Classici Stranieri

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia e cultura degli arabi fino alla mortedi MaomettoAUTORE: Guidi, MichelangeloTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101833

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "The Scholars (1901)"di Ludwig Deutsch (1855 – 1935). - Collezione priva-ta. - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Lud-wig_Deutsch_-_The_Scholars,_1901.jpg. - Pubblico Do-minio.

TRATTO DA: Storia e cultura degli Arabi fino allamorte di Maometto / di Michelangelo Guidi. - Firenze: G. C. Sansoni, stampa 1951. - 230 p. : ill. ; 18cm.

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TITOLO: Storia e cultura degli arabi fino alla mortedi MaomettoAUTORE: Guidi, MichelangeloTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101833

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

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TRATTO DA: Storia e cultura degli Arabi fino allamorte di Maometto / di Michelangelo Guidi. - Firenze: G. C. Sansoni, stampa 1951. - 230 p. : ill. ; 18cm.

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CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 marzo 2017

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:REL037010 RELIGIONE / Islam / Storia

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected] Santamaria (ePub)Marco Totolo (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 marzo 2017

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Liber Liber

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Introduzione....................................................................8Capitolo Primo.L'Arabia e i suoi abitanti...............................................15

I. L'aspetto del paese....................................................... 16II. La conoscenza del paese............................................. 20III. Descrizione del paese................................................ 39IV. Condizioni generali poste alla vita araba dall'ambien-te...................................................................................... 52

Capitolo Secondo.Il popolo d'Arabia e la sua storia prima dell'Islam.......70

I. Le origini arabe............................................................ 71II. Le tradizioni indigene sulla preistoria di Arabia........87III. L'antica storia del Yemen........................................ 102IV. La vita delle antiche tribù beduine.......................... 154V. Il giudaismo e il cristianesimo in Arabia..................182VI. La Mecca................................................................. 200

Capitolo Terzo.Il Profeta Maometto....................................................217

I. Dalla nascita all'Ègira................................................ 218II. Maometto a Medina.................................................. 242III. L'opera di Maometto............................................... 275

Indice dei nomi propri e dei vocaboli arabi................283

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Introduzione....................................................................8Capitolo Primo.L'Arabia e i suoi abitanti...............................................15

I. L'aspetto del paese....................................................... 16II. La conoscenza del paese............................................. 20III. Descrizione del paese................................................ 39IV. Condizioni generali poste alla vita araba dall'ambien-te...................................................................................... 52

Capitolo Secondo.Il popolo d'Arabia e la sua storia prima dell'Islam.......70

I. Le origini arabe............................................................ 71II. Le tradizioni indigene sulla preistoria di Arabia........87III. L'antica storia del Yemen........................................ 102IV. La vita delle antiche tribù beduine.......................... 154V. Il giudaismo e il cristianesimo in Arabia..................182VI. La Mecca................................................................. 200

Capitolo Terzo.Il Profeta Maometto....................................................217

I. Dalla nascita all'Ègira................................................ 218II. Maometto a Medina.................................................. 242III. L'opera di Maometto............................................... 275

Indice dei nomi propri e dei vocaboli arabi................283

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STORIA E CULTURADEGLI

ARABIFINO ALLA MORTE DI MAOMETTO

DI

MICHELANGELO GUIDI

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STORIA E CULTURADEGLI

ARABIFINO ALLA MORTE DI MAOMETTO

DI

MICHELANGELO GUIDI

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L'Arabia antica secondo Tolomeo

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L'Arabia antica secondo Tolomeo

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Page 8: Classici Stranieri

INTRODUZIONE

Questo libro si propone di esporre le premesse e lo svi-luppo della vita, della cultura e della religione degliArabi e la loro funzione entro il quadro della storia deipaesi del Mediterraneo. Vuol così mettere nella sua giu-sta luce un grande aspetto della cultura umana, in cuiappare in singolare rilievo il coordinarsi di una forte tra-dizione nazionale con altre tradizioni, con altre forze re-ligiose e culturali; e ne nasce un insieme di viva origina-lità, dotato di nuova forza, chiamato a nuova funzione.Tale fenomeno in sé, quale manifestazione di storiaumana, offre il maggiore interesse per lo studioso e ilpensatore, che ne può trarre le più proficue considera-zioni sullo sviluppo della vita associata e il divenire del-lo spirito umano. Ma fare storia di arabismo non vuoldire, e già appare da quanto è detto qui sopra, rinchiu-dersi nella considerazione di un processo isolato: vuoldire, piuttosto, fare storia del complesso mediterraneo;si può dire, anzi, fare storia europea: tanti sono gli inti-mi legami che congiungono Oriente vicino ed Occiden-te, tanto è l'apporto di quello, e quindi della vita araba,alla formazione della unità europea, quale oggi noi sen-tiamo e viviamo. Asia anteriore, Iran, e per qualcheaspetto anche l'India, hanno portato indubbiamente illoro ricco contributo in varia misura, nei diversi periodidel laborioso formarsi del patrimonio spirituale, che at-

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INTRODUZIONE

Questo libro si propone di esporre le premesse e lo svi-luppo della vita, della cultura e della religione degliArabi e la loro funzione entro il quadro della storia deipaesi del Mediterraneo. Vuol così mettere nella sua giu-sta luce un grande aspetto della cultura umana, in cuiappare in singolare rilievo il coordinarsi di una forte tra-dizione nazionale con altre tradizioni, con altre forze re-ligiose e culturali; e ne nasce un insieme di viva origina-lità, dotato di nuova forza, chiamato a nuova funzione.Tale fenomeno in sé, quale manifestazione di storiaumana, offre il maggiore interesse per lo studioso e ilpensatore, che ne può trarre le più proficue considera-zioni sullo sviluppo della vita associata e il divenire del-lo spirito umano. Ma fare storia di arabismo non vuoldire, e già appare da quanto è detto qui sopra, rinchiu-dersi nella considerazione di un processo isolato: vuoldire, piuttosto, fare storia del complesso mediterraneo;si può dire, anzi, fare storia europea: tanti sono gli inti-mi legami che congiungono Oriente vicino ed Occiden-te, tanto è l'apporto di quello, e quindi della vita araba,alla formazione della unità europea, quale oggi noi sen-tiamo e viviamo. Asia anteriore, Iran, e per qualcheaspetto anche l'India, hanno portato indubbiamente illoro ricco contributo in varia misura, nei diversi periodidel laborioso formarsi del patrimonio spirituale, che at-

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traverso le elaborazioni di Grecia e di Roma e le grandireligioni monoteistiche forma il sostrato della nostrastessa vita di oggi. Che alle origini dell'antico pensierogreco sia da scorgersi un influsso d'Oriente è verità chemostrano sempre meglio le ricerche di molti dotti, e par-ticolarmente del Cumont e del Bidez,1 contro le conclu-sioni forse un poco affrettate di una critica troppo radi-cale ed unilaterale che, anche in questo campo, vuol ne-gare la connessione della vita orientale con quella elle-nica. Il periodo ellenistico vede poi arricchirsi il flussodi elementi orientali e divenir più profondo il penetraredi essi nella vita di Occidente. S'intende che non si fastoria politica o d'istituzioni di antica Grecia, di Elleni-smo e d'Impero romano senza considerare a fondo le vi-cende d'Oriente; e così importanti aspetti della vita poli-tica romana e bizantina sono condizionati dai rapporticon gli Arabi. Ma è nella cultura, nella vita del pensieroe nella religione che questo legame appare più stretto:nel favore che goderono nell'Impero romano le religioniorientali,2 nel diffondersi, nella oikumene, di apocalitticao di letteratura sapienziale del Giudaismo; e ancora nelsorgere delle tendenze gnostiche o nelle vicende del Cri-stianesimo che, nato in terra d'Oriente, diveniva in brevetempo forma di vita essenziale per l'Occidente, e si uni-

1 V. oltre a vari articoli particolari la loro opera Les Mages Hellénisés. Zo-roastre, Ostanès et Hystaspe d'après la tradition grecque, Paris, 1938 (2voll.).

2 F. CUMONT, Les religions orientales dans le paganisme romain, 4a ed., Pa-ris, 1929 (l'opera è tradotta in italiano da L. Salvatorelli, Bari, Laterza,1913).

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traverso le elaborazioni di Grecia e di Roma e le grandireligioni monoteistiche forma il sostrato della nostrastessa vita di oggi. Che alle origini dell'antico pensierogreco sia da scorgersi un influsso d'Oriente è verità chemostrano sempre meglio le ricerche di molti dotti, e par-ticolarmente del Cumont e del Bidez,1 contro le conclu-sioni forse un poco affrettate di una critica troppo radi-cale ed unilaterale che, anche in questo campo, vuol ne-gare la connessione della vita orientale con quella elle-nica. Il periodo ellenistico vede poi arricchirsi il flussodi elementi orientali e divenir più profondo il penetraredi essi nella vita di Occidente. S'intende che non si fastoria politica o d'istituzioni di antica Grecia, di Elleni-smo e d'Impero romano senza considerare a fondo le vi-cende d'Oriente; e così importanti aspetti della vita poli-tica romana e bizantina sono condizionati dai rapporticon gli Arabi. Ma è nella cultura, nella vita del pensieroe nella religione che questo legame appare più stretto:nel favore che goderono nell'Impero romano le religioniorientali,2 nel diffondersi, nella oikumene, di apocalitticao di letteratura sapienziale del Giudaismo; e ancora nelsorgere delle tendenze gnostiche o nelle vicende del Cri-stianesimo che, nato in terra d'Oriente, diveniva in brevetempo forma di vita essenziale per l'Occidente, e si uni-

1 V. oltre a vari articoli particolari la loro opera Les Mages Hellénisés. Zo-roastre, Ostanès et Hystaspe d'après la tradition grecque, Paris, 1938 (2voll.).

2 F. CUMONT, Les religions orientales dans le paganisme romain, 4a ed., Pa-ris, 1929 (l'opera è tradotta in italiano da L. Salvatorelli, Bari, Laterza,1913).

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va in varie sintesi alle forme tradizionali del pensiero el-lenico e romano, portando però in sé, indelebile,l'impronta dell'origine orientale. Nello sviluppo di nu-merose eresie, di grande portata per il divenire religioso,come il Manicheismo, e nella speculazione neoplatoni-ca, momento insopprimibile della vita della tarda anti-chità, appare sempre in varie manifestazioni questo con-fluire di elementi orientali e di elementi occidentali,condizione fondamentale della storia antica.Più tardi, quando nell'equilibrio politico creatodall'Impero Romano i due ordini di fattori si eran costi-tuiti base dello sviluppo della cultura europea,3 una nuo-va onda d'influsso orientale tornò ad agire sulla vita delmedio evo, nei suoi aspetti politici, economici, religiosie culturali. L'arabismo, e con esso l'Islamismo, esce nelVII secolo dalla patria d'origine; e attraverso una fulmi-nea conquista dà una nuova unità alla vita d'Oriente,pone un nuovo problema politico all'Occidente e creauna cultura, tipicamente orientale;4 la quale però, se daun lato poggia sulle più genuine tradizioni arabe, se an-che in nome di esse oppone sempre originale reazioneall'influsso straniero, accetta d'altra parte, e specialmen-te attraverso i Siri, il fecondo apporto della tradizione

3 Scritto d'insieme che orienta egregiamente in questa materia e giunge aconclusioni originali è quello di CHR. DAWSON, La formazione della unitàeuropea dal secolo V all'XI (trad. ital., Torino, Einaudi, 1939). V. ancheCARLO ANTONI, Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1940.

4 V. M. GUIDI, Caratteri della cultura araba, in Caratteri e modi della cultu-ra araba, Roma, R. Accademia d'Italia, 1943. Vi si sostiene il caratterefondamentalmente orientale della cultura araba.

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va in varie sintesi alle forme tradizionali del pensiero el-lenico e romano, portando però in sé, indelebile,l'impronta dell'origine orientale. Nello sviluppo di nu-merose eresie, di grande portata per il divenire religioso,come il Manicheismo, e nella speculazione neoplatoni-ca, momento insopprimibile della vita della tarda anti-chità, appare sempre in varie manifestazioni questo con-fluire di elementi orientali e di elementi occidentali,condizione fondamentale della storia antica.Più tardi, quando nell'equilibrio politico creatodall'Impero Romano i due ordini di fattori si eran costi-tuiti base dello sviluppo della cultura europea,3 una nuo-va onda d'influsso orientale tornò ad agire sulla vita delmedio evo, nei suoi aspetti politici, economici, religiosie culturali. L'arabismo, e con esso l'Islamismo, esce nelVII secolo dalla patria d'origine; e attraverso una fulmi-nea conquista dà una nuova unità alla vita d'Oriente,pone un nuovo problema politico all'Occidente e creauna cultura, tipicamente orientale;4 la quale però, se daun lato poggia sulle più genuine tradizioni arabe, se an-che in nome di esse oppone sempre originale reazioneall'influsso straniero, accetta d'altra parte, e specialmen-te attraverso i Siri, il fecondo apporto della tradizione

3 Scritto d'insieme che orienta egregiamente in questa materia e giunge aconclusioni originali è quello di CHR. DAWSON, La formazione della unitàeuropea dal secolo V all'XI (trad. ital., Torino, Einaudi, 1939). V. ancheCARLO ANTONI, Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1940.

4 V. M. GUIDI, Caratteri della cultura araba, in Caratteri e modi della cultu-ra araba, Roma, R. Accademia d'Italia, 1943. Vi si sostiene il caratterefondamentalmente orientale della cultura araba.

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classica, in particolar modo filosofica e scientifica; e ve-nuta a contatto più intimo in Spagna e Sicilia con l'Occi-dente, riporta ad esso, non senza una sua elaborazioneoriginale, una parte notevole dell'antico pensiero.La trattazione della storia araba non si limiterà a guarda-re l'arabismo nelle sue relazioni con l'Europa, ma locontemplerà in ogni suo aspetto e come fenomeno a sé,per comprendere a fondo la natura e le condizioni delsuo sviluppo.Sono ben conscio della difficoltà del compito di riassu-mere in breve la cultura araba, vista l'immensità del ma-teriale. Una nuova esposizione mira solo a rilevare lefasi essenziali, a dare alcuni fatti fondamentali, storica-mente produttivi, senza pensare di risolvere le numeroseintricatissime questioni per le quali si richiederebberospeciali monografie.5

Già appare, da quanto abbiamo detto, che qui esporremotale materia nell'intima persuasione della comunicazionefeconda tra le culture, restando egualmente distanti siadall'ellenocentrismo dello Jaeger6 sia dalle teorie pessi-mistiche dello Spengler, il quale nega ogni possibilità di5 Cfr. quanto L. CAETANI, Annali dell'Islam, V, p. 398, a proposito del proble-

ma relativo all'ordinamento fiscale sotto Omar, dice del tentativo troppoambizioso del Kremer di esporre prematuramente la storia della culturaaraba, «compito superiore alle forze di un uomo solo».

6 W. JAEGER, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, Berlin u.Leipzig, 1934. Ve ne è una traduzione italiana a cura di Luigi Emery, Fi-renze, La Nuova Italia, 1936, e l'opera completa, in tre volumi, è uscita ininglese (Paideia, the Ideals of Greek Culture, Oxford-New York, 1939-1944).

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classica, in particolar modo filosofica e scientifica; e ve-nuta a contatto più intimo in Spagna e Sicilia con l'Occi-dente, riporta ad esso, non senza una sua elaborazioneoriginale, una parte notevole dell'antico pensiero.La trattazione della storia araba non si limiterà a guarda-re l'arabismo nelle sue relazioni con l'Europa, ma locontemplerà in ogni suo aspetto e come fenomeno a sé,per comprendere a fondo la natura e le condizioni delsuo sviluppo.Sono ben conscio della difficoltà del compito di riassu-mere in breve la cultura araba, vista l'immensità del ma-teriale. Una nuova esposizione mira solo a rilevare lefasi essenziali, a dare alcuni fatti fondamentali, storica-mente produttivi, senza pensare di risolvere le numeroseintricatissime questioni per le quali si richiederebberospeciali monografie.5

Già appare, da quanto abbiamo detto, che qui esporremotale materia nell'intima persuasione della comunicazionefeconda tra le culture, restando egualmente distanti siadall'ellenocentrismo dello Jaeger6 sia dalle teorie pessi-mistiche dello Spengler, il quale nega ogni possibilità di5 Cfr. quanto L. CAETANI, Annali dell'Islam, V, p. 398, a proposito del proble-

ma relativo all'ordinamento fiscale sotto Omar, dice del tentativo troppoambizioso del Kremer di esporre prematuramente la storia della culturaaraba, «compito superiore alle forze di un uomo solo».

6 W. JAEGER, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, Berlin u.Leipzig, 1934. Ve ne è una traduzione italiana a cura di Luigi Emery, Fi-renze, La Nuova Italia, 1936, e l'opera completa, in tre volumi, è uscita ininglese (Paideia, the Ideals of Greek Culture, Oxford-New York, 1939-1944).

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Page 12: Classici Stranieri

collaborazione tra i vari complessi di vita spirituale. Ag-giungiamo, avversi ad ogni monismo, ad ogni storici-smo assoluto, ad ogni dottrina di autoctisi, ad ogni op-posta teoria del caso,7 persuasi invece della presenza diuna prònoia, di una providentia, di cui ci pare a voltepotere scorgere qualche direzione che si rivela in unalotta, in un continuo tentativo di elevazione verso unfine che sembra sfuggirci, poi fugacemente riapparire:ma la cui comprensione è il massimo scopo e la massi-ma speranza di chi si accosta con animo religioso allacontemplazione della storia.Ciò vuole anche dire che siamo persuasi della necessitàdi mettere egualmente in rilievo la forza della tradizionee il nuovo apporto delle personalità. Dobbiamo confes-sare che il ritmo di unione tra i due fattori sfugge a noicome uomini; che, pur sentendo la complementarità deidue termini, non sappiamo misurare i confini tra di essi.Ma tanto più vivo sentiamo, nello sforzo di giungere aduna definizione, il bisogno di far sempre percepire nelracconto la vita della tradizione, interpretarla sempre,per quanto ci è possibile, come preparazione al nuovoritmo di vita che continuamente lo slancio delle perso-nalità, il loro apporto, per noi imprevedibile, imprime alprocesso lasciando morte le parti caduche, delle altre fa-

7 Suadente esposizione del problema storiografico è quella di S. ACCAME, Ilproblema storiografico nell'ora presente, Roma, ed. Studium, 1943. Peruna esposizione della dottrina del caso v. il lucido articolo di ADRIANO

TILGHER, in «Religio», 1939, anche stampato a parte presso la Libreria diScienze e Lettere, Roma.

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collaborazione tra i vari complessi di vita spirituale. Ag-giungiamo, avversi ad ogni monismo, ad ogni storici-smo assoluto, ad ogni dottrina di autoctisi, ad ogni op-posta teoria del caso,7 persuasi invece della presenza diuna prònoia, di una providentia, di cui ci pare a voltepotere scorgere qualche direzione che si rivela in unalotta, in un continuo tentativo di elevazione verso unfine che sembra sfuggirci, poi fugacemente riapparire:ma la cui comprensione è il massimo scopo e la massi-ma speranza di chi si accosta con animo religioso allacontemplazione della storia.Ciò vuole anche dire che siamo persuasi della necessitàdi mettere egualmente in rilievo la forza della tradizionee il nuovo apporto delle personalità. Dobbiamo confes-sare che il ritmo di unione tra i due fattori sfugge a noicome uomini; che, pur sentendo la complementarità deidue termini, non sappiamo misurare i confini tra di essi.Ma tanto più vivo sentiamo, nello sforzo di giungere aduna definizione, il bisogno di far sempre percepire nelracconto la vita della tradizione, interpretarla sempre,per quanto ci è possibile, come preparazione al nuovoritmo di vita che continuamente lo slancio delle perso-nalità, il loro apporto, per noi imprevedibile, imprime alprocesso lasciando morte le parti caduche, delle altre fa-

7 Suadente esposizione del problema storiografico è quella di S. ACCAME, Ilproblema storiografico nell'ora presente, Roma, ed. Studium, 1943. Peruna esposizione della dottrina del caso v. il lucido articolo di ADRIANO

TILGHER, in «Religio», 1939, anche stampato a parte presso la Libreria diScienze e Lettere, Roma.

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cendo novissima materia di storia.Il criterio principale dell'esposizione sarà il cronologico,vale a dire considereremo i vari aspetti dell'arabismo neigrandi periodi nei quali si divide ormai tradizionalmentela storia araba, esponendo la vita preislamica come pre-parazione alla missione di Maometto; perché solo chiabbia posto a fondamento della sua concezione dell'ara-bismo la comprensione della tradizione preislamica edella personalità di Maometto può giungere ad una rettainterpretazione di tutto lo sviluppo dell'Islamismo e del-la storia araba. La tradizionale divisione nei periodi deiCaliffi, in quelli cioè dei cosidetti ortodossi, degli Om-miadi e degli Abbasidi, corrisponde a reali e profondimutamenti di sviluppo e può essere qui adottata. Ma uncapitolo speciale sarà dedicato agli Arabi di Europa,specialmente di Sicilia e Spagna. E dei Fatimidi e deiMamelucchi si tratterà anche a parte, come delle ultimevicende dell'arabismo fino ai tempi moderni. È qui op-portuno notare che in questo libro noi parliamo di civiltàaraba nonostante che molti suoi portatori e principalipromotori siano stati di razza differente; così innumere-voli scrittori o poeti o scienziati di nascita persiana od'altra; senza dire che intere dinastie di capi o di sovranisono state di popolo diverso dall'arabo in Oriente e inOccidente, persiano, turco, berbero o altro. Ma il fattosostanziale, che conferisce una fondamentale unità al fe-nomeno, è che li unisce tutti una tradizione linguistica,letteraria e religiosa: l'araba, per quanti elementi stra-

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cendo novissima materia di storia.Il criterio principale dell'esposizione sarà il cronologico,vale a dire considereremo i vari aspetti dell'arabismo neigrandi periodi nei quali si divide ormai tradizionalmentela storia araba, esponendo la vita preislamica come pre-parazione alla missione di Maometto; perché solo chiabbia posto a fondamento della sua concezione dell'ara-bismo la comprensione della tradizione preislamica edella personalità di Maometto può giungere ad una rettainterpretazione di tutto lo sviluppo dell'Islamismo e del-la storia araba. La tradizionale divisione nei periodi deiCaliffi, in quelli cioè dei cosidetti ortodossi, degli Om-miadi e degli Abbasidi, corrisponde a reali e profondimutamenti di sviluppo e può essere qui adottata. Ma uncapitolo speciale sarà dedicato agli Arabi di Europa,specialmente di Sicilia e Spagna. E dei Fatimidi e deiMamelucchi si tratterà anche a parte, come delle ultimevicende dell'arabismo fino ai tempi moderni. È qui op-portuno notare che in questo libro noi parliamo di civiltàaraba nonostante che molti suoi portatori e principalipromotori siano stati di razza differente; così innumere-voli scrittori o poeti o scienziati di nascita persiana od'altra; senza dire che intere dinastie di capi o di sovranisono state di popolo diverso dall'arabo in Oriente e inOccidente, persiano, turco, berbero o altro. Ma il fattosostanziale, che conferisce una fondamentale unità al fe-nomeno, è che li unisce tutti una tradizione linguistica,letteraria e religiosa: l'araba, per quanti elementi stra-

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nieri essa abbia potuto accogliere. Diversamente è per ipaesi ove la tradizione nazionale, pur dopo la conquistaarabo-musulmana, è stata risuscitata, e dove, pur rima-nendo essi collegati con mille fili all'arabismo, la mani-festazione della vita spirituale avviene nella lingua na-zionale. Così è dei regni persiani o turchi od altri chenon saranno naturalmente oggetto di studio in questatrattazione. Ed è anche indubbio, d'altra parte, che ognistoria generale di tutti i paesi islamici manca in un certosenso di una sua intima unità, perché i popoli così diver-si che hanno adottato quella stessa religione universalesono, sì, da essa congiunti ma poi profondamente sepa-rati dalla differenza delle tradizioni nazionali.

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nieri essa abbia potuto accogliere. Diversamente è per ipaesi ove la tradizione nazionale, pur dopo la conquistaarabo-musulmana, è stata risuscitata, e dove, pur rima-nendo essi collegati con mille fili all'arabismo, la mani-festazione della vita spirituale avviene nella lingua na-zionale. Così è dei regni persiani o turchi od altri chenon saranno naturalmente oggetto di studio in questatrattazione. Ed è anche indubbio, d'altra parte, che ognistoria generale di tutti i paesi islamici manca in un certosenso di una sua intima unità, perché i popoli così diver-si che hanno adottato quella stessa religione universalesono, sì, da essa congiunti ma poi profondamente sepa-rati dalla differenza delle tradizioni nazionali.

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CAPITOLO PRIMO.L'ARABIA E I SUOI ABITANTI.

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CAPITOLO PRIMO.L'ARABIA E I SUOI ABITANTI.

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I.L'ASPETTO DEL PAESE

Nello studiare lo svolgimento della vita degli Arabi vasempre tenuto presente, forse più che ogni altro, un ca-rattere di essa che sembra essere più adatto a darci ilsenso e la ragione di quella storia; e se è certamentecondiviso da altri sviluppi, appare in questo in più nettorilievo. Esso consiste nella relazione fra gli influssi, chein modo continuo vengono nei vari periodi dal di fuori adare il loro apporto alla vita degli Arabi, e la tradizione,l'insieme cioè delle attitudini, delle qualità, delle formedi vita nazionale che in vari campi e in vari modi op-pongono costantemente una viva reazione, coordinano inuovi fattori, dànno loro l'impronta d'una nuova origina-lità. Così gli Arabi antichi, ancor chiusi nei confini dellaloro penisola, non certo assorbirono passivamentel'influsso delle religioni monoteistiche, ossia Giudaismoe Cristianesimo; ma, e questo si dice di coloro che nonsi erano convertiti a queste due religioni, fecero di essecon l'Islam qualcosa di veramente nuovo, con una suainsopprimibile originalità. Così anche, quando nella faseculminante della loro potenza gli Arabi dominatori di unvasto impero trasmisero al mondo gli elementi di unanuova cultura formatasi all'ombra della loro forza politi-ca, e che ebbe il suo peso nella formazione dell'unità

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I.L'ASPETTO DEL PAESE

Nello studiare lo svolgimento della vita degli Arabi vasempre tenuto presente, forse più che ogni altro, un ca-rattere di essa che sembra essere più adatto a darci ilsenso e la ragione di quella storia; e se è certamentecondiviso da altri sviluppi, appare in questo in più nettorilievo. Esso consiste nella relazione fra gli influssi, chein modo continuo vengono nei vari periodi dal di fuori adare il loro apporto alla vita degli Arabi, e la tradizione,l'insieme cioè delle attitudini, delle qualità, delle formedi vita nazionale che in vari campi e in vari modi op-pongono costantemente una viva reazione, coordinano inuovi fattori, dànno loro l'impronta d'una nuova origina-lità. Così gli Arabi antichi, ancor chiusi nei confini dellaloro penisola, non certo assorbirono passivamentel'influsso delle religioni monoteistiche, ossia Giudaismoe Cristianesimo; ma, e questo si dice di coloro che nonsi erano convertiti a queste due religioni, fecero di essecon l'Islam qualcosa di veramente nuovo, con una suainsopprimibile originalità. Così anche, quando nella faseculminante della loro potenza gli Arabi dominatori di unvasto impero trasmisero al mondo gli elementi di unanuova cultura formatasi all'ombra della loro forza politi-ca, e che ebbe il suo peso nella formazione dell'unità

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culturale europea, essi non si fermarono alla meccanicatrasmissione di una somma di nozioni attraverso la for-ma araba di antichi testi, ma le animarono di un loro spi-rito, diedero insomma qualcosa di nuovo, secondo unareazione originale che si afferma in modo analogo invari campi. Cogliere nel giusto la natura di essa, farlasentire nei suoi effetti è la sostanza più viva di una storiadella cultura araba che non voglia essere cronaca. Ciòvuol dire che aver sempre presente la forza dell'arabi-smo, saperne misurare e cause ed effetti è il primo com-pito dello studioso di un così complesso fenomeno.Questa reazione trova ragione e vigore nel fatto che lavita degli Arabi ha assunto i suoi caratteri più tipici inun'area isolata, nella penisola cioè, circondata da deserti,donde poi mosse l'Islam alla conquista del mondo: nellaquale i predetti influssi sono giunti con debole ritmo(chi oserebbe, per esempio, paragonare la vita cristianadei convertiti d'Arabia, ovvero la forza della missione inquella terra, con il vigore delle comunità di Egitto e diSiria?) quando già il tipo, l'ideale della vita araba eracreato nelle condizioni tipiche dell'ambiente e costituivagià la base di un vero e proprio umanismo. Primo com-pito nostro è dunque di renderci conto della natura diquesto elemento tradizionale o nazionale che si affermaattraverso la sua reazione ai nuovi influssi; che è sostan-ziato di qualità superiori e di qualità deteriori e di cui sipuò in parte rintracciare la ragione in condizioni ben de-finite. Così, si può dir subito, nella natura dei Semiti, dei

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culturale europea, essi non si fermarono alla meccanicatrasmissione di una somma di nozioni attraverso la for-ma araba di antichi testi, ma le animarono di un loro spi-rito, diedero insomma qualcosa di nuovo, secondo unareazione originale che si afferma in modo analogo invari campi. Cogliere nel giusto la natura di essa, farlasentire nei suoi effetti è la sostanza più viva di una storiadella cultura araba che non voglia essere cronaca. Ciòvuol dire che aver sempre presente la forza dell'arabi-smo, saperne misurare e cause ed effetti è il primo com-pito dello studioso di un così complesso fenomeno.Questa reazione trova ragione e vigore nel fatto che lavita degli Arabi ha assunto i suoi caratteri più tipici inun'area isolata, nella penisola cioè, circondata da deserti,donde poi mosse l'Islam alla conquista del mondo: nellaquale i predetti influssi sono giunti con debole ritmo(chi oserebbe, per esempio, paragonare la vita cristianadei convertiti d'Arabia, ovvero la forza della missione inquella terra, con il vigore delle comunità di Egitto e diSiria?) quando già il tipo, l'ideale della vita araba eracreato nelle condizioni tipiche dell'ambiente e costituivagià la base di un vero e proprio umanismo. Primo com-pito nostro è dunque di renderci conto della natura diquesto elemento tradizionale o nazionale che si affermaattraverso la sua reazione ai nuovi influssi; che è sostan-ziato di qualità superiori e di qualità deteriori e di cui sipuò in parte rintracciare la ragione in condizioni ben de-finite. Così, si può dir subito, nella natura dei Semiti, dei

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quali gli Arabi son famiglia talmente importante;8 maanche nel carattere geografico del paese, che, comeesporremo meglio or ora, è stato ricco di conseguenzeper la vita araba. Poiché esso, con la sua natura preva-lentemente desertica, ha formato nelle necessità dellavita nomade, di essa conseguenza, speciali tratti dellanatura e del carattere degli Arabi. Insieme tuttavia lapresenza di centri urbani, naturalmente nati per causecommerciali o religiose e per naturale processo di fissa-zione al terreno dei nomadi, ha temperato con la vita or-dinata entro gli schemi, se pur rudimentali, di ordinestatale, con la regola di convivenza civile l'aspra e pri-mitiva natura dei nomadi; ha sposato con fecondo risul-tato la forza vergine delle tribù beduine con le ragioni diuna vita più elevata. La posizione d'Arabia, infine, in re-lazione al sistema del commercio mondiale dell'antichi-tà, ha chiamato ad essere tramite di esso regioni interedella penisola, e ha dato ai beduini, e anche ai nomadiormai fissati nei diversi centri, un campo di attività chene ha foggiato tempra e abilità per i grandi compiti chepoi l'Islam doveva ad essi affidare. E il carattere di quel-la zona culturale nella quale prevale l'isolamento, maove l'isolamento è temperato dalla vicinanza delle areed'influsso delle più grandi civiltà e religioni del tempoche fasciavano l'Arabia – la persiana, la bizantina e8 G. LEVI DELLA VIDA, Per una caratteristica dei Semiti, in Storia e religione

nell'Oriente semitico, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1924, pp. 10-42e, dello stesso, l'articolo Semiti, in Enciclopedia Italiana, XXXI, 351-355;Les Sémites et leur rôle dans l'histoire religieuse, Paris, 1938. Cfr. ancheL. CAETANI, Studi di Storia Orientale, I, Milano, Hoepli, 1911.

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quali gli Arabi son famiglia talmente importante;8 maanche nel carattere geografico del paese, che, comeesporremo meglio or ora, è stato ricco di conseguenzeper la vita araba. Poiché esso, con la sua natura preva-lentemente desertica, ha formato nelle necessità dellavita nomade, di essa conseguenza, speciali tratti dellanatura e del carattere degli Arabi. Insieme tuttavia lapresenza di centri urbani, naturalmente nati per causecommerciali o religiose e per naturale processo di fissa-zione al terreno dei nomadi, ha temperato con la vita or-dinata entro gli schemi, se pur rudimentali, di ordinestatale, con la regola di convivenza civile l'aspra e pri-mitiva natura dei nomadi; ha sposato con fecondo risul-tato la forza vergine delle tribù beduine con le ragioni diuna vita più elevata. La posizione d'Arabia, infine, in re-lazione al sistema del commercio mondiale dell'antichi-tà, ha chiamato ad essere tramite di esso regioni interedella penisola, e ha dato ai beduini, e anche ai nomadiormai fissati nei diversi centri, un campo di attività chene ha foggiato tempra e abilità per i grandi compiti chepoi l'Islam doveva ad essi affidare. E il carattere di quel-la zona culturale nella quale prevale l'isolamento, maove l'isolamento è temperato dalla vicinanza delle areed'influsso delle più grandi civiltà e religioni del tempoche fasciavano l'Arabia – la persiana, la bizantina e8 G. LEVI DELLA VIDA, Per una caratteristica dei Semiti, in Storia e religione

nell'Oriente semitico, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1924, pp. 10-42e, dello stesso, l'articolo Semiti, in Enciclopedia Italiana, XXXI, 351-355;Les Sémites et leur rôle dans l'histoire religieuse, Paris, 1938. Cfr. ancheL. CAETANI, Studi di Storia Orientale, I, Milano, Hoepli, 1911.

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l'aramaica, il Giudaismo, il Cristianesimo, il Manichei-smo – dà ragione di questo originale processo in cuil'arabismo non resta certo nello splendido isolamentodei suoi deserti, ma oppone insieme la sua costante af-fermazione di fronte agli elementi stranieri.9

Tutte queste condizioni vanno tenute presenti per ungiudizio ponderato sulla natura e sul valore della vitaaraba formatasi nella patria d'origine, tra le antiche tri-bù, quale prolegomeno per comprendere e valutare algiusto lo sviluppo di uno dei più potenti imperi mondia-li, di una delle più diffuse religioni e culture universali.È evidente quindi che l'indicazione dei caratteri geogra-fici più salienti della penisola araba è necessaria intro-duzione a questa preliminare considerazione dell'arabi-smo, che ha avuto poi il suo campo di azione principaleben lungi dall'antica patria, ma che ad essa è rimastosempre collegato dai robusti legami della tradizione edai ricordi e dai monumenti più augusti della religionemusulmana divenuta universale ma che non cessa di es-sere, nel suo più vivo nucleo, araba.

9 Qui trovano ottimo campo di esperienza le nuove dottrine di geografia po-litica. V. il recente libro di E. MIGLIORINI, La terra e le sue risorse, Napoli,Pironti, 1946.

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l'aramaica, il Giudaismo, il Cristianesimo, il Manichei-smo – dà ragione di questo originale processo in cuil'arabismo non resta certo nello splendido isolamentodei suoi deserti, ma oppone insieme la sua costante af-fermazione di fronte agli elementi stranieri.9

Tutte queste condizioni vanno tenute presenti per ungiudizio ponderato sulla natura e sul valore della vitaaraba formatasi nella patria d'origine, tra le antiche tri-bù, quale prolegomeno per comprendere e valutare algiusto lo sviluppo di uno dei più potenti imperi mondia-li, di una delle più diffuse religioni e culture universali.È evidente quindi che l'indicazione dei caratteri geogra-fici più salienti della penisola araba è necessaria intro-duzione a questa preliminare considerazione dell'arabi-smo, che ha avuto poi il suo campo di azione principaleben lungi dall'antica patria, ma che ad essa è rimastosempre collegato dai robusti legami della tradizione edai ricordi e dai monumenti più augusti della religionemusulmana divenuta universale ma che non cessa di es-sere, nel suo più vivo nucleo, araba.

9 Qui trovano ottimo campo di esperienza le nuove dottrine di geografia po-litica. V. il recente libro di E. MIGLIORINI, La terra e le sue risorse, Napoli,Pironti, 1946.

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II.LA CONOSCENZA DEL PAESE.

Prima dei grandi viaggi di esplorazione, compiuti inArabia nel secolo scorso e nel presente da esploratorieuropei, la conoscenza di Arabia era certo assai vaga edimprecisa; sono degli ultimi anni gli arditi viaggi chehanno violato il segreto dei deserti più impervi dell'Ara-bia. Gli antichi tuttavia, per il grande interesse d'Arabiaper le vie commerciali, non hanno certo trascurato diguardare a questo paese, ma non penetrarono nell'inter-no che raramente e lungo determinate vie.10

Le notizie puramente geografiche che troviamo pressogli Assiro-babilonesi sono scarse, e abbiamo appenal'accenno a determinate regioni, mentre sono più abbon-danti i dati storici ed etnografici che esamineremo a suotempo. Né di alcuni nomi che si riferiscono a regioniarabiche, come Magan (forse Ma῾ān), Melukkha, è certadel tutto la identificazione, mentre quella, proposta dalHommel, di Musri invece che con l'Egitto con la regionedel Midian, è fantastica. È qui il luogo di ricordare che

10 La storia delle esplorazioni di Arabia è ottimamente esposta nel lavoro diG. HOGARTH, The penetration of Arabia, Londra, 1904. Assai più recente,ma di minor valore, sebbene molto utile, è A. H. KIERNAN, L'explorationd'Arabie depuis les temps anciens jusqu'à nos jours (trad. dall'inglese [TheUnveiling of Arabia, London, 1937] compilata da C. H. Mourey, Paris,1938). Per più ampia bibliografia v. Enciclopedia Italiana, art. Arabia, vol.III, p. 891, e cfr., per interessanti notizie, G. LEVI DELLA VIDA, A Portugue-se Pilgrim at Mecca in the Sixteenth Century, in «Moslem World», 1942,pp. 283-297.

