CLAUDIO MARCANDALLI...UN PONTE TRA SOGNO E REALTÀ 11 di felicità che viene a crearsi in assenza...

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CLAUDIO MARCANDALLI Un viaggio tra il mondo adulto e quello infatile attraverso l’animazione

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CLAUDIO MARCANDALLI

Un viaggio tra il mondo adulto e quello infatile attraverso

l’animazione

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Claudio Marcandalli 5C Anno scolastico 2014-2015

www.claudiomarcandalli.it

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SOMMARIOI due mondi pag 6 .

Disney: il magico universo pag 9 .Warner Bros: folli non per caso pag 12.

Anime: tra fantastico e concreto pag14 .

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Due mondi diversi. Due mondi assai distanti ,ma così vicini. Due mondi che non potrebbero essere concepiti l’ uno senza l’ altro. Eh si, parlo proprio del mondo infantile e di quello adulto. Ma perchè diversi? Perché in fondo, crescendo, ten-diamo ad abbandonare il mondo di cui facevamo parte, come se esso ci fosse estraneo e dimentichiamo la nostra parte infantile. Ci ritroviamo a voler essere indipendenti, forti, capaci di superare gli ostacoli da soli, a vivere in funzione di noi stessi e del nostro piacere.Perdiamo ,in un certo senso, la capacità di chiedere scusa, perdono, aiuto. Ci estraniamo da quello che eravamo, ed è proprio qui che avviene lo strappo tra i due mondi, uno strappo che fa male a noi, ma ,soprattutto, al mondo infantile, con il quale diventa difficile comunicare. E’ proprio questa difficoltà nel comuni-care che porta i bambini ad essere compresi e conseguentemente tristi. E in un futuro, quando anche loro abbandoneranno il mondo dell’ infanziae percorre-ranno la stessa strada che ha percorso chi è venuto prima di loro. Una società permeata dall’ indifferenza e dall’ egoismo, dove chi non riesce ad affermarsi e a crescere è costretto alla solitudine, all’ insicurezza, all’ insoddisfazione, alla sof-ferenza, e comunque a dipendere da qualcuno, poiché la propria crescita come persona non è avvenuta nel naturale flusso. E la colpa è proprio dell’ incapacità degli adulti di comprendere sé stessi e di rapportarsi con il mondo al quale un tempo erano appartenuti.

I DUE MONDI

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UN PONTE TRA SOGNO E REALTÀ

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Ma riflettiamo un attimo, che cosa cambia quando si diventa adulti? Quali sono le differenze sostanziali ? Come descrive Giulio Cesare Giacobbe, fondatore della psicologia evolutiva, l’ adulto: ha sicurezza di se stesso, supporta il disagio , non dipende da nessuno, non ha bisogno dell’ approvazione degli altri, non ha paure immaginarie, accetta la vita così com’ è e si adatta. Diciamo che possiamo in-tendere l’ adulto come una sorta di Tarzan,che una volta lasciato solo ha dovuto imparare a sopravvivere con le sue sole forze. Inoltre l’ adulto ha una grande capacità di vita sociale, ma non è capace di sottomissione, non sa giocare, viaggiare con la fantasia e soprattutto non si dedica agli altri. Ecco cosa significa personalità adulta.Al contrario troviamo il bambino, che: non ha sicurezza in sé stesso, dipende sempre da qualcun altro e pretende una dedizione esclusiva e assoluta. Esatta-mente, il bambino vive nella paura, nella paura di non saper affrontare le minac-ce, i pericoli, le difficoltà ed è proprio questo che lo porta a non accettare la realtà e a volere ciò che non c’è.Eppure è tuttora un ideale diffuso che l’ infanzia sia il periodo più felice e spen-sierato di tutta la vita; beh forse sarebbe un po’ da rivedere il concetto di felicità. Comunque la personalità del bambino non ha solo aspetti negativi, anzi al con-trario dell’ adulto egli sa sottomettersi, chiedere perdono e aiuto, ma soprattutto sa giocare sa Creare.Come ho detto prima sono proprio questi aspetti che tendiamo a occultare, perdendo una parte fondamentale di noi stessi senza la quale l’ arte, come ogni produzione creativa, non sarebbe esistita; è infatti la nostra parte infantile, la no-stra parte più irrazionale ad essere il fulcro della nostra fantasia e creatività, che sono tra le massime espressioni delle capacità umane.

