. La costrut-tiva finalità di esso non portaad interrompere la nostra tra-dizione, ma consiglia di con-tinuarla con estrema conci-sione.

Questa parziale rinunziavuole essere un'altra prova disolidarietà con la famigliache in queste ore, piangente,riaccoglie Aldo Moro.

Del resto la rinunzia è resomeno penosa dalla consape-volezza che le date della suavita ed i momenti salientidella sua opera sono noti adogni senatore.

Molti certamente ricordano- in particolare i più anziani- che in giorni particolar-

mente significativi in questaAula più volte risuonò lavoce del Presidente delConsiglio Aldo Moro, cheesponeva i propositi formula-ti per affrontare nelle diversecontingenze i più pressantiproblemi della società italia-na.

Quei discorsi offrono alcunipassi. Mi accingo a leggerli.Così Aldo Moro stesso ciricorderà i problemi tuttorameritevoli di attenzione.

E ci indicherà direttive utilia proseguire con maggioreefficacia l'impegno irrinun-ziabile per difendere e svilup-pare la nostra società demo-cratica, garantendo in essa lavita, il benessere e la libertàdi ogni cittadino.

Presentando il suo quartogoverno, il 5 dicembre 1974Moro notava: « C'è una spro-porzione, una disarmonia,una incoerenza tra società

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civile, ricca di moltepliciespressioni ed articolazioni, esocietà politica, tra l'insiemedelle esigenze... ed il sistemaapprestato per farvi fronte esoddisfarle. Le aspirazioni deicittadini emergono e si affer-mano più velocemente che ilformarsi delle risorse econo-miche ed il perfezionarsidegli strumenti legislativi.Antiche ingiustizie non sonostate ancora riparate. Non èsolo debole ed intermittentela nostra economia, ma èdiscontinua, nel suo stessoimpetuoso fiorire, la vitasociale; stanca la vita politi-ca, sintesi inadeguata e tal-volta persino impotente del-l’insieme economico-socialedel paese. L'incertezza, laconfusione, il disordine,l'inerzia, benchè abbiano cia-scuno la propria spiegazionee la propria giustificazione,danno nell'insieme il senso diuna generale impotenza areggere all'urto delle cose

troppo difficili o sproporzio-nate ed a rintuzzarlo effica-cemente ».

E nella replica di quelladiscussione concludeva:

« Bisogna darsi da fare percolmare il fossato che cisepara; prima che diventi unincolmabile abisso ».

Il 19 febbraio 1976, presen-tando il suo quinto governo,in quest’Aula Aldo Moroavvertiva: « Dalla rovina nonci si salva senza una azionepositiva, senza un autenticorilancio. Non si tratta dunquedi sopravvivere pigramente,ma di proporci tutti insiemedegli obiettivi ambiziosi ecapaci di determinare unasvolta nella politica naziona-le. Non sempre bene indiriz-zate, non sempre bene valo-rizzate esistono in Italia stra-ordinarie riserve di energieintellettuali e morali... Ilcompito del Paese è di pren-dere sempre meglio coscienzadi sè e di svilupparsi secondo

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le sue spinte profonde ».Di questa opera risanatrice

e salvifica Moro ritenne stru-menti necessari le istituzionidemocratiche ed i partiti.

Il 3 marzo 1966, in occa-sione della presentazione delsuo terzo governo, ilPresidente Moro diceva: « Leistituzioni democratiche sonoun valore a sè stante, un benesupremo; in esse, ed in essesoltanto, può farsi valereogni aspirazione viva nellacoscienza del popolo ».

Il 30 luglio 1964, esponen-do al Senato il programmadel suo secondo governo,aveva detto: « L'opportunità,anzi la necessità di secondareordinatamente, con l'attivapresenza dei partiti democra-tici e popolari, il vasto moto,che è in Italia e nel mondo, dielevazione sociale e di risve-glio della coscienza popolare... è un grande problema che

non può essere ignorato. Sitratta di dare ad esso soluzio-ne nell'ordine e nella pacesociale, senza rischio per lalibertà ».

Naturalmente, aveva giàdetto il 12 dicembre 1963, «nè partiti nè persone possonoscegliere il tempo più adattoper la loro azione. Essi devo-no rispondere nel momentoin cui sono chiamati, commi-surando l'impegno alle diffi-coltà da affrontare, senzaalcuna distrazione e comodi-tà. Solo è giusto conoscere ledifficoltà e farle conoscere. Ègiusto, non ritraendosi dalcompito, dire con tutta chia-rezza quali ostacoli siano sulcammino e che cosa si possae debba fare per superarli.S'intende, da parte di tutti,facendo ciascuno il propriodovere ».

E concludeva: « Vi è postocerto per diversità di valuta-

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zioni e posizioni particolari.Ma la sorte è comune pertutti gli italiani ed occorreinfine una unitaria e respon-sabile decisione, perchè siaraggiunto davvero il benecomune ».

Condividendo l'allarme perla violenza diventata ormaisempre più intensa, il 2dicembre 1974, presentandoil suo quarto governo, ilPresidente Moro esortava ad« opporre ancora una volta lapiù forte, e vittoriosa, resi-stenza ad ogni tentativo direintrodurre la logica assurdae inumana della violenza ».