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II.LA CONOSCENZA DEL PAESE.

Prima dei grandi viaggi di esplorazione, compiuti inArabia nel secolo scorso e nel presente da esploratorieuropei, la conoscenza di Arabia era certo assai vaga edimprecisa; sono degli ultimi anni gli arditi viaggi chehanno violato il segreto dei deserti più impervi dell'Ara-bia. Gli antichi tuttavia, per il grande interesse d'Arabiaper le vie commerciali, non hanno certo trascurato diguardare a questo paese, ma non penetrarono nell'inter-no che raramente e lungo determinate vie.10

Le notizie puramente geografiche che troviamo pressogli Assiro-babilonesi sono scarse, e abbiamo appenal'accenno a determinate regioni, mentre sono più abbon-danti i dati storici ed etnografici che esamineremo a suotempo. Né di alcuni nomi che si riferiscono a regioniarabiche, come Magan (forse Ma῾ān), Melukkha, è certadel tutto la identificazione, mentre quella, proposta dalHommel, di Musri invece che con l'Egitto con la regionedel Midian, è fantastica. È qui il luogo di ricordare che

10 La storia delle esplorazioni di Arabia è ottimamente esposta nel lavoro diG. HOGARTH, The penetration of Arabia, Londra, 1904. Assai più recente,ma di minor valore, sebbene molto utile, è A. H. KIERNAN, L'explorationd'Arabie depuis les temps anciens jusqu'à nos jours (trad. dall'inglese [TheUnveiling of Arabia, London, 1937] compilata da C. H. Mourey, Paris,1938). Per più ampia bibliografia v. Enciclopedia Italiana, art. Arabia, vol.III, p. 891, e cfr., per interessanti notizie, G. LEVI DELLA VIDA, A Portugue-se Pilgrim at Mecca in the Sixteenth Century, in «Moslem World», 1942,pp. 283-297.

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il Dougherty11 ha cercato di dimostrare, in un suo impor-tante libro, che il «Paese del mare» delle fonti babilone-si era la regione arabica collocata verso il Golfo Persicoe che avrebbe avuto il suo nome dalla prevalenza delterreno sabbioso e dal processo di salinazione così co-mune nei deserti arabici. Il paese sarebbe stato ancorarelativamente fertile ma in progressivo inaridimento: quiappresso sarà discussa la dottrina del Caetani sull'essic-camento della penisola araba.Egualmente di vere e proprie notizie geografiche abbia-mo ben poco nella Bibbia. I Greci diedero per primi unnotevole impulso alla conoscenza del paese nelle sue ca-ratteristiche geografiche.12 Già Erodoto in parecchi luo-ghi della sua storia, ma specialmente nei libri II e III, dànotizie d'Arabia, che chiama l'estrema terra abitata versoil mezzogiorno, e indicazioni sui prodotti del paese, nonsenza racconti di fantasia. Le notizie vennero probabil-mente a lui dai rapporti che ebbe Cambise e l'imperopersiano con l'Arabia per la guerra d'Egitto; ma ancheprobabilmente da notizie di mercanti sudarabici. Né è daescludersi che egli abbia attinto, soprattutto per quantoconcerne le coste, alle notizie raccolte dal cario Skylaxche per incarico di Dario compì una ricognizione con al-cuni Ioni dall'India verso l'Arabia. Dalle guerre di Ciroil vecchio con la Babilonia e la Lidia, alle quali prese

11 R. PH. DOUGHERTY, The Sealand of Ancient Arabia, New Haven, Yale Uni-versity Press, 1932.

12 Per le fonti classiche sulla geografia dell'Arabia v. p. 83 nota 3 [nota 107in questa edizione elettronica Manuzio].

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il Dougherty11 ha cercato di dimostrare, in un suo impor-tante libro, che il «Paese del mare» delle fonti babilone-si era la regione arabica collocata verso il Golfo Persicoe che avrebbe avuto il suo nome dalla prevalenza delterreno sabbioso e dal processo di salinazione così co-mune nei deserti arabici. Il paese sarebbe stato ancorarelativamente fertile ma in progressivo inaridimento: quiappresso sarà discussa la dottrina del Caetani sull'essic-camento della penisola araba.Egualmente di vere e proprie notizie geografiche abbia-mo ben poco nella Bibbia. I Greci diedero per primi unnotevole impulso alla conoscenza del paese nelle sue ca-ratteristiche geografiche.12 Già Erodoto in parecchi luo-ghi della sua storia, ma specialmente nei libri II e III, dànotizie d'Arabia, che chiama l'estrema terra abitata versoil mezzogiorno, e indicazioni sui prodotti del paese, nonsenza racconti di fantasia. Le notizie vennero probabil-mente a lui dai rapporti che ebbe Cambise e l'imperopersiano con l'Arabia per la guerra d'Egitto; ma ancheprobabilmente da notizie di mercanti sudarabici. Né è daescludersi che egli abbia attinto, soprattutto per quantoconcerne le coste, alle notizie raccolte dal cario Skylaxche per incarico di Dario compì una ricognizione con al-cuni Ioni dall'India verso l'Arabia. Dalle guerre di Ciroil vecchio con la Babilonia e la Lidia, alle quali prese

11 R. PH. DOUGHERTY, The Sealand of Ancient Arabia, New Haven, Yale Uni-versity Press, 1932.

12 Per le fonti classiche sulla geografia dell'Arabia v. p. 83 nota 3 [nota 107in questa edizione elettronica Manuzio].

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parte come alleato di Creso un re arabo chiamato Arag-dos con un grosso esercito che fu sanguinosamentesconfitto, come racconta Senofonte nella Ciropedia (II1, 5; IV 2, 31), derivano certo notizie sulla penisola. DiSenofonte è anche singolarmente interessante la descri-zione del deserto arabico attraversato da Ciro (Anabasi I5, 1); così piena di suggestivi particolari sulla vegetazio-ne e soprattutto sugli animali della steppa da ricordare,come dice giustamente D. H. Müller, le descrizioni degliantichi poeti arabi. L'intensificarsi del commercio se-condo il sistema degli scambi internazionali di cui dia-mo cenno più avanti, e specialmente le esplorazioni deigenerali ed ammiragli d'Alessandro Magno, come Near-co ed altri, la politica e l'opera dei Tolomei che moltofecero per trarre a vantaggio del loro regno lo sfrutta-mento delle vie del traffico, promossero la conoscenzageografica d'Arabia. Eratostene di Cirene (morto nel203 a. C.) diede per primo nella sua Geografia assettoscientifico, come per le altre regioni, alle notiziesull'Arabia; ed è soprattutto da lui che Strabone, comeegli stesso dichiara al principio della sua opera, desunsemolto materiale che fu integrato poi da descrizioni disingoli viaggiatori e in specie dalle osservazioni che fu-rono raccolte nella spedizione arabica di Elio Gallo sot-to Augusto (26-24 a. C.) che egli accompagnò per unaparte del viaggio. Al periodo ellenistico rimonta inoltrela divisione dell'Arabia nelle tre sue parti, Petraea, De-serta, Felix; la prima comprendente la regione di Petraed il regno Nabateo, la seconda la parte centrale, orien-

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parte come alleato di Creso un re arabo chiamato Arag-dos con un grosso esercito che fu sanguinosamentesconfitto, come racconta Senofonte nella Ciropedia (II1, 5; IV 2, 31), derivano certo notizie sulla penisola. DiSenofonte è anche singolarmente interessante la descri-zione del deserto arabico attraversato da Ciro (Anabasi I5, 1); così piena di suggestivi particolari sulla vegetazio-ne e soprattutto sugli animali della steppa da ricordare,come dice giustamente D. H. Müller, le descrizioni degliantichi poeti arabi. L'intensificarsi del commercio se-condo il sistema degli scambi internazionali di cui dia-mo cenno più avanti, e specialmente le esplorazioni deigenerali ed ammiragli d'Alessandro Magno, come Near-co ed altri, la politica e l'opera dei Tolomei che moltofecero per trarre a vantaggio del loro regno lo sfrutta-mento delle vie del traffico, promossero la conoscenzageografica d'Arabia. Eratostene di Cirene (morto nel203 a. C.) diede per primo nella sua Geografia assettoscientifico, come per le altre regioni, alle notiziesull'Arabia; ed è soprattutto da lui che Strabone, comeegli stesso dichiara al principio della sua opera, desunsemolto materiale che fu integrato poi da descrizioni disingoli viaggiatori e in specie dalle osservazioni che fu-rono raccolte nella spedizione arabica di Elio Gallo sot-to Augusto (26-24 a. C.) che egli accompagnò per unaparte del viaggio. Al periodo ellenistico rimonta inoltrela divisione dell'Arabia nelle tre sue parti, Petraea, De-serta, Felix; la prima comprendente la regione di Petraed il regno Nabateo, la seconda la parte centrale, orien-

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tale e meridionale fino al Yemen, la terza il Yemen cheforse ha preso il suo denominativo di felix per un equi-voco sul significato della radice semitica ymn, che vale«destro», quindi meridionale, ma anche «fortunato».Equivoco del resto favorito dalla natura, veramente feli-ce in confronto con le steppe arabiche, dei territori delYemen fecondati da piogge regolari e irrigati da corsiperenni. Le relazioni di Roma con gli Arabi, a partirespecialmente dal I secolo a. C., le imprese di Pompeo, ilsempre maggiore afflusso di merci arabe nella ricca cittàdiffusero le notizie sull'Arabia che divenivan di dominiocomune, come appare per esempio nella frequentissimamenzione degli Arabi, della ricchezza del paese e dellesue merci, specialmente dell'incenso, la quale ricorre neipoeti e negli scrittori. Nella sua Naturalis Historia Pli-nio, fondandosi sul progresso che la conoscenza di Ara-bia aveva fatto nel primo secolo, dà nuovi nomi di loca-lità e di tribù dell'interno e descrive le vie del commer-cio di Oriente che passavano attraverso l'Arabia. Laconquista del regno Nabateo sotto Traiano, nel 105 d.C., per opera del governatore di Siria Palma, la riduzio-ne del paese a «Provincia Arabia» dà ulteriore impulsoalla conoscenza di tutto il paese; e le notizie sulla suafauna, sulla sua flora, sui prodotti, sui minerali spesseg-giano, e così anche quelle sul commercio. Poco dopoPlinio, l'ignoto autore del Periplus Maris Erythraei ci dàuna descrizione notevole delle coste del Mar Rosso, deisuoi porti, dei suoi scambi, ancora del Yemen e delle co-ste meridionali d'Arabia.

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tale e meridionale fino al Yemen, la terza il Yemen cheforse ha preso il suo denominativo di felix per un equi-voco sul significato della radice semitica ymn, che vale«destro», quindi meridionale, ma anche «fortunato».Equivoco del resto favorito dalla natura, veramente feli-ce in confronto con le steppe arabiche, dei territori delYemen fecondati da piogge regolari e irrigati da corsiperenni. Le relazioni di Roma con gli Arabi, a partirespecialmente dal I secolo a. C., le imprese di Pompeo, ilsempre maggiore afflusso di merci arabe nella ricca cittàdiffusero le notizie sull'Arabia che divenivan di dominiocomune, come appare per esempio nella frequentissimamenzione degli Arabi, della ricchezza del paese e dellesue merci, specialmente dell'incenso, la quale ricorre neipoeti e negli scrittori. Nella sua Naturalis Historia Pli-nio, fondandosi sul progresso che la conoscenza di Ara-bia aveva fatto nel primo secolo, dà nuovi nomi di loca-lità e di tribù dell'interno e descrive le vie del commer-cio di Oriente che passavano attraverso l'Arabia. Laconquista del regno Nabateo sotto Traiano, nel 105 d.C., per opera del governatore di Siria Palma, la riduzio-ne del paese a «Provincia Arabia» dà ulteriore impulsoalla conoscenza di tutto il paese; e le notizie sulla suafauna, sulla sua flora, sui prodotti, sui minerali spesseg-giano, e così anche quelle sul commercio. Poco dopoPlinio, l'ignoto autore del Periplus Maris Erythraei ci dàuna descrizione notevole delle coste del Mar Rosso, deisuoi porti, dei suoi scambi, ancora del Yemen e delle co-ste meridionali d'Arabia.

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Page 24: Classici Stranieri

Questo lavorìo dell'antichità, di cui abbiamo dato cosìsommario cenno, è tutto riassunto nell'opera di Tolo-meo, del quale si può dire che congiunga l'indirizzoscientifico d'Eratostene con il descrittivo di altri autori;ché si vale di dati degli itinerari carovanieri e compila lasua carta d'Arabia che qui diamo nella forma compostadal Kiepert. La nota opera sull'antica geografia d'Arabiadello Sprenger,13 che la studia come fondamento dellastoria dello sviluppo del semitismo, è redatta nella for-ma di un commento al VII capitolo del VI libro di Tolo-meo, solo considerando le notizie sugli altri paesi perquanto servano a perfezionare il quadro della geografiadella penisola e naturalmente traendo partito da notiziedi altre fonti.Dopo Tolomeo la geografia dell'Arabia non ha fattopresso gli scrittori classici sensibili progressi, per l'inte-resse sempre minore che, a causa dell'indebolirsi dellecorrenti commerciali, l'Occidente aveva per il vicinoOriente. Anche il progresso del Cristianesimo e l'aboli-zione dei culti pagani portarono una diminuzione note-vole del consumo dell'incenso e quindi del commercioarabo. Così anche presso gli autori bizantini, nonostantei contatti con il mondo arabo di natura specialmente po-litica e limitati per la maggior parte alle regioni dellesteppe di Siria e di Mesopotamia, le notizie geografichesull'Arabia non abbondano. Ma dopo l'Islam, con i nuo-

13 A. SPRENGER, Die alte Geographie Arabiens als Grundlage der Entwic-klungsgeschichte des Semitismus, Bern, 1875.

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Questo lavorìo dell'antichità, di cui abbiamo dato cosìsommario cenno, è tutto riassunto nell'opera di Tolo-meo, del quale si può dire che congiunga l'indirizzoscientifico d'Eratostene con il descrittivo di altri autori;ché si vale di dati degli itinerari carovanieri e compila lasua carta d'Arabia che qui diamo nella forma compostadal Kiepert. La nota opera sull'antica geografia d'Arabiadello Sprenger,13 che la studia come fondamento dellastoria dello sviluppo del semitismo, è redatta nella for-ma di un commento al VII capitolo del VI libro di Tolo-meo, solo considerando le notizie sugli altri paesi perquanto servano a perfezionare il quadro della geografiadella penisola e naturalmente traendo partito da notiziedi altre fonti.Dopo Tolomeo la geografia dell'Arabia non ha fattopresso gli scrittori classici sensibili progressi, per l'inte-resse sempre minore che, a causa dell'indebolirsi dellecorrenti commerciali, l'Occidente aveva per il vicinoOriente. Anche il progresso del Cristianesimo e l'aboli-zione dei culti pagani portarono una diminuzione note-vole del consumo dell'incenso e quindi del commercioarabo. Così anche presso gli autori bizantini, nonostantei contatti con il mondo arabo di natura specialmente po-litica e limitati per la maggior parte alle regioni dellesteppe di Siria e di Mesopotamia, le notizie geografichesull'Arabia non abbondano. Ma dopo l'Islam, con i nuo-

13 A. SPRENGER, Die alte Geographie Arabiens als Grundlage der Entwic-klungsgeschichte des Semitismus, Bern, 1875.

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vi interessi culturali che esso creò, si formò una copiosaletteratura geografica in arabo che, con vario scopo evario metodo, si propose la descrizione dei paesi islami-ci, compresa l'Arabia. Queste opere sono ottima fonteper la conoscenza delle singole regioni, ma non sonostate conosciute in Europa che assai dopo la loro com-posizione. Solo alla fine del Cinquecento e nel Seicentoapparvero le prime edizioni o versioni di qualcuna diesse e non certo delle più importanti. Così della geogra-fia di al-Idrīsī fu stampato un compendio anonimo pres-so la stamperia medicea di Roma nel 1592; ed esso fupoi tradotto in latino con il titolo di Geographia Nu-biensis da due Maroniti nel 1619. Egualmente del Taq-wīm al-buldān di Abulfeda non apparvero traduzioni oedizioni parziali che a partire dal 1650; della descrizionedel viaggio di Ibn Baṭṭūṭah, viaggiatore arabo del XIVsecolo, che partito dal Marocco visitò tutto il mondomusulmano fino all'Estremo Oriente, si conobbe solonel 1829 un compendio in traduzione inglese, e nel 1859apparve l'edizione e la traduzione completa. Il grandeprogresso degli studi arabistici in Europa, l'attività edi-toriale degli orientali hanno messo ora a disposizionedegli studiosi una cospicua serie di opere geograficheantiche arabe sulla penisola. Non mancarono certo nelmedio evo, in Occidente, le occasioni per conoscere me-glio l'Arabia e così i pellegrinaggi alla Mecca dall'Occi-dente, Spagna, Marocco, Africa; i viaggi dei mercantitra cui è ben noto Beniamino da Tudela (XII secolo); leCrociate. Ma solo nel XV secolo, con l'impulso alla na-

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vi interessi culturali che esso creò, si formò una copiosaletteratura geografica in arabo che, con vario scopo evario metodo, si propose la descrizione dei paesi islami-ci, compresa l'Arabia. Queste opere sono ottima fonteper la conoscenza delle singole regioni, ma non sonostate conosciute in Europa che assai dopo la loro com-posizione. Solo alla fine del Cinquecento e nel Seicentoapparvero le prime edizioni o versioni di qualcuna diesse e non certo delle più importanti. Così della geogra-fia di al-Idrīsī fu stampato un compendio anonimo pres-so la stamperia medicea di Roma nel 1592; ed esso fupoi tradotto in latino con il titolo di Geographia Nu-biensis da due Maroniti nel 1619. Egualmente del Taq-wīm al-buldān di Abulfeda non apparvero traduzioni oedizioni parziali che a partire dal 1650; della descrizionedel viaggio di Ibn Baṭṭūṭah, viaggiatore arabo del XIVsecolo, che partito dal Marocco visitò tutto il mondomusulmano fino all'Estremo Oriente, si conobbe solonel 1829 un compendio in traduzione inglese, e nel 1859apparve l'edizione e la traduzione completa. Il grandeprogresso degli studi arabistici in Europa, l'attività edi-toriale degli orientali hanno messo ora a disposizionedegli studiosi una cospicua serie di opere geograficheantiche arabe sulla penisola. Non mancarono certo nelmedio evo, in Occidente, le occasioni per conoscere me-glio l'Arabia e così i pellegrinaggi alla Mecca dall'Occi-dente, Spagna, Marocco, Africa; i viaggi dei mercantitra cui è ben noto Beniamino da Tudela (XII secolo); leCrociate. Ma solo nel XV secolo, con l'impulso alla na-

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vigazione nei mari lontani alla ricerca dei primati nelcommercio, cominciano i viaggi e le spedizioni che ri-velarono meglio l'Arabia all'Europa. Sembra che il pri-mo europeo a visitare l'Arabia fosse allora Pedro da Co-bilham, celebre viaggiatore che chiuse poi la sua vita inAbissinia e fu incaricato da Giovanni II di Portogallo divisitare il paese delle spezie. Ludovico de Varthema,gentiluomo bolognese, spinto dal suo trasporto perl'esplorazione di nuovi paesi si recò nel 1503 in Egitto,di lì a Beirut, Aleppo e Damasco, poi in Arabia fino allaCittà Santa e nel Yemen, attraverso romanzesche avven-ture da lui narrate in un libro che ebbe grande successoin Europa e che è veramente avvincente.14 Le descrizio-ni di Ludovico sono apparse, al paragone dei risultatidei viaggiatori che lo seguirono, abbastanza esatte econtengono buoni elementi per la descrizione geograficadel paese.La concorrenza commerciale spinse poi Portoghesi, In-glesi e Olandesi a nuovi viaggi in Arabia, e soprattutto aAden e nel Yemen. Nella seconda metà del secolo XVIIl'inglese Pitts, che era stato catturato in mare, fattoschiavo e convertito all'Islam dal suo padrone, visitòMedina e la Mecca, di cui lasciò nel suo libro pubblica-to nel XVIII secolo, The faithful account of the religionof Mahometans, una interessante descrizione.

14 LODOVICO DE VARTHEMA, Itinerario, ultima edizione a cura di Paolo Giudici,Milano, Edizioni «Alpes», 1929. Il testo, pubblicato per la prima volta nel1511, ebbe numerosissime edizioni e traduzioni in varie lingue.

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vigazione nei mari lontani alla ricerca dei primati nelcommercio, cominciano i viaggi e le spedizioni che ri-velarono meglio l'Arabia all'Europa. Sembra che il pri-mo europeo a visitare l'Arabia fosse allora Pedro da Co-bilham, celebre viaggiatore che chiuse poi la sua vita inAbissinia e fu incaricato da Giovanni II di Portogallo divisitare il paese delle spezie. Ludovico de Varthema,gentiluomo bolognese, spinto dal suo trasporto perl'esplorazione di nuovi paesi si recò nel 1503 in Egitto,di lì a Beirut, Aleppo e Damasco, poi in Arabia fino allaCittà Santa e nel Yemen, attraverso romanzesche avven-ture da lui narrate in un libro che ebbe grande successoin Europa e che è veramente avvincente.14 Le descrizio-ni di Ludovico sono apparse, al paragone dei risultatidei viaggiatori che lo seguirono, abbastanza esatte econtengono buoni elementi per la descrizione geograficadel paese.La concorrenza commerciale spinse poi Portoghesi, In-glesi e Olandesi a nuovi viaggi in Arabia, e soprattutto aAden e nel Yemen. Nella seconda metà del secolo XVIIl'inglese Pitts, che era stato catturato in mare, fattoschiavo e convertito all'Islam dal suo padrone, visitòMedina e la Mecca, di cui lasciò nel suo libro pubblica-to nel XVIII secolo, The faithful account of the religionof Mahometans, una interessante descrizione.

14 LODOVICO DE VARTHEMA, Itinerario, ultima edizione a cura di Paolo Giudici,Milano, Edizioni «Alpes», 1929. Il testo, pubblicato per la prima volta nel1511, ebbe numerosissime edizioni e traduzioni in varie lingue.

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Ma la prima spedizione veramente scientifica, quellache aprì un nuovo periodo nella conoscenza dell'Arabia,fu quella danese di Karsten Niebuhr e dei suoi cinquecompagni, patrocinata dal re Federico V e poi dal suosuccessore, e suggerita dall'orientalista tedesco Michae-lis. Scopo principale del viaggio, iniziato nel 1761, fu ilYemen, ma le notizie coscienziosamente raccolte dallamissione su altre parti di Arabia sono ugualmente pre-ziose. Tutti i compagni del Niebuhr perirono nel corsodell'esplorazione o nel ritorno e la relazione intiera delviaggio, comprese le parti naturalistiche, fu compilata inmodo eccellente dal Niebuhr stesso.15

Il sorgere del potere dei Wahhābiti, poi le vicende dellalotta di essi con l'Egitto furono ragione di nuovi viaggidi europei in Arabia e quindi d'impulso alla conoscenzadi essa, e specialmente delle regioni centrali ed orientali.Nel 1807 lo spagnolo Domingo Badía y Leblich, sbarca-to sotto il nome di ‘Alī Bey al-‘Abbāsī a Gedda, si recòalla Mecca, poi a Yanbu‘, porto di Medina, che egli tut-tavia non poté raggiungere, e lasciò buona descrizionedel paese visitato e della via Mecca-Medina.16

Un italiano, il ferrarese Giovanni Finati, convertito

15 C. NIEBHUR, Beschreibung von Arabien, Copenhagen, 1772; Reisebeschrei-bung nach Arabien und andern umliegenden Ländern., ib., 1774 (2 voll.);Reisen durch Syrien u. Palästina, ib., 1837 (postumo). Le prime due operesono state più volte tradotte in varie lingue.

16 Voyage d'Ali Bei en Afrique et en Asie, Paris, 1814. Traduzione italiana:Viaggi di Ali Bey el Abbassi in Africa ed in Asia dal 1803 a tutto il 1807tradotti dal dottor Stefano Ticozzi, Milano, Sonzogno, 1816.

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Ma la prima spedizione veramente scientifica, quellache aprì un nuovo periodo nella conoscenza dell'Arabia,fu quella danese di Karsten Niebuhr e dei suoi cinquecompagni, patrocinata dal re Federico V e poi dal suosuccessore, e suggerita dall'orientalista tedesco Michae-lis. Scopo principale del viaggio, iniziato nel 1761, fu ilYemen, ma le notizie coscienziosamente raccolte dallamissione su altre parti di Arabia sono ugualmente pre-ziose. Tutti i compagni del Niebuhr perirono nel corsodell'esplorazione o nel ritorno e la relazione intiera delviaggio, comprese le parti naturalistiche, fu compilata inmodo eccellente dal Niebuhr stesso.15

Il sorgere del potere dei Wahhābiti, poi le vicende dellalotta di essi con l'Egitto furono ragione di nuovi viaggidi europei in Arabia e quindi d'impulso alla conoscenzadi essa, e specialmente delle regioni centrali ed orientali.Nel 1807 lo spagnolo Domingo Badía y Leblich, sbarca-to sotto il nome di ‘Alī Bey al-‘Abbāsī a Gedda, si recòalla Mecca, poi a Yanbu‘, porto di Medina, che egli tut-tavia non poté raggiungere, e lasciò buona descrizionedel paese visitato e della via Mecca-Medina.16

Un italiano, il ferrarese Giovanni Finati, convertito

15 C. NIEBHUR, Beschreibung von Arabien, Copenhagen, 1772; Reisebeschrei-bung nach Arabien und andern umliegenden Ländern., ib., 1774 (2 voll.);Reisen durch Syrien u. Palästina, ib., 1837 (postumo). Le prime due operesono state più volte tradotte in varie lingue.

16 Voyage d'Ali Bei en Afrique et en Asie, Paris, 1814. Traduzione italiana:Viaggi di Ali Bey el Abbassi in Africa ed in Asia dal 1803 a tutto il 1807tradotti dal dottor Stefano Ticozzi, Milano, Sonzogno, 1816.

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all'Islam, prese parte alle campagne egiziane contro iWahhābiti nel 1811; e nelle sue memorie17 ha lasciatouna serie di notizie sull'Arabia e la descrizione dellaMecca che, se anche non basate su una vera preparazio-ne scientifica, non mancano d'interesse.Tra i viaggiatori di questo periodo domina lo svizzeroJohann Burckhardt il quale, recatosi in Oriente per inca-rico della British African Association, e protetto dal fa-vore di Mohammed Ali, sbarcò nel 1815 a Gedda, perpoi recarsi alla Mecca e prender parte al pellegrinaggiosotto il nome di Shaikh Ibrāhīm ibn ‘Abdallāh. Nel suolibro Travels in Arabia (Londra, 1829) ci ha lasciato unadescrizione magistrale del paese da lui percorso e delpellegrinaggio. Nell'altro suo scritto, Notes on the Be-douins and Wahabys (Londra, 1831), valendosi delle sueconoscenze notevolissime di arabo e di Islamismo, eglifornisce notizie di prim'ordine per la parte storica, reli-giosa, sociale, anche su popolazioni da lui non visitate;mentre non ha forse altrettanta importanza la parte pura-mente naturalistica, da altri esploratori (e più special-mente da quelli a noi contemporanei) più profondamen-te trattata. Il Burckhardt ha anche il merito di aver rive-lato per primo agli europei le rovine di Petra da lui visi-tate ed esplorate nel 1812.Dopo la vittoria egiziana sui Wahhābiti, il governo

17 Narrative of the Life and Adventures of G. F., pubblicato da W. G. Barker,London, 1830. Traduzione italiana: Vita e avventure di G. F. a cura di M.Visani, Roma, Istituto di Studi di Politica Italiana, 1941.

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all'Islam, prese parte alle campagne egiziane contro iWahhābiti nel 1811; e nelle sue memorie17 ha lasciatouna serie di notizie sull'Arabia e la descrizione dellaMecca che, se anche non basate su una vera preparazio-ne scientifica, non mancano d'interesse.Tra i viaggiatori di questo periodo domina lo svizzeroJohann Burckhardt il quale, recatosi in Oriente per inca-rico della British African Association, e protetto dal fa-vore di Mohammed Ali, sbarcò nel 1815 a Gedda, perpoi recarsi alla Mecca e prender parte al pellegrinaggiosotto il nome di Shaikh Ibrāhīm ibn ‘Abdallāh. Nel suolibro Travels in Arabia (Londra, 1829) ci ha lasciato unadescrizione magistrale del paese da lui percorso e delpellegrinaggio. Nell'altro suo scritto, Notes on the Be-douins and Wahabys (Londra, 1831), valendosi delle sueconoscenze notevolissime di arabo e di Islamismo, eglifornisce notizie di prim'ordine per la parte storica, reli-giosa, sociale, anche su popolazioni da lui non visitate;mentre non ha forse altrettanta importanza la parte pura-mente naturalistica, da altri esploratori (e più special-mente da quelli a noi contemporanei) più profondamen-te trattata. Il Burckhardt ha anche il merito di aver rive-lato per primo agli europei le rovine di Petra da lui visi-tate ed esplorate nel 1812.Dopo la vittoria egiziana sui Wahhābiti, il governo

17 Narrative of the Life and Adventures of G. F., pubblicato da W. G. Barker,London, 1830. Traduzione italiana: Vita e avventure di G. F. a cura di M.Visani, Roma, Istituto di Studi di Politica Italiana, 1941.

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dell'India mandò in Arabia il capitano Sadlier che nel1819 compì per la prima volta l'intera traversata dellapenisola raggiungendo da Hofhūf il Negd e Medina. Ilracconto del viaggio, che fu pubblicato solo nel 1866,18

è la prima descrizione di quella parte della penisola, conprecisi rilievi degli itinerari e assai importante per la co-noscenza del paese.Intanto anche la parte sud della penisola era mèta di altriviaggi; e anzitutto da parte di James Wellsted, ufficialedella Marina inglese, che nel 1835 visitò l'Oman e ilḤaḍramūt. Nel 1843 il bavarese Adolf von Wrede visitòegualmente il Ḥaḍramūt giungendo da Mukallā fino allimite del gran deserto. Nel Yemen furono compiuti an-che viaggi con scopo prevalentemente filologico e ar-cheologico; già nel 1810 il russo von Seetzen, arabista ebotanico, che visitò anche la Mecca, aveva copiato qual-che iscrizione sudarabica (ma in modo erroneo), comeanche i predetti Wellsted e von Wrede. L'Arnaud, farma-cista francese dell'esercito di Mohammed Ali, fece unviaggio di ricerche epigrafiche nel Yemen nel 1843 periniziativa del viceconsole francese a Gedda, Fresnel,raggiungendo notevoli resultati. Poi J. Halévy, ebreofrancese nato ad Adrianopoli, con viaggi del 1869-1870,e l'Austriaco E. Glaser, il quale compì quattro viaggi nelYemen dal 1882 al 1884, importanti anche dal punto divista puramente geografico, raccolsero abbondantissima

18 G. F. SADLIER, Diary of a journey across Arabia during the year 1819,compiled by P. Ryan, Bombay, 1866.

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dell'India mandò in Arabia il capitano Sadlier che nel1819 compì per la prima volta l'intera traversata dellapenisola raggiungendo da Hofhūf il Negd e Medina. Ilracconto del viaggio, che fu pubblicato solo nel 1866,18

è la prima descrizione di quella parte della penisola, conprecisi rilievi degli itinerari e assai importante per la co-noscenza del paese.Intanto anche la parte sud della penisola era mèta di altriviaggi; e anzitutto da parte di James Wellsted, ufficialedella Marina inglese, che nel 1835 visitò l'Oman e ilḤaḍramūt. Nel 1843 il bavarese Adolf von Wrede visitòegualmente il Ḥaḍramūt giungendo da Mukallā fino allimite del gran deserto. Nel Yemen furono compiuti an-che viaggi con scopo prevalentemente filologico e ar-cheologico; già nel 1810 il russo von Seetzen, arabista ebotanico, che visitò anche la Mecca, aveva copiato qual-che iscrizione sudarabica (ma in modo erroneo), comeanche i predetti Wellsted e von Wrede. L'Arnaud, farma-cista francese dell'esercito di Mohammed Ali, fece unviaggio di ricerche epigrafiche nel Yemen nel 1843 periniziativa del viceconsole francese a Gedda, Fresnel,raggiungendo notevoli resultati. Poi J. Halévy, ebreofrancese nato ad Adrianopoli, con viaggi del 1869-1870,e l'Austriaco E. Glaser, il quale compì quattro viaggi nelYemen dal 1882 al 1884, importanti anche dal punto divista puramente geografico, raccolsero abbondantissima

18 G. F. SADLIER, Diary of a journey across Arabia during the year 1819,compiled by P. Ryan, Bombay, 1866.

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mèsse di iscrizioni sudarabiche in base alle quali fu pos-sibile, con la decifrazione e la lettura, un grande pro-gresso per la conoscenza della storia antica del Yemen.A tutti questi viaggiatori dobbiamo anche importanti no-tizie di vario genere sul Yemen, come anche agli italianiRenzo Manzoni, che recatosi a Ṣan‘ā᾽ nel 1877 lasciòuna buona descrizione del paese, e Giuseppe Caprotti,negoziante milanese che fissò la sua dimora a Ṣan‘ā᾽ nel1885, e alla cura del quale si deve la raccolta importan-tissima di circa duemila manoscritti arabo-musulmanida lui venduti alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Diorigine italiana fu anche il Botta, botanico francese chenel 1836-1837 esplorò l'interno partendo da Hodeida.Dopo la traversata del capitano Sadlier, l'Arabia centraleed orientale fu mèta di nuovi viaggi. Così il finlandeseG. A. Wallin, conoscitore ottimo dell'arabo e dei dialetti,ai quali dedicò studi importanti, visitò nel 1845-1846,partendo da Ma‘ān, l'oasi di al-Giauf, il Gebel Shammare Ḥā᾽il, e di qui, primo europeo a compiere questo trat-to, giunse a Medina e a Mecca; mentre nel 1848 tornò aḤā᾽il per Taimā᾽ e poi giunse nell'‘Irāq. Le notizie cheegli dà, specialmente quelle concernenti il paese del Ge-bel Shammar, sono di grande valore.19

L'inglese Sir Richard Francis Burton, orientalistaanch'egli provetto, ottimo conoscitore della lingua e deicostumi arabi (è anche sua una delle più note traduzioni

19 La relazione del Wallin fu pubblicata nel «Journal of the Royal Geographi-cal Society», voll. XX e XXIV.

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mèsse di iscrizioni sudarabiche in base alle quali fu pos-sibile, con la decifrazione e la lettura, un grande pro-gresso per la conoscenza della storia antica del Yemen.A tutti questi viaggiatori dobbiamo anche importanti no-tizie di vario genere sul Yemen, come anche agli italianiRenzo Manzoni, che recatosi a Ṣan‘ā᾽ nel 1877 lasciòuna buona descrizione del paese, e Giuseppe Caprotti,negoziante milanese che fissò la sua dimora a Ṣan‘ā᾽ nel1885, e alla cura del quale si deve la raccolta importan-tissima di circa duemila manoscritti arabo-musulmanida lui venduti alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Diorigine italiana fu anche il Botta, botanico francese chenel 1836-1837 esplorò l'interno partendo da Hodeida.Dopo la traversata del capitano Sadlier, l'Arabia centraleed orientale fu mèta di nuovi viaggi. Così il finlandeseG. A. Wallin, conoscitore ottimo dell'arabo e dei dialetti,ai quali dedicò studi importanti, visitò nel 1845-1846,partendo da Ma‘ān, l'oasi di al-Giauf, il Gebel Shammare Ḥā᾽il, e di qui, primo europeo a compiere questo trat-to, giunse a Medina e a Mecca; mentre nel 1848 tornò aḤā᾽il per Taimā᾽ e poi giunse nell'‘Irāq. Le notizie cheegli dà, specialmente quelle concernenti il paese del Ge-bel Shammar, sono di grande valore.19

L'inglese Sir Richard Francis Burton, orientalistaanch'egli provetto, ottimo conoscitore della lingua e deicostumi arabi (è anche sua una delle più note traduzioni

19 La relazione del Wallin fu pubblicata nel «Journal of the Royal Geographi-cal Society», voll. XX e XXIV.

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delle Mille e una Notte), compì nel 1853 il pellegrinag-gio alla Mecca sotto il falso nome di Shaikh ‘Abdallāh;nel suo libro A Pilgrimage to al-Medinah and Meccah(1855) egli ci dà, insieme a varie notizie tra cui non po-che di interesse puramente geografico, una descrizionedelle cerimonie del pellegrinaggio che, oltre ad essereesauriente e precisa, rende con efficacia d'arte il sensoreligioso che trascina i pellegrini e che non è senza ef-fetto sullo spirito dello scrittore stesso. Egli compì an-che, oltre ad altri viaggi in vari paesi, come quello chelo condusse alla scoperta del lago Tanganika, una esplo-razione nel paese di Midian alla ricerca delle miniered'oro. Un altro europeo che risiedé lungo tempo allaMecca nel secolo scorso, il sommo arabista ed islamistaolandese Ch. Snouck Hurgronje (morto nel 1936), neisuoi due volumi sulla Mecca,20 uno dei capolavoridell'orientalistica moderna, ha dato una descrizione ec-cellente della vita della città nell'epoca contemporanea eanche una esauriente storia di essa nell'età musulmana.Di William Gifford Palgrave, che partendo da Ma‘ānpercorse nel 1862 l'Arabia centrale e orientale, spingen-dosi da Ḥā᾽il a Bureidah con escursioni diverse nelNegd meridionale, si è fatto sospetto che molto aggiun-gesse di sua fantasia alle sue notizie, o addirittura ne in-ventasse di sana pianta; è stato specialmente il Philbyche, recentemente recatosi negli stessi luoghi e constata-te le manchevolezze della descrizione del Palgrave, ha

20 CH. SNOUCK HURGRONJE, Mekka, Haag, 1888-1889.

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delle Mille e una Notte), compì nel 1853 il pellegrinag-gio alla Mecca sotto il falso nome di Shaikh ‘Abdallāh;nel suo libro A Pilgrimage to al-Medinah and Meccah(1855) egli ci dà, insieme a varie notizie tra cui non po-che di interesse puramente geografico, una descrizionedelle cerimonie del pellegrinaggio che, oltre ad essereesauriente e precisa, rende con efficacia d'arte il sensoreligioso che trascina i pellegrini e che non è senza ef-fetto sullo spirito dello scrittore stesso. Egli compì an-che, oltre ad altri viaggi in vari paesi, come quello chelo condusse alla scoperta del lago Tanganika, una esplo-razione nel paese di Midian alla ricerca delle miniered'oro. Un altro europeo che risiedé lungo tempo allaMecca nel secolo scorso, il sommo arabista ed islamistaolandese Ch. Snouck Hurgronje (morto nel 1936), neisuoi due volumi sulla Mecca,20 uno dei capolavoridell'orientalistica moderna, ha dato una descrizione ec-cellente della vita della città nell'epoca contemporanea eanche una esauriente storia di essa nell'età musulmana.Di William Gifford Palgrave, che partendo da Ma‘ānpercorse nel 1862 l'Arabia centrale e orientale, spingen-dosi da Ḥā᾽il a Bureidah con escursioni diverse nelNegd meridionale, si è fatto sospetto che molto aggiun-gesse di sua fantasia alle sue notizie, o addirittura ne in-ventasse di sana pianta; è stato specialmente il Philbyche, recentemente recatosi negli stessi luoghi e constata-te le manchevolezze della descrizione del Palgrave, ha

20 CH. SNOUCK HURGRONJE, Mekka, Haag, 1888-1889.

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ribadito questa tesi che sembra per alcune parti esagera-ta. Certo il suo libro21 è di piacevole lettura e può darepiù di un suggerimento a chi studi la vita degli Arabi.Non poco aggiunse alle notizie del Wallin e del Palgraveun italiano, Carlo Guarmani, che nel 1864 rimase a lun-go in Arabia, a Taimā᾽, a Khaibar, a ‘Aneizah, Ḥā᾽il ecc.ivi condotto per l'acquisto di cavalli (e già nel 1851 siera recato ad al-Giauf per questo stesso scopo), e compìdi questo stesso viaggio una importante descrizione conelementi notevoli per la cartografia e con accurato stu-dio della orografia del Negd rilevata con la bussola.22 Lostesso itinerario del Guarmani seguì all'incirca CharlesMontagu Doughty nel 1876-1878; il quale, unitosi aipellegrini di Siria fino a Madā᾽in Ṣāliḥ, compì varieescursioni nel Ḥigiāz e poi nell'Arabia centrale (Ḥā᾽il,‘Aneizah) e di qui, attraverso pericolose peripezie, tornòa Gedda. Il viaggio è narrato nei Travels in Arabia De-serta23 annoverati tra i classici inglesi della letteratura diviaggi. «The book is not milk for babes: it might be li-kened to a mirror», ci dice egli stesso nella prefazione: èuna grande raccolta di notizie geografiche ed etnografi-che, di acute osservazioni sulla vita araba, di minute de-21 W. G. PALGRAVE, Narrative of a years' journey through Central and Ea-

stern Arabia (2 voll.), London, 1865.22 G. GUARMANI, Il Neged settentrionale. Itinerario da Gerusalemme a Anei-

zeh nel Cassim, Gerusalemme, Tipogr. dei PP. Francescani, 1866. V. dellostesso Gli Italiani in Terra Santa. Reminiscenze e Ricerche storiche, Bolo-gna, Fava e Garagnani, 1872.

