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COLPA MEDICA E ONERE DELLA PROVA, VERSO UNA RESPONSABILITA’ PARAOGGETTIVA? Cons. Giacomo Travaglino
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COLPA MEDICA E ONERE DELLA PROVA,VERSO UNA RESPONSABILITA’ PARAOGGETTIVA?
Cons. Giacomo Travaglino*
1 – Introduzione: profili attuali della Responsabilità Civile
Parlando del declino dei vizi classici della volontà e del sempre maggior
interesse per la rappresentanza, Giorgio De Nova ha ipotizzato che, agli istituti
giuridici, possa assegnarsi una sorta di quotazione, suscettibile di variazioni
anche considerevoli nel corso del tempo. Se così fosse, nei listini della “borsa del
diritto” il titolo “responsabilità del medico” si segnalerebbe in forte e costante
rialzo (dal punto di vista del paziente), attesa l’epoca storica che teorizza il
fondamentale valore etico del principio di responsabilità, tale da trascendere
ormai la sfera del singolo soggetto per investire la collettività (o la moltitudine,
secondo una moderna accezione dell’insieme degli individui visti ormai non più
come popolo in un territorio, ma come entità globale e globalizzata).
Da almeno un trentennio si registra, difatti, in Italia una notevole accentuazione
dei giudizi di responsabilità professionale, segnatamente in campo medico, sia
sotto il profilo quantitativo dei processi civili e penali, sia sotto quello qualitativo
delle tecniche giuridiche attraverso le quali pervenire ad un’equa distribuzione dei
rischi comunque e sempre collegati a tale attività, tendenza, questa, peraltro,
comune a tutti i paesi tanto di common law quanto di civil law.1 Tale
accentuazione segue, non a caso, la parallela evoluzione delle strutture e della
natura stessa della responsabilità civile che, strutturata, all’epoca della
* Giudice presso la III sezione civile della Corte Suprema di Cassazione 1 De Matteis, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenza giurisprudenziali, in Contr. e impresa 1990.
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codificazione del 1942, secondo un criterio di Generalklauseln, immaginate come
funzionali alla tutela dei (soli) diritti soggettivi assoluti, viene via via “ripensata”,
secondo una storia (soprattutto intellettuale) sempre più raffinata,2 come un
problema di diritto vivente, da rielaborare incessantemente modellandolo sulle
esigenze delle singole istanze sociali, in funzione della ricerca di criteri mediante i
quali un determinato “costo” debba venir collocato presso il danneggiato ovvero
traslato in capo ad altri soggetti (in ipotesi, anche non diretti danneggianti). Il
sistema della responsabilità civile diventa, così, un’opera di ingegneria sociale,
commissionata quasi interamente agli interpreti,3 il cui compito diviene, allora, lo
studio dei criteri di traslazione del danno. Ne deriva l’individuazione di
standard di condotta alla luce dei quali l'intera teoria della colpa, del nesso
causale e del danno, sotto il profilo tanto sostanziale quanto probatorio, ne esce,
in definitiva, profondamente mutata rispetto agli archetipi tradizionali, non senza
considerare come, ormai, l’attività medico-sanitaria non coinvolga più soltanto i
medici, ma anche tutto ciò che, con diversificate funzionalità (persone o cose),
concorra al completamento dell’iter diagnostico terapeutico del paziente
(infermieri, assistenti sanitari, ostetriche, tecnici di radiologia medica, tecnici di
riabilitazione, macchinari, farmaci, ecc.). Di qui, la necessità che il regime della
responsabilità assuma connotazioni unitarie, senza distinzione in ordine allo
status del soggetto responsabile (libero professionista, medico condotto, medico
provinciale, dipendente ASL, docente universitario): in una prima
approssimazione alla problematica della colpa medica, pare allora possibile una
(sia pur sommaria) individuazione delle seguenti fasi:
1) Primo contatto e fase dell’informazione4;
2 Così, tra gli altri, Schlesinger, Sacco, Trimarchi, Rodotà, Busnelli, Galgano. 3 Monateri, La responsabilità civile, UTET 1998 4 La cura nella raccolta delle prime informazioni andrà riservata non solo al controllo della loro esattezza e completezza, ma anche al controllo sulla loro segretezza: si registrano in giurisprudenza casi in cui il medico è stato ritenuto responsabile per aver rivelato circostanze inerenti allo stato di salute mentale del proprio paziente alla moglie e dia aver quindi contribuito (se non determinato) a provocare la separazione coniugale promossa dalla moglie sulla base delle pregresse condizioni di mente del marito. La raccolta dei dati mediante computer e utilizzati dalla struttura sanitaria andrebbe affidata ad istituti specializzati (le notizie di natura sanitaria essendo considerate “dati super sensibili), con il consenso dell’interessato e rivelate solo se richieste da altro
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2) Contatti successivi e fase della diagnostica;
3) Fase dell’intervento “acconsentito” dal paziente;
4) Fase della terapia con impiego di macchinari e medicinali;
5) Intereventi “estremi” per la vita (procreazione assistita) e la morte
(accanimento terapeutico, sperimentazione, eutanasia).
2 – La colpa
“Il giudizio di colpevolezza è un giudizio relazionale”5 che deve tener conto di
quanto i vari “tipi” di soggetti coinvolti hanno fatto o potevano fare per prevenire
o evitare un danno, in base ad un modello, necessariamente giudiziale, di
apprezzamento della loro condotta. Una definizione legislativa della colpa si
rinviene, difatti, soltanto nell’art. 43 comma terzo del codice penale (“il delitto è
colposo o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto
dall’agente, e si verifica a causa di negligenza, imprudenza imperizia,
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”).
La negligenza è comunemente definita come violazione di regole sociali (e non
più o non solo la disattenzione consistente nello scarso uso dei poteri attivi
dell’individuo);
L’imprudenza è la violazione delle modalità imposte dalle regole sociali per
l’espletamento di certe attività (e non più o non solo la mancata adozione delle
necessarie cautele suggerite dall’esperienza);
L’imperizia è la violazione di regole tecniche di settori determinati della vita di
relazione (e non più o non solo l’insufficiente attitudine all’esercizio di arti o
professioni - concetto in cui rientra anche la temerarietà professionale -).
Colpa soggettiva è la dimensione psicologica dell’agente riferita al suo
comportamento.
professionista (normalmente il medico di famiglia), mentre se ne impedisce la rivelazione allo stesso paziente se questi non sia in grado di affrontare la realtà: 5 Monateri, cit. p. 73.
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Colpa oggettiva è, viceversa, lo scarto (e la relativa valutazione) della condotta
rispetto ad un modello ideale di riferimento, la deviazione, cioè, da uno standard
di comportamento diligente, inteso come insieme di doveri che incombono su di
un soggetto, (criterio, peraltro, non univoco per l’imputazione del danno in un
sistema policentrico della responsabilità civile).
La graduazione della colpa ne postula un livello lievissimo, uno lieve ed uno
grave: in quest’ultima orbita si iscrivono le particolari fattispecie della colpa
cosciente e del dolo eventuale; scopo di tale graduazione è quello di valutare lo
scarto di comportamento rispetto al modello astratto di volta in volta richiesto ai
fini di un’affermazione di responsabilità, con particolare riferimento a quelle
fattispecie in cui la responsabilità stessa scatta (ormai solo apparentemente: sul
punto, amplius, infra) soltanto in presenza della colpa grave (art. 2236).
La concezione unitaria della colpa, civile e penale, prescelto ormai dagli
interpreti in via quasi esclusiva il criterio della colpa oggettiva, si avvia
inevitabilmente al tramonto: nel sistema civile si affermano decisamente modelli
differenziali di valutazione della condotta, secondo le forme, oltre che della
responsabilità per colpa, della responsabilità oggettiva e della responsabilità
prima facie (quando, cioè, l’attore è tenuto a provare il solo danno ed il nesso
causale, mentre il convenuto può andare esente da responsabilità provando di
aver soddisfatto certe condizioni di prevenzione del danno). E la stessa
operazione di graduazione della colpa nell’ordinamento civile ne conferma
ulteriormente la disomogeneità rispetto al sistema penale: l’intensità di essa,
difatti, non può giammai fungere da discrimine tra responsabilità e non
responsabilità penale, limitandosi a determinare, per converso, la minore o
maggiore entità della pena6.