Ecco perché ogni bambino dovrebbe essere libero di esprimere la propria fanta-sia al massimo, dovrebbe essere lasciato spazio alla sua creatività, in modo tale che rimangano radicate nella sua persona e gli diano una sicurezza in più rispetto alle sue capacità. Purtroppo è la nostra società che pone degli standard e si focalizza sulla produttività e sul guada-gno, non lasciando spazio alla realizzazione dell’ individuo e alla sua fantasia.

Fortunatamente non tutta la nostra società segue queste determinate regole, ne sono un esempio le realizzazione di tutti quei prodotti che implicano l’utilizzo della creatività e della fantasia a partire dalle varie pubblicità fino ad arri-vare ai prodotti di intrattenimento. Ed è proprio su uno di questi prodotti di intrattenimento che vorrei approfondire questo argomento, secondo me un vero e proprio pon-te che riesce ad accomunare i due mondi di cui prima parlavo, un ponte che cavalca in pieno la creatività per scoprire i nostri nervi scoperti.Rullo di tamburi!!! Sto parlando dell’ ANIMAZIONE, dei

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disegni animati, si intenda, non quella degli oratori, feste, villaggi turistici, ec-cetera.Ma perché proprio l’ animazione? Per che l’ animazione, che viene sempre con-siderata erroneamente come un prodotto per bambini e trattata con sufficienza, ha la capacità di trasmetterci dei messaggi in maniera differente rispetto alla riproposizione del mondo reale. Nell’ animazione troviamo la libera espressione creativa dei vari autori dell’ opera, proprio perché i personaggi, a differenza del fumetto, vengono animati, cioè prendono vita, si muovono, è come se il realiz-zatore donasse parte della sua anima alla sua creazione. Ed è proprio questo donare che esprime al massimo la creatività di una persona.Molto spesso però l’ animazione, come qualsiasi altro prodotto di intrattenimen-to, viene pensata con il solo scopo di lucrare, perché infatti è vero che uno stu-dio di produzione ha dei dipendenti e questi ultimi devono pure mangiare, ma al di là di questo per capire un determinato target di pubblico bisogna capirlo, bisogna arrivare a provare empatia per esso e diventa quindi molto importante la nostra parte umana ed emotiva. Pensiamo a Walt Disney, il padre dell’ ani-mazione come la conosciamo oggi: quando ha incominciato la sua avventura non pensava certo al guadagno del suo studio, tant’ è che nei suoi primi anni di attività a malapena riusciva a rientrare nelle spese, ma anche dopo il suo suc-cesso mondiale la sua volontà è sempre stata quella di realizzare i propri sogni e investire i guadagni nella propria attività, lasciandoci dei capolavori che ancora

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UN PONTE TRA SOGNO E REALTÀ

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Volendo analizzare l’ animazione Disney rispetto al tema dell’ opposizione del mondo adulto e quello in-fantile, si hanno risultati piuttosto controversi. Ma pri-ma una piccola digressione.Siamo alla fine degli anni 20’ e Walt Disney con l’ aiuto del fratello Roy riesce finalmente ad aprire il suo studio di animazione e da subito Mickey (da noi To-polino) diventa il protagonista principale dei suoi corti. Ma la vera innovazione di Disney arriva con Steam-boat Willie ( Willie del vaporetto) perché in questo cor-to Walt ha la brillante idea di sincronizzare il sonoro, in questo caso una sinfonia, all’ immagine, realizzando il primo vero e proprio cartoon sonoro della storia. Da qui proseguirà con le varie Silly Simphonies, corti che riprendono la stile di Steamboat Willie, fino ad arrivare alla realizzazione del primo cartoon a colori Tree and

DISNEY: IL MAGICO UNIVERSO.