23 C. M. DOUGHTY, Travels in Arabia Deserta, Cambridge, 1888 (2 voll.), 2a

ed., con introduzione di T. E. Lawrence, London, 1926. [Una terza edizio-ne, in un volume, è apparsa a New York, 1947 (Nota dell'editore)].

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ribadito questa tesi che sembra per alcune parti esagera-ta. Certo il suo libro21 è di piacevole lettura e può darepiù di un suggerimento a chi studi la vita degli Arabi.Non poco aggiunse alle notizie del Wallin e del Palgraveun italiano, Carlo Guarmani, che nel 1864 rimase a lun-go in Arabia, a Taimā᾽, a Khaibar, a ‘Aneizah, Ḥā᾽il ecc.ivi condotto per l'acquisto di cavalli (e già nel 1851 siera recato ad al-Giauf per questo stesso scopo), e compìdi questo stesso viaggio una importante descrizione conelementi notevoli per la cartografia e con accurato stu-dio della orografia del Negd rilevata con la bussola.22 Lostesso itinerario del Guarmani seguì all'incirca CharlesMontagu Doughty nel 1876-1878; il quale, unitosi aipellegrini di Siria fino a Madā᾽in Ṣāliḥ, compì varieescursioni nel Ḥigiāz e poi nell'Arabia centrale (Ḥā᾽il,‘Aneizah) e di qui, attraverso pericolose peripezie, tornòa Gedda. Il viaggio è narrato nei Travels in Arabia De-serta23 annoverati tra i classici inglesi della letteratura diviaggi. «The book is not milk for babes: it might be li-kened to a mirror», ci dice egli stesso nella prefazione: èuna grande raccolta di notizie geografiche ed etnografi-che, di acute osservazioni sulla vita araba, di minute de-21 W. G. PALGRAVE, Narrative of a years' journey through Central and Ea-

stern Arabia (2 voll.), London, 1865.22 G. GUARMANI, Il Neged settentrionale. Itinerario da Gerusalemme a Anei-

zeh nel Cassim, Gerusalemme, Tipogr. dei PP. Francescani, 1866. V. dellostesso Gli Italiani in Terra Santa. Reminiscenze e Ricerche storiche, Bolo-gna, Fava e Garagnani, 1872.

23 C. M. DOUGHTY, Travels in Arabia Deserta, Cambridge, 1888 (2 voll.), 2a

ed., con introduzione di T. E. Lawrence, London, 1926. [Una terza edizio-ne, in un volume, è apparsa a New York, 1947 (Nota dell'editore)].

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scrizioni, certo di non facile assimilazione; una minieraove deve attingere chiunque si interessi di studi arabi. Ècommovente vedere la libertà e il coraggio con cui ilDoughty sempre affermò la sua qualità di cristiano (an-Naṣrānī era il nome con cui egli era meglio conosciuto);e forse per il fascino della carità con cui egli sempreesercitò la sua missione di medico gli fu possibile diconcludere felicemente, sia pure attraverso i più gravipericoli e le più dure peripezie, il suo lungo viaggio at-traverso i paesi più fanaticamente musulmani.Il Negd fu anche visitato, ma con tutti gli agi di una ca-rovana ben equipaggiata, dalla nota viaggiatrice AnneBlunt e suo marito, che descrissero felicemente le loroesperienze di viaggio e in particolar modo la vita diḤā᾽il.24

Il ventesimo secolo ha segnato un grande progresso nel-la conoscenza geografica dell'Arabia. Nel 1913 MissGertrude Bell compì un viaggio importante in Arabia daDamasco a Ḥā᾽il ritornando poi attraverso la Mesopota-mia. Si debbono a lei non solo notizie interessanti sullavita araba ma anche dati scientifici. Più tardi, durante edopo la guerra europea, dimorò frequentemente a Bag-dad, ove agì in favore del nuovo regno. Così il capitanoG. E. Leachman ha non poco merito per la descrizionedello Shammar e di parte della Mesopotamia e del Negdove fu ospite dell'emiro wahhābita. Più tardi, durante laguerra europea, egli fu importante strumento della poli-24 ANNE BLUNT, A Pilgrimage to Nejd, London, 1881.

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scrizioni, certo di non facile assimilazione; una minieraove deve attingere chiunque si interessi di studi arabi. Ècommovente vedere la libertà e il coraggio con cui ilDoughty sempre affermò la sua qualità di cristiano (an-Naṣrānī era il nome con cui egli era meglio conosciuto);e forse per il fascino della carità con cui egli sempreesercitò la sua missione di medico gli fu possibile diconcludere felicemente, sia pure attraverso i più gravipericoli e le più dure peripezie, il suo lungo viaggio at-traverso i paesi più fanaticamente musulmani.Il Negd fu anche visitato, ma con tutti gli agi di una ca-rovana ben equipaggiata, dalla nota viaggiatrice AnneBlunt e suo marito, che descrissero felicemente le loroesperienze di viaggio e in particolar modo la vita diḤā᾽il.24

Il ventesimo secolo ha segnato un grande progresso nel-la conoscenza geografica dell'Arabia. Nel 1913 MissGertrude Bell compì un viaggio importante in Arabia daDamasco a Ḥā᾽il ritornando poi attraverso la Mesopota-mia. Si debbono a lei non solo notizie interessanti sullavita araba ma anche dati scientifici. Più tardi, durante edopo la guerra europea, dimorò frequentemente a Bag-dad, ove agì in favore del nuovo regno. Così il capitanoG. E. Leachman ha non poco merito per la descrizionedello Shammar e di parte della Mesopotamia e del Negdove fu ospite dell'emiro wahhābita. Più tardi, durante laguerra europea, egli fu importante strumento della poli-24 ANNE BLUNT, A Pilgrimage to Nejd, London, 1881.

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tica inglese presso gli Arabi che lo ebbero caro e di cuiegli sostenne più volte la causa. Il capitano W. H. I. Sha-kespear fece da al-Kuweit, ove fu agente politico ingle-se fin dal 1909, parecchi viaggi nell'interno e poi nel1914 traversò il Nefūd fino al Gebel Tuwaiq e per ar-Riyāḍ e Shakrah raggiunse al-Giauf, traversando cosìl'Arabia e seguendo in parte lo stesso itinerario del capi-tano Sadlier. Il danese Raunkiaer percorse anche secon-do un nuovo itinerario il tratto Kuweit-Bureidah rag-giungendo poi ar-Riyāḍ e al-‘Oqair attraverso Hofhūf; enello stesso periodo, nel 1909, il Carruthers compì unnotevole viaggio nel Ḥigiāz fino a Taimā᾽. Rosita For-bes esplorava nel 1922 l'‘Asīr, R. E. Cheesman l'Arabiaorientale giungendo da al-‘Oqair, da lui identificata conl'antica Gerra, fino a Giabrīn, dandone una buona de-scrizione insieme con notizie ornitologiche, scopo prin-cipale della sua missione.25 Altri arditi viaggiatori dava-no altre ottime descrizioni delle città sante del pellegri-naggio, come A. I. Wavell, che vi fu nel 1908-1909, edE. Rutter, che nel 1925 soggiornò nel Ḥigiāz, già dun-que wahhābita, e nel suo libro The Holy Cities of Arabia(Londra, 1928, 2 voll.), che non ha speciale importanzaper la parte puramente geografica, dà interessante docu-mentazione della vita contemporanea della regione euna buona descrizione di Mecca e Medina. Né si devepassar sotto silenzio il più popolare dei viaggiatori e co-noscitori dell'Arabia, Thomas Edward Lawrence, le cui25 R. E. CHEESMAN, A journey across Arabia, Londra, 1925; ID., Unknown

Arabia, London, 1926.

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tica inglese presso gli Arabi che lo ebbero caro e di cuiegli sostenne più volte la causa. Il capitano W. H. I. Sha-kespear fece da al-Kuweit, ove fu agente politico ingle-se fin dal 1909, parecchi viaggi nell'interno e poi nel1914 traversò il Nefūd fino al Gebel Tuwaiq e per ar-Riyāḍ e Shakrah raggiunse al-Giauf, traversando cosìl'Arabia e seguendo in parte lo stesso itinerario del capi-tano Sadlier. Il danese Raunkiaer percorse anche secon-do un nuovo itinerario il tratto Kuweit-Bureidah rag-giungendo poi ar-Riyāḍ e al-‘Oqair attraverso Hofhūf; enello stesso periodo, nel 1909, il Carruthers compì unnotevole viaggio nel Ḥigiāz fino a Taimā᾽. Rosita For-bes esplorava nel 1922 l'‘Asīr, R. E. Cheesman l'Arabiaorientale giungendo da al-‘Oqair, da lui identificata conl'antica Gerra, fino a Giabrīn, dandone una buona de-scrizione insieme con notizie ornitologiche, scopo prin-cipale della sua missione.25 Altri arditi viaggiatori dava-no altre ottime descrizioni delle città sante del pellegri-naggio, come A. I. Wavell, che vi fu nel 1908-1909, edE. Rutter, che nel 1925 soggiornò nel Ḥigiāz, già dun-que wahhābita, e nel suo libro The Holy Cities of Arabia(Londra, 1928, 2 voll.), che non ha speciale importanzaper la parte puramente geografica, dà interessante docu-mentazione della vita contemporanea della regione euna buona descrizione di Mecca e Medina. Né si devepassar sotto silenzio il più popolare dei viaggiatori e co-noscitori dell'Arabia, Thomas Edward Lawrence, le cui25 R. E. CHEESMAN, A journey across Arabia, Londra, 1925; ID., Unknown

Arabia, London, 1926.

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avventure in Arabia durante la guerra mondiale sono atutti note e che nei suoi due libri The Seven Pillars ofWisdom e Revolt in the Desert contribuisce in modo no-tevole ed originale alla conoscenza del Ḥigiāz e dei co-stumi delle tribù.26 Ma i viaggiatori i quali più hannocontribuito in quest'ultimo periodo alla conoscenza geo-grafica della penisola sono Alois Musil (cèco) e gli in-glesi Bertram Thomas e H. Saint John Philby. Al Musilsi deve un'ottima descrizione geografica ed archeologicadel paese di Moab e di Edom (Arabia Petraea), da luiaccuratamente visitato;27 il terzo volume EthnologischerReisebericht è fondamentale per la conoscenza delle tri-bù arabe e beduine della regione. La relazione di altrisuoi viaggi nel Ḥigiāz, nel Negd del Nord, nella Palmi-rena, nel medio Eufrate e nell'«Arabia Deserta», pubbli-cate in sei volumi dalla American Geographical Socie-ty,28 non hanno solamente importanza geografica per laricchissima mèsse di osservazioni e di rilievi (il Musilnon è solo orientalista ma anche, e specialmente, esper-tissimo geografo) ma contengono, nelle appendici, unagrande quantità di notizie storiche, geografiche ed etno-

26 Del secondo libro vi è anche una traduzione italiana del Cajumi, Milano,Mondadori, 1930; v. anche G. LEVI DELLA VIDA, L'Arabia di Lawrence, in«La Cultura», anno IX (1930), vol. I, fasc. 5, pp. 352-366.

27 A. MUSIL, Arabia Petraea (3 voll.), Wien, 1907.28 A. MUSIL, The Northern Ḥeğāz, New York, 1926; Arabia deserta, ib.,

1927; The Middle Euphrates, ib., 1927; Palmyrena, ib., 1928; NorthernNeğd, ib., 1928; The manners and customs of the Rwala Bedouins, ib.,1928 (American Geographical Society, Oriental Explorations and Studies,I-VI). A questi volumi è aggiunta a parte una Map of Northern Arabia. V.anche A. JAUSSEN, Coutumes des Arabes au pays de Moab, Paris, 1908.

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avventure in Arabia durante la guerra mondiale sono atutti note e che nei suoi due libri The Seven Pillars ofWisdom e Revolt in the Desert contribuisce in modo no-tevole ed originale alla conoscenza del Ḥigiāz e dei co-stumi delle tribù.26 Ma i viaggiatori i quali più hannocontribuito in quest'ultimo periodo alla conoscenza geo-grafica della penisola sono Alois Musil (cèco) e gli in-glesi Bertram Thomas e H. Saint John Philby. Al Musilsi deve un'ottima descrizione geografica ed archeologicadel paese di Moab e di Edom (Arabia Petraea), da luiaccuratamente visitato;27 il terzo volume EthnologischerReisebericht è fondamentale per la conoscenza delle tri-bù arabe e beduine della regione. La relazione di altrisuoi viaggi nel Ḥigiāz, nel Negd del Nord, nella Palmi-rena, nel medio Eufrate e nell'«Arabia Deserta», pubbli-cate in sei volumi dalla American Geographical Socie-ty,28 non hanno solamente importanza geografica per laricchissima mèsse di osservazioni e di rilievi (il Musilnon è solo orientalista ma anche, e specialmente, esper-tissimo geografo) ma contengono, nelle appendici, unagrande quantità di notizie storiche, geografiche ed etno-

26 Del secondo libro vi è anche una traduzione italiana del Cajumi, Milano,Mondadori, 1930; v. anche G. LEVI DELLA VIDA, L'Arabia di Lawrence, in«La Cultura», anno IX (1930), vol. I, fasc. 5, pp. 352-366.

27 A. MUSIL, Arabia Petraea (3 voll.), Wien, 1907.28 A. MUSIL, The Northern Ḥeğāz, New York, 1926; Arabia deserta, ib.,

1927; The Middle Euphrates, ib., 1927; Palmyrena, ib., 1928; NorthernNeğd, ib., 1928; The manners and customs of the Rwala Bedouins, ib.,1928 (American Geographical Society, Oriental Explorations and Studies,I-VI). A questi volumi è aggiunta a parte una Map of Northern Arabia. V.anche A. JAUSSEN, Coutumes des Arabes au pays de Moab, Paris, 1908.

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grafiche di grande valore, sulle quali è necessario meditichiunque si accinga a fare storia anche dell'epoca antica.Il grosso volume, ultimo della serie, sopra i costumi deibeduini Ruala, è, accanto al predetto Reisebericht, unafonte d'informazione preziosa per la vita degli Arabi. Ea questo proposito è necessario aggiunger qui la men-zione della grande opera del von Oppenheim sui Bedui-ni29 di cui è uscito, a quanto risulta fino ad ora, il primovolume sulle tribù di Mesopotamia e di Siria, redatto incollaborazione con due ottimi conoscitori della linguaaraba antica e delle sue fonti, il Braünlich e il Caskel. Ilvolume di C. A. Nallino sull'Arabia Sa‘ūdiana,30 fruttodelle sue osservazioni sul luogo durante un suo viaggiodel 1938, e di una conoscenza senza pari di fonti antichee moderne, è prezioso anche per le informazioni fornitesull'amministrazione contemporanea del paese.La parte più deserta e impervia d'Arabia, l'ar-Rub‘ al-Khālī, è stata recentemente percorsa da Bertram Thomase dal Philby. Il Thomas nel 1930-1931 la traversò par-tendo dalla costa meridionale, da aẓ-Ẓafār ad aḍ-Ḍoḥasul Golfo Persico: la sua relazione,31 oltre a rivelare unaparte sconosciuta del paese e fornire preziosi dati geo-grafici, contiene una grande quantità di notizie concer-

29 M. VON OPPENHEIM, Die Beduinen, unter Mitarbeitung von E. BRAÜNLICH

und E. CASKEL, Leipzig, 1939. [Il secondo volume, che tratta delle tribù be-duine in Palestina, Transgiordania, Sinai, Ḥigiāz, è apparso nel 1943.(Nota dell'editore)].

30 C. A. NALLINO, L'Arabia Saudiana, in Raccolta di scritti editi e inediti, vol.I, Roma, Istituto per l'Oriente, 1939.

31 B. THOMAS, Arabia Felix, New York, 1932.

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grafiche di grande valore, sulle quali è necessario meditichiunque si accinga a fare storia anche dell'epoca antica.Il grosso volume, ultimo della serie, sopra i costumi deibeduini Ruala, è, accanto al predetto Reisebericht, unafonte d'informazione preziosa per la vita degli Arabi. Ea questo proposito è necessario aggiunger qui la men-zione della grande opera del von Oppenheim sui Bedui-ni29 di cui è uscito, a quanto risulta fino ad ora, il primovolume sulle tribù di Mesopotamia e di Siria, redatto incollaborazione con due ottimi conoscitori della linguaaraba antica e delle sue fonti, il Braünlich e il Caskel. Ilvolume di C. A. Nallino sull'Arabia Sa‘ūdiana,30 fruttodelle sue osservazioni sul luogo durante un suo viaggiodel 1938, e di una conoscenza senza pari di fonti antichee moderne, è prezioso anche per le informazioni fornitesull'amministrazione contemporanea del paese.La parte più deserta e impervia d'Arabia, l'ar-Rub‘ al-Khālī, è stata recentemente percorsa da Bertram Thomase dal Philby. Il Thomas nel 1930-1931 la traversò par-tendo dalla costa meridionale, da aẓ-Ẓafār ad aḍ-Ḍoḥasul Golfo Persico: la sua relazione,31 oltre a rivelare unaparte sconosciuta del paese e fornire preziosi dati geo-grafici, contiene una grande quantità di notizie concer-

29 M. VON OPPENHEIM, Die Beduinen, unter Mitarbeitung von E. BRAÜNLICH

und E. CASKEL, Leipzig, 1939. [Il secondo volume, che tratta delle tribù be-duine in Palestina, Transgiordania, Sinai, Ḥigiāz, è apparso nel 1943.(Nota dell'editore)].

30 C. A. NALLINO, L'Arabia Saudiana, in Raccolta di scritti editi e inediti, vol.I, Roma, Istituto per l'Oriente, 1939.

31 B. THOMAS, Arabia Felix, New York, 1932.

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nenti la zoologia, l'etnografia, la geologia ecc. Il Philby,ormai da anni risiedente in Arabia e convertito all'Islam,ha compiuto in questi ultimi decenni esplorazioni dellamaggiore importanza per la conoscenza del paese. Findal 1917, inviato dal suo governo presso Ibn Sa‘ūd egiunto ad ar-Riyāḍ da el‘Oqair, si recò prima a Gedda,seguendo dopo cento anni lo stesso itinerario del capita-no Sadlier, e compì altre escursioni nel Negd donde rag-giunse anche il Wādī Dawāsir. Tutta questa prima seriedi viaggi è narrata da lui in due volumi di relazione,32

indispensabili per conoscere quella regione, della qualeegli ha rivelato aspetti nuovi correggendo notizie malsi-cure o anche fantastiche del predetto Palgrave. Nel 1932egli traversò come il Thomas l'Ar-Rub‘ al-Khālī, manon nello stesso senso, sibbene da al-Hofhūf a as-Sulayyil.33 Infine nel 1936 il Philby percorse il WādīNagrān passando poi per il Ḥadramūt fino a Shibām,viaggio anche esso di notevolissima importanza.34 Allaconoscenza dello Yemen hanno infine contribuito negliultimi anni Ettore Rossi e Tommaso Sarnelli.Così notizie di antiche fonti arabe sempre più abbondan-temente messe a nostra disposizione, relazioni di viag-giatori, dal medioevo ad oggi, ci procurano ormai unasufficiente conoscenza delle condizioni geografiche diArabia. Esaminiamole brevemente, attenti fin da ora

32 H. ST.-J. B. PHILBY, The Heart of Arabia (2 voll.), London, 1922.33 H. St.-J. B. PHILBY, The Empty Quarter, London, 1933.34 H. St.-J. B. PHILBY, Sheba's Daughters, a Record of travel in Southern Ara-

bia..., London, 1939.

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nenti la zoologia, l'etnografia, la geologia ecc. Il Philby,ormai da anni risiedente in Arabia e convertito all'Islam,ha compiuto in questi ultimi decenni esplorazioni dellamaggiore importanza per la conoscenza del paese. Findal 1917, inviato dal suo governo presso Ibn Sa‘ūd egiunto ad ar-Riyāḍ da el‘Oqair, si recò prima a Gedda,seguendo dopo cento anni lo stesso itinerario del capita-no Sadlier, e compì altre escursioni nel Negd donde rag-giunse anche il Wādī Dawāsir. Tutta questa prima seriedi viaggi è narrata da lui in due volumi di relazione,32

indispensabili per conoscere quella regione, della qualeegli ha rivelato aspetti nuovi correggendo notizie malsi-cure o anche fantastiche del predetto Palgrave. Nel 1932egli traversò come il Thomas l'Ar-Rub‘ al-Khālī, manon nello stesso senso, sibbene da al-Hofhūf a as-Sulayyil.33 Infine nel 1936 il Philby percorse il WādīNagrān passando poi per il Ḥadramūt fino a Shibām,viaggio anche esso di notevolissima importanza.34 Allaconoscenza dello Yemen hanno infine contribuito negliultimi anni Ettore Rossi e Tommaso Sarnelli.Così notizie di antiche fonti arabe sempre più abbondan-temente messe a nostra disposizione, relazioni di viag-giatori, dal medioevo ad oggi, ci procurano ormai unasufficiente conoscenza delle condizioni geografiche diArabia. Esaminiamole brevemente, attenti fin da ora

32 H. ST.-J. B. PHILBY, The Heart of Arabia (2 voll.), London, 1922.33 H. St.-J. B. PHILBY, The Empty Quarter, London, 1933.34 H. St.-J. B. PHILBY, Sheba's Daughters, a Record of travel in Southern Ara-

bia..., London, 1939.

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allo stretto legame che si può osservare tra esse e alcunifondamentali caratteri della vita spirituale dell'anticaArabia, e ben consci dell'importanza delle notizie che iviaggiatori moderni ci hanno date della vita beduinacontemporanea, quale commento ai problemi che offrel'antico divenire della cultura araba dalla matrice bedui-na; e tenendo ben presente che, come abbiamo detto epiù volte ripeteremo, la zona di cultura che circondaoggi l'Arabia è di natura ben diversa da quella antica,fatto questo di grande importanza per la comprensionedello sviluppo della storia araba.35

35 Speciale considerazione dell'ambiente arabo e del suo influsso sulla storiain H. LAMMENS, Le Berceau de l'Islam, I vol., Le Climat, Les Bédouins,Roma, Pontificio Istituto Biblico, 1914 (l'unico apparso); L'Arabie Occi-dentale à la veille de l'Hégire, Beirut, 1928. Cfr. l'importante recensione diTH. NÖLDEKE, in «Der Islam», V, 1914, pp. 205-212. Notevoli osservazionisul rapporto tra clima e storia dell'arabismo si trovano nei libri già citatidel Burckhardt, del Philby, e soprattutto negli indicati volumi del Musil.Speciale trattazione del problema dell'essiccamento d'Arabia è fatta in L.CAETANI, Studi di Storia Orientale, I, e in J. A. MONTGOMERY, Arabia andthe Bible, Philadelphia, 1924.

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allo stretto legame che si può osservare tra esse e alcunifondamentali caratteri della vita spirituale dell'anticaArabia, e ben consci dell'importanza delle notizie che iviaggiatori moderni ci hanno date della vita beduinacontemporanea, quale commento ai problemi che offrel'antico divenire della cultura araba dalla matrice bedui-na; e tenendo ben presente che, come abbiamo detto epiù volte ripeteremo, la zona di cultura che circondaoggi l'Arabia è di natura ben diversa da quella antica,fatto questo di grande importanza per la comprensionedello sviluppo della storia araba.35

35 Speciale considerazione dell'ambiente arabo e del suo influsso sulla storiain H. LAMMENS, Le Berceau de l'Islam, I vol., Le Climat, Les Bédouins,Roma, Pontificio Istituto Biblico, 1914 (l'unico apparso); L'Arabie Occi-dentale à la veille de l'Hégire, Beirut, 1928. Cfr. l'importante recensione diTH. NÖLDEKE, in «Der Islam», V, 1914, pp. 205-212. Notevoli osservazionisul rapporto tra clima e storia dell'arabismo si trovano nei libri già citatidel Burckhardt, del Philby, e soprattutto negli indicati volumi del Musil.Speciale trattazione del problema dell'essiccamento d'Arabia è fatta in L.CAETANI, Studi di Storia Orientale, I, e in J. A. MONTGOMERY, Arabia andthe Bible, Philadelphia, 1924.

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III.DESCRIZIONE DEL PAESE.

L'Arabia è una grande penisola trapezoidale di3.000.000 di kmq. (dieci volte dunque maggiore dell'Ita-lia) che geologicamente si riattacca all'Africa da cui èseparata dalla fossa del Mar Rosso formatosi in periodoanteriore a quello storico, nel terziario, insieme con as-Sarāh, la grande catena che orla tutta la costa occidenta-le. Essa è continuazione del tavolato desertico saharia-no; l'estrema parte però del Sud-Est, e cioè l'Oman, faparte piuttosto con le sue alte catene del sistema iranico,da cui fu separato dall'Oceano Indiano e Golfo Persiconel giurassico. Anche l'Arabia è un grande tavolato in-clinato a semiellisse in direzione della Mesopotamia edel Golfo Persico. Geologicamente, al di fuori del pre-detto Oman, vi si possono distinguere due parti: l'imba-samento di antiche rocce precambriche che forma laparte occidentale, ossia il Ḥigiāz, Shammar, Negd occi-dentale, ‘Asīr, Yemen settentrionale,36 e costituisce lametà orientale del massiccio cristallino dell'Etbai e delSinai spaccato dal Mar Rosso, e il tavolato sedimentareeruttivo (arenarie, calcari, basalti, ecc.) che si adagia suquesto imbasamento e lo circonda da tre parti, a Nordcon la Transgiordania e il Nefūd, ad Ovest col PiccoloNefūd e la Yamāmah, a Sud col Yemen meridionale, Ẓa-36 Maggiori particolari sulla costituzione geologica in Enciclopedia Italiana,

III, 894-896 (trattazione anch'essa succinta), donde sono prese le notiziedate qui sopra.

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III.DESCRIZIONE DEL PAESE.

L'Arabia è una grande penisola trapezoidale di3.000.000 di kmq. (dieci volte dunque maggiore dell'Ita-lia) che geologicamente si riattacca all'Africa da cui èseparata dalla fossa del Mar Rosso formatosi in periodoanteriore a quello storico, nel terziario, insieme con as-Sarāh, la grande catena che orla tutta la costa occidenta-le. Essa è continuazione del tavolato desertico saharia-no; l'estrema parte però del Sud-Est, e cioè l'Oman, faparte piuttosto con le sue alte catene del sistema iranico,da cui fu separato dall'Oceano Indiano e Golfo Persiconel giurassico. Anche l'Arabia è un grande tavolato in-clinato a semiellisse in direzione della Mesopotamia edel Golfo Persico. Geologicamente, al di fuori del pre-detto Oman, vi si possono distinguere due parti: l'imba-samento di antiche rocce precambriche che forma laparte occidentale, ossia il Ḥigiāz, Shammar, Negd occi-dentale, ‘Asīr, Yemen settentrionale,36 e costituisce lametà orientale del massiccio cristallino dell'Etbai e delSinai spaccato dal Mar Rosso, e il tavolato sedimentareeruttivo (arenarie, calcari, basalti, ecc.) che si adagia suquesto imbasamento e lo circonda da tre parti, a Nordcon la Transgiordania e il Nefūd, ad Ovest col PiccoloNefūd e la Yamāmah, a Sud col Yemen meridionale, Ẓa-36 Maggiori particolari sulla costituzione geologica in Enciclopedia Italiana,

III, 894-896 (trattazione anch'essa succinta), donde sono prese le notiziedate qui sopra.

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fār e Oman occidentale. In queste varie regioni sono dif-fuse le formazioni continentali pleistoceniche recenti;alluvioni, sabbie e dune desertiche che ricoprono tantaarea d'Arabia. A un secondo periodo di attività vulcani-ca, ancor oggi vivo in piccola parte e che sembra inizia-to nel periodo terziario per culminare nel pleistocene, sidebbono le ḥarrah, zone di formazione vulcanica, di cuiparleremo qui appresso.Il paese, nella stessa nomenclatura indigena, è diviso inregioni che prendono il loro carattere e il loro nome dal-la natura del rilievo. Così è detta Tihāmah tutta la stri-scia bassa che nella costa occidentale separa il mare dal-le alture della catena as-Sarāh; Negd è invece il grandealtopiano centrale che si stende oltre la predetta catenache lo divide, quasi barriera, dal mare; nella sua partemeridionale comprende la fertile regione della Yamā-mah. Tale barriera riceve fin poco a Sud della Mecca(città che è più propriamente attribuita alla Tihāmah) ilnome di Ḥigiāz, che ha appunto il significato di barriera,ed è poi divenuto fino ad oggi termine politico e ammi-nistrativo. Le cime più alte della catena as-Sarāh, checorre fino all'estremo Sud, sono il monte Raḍwā, traMedina e il mare, e nel Yemen il monte Sābir ed altriche vanno oltre i 3000 metri. Le altre grandi regioni diArabia sono anzitutto l'‘Asīr e il Yemen, dal 20° di lati-tudine Nord fino al Golfo di Aden, che per la maggiorelevazione della catena as-Sarāh predetta, che orla la co-sta, hanno più abbondanti precipitazioni, e quindi una

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fār e Oman occidentale. In queste varie regioni sono dif-fuse le formazioni continentali pleistoceniche recenti;alluvioni, sabbie e dune desertiche che ricoprono tantaarea d'Arabia. A un secondo periodo di attività vulcani-ca, ancor oggi vivo in piccola parte e che sembra inizia-to nel periodo terziario per culminare nel pleistocene, sidebbono le ḥarrah, zone di formazione vulcanica, di cuiparleremo qui appresso.Il paese, nella stessa nomenclatura indigena, è diviso inregioni che prendono il loro carattere e il loro nome dal-la natura del rilievo. Così è detta Tihāmah tutta la stri-scia bassa che nella costa occidentale separa il mare dal-le alture della catena as-Sarāh; Negd è invece il grandealtopiano centrale che si stende oltre la predetta catenache lo divide, quasi barriera, dal mare; nella sua partemeridionale comprende la fertile regione della Yamā-mah. Tale barriera riceve fin poco a Sud della Mecca(città che è più propriamente attribuita alla Tihāmah) ilnome di Ḥigiāz, che ha appunto il significato di barriera,ed è poi divenuto fino ad oggi termine politico e ammi-nistrativo. Le cime più alte della catena as-Sarāh, checorre fino all'estremo Sud, sono il monte Raḍwā, traMedina e il mare, e nel Yemen il monte Sābir ed altriche vanno oltre i 3000 metri. Le altre grandi regioni diArabia sono anzitutto l'‘Asīr e il Yemen, dal 20° di lati-tudine Nord fino al Golfo di Aden, che per la maggiorelevazione della catena as-Sarāh predetta, che orla la co-sta, hanno più abbondanti precipitazioni, e quindi una

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notevole fertilità, al contrario di molte parti del Ḥigiāz edel Negd. Oltre la catena si estende l'altipiano del Ye-men che, con le parti alte delle valli che scendono versoil Mar Rosso, è da tempo antico coltivato con buoni si-stemi di raccolta di acqua e di irrigazione. Il paese è sta-to sede nell'antichità di un'alta civiltà ed ha una sua sto-ria chiaramente distinta da quella delle altre regioni ara-biche di natura prevalentemente desertica. Ḥaḍramūt è ilnome antichissimo della regione lungo la costa cheguarda al Golfo di Aden e la sua civiltà è connessa conquella del Yemen per le condizioni analoghe a quelle diquest'ultima regione. Esso è continuato ad oriente dellacosta (l'interno è occupato dall'immensa distesa delmaggior deserto arabico, l'ar-Rub‘ al-Khālī) dalla Mah-rah, regione arida e rocciosa, poi dall'Oman che occupal'angolo sud-orientale della penisola e guarda all'OceanoIndiano, al Golfo di Oman, al Golfo Persico. La regioneè percorsa dall'alta catena di al-Gebel al-Akhḍar che faparte, come dicemmo, del sistema iranico, è ricca di ac-que sicché è fertile la regione che le si stende ai piedi,al-Baṭnah, popolosa e ricca di produzione agricola.Dopo la Costa dei Pirati che, come l'Oman, confina conl'ar-Rub‘ al-Khālī, si estende la ragione di al-Ḥaṣā oAḥṣā, territorio basso e assai caldo, ma che ha alcunesorgenti presso il centro di al-Hofhūf, stazione di note-vole importanza nella via che va dalla costa verso ilNegd. Sorse qui sul mare, nell'antichità, la città di Ger-ra, di grande importanza per il commercio antico e chealcuni identificano con l'odierna al-‘Oqair. Il tratto di

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notevole fertilità, al contrario di molte parti del Ḥigiāz edel Negd. Oltre la catena si estende l'altipiano del Ye-men che, con le parti alte delle valli che scendono versoil Mar Rosso, è da tempo antico coltivato con buoni si-stemi di raccolta di acqua e di irrigazione. Il paese è sta-to sede nell'antichità di un'alta civiltà ed ha una sua sto-ria chiaramente distinta da quella delle altre regioni ara-biche di natura prevalentemente desertica. Ḥaḍramūt è ilnome antichissimo della regione lungo la costa cheguarda al Golfo di Aden e la sua civiltà è connessa conquella del Yemen per le condizioni analoghe a quelle diquest'ultima regione. Esso è continuato ad oriente dellacosta (l'interno è occupato dall'immensa distesa delmaggior deserto arabico, l'ar-Rub‘ al-Khālī) dalla Mah-rah, regione arida e rocciosa, poi dall'Oman che occupal'angolo sud-orientale della penisola e guarda all'OceanoIndiano, al Golfo di Oman, al Golfo Persico. La regioneè percorsa dall'alta catena di al-Gebel al-Akhḍar che faparte, come dicemmo, del sistema iranico, è ricca di ac-que sicché è fertile la regione che le si stende ai piedi,al-Baṭnah, popolosa e ricca di produzione agricola.Dopo la Costa dei Pirati che, come l'Oman, confina conl'ar-Rub‘ al-Khālī, si estende la ragione di al-Ḥaṣā oAḥṣā, territorio basso e assai caldo, ma che ha alcunesorgenti presso il centro di al-Hofhūf, stazione di note-vole importanza nella via che va dalla costa verso ilNegd. Sorse qui sul mare, nell'antichità, la città di Ger-ra, di grande importanza per il commercio antico e chealcuni identificano con l'odierna al-‘Oqair. Il tratto di

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costa rimanente fino alla Mesopotamia è occupato dalal-Kuweit, che confina verso l'interno col deserto dettoil Piccolo Nefūd, o anche ad-Dahnā᾽.L'altipiano del Negd digrada dolcemente verso oriente esolo due sistemi di monti lo corrugano, il granitico Ge-bel Shammar, nel paese omonimo del Negd settentriona-le (sono i monti Agia᾽ e Salmā dell'antichità, sede d'unafamosa tribù araba, quella dei Banū Ṭayy᾽), e il calcareoGebel aṭ-Ṭuwaiq, che corre in direzione Sud-Ovest delNegd meridionale.La caratteristica più tipica del paese, quella che ha de-terminato il genere di vita della maggior parte dei suoiabitanti, è la prevalenza delle zone desertiche e l'assenzadei grandi corsi d'acqua perenne. La scarsezza delle pre-cipitazioni, che è la causa di tali condizioni, è dovutaanzitutto al fatto che i mari a Est e a Ovest della peniso-la sono troppo stretti per vincere il clima continentale. Ilpoco vapore del mare occidentale, il Mar Rosso, è poidisseccato, poiché a Nord del Yemen la catena non rag-giunge che in qualche punto, come già si è detto, grandealtezza e in generale resta al disotto dei 2500 metri. Cosìl'umidità non trattenuta dall'ostacolo montano è portatadai venti verso l'Est ove il calore che sale dalla distesadesertica l'assorbe. L'Oceano del Sud porta pioggia; ilmonsone colpisce l'Arabia ove la costa è alta, nell'‘Asīre nel Yemen, e ciò fa sì che questi paesi abbiano pioggiaabbastanza regolare in due periodi dell'anno. L'Oman ri-ceve qualche precipitazione, ma l'Arabia centrale, che

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costa rimanente fino alla Mesopotamia è occupato dalal-Kuweit, che confina verso l'interno col deserto dettoil Piccolo Nefūd, o anche ad-Dahnā᾽.L'altipiano del Negd digrada dolcemente verso oriente esolo due sistemi di monti lo corrugano, il granitico Ge-bel Shammar, nel paese omonimo del Negd settentriona-le (sono i monti Agia᾽ e Salmā dell'antichità, sede d'unafamosa tribù araba, quella dei Banū Ṭayy᾽), e il calcareoGebel aṭ-Ṭuwaiq, che corre in direzione Sud-Ovest delNegd meridionale.La caratteristica più tipica del paese, quella che ha de-terminato il genere di vita della maggior parte dei suoiabitanti, è la prevalenza delle zone desertiche e l'assenzadei grandi corsi d'acqua perenne. La scarsezza delle pre-cipitazioni, che è la causa di tali condizioni, è dovutaanzitutto al fatto che i mari a Est e a Ovest della peniso-la sono troppo stretti per vincere il clima continentale. Ilpoco vapore del mare occidentale, il Mar Rosso, è poidisseccato, poiché a Nord del Yemen la catena non rag-giunge che in qualche punto, come già si è detto, grandealtezza e in generale resta al disotto dei 2500 metri. Cosìl'umidità non trattenuta dall'ostacolo montano è portatadai venti verso l'Est ove il calore che sale dalla distesadesertica l'assorbe. L'Oceano del Sud porta pioggia; ilmonsone colpisce l'Arabia ove la costa è alta, nell'‘Asīre nel Yemen, e ciò fa sì che questi paesi abbiano pioggiaabbastanza regolare in due periodi dell'anno. L'Oman ri-ceve qualche precipitazione, ma l'Arabia centrale, che

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dipende unicamente dal Golfo Persico e dalla poca umi-dità portata da correnti del Nord e dell'Est (poiché, ab-biamo visto, nulla ne giunge dal Mar Rosso), èanch'essa, come il Ḥigiāz, prevalentemente desertica no-nostante la presenza di alcune case e terreni fertili. Si èesagerato infatti circa la sterilità di Arabia, ma la naturagenerale del paese, confrontata con quella per esempiodell'‘Irāq, può ben dirsi arida.I deserti che coprono in così gran parte la superficied'Arabia sono di varia natura. Vi è il deserto del Nord osiro-arabico che tocca l'Arabia ma si estende in granparte sulla Siria e la Mesopotamia. L'Arabia propria-mente detta si riconnette infatti senza netta soluzione dicontinuità con le predette regioni, sicché nel corso deisecoli si è stabilita una costante comunicazione tral'Arabia stessa ed esse e ciò ha avuto per conseguenzal'intima connessione di esse nello sviluppo storico deivari periodi.37 Il deserto siriano è del tipo detto ḥammād,terra solida cioè e sparsa di ciottoli; esso ha 186.000

37 Sebbene lo SPRENGER, Die alte Geographie Arabiens, pp. 8-9, sottolinei lagiustezza della divisione che fa Tolomeo tra Arabia Petraea e Arabia Felix,poiché a due giorni a sud di Petra il terreno scende all'improvviso di 2.000piedi dai Mashārif esh-Shām agli Asāfil el-Yaman. Il confine è colà ancheetnografico; nell'Idumea la vita è del tipo sedentario non arabo, ma siriano;e il confine è tale che una buona difesa può allontanare le invasioni. I vici-ni degli Idumei furon detti Thimanaei e cioè genti «della destra». I Greci eRomani hanno reso Teman e Yemen con Eudaimon e Felix, dando tale epi-teto a tutto il paese a Sud della Siria, mentre i geografi arabi restringono ilnome di Yemen all'Arabia del Sud. Maometto avrebbe detto da un colle suTabūk, indicando il Nord: «tutto questo è Shām»; indicando il Sud: «tuttoquesto è Yemen».