Sul piano probatorio, infine, regola generale del torto aquiliano è quella per
cui l’attore deve fornire la prova della colpa del convenuto, mercé dimostrazione
6 A soluzione opposta era invece pervenuta la giurisprudenza più risalente (CP 124/1968, secondo la quale anche sul piano penale la colpa del professionista-imputato non poteva che configurarsi come colpa grave: il principio venne capovolto a partire da CP 2734/1984 (in particolare, per la chiara affermazione del nuovo
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di specifiche omissioni o specifiche insufficienze della attività da questi prestata:
il principio è temperato dalla possibilità che il giudice utilizzi prove presuntive ed
indiziarie, essendo la colpa non un insieme di fatti, ma la qualificazione giuridica
di tale insieme (con le relative conseguenze in tema di sindacabilità delle
pronunce di merito da parte della Cassazione sulla predetta qualificazione
giuridica, intangibile essendo soltanto la ricostruzione dei fatti storici).7 In
concreto, il principio probatorio generale viene sostanzialmente capovolto tutte le
volte che il giudice faccia ricorso a quello (in realtà opposto) del “res ipsa
loquitur” (sul quale amplius infra)8. In tema di inadempimento contrattuale,
invece, normalmente spetta al debitore la prova dell’assenza di colpa
nell’inadempimento9 (dovendo il creditore provare, per converso, il solo fatto del
mancato adempimento), salvo, secondo la dottrina tradizionale, le fattispecie di
inadempimento delle obbligazioni “di mezzi”, con riferimento alle quali
spetterebbe (?), invece, al creditore provare anche la colpa del debitore.10
3 – Il nesso causale – cenni
Nulla emerge, in realtà, dalle fonti legislative, penali o civili, sulla causalità in sé
considerata (l’art. 40 cp fissa l’equivalenza fra il non fare ed il cagionare, l’art. 41
si occupa dell’interruzione del nesso causale, l’art. 2043 postula soltanto che il
fatto ingiusto sia “cagionato” dal fatto illecito). Così, dottrina e giurisprudenza
criterio di colpa “indifferenziata”, CC 4515/1987) 7 Stesso principio è affermato nell’ordinamento francese. 8 Il criterio nasce anticamente nella giurisprudenza di Common law, e fu adottato dal barone Pollock in un giudizio della Court of Exchequerer nel 1863, per essere ripreso in America nel 1906: da sempre si è discusso se, con essa, si sia introdotta una forma di responsabilità oggettiva (Monateri) ovvero abbia trasformato l’obbligazione medica di mezzi in obbligazione di risultato (Cattaneo). 9 Altre differenze tra contratto e torto aquiliano si rinvengono in tema di costituzione in mora, prescrizione, risarcibilità dei danni imprevedibili, imputabilità del fatto dannoso. 10 La distinzione, formulata per la prima volta in un progetto di codice civile tedesco, venne sviluppata poi dal Demogue ed accolta incondizionatamente in Francia. Anche in Italia, per effetto dello studio del Mengoni (Riv. Dir. Comm. 1954, 185 ss.), la distinzione si affermò, sia pur con qualche riserva, ma oggi, pur nella sua ripetizione tralaticia contenuta in quasi tutte le pronunce giurisprudenziali, può dirsi ampiamente superata proprio nel campo della responsabilità professionale, con l’introduzione delle categorie dell’obbligo di informazione e dell’obbligo di protezione (i Nebenpflichten e gli Schutszpflichten della giurisprudenza tedesca),
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hanno elaborato non meno di cinque teorie sulla causalità (conditio sine qua non;
causalità adeguata; prevedibilità dell’evento; scopo della norma violata; signoria
dell’uomo sul fatto), pur risultando la giurisprudenza prevalentemente attestata
sul principio secondo cui tutti gli antecedenti causali in mancanza dei quali non si
sarebbe verificato l’evento lesivo debbano considerarsi eziologicamente rilevanti,
abbiano essi agito in via diretta o soltanto mediata, salvo il temperamento
normativo della “causa prossima da sola sufficiente a produrre l’evento”. Non
mancano pronunce che, specie mercè il riferimento al concetto di giudizio
probabilistico ex ante, sposano, peraltro, la teoria della causalità adeguata,
aggiungendovi il consueto limite del caso fortuito (non avendo la giurisprudenza
civilistica accolta la distinzione penalistica tra fortuito e forza maggiore) inteso
come vis maior ovvero come mancanza di riprovevolezza del comportamento, ed
esteso, in sostanza, anche al fatto del terzo o della stessa vittima dell’illecito, a
condizione che l’autore dell’illecito stesso non avesse l’obbligo di impedirlo (in
questi sensi registrandosi, nella sostanza, un cospicuo avvicinamento alla teoria
della dogmatica tedesca della signoria del fatto). In realtà, quello del nesso
causale è un problema di politica del diritto, che deve di volta in volta individuare
i termini dei doveri di prevedibilità delle conseguenze dannose delle proprie azioni
in capo all’agente, secondo un principio guida che potrebbe essere formulato,
all’incirca, in termini di rispondenza, da parte dell’autore del fatto illecito, delle
conseguenze che normalmente discendono dal suo atto, a meno che non sia
intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la possibilità
di agire (cd. teoria della regolarità causale e del novus actus
interveniens): in altri termini il nesso causale diviene la misura del dovere posto
a carico dell’agente da ricostruirsi sulla base dello scopo della norma violata, del
dovere di avvedutezza comportamentale (o, se si vuole, di previsione e
prevenzione, attesa la funzione –anche- preventiva della responsabilità civile) che
si estende sino alla previsioni delle conseguenze a loro volta normalmente
mentre la ripartizione degli oneri della prova sono oggi tracciati dal dictum di Cass. ss.uu. 11533/2001.
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prevedibili in mancanza di tale avvedutezza.11 Particolarmente significativa, in
giurisprudenza, è apparsa la pronuncia di cui a Cass. 6.11.1990, che ha
affermato come, secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, un
antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo a patto che
esso rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione
regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica — la cosiddetta legge
generale di copertura — portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in
concreto.12 Un radicale revirement si è avuto, peraltro, con la sentenza
30328/2002 delle SSUU penali, che hanno riportato il nesso causale al concetto
di “alta probabilità logica”, ripreso recentemente, in sede civile, da Cass.
4400/2004.
4 – La colpa professionale – generalità
Principio generale della colpa professionale è quello secondo cui il
professionista deve esercitare una ragionevole diligenza adatta alla natura delle
operazioni intraprese, assicurando non un risultato comunque positivo, ma la
corrispondenza del proprio agire ad uno standard “normale” di abilità e
competenza professionale. E proprio la sostanziale omogeneità (e la
conseguente, quasi totale indifferenziazione) tra colpa professionale ex contractu
e colpa professionale ex delicto ha condotto la giurisprudenza lungo un cammino
che ha in pratica annientato la differenza tra i rispettivi danni risarcibili, lasciando
al solo istituto della prescrizione il compito di mantenere una attuale ed ancor
11 In tal senso, Monateri, cit. La natura anche sanzionatoria della responsabilità civile comporterebbe ancora, secondo alcuni autori, che, nell’ipotesi di comportamento doloso, il nesso di causalità vada valutato ed accertato secondo criteri più rigorosi rispetto alle ipotesi colposo, con la sola eccezione dell’evento /conseguenza eccezionale, sicché anche i danni derivanti da cause ignote vi resterebbero ricompresi, secondo la più rigorosa delle applicazioni del principio della conditio sine qua non. Sembra peraltro che, così ricostruito, il tessuto strutturale del nesso causale si avvicini, sovrapponendosene indebitamente, a quella di colpa oggettiva, essendo, per converso, i due elementi strutturali dell’illecito vicende ontologicamente diverse. 12 La vicenda processuale riguardava la frana in Val di Stava ed il conseguente accertamento delle relative responsabilità professionali.
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valida linea di demarcazione13. Anche sul terreno processuale, la sola
deduzione degli estremi soggettivi ed oggettivi della responsabilità è ritenuta del
tutto esaustivo ad indicare la causa petendi di entrambe le forme di
responsabilità (CC 6064/1994), sicché chi agisce non ha alcun onere di
specificare il titolo di responsabilità fatto valere (se, cioè, contrattuale o
extracontrattuale), salvo che il dibattito processuale non approdi a questioni in
tema di prescrizione, caso nel quale il giudice dovrà qualificare i fatti allegati nel
senso dell’applicazione del rispettivo regime temporale.
I criteri elaborati dalla giurisprudenza per definire l’attività professionale
sono, in positivo, quelli della non saltuarietà e della abitualità del relativo
esercizio, in negativo, quelli della non necessità dell’esercizio a scopo di lucro14
ovvero dell’iscrizione ad un albo professionale.
Principale conseguenza della qualificazione di un’attività come professionale è
(sarebbe!) l’applicazione del’art. 223615, norma secondo la quale, se la
prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il
prestatore d’opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave:16 si
13 Il processo evolutivo si inquadra nel più generale contesto della progressiva svalutazione della contrapposizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, attesa, da un canto, l’emersione di una concezione del rapporto obbligatorio come struttura complessa, entro il quale riconoscere, accanto al nucleo fondamentale costituito dall’obbligo di prestazione, obblighi accessori non specificamente contemplati (cd. doveri di protezione) che ampliano l’area di dominio della responsabilità ex contractu estendendola alla violazione di obblighi estranei alla prestazione principale; dall’altro, il superamento della storica equazione fra ingiustizia del danno e lesione di un diritto soggettivo assoluto, riconducendosi, per l’effetto, entro la previsione dell’art. 2043, ipotesi di danno come quello da lesione del credito o da interessi legittimi nelle quali l’interesse inciso o riveste natura contrattuale, o non ha per oggetto un diritto soggettivo. Tale avvicinamento, che non azzera del tutto le differenze, fornisce, tra l’altro, ulteriore conferma alla legittimità del concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. 14 Era questa la regola nella società gentilizia romana: la gratuità della prestazione professionale ne impediva, pertanto, la collocazione nell’ambito della responsabilità contrattuale, sicché il professionista poteva rispondere soltanto per colpa aquiliana. 15 La possibilità dell’applicazione analogica di tale norma, dettata in tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale, anche al campo della responsabilità aquiliana è stata affermata sin da CC ss.uu. 1282/1971, e recentemente ribadita da CC 11440/1997. 16 L’interpretazione giurisprudenziale precedente alla codificazione del 42 ammetteva, in genere, l’errore professionale solo in termini di evidente e grossolana incompetenza: “responsabile contrattualmente è il medico per grossolano errore professionale, attesa la maggiore o minore incertezza od imperfezione dell’arte” (Cass. 21 marzo 1941, Riv. dir. comm. 1941); “il medico non è in colpa a meno che non sia provato l’animo deliberato di malaffare” (Cass. Napoli 24.7.1871), anche se due decisioni della Cassazione, del 1931 e del 1936, riformarono sentenze di merito eccessivamente lassiste nei confronti della classe medica.