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flowers.Ma il vero azzardo, la vera scommessa di Walt Disney fu sicuramente la realiz-zazione del primo lungometraggio animato, Biancaneve e i sette nani , infatti gli altri studi di animazione consideravano Walt un pazzo a voler realizzare qualco-sa del genere, per l’ elevato rischio che quel progetto poteva avere. Il progetto inizia , infatti, nel 35’ per poi concludersi nel 37’, ma già due anni prima venivano sperimentate nuove tecniche di animazione che rendessero il prodotto qualita-tivamente elevato, come Walt voleva, come ad esempio l’ utilizzo di una cine-presa a piani multipli per rendere maggiore il senso di profondità degli sfondi. E così dopo due anni di produzione, con più o meno 750 animatori al lavoro e i fondi talmente agli sgoccioli, Walt è costretto a chiedere un prestito alla Bank of America, mostrando un inedito del film come garanzia. Il film esce nelle sale ed è un successo, tanto che con i guadagni Walt deciderà di ampliare lo studio e continuare la ricerca per produrre nuoviprodotti d’ animazione e non .Fino a lasciarci, purtroppo nel 1966.

Ma ricollegandoci al discorso precedente, nell’ animazione targata Walt Disney è presente un’ analisi molto soggettiva, ma molto interessante, dei due mondi prima citati. Sicuramente l’ impegno di Walt Disney non era solo quello di diver-tire, intrattenere, ma voleva trasmettere anche una valenza sociale.Possiamo notare come ad ed esempio la figura del padre non sia mai una figura positiva, e neanche determinante; molto spesso la figura paterna non è presen-te, come ad esempio in Biancaneve, Cenerentola e in questo caso chi ricopre il ruolo genitoriale figura tra i cattivi, ma su questo approfondiremo dopo. Oppure la figura del padre viene mitizzata, come ad esempio in Bambi dove il padre non si vede quasi mai, ma è comunque una “presenza” potente di autorità, una sorta di dio che veglia sulla foresta.Disney infatti dice:” Dove è il male, il bene sta nell’ assenza di quello” e qui rien-tra la storia personale di Walt: infatti come riportano le sue biografie ufficiali, suo padre, Elias Disney, non sembrava essere quello che noi definiremmo un buon padre, ma proprio tutt’ altro; egli era solamente interessato a indottrinare in pro-pri figli secondo i suoi ideali religiosi e socialisti, pretendendo che lavorassero senza praticamente nessun compenso, e sfociando alle volte in atti violenti. Ed è proprio l’ autorità del padre che Walt vuole ,in un certo senso, criticare, ma che allo stesso tempo erediterà. Se si analizzano le suo produzioni, soprattutto nei lungometraggi si nota come sia sempre presente questo conflitto tra il bene e il male, tra mondo infantile e mondo adulto, dove appunto gli adulti, anche se non così esplicitamente, ricoprono il ruolo di cattivi. Infatti sono i cattivi a voler pianificare il mondo e a voler determinare l' ordine, sono i cattivi a rendere infelici gli indifesi ed è proprio questo che rispecchia la critica di Disney. Dal canto loro, però, i cattivi sono personaggi assai più interessanti dei protagonisti, non tanto a livello di carat-terizzazione, ma per quello che rappresentano, cioè le qualità negative dell’ uomo. I protagonisti, a differenza loro, hanno sempre fiducia nel futuro e in un certo senso devono crescere, distruggere il male per poi bloccare quell’ attimo