E ricordava che « per quan-ta efficacia possa esplicare ilterribile gioco della violenza,per quanto ne risultino com-promessa la sicurezza civile eminate le basi della convi-venza, sia ben chiaro che nonci lasceremo sopraffare e chenon sarà consentito ad un'in-

fima minoranza di deviare ilcorso della storia e di annul-lare con l'intimidazione edaddirittura l'uso della forza ilprocesso di riscatto civile, dielevazione sociale e di pacifi-ca ed utile dialettica demo-cratica; un processo instaura-tosi in forza della maturazio-ne del paese e destinato, per-ciò, a continuare e ad arric-chirsi ancora. Non sottovalu-tiamo la gravità della minac-cia nè il fatto, di per sè signi-ficativo, che nessuna, perquanto approfondita, indagi-ne sia riuscita ad inchiodareancora alle loro responsabili-tà gli autori, misteriosi edignoti, dei più efferati crimi-ni che la storia dell’Italiamoderna sia chiamata a regi-strare ».

Un’ultima eco delle sueparole intendo qui ricordare.Commemorando in questaAula, il 12 dicembre 1963, la

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morte tragica di JohnKennedy, Aldo Moro di luidisse: « Un grande uomo,grande di grandezza moraleprima che politica, è scom-parso, lasciando nel mondo enel suo popolo un vuoto chesarà difficile colmare ».

Queste parole dette daMoro quindici anni fa, si pos-sono oggi ripetere in questastessa Aula, riferendole a luistesso.

In tanto cordoglio, per AldoMoro, dopo una operosa vitaed una lunga agonia, chie-diamo a Dio il premio eterno.Per conforto della sua sposa edei figli, chiediamo dolcericordo di momenti felici. Pernoi tutti, e con particolaresolidarietà per i suoi amicidella Democrazia cristiana,chiediamo vigore per agire inmodo da rendere fertile il suogrande sacrificio.

ANDREOTTI, presidente delConsiglio dei ministri.Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facol-tà.

* ANDREOTTI, presidentedel Consiglio dei ministri.Onorevoli senatori, assolvocon profonda commozione aldoloroso compito di unirealla parola del Presidente cheha ora interpretato il senti-mento del Senato quella cheesprima l'accorato omaggiodel Governo alla memoria diAldo Moro.

Soprattutto in Parlamentol'onorevole Moro ha dato allanostra Repubblica, in trenta-due anni di un servizio poli-tico eccezionalmente impe-gnato, un apporto impareg-giabile di volontà e di cultu-ra. L'attonito stupore chedopo il 16 marzo si è levato

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nel mondo intero con cre-scente intensità sorgevaanche dalla esatta convinzio-ne che non rispondanoall'immagine dell'Italia e delsuo popolo queste pagineabominevoli di sopraffazionee di sangue.

L'eccidio di quella tragicamattina, operato con freddaferocia e nella viltà dell’ag-guato, ha dato purtroppo ilsegnale iniziale di una crude-le determinazione che ha poitrovato il sigillo definitivonel sesto assassinio. Ogniresidua speranza si è spentaieri, dopo cinquanta e piùgiorni di alterno assillo e didelusioni ogni volta piùcocenti e dopo l'inutile reite-rata proposizione di unassurdo ricatto, tendente aminare alle radici l'ordina-mento democratico ed ilrispetto del diritto, quei prin-cipi ai quali lo stesso Moro,

dal banco del deputato odalla cattedra del docente,aveva dedicato tutta la suapreparazione e le sue convin-zioni profonde. Ed è attraver-so quegli stessi fondamentaliprincipi che lo Stato, nei suoimeccanismi legislativi, offrepiena garanzia di sviluppocivile e di progresso sociale.

È questa la strada maestra,ancorata alla sovranità delsuffragio universale, lungo laquale si possono e si debbo-no avanzare e sostenere leproprie idee politiche.Sarebbe vano aver liberatol'Italia dalla ventennale dit-tatura ed averla salvaguarda-ta da ogni avventura antide-mocratica se dovesse ora pre-valere sulla dialettica deiconvincimenti e delle liberescelte la ferocia della sopraf-fazione e della violenza.

Se si è voluto stroncare losforzo di conciliazione e di

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sintesi che ha ispirato illungo e prestigioso magisterodell'onorevole Moro, va dettoche nessuno potrà mai riusci-re a distruggere i valoriumani di comprensione e diconcordia nella chiarezza. Lademocrazia può essere incri-nata nella cronaca, ma la sto-ria è e resta dalla sua parte.

Mi sia consentito ricordareche Aldo Moro, prima diabbracciare la vita politica, siformò in quelle associazioniuniversitarie cattoliche dove- non pensavamo, in verità,che un giorno ciò sarebbedivenuto terribilmente attua-le - ci si insegnava che nonbisogna avere paura di colo-ro i quali al massimo posso-no toglierci la vita terrena.

Sia rafforzata questa fermadedizione alla Repubblicadalla incredibile morte diAldo Moro e valga a sconfig-gere senza appello quanti

uccidendo hanno creduto dipoter sovvertire quello che ilnostro popolo nel lavoro enella sofferenza sta con tena-ce e silenziosa fede costruen-do per le nuove generazioni.

PRESIDENTE. Onorevolicolleghi, la seduta è sospesaper mezz'ora in segno dilutto. (...).

STAMPA:Tipografia Print Company S.r.l.

Via T. Edison, 20 - Monterotondo Scalo (RM)www.printcompany.it

Commemorazione nell’Aula del SenatoPalazzo Madama, 28 maggio 2008

Aldo Moro1916-1978

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