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vedrà in seguito, con particolare riferimento alla responsabilità medica, come la
portata della disposizione si sia pressoché del tutto dissolta nelle più recenti
interpretazioni delle Corti di merito e di quella di legittimità. Essa è, comunque,
considerata applicabile anche in campo extracontrattuale, prevedendo pur
sempre un limite di responsabilità per la prestazione dell’attività professionale in
genere.
Sotto il profilo soggettivo, infine, la responsabilità, oltre che nei confronti del
destinatario della prestazione, può sorgere anche nei confronti di terzi estranei (i
Bystanders della responsabilità da prodotto della giurisprudenza anglosassone)
che abbiano risentito un danno dallo svolgimento scorretto dell’attività
professionale.
5 - La responsabilità del medico
1) Generalità
Sotto la comune etichetta “responsabilità medica” (definito in dottrina come un
vero e proprio “sottosistema” della responsabilità civile) si ricomprendono
fattispecie sicuramente accomunate dalla natura dell’attività (prestazione
sanitaria) posta a base del danno risarcibile, ma differenziabili sotto il profilo
tanto soggettivo (il soggetto responsabile del risarcimento può essere tanto la
persona fisica autore dell’atto medico, tanto la struttura, pubblica o privata,
nell’ambito della quale la prestazione è stata svolta) quanto oggettivo (con
riferimento, cioè, al regime di responsabilità, contrattuale se la prestazione viene
resa nell’ambito dell’esercizio della libera professione, extracontrattuale – salvo
quanto si dirà inseguito a proposito della sentenza 589/1999 della SC - se la
prestazione è svolta dal medico nel contesto di una relazione di servizio come
dipendente di una struttura ospedaliera o universitaria, struttura che risponderà,
invece, a titolo contrattuale, come più innanzi si preciserà). In realtà, proprio nel
campo della responsabilità medica si dà sempre più vita ad un corpo unitario di
regole ed a un conseguente regime di responsabilità uniforme e transtipico che
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taglia orizzontalmente e supera i comparti classici della responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale.17 Il tentativo, che accomuna le esperienze
giuridiche anche di Paesi diversi, è, allora, sempre più quello della messa a
punto di tecniche che facilitino la prova della colpa e del nesso causale.18
2) La colpa medica
Superate le iniziali tendenze interpretative volte ad assicurare un’area di
sostanziale immunità ai liberi professionisti, di cui si è avvertita ancora l’eco in
pronunce neanche troppo risalenti (CC 2439/1975), la norma di cui all’art. 2236
è divenuta una sorta di cartina di tornasole del cambiamento (“rivoluzionario”,
secondo alcuni autori),19 che ha coinvolto (travolto?) la responsabilità del
sanitario, così che essa, specie a seguito dell’intervento del giudice delle leggi, è
divenuta null’altro che una norma di limitazione della responsabilità non
estensibile alla imprudenza o negligenza e circoscritta alla sola imperizia.20 Altra
parte della dottrina, spingendosi ancora oltre, afferma addirittura che essa non
prevede, in realtà, un criterio di responsabilità diverso da quello ex art. 1176
comma 2: una colpa, allora, non “grave”, bensì “circostanziata”.21
Particolarmente tranchant la pronuncia della Corte di legittimità 977/1991 (Osp.
SM degli Angeli/Chiandussi), secondo la quale la colpa del medico non deve
essere necessariamente grave, e normalmente in favore del soggetto leso si
applica il criterio della res ipsa loquitur. Si giunge, lungo questo sentiero
interpretativo, al principio secondo cui l’attenuazione di responsabilità ex art.
2236 non si applica a tutti gli atti del medico, ma solo ai casi di particolare
complessità o perché non ancora sperimentati o studiati a sufficienza, o
perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da
seguire (capostipite di tale tendenza, Cass. 6141/1978, Rainone/Osp. S.
17 Roppo La responsabilità civile dell’impresa in Contratto e impresa 1993. 18 Così negli Stati Uniti, dove tali tecniche sono attualmente in uso, in Francia, dove si fa ricorso al principio della Faute virtuelle, in Germania (con elaborazione del non dissimile principio della responsabilità prima facie), in Italia, dove si ricorre al principio res ipsa loquitur. 19 Monateri, cit. 20 Corte costituzionale 166/1973. 21 Cattaneo, Princigalli
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Gennaro, e, successivamente, 1441/1979, 8845/1995, Onesto/Min. difesa)
L’attenuazione di responsabilità è, peraltro, ulteriormente limitata dalla
richiesta, in capo al professionista, di una scrupolosa attenzione, pretendendosi
dallo specialista uno standard di diligenza superiore al normale: così, il
richiamo, ormai poco più che formale e declamatorio, al concetto di colpa grave
non vale come criterio di grossolana divergenza dalla diligenza media, ma come
scarto di diligenza esigibile da uno specialista (dal quale, appunto, pretendere
una preparazione ed un dispendio di attività superiore al normale: Cass.
4437/1982, Di Biagio/Cassa maritt. Meridion.); né si consente al non specialista il
trattamento di un caso altamente specialistico (Cass. 2428/1990, che ritenne
responsabile un ortopedico il quale, senza esperienza nel campo, affrontò un
intervento di alta chirurgia neoplastica, mentre App. Milano 30.6.1987 giudicherà
responsabile un medico ostetrico per non aver chiesto l’intervento di un pediatra
in caso di nascita di una bambina asfittica;)22. Nell’ambito degli atti ordinari
della professione, pertanto, il danneggiato deve provare soltanto il nesso
causale, e la facilità di esecuzione dell’intervento (intervento cd. routinario),
mentre la colpa, anche lieve, si presume sussistente ogni volta che venga
accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del paziente (Cass.
8470/1994, Arcuti/Pascarelli): la colpa medica arriva dunque, capovolgendo la
situazione originaria di protezione “speciale” del professionista, a sfiorare la
dimensione oggettiva della responsabilità (assumendone una forma
paraoggettiva o comunque. “aggravata”), salva prova di avere eseguito la propria
prestazione con la dovuta diligenza (Cass. 3023/1994, Landi/Traldi). In definitiva,
il quadro che complessivamente emerge dallo screening giurisprudenziale di
legittimità e di merito degli anni ‘80-‘90 (e, conseguentemente, i parametri di
riferimento cui un’eventuale consulenza disposta dal giudice dovrà attenersi) è
quello che indaga:
22 Si osserva, in proposito che, su problemi molto delicati, il sanitario debba essere giudicato in base ai criteri della scuola cui appartiene, se rispettabile ed accreditata, e non di un’altra cui appartenga il CTU, sicché, in tal caso, il giudice dovrebbe compiutamente motivare sul perché di tale scelta (Monateri),
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1) sulla natura, facile o non facile, dell’intervento del professionista;
2) sul peggioramento o meno delle condizioni del paziente (o sul mancato
miglioramento);
3) sul nesso causale e sulla sussistenza della colpa (lieve nonché
presunta, se in presenza di operazioni di routine o ben codificate, grave,
nel senso sinora specificato, se relativa ad operazione che trascende la
preparazione media ovvero non sufficientemente studiata o sperimentata,
con l’ulteriore limite della particolare diligenza richiesta in questo caso, e
dell’elevato tasso di specializzazione nel ramo imposto al sanitario), da
valutarsi secondo il parametro attuale della diligenza-perizia (il difetto di
diligenza che si sostanzia nell’inosservanza di regole tecniche, oggi
codificate nei cd. PDT, percorsi diagnostico-terapeutici);
4) sul corretto adempimento dell’onere di informazione e sull’esistenza
del conseguente consenso del paziente (su cui, amplius, infra)23.
Così, in quei pochi casi in cui l’art. 2236 è stato realmente applicato, la
valutazione della non gravità della colpa risulta implicitamente contenuta nel
giudizio espresso sulla natura dell’intervento, mentre la regola inversa
(elaborata per la prima volta, come poc’anzi ricordato, da Cass. 6141/1978)
della facilità dell’intervento e del risulta peggiorativo come presunzione di
colpa tout court, è risultato il primo passo verso la tendenziale trasformazione
dell’obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di
risultato,24 e verso l’approdo ad un sistema intermedio di responsabilità che si
atteggia come tertium genus tra la dimensione della responsabilità soggettiva
23 Una rilevanza “contrattuale” del dovere di corretta informazione si rinviene già nel tessuto codicistico, in tema di contratto di assicurazione, dove le dichiarazioni inesatte e reticenti dell’assicurato, anche se non dovute al dolo di quest’ultimo, danno all’assicuratore (art. 1893) la possibilità di recedere dal contratto e, comunque, limitano l’indennizzo: anche nel contratto d’opera professionale, il dovere di informazione diretto ad ottenere un consapevole consenso del cliente interviene dopo che, con il compimento della diagnosi e della prognosi, è già iniziata l’esecuzione del contratto d’opera professionale, così che il consenso del paziente non è assenso alla conclusione di un nuovo e diverso contratto, bensì assenso alla cura prospettata dal medico nell’ambito del contratto già concluso. 24 Si parla, in Francia, di obligations des resultat attenues, produttive di una inversione dell’onere della prova fondata sulla colpa presunta, e di obligations de securitè de resultat, che escludono una prova liberatoria per la struttura sanitaria).