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UN PONTE TRA SOGNO E REALTÀ

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di felicità che viene a crearsi in assenza del male. Questo avviene sempre con l’ aiuto di qualcuno, ma finalizzato all’ esaltazione del singolo, un opinione , ap-punto che si sposa bene con l’ ideale americano del self-made man, l’ uomo che si è fatto da solo. In Disney troviamo infatti la volontà di far emergere esclu-sivamente il singolo individuo, insieme alla collettività sì, ma sempre e solo uno.Sicuramente un’ altra particolarità è come traspare la sua posizione nei con-fronti della mentalità infantile e dell’ inesperienza, che al contrario del resto della “sfera” infantile viene criticata. Possiamo notarlo in una sequenza, animata fan-tasticamente, di Bambi dove il coniglietto Thumper, Tamburino in Italia, dopo aver visto Bambi appena nato muoversi goffamente esclama:” Non cammina molto bene, vero?” e subito viene ripreso dalla mamma, che, diciamo, lo umilia pubblicamente, comportandosi lei da canaglia e non facendosi scrupoli. Se si fosse comportata davvero in maniera educativa, avrebbe dovuto spiegare a Thumper in un secondo momento, con dolcezza, perché un conto è insegnare l’ educazione un altro è mostrarla . D’altronde in quella sequenza Milt Kahl, un animatore, dimostra in soli 16 secondi la sua bravura, ma soprattutto la sua sensibilità riuscendo a esprimere tutta l’ ingenuità e successivamente il disagio del coniglietto, sentendo talmente tanto le emozioni da riuscire a trasmetterle.Un episodio analogo si presenta in Fantasia, precisamente quello realizzato sul poema sinfonico di Paul Dranks, L’ appendista stregone, dove appunto Mikey dopo ad aver disobbedito alle regole dello stregone, che non a caso si chiama Yen Sid, si trova nei pasticci e combina un disastro. Quando lo stregone torna e sistema tutto il suo sguardo è severo, è come se da parte sua non ci voglia essere nemmeno un tentativo di comunicazione, ed è proprio qui che sta l’ ambiguità di Disney che pur capendo i problemi del bambino si schiera dalla parte dell’ autorità.

Quindi se nell’ animazione Disneyana troviamo quella critica al mondo adulto e l’ esaltazione delle qualità del mondo infantile, alla fine l’ ideale di fondo non si discosta molto da quello della buona educazione impartita attraverso l’ autorità , che da un certo pun-to di vista funziona, poiché in fondo se si è ancora bambini non si può pretendere di prendere decisioni importanti perché non si hanno ancora le capacità e le conoscenze necessarie, ma allo stesso tempo

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A differenza di Walt Disney, che vuole che nei suoi film di animazione si man-tenga una certa credibilità (cioè alle volte i personaggi si trovano in situazioni inverosimili, ma mantengono comunque quella coerenza che li rende per-fettamente credibile), negli studi Warner Bros più o meno negli stessi anni di successo di Disney, Friz Freeleng, Tex Avery e Chuck Jones non la pensano allo stesso modo e fanno del metalinguaggio la propria arma. Nascono così i Looney Tunes, che appunto si avvalgono della propria natura animata per realizzare scene sostanzialmente impossibili, creando ad esempio il cliché del personaggio che cade solamente dopo essersi reso conto di stare ne vuoto, ma rendono partecipe lo spettatore della propria finzione. Molto spesso, infat-ti, i personaggi interloquiscono con lo spettatore e la frase che compare alla fine di ogni episodio “That’s all folfks”( è tutto, gente) denota questo carattere scherzoso che vuole, per così dire, svelare il trucco cinematografico.

Ma oltre a questo, se da Walt Disney abbiamo un’ idea di rispetto nei confronti dell’ autorità, e di rispetto delle idee di educazione che idealizzano i bambini

WARNER BROS: FOLLI NON PER CASO.