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dipende unicamente dal Golfo Persico e dalla poca umi-dità portata da correnti del Nord e dell'Est (poiché, ab-biamo visto, nulla ne giunge dal Mar Rosso), èanch'essa, come il Ḥigiāz, prevalentemente desertica no-nostante la presenza di alcune case e terreni fertili. Si èesagerato infatti circa la sterilità di Arabia, ma la naturagenerale del paese, confrontata con quella per esempiodell'‘Irāq, può ben dirsi arida.I deserti che coprono in così gran parte la superficied'Arabia sono di varia natura. Vi è il deserto del Nord osiro-arabico che tocca l'Arabia ma si estende in granparte sulla Siria e la Mesopotamia. L'Arabia propria-mente detta si riconnette infatti senza netta soluzione dicontinuità con le predette regioni, sicché nel corso deisecoli si è stabilita una costante comunicazione tral'Arabia stessa ed esse e ciò ha avuto per conseguenzal'intima connessione di esse nello sviluppo storico deivari periodi.37 Il deserto siriano è del tipo detto ḥammād,terra solida cioè e sparsa di ciottoli; esso ha 186.000

37 Sebbene lo SPRENGER, Die alte Geographie Arabiens, pp. 8-9, sottolinei lagiustezza della divisione che fa Tolomeo tra Arabia Petraea e Arabia Felix,poiché a due giorni a sud di Petra il terreno scende all'improvviso di 2.000piedi dai Mashārif esh-Shām agli Asāfil el-Yaman. Il confine è colà ancheetnografico; nell'Idumea la vita è del tipo sedentario non arabo, ma siriano;e il confine è tale che una buona difesa può allontanare le invasioni. I vici-ni degli Idumei furon detti Thimanaei e cioè genti «della destra». I Greci eRomani hanno reso Teman e Yemen con Eudaimon e Felix, dando tale epi-teto a tutto il paese a Sud della Siria, mentre i geografi arabi restringono ilnome di Yemen all'Arabia del Sud. Maometto avrebbe detto da un colle suTabūk, indicando il Nord: «tutto questo è Shām»; indicando il Sud: «tuttoquesto è Yemen».

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kmq. di superficie ed è limitato dal Wādī Ḥaurān a Norde dal Wādī Sirḥān a Sud e dalla regione al-Widiān, laquale si congiunge con la depressione ove si trova l'oasidi al-Giauf, assai nota in tutta la storia araba perchépunto necessario di passaggio per le comunicazioni pa-cifiche o guerriere. Per al-Giauf sono appunto passatitutti gli esploratori d'Arabia che hanno preso le mossedal Nord. Questo deserto, per la presenza di acque sot-terranee e per le precipitazioni primaverili, ha, in specialmodo ai suoi margini, il carattere di vera steppa, rico-perta dopo le piogge da abbondanti erbe di cui i cam-melli sono assai ghiotti. Per la formazione della storia edella vita beduina così connessa con la pastorizia essoha avuto con il Negd la più grande importanza; e in essosi sono svolte fasi assai importanti dell'emigrazione deiprimitivi Semiti. Più arido e di più difficile accesso è ildeserto che prende il nome dalle dune che in esso si for-mano, in arabo nefūd. Vi è il Nefūd centrale o GrandeNefūd, mare di dune che si spostano secondo il ventorendendo difficile l'orientamento; esteso forse quanto ildeserto siriano, lo continua verso il centro d'Arabia finoal Gebel Shammar; neanche il Nefūd, del resto, è privodi vegetazione e il Musil, nella sua opera sul Negd cen-trale, parla di alcune parti di esso come di regioni ricchedi verde e deliziose per i beduini al momento della ve-getazione dopo le piogge. Così lo Sprenger, nella suavita di Maometto (I, 242), magnifica tale zona per laqualità della sabbia che rende possibile la bella vegeta-zione in primavera, e per le sue oasi. Il Piccolo Nefūd è

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kmq. di superficie ed è limitato dal Wādī Ḥaurān a Norde dal Wādī Sirḥān a Sud e dalla regione al-Widiān, laquale si congiunge con la depressione ove si trova l'oasidi al-Giauf, assai nota in tutta la storia araba perchépunto necessario di passaggio per le comunicazioni pa-cifiche o guerriere. Per al-Giauf sono appunto passatitutti gli esploratori d'Arabia che hanno preso le mossedal Nord. Questo deserto, per la presenza di acque sot-terranee e per le precipitazioni primaverili, ha, in specialmodo ai suoi margini, il carattere di vera steppa, rico-perta dopo le piogge da abbondanti erbe di cui i cam-melli sono assai ghiotti. Per la formazione della storia edella vita beduina così connessa con la pastorizia essoha avuto con il Negd la più grande importanza; e in essosi sono svolte fasi assai importanti dell'emigrazione deiprimitivi Semiti. Più arido e di più difficile accesso è ildeserto che prende il nome dalle dune che in esso si for-mano, in arabo nefūd. Vi è il Nefūd centrale o GrandeNefūd, mare di dune che si spostano secondo il ventorendendo difficile l'orientamento; esteso forse quanto ildeserto siriano, lo continua verso il centro d'Arabia finoal Gebel Shammar; neanche il Nefūd, del resto, è privodi vegetazione e il Musil, nella sua opera sul Negd cen-trale, parla di alcune parti di esso come di regioni ricchedi verde e deliziose per i beduini al momento della ve-getazione dopo le piogge. Così lo Sprenger, nella suavita di Maometto (I, 242), magnifica tale zona per laqualità della sabbia che rende possibile la bella vegeta-zione in primavera, e per le sue oasi. Il Piccolo Nefūd è

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un corridoio deserto e sabbioso dello stesso tipo lungocirca 800 km. e largo un centinaio fra l'altopiano delNegd e le coste del Golfo Persico. Questo deserto sichiama anche ad-Dahnā᾽, che si può tradurre «la stepparossa» dal colore delle sue sabbie. Ad-Dahnā᾽ è nomecomune per le zone desertiche del Sud (cfr. B. Moritz,Arabien, p. 15) ed è uno dei nomi del maggior desertod'Arabia, quello più comunemente conosciuto sotto ilnome di ar-Rub‘ al-Khālī (e anche al-Aḥgāf o ar-Rimāl),enorme estensione desertica che occupa la maggior par-te del Sud della penisola dal Yemen al Golfo Persico, eche, come abbiamo esposto, è stato traversato solo inquesti ultimi anni e in direzioni diverse dal Thomas epoi dal Philby. Ma certo le tribù locali, e specialmente iBanū Murrah, lo percorrono;38 né manca di qualche oasie in alcune regioni, nella buona stagione, di vegetazionedesertica che permette alle predette tribù di trarne mez-zo di sostentamento.Un ultimo tipo di deserto è quello della ḥarrah, di for-mazione vulcanica. La zona vulcanica s'inizia dal Nordal Gebel el-‘Uwairiḍ; scende giù fino ad Aden e al Ḥaḍ-ramūt riattaccandosi alle regioni della stessa natura, inSiria, dei monti del Ḥaurān. Le vaste distese coperte dibasalto e di lava, bruciate dal sole e senza vegetazione

38 Notizia che dà il Glaser (v. MONTGOMERY, l. c., p. 87), e i viaggiatori che re-centemente hanno percorso quelle regioni. Nella tradizione storica arabatroviamo anche il racconto del generale musulmano al-‘Alā᾽ che si accingea traversare con milizie della tribù dei Tamīm il Rub‘ al-Khālī per la cam-pagna del Baḥrein (L. CAETANI, Annali dell'Islam, vol. II, 2, p. 772).

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un corridoio deserto e sabbioso dello stesso tipo lungocirca 800 km. e largo un centinaio fra l'altopiano delNegd e le coste del Golfo Persico. Questo deserto sichiama anche ad-Dahnā᾽, che si può tradurre «la stepparossa» dal colore delle sue sabbie. Ad-Dahnā᾽ è nomecomune per le zone desertiche del Sud (cfr. B. Moritz,Arabien, p. 15) ed è uno dei nomi del maggior desertod'Arabia, quello più comunemente conosciuto sotto ilnome di ar-Rub‘ al-Khālī (e anche al-Aḥgāf o ar-Rimāl),enorme estensione desertica che occupa la maggior par-te del Sud della penisola dal Yemen al Golfo Persico, eche, come abbiamo esposto, è stato traversato solo inquesti ultimi anni e in direzioni diverse dal Thomas epoi dal Philby. Ma certo le tribù locali, e specialmente iBanū Murrah, lo percorrono;38 né manca di qualche oasie in alcune regioni, nella buona stagione, di vegetazionedesertica che permette alle predette tribù di trarne mez-zo di sostentamento.Un ultimo tipo di deserto è quello della ḥarrah, di for-mazione vulcanica. La zona vulcanica s'inizia dal Nordal Gebel el-‘Uwairiḍ; scende giù fino ad Aden e al Ḥaḍ-ramūt riattaccandosi alle regioni della stessa natura, inSiria, dei monti del Ḥaurān. Le vaste distese coperte dibasalto e di lava, bruciate dal sole e senza vegetazione

38 Notizia che dà il Glaser (v. MONTGOMERY, l. c., p. 87), e i viaggiatori che re-centemente hanno percorso quelle regioni. Nella tradizione storica arabatroviamo anche il racconto del generale musulmano al-‘Alā᾽ che si accingea traversare con milizie della tribù dei Tamīm il Rub‘ al-Khālī per la cam-pagna del Baḥrein (L. CAETANI, Annali dell'Islam, vol. II, 2, p. 772).

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son forse più difficili a traversare che non il deserto disabbia. Ma, come nella steppa, anche nella ḥarrah nascetra il pietrame, al tempo delle piogge, l'erba; e in alcuneparti le acque sotterranee formano zone di notevole fer-tilità. Tra le ḥarrah le più famose sono quelle di Tabūk,di Khaibar, di Medina; questa città è circondata da dueḥarrah, ove avvenne una famosa battaglia al tempo degliOmmiadi, che prende appunto il nome di «battaglia del-la Ḥarrah».39

A questa prevalenza di deserti corrisponde naturalmentela mancanza di corsi d'acqua perenni al di fuori del Ye-men. Vi sono sì ancora dei grandi letti di fiume, ora a re-gime torrentizio, Wādī, forse in tempo antico perenni;ed essi, il Wādī Sirḥān, il Wādī ar-Rummah, il Wādī ad-Dawāsir, hanno costituito, come diremo meglio trapoco, una importante via di comunicazione che ha tem-perato l'isolamento d'Arabia ed è stata assai feconda diconseguenze per la sua cultura. Un sistema di acque sot-terranee pervade anche con le sue vene il paese. Adesse, che affiorano anche nei Wādī, si debbono in tuttal'Arabia le oasi che punteggiano e steppe e deserti, esono di grande importanza per la vita araba, poiché vison sorti i centri più notevoli, nei quali si sono efficace-mente fuse correnti diverse culturali o religiose, si è af-fermata la vita ordinata dello Stato di fronte alla disper-sione beduina; ed egualmente sono state le vie di pas-

39 Nel 63 dell'ègira, 683 d. C.

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son forse più difficili a traversare che non il deserto disabbia. Ma, come nella steppa, anche nella ḥarrah nascetra il pietrame, al tempo delle piogge, l'erba; e in alcuneparti le acque sotterranee formano zone di notevole fer-tilità. Tra le ḥarrah le più famose sono quelle di Tabūk,di Khaibar, di Medina; questa città è circondata da dueḥarrah, ove avvenne una famosa battaglia al tempo degliOmmiadi, che prende appunto il nome di «battaglia del-la Ḥarrah».39

A questa prevalenza di deserti corrisponde naturalmentela mancanza di corsi d'acqua perenni al di fuori del Ye-men. Vi sono sì ancora dei grandi letti di fiume, ora a re-gime torrentizio, Wādī, forse in tempo antico perenni;ed essi, il Wādī Sirḥān, il Wādī ar-Rummah, il Wādī ad-Dawāsir, hanno costituito, come diremo meglio trapoco, una importante via di comunicazione che ha tem-perato l'isolamento d'Arabia ed è stata assai feconda diconseguenze per la sua cultura. Un sistema di acque sot-terranee pervade anche con le sue vene il paese. Adesse, che affiorano anche nei Wādī, si debbono in tuttal'Arabia le oasi che punteggiano e steppe e deserti, esono di grande importanza per la vita araba, poiché vison sorti i centri più notevoli, nei quali si sono efficace-mente fuse correnti diverse culturali o religiose, si è af-fermata la vita ordinata dello Stato di fronte alla disper-sione beduina; ed egualmente sono state le vie di pas-

39 Nel 63 dell'ègira, 683 d. C.

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saggio per le invasioni o le emigrazioni.40 Così nel Norde nel Ḥigiāz il gruppo di al-Giauf e Taimā᾽, Madā᾽in Ṣā-liḥ e Khaibar, e poi giù giù fino a Medina, attraverso ilWādī al-Qurā o «vallata dei villaggi»; così le oasidell'interno del Negd fasciate dal deserto e di notevolefertilità, ove son sorti importanti centri abitati, qualiḤā᾽il, capitale dello Shammar, e Bureidah, ‘Aneizah ear-Riyāḍ; e tutta la regione detta di al-Aflag recente-mente esplorata dal Philby, che ha corretto molte erro-nee opinioni correnti su quel paese. Alle caratteristichedell'altipiano del Negd, all'aria vivificante delle suesteppe e dei suoi deserti, alla fertilità di oasi che han fat-to sì che gli Arabi da esso lontani lo abbiano sempre ri-cordato con la più pungente nostalgia occorre guardareper trovarvi, insieme s'intende con altri fattori, una ra-gione delle qualità più tipiche dell'uomo arabo, poichédal Negd traggono origine le tribù più attive nella for-mazione del complesso fenomeno dell'arabismo che haplasmato in un'unità tipica una pluralità d'influssi impri-mendo ad essi il suggello della sua originalità. Più oltreosserveremo che non sembra giustificato cercare nelNegd, come sede dei popoli semitici, un influsso sulleloro qualità, come fanno alcuni che la dottrina dell'origi-ne arabica di quelli spingono alle sue estreme conse-guenze (come per es. De Goeje).Il clima d'Arabia si può dire subtropicale, quale del resto40 Il Montgomery, nel libro già indicato, afferma che molti problemi relativi

all'emigrazione araba si comprenderebbero meglio quando fosse studiata afondo l'idrologia d'Arabia.

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saggio per le invasioni o le emigrazioni.40 Così nel Norde nel Ḥigiāz il gruppo di al-Giauf e Taimā᾽, Madā᾽in Ṣā-liḥ e Khaibar, e poi giù giù fino a Medina, attraverso ilWādī al-Qurā o «vallata dei villaggi»; così le oasidell'interno del Negd fasciate dal deserto e di notevolefertilità, ove son sorti importanti centri abitati, qualiḤā᾽il, capitale dello Shammar, e Bureidah, ‘Aneizah ear-Riyāḍ; e tutta la regione detta di al-Aflag recente-mente esplorata dal Philby, che ha corretto molte erro-nee opinioni correnti su quel paese. Alle caratteristichedell'altipiano del Negd, all'aria vivificante delle suesteppe e dei suoi deserti, alla fertilità di oasi che han fat-to sì che gli Arabi da esso lontani lo abbiano sempre ri-cordato con la più pungente nostalgia occorre guardareper trovarvi, insieme s'intende con altri fattori, una ra-gione delle qualità più tipiche dell'uomo arabo, poichédal Negd traggono origine le tribù più attive nella for-mazione del complesso fenomeno dell'arabismo che haplasmato in un'unità tipica una pluralità d'influssi impri-mendo ad essi il suggello della sua originalità. Più oltreosserveremo che non sembra giustificato cercare nelNegd, come sede dei popoli semitici, un influsso sulleloro qualità, come fanno alcuni che la dottrina dell'origi-ne arabica di quelli spingono alle sue estreme conse-guenze (come per es. De Goeje).Il clima d'Arabia si può dire subtropicale, quale del resto40 Il Montgomery, nel libro già indicato, afferma che molti problemi relativi

all'emigrazione araba si comprenderebbero meglio quando fosse studiata afondo l'idrologia d'Arabia.

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può attendersi dalla prevalenza dei deserti, ma differiscenotevolmente secondo le varie regioni, a causa soprat-tutto della misura delle precipitazioni. Così in tutta la re-gione costiera (meno l'Oman) il calore è intenso ed umi-dissimo, solo a volte interrotto dal samūm, vento ardentema asciutto e che perdura, appena temperato, nell'inver-no; nella Tihāmah in maggio e settembre si giunge finoa 43°. Questa parte d'Arabia è assai povera di pioggia.La regione montuosa ha notevoli freddi d'inverno (Me-dina a 870 m. di altitudine è nota per i rigori invernali);in genere però la media diurna è al di sopra dei 20°, mal'escursione notturna è molto grande, come in genere intutta l'Arabia; si giunge persino a temperature intornoallo zero. Le piogge sono regolari nel Yemen e nei mon-ti della costa meridionale, lo sono meno altrove, comenell'Oman.Nell'altipiano centrale domina un clima continentale esecco; nell'Arabia deserta si può giungere anche a unmassimo di 44-45° all'ombra. È naturale, per la preva-lenza della zona desertica, una forte escursione. Lepiogge, per le ragioni già dette, nella parte centraledell'Arabia sono scarse e possono addirittura mancarecon la conseguenza di grandi carestie.La flora di Arabia è quale può permettere il terreno cosìscarsamente irrigato. Cereali crescono solo in poche re-gioni, il grano nel Yemen e nelle regioni più ricche delNegd. Le piante della steppa che crescono, come abbia-

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può attendersi dalla prevalenza dei deserti, ma differiscenotevolmente secondo le varie regioni, a causa soprat-tutto della misura delle precipitazioni. Così in tutta la re-gione costiera (meno l'Oman) il calore è intenso ed umi-dissimo, solo a volte interrotto dal samūm, vento ardentema asciutto e che perdura, appena temperato, nell'inver-no; nella Tihāmah in maggio e settembre si giunge finoa 43°. Questa parte d'Arabia è assai povera di pioggia.La regione montuosa ha notevoli freddi d'inverno (Me-dina a 870 m. di altitudine è nota per i rigori invernali);in genere però la media diurna è al di sopra dei 20°, mal'escursione notturna è molto grande, come in genere intutta l'Arabia; si giunge persino a temperature intornoallo zero. Le piogge sono regolari nel Yemen e nei mon-ti della costa meridionale, lo sono meno altrove, comenell'Oman.Nell'altipiano centrale domina un clima continentale esecco; nell'Arabia deserta si può giungere anche a unmassimo di 44-45° all'ombra. È naturale, per la preva-lenza della zona desertica, una forte escursione. Lepiogge, per le ragioni già dette, nella parte centraledell'Arabia sono scarse e possono addirittura mancarecon la conseguenza di grandi carestie.La flora di Arabia è quale può permettere il terreno cosìscarsamente irrigato. Cereali crescono solo in poche re-gioni, il grano nel Yemen e nelle regioni più ricche delNegd. Le piante della steppa che crescono, come abbia-

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mo già detto, dopo le piogge primaverili, sono special-mente della famiglia delle acacie, e dànno non solobuon nutrimento ai cammelli, ma anche combustibile.Mentre la cultura della vite è, si può dire, eccezionale(ad aṭ-Ṭā᾽if, per esempio; il vino cantato dai poeti arabiveniva all'Arabia dalla Siria), e manca del tutto l'olivo,le oasi producono abbondantemente frutta (melograne,mandorle, agrumi, albicocche, banane ecc.); e soprattut-to la palma che dà, con il dattero, uno dei principalimezzi di sostentamento degli Arabi, condizione si puòdire della loro vita.Il cammello, e più propriamente il dromedario, che èprobabilmente originario dell'Arabia, è l'altra grande ri-sorsa degli Arabi e specialmente dei beduini, dando loroanzitutto con il latte e i suoi prodotti e con la sua carnela parte più sostanziosa del nutrimento, mentre il suopelo serve per la tessitura di vestiti e di tende, e persinolo sterco come combustibile. Il cammello è poi il mezzoprezioso di trasporto; alla resistenza dell'animale, allasua sobrietà, che lo fa star contento delle erbe della step-pa e che gli permette di restare giorni interi senza bere,si deve se le grandi distese desertiche non sono state peri beduini ostacolo insormontabile ed essi le hanno rego-larmente varcate con le loro carovane, con gli eserciti,con conseguenze di grande portata per la storia politica,economica e culturale;41 e al cammello si deve pure se il

41 V. a questo proposito anche le suggestive osservazioni di E. F. GAUTIER, Lepassé de l'Afrique du Nord, Paris, 1937, specialmente pp. 188 segg.

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mo già detto, dopo le piogge primaverili, sono special-mente della famiglia delle acacie, e dànno non solobuon nutrimento ai cammelli, ma anche combustibile.Mentre la cultura della vite è, si può dire, eccezionale(ad aṭ-Ṭā᾽if, per esempio; il vino cantato dai poeti arabiveniva all'Arabia dalla Siria), e manca del tutto l'olivo,le oasi producono abbondantemente frutta (melograne,mandorle, agrumi, albicocche, banane ecc.); e soprattut-to la palma che dà, con il dattero, uno dei principalimezzi di sostentamento degli Arabi, condizione si puòdire della loro vita.Il cammello, e più propriamente il dromedario, che èprobabilmente originario dell'Arabia, è l'altra grande ri-sorsa degli Arabi e specialmente dei beduini, dando loroanzitutto con il latte e i suoi prodotti e con la sua carnela parte più sostanziosa del nutrimento, mentre il suopelo serve per la tessitura di vestiti e di tende, e persinolo sterco come combustibile. Il cammello è poi il mezzoprezioso di trasporto; alla resistenza dell'animale, allasua sobrietà, che lo fa star contento delle erbe della step-pa e che gli permette di restare giorni interi senza bere,si deve se le grandi distese desertiche non sono state peri beduini ostacolo insormontabile ed essi le hanno rego-larmente varcate con le loro carovane, con gli eserciti,con conseguenze di grande portata per la storia politica,economica e culturale;41 e al cammello si deve pure se il

41 V. a questo proposito anche le suggestive osservazioni di E. F. GAUTIER, Lepassé de l'Afrique du Nord, Paris, 1937, specialmente pp. 188 segg.

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commercio orientale ha potuto seguire attraverso l'Ara-bia quelle vie di terra che ne hanno fatto la prosperità edhanno insieme conferito il carattere a tutto lo sviluppodella sua storia; e sono state non ultima causa del granderivolgimento dell'Islam. L'antica poesia araba, specchiodella vita beduina, canta, quasi in tema obbligato, neisuoi componimenti, le lodi della generosa cammella sucui l'Arabo ha traversato il pauroso deserto; la linguacon una nomenclatura straricca ha dato centinaia di de-nominazioni alle parti del corpo della bestia, ai suoi pro-dotti, ad ogni aspetto della sua vita.Assai meno diffuso il cavallo, come è noto di qualità su-periori e che, importato in Inghilterra e rinsanguato, èl'origine delle migliori razze europee. Esso ebbe impor-tanza notevole principalmente nelle razzie e nelle guer-re, nelle quali parte importante andava ai combattentimontati e armati di lancia. La cavalleria ha avuto partenotevole nella storia della conquista musulmana. Lapoesia araba celebra liricamente le qualità dell'animaleed è ben nota la descrizione del cavallo nella grandeode, o qaṣīdah, del maggiore dei poeti arabi antichi,Imru᾽ al-Qais. Fedele guardiano degli accampamenti eanche adoperato per la caccia, il cane, la cui menzionericorre anche così frequente nella poesia e nei proverbi.Importanti nell'economia pastorizia sono la pecora e lacapra, e inoltre gli animali di cortile, galline ed altri, an-che essi spesso nominati nell'antica letteratura.Degli animali feroci non restano oggi che la pantera e il

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commercio orientale ha potuto seguire attraverso l'Ara-bia quelle vie di terra che ne hanno fatto la prosperità edhanno insieme conferito il carattere a tutto lo sviluppodella sua storia; e sono state non ultima causa del granderivolgimento dell'Islam. L'antica poesia araba, specchiodella vita beduina, canta, quasi in tema obbligato, neisuoi componimenti, le lodi della generosa cammella sucui l'Arabo ha traversato il pauroso deserto; la linguacon una nomenclatura straricca ha dato centinaia di de-nominazioni alle parti del corpo della bestia, ai suoi pro-dotti, ad ogni aspetto della sua vita.Assai meno diffuso il cavallo, come è noto di qualità su-periori e che, importato in Inghilterra e rinsanguato, èl'origine delle migliori razze europee. Esso ebbe impor-tanza notevole principalmente nelle razzie e nelle guer-re, nelle quali parte importante andava ai combattentimontati e armati di lancia. La cavalleria ha avuto partenotevole nella storia della conquista musulmana. Lapoesia araba celebra liricamente le qualità dell'animaleed è ben nota la descrizione del cavallo nella grandeode, o qaṣīdah, del maggiore dei poeti arabi antichi,Imru᾽ al-Qais. Fedele guardiano degli accampamenti eanche adoperato per la caccia, il cane, la cui menzionericorre anche così frequente nella poesia e nei proverbi.Importanti nell'economia pastorizia sono la pecora e lacapra, e inoltre gli animali di cortile, galline ed altri, an-che essi spesso nominati nell'antica letteratura.Degli animali feroci non restano oggi che la pantera e il

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leopardo; del leone, la cui menzione occorre nei testi,non v'è da tempo più traccia. Abbondanti i lupi, le volpi,le iene; la gazzella vive in branchi nel deserto, come vivive l'antilope selvaggia, la «vacca del deserto»; lescimmie si trovano solo nel Yemen: il califfo Yazīdamava averne nel suo palazzo, oggetto di strano lusso ri-provato dai rigidi moralisti. Numerose le specie di uc-celli, corvi, civette, upupe, allodole, tortore e alcunespecie di pernici, ottarde del deserto, come il notissimoqaṭā e il karwān menzionati frequentemente nella poe-sia e nei proverbi. La locusta o cavalletta era ritenutabuon cibo; lo scherno dei popoli più civili conquistatidagli Arabi amava definire questi nelle contese naziona-listiche «mangiatori di locuste».A tale natura del paese corrisponde la scarsezza dellapopolazione. Nella mancanza di precisi dati statistici èdifficile calcolare oggi la cifra degli abitanti e può darsiche nell'antichità il paese fosse più popolato che ora. Siè forse vicini al vero calcolandola a cinque milioni. Èvero che scrittori dell'Arabia Sa‘ūdiana dànno solo peressa la cifra di cinque, sei e fino a sette milioni, ma que-sto sembra esagerazione.

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leopardo; del leone, la cui menzione occorre nei testi,non v'è da tempo più traccia. Abbondanti i lupi, le volpi,le iene; la gazzella vive in branchi nel deserto, come vivive l'antilope selvaggia, la «vacca del deserto»; lescimmie si trovano solo nel Yemen: il califfo Yazīdamava averne nel suo palazzo, oggetto di strano lusso ri-provato dai rigidi moralisti. Numerose le specie di uc-celli, corvi, civette, upupe, allodole, tortore e alcunespecie di pernici, ottarde del deserto, come il notissimoqaṭā e il karwān menzionati frequentemente nella poe-sia e nei proverbi. La locusta o cavalletta era ritenutabuon cibo; lo scherno dei popoli più civili conquistatidagli Arabi amava definire questi nelle contese naziona-listiche «mangiatori di locuste».A tale natura del paese corrisponde la scarsezza dellapopolazione. Nella mancanza di precisi dati statistici èdifficile calcolare oggi la cifra degli abitanti e può darsiche nell'antichità il paese fosse più popolato che ora. Siè forse vicini al vero calcolandola a cinque milioni. Èvero che scrittori dell'Arabia Sa‘ūdiana dànno solo peressa la cifra di cinque, sei e fino a sette milioni, ma que-sto sembra esagerazione.

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IV.CONDIZIONI GENERALI POSTE ALLA

VITA ARABA DALL'AMBIENTE.

Alle condizioni geografiche descritte qui sopra corri-sponde anche il fatto che la popolazione è composta inparte da nomadi, costretti dall'avarizia della terra per lamancanza di precipitazioni e di corsi d'acqua perenne, edall'impossibilità di culture agricole, a spostarsi in cercadi nutrimento nelle varie stagioni, tornare alla steppaquando le piogge primaverili fanno nascere abbondantela vegetazione desertica, ghiotto cibo per i cammelli. Lapenna vivace del P. Lammens ha descritto con molta ef-ficacia nel suo Berceau de l'Islam il tripudio dei beduinial momento in cui l'abbondanza del foraggio li fornisce,dopo le lunghe privazioni, di cibo.Una parte dei nomadi però, di cui appresso vedremo lestirpi principali per seguirne le più importanti vicende, èpassata a forme di vita seminomade, con procedimentodi cui abbiamo esempi tuttora e che porta a notevolicambiamenti nel tipo di vita, accuratamente studiati da-gli europei;42 o addirittura a vita sedentaria. I centri di

42 Cfr. MUSIL, Northern Neğd, p. 316; R. DUSSAUD, Les Arabes en Syrie avantl'Islam, Paris, 1907, pp. 6-7; MONTGOMERY, l. c., p. 88 (cfr. anche E. MEYER,Geschichte des Altertums, I2, 2, § 333). Negli studi compiuti dall'IstitutoFrancese di Damasco su popolazioni della Siria vi sono contributi impor-tanti alla conoscenza della vita beduina seminomade. Il Lammens dà otti-me descrizioni dei beduini ma, nonostante il rilievo in cui mette le virtù diessi, cade poi nell'esagerazione nel descriverli briganti e predoni. Per il se-

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IV.CONDIZIONI GENERALI POSTE ALLA

VITA ARABA DALL'AMBIENTE.

Alle condizioni geografiche descritte qui sopra corri-sponde anche il fatto che la popolazione è composta inparte da nomadi, costretti dall'avarizia della terra per lamancanza di precipitazioni e di corsi d'acqua perenne, edall'impossibilità di culture agricole, a spostarsi in cercadi nutrimento nelle varie stagioni, tornare alla steppaquando le piogge primaverili fanno nascere abbondantela vegetazione desertica, ghiotto cibo per i cammelli. Lapenna vivace del P. Lammens ha descritto con molta ef-ficacia nel suo Berceau de l'Islam il tripudio dei beduinial momento in cui l'abbondanza del foraggio li fornisce,dopo le lunghe privazioni, di cibo.Una parte dei nomadi però, di cui appresso vedremo lestirpi principali per seguirne le più importanti vicende, èpassata a forme di vita seminomade, con procedimentodi cui abbiamo esempi tuttora e che porta a notevolicambiamenti nel tipo di vita, accuratamente studiati da-gli europei;42 o addirittura a vita sedentaria. I centri di

42 Cfr. MUSIL, Northern Neğd, p. 316; R. DUSSAUD, Les Arabes en Syrie avantl'Islam, Paris, 1907, pp. 6-7; MONTGOMERY, l. c., p. 88 (cfr. anche E. MEYER,Geschichte des Altertums, I2, 2, § 333). Negli studi compiuti dall'IstitutoFrancese di Damasco su popolazioni della Siria vi sono contributi impor-tanti alla conoscenza della vita beduina seminomade. Il Lammens dà otti-me descrizioni dei beduini ma, nonostante il rilievo in cui mette le virtù diessi, cade poi nell'esagerazione nel descriverli briganti e predoni. Per il se-

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Arabia hanno sicuramente ricevuto il continuo apporto,per vario processo, di nuovi elementi di tribù nomadi; eciò ha avuto la maggiore importanza per lo sviluppodella storia araba, e lo confermeremo or ora. L'origine ditali centri è dovuta a più cause, tra cui principale la pre-senza di sorgenti e l'affiorare di acque sotterranee, chefa sorgere, come abbiamo già detto, le oasi. Il formarsidi sedi di culto, per lo più presso le sorgenti, la posturarispetto alle vie di comunicazione e a quelle seguite dagrandi correnti commerciali sono altri fattori che handato, or l'uno or l'altro or congiuntamente, prosperità eimportanza maggiori ad alcune località, fra cui possia-mo nominare le già ricordate oasi che si snodano daNord verso Sud quali anelli di una catena: Taimā᾽ e Ta-būk e Khaibar, e poi, dopo la famosa vallata dei villaggiWādī al-Qurā, Medina, zona agricola e commerciale digrande importanza; e ancora al Sud, Mecca, centro reli-gioso di tutta l'Arabia, sorta presso una sorgente sacra,punto di raccordo del commercio fra il Yemen e il Nord;e presso la Mecca aṭ-Ṭā᾽if, luogo di buon clima, scelto avilleggiatura dai ricchi Meccani. Tutti piccoli centri ri-spetto alla misura di oggi, ma di grande importanza perla formazione della vita araba, oggetto del nostro studio.Anche nelle oasi e nelle zone coltivate del Negd, cheabbiamo visto anche numerose (e occorre ripetere comesia falsa l'idea dell'assoluta sterilità dell'Arabia ove inve-

minomadismo e questioni connesse v. anche M. GAUDEFROY-DEMOMBYNES,Le monde musulman... jusqu'aux Croisades, Paris, 1931, p. 95.

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Arabia hanno sicuramente ricevuto il continuo apporto,per vario processo, di nuovi elementi di tribù nomadi; eciò ha avuto la maggiore importanza per lo sviluppodella storia araba, e lo confermeremo or ora. L'origine ditali centri è dovuta a più cause, tra cui principale la pre-senza di sorgenti e l'affiorare di acque sotterranee, chefa sorgere, come abbiamo già detto, le oasi. Il formarsidi sedi di culto, per lo più presso le sorgenti, la posturarispetto alle vie di comunicazione e a quelle seguite dagrandi correnti commerciali sono altri fattori che handato, or l'uno or l'altro or congiuntamente, prosperità eimportanza maggiori ad alcune località, fra cui possia-mo nominare le già ricordate oasi che si snodano daNord verso Sud quali anelli di una catena: Taimā᾽ e Ta-būk e Khaibar, e poi, dopo la famosa vallata dei villaggiWādī al-Qurā, Medina, zona agricola e commerciale digrande importanza; e ancora al Sud, Mecca, centro reli-gioso di tutta l'Arabia, sorta presso una sorgente sacra,punto di raccordo del commercio fra il Yemen e il Nord;e presso la Mecca aṭ-Ṭā᾽if, luogo di buon clima, scelto avilleggiatura dai ricchi Meccani. Tutti piccoli centri ri-spetto alla misura di oggi, ma di grande importanza perla formazione della vita araba, oggetto del nostro studio.Anche nelle oasi e nelle zone coltivate del Negd, cheabbiamo visto anche numerose (e occorre ripetere comesia falsa l'idea dell'assoluta sterilità dell'Arabia ove inve-

minomadismo e questioni connesse v. anche M. GAUDEFROY-DEMOMBYNES,Le monde musulman... jusqu'aux Croisades, Paris, 1931, p. 95.