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e quella della responsabilità oggettiva, sistema fondato sul principio cardine
della vicinanza e della disponibilità della prova conseguente allo status
professionale del medico rispetto a quello del paziente25.
Nell’ottica di una prima, approssimativa sintesi dell’attuale realtà composita che
abbraccia la responsabilità medica, va pertanto tracciato una sorta di quadro
sinottico secondo il quale la relativa indagine è oggi attestata sul triplice fronte:
1) della responsabilità del professionista per condotta commissiva o omissiva
generante “danno” da negligenza imperita;
2) della responsabilità del professionista per omessa o incompleta
informazione diagnostico-terapeutica;
3) della responsabilità della struttura sanitaria.
Va, in premessa, rammentato, peraltro, come le regole generali in tema di
responsabilità fossero, nel passato:
1) Obbligazioni di mezzi (art.1218-1176) – onere della prova
dell’inadempimento: sul creditore/paziente; rischio dell’incertezza
processuale relativa alla mancata diligenza nell’adempimento: sul
creditore/paziente;
2) Speciale difficoltà (art.2236) – limitata all’imperizia – onere di
25 Scrive, in proposito, Cass. 4394/1985 nel celebre caso della ballerina spogliarellista che, nel caso di interventi routinari, i principi affermati in tema di colpa “non valgono a trasformare l’obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, quasi che egli debba garantire il buon esito dell’operazione, ….. ma certo la sperimentata tecnica comporta una notevole sicurezza del raggiungimento dell’obbiettivo, sicché, mancato quest’ultimo, può quantomeno presumersi, fino alla prova contraria di uno sviluppo imprevedibile, la colpa del chirurgo”. D’altronde, sul piano della teoria generale, il dissenso manifestato all’accoglimento della distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato faceva leva, tra l’altro, sulla considerazione che il professionista spudoratamente negligente che, purtuttavia, avesse suo malgrado conseguito il risultato auspicato dal cliente, avrebbe, a rigore, dovuto rispondere di inadempimento della sua obbligazione di mezzi, il che, ovviamente, era assurdo. La “revisione” del regime probatorio funzionale ad agevolare, sul piano processuale, la posizione del paziente, è una tendenza comune a molti paesi europei: la Francia ha introdotto un sistema legale di controllo a monte dei rischi sanitari (la Loi Kouchner del 2002) ed un sistema misto di risarcibilità, sia pur fondato almeno nominalmente, sulla faute; in Germania sono graduate le agevolazioni probatorie disposte per il paziente, a seconda che l’errore terapeutico risulti grossolano (Gro§e Behandlungsfehler), nel qual caso chi agisce in giudizio è dispensato dalla prova piena a fronte della mera allegazione delle circostanze da cui emerge l’errore, grave, in violazione di regole mediche sperimentate ovvero di nozioni elementari di medicina, nel qual caso il giudice può valutare l’opportunità di arrivare all’inversione dell’onere probatorio, ovvero tipico (garza dimenticata nell’addome), caso in cui si ricorre alla prova prima facie (Anscheinbeweis).
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dimostrazione gravante sul medico – onere della prova della gravità della
colpa gravante sul paziente,
3) Interventi routinari – res ipsa loquitur – peso dell’incertezza processuale
gravante sul medico/debitore.
Su tale “sottosistema” di responsabilità a carattere sostanzialmente “chiuso”, si
innestano, negli anni 2000, una serie di decisioni (relativamente “esterne”)26 che
possono così sintetizzarsi:
a) La prova dell’inadempimento: Cass. ss.uu. 13533/2001 stabilisce
che il debitore è esonerato da qualsiasi onere diverso da quello di
allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore (sulla
scia di Cass. 7027/01, affermativa degli stessi principi in tema di
obblighi di informazione del chirurgo plastico, e ripresa poi da Cass.
10297/04, con specifico riguardo alla responsabilità medica);
b) La prova della colpa grave: Cass. 11488/2004: questa viene
addossata al medico/debitore (in linea con una costante
giurisprudenza di legittimità), anche se, a rigore, l’iter probatorio in
materia dovrebbe evolvere (trattandosi di “soglia di ingresso” della
responsabilità) secondo la scansione: domanda risarcitoria
(attore/paziente) – eccezione di prestazione di particolare
complessità (medico/convenuto) – controeccezione di colpa grave
(attore/paziente). Incide, inevitabilmente, su questa soluzione la
sentenza delle sezioni unite in tema di riparto dell’onere probatorio
da inadempimento;
c) Il danno da perdita di chance: Cass. 4400/2004: trasposizione da
un principio riconosciuto in tema di lavoro (mancata ammissione ad
un concorso) da Cass. 11522/97, 11340/98, 11322/03: la perdita di
chance di guarigione o sopravvivenza come bene attuale
percentualmente risarcibile: le differenze “ontologiche” con le
26 E tali da far ritenere “al tramonto” il sottosistema della responsabilità medica: Izzo, in Corr. Giur. 2/2005, 130 ss.
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fattispecie tipiche, in quanto l’omissione, nel caso di responsabilità
medica, fa sorgere la chance, mentre l’omissione del datore di lavoro
la distrugge (perché, senza l’intervento medico, la chance di
guarigione non esiste). Si elimina, così, sostanzialmente, la prova del
nesso causale: se manca la diligenza, il danno da perdita di chance è
in re ipsa;
d) I rapporti contrattuali di fatto: Cass. 589/1999: nati in Germania
negli anni ’40, per regolare altre vicende di responsabilità senza
contratto, essi risultano funzionali alla definitiva “contrattualizzazione
a tappe forzate” della responsabilità medica;
e) Il contratto ad effetti “protettivi” per il terzo: Cass.11503/1993
e Cass. 14488/2004: il contratto di spedalità ed il rapporto
contrattuale di fatto con il medico spiega effetto anche nei confronti
di un soggetto non ancora esistente, e la responsabilità è, ancora una
volta, ritenuta contrattuale, esplicitamente, dalla prima sentenza,
mentre la seconda, non affrontando il problema, si limita a ribadire
l’esistenza di un “diritto a nascere sano” (ma perde l’occasione di
puntualizzare gli errori della pronuncia precedente), confermando
implicitamente l’esistenza di un diritto autonomo del minore al
risarcimento e la natura contrattuale della responsabilità in caso di
comportamento negligente del medico (commissivo o omissivo), ma
escludendo tale autonomo diritto (riconosciuto, per converso, ai
genitori) solo con riferimento al versante dell’omessa informazione,
causa della mancata possibilità di abortire pur riconosciuta alla
donna;27
27 Anche tale actio finium regundorum dell’estensione illimitata della responsabilità medica è stata sottoposta a severa critica dai primi commentatori della sentenza: (Feola, in Danno e resp. 4/2005, 391 ss.), secondo la quale la sentenza, discostandosi dal noto arret Perruche delle sezioni unite della Cassazione francese (17 nov. 2000, che dette seguito alla legge 203/2002, detta anti/Perruche), affermativa invece della responsabilità diretta del medico nei confronti del neonato per omessa diagnosi di malformazione fetale, osserva che “la Corte non spiega in maniera convincente perché debba essere protetto dal contratto il marito e non il feto” e che “la responsabilità del medico è di natura contrattuale sia nei confronti della parte creditrice degli effetti di
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f) La responsabilità della struttura ospedaliera: Cass. 13066/2004
(sulla scia di Cass. ss.uu. 9556/2002) – sempre sussistente, anche se
il medico non è dipendente della struttura ed a prescindere dalla sua
eventuale colpa, sulla base del contratto innominato (ma ormai
tipico) di spedalità. L’organizzazione diviene così un vero e proprio
obbligo giuridico, pur in assenza di indici normativi (previsti soltanto
in alcuni sottosettori, quale quello in tema di trasfusioni);28
g) Il contenuto dei moduli di consenso informato: App. Bologna
1998 – Trib. Venezia 2004: il modulo può essere dichiarato inefficace,
“non potendo ridursi all’espletamento di formalità meramente
burocratiche, se assolutamente generico”.
Il regime di responsabilità che ne consegue, in definitiva, si va sempre più
delineando, specie sotto il profilo dell’inesatto adempimento, secondo canoni
affatto speculari rispetto a quelli tradizionali, (specie dopo l’arret di cui a Cass.