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come li vuole il modo adulto, dagli studi Warner abbiamo una diretta reazione; loro vogliono rompere gli schemi e proprio grazie alla loro tecnica di metalin-guaggio ci riescono e si liberano così da tutte le regole. Il loro intento, difatti, è proprio quello di dire: “non credete a quello che state vedendo perché dietro ci siamo noi, è tutta finzione”. I protagonisti delle loro vicende, ma anche gli stessi autori che ci stanno dietro, sono, quindi, dei bambini che hanno le co-noscenze e le possibilità per esprimersi appieno. In tutto l’ universo dei Looney Tunes i personaggi sono infatti legati all’ infanzia, ma ad un infanzia libera, un’ infanzia selvaggia, un’ infanzia dove ricercano la loro vera personalità e identità. D’altronde non è tutto tranquillo neanche qui, anzi la tranquillità sembra essere proprio l’ obbiettivo finale di questi personag-gi che si ritrovano a dover sopravvivere, e proprio per questo entrano in con-flitto tra loro, un conflitto che molto spesso si rifà sempre a quello del mondo infantile e di quello adulto, il conflitto del crescere, dove i protagonisti non si piegano all’ autorità, ma molto spesso la sbeffeggiano.Nei cartoon Warner traviamo spesso il cosiddetto protagonista inetto, cioè che vuole crescere, vuole diventare ciò per cui è fatto per essere, ma a dif-ferenza della letteratura dei primi del 900’, il protagonista qui non si rassegna e continua imperterrito nella sua crociata, senza però riuscirci mai. Lo sono Gatto Silvestro, Wile E. Coyote, lo è Daffy Duck, con qualche eccezione, e lo sono tutti i cattivi della serie. Questi personaggi, come dicevo, sono degli adulti mancati, che vorrebbero diventare tali, ma in qualunque modo ci provi-no, falliscono. Hanno comunque dalla loro parte la simpatia e la compassione dello spettatore, che preferisce decisamente loro alla controparte. Caso totalmente a parte è Bugs Bunny: lui è infatti un vincente, talmente vin-cente che alle volte sembra quasi stufo di vincere, ed è quello che più di tutti si avvale della sua natura animata, una scelta tutt’ altro che casuale. Bugs Bunny infatti è fondamentalmente un bambino; un bambino che ha imparato a sopravvivere con le proprie forze. A lui non interessa crescere, ma preferi-sce vagare senza meta, come se stesse viaggiando nella propria fantasia.

Nei Warner Studios troviamo quindi una forte critica all’ autorità, che molto spesso rispecchia la situazio-ne di gerarchia degli Studios stessi, e all’ educazio-ne tradizionale, oltre che al mondo adulto, che qui appare anche più immaturo di quello infantile.Il grande pregio di questi cartoon rimane quindi, quello di fare, a modo loro, riflettere sulla ricerca dell’ identità, parodiando un po’ tutto ciò che la ostacola.

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ANIME: TRA FANTASTICO

E CONCRETO.In ultimo vorrei parlare di Anime, cioè dell’ animazione giapponese, nome che deriva dall’ abbreviazione dalla traslitterazione giapponese del termine inglese animation, quindi in sostanza lo potremmo benissimo chiamare anche cartoon giapponese, no? L’ animazione giapponese prende sicuramente spunto dalle antiche tradizio-ni del paese, ma nasce precisamente nel 66’, sotto l’ influenza del cartoon americano. A differenza di quest’ ultimo nasce sonoro e televisivo e trae le sue origini dai manga, i fumetti giapponesi, che più sono corposi e più sono di successo. Negli Anime troviamo quindi trame più adulte e i temi vengono trattati in maniera più diretta.Ma ricordiamo che siamo negli anni 60’, e in quegli anni i budget dei prodotti televisivi giapponesi non permettevano livelli qualitativi paragonabili a quelli di Disney. Allora Osamu Tezuka, inventore prima della tecnica manga che stra-