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ce non scarseggiano zone di intensa cultura),43 si sonoformate notevoli agglomerazioni; esse tuttavia hannominore importanza per la nostra narrazione, in quantoson lungi dalla via per la quale è passata la correntemaggiore dei commerci e degli influssi delle culture edelle religioni antiche. È per questo che nella storia de-gli Arabi hanno nome così famoso, oltre che centri eoasi minori del Ḥigiāz, Medina, l'antica Yathrib, e Mec-ca, ove nel fecondo collaborare delle energie beduinecon le ragioni di vita più elevata proprie delle istituzionicittadine hanno avuto il miglior campo di azione per lapostura geografica le forze dei nuovi fattori. Ed al con-trario meno vi appare la menzione di luoghi del Negd,pure assai importanti per la vita economica, quali Ḥā᾽il,Bureidah, ‘Aneizah, ar-Riyāḍ o le zone fertili della re-gione di al-Aflag. Del resto non è da trascurare il fattoche in questi centri del Negd hanno preso vigore alcunimovimenti assai importanti per la storia d'Arabia menoantica, come quelli dei Qarmaṭi e dei Wahhābiti. Inten-diamo qui parlare del periodo che possiamo meglio co-noscere dalle fonti; poiché, secondo il Caetani e altri,l'Arabia orientale sarebbe stata un grande centro dellaciviltà primitiva dei Semiti.

43 Cfr. per esempio M. HARTMANN, Die arabische Frage, Leipzig, 1909, p. 93segg. e soprattutto MUSIL nella sua opera Northern Neğd, passim e special-mente l'excursus a pp. 316-319, ove si afferma che l'Arabia, per esserepaese fertile, non ha mancato che di buon governo, il che ha parte di verocome appare dalla prosperità che il Ḥigiāz ha raggiunto per esempio sottogli Ommiadi, ma è esagerato poiché la scarsezza di precipitazioni è taleche non può non avere le sue conseguenze.

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ce non scarseggiano zone di intensa cultura),43 si sonoformate notevoli agglomerazioni; esse tuttavia hannominore importanza per la nostra narrazione, in quantoson lungi dalla via per la quale è passata la correntemaggiore dei commerci e degli influssi delle culture edelle religioni antiche. È per questo che nella storia de-gli Arabi hanno nome così famoso, oltre che centri eoasi minori del Ḥigiāz, Medina, l'antica Yathrib, e Mec-ca, ove nel fecondo collaborare delle energie beduinecon le ragioni di vita più elevata proprie delle istituzionicittadine hanno avuto il miglior campo di azione per lapostura geografica le forze dei nuovi fattori. Ed al con-trario meno vi appare la menzione di luoghi del Negd,pure assai importanti per la vita economica, quali Ḥā᾽il,Bureidah, ‘Aneizah, ar-Riyāḍ o le zone fertili della re-gione di al-Aflag. Del resto non è da trascurare il fattoche in questi centri del Negd hanno preso vigore alcunimovimenti assai importanti per la storia d'Arabia menoantica, come quelli dei Qarmaṭi e dei Wahhābiti. Inten-diamo qui parlare del periodo che possiamo meglio co-noscere dalle fonti; poiché, secondo il Caetani e altri,l'Arabia orientale sarebbe stata un grande centro dellaciviltà primitiva dei Semiti.

43 Cfr. per esempio M. HARTMANN, Die arabische Frage, Leipzig, 1909, p. 93segg. e soprattutto MUSIL nella sua opera Northern Neğd, passim e special-mente l'excursus a pp. 316-319, ove si afferma che l'Arabia, per esserepaese fertile, non ha mancato che di buon governo, il che ha parte di verocome appare dalla prosperità che il Ḥigiāz ha raggiunto per esempio sottogli Ommiadi, ma è esagerato poiché la scarsezza di precipitazioni è taleche non può non avere le sue conseguenze.

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È opportuno ricordare qui che da tempo antico il migra-re continuo degli Arabi, e insieme la natura della peni-sola che, come abbiamo premesso, si prolunga senzasensibile soluzione di continuità attraverso il deserto si-riano verso la Transgiordania, la Palestina e la Siria daun lato, verso la Mesopotamia dall'altro, ha portato letribù a frequentare questi paesi, in alcuni casi a stabilir-visi, ripetendosi così in quelle regioni la continua comu-nicazione tra vita beduina e sedentaria con il conseguen-te sviluppo di centri, determinato anche dall'influenzadella zona politica e di cultura. Intendiamo dire special-mente di due regni arabi, quello dei Ghassānidi nella Si-ria, e più precisamente nella regione di Damasco, equello dei Lakhmidi di al-Ḥīrah in Mesopotamia, che cioccuperanno a lungo in seguito.Resta tuttavia vero che la principale condizione che lanatura geografica ha imposto alla vita del popolo araboè il suo nomadismo; e il nomadismo ha sviluppato negliArabi qualità tipiche di sobrietà, di resistenza, di corag-gio, di vigore guerriero, così bene messe in luce dalBurckhardt nella già indicata opera sui Beduini; altrequalità meno leggiadre di violenza, di rapina hanno in-sieme dato motivi di espressione letteraria ed artisticache con tenace conservazione si son mantenuti anchedopo il cambiamento radicale che la conquista ha porta-to nella vita degli Arabi.44 Ma le brute condizioni poste44 Ibn Khaldūn nella sua Muqaddima ha mostrato, da par suo, l'apporto

dell'energia beduina. Cfr. per lo spirito di corpo, la ‘aṣabiyyah, l'articolo diF. GABRIELI, Il concetto della ‘aṣabiyyah nel pensiero storico di Ibn Ḫal-

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È opportuno ricordare qui che da tempo antico il migra-re continuo degli Arabi, e insieme la natura della peni-sola che, come abbiamo premesso, si prolunga senzasensibile soluzione di continuità attraverso il deserto si-riano verso la Transgiordania, la Palestina e la Siria daun lato, verso la Mesopotamia dall'altro, ha portato letribù a frequentare questi paesi, in alcuni casi a stabilir-visi, ripetendosi così in quelle regioni la continua comu-nicazione tra vita beduina e sedentaria con il conseguen-te sviluppo di centri, determinato anche dall'influenzadella zona politica e di cultura. Intendiamo dire special-mente di due regni arabi, quello dei Ghassānidi nella Si-ria, e più precisamente nella regione di Damasco, equello dei Lakhmidi di al-Ḥīrah in Mesopotamia, che cioccuperanno a lungo in seguito.Resta tuttavia vero che la principale condizione che lanatura geografica ha imposto alla vita del popolo araboè il suo nomadismo; e il nomadismo ha sviluppato negliArabi qualità tipiche di sobrietà, di resistenza, di corag-gio, di vigore guerriero, così bene messe in luce dalBurckhardt nella già indicata opera sui Beduini; altrequalità meno leggiadre di violenza, di rapina hanno in-sieme dato motivi di espressione letteraria ed artisticache con tenace conservazione si son mantenuti anchedopo il cambiamento radicale che la conquista ha porta-to nella vita degli Arabi.44 Ma le brute condizioni poste44 Ibn Khaldūn nella sua Muqaddima ha mostrato, da par suo, l'apporto

dell'energia beduina. Cfr. per lo spirito di corpo, la ‘aṣabiyyah, l'articolo diF. GABRIELI, Il concetto della ‘aṣabiyyah nel pensiero storico di Ibn Ḫal-

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dalla natura fisica nulla spiegherebbero se non messeaccanto a qualità insite nello spirito di quel popolo ere-ditate dal comune ceppo semitico,45 ma assumenti nelramo arabo caratteri specialissimi: una natura umana fe-lice sotto molti riguardi con la sua vivissima facoltà diosservazione, con il senso profondo del ritmo, il liricoslancio, il diffuso gusto di poesia, l'arguzia sapienziale,e insieme il geloso orgoglio della nobiltà della stirpe edella tribù. Tipica però, insieme, la totale mancanza del-la facoltà di sintesi, di approfondimento, che ha fatto dimolte manifestazioni arabe più che una organica costru-zione una semplice giustapposizione di elementi; e diciò i più notevoli esempi saranno al loro luogo citati.Notevole è insieme la facoltà di assimilazione che hacondotto le tribù arabe non solo ad adattarsi al nuovoverbo predicato da Maometto, ma anche ha loro permes-so di arricchire la loro vita con degli elementi nuovi as-sunti e organicamente inseriti dal complesso delle civiltàdiverse con cui sono venuti in contatto.46 Tutte queste

dūn, «Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino», vol. LXV, 1930, pp. 473-512. V. anche per le qualità beduine L. CAETANI, Studi di Storia Orientale,I, 284 segg., 376 segg. Occorre poi ripetere quanto giovino per la com-prensione degli antichi avvenimenti le descrizioni dei costumi odierni qua-li quelle del Burckhardt, del Musil, del Jaussen, del von Oppenheim, nei li-bri citati qui sopra.

45 Cfr. il già citato scritto del LEVI DELLA VIDA sui Semiti, l'articolo dello stes-so su tale argomento nella Enciclopedia Italiana, vol. XXXI, p. 351 segg.;secondo il CAETANI, Studi di Storia orientale, I, pp. 285-286, che va sulleorme dello Sprenger e i successivi sostenitori dell'origine arabica dei Se-miti, le qualità semitiche si identificherebbero con quelle arabe.

46 Cfr. L. CAETANI, Annali dell'Islam, V, p. 320; per una analisi di attitudinidei Berberi che hanno interessante analogia con quanto qui è detto, v. F.

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dalla natura fisica nulla spiegherebbero se non messeaccanto a qualità insite nello spirito di quel popolo ere-ditate dal comune ceppo semitico,45 ma assumenti nelramo arabo caratteri specialissimi: una natura umana fe-lice sotto molti riguardi con la sua vivissima facoltà diosservazione, con il senso profondo del ritmo, il liricoslancio, il diffuso gusto di poesia, l'arguzia sapienziale,e insieme il geloso orgoglio della nobiltà della stirpe edella tribù. Tipica però, insieme, la totale mancanza del-la facoltà di sintesi, di approfondimento, che ha fatto dimolte manifestazioni arabe più che una organica costru-zione una semplice giustapposizione di elementi; e diciò i più notevoli esempi saranno al loro luogo citati.Notevole è insieme la facoltà di assimilazione che hacondotto le tribù arabe non solo ad adattarsi al nuovoverbo predicato da Maometto, ma anche ha loro permes-so di arricchire la loro vita con degli elementi nuovi as-sunti e organicamente inseriti dal complesso delle civiltàdiverse con cui sono venuti in contatto.46 Tutte queste

dūn, «Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino», vol. LXV, 1930, pp. 473-512. V. anche per le qualità beduine L. CAETANI, Studi di Storia Orientale,I, 284 segg., 376 segg. Occorre poi ripetere quanto giovino per la com-prensione degli antichi avvenimenti le descrizioni dei costumi odierni qua-li quelle del Burckhardt, del Musil, del Jaussen, del von Oppenheim, nei li-bri citati qui sopra.

45 Cfr. il già citato scritto del LEVI DELLA VIDA sui Semiti, l'articolo dello stes-so su tale argomento nella Enciclopedia Italiana, vol. XXXI, p. 351 segg.;secondo il CAETANI, Studi di Storia orientale, I, pp. 285-286, che va sulleorme dello Sprenger e i successivi sostenitori dell'origine arabica dei Se-miti, le qualità semitiche si identificherebbero con quelle arabe.

46 Cfr. L. CAETANI, Annali dell'Islam, V, p. 320; per una analisi di attitudinidei Berberi che hanno interessante analogia con quanto qui è detto, v. F.

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qualità son certo in stridente contrasto con tanti meschi-ni aspetti della vita misera delle tribù, fatta rozza dalleprivazioni e dall'isolamento; ma si sono ripercosse comeelementi costitutivi dell'arabismo lungo tutto lo sviluppodella vita della nazione uscita dai deserti natii per laconquista del mondo. Forse l'aria pura e vivificante deideserti dell'altipiano, alla quale tutti i beduini allontana-tisi di là si son richiamati con la più viva nostalgia (gliOmmiadi stessi alla sede in Damasco preferirono dimo-re solitarie nella steppa che erano del resto ben coltivatee irrigate, come per esempio Qaṣr el-Kheir con le sueopere idrauliche), non è l'ultima delle cause, non certol'unica, di siffatte qualità di spirito; il Caetani nei suoiStudi di storia orientale47 ha parlato efficacementedell'influsso dell'ambiente arabico sulla vita semitica,partendo tuttavia dalle sue idee sull'inaridimentodell'Arabia che avremo occasione qui sotto di discutere.Ben difficile tuttavia è, dopo queste constatazioni gene-rali, pesare la parte che nel rapidissimo diffondersi dellanuova religione si debba a primitive disposizioni del po-polo. Si è detto a sazietà, sino a giungere a luogo comu-ne, della irreligiosità dei beduini, della loro indifferenzaa qualsiasi argomento non umano e terreno; e le condi-zioni della loro vita, l'iniziale resistenza alla riforma, laribellione appena morto Maometto, infine la prova che

BEGUINOT, L'Islam nell'Africa del Nord, in Aspetti e problemi attuali delmondo musulmano, Roma, R. Accademia d'Italia, 1941, pp. 125-152.

47 L. CAETANI, Studi di Storia orientale, I, Islam e Cristianesimo, l'Arabia pre-islamica. Gli Arabi antichi, Milano, Hoepli, 1911.

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qualità son certo in stridente contrasto con tanti meschi-ni aspetti della vita misera delle tribù, fatta rozza dalleprivazioni e dall'isolamento; ma si sono ripercosse comeelementi costitutivi dell'arabismo lungo tutto lo sviluppodella vita della nazione uscita dai deserti natii per laconquista del mondo. Forse l'aria pura e vivificante deideserti dell'altipiano, alla quale tutti i beduini allontana-tisi di là si son richiamati con la più viva nostalgia (gliOmmiadi stessi alla sede in Damasco preferirono dimo-re solitarie nella steppa che erano del resto ben coltivatee irrigate, come per esempio Qaṣr el-Kheir con le sueopere idrauliche), non è l'ultima delle cause, non certol'unica, di siffatte qualità di spirito; il Caetani nei suoiStudi di storia orientale47 ha parlato efficacementedell'influsso dell'ambiente arabico sulla vita semitica,partendo tuttavia dalle sue idee sull'inaridimentodell'Arabia che avremo occasione qui sotto di discutere.Ben difficile tuttavia è, dopo queste constatazioni gene-rali, pesare la parte che nel rapidissimo diffondersi dellanuova religione si debba a primitive disposizioni del po-polo. Si è detto a sazietà, sino a giungere a luogo comu-ne, della irreligiosità dei beduini, della loro indifferenzaa qualsiasi argomento non umano e terreno; e le condi-zioni della loro vita, l'iniziale resistenza alla riforma, laribellione appena morto Maometto, infine la prova che

BEGUINOT, L'Islam nell'Africa del Nord, in Aspetti e problemi attuali delmondo musulmano, Roma, R. Accademia d'Italia, 1941, pp. 125-152.

47 L. CAETANI, Studi di Storia orientale, I, Islam e Cristianesimo, l'Arabia pre-islamica. Gli Arabi antichi, Milano, Hoepli, 1911.

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si trae dall'analogia delle condizioni odierne possonodar fondamento a questa tesi. Ma uno sguardo meno su-perficiale alla religione preislamica, di cui esporremoqui sotto i principali tratti, l'insegnamento che pare po-tersi trarre dalle manifestazioni di essa di cui ci restamemoria, il senso che vi appare – seppure soffocato dal-le esigenze della vita materiale – del timore e della rive-renza per il divino, l'eloquenza degli stessi fatti che cimostrano un numero non esiguo di veri e puri Arabi,scossi dal richiamo di Maometto, ad esso rispondere conpiena dedizione ci obbligano a distinguere, certo conmisura sottile, per scorgere quasi in contradizione, nelfondo di questa irreligiosità più che altro apparente, unasorgente viva di senso del divino, che solo ha avuto bi-sogno di un congeniale appello.Ma il nomadismo, e con esso le attitudini e le qualità acui si è accennato e su cui si tornerà, hanno avuto il lorocomplemento, o forse a dir meglio il loro correttivo, nel-la presenza dei centri predetti. In essi infatti si produceil fatto tipico, che pare essere la ragione essenziale dellosviluppo arabo; e cioè la collaborazione tra le forze ver-gini nomadi e le forme di vita più elevate. Nei centri siaccumulano le influenze del di fuori, nelle tribù nomadisi afferma la tendenza conservatrice; nei centri si dise-gnano le forme di vita religiosa e culturale superiori, sidelinea la forza del potere centrale, la Obrigkeit dei Te-deschi, si forma il concetto di Stato, che fa difetto allanatura individualistica e centrifuga del costume nomade

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si trae dall'analogia delle condizioni odierne possonodar fondamento a questa tesi. Ma uno sguardo meno su-perficiale alla religione preislamica, di cui esporremoqui sotto i principali tratti, l'insegnamento che pare po-tersi trarre dalle manifestazioni di essa di cui ci restamemoria, il senso che vi appare – seppure soffocato dal-le esigenze della vita materiale – del timore e della rive-renza per il divino, l'eloquenza degli stessi fatti che cimostrano un numero non esiguo di veri e puri Arabi,scossi dal richiamo di Maometto, ad esso rispondere conpiena dedizione ci obbligano a distinguere, certo conmisura sottile, per scorgere quasi in contradizione, nelfondo di questa irreligiosità più che altro apparente, unasorgente viva di senso del divino, che solo ha avuto bi-sogno di un congeniale appello.Ma il nomadismo, e con esso le attitudini e le qualità acui si è accennato e su cui si tornerà, hanno avuto il lorocomplemento, o forse a dir meglio il loro correttivo, nel-la presenza dei centri predetti. In essi infatti si produceil fatto tipico, che pare essere la ragione essenziale dellosviluppo arabo; e cioè la collaborazione tra le forze ver-gini nomadi e le forme di vita più elevate. Nei centri siaccumulano le influenze del di fuori, nelle tribù nomadisi afferma la tendenza conservatrice; nei centri si dise-gnano le forme di vita religiosa e culturale superiori, sidelinea la forza del potere centrale, la Obrigkeit dei Te-deschi, si forma il concetto di Stato, che fa difetto allanatura individualistica e centrifuga del costume nomade

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tribalizio; gli Arabi del deserto rafforzano continuamen-te di sangue e di energie i nuovi organismi politici. Sipuò forse affermare che nella continua comunicazionetra nomadismo e vita sedentaria, con il processo diosmosi che ha sempre rinvigorito le città o ingentilito lerozze tribù, malgrado l'ostilità che ha separato spesso idue elementi;48 nel giusto contemperamento tra la forzadi vita e il costume non corrotto della vita beduina e leragioni superiori della cittadina; tra la forza primitiva efanatica della società beduina, di cui il grande storicoIbn Khaldūn ha misurato con giusto senso la portata, ela disciplina politica e culturale che nasce necessaria-mente nei centri, si può trovare una delle ragioni essen-ziali del successo degli Arabi, la cui storia può efficace-mente considerarsi in funzione di tale equilibrio.49

Quando il beduino, nell'involuzione che nelle vicendedella storia araba ha rimbarbarito il paese è rimasto sen-za contatto coi centri di civiltà e, s'intende, quando lazona di cultura circostante, anch'essa decadendo, non hapiù dato impulso allo sviluppo delle migliori qualità maagli istinti di preda, le deteriori hanno prevalso.50 E in-

48 Si veda per questo oltre le già citate opere sui beduini E. MEYER, Geschi-chte des Altertums, Ia, 2, § 333; e R. DUSSAUD, Les Arabes en Syrie, già ci-tato, p. 4.

49 Fin dall'inizio delle conquiste islamiche vi è stata anzitutto, per varie cau-se, separazione fra i due elementi; quindi, col sopraggiungere dei mawāli,ossia dei non arabi islamizzati, il problema, s'intende, si sposta; ma la basedell'arabismo è ormai posta (cfr. LEVI DELLA VIDA, in Enciclopedia Italia-na, III, 831, e GAUDEFROY-DEMOMBYNES, Le Monde musulman, p. 313 segg.).

50 Cfr. anche A. SPRENGER, Das Leben und die Lehre des Mohammad, Berlin,1869, I, pp. 243-244. Cfr. anche G. LEVI DELLA VIDA, Pre-islamic Arabia,

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tribalizio; gli Arabi del deserto rafforzano continuamen-te di sangue e di energie i nuovi organismi politici. Sipuò forse affermare che nella continua comunicazionetra nomadismo e vita sedentaria, con il processo diosmosi che ha sempre rinvigorito le città o ingentilito lerozze tribù, malgrado l'ostilità che ha separato spesso idue elementi;48 nel giusto contemperamento tra la forzadi vita e il costume non corrotto della vita beduina e leragioni superiori della cittadina; tra la forza primitiva efanatica della società beduina, di cui il grande storicoIbn Khaldūn ha misurato con giusto senso la portata, ela disciplina politica e culturale che nasce necessaria-mente nei centri, si può trovare una delle ragioni essen-ziali del successo degli Arabi, la cui storia può efficace-mente considerarsi in funzione di tale equilibrio.49

Quando il beduino, nell'involuzione che nelle vicendedella storia araba ha rimbarbarito il paese è rimasto sen-za contatto coi centri di civiltà e, s'intende, quando lazona di cultura circostante, anch'essa decadendo, non hapiù dato impulso allo sviluppo delle migliori qualità maagli istinti di preda, le deteriori hanno prevalso.50 E in-

48 Si veda per questo oltre le già citate opere sui beduini E. MEYER, Geschi-chte des Altertums, Ia, 2, § 333; e R. DUSSAUD, Les Arabes en Syrie, già ci-tato, p. 4.

49 Fin dall'inizio delle conquiste islamiche vi è stata anzitutto, per varie cau-se, separazione fra i due elementi; quindi, col sopraggiungere dei mawāli,ossia dei non arabi islamizzati, il problema, s'intende, si sposta; ma la basedell'arabismo è ormai posta (cfr. LEVI DELLA VIDA, in Enciclopedia Italia-na, III, 831, e GAUDEFROY-DEMOMBYNES, Le Monde musulman, p. 313 segg.).

50 Cfr. anche A. SPRENGER, Das Leben und die Lehre des Mohammad, Berlin,1869, I, pp. 243-244. Cfr. anche G. LEVI DELLA VIDA, Pre-islamic Arabia,

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vece di rinsanguare i centri non più abbastanza forti perresistere sotto l'egida di un governo, essi li distruggono,e in minore quantità si inurbano e cresce il numero deinomadi. Così è avvenuto sotto la Turchia.51 Per questonon ci sorprende vedere, accanto al fiorire delle energiebeduine che fu proprio dei primissimi secoli dell'Islam,accanto all'alta forma di poesia o di altra espressione let-teraria da esse prodotte (poiché, come diremo a suo tem-po, il nerbo della letteratura araba è di origine beduina),le barbare imprese di intere tribù ricadute in rozzo co-stume, o la triste fama che i beduini provenienti in origi-ne d'Arabia hanno poi avuto in paesi più civili. L'inva-sione dei Banū Hilāl e dei Banū Sulaim, che alla finedell'undecimo secolo furono scagliati dal Califfo fatimi-da al-Mu‘izz dall'Egitto nell'Africa del Nord contro iprincipi Zīridi, non portò con sé che barbarie; e tristissi-ma memoria ne è rimasta in tutto il Maghreb. E sì chequesti due ceppi del grande ramo delle tribù del Nordebbero parte non trascurabile nelle memorande vicendeantiche d'Arabia prima della loro migrazione in Egitto,ove rimasero isolate. Ma l'allontanamento del Califfatoda Medina a Damasco e poi Bagdad, l'isolamentonell'interno della penisola delle più vive correnti di sto-ria e di cultura, il trovare nel nuovo paese sistemi giàcostituiti e chiusi in modo ben differente dalle antiche

in The Arab Heritage, Princeton University Press, 1944, p. 41.51 Per un parallelo tratto dalla storia recente, si confronti l'infiltrazione della

tribù degli Shammar dal Negd settentrionale nella regione tra il Tigri el'Eufrate durante il secolo XIX.

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vece di rinsanguare i centri non più abbastanza forti perresistere sotto l'egida di un governo, essi li distruggono,e in minore quantità si inurbano e cresce il numero deinomadi. Così è avvenuto sotto la Turchia.51 Per questonon ci sorprende vedere, accanto al fiorire delle energiebeduine che fu proprio dei primissimi secoli dell'Islam,accanto all'alta forma di poesia o di altra espressione let-teraria da esse prodotte (poiché, come diremo a suo tem-po, il nerbo della letteratura araba è di origine beduina),le barbare imprese di intere tribù ricadute in rozzo co-stume, o la triste fama che i beduini provenienti in origi-ne d'Arabia hanno poi avuto in paesi più civili. L'inva-sione dei Banū Hilāl e dei Banū Sulaim, che alla finedell'undecimo secolo furono scagliati dal Califfo fatimi-da al-Mu‘izz dall'Egitto nell'Africa del Nord contro iprincipi Zīridi, non portò con sé che barbarie; e tristissi-ma memoria ne è rimasta in tutto il Maghreb. E sì chequesti due ceppi del grande ramo delle tribù del Nordebbero parte non trascurabile nelle memorande vicendeantiche d'Arabia prima della loro migrazione in Egitto,ove rimasero isolate. Ma l'allontanamento del Califfatoda Medina a Damasco e poi Bagdad, l'isolamentonell'interno della penisola delle più vive correnti di sto-ria e di cultura, il trovare nel nuovo paese sistemi giàcostituiti e chiusi in modo ben differente dalle antiche

in The Arab Heritage, Princeton University Press, 1944, p. 41.51 Per un parallelo tratto dalla storia recente, si confronti l'infiltrazione della

tribù degli Shammar dal Negd settentrionale nella regione tra il Tigri el'Eufrate durante il secolo XIX.

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condizioni d'Arabia avevano ricondotto le tribù, che nonavevano preso parte viva alla nuova evoluzione in Siriao Mesopotamia e oltre in Oriente, a stato primitivo. An-che la storia presente ci dà qualche lezione a questo ri-guardo, sebbene le condizioni di vita siano profonda-mente diverse e i rapporti perciò del tutto turbati. Sem-bra indubbio che l'alto grado di cultura raggiuntodall'Egitto e dalla Siria, il formarsi di una nuova zonaculturale in quei paesi condotti a sì basso livello dallasecolare dominazione turca e dall'isolamento da ognivivo flusso di civiltà già torni a vantaggio dei Beduini.Così il forte impulso dato alla vita d'Arabia dal governodi Ibn Sa‘ūd, la sua cura rivolta a fissare al terreno e ap-plicare all'agricoltura non esiguo numero di nomadi(tale programma di risorgimento agricolo fu anche deiSenussi) e le nuove ragioni di vita civile pur entro ilquadro del rigido conservatorismo proprio dei Wahhābi-ti non potrà non dare alle energie beduine un nuovocampo d'azione; come ce lo dirà un prossimo futuro.E vogliamo fin da ora dire ciò che dovremo ribadire inun'altra occasione, che non ci sembra storicamente con-clusivo il soverchio risalto che da più autori, ma special-mente dal Lammens e dal Nau,52 è stato dato all'innega-

52 Il primo in parecchi suoi scritti pervasi da un grande disprezzo per i bedui-ni, il secondo nel suo libro Les Arabes chrétiens de la Mésopotamie et dela Syrie (Cahiers de la Société Asiatique, Ière série, Paris, 1933). V. alcunemie brevi osservazioni in «Rivista degli Studi Orientali», XV, 1935, p.113. In parecchie pagine del Berceau de l'Islam il Lammens ha tuttaviamostrato, in contraddizione con la conclusione del suo libro (pp. 332-334),di sentire appieno il valore delle migliori qualità beduine.

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condizioni d'Arabia avevano ricondotto le tribù, che nonavevano preso parte viva alla nuova evoluzione in Siriao Mesopotamia e oltre in Oriente, a stato primitivo. An-che la storia presente ci dà qualche lezione a questo ri-guardo, sebbene le condizioni di vita siano profonda-mente diverse e i rapporti perciò del tutto turbati. Sem-bra indubbio che l'alto grado di cultura raggiuntodall'Egitto e dalla Siria, il formarsi di una nuova zonaculturale in quei paesi condotti a sì basso livello dallasecolare dominazione turca e dall'isolamento da ognivivo flusso di civiltà già torni a vantaggio dei Beduini.Così il forte impulso dato alla vita d'Arabia dal governodi Ibn Sa‘ūd, la sua cura rivolta a fissare al terreno e ap-plicare all'agricoltura non esiguo numero di nomadi(tale programma di risorgimento agricolo fu anche deiSenussi) e le nuove ragioni di vita civile pur entro ilquadro del rigido conservatorismo proprio dei Wahhābi-ti non potrà non dare alle energie beduine un nuovocampo d'azione; come ce lo dirà un prossimo futuro.E vogliamo fin da ora dire ciò che dovremo ribadire inun'altra occasione, che non ci sembra storicamente con-clusivo il soverchio risalto che da più autori, ma special-mente dal Lammens e dal Nau,52 è stato dato all'innega-

52 Il primo in parecchi suoi scritti pervasi da un grande disprezzo per i bedui-ni, il secondo nel suo libro Les Arabes chrétiens de la Mésopotamie et dela Syrie (Cahiers de la Société Asiatique, Ière série, Paris, 1933). V. alcunemie brevi osservazioni in «Rivista degli Studi Orientali», XV, 1935, p.113. In parecchie pagine del Berceau de l'Islam il Lammens ha tuttaviamostrato, in contraddizione con la conclusione del suo libro (pp. 332-334),di sentire appieno il valore delle migliori qualità beduine.

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bile aspetto barbarico e primitivo di alcuni lati della vitabeduina, poiché ad esso non è sempre contrapposta lagiusta considerazione di aspetti ben differenti. Certo,questa barbarie appare ben chiara dalla descrizione degliesploratori, e per esempio dai diari degli ultimi viaggidel Musil in paese arabo, più volte citati; né però sonosfuggite, e specialmente al Burckhardt, le alte doti allequali abbiamo già accennato.53 Come si spiegherebbe, astare ad alcune conclusioni dei due predetti autori, il na-scere di tanta storia da uomini siffatti; alle cui antichegesta, alle cui creazioni letterarie si ispira per una buonaparte un vero e proprio umanismo arabo che pervadequale spirito vitale lo sviluppo della cultura musulma-na? Ad essa non ha ritegno di ispirarsi perfino la moder-na coscienza culturale dei paesi arabi così progrediticome a fonte prima dell'adab, il che è quanto dire dellaquintessenza della formazione spirituale nazionale; aesso ci richiama esplicitamente il più spregiudicato, ilpiù modernista dei critici arabi, l'egiziano Ṭāhā Ḥusein,che in un suo recente scritto54 non esita a tributare il do-53 V. J. BURCKHARDT, Notes on the Bedouins and Wahhabys, p. 142 e passim

nel capitolo «General Character of the Bedouins».54 Nella conferenza Al-adab al-‘arabī baina al-ādāb al-kubrā (La letteratura

araba tra le maggiori letterature), tenuta all'Accademia americana del Cai-ro e pubblicata nel volume, Min ḥadīth ash-shi‘r wa᾽n-nathr, Cairo, 1936,alcune affermazioni sembrano esagerate, così quella circa la maggiore ori-ginalità della letteratura araba di fronte alla latina. Che le antiche qaṣīde (ola poesia di al-Akhṭal, Giarīr o al-Farazdaq) possano chiamarsi poesia epi-ca non si ammetterà senza grande riserva o si darà alla denominazione unvalore relativo. Buono il criterio di tener presente per la storia intima delfenomeno letterario arabo i romanzi (di ‘Antarah, dei Banū Hilāl ecc.) chesono per lo più spregiati dall'opinione colta e lasciati agli umili frequenta-

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bile aspetto barbarico e primitivo di alcuni lati della vitabeduina, poiché ad esso non è sempre contrapposta lagiusta considerazione di aspetti ben differenti. Certo,questa barbarie appare ben chiara dalla descrizione degliesploratori, e per esempio dai diari degli ultimi viaggidel Musil in paese arabo, più volte citati; né però sonosfuggite, e specialmente al Burckhardt, le alte doti allequali abbiamo già accennato.53 Come si spiegherebbe, astare ad alcune conclusioni dei due predetti autori, il na-scere di tanta storia da uomini siffatti; alle cui antichegesta, alle cui creazioni letterarie si ispira per una buonaparte un vero e proprio umanismo arabo che pervadequale spirito vitale lo sviluppo della cultura musulma-na? Ad essa non ha ritegno di ispirarsi perfino la moder-na coscienza culturale dei paesi arabi così progrediticome a fonte prima dell'adab, il che è quanto dire dellaquintessenza della formazione spirituale nazionale; aesso ci richiama esplicitamente il più spregiudicato, ilpiù modernista dei critici arabi, l'egiziano Ṭāhā Ḥusein,che in un suo recente scritto54 non esita a tributare il do-53 V. J. BURCKHARDT, Notes on the Bedouins and Wahhabys, p. 142 e passim

nel capitolo «General Character of the Bedouins».54 Nella conferenza Al-adab al-‘arabī baina al-ādāb al-kubrā (La letteratura

araba tra le maggiori letterature), tenuta all'Accademia americana del Cai-ro e pubblicata nel volume, Min ḥadīth ash-shi‘r wa᾽n-nathr, Cairo, 1936,alcune affermazioni sembrano esagerate, così quella circa la maggiore ori-ginalità della letteratura araba di fronte alla latina. Che le antiche qaṣīde (ola poesia di al-Akhṭal, Giarīr o al-Farazdaq) possano chiamarsi poesia epi-ca non si ammetterà senza grande riserva o si darà alla denominazione unvalore relativo. Buono il criterio di tener presente per la storia intima delfenomeno letterario arabo i romanzi (di ‘Antarah, dei Banū Hilāl ecc.) chesono per lo più spregiati dall'opinione colta e lasciati agli umili frequenta-

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vuto omaggio ai valori dell'antica vita araba, e cioè be-duina. E dice giustamente il García Gómez, nella sua in-troduzione ai Poemas arábigo-andaluces,55 che la be-duinità non è arcaismo, ma immersione nella coscienzaeterna degli Arabi.Noi cerchiamo la soluzione, e lo abbiamo detto, di taleproblema storico nel felice contemperamento di vita be-duina e di vita sedentaria, di notevoli qualità innate delpopolo arabo e di favorevoli condizioni avveratesi nellazona culturale nella quale si è svolto il processo storico;e troviamo la ragione dell'innegabile manchevolezza deicompromessi ai quali la realtà araba si è conformata, ol-tre, s'intende, che nei limiti di quella umanità, in un'altracondizione che ci preme subito rilevare, e che è ancheconseguenza della posizione geografica del paese sullaquale ci siamo intrattenuti. Tale condizione è la naturadi zona isolata che è propria della penisola araba: sepa-rata come è dal vivo flusso delle maggiori correnti dicultura e di storia orientali dai suoi deserti che rendonole comunicazioni lente e difficili. La linguistica moder-na con chiaro esempio ha mostrato la costanza, non cer-to assoluta, dei riflessi che sul divenire delle parlate hail loro sviluppo in zone laterali ed isolate. E le regoleche se ne possono trarre son da applicare anche, certocon delicata prudenza, alla storia politica e religiosa eculturale; come ha fatto, qualche volta forse con ecces-

tori dei caffè popolari.55 Seconda edizione (Collección Austral), Madrid, 1940, p. 16.

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vuto omaggio ai valori dell'antica vita araba, e cioè be-duina. E dice giustamente il García Gómez, nella sua in-troduzione ai Poemas arábigo-andaluces,55 che la be-duinità non è arcaismo, ma immersione nella coscienzaeterna degli Arabi.Noi cerchiamo la soluzione, e lo abbiamo detto, di taleproblema storico nel felice contemperamento di vita be-duina e di vita sedentaria, di notevoli qualità innate delpopolo arabo e di favorevoli condizioni avveratesi nellazona culturale nella quale si è svolto il processo storico;e troviamo la ragione dell'innegabile manchevolezza deicompromessi ai quali la realtà araba si è conformata, ol-tre, s'intende, che nei limiti di quella umanità, in un'altracondizione che ci preme subito rilevare, e che è ancheconseguenza della posizione geografica del paese sullaquale ci siamo intrattenuti. Tale condizione è la naturadi zona isolata che è propria della penisola araba: sepa-rata come è dal vivo flusso delle maggiori correnti dicultura e di storia orientali dai suoi deserti che rendonole comunicazioni lente e difficili. La linguistica moder-na con chiaro esempio ha mostrato la costanza, non cer-to assoluta, dei riflessi che sul divenire delle parlate hail loro sviluppo in zone laterali ed isolate. E le regoleche se ne possono trarre son da applicare anche, certocon delicata prudenza, alla storia politica e religiosa eculturale; come ha fatto, qualche volta forse con ecces-

tori dei caffè popolari.55 Seconda edizione (Collección Austral), Madrid, 1940, p. 16.