13533/2001 in tema di ripartizione dell’onere della prova tra creditore e
debitore), di talché quello che era stato sempre considerato onere del creditore
(la dimostrazione dell’inesattezza della prestazione che, in quanto fatto lesivo del
credito, si iscriveva tout court nell’orbita della causa petendi) è oggi riversato sul
debitore cui spetta di provare di non aver violato il diritto alla conformità del suo
comportamento al programma negoziale, sia sotto il profilo del comportamento
(commissivo o omissivo) sia del grado della colpa (se grave), sia
dell’informazione “acconsentita”. Riscritto appare altresì il ruolo da assegnare alla
prova liberatoria relativa al fortuito che, nelle più recenti sentenza, grava
ancora una volta sul medico (così Cass. 10297/04 e 11488/04, mentre più
prestazione, sia nei confronti dei terzi (coniuge e neonato) destinatari degli effetti di protezione” (la Cassazione francese aveva invece qualificato come delictuelle la responsabilità verso quest’ultimo, anche per la nota insofferenza del diritto francese nel ravvisare eccezioni al principio della relatività del contratto). Così al minore andrebbero riconosciuti tutti i danni (diversamente da quanto ritenuto dal Consiglio di Stato francese e dalla Corte federale dell’Alabama, che li ha liquidati ai genitori, salvo a rapportarli, con nobile sotterfugio, alla vita del minore handicappato), mentre ai genitori andrebbe liquidato il solo danno esistenziale. 28 In Francia, i parametri dell’obbligo di organizzazione sono: 1) mettere a disposizione del clienti personale qualificato in numero sufficiente; 2) sorvegliare il coordinamento dei servizi; 3) garantire locali salubri e idonei; 4) disporre di apparecchiature appropriate e in buono stato; 5) fornire prodotti sicuri e sani, specie con riguardo
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cauta appare in argomento Cass. 9471/04, che mostra di non aver del tutto
abbandonato il solco della responsabilità per colpa).
3) Il nesso causale - cenni
Anche in tema di nesso causale, secondo un percorso parallelo a quello seguito in
tema di colpa, da una posizione originariamente attestata su postulati di
necessaria certezza della correlazione condotta-evento, la posizione della
giurisprudenza si è evoluta verso le sponde del giudizio probabilistico, in ordine
alla prognosi, alla terapia ed all’intervento, così che, quando il rapporto della
malattia con l’agente patogeno si presenta in termini di assoluta o estrema
probabilità, la prova del nesso causale deve ritenersi in re ipsa (Cass.
2684/1990), laddove il concetto di probabilità viene inteso non secondo la cd.
teoria frequenzialista, ma secondo la definizione aristotelica per cui il probabile è
quanto avviene nella maggior parte dei casi: si è osservato in dottrina come
sembri preferibile adottare, in tema di nesso causale, il concetto
epistemologico-logicista di probabilità, secondo cui quest’ultima consiste nel
grado di credenza razionale nel verificarsi di un evento, atteso che la statistica
mal si attaglia all’analisi di accadimenti individuali, che postulano un
apprezzamento logico di tutte le circostanze del caso concreto, con particolare
riferimento alle “circostanze differenziali” rispetto alla situazione astratta cui si
riferisce in dato statistico (principio, questo, accolto dalle ss.uu. penali della Corte
di cassazione a composizione del contrasto relativo al concetto di “alto grado di
probabilità” nel reato omissivo improprio)29. La specificazione concreta del
concetto di probabilità rilevante ha incontrato varie formulazioni: “serio e
ragionevole criterio di probabilità scientifica"”(Cass. 30.4.1993), “adozione dei
criteri oggettivi di prevedibilità ed evitabilità, assenza di fattori eccezionali non
dominabili dal soggetto agente” (Pret. Verona 9.6.1994, Ferrari) che risulta, in
realtà, una moderna applicazione della teoria condizionalistica aggiornata
secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche. Particolare scalpore
ai farmaci. 29 Cass. ss. uu. 30328/2002.
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suscitò, poi, il criterio adottato nel cd. caso Silvestri (Cass. 371/1992),
secondo cui sussiste il rapporto di causalità tra condotta ed evento lesivo quando
il sanitario ometta di intervenire o intervenga scorrettamente, qualora il corretto
e tempestivo intervento avrebbe avuto una scarsa probabilità di successo (nella
specie, si trattava di morte del paziente evitabile con probabilità non superiore al
30%: sul caso, amplius, infra)30. Dottrina e giurisprudenza distinguono, peraltro,
tra condotta colposa commissiva, in cui il nesso causale va provato con certezza,
e condotta colposa omissiva, che postula pur sempre il ricorso ad un giudizio
probabilistico ex ante.
L’interruzione del nesso causale, oltre che conseguente alla cause
tradizionali, viene, poi, riconosciuto anche per effetto dell’avocazione del caso da
parte del primario (Cass. 2.5.1989, Argelli).
4) Casistica generale
Ovviamente sterminata appare la casistica sulla responsabilità medica, che può,
nelle sue linee generali, ripartirsi nei seguenti sottogruppi:
a) Errori di diagnosi e terapia: in tali casi la responsabilità del medico può
sussistere non solo nei confronti del paziente (o dei suoi congiunti in caso di
decesso), ma anche nei confronti del terzi (errore di diagnosi nel certificare la
malattia del lavoratore, rilevante per il datore di lavoro; errore di diagnosi
di invalidità civile, rilevante nei confronti dell’INPS: per le due ipotesi,
rispettivamente, CC 309/1986 e 4900/1982). Anche in tale specifico settore,
la colpa del sanitario non si atteggia esclusivamente secondo le forme
dell’imperizia, potendo essere ritenuta anche per non aver seguito con
sufficiente diligenza e prudenza il decorso della malattia, e non essersi
conseguentemente posto in condizioni di acquisire gli elementi di controllo utili
alla rettifica di una eventuale errore iniziale di diagnosi (CP 18.10.1978,
Andria). La responsabilità deriva anche dal difettoso funzionamento dei
macchinari utilizzati, ex art.2043 e, per i soggetti cui è demandato l’obbligo di
30 Osserva Monateri come, in realtà, si tratti di un criterio picwikiano, da assumersi cum grano salis.
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custodia, ex art.2050 c.c. (salva azione di regresso nei confronti del
costruttore, del rivenditore, del manutentore dell’apparecchio)
b) Modalità della prestazione: si sono delineate, in proposito, una serie di
ipotesi ormai tipiche, quale il ritardo nel procedere alla diagnosi (CC
1847/1988), il non visitare personalmente il paziente (Comm centr.
17.3.1984), il non seguire costantemente il paziente dopo l’intervento
operatorio (CP 15.7.1982, Faenza, per un caso di garza lasciata nell’addome),
l’iniezione del farmaco fuori vena ( CC 2016/1954), la frattura conseguente ad
elettroshock (CC 3616/1972), resezione di un arteria al posto di una vena
(Trib. Milano 14.10.1963), tiranervi lasciato cadere dal dentista ed inghiottito
dal paziente (CC 2918/1971), lesioni riportate durante il parto (Trib. Milano
13.5.1982). Nello specifico campo psichiatrico, va segnalato un atteggiamento
assai liberale della giurisprudenza, come nel caso Bondioli, in cui la Corte
d’appello giudicò responsabile di omicidio colposo il medico di un centro di
igiene mentale che, nonostante la richiesta dei familiari, non aveva disposto il
trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di uno schizofrenico che aveva
poi accoltellato la madre, mentre la SC ritenne al contrario l’insussistenza del
nesso causale, non potendosi configurare in capo al medico un obbligo di
custodia e quindi un dovere di impedire l’evento (CP 5.5.1987, in riforma di
App. Perugia 9.11.1984); in caso di suicidio di un paziente in cura psichiatrica,
si è ritenuta la responsabilità della casa di cura per malattie mentali (Trib.
Velletri 19.3.1979), mentre quella penale dello psichiatra è stata a volte
esclusa, sulla scorta dell’ampio margine di opinabilità e complessità della
diagnosi (App. Bologna 1.7.1975; Trib. Spoleto 8.6.1987), a volte, invece,
affermata (Trib. Bolzano 9.2.1984).
c) Mancato aggiornamento tecnico: Il problema è stato affrontato
prevalentemente in dottrina,31 che si interroga se l’omesso aggiornamento
rivesta una sua configurazione giuridica a parte, nel più generale contesto
31 Zana, Colpa per omesso aggiornamento tecnico-professionale del medico, in La responsabilità medica, Milano 1982.
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della colpa, ovvero debba farsi rientrare nell’ambito della “trascuratezza”,
optando32 per la prima soluzione. Se, fino agli anni ottanta, veniva a profilarsi
una responsabilità per omesso aggiornamento dell’operatore sanitario alla
stregua del più generale dovere di diligenza (CC 1441/1979, secondo la quale
l’ignoranza dei rimedi noti alla scienza era da ritenersi incompatibile con il
grado di addestramento e di preparazione richiesti dalla professione sanitaria),
già il vecchio codice di deontologia professionale pareva offrire spunti più
pregnanti nel senso di imporre al medico un aggiornamento continuo delle
proprie conoscenze in campo diagnostico e terapeutico, spunti poi confermati
ex lege dall’art. 46 del DPR 761/1979 (che parla esplicitamente di
aggiornamento scientifico del personale delle strutture sanitarie), mentre il
nuovo codice deontologico33 afferma esplicitamente che per i medici non è
ammessa l’ignoranza, specie in campo farmacologico, il che potrà contribuire,
sulla scia di quanto emerso nella dottrina e giurisprudenza francese,
all’individuazione di una forma specifica di responsabilità per omesso
aggiornamento tecnico del personale medico.
5) Casistica specifica
a) Il decesso del paziente – La Cassazione penale, (CP17.1.1992, n.371,
Corr. Giur. 5/1992, nota Morsillo) afferma il principio della sussistenza della
responsabilità colposa del medico allorché questi ometta di intervenire o
intervenga scorrettamente non soltanto quando il corretto e tempestivo
intervento avrebbe avuto alte probabilità di successo, ma in caso di ridotta
probabilità di salvare il paziente (nel caso di specie – nel decorso post
operatorio una paziente operata di taglio cesareo viene colpita da infezione
tetanica, ma si omette una tempestiva diagnosi nonostante la presenza della
tipica sintomatologia – la perizia d’ufficio aveva valutato pari al 30% la
possibilità di salvare la paziente se l’opera del sanitario fosse stata corretta e
tempestiva).