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UN PONTE TRA SOGNO E REALTÀ

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volge il fumetto abolendo la griglia standard introducendo per la prima volta la griglia dinamica, stravolge anche l’ animazione, proprio perché aveva a disposizione un budget piuttosto ridotto. Tezuka prende infatti spunto dal sua manga, Astroboy ed eliminata l’ idea di relizzare dodici disegni per secondo e di fare il verso a Disney , si inventa un nuovo linguaggio, un linguaggio sog-gettivo che lascia molto spazio all’ immaginazione dello spettatore. Nell’ Anime non abbiamo, quindi, la cosiddetta fluidità ma l’ animazione è realizzata tramite pochi disegni e giochi di inquadrature, cioè i personaggi si muovono solo il necessario, e molto spesso si vedono immagini fisse con attimi di riflessione, mentre altre azioni vengono fatte semplicemente percepire, insomma una sorta di fumetti animati. Viene quindi a crearsi un linguaggio fatto di pause, di attimi dove molto spesso è lasciato molto spazio alla soggettività e all’ inte-riorità dei personaggi. Tutto questo un po’ come conseguenza di un budget ridotto e un po’ per scelta, crea un nuovo stile completamente diverso da quello americano, uno stile con grande capacità di coinvolgimento, che attira lo spettatore in un uno stretto rapporto con i personaggi, nei quali è più facile immedesimarsi. Anche l’ utilizzo di grandi occhi per i personaggi è, a suo modo, finalizzato a questo, per comunicare il desiderio dei personaggi di la-sciarsi guardare dentro. Anche se viene ad attribuita a Tezuka la responsabili-tà di questa caratterizzazione dei personaggi, possiamo notare come nei suoi disegni egli abbia preso spunto dall’ animazione americana, soprattutto dai fratelli Fleisher, autori di Braccio di ferro, e che tutti i prodotti usciti in seguito si siano ispirati a lui.Ma la grande innovazione sta nelle tematiche trattate, infatti citando sempre Luca Raffaeli:” L’ anime è spesso intriso di suggestioni epiche, sacrali, apoca-littiche. Tutto il contario della insostenibile leggerezza o della leggiadria del car-toon televisivo americano prima dei Simpson. Per gran parte dei personaggi giapponesi l’ esito dell’ impegno è questione di vita o di morte. Si lotta con il nemico, contro le proprie debolezze, contro le avversità della vita, ma ce la si deve fare perché altissimo è il fine da raggiunge-re: la costruzione di una propria identità contro l’ omologazione richiesta dal mondo esterno”.Grande parentesi sarebbe da aprire per i lun-gometraggi che si discostano dalle varie serie televisive in quanto qualità e tecnica. Grazie alla capacità narrativa di molti autori è stato sconfitto il luogo comune secondo cui un film d’ animazio-ne sia bello solo se è animato dalla Disney. Tra tutti gli studi di animazione proprio uno, lo Studio Ghibli, riesce ad esprimere al massimo quello che è il linguaggio dell’ animazione. Studio Ghibli che viene fondato dai maestri Isao Takahata e il suo allievo Hayao Miyazaki. A Takahata che per la prima volta riesce a far entrare la realtà vera e cruda nell’ animazione, segue Miyazaki che