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so, uno dei geniali creatori della nuova linguistica, ilglottologo italiano Matteo Bartoli, recentemente scom-parso. Zona isolata è, s'intende, un concetto relativo; eogni zona isolata ha più o meno efficaci i suoi mezzi dicomunicazione. Così l'Arabia ha una condizione relati-vamente favorevole nella presenza di naturali tracciatiche non si possono certo chiamare strade, ma che tem-perano in qualche modo l'isolamento. I predetti wādī,antichi letti di fiume, ora secchi se non durante le grandipiogge, costituiscono delle piste non certo agevoli, quasivie naturali lungo le quali durante i secoli si sono anno-date, meglio che attraverso il deserto, relazioni con altricentri, si sono disegnate isolinee linguistiche, culturali oaltre, che è compito attraente della ricerca tracciare pertrarne non trascurabili conseguenze. Il Wādī ad-Dawā-sir,56 recentemente esplorato dal Philby, porta agevol-mente dal Yemen settentrionale all'Arabia centrale, dacui si giunge alla Mesopotamia meridionale attraversola grande via di comunicazione fra queste due ultime re-gioni e cioè il Wādī ar-Rummah. Per questa strada si ècertamente stabilito un contatto tra cultura accadica ecultura yemenita; ciò spiega le affinità tra di esse, e sipuò affermare che le isolinee, che indubbiamente con-giungono le rispettive lingue, debbono molto alla pre-senza di tale via.Attraverso il Wādī as-Sirḥān57 l'Arabia centrale si ricol-56 Cfr. per questa parte il breve ma assai importante scritto geografico del

NALLINO in Raccolta di scritti editi e inediti, III, p. 1 segg.57 Questi tre grandi wādī secondo il CAETANI, che ha sviluppato la teoria

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so, uno dei geniali creatori della nuova linguistica, ilglottologo italiano Matteo Bartoli, recentemente scom-parso. Zona isolata è, s'intende, un concetto relativo; eogni zona isolata ha più o meno efficaci i suoi mezzi dicomunicazione. Così l'Arabia ha una condizione relati-vamente favorevole nella presenza di naturali tracciatiche non si possono certo chiamare strade, ma che tem-perano in qualche modo l'isolamento. I predetti wādī,antichi letti di fiume, ora secchi se non durante le grandipiogge, costituiscono delle piste non certo agevoli, quasivie naturali lungo le quali durante i secoli si sono anno-date, meglio che attraverso il deserto, relazioni con altricentri, si sono disegnate isolinee linguistiche, culturali oaltre, che è compito attraente della ricerca tracciare pertrarne non trascurabili conseguenze. Il Wādī ad-Dawā-sir,56 recentemente esplorato dal Philby, porta agevol-mente dal Yemen settentrionale all'Arabia centrale, dacui si giunge alla Mesopotamia meridionale attraversola grande via di comunicazione fra queste due ultime re-gioni e cioè il Wādī ar-Rummah. Per questa strada si ècertamente stabilito un contatto tra cultura accadica ecultura yemenita; ciò spiega le affinità tra di esse, e sipuò affermare che le isolinee, che indubbiamente con-giungono le rispettive lingue, debbono molto alla pre-senza di tale via.Attraverso il Wādī as-Sirḥān57 l'Arabia centrale si ricol-56 Cfr. per questa parte il breve ma assai importante scritto geografico del

NALLINO in Raccolta di scritti editi e inediti, III, p. 1 segg.57 Questi tre grandi wādī secondo il CAETANI, che ha sviluppato la teoria

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lega poi abbastanza agevolmente con la Siria. Ma v'èpoi un'altra via di comunicazione che ha avuto grandeimportanza per la storia d'Arabia, quella seguitadall'antico commercio, poi dal pellegrinaggio dai paesid'Islam verso l'Arabia, in ultimo dalla ferrovia del Ḥi-giāz che porta da Medina verso la Transgiordania, la Pa-lestina e la Siria attraverso le oasi di al-‘Ulā e Tabūk.Se si pensa al vigore delle civiltà di Babilonia, di Siria edi Palestina, alla presenza di grandi imperi che estende-vano nelle diverse epoche il loro influsso fino ai confinidi Arabia, all'assiro-babilonese, al persiano, al bizantino,alla zona culturale insomma così brillante che fasciaval'Arabia; se si ricorda insieme la natura di area isolatapropria di quel paese, che tali vie di comunicazione nonriescono che a temperare, insieme con la mobilità deinomadi e la intensità del commercio; se si pensa infinealla forte tradizione araba che si è formata tale per le fe-lici disposizioni del popolo, ma insieme per l'assenza diun contatto continuo con il mondo esteriore, si com-prenderà facilmente nelle sue cause essenziali un carat-tere fondamentale dello sviluppo della cultura araba chesarà sempre presente a questa esposizione. Esso è il con-vergere di fattori di conservazione da un lato, resi fortidalla natura di zona isolata, di una tradizione araba, unvero e proprio arabismo che in perpetuo sta alla base di

dell'inaridimento d'Arabia e che riprende le teorie del Delitzsch, Hommel eWinckler, erano all'età glaciale ricchissimi di acqua e sboccavano nellapianura alluvionale presso l'Eufrate; essi sarebbero, con questo, i quattrofiumi dell'Eden (v. Studi di Storia orientale, I, specialmente p. 130).

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lega poi abbastanza agevolmente con la Siria. Ma v'èpoi un'altra via di comunicazione che ha avuto grandeimportanza per la storia d'Arabia, quella seguitadall'antico commercio, poi dal pellegrinaggio dai paesid'Islam verso l'Arabia, in ultimo dalla ferrovia del Ḥi-giāz che porta da Medina verso la Transgiordania, la Pa-lestina e la Siria attraverso le oasi di al-‘Ulā e Tabūk.Se si pensa al vigore delle civiltà di Babilonia, di Siria edi Palestina, alla presenza di grandi imperi che estende-vano nelle diverse epoche il loro influsso fino ai confinidi Arabia, all'assiro-babilonese, al persiano, al bizantino,alla zona culturale insomma così brillante che fasciaval'Arabia; se si ricorda insieme la natura di area isolatapropria di quel paese, che tali vie di comunicazione nonriescono che a temperare, insieme con la mobilità deinomadi e la intensità del commercio; se si pensa infinealla forte tradizione araba che si è formata tale per le fe-lici disposizioni del popolo, ma insieme per l'assenza diun contatto continuo con il mondo esteriore, si com-prenderà facilmente nelle sue cause essenziali un carat-tere fondamentale dello sviluppo della cultura araba chesarà sempre presente a questa esposizione. Esso è il con-vergere di fattori di conservazione da un lato, resi fortidalla natura di zona isolata, di una tradizione araba, unvero e proprio arabismo che in perpetuo sta alla base di

dell'inaridimento d'Arabia e che riprende le teorie del Delitzsch, Hommel eWinckler, erano all'età glaciale ricchissimi di acqua e sboccavano nellapianura alluvionale presso l'Eufrate; essi sarebbero, con questo, i quattrofiumi dell'Eden (v. Studi di Storia orientale, I, specialmente p. 130).

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ogni sviluppo; e dall'altro lato di fattori di innovazionedovuti al contatto con la zona di cultura circostante, as-sunti con la facoltà di assimilazione a cui abbiamo giàaccennato, ma giunti spesso illanguiditi e deformati at-traverso le vie di comunicazione predette che temperanoma non aboliscono l'isolamento. E da questo convergerenasce costantemente una serie di compromessi tra vitanazionale e novità straniera, la quale non può mai vince-re per la sua insufficiente forza di penetrazione di frontealla forza originaria della tradizione. Si può affermare,io credo, che tale carattere è quello più proprio all'azio-ne di Maometto e che dietro le sue orme si scopre neisuoi effetti in tutto il divenire della cultura araba; è anziuno dei più efficaci criteri di considerazione di essa, dicoordinamento e di giudizio dei suoi valori.Dopo questa premessa sulle condizioni che l'ambientegeografico ha poste alla vita degli Arabi, e che abbiamoveduto essere così determinate, è tempo di guardare alleorigini del popolo arabo e studiare a fondo la sua vitanel periodo che precede l'Islam; che è compito davverolungo e difficile. Ma è da compiersi con ogni cura, per-ché solo nella chiara nozione dei valori maturati nel pe-riodo che prepara la mirabile avventura si può trovare lapiù profonda ragione della natura di quel singolare pro-cesso storico, si può dare un giudizio sensato sul valoredella cultura araba che diviene un elemento così impor-tante dell'unità mediterranea ed europea. E per giungerea ciò occorre non solo constatare una data serie di fatti,

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ogni sviluppo; e dall'altro lato di fattori di innovazionedovuti al contatto con la zona di cultura circostante, as-sunti con la facoltà di assimilazione a cui abbiamo giàaccennato, ma giunti spesso illanguiditi e deformati at-traverso le vie di comunicazione predette che temperanoma non aboliscono l'isolamento. E da questo convergerenasce costantemente una serie di compromessi tra vitanazionale e novità straniera, la quale non può mai vince-re per la sua insufficiente forza di penetrazione di frontealla forza originaria della tradizione. Si può affermare,io credo, che tale carattere è quello più proprio all'azio-ne di Maometto e che dietro le sue orme si scopre neisuoi effetti in tutto il divenire della cultura araba; è anziuno dei più efficaci criteri di considerazione di essa, dicoordinamento e di giudizio dei suoi valori.Dopo questa premessa sulle condizioni che l'ambientegeografico ha poste alla vita degli Arabi, e che abbiamoveduto essere così determinate, è tempo di guardare alleorigini del popolo arabo e studiare a fondo la sua vitanel periodo che precede l'Islam; che è compito davverolungo e difficile. Ma è da compiersi con ogni cura, per-ché solo nella chiara nozione dei valori maturati nel pe-riodo che prepara la mirabile avventura si può trovare lapiù profonda ragione della natura di quel singolare pro-cesso storico, si può dare un giudizio sensato sul valoredella cultura araba che diviene un elemento così impor-tante dell'unità mediterranea ed europea. E per giungerea ciò occorre non solo constatare una data serie di fatti,

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occorre risentire in sé, ricostruire nella propria sensibili-tà la forza e il fascino dell'Arabismo.E non si può a meno, prima di accingersi a questo com-pito, di ribadire una verità che forse è stata un poco of-fuscata, non certo per l'intenzione dei grandi maestri chehanno felicemente applicato l'abito e il metodo criticoeuropeo ai monumenti della tradizione araba, ma piutto-sto per lo zelo eccessivo di epigoni e di minores che nonhanno saputo serbare la misura nell'applicazione dei cri-teri e han perduto, per eccessivo omaggio alla critica, lagiusta considerazione della fonte araba. È certo che èprimo dovere dello storico di questo fenomeno riassu-mere in sé, e si è detto or ora, per quanto la vastissimamateria lo permetta, il senso della molteplice indicazio-ne che a noi viene dal grandioso complesso della tradi-zione araba, a partire dalla poesia fino all'insieme delletradizioni canoniche; saperla rivivere e interpretare, se-guendo il solco dell'umanismo arabo, che da secoli ria-nima per la formazione e l'educazione delle generazionigli antichi valori, e che ancora oggi, pure nel premeredella vita moderna, è forza operante nei paesi di linguaaraba, in cui la parte più viva e più originale della cultu-ra riposa sulla continua rievocazione ed interpretazionedell'antico patrimonio spirituale arabo. È di questo parteessenziale il retaggio tramandato alle generazioni poste-riori del periodo preislamico, che potremmo dire eroicoe che insieme con la nuova religione di vita creata dallariforma di Maometto costituisce il fondamento su cui

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occorre risentire in sé, ricostruire nella propria sensibili-tà la forza e il fascino dell'Arabismo.E non si può a meno, prima di accingersi a questo com-pito, di ribadire una verità che forse è stata un poco of-fuscata, non certo per l'intenzione dei grandi maestri chehanno felicemente applicato l'abito e il metodo criticoeuropeo ai monumenti della tradizione araba, ma piutto-sto per lo zelo eccessivo di epigoni e di minores che nonhanno saputo serbare la misura nell'applicazione dei cri-teri e han perduto, per eccessivo omaggio alla critica, lagiusta considerazione della fonte araba. È certo che èprimo dovere dello storico di questo fenomeno riassu-mere in sé, e si è detto or ora, per quanto la vastissimamateria lo permetta, il senso della molteplice indicazio-ne che a noi viene dal grandioso complesso della tradi-zione araba, a partire dalla poesia fino all'insieme delletradizioni canoniche; saperla rivivere e interpretare, se-guendo il solco dell'umanismo arabo, che da secoli ria-nima per la formazione e l'educazione delle generazionigli antichi valori, e che ancora oggi, pure nel premeredella vita moderna, è forza operante nei paesi di linguaaraba, in cui la parte più viva e più originale della cultu-ra riposa sulla continua rievocazione ed interpretazionedell'antico patrimonio spirituale arabo. È di questo parteessenziale il retaggio tramandato alle generazioni poste-riori del periodo preislamico, che potremmo dire eroicoe che insieme con la nuova religione di vita creata dallariforma di Maometto costituisce il fondamento su cui

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posa tutto il maestoso edificio della cultura araba. È perquesta penetrazione nel senso della tradizione che l'ope-ra del Caussin de Perceval58 conserva ancora, nonostanteche tanto sia stato in un secolo il progresso degli studiarabi, tutto il suo pregio di una suggestiva rievocazionedell'antichità araba. Oggi ben altri ausili noi abbiamoper la ricostruzione degli avvenimenti; e siamo stati av-vertiti dalla sagace opera dei grandi critici moderni, fracui piace ricordare subito il Caetani, della fallacia di nonpoche indicazioni della storiografia araba, mentre peropera specialmente del Nöldeke sono stati con felice ri-sultato tratti a partito i dati di scrittori bizantini e siriaci,si è anzi costituito un canone di critica che vuole attri-buire piena verità ad alcuni dati tradizionali solo quandoessi concordino con le fonti predette. Per l'opera poi diedizione critica, d'interpretazione e di versione di alcunifondamentali monumenti storici, noi siamo in grado dipercepire meglio questa grande voce che ci vienedall'antichità e alla quale dobbiamo anzitutto ispirarciper la ricostruzione di una viva verità storica. Le notiziedelle cronache bizantine o siriache, del resto così spessoscialbe compilazioni, sono per noi preziose e il canonedel Nöldeke ha dato ricco frutto, come per esempio in

58 A. P. CAUSSIN DE PERCEVAL, Essai sur l'histoire des Arabes avant l'Islami-sme, pendant l'époque de Mahomet, et jusqu'à la réduction de toutes lestribus sous la loi musulmane (3 voll.), Paris, 1846-1848; non si può abba-stanza apprezzare il valore formativo che può avere ancora per un arabistaquesto insigne monumento di dottrina e di gusto, anche se in cento anni lascienza arabistica ha fatto tanto progresso e se insieme la critica modernaha esigenze maggiori.

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posa tutto il maestoso edificio della cultura araba. È perquesta penetrazione nel senso della tradizione che l'ope-ra del Caussin de Perceval58 conserva ancora, nonostanteche tanto sia stato in un secolo il progresso degli studiarabi, tutto il suo pregio di una suggestiva rievocazionedell'antichità araba. Oggi ben altri ausili noi abbiamoper la ricostruzione degli avvenimenti; e siamo stati av-vertiti dalla sagace opera dei grandi critici moderni, fracui piace ricordare subito il Caetani, della fallacia di nonpoche indicazioni della storiografia araba, mentre peropera specialmente del Nöldeke sono stati con felice ri-sultato tratti a partito i dati di scrittori bizantini e siriaci,si è anzi costituito un canone di critica che vuole attri-buire piena verità ad alcuni dati tradizionali solo quandoessi concordino con le fonti predette. Per l'opera poi diedizione critica, d'interpretazione e di versione di alcunifondamentali monumenti storici, noi siamo in grado dipercepire meglio questa grande voce che ci vienedall'antichità e alla quale dobbiamo anzitutto ispirarciper la ricostruzione di una viva verità storica. Le notiziedelle cronache bizantine o siriache, del resto così spessoscialbe compilazioni, sono per noi preziose e il canonedel Nöldeke ha dato ricco frutto, come per esempio in

58 A. P. CAUSSIN DE PERCEVAL, Essai sur l'histoire des Arabes avant l'Islami-sme, pendant l'époque de Mahomet, et jusqu'à la réduction de toutes lestribus sous la loi musulmane (3 voll.), Paris, 1846-1848; non si può abba-stanza apprezzare il valore formativo che può avere ancora per un arabistaquesto insigne monumento di dottrina e di gusto, anche se in cento anni lascienza arabistica ha fatto tanto progresso e se insieme la critica modernaha esigenze maggiori.

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alcune monografie sui piccoli regni d'Arabia;59 ma dalfiume maestoso della tradizione araba, nella diffidenzaverso la quale si è del resto non poco esagerato, viene anoi, con non poca parte della verità storica, il più intimosenso dell'antichità, dell'epoca che è sempre apparsa allacoscienza nazionale come la eroica.60

59 Così G. ROTHSTEIN, Die Dynastie der Laḫmiden in al-Ḥīra. Ein Versuch zurarabisch-persischen Geschichte zur Zeit der Sasaniden, Berlin, 1899; G.OLINDER, The Kings of Kinda of the family of Ākil al-Murār, Lund, 1927(«Lunds Universitets Ǻrsskrift», N. F. Avd. I, Bd. 23, Nr. 6). Il modello diquesti scritti è la celebre memoria di TH. NÖLDEKE, Die GhassanischenFürsten aus dem Hause Gafna's («Abhandlungen der k. Preuss. Akad. d.Wissenschaften»), Berlin, 1887.

60 Si può citare come felice contemperamento della più vigile critica, educataalla scuola del Fischer, e del senso del valore della tradizione uno scritto diE. BRÄUNLICH, Bisṭām ibn Qais, ein vorislamischer Beduinenfürst undHeld, Leipzig, 1923. Si vedano anche i libri di BICHR FARÈS, specialmenteL'honneur chez les Arabes avant l'Islam, cap. II, Paris, 1932.

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alcune monografie sui piccoli regni d'Arabia;59 ma dalfiume maestoso della tradizione araba, nella diffidenzaverso la quale si è del resto non poco esagerato, viene anoi, con non poca parte della verità storica, il più intimosenso dell'antichità, dell'epoca che è sempre apparsa allacoscienza nazionale come la eroica.60

59 Così G. ROTHSTEIN, Die Dynastie der Laḫmiden in al-Ḥīra. Ein Versuch zurarabisch-persischen Geschichte zur Zeit der Sasaniden, Berlin, 1899; G.OLINDER, The Kings of Kinda of the family of Ākil al-Murār, Lund, 1927(«Lunds Universitets Ǻrsskrift», N. F. Avd. I, Bd. 23, Nr. 6). Il modello diquesti scritti è la celebre memoria di TH. NÖLDEKE, Die GhassanischenFürsten aus dem Hause Gafna's («Abhandlungen der k. Preuss. Akad. d.Wissenschaften»), Berlin, 1887.

60 Si può citare come felice contemperamento della più vigile critica, educataalla scuola del Fischer, e del senso del valore della tradizione uno scritto diE. BRÄUNLICH, Bisṭām ibn Qais, ein vorislamischer Beduinenfürst undHeld, Leipzig, 1923. Si vedano anche i libri di BICHR FARÈS, specialmenteL'honneur chez les Arabes avant l'Islam, cap. II, Paris, 1932.

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CAPITOLO SECONDO.IL POPOLO D'ARABIA

E LA SUA STORIA PRIMADELL'ISLAM.

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CAPITOLO SECONDO.IL POPOLO D'ARABIA

E LA SUA STORIA PRIMADELL'ISLAM.

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I.LE ORIGINI ARABE.

Il popolo che da tempo antichissimo noi sappiamo averabitato la penisola arabica costituisce uno dei principalirami della stirpe semitica.61 L'etimologia del nome‘arab è oscura; essa è stata messa in rapporto dal We-tzstein con la radice che è a base della parola ebraica‘erābhāh, che ha il significato di steppa.62 Osserva M.Hartmann63 che a questa radice ebraica corrisponde inarabo non ‘arab ma gharab e che se si deve stabilireuna connessione delle antiche condizioni con l'indica-zione di una radice semitica occorrerebbe pensare piut-tosto a uno dei significati della radice ‘arab: «essereperturbato, mescolato». Gli Arabi sarebbero la popola-zione mancante dell'organizzazione della società ordina-ta, gli abitanti della steppa, massa amorfa di fronte agliabitanti del paese coltivato. In ogni modo occorre tenersempre presente il costante significato che ha la parola‘arab di nomadi, beduini, abitanti del deserto.

61 Per un orientamento sui popoli semitici v. oltre il citato articolo Semiti re-datto da G. LEVI DELLA VIDA per l'Enciclopedia Italiana la prefazione di C.BROCKELMANN, Grundriss der vergleichenden Grammatik der semitischenSprachen, Berlin, 1908-1913. Sempre utile, nonostante la sua data, il cele-bre schizzo del NÖLDEKE, Die semitischen Sprachen, 2a ed., Leipzig, 1899.

62 Cfr. ḤASAN IBRĀHĪM ḤASAN, Ta᾽rīkh al-Islām assiyāsī, Cairo, 1935, I, p. 19,dove è riferita l'opinione del Nöldeke intorno al probabile significato di«deserto».

63 Der islamische Orient..., vol. II, Die arabische Frage mit einem Versuchder Archäologie Jemens, Leipzig, 1909, p. 113.

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I.LE ORIGINI ARABE.

Il popolo che da tempo antichissimo noi sappiamo averabitato la penisola arabica costituisce uno dei principalirami della stirpe semitica.61 L'etimologia del nome‘arab è oscura; essa è stata messa in rapporto dal We-tzstein con la radice che è a base della parola ebraica‘erābhāh, che ha il significato di steppa.62 Osserva M.Hartmann63 che a questa radice ebraica corrisponde inarabo non ‘arab ma gharab e che se si deve stabilireuna connessione delle antiche condizioni con l'indica-zione di una radice semitica occorrerebbe pensare piut-tosto a uno dei significati della radice ‘arab: «essereperturbato, mescolato». Gli Arabi sarebbero la popola-zione mancante dell'organizzazione della società ordina-ta, gli abitanti della steppa, massa amorfa di fronte agliabitanti del paese coltivato. In ogni modo occorre tenersempre presente il costante significato che ha la parola‘arab di nomadi, beduini, abitanti del deserto.

61 Per un orientamento sui popoli semitici v. oltre il citato articolo Semiti re-datto da G. LEVI DELLA VIDA per l'Enciclopedia Italiana la prefazione di C.BROCKELMANN, Grundriss der vergleichenden Grammatik der semitischenSprachen, Berlin, 1908-1913. Sempre utile, nonostante la sua data, il cele-bre schizzo del NÖLDEKE, Die semitischen Sprachen, 2a ed., Leipzig, 1899.

62 Cfr. ḤASAN IBRĀHĪM ḤASAN, Ta᾽rīkh al-Islām assiyāsī, Cairo, 1935, I, p. 19,dove è riferita l'opinione del Nöldeke intorno al probabile significato di«deserto».

63 Der islamische Orient..., vol. II, Die arabische Frage mit einem Versuchder Archäologie Jemens, Leipzig, 1909, p. 113.

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Non è neanche facile definire il posto dei Semiti e degliArabi nella classificazione antropologica degli abitantidella terra, considerate le notevoli commistioni di san-gue che hanno influito sul tipo dei vari popoli semiticiche si comprendono generalmente, secondo la classifi-cazione dell'Eickstedt, nella suddivisione orientali dadei popoli bianchi. Così sono attestati sicuramente icontatti con la razza etiopica.Noi non sappiamo quali altre stirpi abbiano abitatol'Arabia prima dei Semiti; i ritrovamenti preistorici sonoscarsi, sembrano però già indicare la presenza di civiltàpaleolitiche e neolitiche anteriori ai Semiti, o per megliodire ai Camito-semiti. Ma nulla più di questo vago indi-zio; e se l'archeologia dà così scarso aiuto, né storia néfilologia o considerazione comparata delle vicende do-cumentate d'altre parti d'Oriente possono darci elementiper la conoscenza della popolazione anteriore alla venu-ta dei Semiti.64

La tradizione indigena invece, con la sua cronologia im-maginaria, sa narrare l'antichissima storia del paese riat-taccandola per genealogie alla diffusione dei popolidopo il diluvio universale. È ovvio che nessuna ricostru-zione storica potrebbe fondarsi su questi dati in parteleggendari e mitologici, sebbene non sia del tutto esclu-so che sotto la veste della leggenda si nasconda qualche

64 Buona raccolta delle notizie sulla protostoria dei Camito-semiti in G. A.BARTON, Semitic and Hamitic origins (2a ed. del libro uscito nel 1902, ASketch of Semitic origins), Philadelphia, 1934.

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Non è neanche facile definire il posto dei Semiti e degliArabi nella classificazione antropologica degli abitantidella terra, considerate le notevoli commistioni di san-gue che hanno influito sul tipo dei vari popoli semiticiche si comprendono generalmente, secondo la classifi-cazione dell'Eickstedt, nella suddivisione orientali dadei popoli bianchi. Così sono attestati sicuramente icontatti con la razza etiopica.Noi non sappiamo quali altre stirpi abbiano abitatol'Arabia prima dei Semiti; i ritrovamenti preistorici sonoscarsi, sembrano però già indicare la presenza di civiltàpaleolitiche e neolitiche anteriori ai Semiti, o per megliodire ai Camito-semiti. Ma nulla più di questo vago indi-zio; e se l'archeologia dà così scarso aiuto, né storia néfilologia o considerazione comparata delle vicende do-cumentate d'altre parti d'Oriente possono darci elementiper la conoscenza della popolazione anteriore alla venu-ta dei Semiti.64

La tradizione indigena invece, con la sua cronologia im-maginaria, sa narrare l'antichissima storia del paese riat-taccandola per genealogie alla diffusione dei popolidopo il diluvio universale. È ovvio che nessuna ricostru-zione storica potrebbe fondarsi su questi dati in parteleggendari e mitologici, sebbene non sia del tutto esclu-so che sotto la veste della leggenda si nasconda qualche

64 Buona raccolta delle notizie sulla protostoria dei Camito-semiti in G. A.BARTON, Semitic and Hamitic origins (2a ed. del libro uscito nel 1902, ASketch of Semitic origins), Philadelphia, 1934.

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particella di vero. Due grandi categorie di popoli hannoabitato secondo tale tradizione successivamente la peni-sola: le popolazioni bā᾽idah o sparite, le bāqiyah omuta᾽akhkhirah, cioè quelle che sopravvivono o poste-riori. Queste si suddividono alla loro volta in popolazio-ni ‘āribah, cioè le pure arabe, quelle che hanno dall'ini-zio parlato il puro arabo (la considerazione dal punto divista linguistico ha grande importanza per gli archeologiarabi) e cioè gli Arabi yemeniti o meridionali; e popola-zioni muta‘arribah o arabizzate, che hanno preso la lin-gua dalle prime; e sono le popolazioni del Nord, detteanche ismailite perché riconnesse geneologicamente conIsmaele figlio di Abramo e con esso venute in Arabia.Tale classifica ha una notevole variante: secondo alcuni,infatti, le genti sparite sarebbero gli ‘āribah, i Yemenitisarebbero i muta‘arribah, già dunque essi stessi arabiz-zati, e gli Arabi del Nord, o Ismailiti, i musta‘ribah.Tale racconto tradizionale, come si è già detto, vuol risa-lire alle origini; e le popolazioni sparite sono da essoconnesse con i figli di Noè e per lo più con Sem, qual-cuna con Cam. Per la maggioranza dunque delle fontitali genti bāqiyah sono semitiche; e più precisamentearamaiche. Con la immigrazione di tali genti si esauri-sce quindi, per la tradizione, il racconto della storia anti-chissima.La scienza moderna si propone invece, come abbiamoaccennato, il problema del sostrato; e se non giunge an-cora ad alcun risultato per la mancanza di sufficiente in-

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particella di vero. Due grandi categorie di popoli hannoabitato secondo tale tradizione successivamente la peni-sola: le popolazioni bā᾽idah o sparite, le bāqiyah omuta᾽akhkhirah, cioè quelle che sopravvivono o poste-riori. Queste si suddividono alla loro volta in popolazio-ni ‘āribah, cioè le pure arabe, quelle che hanno dall'ini-zio parlato il puro arabo (la considerazione dal punto divista linguistico ha grande importanza per gli archeologiarabi) e cioè gli Arabi yemeniti o meridionali; e popola-zioni muta‘arribah o arabizzate, che hanno preso la lin-gua dalle prime; e sono le popolazioni del Nord, detteanche ismailite perché riconnesse geneologicamente conIsmaele figlio di Abramo e con esso venute in Arabia.Tale classifica ha una notevole variante: secondo alcuni,infatti, le genti sparite sarebbero gli ‘āribah, i Yemenitisarebbero i muta‘arribah, già dunque essi stessi arabiz-zati, e gli Arabi del Nord, o Ismailiti, i musta‘ribah.Tale racconto tradizionale, come si è già detto, vuol risa-lire alle origini; e le popolazioni sparite sono da essoconnesse con i figli di Noè e per lo più con Sem, qual-cuna con Cam. Per la maggioranza dunque delle fontitali genti bāqiyah sono semitiche; e più precisamentearamaiche. Con la immigrazione di tali genti si esauri-sce quindi, per la tradizione, il racconto della storia anti-chissima.La scienza moderna si propone invece, come abbiamoaccennato, il problema del sostrato; e se non giunge an-cora ad alcun risultato per la mancanza di sufficiente in-

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formazione archeologica o in qualsiasi modo documen-taria, non trascura le conclusioni a cui possono condurreconsiderazioni di natura puramente linguistica. Il fattoche l'arabo è lingua che appare più che le altre semiticheconservativa, e che sembra riprodurre con maggior fe-deltà il tipo dell'antico semitico, non è certo atto a farconcludere per la presenza di un forte sostrato che la ab-bia influenzata. Altre genti semitiche mostrano chiara-mente nella loro evoluzione l'influenza di un fattore chene ha scardinato il sistema. Non occorre tuttavia dimen-ticare che la mancata azione può esser anche attribuitaalla separazione dei due elementi, come avvenne perl'India, ove il linguaggio ario si mantenne in grande pu-rezza, soprattutto in alcune sue manifestazioni, poichévarie condizioni tennero separate le popolazioni immi-grate da quelle di sostrato. Si potrebbe anche invocareper qualche aspetto l'analogia del latino in territorioetrusco, ove la separazione tra i due elementi della po-polazione, e la mancata loro fusione, fu causa forse del-la purezza del toscano, della sua mantenuta aderenzaalla parlata latina. D'altra parte è ben possibile ammette-re che nell'Arabia solo i Semiti, come del resto appari-rebbe dalla tradizione indigena, hanno saputo costituirenell'avversità dell'ambiente forti nuclei di popolazionesui quali il sostrato non avrebbe lasciato traccia. Anchel'argomento linguistico non è dunque sufficiente a darcilume per la questione del sostrato, sebbene, nonostantele considerazioni qui esposte, la maggior purezzadell'arabo, dovuta anche s'intende alla natura di area iso-

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formazione archeologica o in qualsiasi modo documen-taria, non trascura le conclusioni a cui possono condurreconsiderazioni di natura puramente linguistica. Il fattoche l'arabo è lingua che appare più che le altre semiticheconservativa, e che sembra riprodurre con maggior fe-deltà il tipo dell'antico semitico, non è certo atto a farconcludere per la presenza di un forte sostrato che la ab-bia influenzata. Altre genti semitiche mostrano chiara-mente nella loro evoluzione l'influenza di un fattore chene ha scardinato il sistema. Non occorre tuttavia dimen-ticare che la mancata azione può esser anche attribuitaalla separazione dei due elementi, come avvenne perl'India, ove il linguaggio ario si mantenne in grande pu-rezza, soprattutto in alcune sue manifestazioni, poichévarie condizioni tennero separate le popolazioni immi-grate da quelle di sostrato. Si potrebbe anche invocareper qualche aspetto l'analogia del latino in territorioetrusco, ove la separazione tra i due elementi della po-polazione, e la mancata loro fusione, fu causa forse del-la purezza del toscano, della sua mantenuta aderenzaalla parlata latina. D'altra parte è ben possibile ammette-re che nell'Arabia solo i Semiti, come del resto appari-rebbe dalla tradizione indigena, hanno saputo costituirenell'avversità dell'ambiente forti nuclei di popolazionesui quali il sostrato non avrebbe lasciato traccia. Anchel'argomento linguistico non è dunque sufficiente a darcilume per la questione del sostrato, sebbene, nonostantele considerazioni qui esposte, la maggior purezzadell'arabo, dovuta anche s'intende alla natura di area iso-

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lata della penisola, costituisce pur sempre una presun-zione in favore della tesi che escluda la presenza di unnotevole fattore linguistico precedente.Con lo studio delle origini del popolo arabo è natural-mente connesso il grave problema della primitiva sededei popoli semitici. L'opinione tradizionale, fondata es-senzialmente sui dati biblici, considerava i Semiti diArabia provenienti dall'altipiano armeno, luogo di diffu-sione della diaspora dopo il diluvio; donde poi, stabiliti-si nella valle mesopotamica, sarebbero giunti, come iloro fratelli assiri, babilonesi, cananei, ebrei ed aramei,nelle loro sedi storiche.65'La prima reazione a tale tradizionale dottrina si ebbecon un'osservazione del Sayce nella sua AssyrianGrammar (1872), ove egli affermò che le tradizioni se-mitiche indicano tutta l'Arabia come sede originale dellarazza, e che essa è l'unica parte del mondo rimastaesclusivamente semitica, mentre un'origine deserticaspiega meglio di ogni altra le caratteristiche razziali. E.Schrader in un suo articolo del 1873,66 con un dotto esa-me di condizioni religiose, mitologiche, linguistiche,storico-geografiche, giunse alla conclusione che l'Arabia

65 Cfr. E. RENAN, Histoire générale des langues sémitiques, 3a ed., Parigi,1863, p. 29; NÖLDEKE, Die semitischen Sprachen, p. 11 segg.; I. GUIDI, Del-la sede primitiva dei popoli semitici («Memorie della R. Acc. dei Lincei.»,CCLXXVI, 1878-1879), p. 569.

66 Die Abstammung der Chaldäer und die Ursitze der Semiten, «Zeitschriftder Deutschen Morgenländischen Gesellschaft», XXVII, 1873, pp. 397-424.

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lata della penisola, costituisce pur sempre una presun-zione in favore della tesi che escluda la presenza di unnotevole fattore linguistico precedente.Con lo studio delle origini del popolo arabo è natural-mente connesso il grave problema della primitiva sededei popoli semitici. L'opinione tradizionale, fondata es-senzialmente sui dati biblici, considerava i Semiti diArabia provenienti dall'altipiano armeno, luogo di diffu-sione della diaspora dopo il diluvio; donde poi, stabiliti-si nella valle mesopotamica, sarebbero giunti, come iloro fratelli assiri, babilonesi, cananei, ebrei ed aramei,nelle loro sedi storiche.65'La prima reazione a tale tradizionale dottrina si ebbecon un'osservazione del Sayce nella sua AssyrianGrammar (1872), ove egli affermò che le tradizioni se-mitiche indicano tutta l'Arabia come sede originale dellarazza, e che essa è l'unica parte del mondo rimastaesclusivamente semitica, mentre un'origine deserticaspiega meglio di ogni altra le caratteristiche razziali. E.Schrader in un suo articolo del 1873,66 con un dotto esa-me di condizioni religiose, mitologiche, linguistiche,storico-geografiche, giunse alla conclusione che l'Arabia

65 Cfr. E. RENAN, Histoire générale des langues sémitiques, 3a ed., Parigi,1863, p. 29; NÖLDEKE, Die semitischen Sprachen, p. 11 segg.; I. GUIDI, Del-la sede primitiva dei popoli semitici («Memorie della R. Acc. dei Lincei.»,CCLXXVI, 1878-1879), p. 569.

66 Die Abstammung der Chaldäer und die Ursitze der Semiten, «Zeitschriftder Deutschen Morgenländischen Gesellschaft», XXVII, 1873, pp. 397-424.

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dovesse esser ritenuta come la sede primitiva dei popolisemitici.Fu suo argomento capitale il fatto che, a differenza di al-tri popoli, gli Arabi non avrebbero tracce di babilonismonella loro civiltà (cfr. Caetani, Studi di storia orientale,I, p. 115). Certo lo Schrader non nega che in epoca re-mota i Semiti possano esser venuti dall'Asia centrale;ma la dispersione verso le sedi storiche è secondo luiavvenuta dall'Arabia. Egli fu seguito da A. Sprenger,che nella sua ben nota opera Die alte Geographie Ara-biens, pubblicata a Berna nel 1875, indicò in un brevecapitolo (§ 427) la penisola come l'origine dei Semiti(senza, a quanto sembra, conoscere le argomentazionidello Schrader, che egli ad ogni modo non cita), la chia-mò anzi, con un'espressione che ha avuto fortuna, la«Grundlage der Entwicklung des Semitismus». Tutti iSemiti sono per lui «abgelagerte Araber». Tale dottrinaegli conferma nella sua vita di Maometto.67 Alla teoriadello Schrader e dello Sprenger si oppose I. Guidi inuna sua celebre memoria68 (preceduto a sua insaputa dabreve dichiarazione del Kremer),69 con argomento prin-cipalmente filologico, mostrando che la comparazionedelle lingue semitiche indica, con le concordanze o ri-spettivamente le discordanze nel dar nome ad aspetti o67 A. SPRENGER, Das Leben und die Lehre des Mohammed, Berlin, 1869, I, p.

241 e segg., ove questa opinione è espressa con singolare efficacia e viva-cità.

68 I. GUIDI, Della sede primitiva ecc., v. p. 62 nota.69 In due articoli, Semitische Culturentlehnungen aus dem Pflanzen und

Thierreiche, apparsi in «Das Ausland», 1875, nn. 1 e 2.

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dovesse esser ritenuta come la sede primitiva dei popolisemitici.Fu suo argomento capitale il fatto che, a differenza di al-tri popoli, gli Arabi non avrebbero tracce di babilonismonella loro civiltà (cfr. Caetani, Studi di storia orientale,I, p. 115). Certo lo Schrader non nega che in epoca re-mota i Semiti possano esser venuti dall'Asia centrale;ma la dispersione verso le sedi storiche è secondo luiavvenuta dall'Arabia. Egli fu seguito da A. Sprenger,che nella sua ben nota opera Die alte Geographie Ara-biens, pubblicata a Berna nel 1875, indicò in un brevecapitolo (§ 427) la penisola come l'origine dei Semiti(senza, a quanto sembra, conoscere le argomentazionidello Schrader, che egli ad ogni modo non cita), la chia-mò anzi, con un'espressione che ha avuto fortuna, la«Grundlage der Entwicklung des Semitismus». Tutti iSemiti sono per lui «abgelagerte Araber». Tale dottrinaegli conferma nella sua vita di Maometto.67 Alla teoriadello Schrader e dello Sprenger si oppose I. Guidi inuna sua celebre memoria68 (preceduto a sua insaputa dabreve dichiarazione del Kremer),69 con argomento prin-cipalmente filologico, mostrando che la comparazionedelle lingue semitiche indica, con le concordanze o ri-spettivamente le discordanze nel dar nome ad aspetti o67 A. SPRENGER, Das Leben und die Lehre des Mohammed, Berlin, 1869, I, p.

241 e segg., ove questa opinione è espressa con singolare efficacia e viva-cità.