32 Morsillo, nota a Cass. pen. 371/1992 Corr giur. 33 Approvato il 25 giugno 1995: cfr. Corriere giur, 1995, 1113.
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b) L’errore di diagnosi ed il concorso di colpa del danneggiato (CC
7.3.1991, n.2384, Foro it. Nota Zampolli) - Il concorso di colpa del
danneggiato è normativamente disciplinato dagli artt. 1227 e 2056 c.c.,
rispettivamente sul versante della colpa contrattuale ed aquiliana: la sua
attuazione è, oggi, regolata secondo il criterio del calcolo puramente
percentuale degli apporti delle varie condotte. Il tema assume particolare
interesse con riferimento all’ipotesi di concorso di colpa del danneggiato
incapace: l’importanza dell’affermazione secondo cui l’eventuale colpa
concorrente va valutata esclusivamente con riferimento alla condotta
dell’incapace e non anche dei soggetti affidatari (genitori).
c) Gravidanza e nascita indesiderata – 1) Il diritto del concepito a nascere
sano ed il contratto “con effetti protettivi” nei confronti del nascituro (CC.
11503/1993, Corr. Giur. 4/1994, nota Batà; CC 14488/2004, Danno e resp.
4/2005, nota Feola34); 2) il diritto al risarcimento e la responsabilità del
medico per mancata interruzione di gravidanza ( CC 6464/1994, Corr. Giur.
1/95, nota Batà; CC 12195/1998 e 2793/1999, Foro it.)35
34 Diversamente da quanto opinato in tema di condotta commissiva del medico (caso nel quale, come detto sopra, si è riconosciuta la relativa responsabilità), la Cassazione predica il principio che, in caso di omessa informazione, è riconosciuto ai genitori, ma non al neonato, il diritto al risarcimento, non essendo configurabile un diritto “a non nascere” ovvero a “non nascere se non sani”, con ciò discostandosi dalla decisione Perruche delle ss.uu. della cassazione francese che aveva adottato l’opposta soluzione della diretta responsabilità del medico nei confronti del neonato per omessa diagnosi di malformazione fetale. Dubbi sorgono, secondo i primi commentatori, in ordine alle affermazioni secondo cui: 1) viene considerato terzo protetto dal contratto il coniuge e non il minore; 2) sarebbe rilevante (anche se la Corte non lo afferma esplicitamente) il solo comportamento commissivo e non anche quello omissivo sotto il profilo della rilevanza causale, mentre la stessa omissione, a prescindere dal suo “ordine di apparizione” e “dall’intensità” dell’efficacia causale, resta pur sempre una concausa dell’evento (nella specie, la donna aveva dichiarato che, in caso di rosolia, avrebbe abortito); 3) il problema dell’interesse protetto viene considerato rilevante nonostante si versi in ambito di responsabilità contrattuale. La responsabilità del medico è stato, peraltro, ritenuta di natura aquiliana dalla Corte francese, per la sua tradizionale insofferenza a violare il principio della relatività del contratto, mentre sia in Italia che in Germania la categoria del contratto protettivo nei confronti dei terzi ovvia a questa problematica, atteso il riconoscimento di contratti in cui, accanto alla prestazione principale vi è quella collaterale che non siano arrecati danni a terzi: l’effetto di prestazione intercorre, allora, tra il medico e la madre, l’effetto di protezione opera a favore del nascituro che, una volta in vita, dovrebbe poter agire autonomamente per il risarcimento, dovendo riconoscere a lui e non ai genitori il relativo diritto sub specie dei danni patrimoniali, psico.fisici, morali e/o esistenziali, riconoscendosi ai genitori i soli danni morali (mentre il consiglio di Stato francese e la corte distrettuale dell’Alabama li hanno riconosciuti in capo ai genitori, salvo commisurarne l’entità alla vita del figlio handicappato, con nobile ma antigiuridico sotterfugio). 35 In tale campo, si osserva, l’obbligo di informazione è molto rigoroso,essendo, oltretutto, sancito dall’art. 14
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d) Chirurgia estetica, obbligo di informazione e consenso del paziente36 -
La chirurgia estetica e l’obbligo di informazione (CC 4394/1985, Corr. Giur.
12/1985, nota Malinconico); l’intervento estetico e l’intervento ricostruttivo
sotto il profilo del diverso onere di informazione (CC 3046/1997, Corr. Giur.
5/1997, nota Carbone);
e) Trattamento anestesiologico, obbligo di informazione e consenso -
consenso ed obbligo di informazione rispetto alle varie fasi dell’intervento
operatorio (CC 364/1997, Foro it.);
f) Il consenso informato – Dal punto di vista penalistico, assume rilievo
l’inquadramento del consenso del paziente nell’alveo della scriminante di cui
all’art. 50 cp37: di recente, la Cassazione penale38 ha ritenuto, peraltro, che “il
consenso del paziente non si identifica con quello di cui all’art.50 c.p., ma
costituisce un presupposto di liceità del trattamento medico chirurgico,
afferente alla libertà morale del soggetto e alla sua autodeterminazione,
nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria
integrità corporale, che sono, tutte, profili della libertà personale proclamata
inviolabile dall’art.13 della Costituzione”. L’ottica del civilista si concentra
invece, come visto nelle ipotesi specifiche, sul dovere di informazione del
medico e sulle conseguenze della sua violazione: superata la dimensione
strettamente penalistica della fattispecie, essa viene più solidamente ancorata
ai principi costituzionali, così che il dovere di informazione da un lato concorre
ad integrare il contenuto del contratto, dall’altro, in alcuni casi, rileva
autonomamente, sì che la sua violazione si traduce ipso facto nella lesione di
un diritto costituzionalmente protetto. L’obbligo è stato “normativizzato”
della legge 194/1978 quanto ai possibili esiti dell’intervento. 36 Vanno, in argomento, segnalate due decisioni del Consiglio di Stato francese del 1996 e della Corte d’appello di Parigi del 1995, che pongono l’accento sul fatto che il dovere di informazione è correlato ad una “obligation d’abstension” per cui il cliente non deve correre un rischio sproporzionato ai vantaggi preventivabili. 37 A tal proposito, un’autore (Bilancetti) individua nove requisiti del consenso in tema di attività medica: esso deve risultare personale, consapevole, attuale, manifesto, libero, completo, gratuito, recettizio e richiesto. 38 CP 11.7.2001, n.1572, Cass. pen. 2002, 2041.
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dall’art.30 del nuovo codice deontologico dei medici del 199539, nonché dalla
Convenzione internazionale sui diritti dell’uomo e la biomedicina, ratificata con
legge 145/2001 dall’Italia40. Il suo contenuto postula, poi, il bilanciamento di
interessi in gioco che opera in una duplice direzione, quella di mettere il
paziente in grado di soppesare i vantaggi ed i rischi prevedibili presentandone
un quadro completo compresi i meno probabili, ma escludendo quelli anomali
onde evitare un rifiuto dannoso. Esso deve, in ogni caso, essere espresso
preventivamente, ed il medico non è abilitato ad eseguire un altro intervento
al di fuori di condizioni di necessità, così che le eventuali lesioni conseguite ad
un intervento non consentito dovrebbero, secondo alcuni, configurarsi
addirittura come volontarie (ma la soluzione lascia non poco perplessi); non
essendo condizionato a specifici requisiti di forma esso può risultare anche
tacito (CC 1773/1981), ma inequivoco, poiché la sua mancanza impedirebbe
ogni intervento ex art. 32 Cost. (nessuno può essere assoggettato a
trattamenti sanitari se non ex lege), 13 Cost. (inviolabilità della libertà
personale compresa quella alla salute), 33 L.833/1978 (che vieta la possibilità
di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente). Quando
l’interessato non sia in grado di prestare personalmente il consenso, si
ammette che possa sostituirlo un parente (CC 9261/1994), nell’esercizio di
una facoltà soltanto rappresentativa (per conto, cioè, dell’interessato, che
resta il titolare del diritto al risarcimento in caso di mancata prestazione del
detto consenso). Solo la necessità e l’urgenza dell’intervento (con il paziente
impossibilitato ad esprimere il consenso) legittima, anzi obbliga il medico ad
intervenire (CC 1132/1976), essendo l’omissione di cure urgenti o il rifiuto di
39 Modificato nel 1998, a mente del quale “il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte; il medico dovrà tenere conto della sua capacità di comprensione”, mentre l’art.32 precisa ulteriormente che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato” 40 In essa si afferma che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero e informato. Tale persona riceve preliminarmente informazioni adeguate sulla finalità e sulla natura del trattamento nonché sulle sue conseguenze e sui rischi. Il consenso può essere il qualsiasi momento liberamente revocato”.
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prestare la propria opera se richiesta fonte di responsabilità aquiliana.
L’informazione del medico deve poi estendersi alla portata dell’intervento, alle
presumibili difficoltà, agli eventuali rischi (quelli prevedibili, e non glie siti
anomali al limite del fortuito), alla possibilità di scelte alternative e, secondo
una recente giurisprudenza, anche alla eventuale inadeguatezza della
struttura dovuta alla indisponibilità, anche temporanea, della strumentazione
necessaria e del conseguente maggior rischio dell’intervento41.