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riprende la forma del maestro, ma la trasforma, la arricchisce di una nuova mi-tologia, una nuova forma poetica, perché e questo che sono i suoi film, delle poesie animate. Miyazaki riesce a essere regista, sceneggiatore, disegnato-re e direttore allo stesso tempo, riuscendo a sviluppare idee e concetti che dimostrano la sua grande creatività, esponendo tematiche di un certo spes-sore. I film di Takahata e Miyazaki, infatti, non vogliono essere una parentesi di vita, ne un episodio rassicurante che vuole portarci un sorriso: i loro film sono esperienze, allegorie che ci riguardano in prima persona come se qualcuno avesse fermato per noi attimi, visioni che ci sono familiari. Ed proprio questa forte carica allegorica, questa voglia di suscitare emozioni che diventa proprio il fulcro di questa produzione, che riesce attraverso la fantasia e la creatività a trattare temi seri e a noi vicini.Ma quindi perché l’ animazione giapponese è così tanto apprezzata e allo stesso tempo criticata?Partendo dal lato critico si può dire da subito che come ci sono prodotti di ot-tima qualità sia a livello di temi trattati sia a livello più tecnico, ci sono un sacco di prodotti, diciamo, pessimi. Il problema però non è questo: il problema sta molto spesso nel pregiudizio. Il pregiudizio diventa, in sostanza, una comodità, fa sempre comodo dire: “non lo conosco, non mi piace.” e sta proprio qua l’ errore che commettiamo molto spesso, non solo nei confronti dell’ animazio-ne, ma nella quotidianità. Ed è proprio per colpa di questo pregiudizio che si va a creare uno strappo comunicativo tra gli adulti e i ragazzi, e a proposito di questo Marcello Bernardi scrive, nel suo Gli imperfetti genitori:” Ho l’ im-pressione che al di fuori degli ordini, dei divieti e dei richiami, ai bambini non si dica nulla”. E ancora:” Occorre capire gli interessi dei bambini, entrare nel loro mondo e vederlo un po’ con i loro occhi. Diciamo la verità, sono pochi gli adulti che ci riescono. Chi è che ha la pazienza di ascoltare le lunghe incon-cludenti fantastiche storie di un bambino, le sue stravaganti descrizioni dell’ asilo, i suoi progetti bizzarri e inverosimili?” E’ proprio così che il pregiudizio, o meglio la mancanza di volontà ci fa perdere una parte di noi stessi, una parte che è capace di scherzare e sorridere alle avversità. Proprio questo è lo strap-po che diventa, quindi tema principale dell’ animazione giapponese, che più di tutte rappresenta questo conflitto generazionale, e proprio per questo riesce a piacere di più a un pubblico adolescente.Non a caso i protagonisti sono spesso personaggi insicuri, dalla corporatura gracile, molto spesso emarginati, che tramite l’ utilizzo di un mezzo, che può essere un’ armatura, un robot oppure dei poteri speciali, hanno la possibilità di opporsi e combattere contro il nemico. Sempre però questa non è una batta-glia voluta, è più che altro la necessità di contrastare la sopraffazione, e gli eroi giapponesi si schierano sempre dalla parte del bene e del giusto, anche se non hanno la forza per ristabilire una situazione di dialogo. Ed è proprio così che nel cartoon giapponese l’ ideale che primeggia è proprio quello del sacrifi-cio del singolo, o dei singoli per il bene della collettività, che un po’ rispecchia l’ idea della cultura giapponese, in contrasto invece con l’ ideale Disney.

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UN PONTE TRA SOGNO E REALTÀ

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In conclusione credo che abbiate capito come mai ho voluto scegliere l’ ani-mazione per descrivere questo divario tra il mondo adulto e quello infantile, perché per quanto spesso voglia criticare il mondo adulto, riesce ad essere un ponte di connessione, un ponte fatto di immagini che ci pone davanti alla realtà, ma non come la conosciamo, una realtà fatta di fantasia creatività, magnifica come quando ci sembrava da bambini. Ecco perché è il mondo adulto che deve capire cosa significa essere genitori e andare incontro a quello infantile, da cui non si può pretendere il primo passo. Perché i bambini non vanno fatti crescere prematuramente, ma stimolati nel flusso naturale della crescita in modo che diventino dei veri adulti. Per creare questo legame non è necessario farsi piacere ciò che piace ai ragazzi e ai bambini forza-tamente. Bisogna far sì che queste nuove forme culturali suscitino in noi un vero interesse, insomma bisogna sconfiggere il pregiudizio e aprirci a questo mondo, che all’ inizio può spaventare, ma che in fondo stravolge il nostro modo di pensare e di essere.Bisogna costruire quel ponte. Diversamente potrà esserci solo un vuoto incolmabile.

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Bibliografia -Le anime disegnate, Luca Raffaeli -Alla ricerca delle coccole perdute, Giulio Cesare Giacobbe

Sitografia -http://gestaltbologna.it/conflitto-generazionale -https://it.wikipedia.org/wiki/Walt_Disney -https://it.wikipedia.org/wiki/Looney_Tunes -https://it.wikipedia.org/wiki/Anime

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