68 I. GUIDI, Della sede primitiva ecc., v. p. 62 nota.69 In due articoli, Semitische Culturentlehnungen aus dem Pflanzen und

Thierreiche, apparsi in «Das Ausland», 1875, nn. 1 e 2.

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fenomeni della natura o a piante o animali, metalli,utensili ecc., come solo la Babilonide con le sue caratte-ristiche e la vita ad essa propria può convenire a tale sta-to di fatto; che poi la migrazione in altri paesi ha scre-ziato di singole variazioni, con l'entrata di nuove imma-gini, di nuovi concetti o di parole di prestito. Gli argo-menti filologici del Guidi che hanno un valore innegabi-le (cfr. Caetani, Studi di storia orientale, I, p. 97 e segg.)furono ribattuti, per quanto concerne la legittimità delleconclusioni di ordine storico da tali premesse d'ordinelinguistico, specialmente dal Nöldeke70 il quale osservòche toglie valore a tale metodo la semplice considera-zione della possibilità dell'imprestito di parole da popo-lazioni adiacenti. E il Caetani, nel luogo qui sopra indi-cato, fa parecchie obiezioni, tra cui la circostanza rileva-ta dal De Morgan71 che durante il periodo paleolitico eparte del neolitico l'altipiano dell'Iran, attraverso il qualesarebbero giunti i Semiti, non fu abitato da alcuna razzaumana, ciò che par difficile supporre. L'ipotesi arabica,quindi, e tanto più dopo il recente progresso degli studi,ha continuato ad avere favore e si può dire che ad essaaderisca ora la maggioranza dei semitisti, tra cui Winc-

70 TH. NÖLDEKE nello scritto Die semitischen Sprachen (v. sopra, p. 62 nota[nota 65 in questa edizione elettronica Manuzio]).

71 J. DE MORGAN, Les premières civilisations, Paris, 1909, pp. 34, 61-92, 199.

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fenomeni della natura o a piante o animali, metalli,utensili ecc., come solo la Babilonide con le sue caratte-ristiche e la vita ad essa propria può convenire a tale sta-to di fatto; che poi la migrazione in altri paesi ha scre-ziato di singole variazioni, con l'entrata di nuove imma-gini, di nuovi concetti o di parole di prestito. Gli argo-menti filologici del Guidi che hanno un valore innegabi-le (cfr. Caetani, Studi di storia orientale, I, p. 97 e segg.)furono ribattuti, per quanto concerne la legittimità delleconclusioni di ordine storico da tali premesse d'ordinelinguistico, specialmente dal Nöldeke70 il quale osservòche toglie valore a tale metodo la semplice considera-zione della possibilità dell'imprestito di parole da popo-lazioni adiacenti. E il Caetani, nel luogo qui sopra indi-cato, fa parecchie obiezioni, tra cui la circostanza rileva-ta dal De Morgan71 che durante il periodo paleolitico eparte del neolitico l'altipiano dell'Iran, attraverso il qualesarebbero giunti i Semiti, non fu abitato da alcuna razzaumana, ciò che par difficile supporre. L'ipotesi arabica,quindi, e tanto più dopo il recente progresso degli studi,ha continuato ad avere favore e si può dire che ad essaaderisca ora la maggioranza dei semitisti, tra cui Winc-

70 TH. NÖLDEKE nello scritto Die semitischen Sprachen (v. sopra, p. 62 nota[nota 65 in questa edizione elettronica Manuzio]).

71 J. DE MORGAN, Les premières civilisations, Paris, 1909, pp. 34, 61-92, 199.

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kler e Hommel,72 e storici, tra cui E. Meyer,73 per i qualihanno molto peso specialmente l'argomento della corri-spondenza della vita semitica alle condizioni del deser-to, il tipo conservatore della vita araba e infine il fattoinnegabile delle successive migrazioni che in tempo sto-rico, a partire dal terzo millennio, hanno inviato nuoveondate di Semiti verso il Nord dal deserto siro-arabico.Il Caetani anzi, colpito dalla forza dell'argomentazionedel Guidi ma persuaso da quella degli argomenti a favo-re della tesi arabica, ha tentato una conciliazione delledue opinioni con l'ipotesi che quelle condizioni fisichedi ambiente che sembrarono al Guidi rispecchiarsinell'accordo dei più antichi termini nelle varie lingue se-mitiche, possano attribuirsi non solo alla Mesopotamia,come credeva il Guidi, ma anche all'Arabia, specialmen-te alla regione centro-orientale di essa. Ciò perché unprocesso di graduale inaridimento, che il Caetani ha so-stenuto con gran copia di argomenti e che è la base di

72 H. WINCKLER in varie opere tra cui Altorientalische Forschungen..., Leip-zig, 1893-1900, 3 voll.; F. HOMMEL, nel volume Grundriss der Geographieund Geschichte des Alten Orients, München, 1904, 2a ed., 1926 (Handbu-ch der klassischen Altertumwissenschaft), ove si trova ampia bibliografia.È giusto rilevare che, sulle orme del Winckler, il Hommel non manca disostenere tesi fantastiche non abbastanza fondate sui fatti.

73 Geschichte des Altertums, I2, 2, § 336, p. 356 segg. Per una indicazionedelle varie teorie sulla sede primitiva dei Semiti, v. oltre che il predetto ar-ticolo della Enciclopedia Italiana sui Semiti redatto da G. LEVI DELLA

VIDA, il già citato libro del BARTON, Hamites and Semites, cap. I. È ancheinteressante seguire l'esposizione di questa materia da parte di Arabi mo-derni, come per esempio G. ZAIDĀN, in Kitāb al-‘arab gabl al-Islām, Cairo,1908, e quello di MUHIBB ADDĪN AL-KHATĪB, Ittigiāh al-maugiāt al basha-riyyah fī giazīrat al-‘arab, Cairo, Libreria Salafiyyah, 1344 Egira.

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kler e Hommel,72 e storici, tra cui E. Meyer,73 per i qualihanno molto peso specialmente l'argomento della corri-spondenza della vita semitica alle condizioni del deser-to, il tipo conservatore della vita araba e infine il fattoinnegabile delle successive migrazioni che in tempo sto-rico, a partire dal terzo millennio, hanno inviato nuoveondate di Semiti verso il Nord dal deserto siro-arabico.Il Caetani anzi, colpito dalla forza dell'argomentazionedel Guidi ma persuaso da quella degli argomenti a favo-re della tesi arabica, ha tentato una conciliazione delledue opinioni con l'ipotesi che quelle condizioni fisichedi ambiente che sembrarono al Guidi rispecchiarsinell'accordo dei più antichi termini nelle varie lingue se-mitiche, possano attribuirsi non solo alla Mesopotamia,come credeva il Guidi, ma anche all'Arabia, specialmen-te alla regione centro-orientale di essa. Ciò perché unprocesso di graduale inaridimento, che il Caetani ha so-stenuto con gran copia di argomenti e che è la base di

72 H. WINCKLER in varie opere tra cui Altorientalische Forschungen..., Leip-zig, 1893-1900, 3 voll.; F. HOMMEL, nel volume Grundriss der Geographieund Geschichte des Alten Orients, München, 1904, 2a ed., 1926 (Handbu-ch der klassischen Altertumwissenschaft), ove si trova ampia bibliografia.È giusto rilevare che, sulle orme del Winckler, il Hommel non manca disostenere tesi fantastiche non abbastanza fondate sui fatti.

73 Geschichte des Altertums, I2, 2, § 336, p. 356 segg. Per una indicazionedelle varie teorie sulla sede primitiva dei Semiti, v. oltre che il predetto ar-ticolo della Enciclopedia Italiana sui Semiti redatto da G. LEVI DELLA

VIDA, il già citato libro del BARTON, Hamites and Semites, cap. I. È ancheinteressante seguire l'esposizione di questa materia da parte di Arabi mo-derni, come per esempio G. ZAIDĀN, in Kitāb al-‘arab gabl al-Islām, Cairo,1908, e quello di MUHIBB ADDĪN AL-KHATĪB, Ittigiāh al-maugiāt al basha-riyyah fī giazīrat al-‘arab, Cairo, Libreria Salafiyyah, 1344 Egira.

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tutta la sua concezione della storia orientale, ha mutatoradicalmente l'aspetto del paese, che in tempi remotissi-mi, quando la lingua dei più antichi Semiti era in forma-zione, dopo l'epoca glaciale, aveva molti corsi d'acqua efertile terreno, aspetto insomma simile a quello di Babi-lonia. L'inaridimento alla fine del periodo glaciale, cheha prodotto gli stessi effetti in Arabia, nel Sahara e neideserti del Turchestan, ha spinto i popoli semitici ademigrare in successive ondate dal paese divenuto ino-spitale; e l'ultima grande espansione avvenuta conl'Islam ha per causa prevalente tale motivo economico egeografico.74 Questa dottrina dell'inaridimento, che si èvalsa molto delle ricerche del Winckler e del Hommel (efra l'altro della identificazione da essi proposta dei quat-tro fiumi dell'Eden biblico con i grandi wādī d'Arabia,ora disseccati) e si fonda anche sulla identificazione dipaesi noti alla tradizione babilonese-assira, come Ma-gan, Melukkha, Muṣri, con regioni arabiche, ha incon-trato viva opposizione in molti dotti, tra cui Hartmann,Musil, Montgomery, Lammens. Soprattutto è stato nota-to che il Caetani non fa sufficiente distinzione tra geolo-gia e storia, e che nell'epoca di cui noi abbiamo infor-

74 Egli del resto non ha fatto che sviluppare in questo le dottrine del Winc-kler, secondo il quale si può stabilire una ritmica serie di movimenti di po-polazioni arabe, i quali hanno avuto grande influenza sulla storia mondia-le; così l'invasione degli Amoriti nel terzo millennio, degli Aramei nel se-condo, dei Nabatei nel primo e infine la conquista musulmana. Il Winc-kler, come è noto, è anche partito dalla sua teoria dell'identificazione diMuṣri delle iscrizioni assire con il paese di Midian, che prima del suppostoinaridimento doveva essere fertile, e non con l'Egitto.

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tutta la sua concezione della storia orientale, ha mutatoradicalmente l'aspetto del paese, che in tempi remotissi-mi, quando la lingua dei più antichi Semiti era in forma-zione, dopo l'epoca glaciale, aveva molti corsi d'acqua efertile terreno, aspetto insomma simile a quello di Babi-lonia. L'inaridimento alla fine del periodo glaciale, cheha prodotto gli stessi effetti in Arabia, nel Sahara e neideserti del Turchestan, ha spinto i popoli semitici ademigrare in successive ondate dal paese divenuto ino-spitale; e l'ultima grande espansione avvenuta conl'Islam ha per causa prevalente tale motivo economico egeografico.74 Questa dottrina dell'inaridimento, che si èvalsa molto delle ricerche del Winckler e del Hommel (efra l'altro della identificazione da essi proposta dei quat-tro fiumi dell'Eden biblico con i grandi wādī d'Arabia,ora disseccati) e si fonda anche sulla identificazione dipaesi noti alla tradizione babilonese-assira, come Ma-gan, Melukkha, Muṣri, con regioni arabiche, ha incon-trato viva opposizione in molti dotti, tra cui Hartmann,Musil, Montgomery, Lammens. Soprattutto è stato nota-to che il Caetani non fa sufficiente distinzione tra geolo-gia e storia, e che nell'epoca di cui noi abbiamo infor-

74 Egli del resto non ha fatto che sviluppare in questo le dottrine del Winc-kler, secondo il quale si può stabilire una ritmica serie di movimenti di po-polazioni arabe, i quali hanno avuto grande influenza sulla storia mondia-le; così l'invasione degli Amoriti nel terzo millennio, degli Aramei nel se-condo, dei Nabatei nel primo e infine la conquista musulmana. Il Winc-kler, come è noto, è anche partito dalla sua teoria dell'identificazione diMuṣri delle iscrizioni assire con il paese di Midian, che prima del suppostoinaridimento doveva essere fertile, e non con l'Egitto.

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mazioni non si sono verificati mutamenti di clima tali dapoter influire profondamente sugli avvenimenti. L'affer-mazione dell'aridità dell'Arabia è sembrata eccessivaspecialmente al Musil75 che oppone, sembra qualchevolta non senza esagerazione, la natura felice di alcuneparti della penisola; che l'Arabia non sia più ricca e po-polosa è dovuto soprattutto alla deviazione del commer-cio mondiale, non al preteso inaridimento. Si è poi insi-stito, come per esempio dal Montgomery,76 sui fenomeninaturali della salinazione, dell'aumento della zona deser-tica, notato anche dal Lammens, della disintegrazionedelle rocce e la penetrazione delle sabbie, ben descrittedal Moritz77, e inoltre sui periodi ricorrenti di prosperitàper l'azione che le cure dell'uomo hanno avuto sul deser-to, tutte circostanze che possono spiegare agevolmentemolti avvenimenti senza ricorrere a tale dottrinadell'inaridimento. Anche per il Montgomery la causa piùvera del successivo decadere d'Arabia è da cercarsi nelladeviazione della corrente dei traffici per la concorrenzagreco-romana. Altre cause possono ricercarsi nelle lottebizantino-persiane, nelle conseguenze della situazioneinternazionale che aggruppò in due campi opposti Bi-sanzio e Abissinia, e Persia e Yemen.S'intende che l'ipotesi arabica non comporta la conclu-sione che la penisola sia stata l'originario luogo di for-

75 Northern Neğd, p. 312 segg.76 Arabia and the Bible, p. 90 segg.77 Arabien. Studien zur physikalischen und historischen Geographie des

Landes, Hannover, 1923, pp. 15-20.

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mazioni non si sono verificati mutamenti di clima tali dapoter influire profondamente sugli avvenimenti. L'affer-mazione dell'aridità dell'Arabia è sembrata eccessivaspecialmente al Musil75 che oppone, sembra qualchevolta non senza esagerazione, la natura felice di alcuneparti della penisola; che l'Arabia non sia più ricca e po-polosa è dovuto soprattutto alla deviazione del commer-cio mondiale, non al preteso inaridimento. Si è poi insi-stito, come per esempio dal Montgomery,76 sui fenomeninaturali della salinazione, dell'aumento della zona deser-tica, notato anche dal Lammens, della disintegrazionedelle rocce e la penetrazione delle sabbie, ben descrittedal Moritz77, e inoltre sui periodi ricorrenti di prosperitàper l'azione che le cure dell'uomo hanno avuto sul deser-to, tutte circostanze che possono spiegare agevolmentemolti avvenimenti senza ricorrere a tale dottrinadell'inaridimento. Anche per il Montgomery la causa piùvera del successivo decadere d'Arabia è da cercarsi nelladeviazione della corrente dei traffici per la concorrenzagreco-romana. Altre cause possono ricercarsi nelle lottebizantino-persiane, nelle conseguenze della situazioneinternazionale che aggruppò in due campi opposti Bi-sanzio e Abissinia, e Persia e Yemen.S'intende che l'ipotesi arabica non comporta la conclu-sione che la penisola sia stata l'originario luogo di for-

75 Northern Neğd, p. 312 segg.76 Arabia and the Bible, p. 90 segg.77 Arabien. Studien zur physikalischen und historischen Geographie des

Landes, Hannover, 1923, pp. 15-20.

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mazione della gente semitica, ma piuttosto il luogo dacui sono partite le principali ondate che hanno poi costi-tuito i popoli semitici nelle loro varie sedi. Del proble-ma della provenienza originaria il Meyer dichiara noninteressarsi; egli nella Geschichte des Altertums (I2, 2, §336 p. 359) afferma che la questione importante è sape-re come i Semiti siano giunti in Siria e sull'Eufrate, pro-cesso che si compie in tempo storicamente conoscibile.La questione donde i Semiti sono giunti in Arabia equella dei nessi indoeuropeo-semitico o camitico-semi-tico, in altre parole il problema della sede originaria delgenere umano, è fuori dei confini della conoscenza sto-rica e perciò per lo storico «völlig irrelevant». Ma ilprogresso degli studi di preistoria e di antichità semitica,così notevole anche dopo la redazione della Geschichte,e «la sete natural» hanno spinto più studiosi a dirigere losguardo oltre. Così si è intravista la possibilità, suggeritadai nessi linguistici, il camito-semitico, l'indoeuropeo-semitico, l'ugrofinnico-semitico ecc., che i Semiti sianopartiti in origine dall'Asia centrale ove eran prossimiagli Indoeuropei ed altri asiani, per occupare poi le lorosedi attuali in Africa e in Asia.78 E già il Nöldeke79 indi-cava probabile la dottrina che l'origine dei Camito-semi-ti dovesse ricercarsi nel continente africano; ed essa èstata sviluppata con copia di argomenti da altri, tra cui ilBarton80 il quale combina l'ipotesi arabica con l'africana

78 V. il predetto articolo Semiti della Enciclopedia Italiana.79 In Die Semitischen Sprachen, p. 11.80 Nel già citato libro Semitic and Hamitic origins.

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mazione della gente semitica, ma piuttosto il luogo dacui sono partite le principali ondate che hanno poi costi-tuito i popoli semitici nelle loro varie sedi. Del proble-ma della provenienza originaria il Meyer dichiara noninteressarsi; egli nella Geschichte des Altertums (I2, 2, §336 p. 359) afferma che la questione importante è sape-re come i Semiti siano giunti in Siria e sull'Eufrate, pro-cesso che si compie in tempo storicamente conoscibile.La questione donde i Semiti sono giunti in Arabia equella dei nessi indoeuropeo-semitico o camitico-semi-tico, in altre parole il problema della sede originaria delgenere umano, è fuori dei confini della conoscenza sto-rica e perciò per lo storico «völlig irrelevant». Ma ilprogresso degli studi di preistoria e di antichità semitica,così notevole anche dopo la redazione della Geschichte,e «la sete natural» hanno spinto più studiosi a dirigere losguardo oltre. Così si è intravista la possibilità, suggeritadai nessi linguistici, il camito-semitico, l'indoeuropeo-semitico, l'ugrofinnico-semitico ecc., che i Semiti sianopartiti in origine dall'Asia centrale ove eran prossimiagli Indoeuropei ed altri asiani, per occupare poi le lorosedi attuali in Africa e in Asia.78 E già il Nöldeke79 indi-cava probabile la dottrina che l'origine dei Camito-semi-ti dovesse ricercarsi nel continente africano; ed essa èstata sviluppata con copia di argomenti da altri, tra cui ilBarton80 il quale combina l'ipotesi arabica con l'africana

78 V. il predetto articolo Semiti della Enciclopedia Italiana.79 In Die Semitischen Sprachen, p. 11.80 Nel già citato libro Semitic and Hamitic origins.

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supponendo che dal Nord Africa dopo l'epoca glaciale iCamito-semiti si siano diffusi nelle varie regioni d'Afri-ca variamente evolvendo secondo la varia commistionecon gli aborigeni e che una parte di essi, i futuri Semiti,passati attraverso il Bāb el-Mandeb nell'Arabia meridio-nale, ivi abbiano costituito il serbatoio che ha poi fornitodelle varie famiglie semitiche l'Asia anteriore. Tale tesiegli conforta con l'argomento antropologico fondandosisulla prevalenza della dolicocefalia presso gli Arabi, cheli collegherebbe con l'Africa piuttosto che con i brachi-cefali dell'Asia centrale.Ma la tesi arabica, anche con tale complemento chesembra allontanare le obiezioni che ad essa possonomuoversi per i nessi linguistici con altri gruppi di lin-gue, non sembra così indiscutibile come è ritenuta damolti. L'argomento della natura primitiva dei fenomenidella vita araba non ha certo valore assolutamente pro-bativo, in quanto la natura di area isolata del paese puòbenissimo spiegare la conservazione di molti caratteriprimitivi anche se la popolazione sia giunta in quellesedi da altri luoghi. Inoltre l'argomento tratto dalla co-stante direzione delle successive migrazioni da sud ver-so nord non può avere valore assoluto in riguardo ai mo-vimenti più antichi, e in ogni modo non attesta necessa-riamente una sede originaria nell'Arabia del Sud o inquella centrale-orientale, mentre le recenti ricerche ba-sate su dati documentari sembrano mostrare antichi mo-vimenti verso Siria e Palestina non necessariamente pro-

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supponendo che dal Nord Africa dopo l'epoca glaciale iCamito-semiti si siano diffusi nelle varie regioni d'Afri-ca variamente evolvendo secondo la varia commistionecon gli aborigeni e che una parte di essi, i futuri Semiti,passati attraverso il Bāb el-Mandeb nell'Arabia meridio-nale, ivi abbiano costituito il serbatoio che ha poi fornitodelle varie famiglie semitiche l'Asia anteriore. Tale tesiegli conforta con l'argomento antropologico fondandosisulla prevalenza della dolicocefalia presso gli Arabi, cheli collegherebbe con l'Africa piuttosto che con i brachi-cefali dell'Asia centrale.Ma la tesi arabica, anche con tale complemento chesembra allontanare le obiezioni che ad essa possonomuoversi per i nessi linguistici con altri gruppi di lin-gue, non sembra così indiscutibile come è ritenuta damolti. L'argomento della natura primitiva dei fenomenidella vita araba non ha certo valore assolutamente pro-bativo, in quanto la natura di area isolata del paese puòbenissimo spiegare la conservazione di molti caratteriprimitivi anche se la popolazione sia giunta in quellesedi da altri luoghi. Inoltre l'argomento tratto dalla co-stante direzione delle successive migrazioni da sud ver-so nord non può avere valore assoluto in riguardo ai mo-vimenti più antichi, e in ogni modo non attesta necessa-riamente una sede originaria nell'Arabia del Sud o inquella centrale-orientale, mentre le recenti ricerche ba-sate su dati documentari sembrano mostrare antichi mo-vimenti verso Siria e Palestina non necessariamente pro-

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venienti da Arabia.81 Vi è poi la forza degli argomentidel Guidi, il peso della tradizione di cui va fatto qualcheconto, ma soprattutto una serie di considerazioni di ordi-ne specialmente linguistico, che vanno tenute presenti.Queste si fondano sul fatto che il tipo linguistico, forma-tosi in Arabia, conserva i suoi tratti essenziali nelle mi-grazioni che noi osserviamo in tempo storico. Così l'ara-bo meridionale passato in Etiopia conserva intatte, purnella forza di quel nuovo sostrato, alcune caratteristichearabe; così le tribù arabe, che noi sappiamo emigrateforse a principio dell'èra cristiana dall'Arabia centrale-meridionale in Siria e Mesopotamia (con parlari di tiponordarabico screziati di sudarabico), mantengono intat-to, per il carattere impresso dalla vita isolata del deserto,il loro tipo in mezzo alla vita aramaica che li circonda.Questo carattere conservativo delle tribù arabe confermail fatto che tribù arabe del Sud, migrate verso il Nordforse al principio dell'èra cristiana, mantengono tenace-mente alcuni caratteri linguistici presi dalla vicinanzacon la lingua del Yemen. È questo il caso della grandetribù dei Ṭayy᾽.Tutte queste considerazioni possono far dubitare che latesi arabica possa essere accettata nella sua interezza. Èpossibile che dopo che i Semiti arabi hanno preso una

81 V. per questo l'importante articolo del P. A. BEA, La Palestina preisraeliti-ca, Storia, popoli, cultura, in «Biblica», XXIV, 1943, pp. 231-260. Impor-tanti elementi linguistici per la questione in W. F. ALBRIGHT, The NorthwestSemitic tongues before 1000 B. C. «Atti del XIX Congr. degli Orientali-sti», Roma, 1938, pp. 445-450.

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venienti da Arabia.81 Vi è poi la forza degli argomentidel Guidi, il peso della tradizione di cui va fatto qualcheconto, ma soprattutto una serie di considerazioni di ordi-ne specialmente linguistico, che vanno tenute presenti.Queste si fondano sul fatto che il tipo linguistico, forma-tosi in Arabia, conserva i suoi tratti essenziali nelle mi-grazioni che noi osserviamo in tempo storico. Così l'ara-bo meridionale passato in Etiopia conserva intatte, purnella forza di quel nuovo sostrato, alcune caratteristichearabe; così le tribù arabe, che noi sappiamo emigrateforse a principio dell'èra cristiana dall'Arabia centrale-meridionale in Siria e Mesopotamia (con parlari di tiponordarabico screziati di sudarabico), mantengono intat-to, per il carattere impresso dalla vita isolata del deserto,il loro tipo in mezzo alla vita aramaica che li circonda.Questo carattere conservativo delle tribù arabe confermail fatto che tribù arabe del Sud, migrate verso il Nordforse al principio dell'èra cristiana, mantengono tenace-mente alcuni caratteri linguistici presi dalla vicinanzacon la lingua del Yemen. È questo il caso della grandetribù dei Ṭayy᾽.Tutte queste considerazioni possono far dubitare che latesi arabica possa essere accettata nella sua interezza. Èpossibile che dopo che i Semiti arabi hanno preso una

81 V. per questo l'importante articolo del P. A. BEA, La Palestina preisraeliti-ca, Storia, popoli, cultura, in «Biblica», XXIV, 1943, pp. 231-260. Impor-tanti elementi linguistici per la questione in W. F. ALBRIGHT, The NorthwestSemitic tongues before 1000 B. C. «Atti del XIX Congr. degli Orientali-sti», Roma, 1938, pp. 445-450.

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loro individualità così netta nel caratteristico habitat,che anche per quanto concerne la lingua abbiamo vedu-to mantenersi tenacemente presso le tribù emigrate dallapenisola, perdano poi, alcuni di essi, taluni tratti noncerto più rintracciabili presso altri Semiti? Ed è possibi-le che tutti i dialetti semitici al di fuori dell'arabo, traloro così vicini e in opposizione, per alcune particolaritàassai nette, all'arabo, tanto che la tradizionale classificadivide in settentrionali e meridionali (tra i quali ultimigli Arabi) i vari popoli semitici, siano nati da un dialettoche nel periodo di stazione in Arabia aveva dovuto assu-mere o conservare, nell'assenza di un notevole sostrato enella natura isolata dell'area, un suo tipo arabico ben di-stinto? Si aggiunga ancora la innegabile difficoltà che sioppone all'idea che sede originaria di un popolo così ric-co di sviluppi sia stata la parte più desertica delle regio-ni da esso poi occupate. Non è possibile immaginareuna realtà più complessa, una soluzione del problemameno assoluta e semplicistica che non sia quella di unnucleo centrale arabico? I nessi linguistici con gli altrigruppi che ormai appaiono sempre più plausibili nonpossono certo spiegarsi che con l'ipotesi di sedi asiatichenelle quali in origine i vari popoli erano in contatto,mentre l'ipotesi dell'origine africana che abbiamo espo-sta qui sopra non potrebbe spiegare che il nesso semito-camitico, che è innegabilmente il meglio attestato di tut-ti; e questa antica sede asiatica è ammessa da vari semi-

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loro individualità così netta nel caratteristico habitat,che anche per quanto concerne la lingua abbiamo vedu-to mantenersi tenacemente presso le tribù emigrate dallapenisola, perdano poi, alcuni di essi, taluni tratti noncerto più rintracciabili presso altri Semiti? Ed è possibi-le che tutti i dialetti semitici al di fuori dell'arabo, traloro così vicini e in opposizione, per alcune particolaritàassai nette, all'arabo, tanto che la tradizionale classificadivide in settentrionali e meridionali (tra i quali ultimigli Arabi) i vari popoli semitici, siano nati da un dialettoche nel periodo di stazione in Arabia aveva dovuto assu-mere o conservare, nell'assenza di un notevole sostrato enella natura isolata dell'area, un suo tipo arabico ben di-stinto? Si aggiunga ancora la innegabile difficoltà che sioppone all'idea che sede originaria di un popolo così ric-co di sviluppi sia stata la parte più desertica delle regio-ni da esso poi occupate. Non è possibile immaginareuna realtà più complessa, una soluzione del problemameno assoluta e semplicistica che non sia quella di unnucleo centrale arabico? I nessi linguistici con gli altrigruppi che ormai appaiono sempre più plausibili nonpossono certo spiegarsi che con l'ipotesi di sedi asiatichenelle quali in origine i vari popoli erano in contatto,mentre l'ipotesi dell'origine africana che abbiamo espo-sta qui sopra non potrebbe spiegare che il nesso semito-camitico, che è innegabilmente il meglio attestato di tut-ti; e questa antica sede asiatica è ammessa da vari semi-

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tisti.82 Da essa potrebbero essere partite, in vari periodi,singole correnti che hanno avuto contatti con popoli dif-ferenti e che possono essersi di nuovo unite e aver crea-te nuove isoglosse e nuovi centri di diffusione. Ed è benpossibile che alcuni gruppi abbiano a lungo dimoratonel deserto siro-arabo (che ha tanta parte nel raccontotradizionale biblico), che di lì si siano successivamenteriversate nel terreno di coltura, nella costante vicendadelle relazioni tra nomadi e sedentari: senza che perquesto tali gruppi debbano considerarsi arabi, e l'Arabiapatria di tutti i Semiti. Non bisogna dimenticare che leparti di Siria e Mesopotamia adiacenti all'Arabia sonostate lentamente penetrate dall'elemento arabo solo dopoche gli Arabi hanno sviluppato pienamente la loro vitanella penisola. Il Clay83 ha recentemente esposto una suateoria che, contraria alla tesi arabica, crede che la regio-ne di Amurru, che comprende secondo lui la Siria delNord e la regione eufratica fino all'altezza di Bagdad, èil punto donde i Semiti originari dell'Asia si sono poi di-stribuiti nelle loro sedi; e a questa conclusione, che certonon ha incontrato singolare favore,84 egli giunge per ar-gomenti filologici e per la considerazione che i dolico-cefali arabi non possono essere i progenitori dei brachi-cefali ebrei, per considerazioni insomma che concorda-no con quelle esposte per far dubitare della assoluta ve-82 Cfr. ancora l'articolo Semiti della Enciclopedia Italiana.83 C. T. CLAY, The Empire of the Amorites, New Haven, 1919, nel cap. The

Home of the Semites.84 Il Barton dice per esempio che il Clay non ha persuaso nessuno al di fuori

di se stesso.

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tisti.82 Da essa potrebbero essere partite, in vari periodi,singole correnti che hanno avuto contatti con popoli dif-ferenti e che possono essersi di nuovo unite e aver crea-te nuove isoglosse e nuovi centri di diffusione. Ed è benpossibile che alcuni gruppi abbiano a lungo dimoratonel deserto siro-arabo (che ha tanta parte nel raccontotradizionale biblico), che di lì si siano successivamenteriversate nel terreno di coltura, nella costante vicendadelle relazioni tra nomadi e sedentari: senza che perquesto tali gruppi debbano considerarsi arabi, e l'Arabiapatria di tutti i Semiti. Non bisogna dimenticare che leparti di Siria e Mesopotamia adiacenti all'Arabia sonostate lentamente penetrate dall'elemento arabo solo dopoche gli Arabi hanno sviluppato pienamente la loro vitanella penisola. Il Clay83 ha recentemente esposto una suateoria che, contraria alla tesi arabica, crede che la regio-ne di Amurru, che comprende secondo lui la Siria delNord e la regione eufratica fino all'altezza di Bagdad, èil punto donde i Semiti originari dell'Asia si sono poi di-stribuiti nelle loro sedi; e a questa conclusione, che certonon ha incontrato singolare favore,84 egli giunge per ar-gomenti filologici e per la considerazione che i dolico-cefali arabi non possono essere i progenitori dei brachi-cefali ebrei, per considerazioni insomma che concorda-no con quelle esposte per far dubitare della assoluta ve-82 Cfr. ancora l'articolo Semiti della Enciclopedia Italiana.83 C. T. CLAY, The Empire of the Amorites, New Haven, 1919, nel cap. The

Home of the Semites.84 Il Barton dice per esempio che il Clay non ha persuaso nessuno al di fuori

di se stesso.

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rità della tesi arabica.Siano espressi qui questi dubbi senza voler in alcunmodo tentare, in questa sede che non è adatta, la costru-zione di una teoria sull'argomento e per la quale si ri-chiederebbe ben altro fondamento di dati e anche com-petenza ormai specialissima nei campi continuamenterinnovati della scienza dell'Oriente antico. Ma sianoespressi soprattutto per evitare che si ponga senz'altro abase del discorso sull'Arabia una tesi così importante, eche, se accettata in pieno senza tener conto degli espostidubbi, potrebbe svisare, con danno dell'immagined'insieme, il vero concetto dell'antichissima vita di Ara-bia.

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rità della tesi arabica.Siano espressi qui questi dubbi senza voler in alcunmodo tentare, in questa sede che non è adatta, la costru-zione di una teoria sull'argomento e per la quale si ri-chiederebbe ben altro fondamento di dati e anche com-petenza ormai specialissima nei campi continuamenterinnovati della scienza dell'Oriente antico. Ma sianoespressi soprattutto per evitare che si ponga senz'altro abase del discorso sull'Arabia una tesi così importante, eche, se accettata in pieno senza tener conto degli espostidubbi, potrebbe svisare, con danno dell'immagined'insieme, il vero concetto dell'antichissima vita di Ara-bia.

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II.LE TRADIZIONI INDIGENE SULLA PRE-

ISTORIA DI ARABIA.

Dal giungere dei Semiti in Arabia alle prime notizie si-curamente storiche che degli Arabi delle diverse regioninoi possediamo, v'è certo la lacuna di lungo periodo chea noi resta oscuro. Tuttavia la leggenda araba (di cui sitiene il debito conto in questo libro che non si proponesolo la esposizione delle notizie accertate ma anchel'insieme delle rappresentazioni che hanno ispirato neisingoli periodi cultura e vita spirituale) ha saputo conricca immaginazione dare un quadro delle origini, certonon privo di varianti in diverse redazioni. Gli stessi Ara-bi più criticamente esercitati, e specialmente lo storicoIbn Khaldūn, hanno avvertito che di tali racconti non c'èda fare gran caso;85 e noi ripeteremo per il nostro scopoinformativo le principali linee della leggenda stessa,senza entrare, s'intende, nel groviglio delle varianti chela fanno differente nell'una o nell'altra redazione. Allabase di questa protostoria le fonti indigene pongono ilracconto delle antiche genti, le bā᾽idah o sparite, che lamaggior parte degli autori fa risalire a Sem, qualcuno at-tribuisce invece a Cam; mentre non manca tra i modernichi inclina a vedervi rappresentati i popoli non semiticidel sostrato analoghi a quelli che la Bibbia indica come

85 Cfr. Kitāb al-‘ibar wa-dīwān al-mubtada᾽ wa᾽l-khabar fi ayyām al-‘arabecc., vol. II, Bulak, 1284 Eg., p. 18.

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II.LE TRADIZIONI INDIGENE SULLA PRE-

ISTORIA DI ARABIA.

Dal giungere dei Semiti in Arabia alle prime notizie si-curamente storiche che degli Arabi delle diverse regioninoi possediamo, v'è certo la lacuna di lungo periodo chea noi resta oscuro. Tuttavia la leggenda araba (di cui sitiene il debito conto in questo libro che non si proponesolo la esposizione delle notizie accertate ma anchel'insieme delle rappresentazioni che hanno ispirato neisingoli periodi cultura e vita spirituale) ha saputo conricca immaginazione dare un quadro delle origini, certonon privo di varianti in diverse redazioni. Gli stessi Ara-bi più criticamente esercitati, e specialmente lo storicoIbn Khaldūn, hanno avvertito che di tali racconti non c'èda fare gran caso;85 e noi ripeteremo per il nostro scopoinformativo le principali linee della leggenda stessa,senza entrare, s'intende, nel groviglio delle varianti chela fanno differente nell'una o nell'altra redazione. Allabase di questa protostoria le fonti indigene pongono ilracconto delle antiche genti, le bā᾽idah o sparite, che lamaggior parte degli autori fa risalire a Sem, qualcuno at-tribuisce invece a Cam; mentre non manca tra i modernichi inclina a vedervi rappresentati i popoli non semiticidel sostrato analoghi a quelli che la Bibbia indica come

85 Cfr. Kitāb al-‘ibar wa-dīwān al-mubtada᾽ wa᾽l-khabar fi ayyām al-‘arabecc., vol. II, Bulak, 1284 Eg., p. 18.

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abitanti della Palestina prima della venuta di Cananei edEbrei. ‘Ād, Thamūd, Ṭasm, Giadīs, ‘Amālīq, Giurhum,Abīl, Umaim ecc. sono i nomi di queste antichissimepopolazioni, delle quali si narrano meravigliosi raccontiche non hanno alcuna consistenza storica (a meno chesotto qualche notizia non risuoni l'eco di qualche anti-chissima tradizione, si celi alcuna particella di vero, ciòche noi non possiamo in alcun modo dimostrare); maessi sono patrimonio della cultura araba, si può direcome quelli di Teseo o di Romolo o di altri eroi per Gre-cia o Roma. E vive queste saghe ritornano nella poesiapiù antica, nella ricchissima mèsse di racconti che suo-navano fra gli Arabi raccolti a conversazione serale nel-le loro tende, nei proverbi della sapienza popolare, infi-ne nel Corano, che in più passi ricorda ai Quraisciti duridi cervice, che non vogliono accettare il messaggio pro-fetico di Maometto, il castigo esemplare che Dio inflisseagli antichi figli di ‘Ād e di Thamūd per aver respintol'ammonimento di Hūd e di Ṣāliḥ, suoi inviati.Le vicende più celebri degli ‘Āditi, come del resto an-che di altre genti bā᾽idah, sono riportate nella tradizioneal Yemen;86 ma l'eponimo ‘Ād è figlio, per la maggio-

86 Le fonti arabe dànno notevole rilievo a questa protostoria di Arabia che èampiamente trattata nelle principali compilazioni storiche, come aṭ-Ṭabarī,il già citato Ibn Khaldūn, al-Mas‘ūdī ecc., e il Dizionario Geografico diYāqūt. Di agevole consultazione a questo scopo è la Historia anteislamicadi Abulfeda nella ottima edizione e traduzione annotata del Fleischer, Lip-sia, 1831. Comoda sintesi, da usare s'intende con riserva, è quella di G.ZAIDĀN, Kitāb al-‘arab qabl al-islām, I, Cairo, 1908, che usa largamentefonti orientali ed europee. Notizie importanti nel vecchio articolo di TH.