Discussa è la natura della responsabilità derivante da omessa informazione:
secondo una prima interpretazione, essa va ricondotta alla responsabilità
precontrattuale,42 secondo altri si tratterebbe di responsabilità contrattuale
vera e propria, fondata sul combinato disposto degli artt.1375, 1175 c.c.43,
mentre, da altra parte della dottrina, si è sostenuto che l’intervento privo del
consenso rilevi direttamente come lesione del bene primario della salute, e
comporti l’insorgere, in capo al sanitario, di una responsabilità aquiliana ex
art.2043 c.c. (eventualmente destinata a concorrere con quella contrattuale
qualora si verifichi, come esito dell’intervento, un evento dannoso).
La diversa natura della responsabilità si riflette sulla ripartizione dell’onere
della prova: l’adesione alla tesi della precontrattalità della responsabilità
addossa al paziente l’onere di provare l’avvenuta corretta informazione e la
prestazione del consenso; viceversa, la natura contrattuale della
responsabilità postula la dimostrazione di tali circostanze da parte del medico,
secondo il criterio della “vicinanza o riferibilità” della prova44.
41 Cass. 16.5.2000, n.6318, in Danno e responsabilità 2, 154, nota Cassano. 42 Così Visintini, Grisi, Mantovani, Cass. 9617/1999 (Danno e responsabilità 2000, 730, nota Natoli); 364/1997; 10014/1994. 43 Cass. 9705/1997; 4395/1985; 1773/1981, e, di recente, trib. Venezia 4.10.2004, secondo il quale l’inadempimento dell’obbligo di informazione, costituendo parte integrante del contratto di assistenza intercorrente tra il paziente e la struttura ospedaliera, obbliga i sanitari a risarcire il danno esistenziale. Per la dottrina, D’Amico. 44 Secondo la recente Cass. ss.uu. 13533/2001, più volte citata, come è noto, il creditore che agisce per la risoluzione o il risarcimento è tenuto a provare soltanto l’esistenza dell’obbligazione e non l’inadempimento dell’obbligato, dovendo quest’ultimo provare di aver adempiuto. Le più recenti sentenze in tema di colpa medica sembrano attestarsi su questo versante: Cass. 11488/2004, secondo cui “in tema di responsabilità professionale del medico-chirurgo, sussistendo un rapporto contrattuale (quand'anche fondato sul solo contatto sociale), in
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Discusso è, infine, il problema dei danni risarcibili: premesso che, nella specie,
l’inadempimento non investe le modalità di esecuzione dell’intervento ma
l’obbligazione informativa, l’interesse oggetto di tutela è, precipuamente, il
diritto di scelta del paziente: pur essendosi sostenuto il nesso causale tra
lesione alla salute legata alla complicazione di un intervento correttamente
eseguito e violazione dell’obbligo di informazione (fondandosi tale visione della
vicenda sulla configurazione del consenso del paziente come scriminante), il
consenso attiene al piano dei diritti della personalità (autodeterminazione in
ordine alla propria salute), sicché il pregiudizio non patrimoniale andrebbe
circoscritto al piano del danno esistenziale da intendersi come riparazione
correlata alla privazione del diritto alla scelta consapevole in ordine alla
propria esistenza.
g) Responsabilità del medico ospedaliero e della struttura sanitaria - in
particolare, sulla responsabilità della struttura sanitaria,45 può dirsi
definitivamente acquisita (fin da CC 1368/1973) la tesi che ne riconduce la
natura nell’ambito della violazione della lex contractus,46 attesa la natura di
rapporto obbligatorio tipico della relazione intercorrente con il paziente,
strutturata come diritto soggettivo del primo e corrispondente obbligo
dell’ente, anche se la fonte del rapporto non si rinviene in un documento
base alla regola di cui all'art. 1218 cod.civ. il paziente ha l'onere di allegare l'inesattezza dell'inadempimento, non la colpa nè, tanto meno, la gravità di essa,dovendo il difetto di colpa o la non qualificabilità della stessa in termini di gravità (nel caso di cui all'art. 2236 cod.civ.) essere allegate e provate dal medico. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito non avesse fatto corretta applicazione di tale principio, avendo rigettato la domanda di risarcimento danni nei confronti del medico ecografista per la nascita di un bambino malformato senza accertare se nel corso dell'ecografia gli arti erano stati diligentemente ricercati per verificarne eventuali malformazioni e senza considerare che l'incertezza del risultato di un'indagine non comporta che la stessa sia necessariamente da qualificare come particolarmente difficile, onde il fatto che l'ecografia non consenta di vedere sempre (e bene) gli arti non esclude la necessità di cercarli,o di consigliare la ripetizione dell'indagine, nè qualifica quest'ultima come particolarmente difficile)”; 10297/2004: “il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il "contatto" e allegare l'inadempimento del professionista, che consiste nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. 45 Che, a volte, è l’unica percorribile, quante volte l’attività lesiva non sia direttamente riferibile ad un singolo responsabile, ovvero quando questi non sia identificabile.
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programmatico delle parti, ma in un semplice atto di accettazione del paziente
all’interno della struttura, mentre si discute sulla fonte di tale responsabilità,
sostenendosi, da un canto (CC 2144/1988; 6141/1978), la conclusione, tra
paziente e struttura sanitaria, di un contratto d’opera professionale, dall’altro
la stipula di un contratto atipico47 avente ad oggetto una prestazione
complessa, definibile come “assistenza sanitaria” (CC 6707/1987; Trib. Verona
15.10.1990), in seno al quale l’attività del medico è solo una parte di una più
complessa prestazione, gravando sull’ente una serie di obblighi integrativi ex
lege o ex contractu, tanto da ritenerlo responsabile tutte le volte che non
abbia garantito la sicurezza delle attrezzature (App. Napoli 14.9.1979, per
apparecchio radiologico erroneamente tarato e produttivo di lesioni al
paziente); la protezione della salute del ricoverato (Trib. Casale Monferrato
6.7.1966, per infezione tetanica contratta per non perfetta sterilizzazione della
sala operatoria); la protezione della salute dei terzi (il caso già considerato
della cerebropatia del neonato, CC 11503/1993); la custodia degli assistiti (CC
6707/1987, in caso di rapimento di un neonato dal nido ad opera di ignoti);
un’adeguata informazione (CC 6464/1994, già esaminata in tema di
gravidanza, per omessa informazione, nella persona del sanitario preposta alle
dimissioni della paziente, circa la necessità di ulteriori accertamenti circa
l’esito positivo dell’intervento). Quanto alla responsabilità del medico, esclusa
ogni attenuazione di responsabilità ex art. 28 DPR 761/1979 disciplinante lo
stato giuridico del personale delle unità sanitarie, che si riferiva, appunto, a
tali parametri di colpevolezza per i sanitari (sulla base della considerazione
che l’art. 2236 costituisse norma speciale rispetto a quella suindicata), la sua
natura extracontrattuale, prevalentemente riconosciuta in giurisprudenza, è
stata negata recentemente sulla base della teoria dei cd. “rapporti
contrattuali di fatto” (CC 589/1999, Danno e responsabilità 3/1999, nota
Carbone e Corr. Giur. 4/1999, nota di Majo), ovvero riconoscendole una
46 In precedenza, per la teoria della responsabilità extracontrattuale, CC 1282/1971 47 In dottrina, Galgano che parla di contratto atipico rientrante nello schema della locatio operis.
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implicita base negoziale (Trib. Mil. 24.6.1999). Sul piano processuale, la
responsabilità della struttura sanitaria è senz’altro solidale con quella del
medico (Trib. Verona 31.1.1994), pur non esistendo i presupposti del
litisconsorzio necessario, essendo medesimo il fatto da cui deriva la
responsabilità dell’ente e del professionista, ma diverso il titolo.
6) –Il problema dell’interpretazione della domanda risarcitoria in relazione
all’art.112 c.p.c.
L’esame della problematica afferente al procedimento di interpretazione e
qualificazione giuridica della domanda con riguardo tanto all’attività svolta dal
giudice di merito, quanto alla censurabilità di questa in sede di giudizio per
Cassazione, sub specie del vizio di motivazione, qualora questo afferisca, lato
sensu ad un (preteso) error in procedendo, rende opportuna una breve
ricognizione dello stato della giurisprudenza di questa Corte affinché più chiara
si appalesi la necessità di pervenire ad una chiara e definitiva actio finium
regundorum sul tema.
Di recente, con sentenza n.12259 del 20 agosto 2002, la seconda Sezione della
S.C. ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, in sede di legittimità,
occorre tenere distinta l'ipotesi in cui si lamenti l'omesso esame di una domanda
o la pronuncia su domanda non proposta dal caso in cui si censuri, invece, la
semplice interpretazione adottata dal giudice di merito in ordine al contenuto e
alla portata della domanda medesima: solo nel primo caso si verterebbe,
propriamente, in tema di violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per mancanza
della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il
giudice di merito sia incorso in un error in procedendo in relazione al quale la
Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all'esame diretto degli atti
giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia
richiestale. Nel caso in cui venga invece in contestazione l'interpretazione del
contenuto o dell'ampiezza della domanda, tali attività, si opina, integrerebbero gli
estremi del tipico accertamento di fatto, insindacabile in cassazione salvo che
sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul
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punto. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito fosse incorso
in una violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. in quanto aveva sostituito alla
domanda effettivamente proposta dalla parte e volta ad ottenere la declaratoria
di nullità di una delibera condominiale di ripartizione di oneri condominiali,
proponibile nei confronti del solo amministratore del condominio, con un'altra
domanda, non effettivamente formulata, di impugnazione di una delibera di
approvazione delle tabelle millesimali, che avrebbe dovuto essere proposta nei
confronti di tutti i condomini).
Tale pronuncia si iscrive nell’orbita di un consolidato orientamento della Corte di
legittimità a mente del quale l'indagine interpretativa sul contenuto della
domanda eseguita dal giudice di merito costituisce giudizio in fatto, sottratto al
controllo di legittimità della Cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza,
coerenza e completezza della motivazione e, quindi, senza che la Suprema Corte
possa, al fine di ricostruire l'esattezza o meno dell'interpretazione data dal
giudice di merito, accedere agli atti del giudizio diversi dal ricorso, dal
controricorso e dalla sentenza impugnata: in tal senso, sentenze sia delle sezioni
civili ordinarie (1985/5005; 1987/3725 1987/3879; 1995/2113; 199709314;
2001/3016; 2001/6066) che della sezione lavoro (1998/10101; 2001/3094).
Altre pronunce, dal canto loro, pur non ponendosi in patente contrasto con
l'orientamento sopra richiamato, ne approfondiscono il particolare profilo
dell’esame degli atti, ammettendo che il prospettato errore di interpretazione
della domanda possa talvolta essere configurato come error in procedendo, e di
conseguenza possa consentire alla Cassazione di esaminare gli atti del giudizio di
merito; si sottolinea, in particolare, che questa possibilità appare legittima nel
caso in cui l'errata interpretazione si traduca in una violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dettato dall'art. 112 cod. proc. civ., e,
quindi, non solo di una errata interpretazione della domanda si tratti, ma di una
errata interpretazione che abbia determinato una omessa pronuncia, o una
pronuncia su una domanda non proposta (si innestano nel filone di questo
secondo orientamento le sentenze 1990/5383; 1997/3782; 199810337;
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1999/2574; 2002/6526, nonché le sentenze della sezione lavoro 1993/1988;
2001/7049). Di particolare efficacia e chiarezza espositiva, la sentenza
1998/10337 contiene, in motivazione, una chiara distinzione tra le possibili
situazioni che astrattamente possono risultare sottoposte al vaglio della Corte di
legittimità, concludendo che "spetta al giudice di primo grado il compito di
definire il contenuto e la portata delle domande avanzate dalle parti, identificando
e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del
provvedimento richiesto (cosiddetto petitum), nonché il complesso degli elementi
della fattispecie da cui derivino le pretese dedotte in giudizio (cosiddetta causa
petendi), mentre al giudice di appello è devoluta la facoltà di procedere, a sua
volta, ad una nuova qualificazione giuridica dei suddetti elementi, purché
circoscritta entro i limiti dei fatti originariamente prospettati dalla parte, con la
conseguenza che il ricorso per cassazione con il quale, senza prospettare vizi
motivazionali, venga censurato l'errore del giudice di merito nel compimento di
detta operazione ermeneutica, soggiace alla sanzione della inammissibilità, alla
quale esso resta, invece, sottratto quando l'errore venga fatto valere quale vizio
riconducibile alla previsione dell'art. 112 cod. proc. civ. (a norma del quale il
giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa), nel
qual caso la natura del vizio (error in procedendo) comporta l'estensione del
sindacato di legittimità anche al fatto, con conseguente esame diretto degli atti
processuali da parte della Corte di Cassazione)".
All'interno di questo secondo gruppo di pronunce pare opportuno segnalare che
una di esse sembra predicare una ulteriore e più ampia nozione dell'error in
procedendo (Cass. 2001/7049, sezione lavoro, est. Toffoli), in particolare laddove
si precisa che la Corte deve procedere all'esame e alla valutazione diretta degli
atti non solo in caso di omessa pronuncia, di pronuncia su domande non proposte
o ultra petita, ma anche "quando, in sede di legittimità, si constati, attraverso il
controllo della correttezza e della congruità della motivazione, la censurabilità in
concreto dell'operato del giudice di merito nella interpretazione delle domande".
Anche in riferimento a quest'ultima serie di ipotesi si è, pertanto, ritenuta
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astrattamente predicabile la configurabilità della fattispecie dell’errore in
procedendo, evidenziando la necessità che il giudizio di cassazione si dipani, in
camera di consiglio, secondo un preciso iter, funzionale all’identificazione della
materia del contendere, ritenendo di conseguenza ammissibile l'accesso agli atti
del giudizio di merito da parte della Corte sia nell'ipotesi che il giudizio di
legittimità termini con una pronuncia di cassazione senza rinvio, sia che si
concluda con la cassazione con rinvio finalizzata all'esame nel merito delle
domande effettivamente proposte.
Alla luce delle osservazioni che precedono, questo collegio ritiene
legittimamente predicabili, in linea di principio, le seguenti affermazioni:
1) la censura di omesso esame della domanda, ovvero di pronuncia su
domanda non proposta, si iscrive tout court nell’orbita della violazione
dell’art.112 c.p.c. per mancanza di corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato: si prospetta, di talché, direttamente e immediatamente, la
sussistenza di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di
legittimità ha il potere dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde
acquisire gli elementi necessari ai fini della richiesta pronuncia;
2) la censura di erronea interpretazione del contenuto o dell’ampiezza
della domanda inferisce, nella sostanza, un tipico accertamento di fatto,
riservato al giudice di merito e insindacabile in Cassazione salvo che sotto il
profilo della erronea, insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione della
decisione impugnata;
3) la censura di omessa, contraddittoria, insufficiente (e, in definitiva
erronea) motivazione non consente, in linea generale, al giudice di
legittimità l’esame diretto degli atti di causa, stante (tra l’altro) il principio
dell’autosufficienza del ricorso per cassazione;
4) la censura di omessa, contraddittoria, insufficiente (e, in definitiva
erronea) motivazione, qualora lamenti un vizio procedurale in cui sia
in ipotesi incorso il giudice di merito, non potendo direttamente ed
autonomamente investire detto vizio di censura (qualora lamenti, se si
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vuole, una sorta di error in procedendo “indiretto” o di secondo grado),
consente, invece, tale esame degli atti, anche se l’intervento della Corte
potrà e dovrà sempre e soltanto appuntarsi sul profilo motivazionale della
sentenza.
Ne consegue che, ove all’esame della Corte venga sottoposta la questione
della sussistenza o meno di un vizio di ultrapetizione in cui sia incorso il
giudice di merito, e si lamenti che tale vizio sia stato, a torto o a ragione,
rilevato dalla Corte di appello con riferimento alla decisione di primo grado, la
doglianza del ricorrente, formalmente inerente ai (soli) aspetti motivazionali
della sentenza d’appello, lamenterà, in realtà, proprio l’erroneità di tale
decisione sub specie della (erroneamente) riscontrata ultrapetizione in cui
sarebbe incorso il primo giudice, rientrando, così, nella categoria di cui al
punto 4 sopraindicato.
Vere le premesse di cui sopra, è indubitabile dunque che la Corte abbia, in tal
caso, facoltà di accesso diretto agli atti, onde accertare se, in linea di ipotesi
esemplificativa, effettivamente in primo grado il tribunale si sia pronunciato
operando una mutatio libelli ex officio, ovvero si sia limitato ad un (sia pur
cospicuo) ampliamento dell’originario thema decidendum e dell’originario
petitum, riservando ad indagini tecnico-specialistico ed alle risultanze di
elaborazioni peritali tale ampliamento onde accertare, funditus, l’esistenza di
profili di colpa professionale specifici ed tecnicamente approfonditi rispetto alle
tematiche originariamente sottoposte al suo vaglio: ampliamento, dunque, che
avrebbe comportato indagini tecnico-scientifiche sicuramente non ricomprese e
non menzionate nella domanda originariamente introduttiva del giudizio, ma non
“nuove” rispetto ad essa, rispetto, cioè, alla sua originaria portata semantico-
contenutistica.
Sembra, pertanto, potersi legittimamente sostenere che il principio secondo il
quale, in definitiva, pur gravando sull’attore l’onere di allegare i profili concreti di
colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere
non si spinge sino alla necessità di enucleazione ed indicazione di specifici e
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peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili
soltanto dagli esperti del settore (ché, diversamente opinando, si finirebbe per
gravare il richiedente di un onere supplementare, quanto inammissibile, quale
quello di allegare, sempre e comunque, un accertamento tecnico preventivo onde
supportare l’atto introduttivo del giudizio delle necessarie connotazioni tecnico-
scientifiche), sufficiente essendo, per converso, la contestazione dell’aspetto
colposo dell’attività medica secondo quelle che si ritengano essere, in un dato
momento storico, le cognizioni ordinarie di un non-professionista che,
espletando, peraltro, la professione di avvocato, conosca (o debba conoscere)
l’attuale stato dei possibili profili di responsabilità del sanitario (omessa
informazione delle conseguenze dell’intervento, adozione di tecniche non
sperimentate in luogo di protocolli ufficiali e collaudati, mancata conoscenza
dell’evoluzione, in una determinata branca, della metodica interventistica nota
invece al constans atque diligens homo, ecc.), oltre ai classici criteri di
imprudenza, imperizia e negligenza dell’operatore, i cui aspetti sono, oggi, a loro
volta profondamente mutati sotto l’aspetto definitorio-contenutistico.
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