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abitanti della Palestina prima della venuta di Cananei edEbrei. ‘Ād, Thamūd, Ṭasm, Giadīs, ‘Amālīq, Giurhum,Abīl, Umaim ecc. sono i nomi di queste antichissimepopolazioni, delle quali si narrano meravigliosi raccontiche non hanno alcuna consistenza storica (a meno chesotto qualche notizia non risuoni l'eco di qualche anti-chissima tradizione, si celi alcuna particella di vero, ciòche noi non possiamo in alcun modo dimostrare); maessi sono patrimonio della cultura araba, si può direcome quelli di Teseo o di Romolo o di altri eroi per Gre-cia o Roma. E vive queste saghe ritornano nella poesiapiù antica, nella ricchissima mèsse di racconti che suo-navano fra gli Arabi raccolti a conversazione serale nel-le loro tende, nei proverbi della sapienza popolare, infi-ne nel Corano, che in più passi ricorda ai Quraisciti duridi cervice, che non vogliono accettare il messaggio pro-fetico di Maometto, il castigo esemplare che Dio inflisseagli antichi figli di ‘Ād e di Thamūd per aver respintol'ammonimento di Hūd e di Ṣāliḥ, suoi inviati.Le vicende più celebri degli ‘Āditi, come del resto an-che di altre genti bā᾽idah, sono riportate nella tradizioneal Yemen;86 ma l'eponimo ‘Ād è figlio, per la maggio-

86 Le fonti arabe dànno notevole rilievo a questa protostoria di Arabia che èampiamente trattata nelle principali compilazioni storiche, come aṭ-Ṭabarī,il già citato Ibn Khaldūn, al-Mas‘ūdī ecc., e il Dizionario Geografico diYāqūt. Di agevole consultazione a questo scopo è la Historia anteislamicadi Abulfeda nella ottima edizione e traduzione annotata del Fleischer, Lip-sia, 1831. Comoda sintesi, da usare s'intende con riserva, è quella di G.ZAIDĀN, Kitāb al-‘arab qabl al-islām, I, Cairo, 1908, che usa largamentefonti orientali ed europee. Notizie importanti nel vecchio articolo di TH.

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ranza delle tradizioni, di ‘Ūṣ, di Aram, di Sem, e provie-ne naturalmente dalla Mesopotamia. Per la critica euro-pea tale connessione con il sistema biblico (‘Ād non èdel resto nominato nella Scrittura) è frutto dell'artificio-sa attività combinatoria propria del lavorìo genealogicoche si valse della tradizione orale dei Giudei di Arabia,da Maometto stesso intesa, e che anche ricercò con at-teggiamento dotto nelle stesse fonti nuove notizie validea costruire il sistema. Tale origine aramaica degli ‘Āditie di altre popolazioni sparite è negata da un'altra tradi-zione che, come abbiamo accennato, le ricongiunge conCam.87 Ma secondo tutte le fonti il luogo dove ‘Ād fissala dimora del suo popolo è nelle montagne di sabbia,aḥqāf ar-raml, contigue al Yemen (e s'intende con ciòcertamente una parte del deserto, ar-Rub‘ al-Khālī, dicui abbiamo parlato qui sopra), e tra Ḥaḍramūt e Oman.Secondo alcune narrazioni egli visse 1200 anni, 300 se-condo altre; sposò mille donne. Regnano poi sugli ‘Ādi-ti i suoi discendenti Shadīd e Shaddād, e sotto quest'ulti-mo la stirpe avrebbe annoverato mille tribù di migliaiadi uomini ognuna, che la tradizione dipinge di gigante-sca statura, come dice lo stesso Corano (Sura 7, 67).Shaddād è un grande conquistatore, prende l'‘Irāq e

NÖLDEKE, Ueber die Amalekiten und einige andere Nachbarvölker derIsraeliten, «Orient und Occident», II, 1864, pp. 614-655.

87 1 Cfr. F. HOMMEL, Die Namen der Säugetiere bei den semitischen Völkern,Leipzig, 1879, p. 343. V. anche CAUSSIN DE PERCEVAL, Essai, I, p. 42 e segg.ove si ricorda a questo proposito la doppia grafia biblica, Saba figlio diKush e Sheba figlio di Yaqtan. I Sabei Cushiti sarebbero gli ‘Āditi. V. an-che C. A. NALLINO, Raccolta di scritti editi ed inediti, III, 21.

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ranza delle tradizioni, di ‘Ūṣ, di Aram, di Sem, e provie-ne naturalmente dalla Mesopotamia. Per la critica euro-pea tale connessione con il sistema biblico (‘Ād non èdel resto nominato nella Scrittura) è frutto dell'artificio-sa attività combinatoria propria del lavorìo genealogicoche si valse della tradizione orale dei Giudei di Arabia,da Maometto stesso intesa, e che anche ricercò con at-teggiamento dotto nelle stesse fonti nuove notizie validea costruire il sistema. Tale origine aramaica degli ‘Āditie di altre popolazioni sparite è negata da un'altra tradi-zione che, come abbiamo accennato, le ricongiunge conCam.87 Ma secondo tutte le fonti il luogo dove ‘Ād fissala dimora del suo popolo è nelle montagne di sabbia,aḥqāf ar-raml, contigue al Yemen (e s'intende con ciòcertamente una parte del deserto, ar-Rub‘ al-Khālī, dicui abbiamo parlato qui sopra), e tra Ḥaḍramūt e Oman.Secondo alcune narrazioni egli visse 1200 anni, 300 se-condo altre; sposò mille donne. Regnano poi sugli ‘Ādi-ti i suoi discendenti Shadīd e Shaddād, e sotto quest'ulti-mo la stirpe avrebbe annoverato mille tribù di migliaiadi uomini ognuna, che la tradizione dipinge di gigante-sca statura, come dice lo stesso Corano (Sura 7, 67).Shaddād è un grande conquistatore, prende l'‘Irāq e

NÖLDEKE, Ueber die Amalekiten und einige andere Nachbarvölker derIsraeliten, «Orient und Occident», II, 1864, pp. 614-655.

87 1 Cfr. F. HOMMEL, Die Namen der Säugetiere bei den semitischen Völkern,Leipzig, 1879, p. 343. V. anche CAUSSIN DE PERCEVAL, Essai, I, p. 42 e segg.ove si ricorda a questo proposito la doppia grafia biblica, Saba figlio diKush e Sheba figlio di Yaqtan. I Sabei Cushiti sarebbero gli ‘Āditi. V. an-che C. A. NALLINO, Raccolta di scritti editi ed inediti, III, 21.

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l'India, soggioga Egiziani e Copti, che poi lo ricacciano,giunge fino al mare. Il Caussin de Perceval, con una del-le sue ardite combinazioni, che permetteva del resto al-lora l'insufficente informazione, cercava negli ‘Āditi diShaddād gli Hyksos, poiché nel racconto arabo si parladella città di Awār, che credeva essere Avaris in Egitto.La città fondata da Shaddād è Iram (da qualcuno messaa torto in relazione con Aram e gli Aramei) detta nellatradizione «dhât al-‘imād, «quella delle colonne», chedoveva con i suoi palazzi e i suoi giardini imitare il pa-radiso terrestre, Dio punisce l'orgoglio e punisce gli in-fedeli ‘Āditi che adorano gli idoli.88 «Non hai veduto –dice il Corano alla Sura 89, vv. 5-7 – come ha operato iltuo Signore con gli ‘Āditi di Iram, la città dalle colonne,di cui simile non è stata fatta in alcun paese?». Il ProfetaHūd del loro stesso popolo fu inviato da Dio per ammo-nirli, ma invano: essi rinnegarono i segni di Dio ed eglimandò loro un vento impetuoso che li sterminò (cfr.Cor. 41, 14 e segg.; 11, 52 e segg.; 26, 123 e segg.). Latradizione sviluppa questi accenni coranici; e, come ènoto, secondo alcuni i racconti di essa non sono checommento o midrāsh del dato coranico (e tale sarebbesecondo l'esagerata tesi del Lammens anche tutto il rac-conto della vita di Maometto, puro ricamo di fantasiasul magro ordito coranico), secondo altri, ed è per noil'opinione più probabile, continuano anche filoni preesi-stenti. Per la siccità e la carestia prodotta dal castigo del

88 Cfr. Ṭabarī, I, 231.

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l'India, soggioga Egiziani e Copti, che poi lo ricacciano,giunge fino al mare. Il Caussin de Perceval, con una del-le sue ardite combinazioni, che permetteva del resto al-lora l'insufficente informazione, cercava negli ‘Āditi diShaddād gli Hyksos, poiché nel racconto arabo si parladella città di Awār, che credeva essere Avaris in Egitto.La città fondata da Shaddād è Iram (da qualcuno messaa torto in relazione con Aram e gli Aramei) detta nellatradizione «dhât al-‘imād, «quella delle colonne», chedoveva con i suoi palazzi e i suoi giardini imitare il pa-radiso terrestre, Dio punisce l'orgoglio e punisce gli in-fedeli ‘Āditi che adorano gli idoli.88 «Non hai veduto –dice il Corano alla Sura 89, vv. 5-7 – come ha operato iltuo Signore con gli ‘Āditi di Iram, la città dalle colonne,di cui simile non è stata fatta in alcun paese?». Il ProfetaHūd del loro stesso popolo fu inviato da Dio per ammo-nirli, ma invano: essi rinnegarono i segni di Dio ed eglimandò loro un vento impetuoso che li sterminò (cfr.Cor. 41, 14 e segg.; 11, 52 e segg.; 26, 123 e segg.). Latradizione sviluppa questi accenni coranici; e, come ènoto, secondo alcuni i racconti di essa non sono checommento o midrāsh del dato coranico (e tale sarebbesecondo l'esagerata tesi del Lammens anche tutto il rac-conto della vita di Maometto, puro ricamo di fantasiasul magro ordito coranico), secondo altri, ed è per noil'opinione più probabile, continuano anche filoni preesi-stenti. Per la siccità e la carestia prodotta dal castigo del

88 Cfr. Ṭabarī, I, 231.

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vento tre ‘Āditi vanno alla Mecca per compiere sacrifi-ci, accolti dagli Amaleciti, di cui diremo or ora, e che te-nevano ancora la città. Il loro principe, Mu‘āwiyah ibnBakr, li trattiene per un mese con la lusinga del vino edel canto delle due cantatrici chiamate al-Giarādatān,rimaste famose nella tradizione araba. Quando uno deicapi ‘Āditi sta per iniziare la preghiera appaiono tre nu-vole di differente colore; quella più nera, da lui scelta,quale promettente la miglior pioggia per il paese afflittodalla siccità, è quella che giunta al paese di ‘Ād lo di-strugge per la sua ribellione al profeta Hūd.L'immagine di Iram, la grande città dagli edifici e dallecolonne distrutta da Dio, è rimasta impressa nella fanta-sia araba e testi poetici e prosaici ne fanno, oltre al Co-rano, frequente menzione. E si è persino favoleggiatoche nel mezzo dell'ar-Rub‘ al-Khālī, a Wabār, ne esisto-no ancora tra le sabbie le rovine; e solo recentementel'esploratore Philby nella traversata del grande deserto,di cui abbiamo parlato qui sopra, ha potuto distruggerela poetica leggenda e attribuire le pretese rovine alla fi-sionomia vulcanica della regione; la quale probabilmen-te avrà anche dato origine con i suoi fenomeni al rac-conto della violenta distruzione della meravigliosa città.Tra i salvati dalla catastrofe è Luqmān, altra figura leg-gendaria, che sarebbe stato secondo alcune elucubrazio-ni cronologiche89 contemporaneo di David, e di cui èproverbiale la saggezza. Di lui son tràditi famosi detti ed89 V. per esempio Abulfeda, Historia anteislamica, p. 20, lin. 3.

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vento tre ‘Āditi vanno alla Mecca per compiere sacrifi-ci, accolti dagli Amaleciti, di cui diremo or ora, e che te-nevano ancora la città. Il loro principe, Mu‘āwiyah ibnBakr, li trattiene per un mese con la lusinga del vino edel canto delle due cantatrici chiamate al-Giarādatān,rimaste famose nella tradizione araba. Quando uno deicapi ‘Āditi sta per iniziare la preghiera appaiono tre nu-vole di differente colore; quella più nera, da lui scelta,quale promettente la miglior pioggia per il paese afflittodalla siccità, è quella che giunta al paese di ‘Ād lo di-strugge per la sua ribellione al profeta Hūd.L'immagine di Iram, la grande città dagli edifici e dallecolonne distrutta da Dio, è rimasta impressa nella fanta-sia araba e testi poetici e prosaici ne fanno, oltre al Co-rano, frequente menzione. E si è persino favoleggiatoche nel mezzo dell'ar-Rub‘ al-Khālī, a Wabār, ne esisto-no ancora tra le sabbie le rovine; e solo recentementel'esploratore Philby nella traversata del grande deserto,di cui abbiamo parlato qui sopra, ha potuto distruggerela poetica leggenda e attribuire le pretese rovine alla fi-sionomia vulcanica della regione; la quale probabilmen-te avrà anche dato origine con i suoi fenomeni al rac-conto della violenta distruzione della meravigliosa città.Tra i salvati dalla catastrofe è Luqmān, altra figura leg-gendaria, che sarebbe stato secondo alcune elucubrazio-ni cronologiche89 contemporaneo di David, e di cui èproverbiale la saggezza. Di lui son tràditi famosi detti ed89 V. per esempio Abulfeda, Historia anteislamica, p. 20, lin. 3.

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apologhi (le favole di Luqmān). È anche detto «quellodegli avvoltoi», dhu n-nusūr, poiché aveva ricevuto daDio la promessa non certo di vita eterna, come egliavrebbe chiesto,90 ma vita tanto lunga quanto quella disette avvoltoi, animali a cui è attribuita longevità, l'undopo l'altro. Sotto di lui rinasce un nuovo popolo di‘Āditi nel Yemen, che egli governa per mille anni; allafine dei quali essi sarebbero stati vinti da Ya‘rub, unodei progenitori degli Arabi meridionali, dopo Qaḥṭān.Luqmān avrebbe anche costruito la famosa diga, la cuirottura poi secondo la tradizione araba fu la causa digrandi movimenti di stirpi arabe. Il Caussin de Perceval(I, 46) suppone che gli ‘Āditi fossero i Sabei Cusciti (suiquali v. sopra, p. 73 nota 1) [Nota 87 di questa edizioneelettronica]. Qualunque cosa sia di tali leggende, vi è inTolomeo la menzione del popolo degli Oaditi, abitantidel Nord-Ovest di Arabia, con i quali sono stati posti inrelazione gli ‘Āditi della leggenda; mentre lo Sprenger91

ha ricordato la presenza di un pozzo Iram nella regionedi Ḥismā e il Loth ha pensato alla identificazione degli‘Āditi con la tribù degli Iyād. Il Wellhausen92 dall'usodell'espressione min al-‘Ād, che in origine significavasolamente «dal tempo antico» e solo poi avrebbe assun-to la forma «dal tempo di ‘Ād», è stato indotto a credereche il nome di questo popolo mitico sia nato solo perfalsa interpretazione dell'espressione stessa (ed è forse

90 Ibid., lin. 5 segg.91 Die alte Geographie Arabiens, § 207.92 «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 1902, p. 596.

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apologhi (le favole di Luqmān). È anche detto «quellodegli avvoltoi», dhu n-nusūr, poiché aveva ricevuto daDio la promessa non certo di vita eterna, come egliavrebbe chiesto,90 ma vita tanto lunga quanto quella disette avvoltoi, animali a cui è attribuita longevità, l'undopo l'altro. Sotto di lui rinasce un nuovo popolo di‘Āditi nel Yemen, che egli governa per mille anni; allafine dei quali essi sarebbero stati vinti da Ya‘rub, unodei progenitori degli Arabi meridionali, dopo Qaḥṭān.Luqmān avrebbe anche costruito la famosa diga, la cuirottura poi secondo la tradizione araba fu la causa digrandi movimenti di stirpi arabe. Il Caussin de Perceval(I, 46) suppone che gli ‘Āditi fossero i Sabei Cusciti (suiquali v. sopra, p. 73 nota 1) [Nota 87 di questa edizioneelettronica]. Qualunque cosa sia di tali leggende, vi è inTolomeo la menzione del popolo degli Oaditi, abitantidel Nord-Ovest di Arabia, con i quali sono stati posti inrelazione gli ‘Āditi della leggenda; mentre lo Sprenger91

ha ricordato la presenza di un pozzo Iram nella regionedi Ḥismā e il Loth ha pensato alla identificazione degli‘Āditi con la tribù degli Iyād. Il Wellhausen92 dall'usodell'espressione min al-‘Ād, che in origine significavasolamente «dal tempo antico» e solo poi avrebbe assun-to la forma «dal tempo di ‘Ād», è stato indotto a credereche il nome di questo popolo mitico sia nato solo perfalsa interpretazione dell'espressione stessa (ed è forse

90 Ibid., lin. 5 segg.91 Die alte Geographie Arabiens, § 207.92 «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 1902, p. 596.

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vero il contrario). Tale ipotesi, che sembra assai impro-babile, si appoggia anche all'uso dell'aggettivo relativo‘ādī nel senso di «antico» o anche «oggetto antico» chericorre anche nell'espressione ‘ilm al-‘ādīyāt nel sensodi archeologia.Di queste antichissime genti bā᾽idah anche i Thamūdavrebbero avuto sede nel Yemen, ma si sarebbero poifissati nel Ḥigiāz. Della storicità di un popolo thamūde-no non c'è neanche da dubitare, poiché frequente è lamenzione di esso nelle fonti classiche, come Tolomeo,Plinio ecc. (un corpo di cavalleria detto equites thamu-deni si trovava nell'esercito romano) e appare anche inquelle assire, ma nelle fonti arabe le sue sorti sono av-volte nella leggenda. I Thamūdeni, anch'essi insuperbiti,non ascoltarono la parola del profeta Ṣāliḥ, come narrail Corano, e si ribellarono al divieto di far male allacammella che egli aveva fatto miracolosamente sorgerequale segno di Dio dalla rupe. Essi tagliarono i garettialla bestia e furono per punizione sorpresi da una com-mozione violenta della terra e distrutti (Cor. 7, 71 esegg.). Secondo la Sura 41 invece sarebbero stati coltidalla ṣā‘iqah, parola usata anche per il castigo di ‘Ād eche, avendo il significato generico di flagello, è statapure interpretata nel senso di «folgore». E certo il rac-conto della catastrofe che colpì i Thamūdeni può essermesso in relazione con la natura del luogo del Ḥigiāzsettentrionale ove la tradizione concordemente pone ladimora di essi; e il Corano stesso parla delle loro case

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vero il contrario). Tale ipotesi, che sembra assai impro-babile, si appoggia anche all'uso dell'aggettivo relativo‘ādī nel senso di «antico» o anche «oggetto antico» chericorre anche nell'espressione ‘ilm al-‘ādīyāt nel sensodi archeologia.Di queste antichissime genti bā᾽idah anche i Thamūdavrebbero avuto sede nel Yemen, ma si sarebbero poifissati nel Ḥigiāz. Della storicità di un popolo thamūde-no non c'è neanche da dubitare, poiché frequente è lamenzione di esso nelle fonti classiche, come Tolomeo,Plinio ecc. (un corpo di cavalleria detto equites thamu-deni si trovava nell'esercito romano) e appare anche inquelle assire, ma nelle fonti arabe le sue sorti sono av-volte nella leggenda. I Thamūdeni, anch'essi insuperbiti,non ascoltarono la parola del profeta Ṣāliḥ, come narrail Corano, e si ribellarono al divieto di far male allacammella che egli aveva fatto miracolosamente sorgerequale segno di Dio dalla rupe. Essi tagliarono i garettialla bestia e furono per punizione sorpresi da una com-mozione violenta della terra e distrutti (Cor. 7, 71 esegg.). Secondo la Sura 41 invece sarebbero stati coltidalla ṣā‘iqah, parola usata anche per il castigo di ‘Ād eche, avendo il significato generico di flagello, è statapure interpretata nel senso di «folgore». E certo il rac-conto della catastrofe che colpì i Thamūdeni può essermesso in relazione con la natura del luogo del Ḥigiāzsettentrionale ove la tradizione concordemente pone ladimora di essi; e il Corano stesso parla delle loro case

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scavate nella roccia, che ricordano senza dubbio i sepol-cri dei Nabatei venuti ad occupare il paese in periodoposteriore; di tali case son piene le rocce della regione. ILiḥyāniti di cui si dirà appresso, e i Thaqīf, la tribù sta-bilita nella città di aṭ-Ṭā᾽if, sarebbero secondo alcuni idiscendenti degli antichi Thamūdeni.Altre genti bā’idah sono gli ‘Āmāliq, gli Amaleciti chesecondo la Bibbia abitavano a Sud della Palestina e lacui notizia presso gli Arabi riposa in gran parte93 sucombinazioni di dati biblici. Essi sarebbero figli di Lūde di Aram consanguinei degli ‘Āditi; secondo alcuni‘Ād e Thamūd sarebbero resti di Amaleciti, progenitoridei Berberi o degli Hyksos. E inutile sarebbe qui seguiretutte queste ipotesi. Interessa solo notare che gli Amale-citi abitanti del Ḥigiāz hanno una parte notevole nellapiù viva tradizione religiosa degli Arabi: sarebbe appun-to tra gli Amaleciti che Ismaele avrebbe fatto la sua pri-ma dimora alla Mecca sposandone una donna. DallaMecca essi poi furono cacciati dalla tribù dei Giurhum,cosidetti secondi.94 I primi Giurhum appartengono ancheessi secondo la tradizione araba a queste genti bā᾽idah,95

93 Sugli Amaleciti v. specialmente l'articolo del NÖLDEKE citato sopra, p. 72nota [nota 86 in questa edizione elettronica Manuzio]; NALLINO, Raccolta,III, 100; v. anche gli articoli relativi nella Enciclopedia Italiana e Enciclo-pedia dell'Islam (quest'ultima sub «‘Āmāliq»).

94 Di Amaleciti e secondi Giurhum si parlerà ancora nella parte relativaall'antica storia della Mecca, v. p. 157* e sgg.

* Tutti i rimandi sono da riferirsi all’edizione cartacea [nota per l’edizione elet-tronica Manuzio]

95 V. per esempio Abulfeda, Historia anteislamica, p. 130 ecc.

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scavate nella roccia, che ricordano senza dubbio i sepol-cri dei Nabatei venuti ad occupare il paese in periodoposteriore; di tali case son piene le rocce della regione. ILiḥyāniti di cui si dirà appresso, e i Thaqīf, la tribù sta-bilita nella città di aṭ-Ṭā᾽if, sarebbero secondo alcuni idiscendenti degli antichi Thamūdeni.Altre genti bā’idah sono gli ‘Āmāliq, gli Amaleciti chesecondo la Bibbia abitavano a Sud della Palestina e lacui notizia presso gli Arabi riposa in gran parte93 sucombinazioni di dati biblici. Essi sarebbero figli di Lūde di Aram consanguinei degli ‘Āditi; secondo alcuni‘Ād e Thamūd sarebbero resti di Amaleciti, progenitoridei Berberi o degli Hyksos. E inutile sarebbe qui seguiretutte queste ipotesi. Interessa solo notare che gli Amale-citi abitanti del Ḥigiāz hanno una parte notevole nellapiù viva tradizione religiosa degli Arabi: sarebbe appun-to tra gli Amaleciti che Ismaele avrebbe fatto la sua pri-ma dimora alla Mecca sposandone una donna. DallaMecca essi poi furono cacciati dalla tribù dei Giurhum,cosidetti secondi.94 I primi Giurhum appartengono ancheessi secondo la tradizione araba a queste genti bā᾽idah,95

93 Sugli Amaleciti v. specialmente l'articolo del NÖLDEKE citato sopra, p. 72nota [nota 86 in questa edizione elettronica Manuzio]; NALLINO, Raccolta,III, 100; v. anche gli articoli relativi nella Enciclopedia Italiana e Enciclo-pedia dell'Islam (quest'ultima sub «‘Āmāliq»).

94 Di Amaleciti e secondi Giurhum si parlerà ancora nella parte relativaall'antica storia della Mecca, v. p. 157* e sgg.

* Tutti i rimandi sono da riferirsi all’edizione cartacea [nota per l’edizione elet-tronica Manuzio]

95 V. per esempio Abulfeda, Historia anteislamica, p. 130 ecc.

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che avrebbero fiorito al tempo degli ‘Ād.Genti bā᾽idah sono ancora Ṭasm e Giadīs, di cui gliArabi nominano una serie di re, dei quali l'ultimo secon-do le combinazioni cronologiche non prive di fantasiadel Caussin de Perceval giungerebbe fino all'inizio delIII secolo d. C. Ma la storia di essi e specialmente quelladi Ṭasm è così oscura da essere passata a proverbio.Sede dei due popoli sarebbe stata la Yamāmah; Ṭasmaveva la supremazia su Giadīs e per l'iniquità di un do-minatore ṭasmita, che aveva introdotto lo ius primaenoctis, i Giadīs insorsero e uccisero lui e la maggior par-te dei Ṭasm; uno solo di essi, Riyāh ibn Murrah, si salvae si rifugia presso il sovrano del Yemen, Tubba‘ Ḥassān,e da lui ottiene la vendetta e la distruzione di Giadīs. Laleggenda narra anche della sorella del predetto Ṭasmita,Zarqā᾽ al-Yamāmah «la donna della Yamāmahdall'occhio azzurro» di vista così acuta che poteva scor-gere alla distanza di trenta miglia. Essa era nei Giadīs,passata sposa ad uno di essi, e vede da lontano l'esercitodel Tubba‘ avanzare nonostante che esso per precauzio-ne avesse fatto mascherare i suoi cavalieri dietro ramid'albero. Zarqā᾽ disse al suo popolo: «Io vedo alberi checamminano», ma non fu creduta e il giorno dopo il Tub-ba‘ distrusse i Giadīs.96 Come la menzione di Tolomeo96 La storia delle popolazioni di Ṭasm e Giadīs si trova in tutte le fonti arabe

già indicate, non solo nelle parti che le concernono ma anche in quelle re-lative al Yemen, i cui re, secondo la tradizione, le hanno distrutte. V. spe-cialmente Ṭabarī, I, 771 segg., coi versi di al-A‘shā e an-Namir ibn Taulabsulla vista di az-Zarqā᾽. V. anche R. A. NICHOLSON, A literary history of theArabs, p. 25.

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che avrebbero fiorito al tempo degli ‘Ād.Genti bā᾽idah sono ancora Ṭasm e Giadīs, di cui gliArabi nominano una serie di re, dei quali l'ultimo secon-do le combinazioni cronologiche non prive di fantasiadel Caussin de Perceval giungerebbe fino all'inizio delIII secolo d. C. Ma la storia di essi e specialmente quelladi Ṭasm è così oscura da essere passata a proverbio.Sede dei due popoli sarebbe stata la Yamāmah; Ṭasmaveva la supremazia su Giadīs e per l'iniquità di un do-minatore ṭasmita, che aveva introdotto lo ius primaenoctis, i Giadīs insorsero e uccisero lui e la maggior par-te dei Ṭasm; uno solo di essi, Riyāh ibn Murrah, si salvae si rifugia presso il sovrano del Yemen, Tubba‘ Ḥassān,e da lui ottiene la vendetta e la distruzione di Giadīs. Laleggenda narra anche della sorella del predetto Ṭasmita,Zarqā᾽ al-Yamāmah «la donna della Yamāmahdall'occhio azzurro» di vista così acuta che poteva scor-gere alla distanza di trenta miglia. Essa era nei Giadīs,passata sposa ad uno di essi, e vede da lontano l'esercitodel Tubba‘ avanzare nonostante che esso per precauzio-ne avesse fatto mascherare i suoi cavalieri dietro ramid'albero. Zarqā᾽ disse al suo popolo: «Io vedo alberi checamminano», ma non fu creduta e il giorno dopo il Tub-ba‘ distrusse i Giadīs.96 Come la menzione di Tolomeo96 La storia delle popolazioni di Ṭasm e Giadīs si trova in tutte le fonti arabe

già indicate, non solo nelle parti che le concernono ma anche in quelle re-lative al Yemen, i cui re, secondo la tradizione, le hanno distrutte. V. spe-cialmente Ṭabarī, I, 771 segg., coi versi di al-A‘shā e an-Namir ibn Taulabsulla vista di az-Zarqā᾽. V. anche R. A. NICHOLSON, A literary history of theArabs, p. 25.

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degli Oaditi è stata addotta quale indizio di elemento diverità per la leggenda degli ‘Ād, si cita egualmente lamenzione dei Iodysitai in scrittori greci per quanto con-cerne Giadīs. E di Ṭasm e Giadīs Yāqūt cita qualchefortezza, di cui occorre la menzione nella tradizione enella poesia araba.97

Così l'immaginazione degli Arabi ha rievocato sotto laveste della leggenda le vicende più remote degli abitato-ri della penisola; per essi stessi questa parte della proto-storia è oscura (abbiamo qui sopra citato un detto pro-verbiale a questo riguardo); ma su terreno più solidoessi credono di essere quando narrano la storia dellegenti non più bā᾽idah, ma ancora esistenti e collegantisicon ininterrotta genealogia alle origini.Il complesso di tali genti è diviso dalla tradizione in duegrandi ceppi, di Qaḥṭān e di ‘Ādnān. Le genti Qaḥṭānidisono le Yemenite portatrici della grande cultura meri-dionale che, sebbene ora rivelata solamente in parte dal-la scoperta e dalla lettura delle antiche iscrizioni, non fuignota alla storiografia araba: in parte sedentarie, soprat-tutto quelle credute discendenti da Ḥimyar, in parte be-duine, quelle attribuite al progenitore Kahlān, sottol'influenza delle genti Ḥimyaritiche. Il complesso dellegenti Qaḥṭānidi come dicemmo (v. sopra p. 61) son dette

97 Cfr. Yāqūt, II, 160; III, 290, 323; IV, 541, 579, 902; G. ZAIDĀN, Kitābal-‘ārab qabl al-islām, p. 67; v. anche per Ṭasm e Giadīs Die auf Südara-bien bezüglichen Angaben Našwāns im Šams al-‘ulūm... gesammelt... von‘ĀẒIMUDDĪN AHMAD, Gibb Memorial no. XXIV, Leiden-London, 1916, pp.17 e 66.

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degli Oaditi è stata addotta quale indizio di elemento diverità per la leggenda degli ‘Ād, si cita egualmente lamenzione dei Iodysitai in scrittori greci per quanto con-cerne Giadīs. E di Ṭasm e Giadīs Yāqūt cita qualchefortezza, di cui occorre la menzione nella tradizione enella poesia araba.97

Così l'immaginazione degli Arabi ha rievocato sotto laveste della leggenda le vicende più remote degli abitato-ri della penisola; per essi stessi questa parte della proto-storia è oscura (abbiamo qui sopra citato un detto pro-verbiale a questo riguardo); ma su terreno più solidoessi credono di essere quando narrano la storia dellegenti non più bā᾽idah, ma ancora esistenti e collegantisicon ininterrotta genealogia alle origini.Il complesso di tali genti è diviso dalla tradizione in duegrandi ceppi, di Qaḥṭān e di ‘Ādnān. Le genti Qaḥṭānidisono le Yemenite portatrici della grande cultura meri-dionale che, sebbene ora rivelata solamente in parte dal-la scoperta e dalla lettura delle antiche iscrizioni, non fuignota alla storiografia araba: in parte sedentarie, soprat-tutto quelle credute discendenti da Ḥimyar, in parte be-duine, quelle attribuite al progenitore Kahlān, sottol'influenza delle genti Ḥimyaritiche. Il complesso dellegenti Qaḥṭānidi come dicemmo (v. sopra p. 61) son dette

97 Cfr. Yāqūt, II, 160; III, 290, 323; IV, 541, 579, 902; G. ZAIDĀN, Kitābal-‘ārab qabl al-islām, p. 67; v. anche per Ṭasm e Giadīs Die auf Südara-bien bezüglichen Angaben Našwāns im Šams al-‘ulūm... gesammelt... von‘ĀẒIMUDDĪN AHMAD, Gibb Memorial no. XXIV, Leiden-London, 1916, pp.17 e 66.

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anche dalla maggior parte delle testimonianze ‘āribah,quelle che hanno parlato il puro idioma arabo, mentresecondo un'altra opinione le pure arabe sarebbero lebā᾽idah e le Qaḥṭānidi muta‘arribah. Secondo alcuniquesto privilegio dei Qaḥṭān, specialmente la loro asse-gnazione alle bā᾽idah, sarebbe il risultato di un tentativodi rialzare il prestigio di questo gruppo che, in età isla-mica, era andato declinando a vantaggio di quello deiMa‘add, il gruppo del Nord a cui apparteneva la tribù diMaometto.98 Le genti ‘Ādnānite, considerate muta‘arri-bah o musta'ribah, son quelle invece del Nord, proce-denti da ‘Ādnàn, a sua volta discendente d'Ismaele. Noivedremo qui appresso, quando tratteremo a fondo dellatribù araba e della sua costituzione, come si possa spie-gare il sorgere di queste grandi divisioni e discuteremoanche una questione fondamentale per tutta la storia ara-ba, quella dell'origine e delle cause della rivalità fra iQaḥṭānidi e ‘Ādnānidi, fra tribù del Sud e del Nord. Na-turalmente anche il sistema genealogico del Sud si riat-tacca a quello biblico come anche le genti bā᾽idah (oc-corre qui dire che per alcuni autori Qaḥṭān discendereb-be da Hūd, il profeta degli ‘Āditi già menzionati)99 attra-98 Cfr. A. FISHER, articolo Qaḫṭān, in Enciclopedia dell'Islam.99 Così per esempio in A. VON KREMER, Ueber die südarabische Sage, Leip-

zig, 1866, pp. 54 e 55, ove sono citati anche i versi di ‘Alqamah Dhū Gia-dan, il cui testo si trova in Altarabische Gedichte über die Volkssage vonJemen als Textbelege zur Abhandlung «Ueber die südarabische Sage» del-lo stesso, Leipzig, 1867, p. 13. Cfr. anche la biografia del Profeta fatta dalmeccano contemporaneo ḤUSAIN ‘ABDALLĀH BI-ISLĀMIHI, Ḥayāt Sayydal-‘arab wa-ta'rīkh an-nahḍah al-islāmiyyah, Mecca, 1349 Èg. e segg. (4voll.), I, p. 9.

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anche dalla maggior parte delle testimonianze ‘āribah,quelle che hanno parlato il puro idioma arabo, mentresecondo un'altra opinione le pure arabe sarebbero lebā᾽idah e le Qaḥṭānidi muta‘arribah. Secondo alcuniquesto privilegio dei Qaḥṭān, specialmente la loro asse-gnazione alle bā᾽idah, sarebbe il risultato di un tentativodi rialzare il prestigio di questo gruppo che, in età isla-mica, era andato declinando a vantaggio di quello deiMa‘add, il gruppo del Nord a cui apparteneva la tribù diMaometto.98 Le genti ‘Ādnānite, considerate muta‘arri-bah o musta'ribah, son quelle invece del Nord, proce-denti da ‘Ādnàn, a sua volta discendente d'Ismaele. Noivedremo qui appresso, quando tratteremo a fondo dellatribù araba e della sua costituzione, come si possa spie-gare il sorgere di queste grandi divisioni e discuteremoanche una questione fondamentale per tutta la storia ara-ba, quella dell'origine e delle cause della rivalità fra iQaḥṭānidi e ‘Ādnānidi, fra tribù del Sud e del Nord. Na-turalmente anche il sistema genealogico del Sud si riat-tacca a quello biblico come anche le genti bā᾽idah (oc-corre qui dire che per alcuni autori Qaḥṭān discendereb-be da Hūd, il profeta degli ‘Āditi già menzionati)99 attra-98 Cfr. A. FISHER, articolo Qaḫṭān, in Enciclopedia dell'Islam.99 Così per esempio in A. VON KREMER, Ueber die südarabische Sage, Leip-

zig, 1866, pp. 54 e 55, ove sono citati anche i versi di ‘Alqamah Dhū Gia-dan, il cui testo si trova in Altarabische Gedichte über die Volkssage vonJemen als Textbelege zur Abhandlung «Ueber die südarabische Sage» del-lo stesso, Leipzig, 1867, p. 13. Cfr. anche la biografia del Profeta fatta dalmeccano contemporaneo ḤUSAIN ‘ABDALLĀH BI-ISLĀMIHI, Ḥayāt Sayydal-‘arab wa-ta'rīkh an-nahḍah al-islāmiyyah, Mecca, 1349 Èg. e segg. (4voll.), I, p. 9.

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verso Eber, Shelah, Arphaxad si ricongiungono a Sem,tutti nomi, come si vede, identici a quelli della genealo-gia ebraica, onde si deduce sicuramente che Qaḥṭān cor-risponde al biblico Yoqṭān, tanto più che secondo la ge-nealogia biblica Yoqṭān (Genesi, X, 26 e segg.) ha perfigli Ḥaṣermawet, p. e., e Sheba, di cui è evidente l'iden-tità con Ḥaḍramūt e Saba.100

Le genti invece non Yemenite (e come Yemenite inten-diamo qui non solamente quelle sedentarie del Yemen,ma anche le beduine che erano sotto l'influenza di esse)sono riportate dalla genealogia araba al progenitore‘Adnān, come è detto sopra. Esse però prendono piutto-sto il nome dal figlio di questo, Ma‘add, e son fatte risa-lire, con una genealogia di cui gli stessi Arabi ricono-scono assai relativo il valore,101 a Ismaele; i nomi son didubbia lettura ma di sapore ebraico. Abramo e Ismaelesarebbero venuti alla Mecca, vi avrebbero fondato ilsantuario della Ka‘bah, il loro discendente ‘Adnān fissa-tosi nel paese avrebbe dato origine a tutte le tribù delNord, che per questo si chiamano anche Ismailite, com-presa quella dei Quraisciti, in cui nacque Maometto.È importante intanto trarre una deduzione da questo an-100 I genealogi arabi dichiarano che Yaqṭān = Qaḥṭān; cfr. l'art. Qaḥṭān in En-

ciclopedia dell'Islam, redatto da A. FISHER. È certo difficile il passaggioYaqṭān-Qaḥṭān; il Fischer nel predetto articolo suppone che l'antico genea-logista arabo yemenita abbia ricongiunto arbitrariamente per la somiglian-za del nome il biblico Yoqṭān con la stirpe yemenita Qaḥṭān, di cui esisteancora traccia.

101 L. CAETANI, Annali dell'Islam, I, p. 75. Ibn Duraid stesso nel suo Ishtiqāqnon la prende neanche in considerazione.

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verso Eber, Shelah, Arphaxad si ricongiungono a Sem,tutti nomi, come si vede, identici a quelli della genealo-gia ebraica, onde si deduce sicuramente che Qaḥṭān cor-risponde al biblico Yoqṭān, tanto più che secondo la ge-nealogia biblica Yoqṭān (Genesi, X, 26 e segg.) ha perfigli Ḥaṣermawet, p. e., e Sheba, di cui è evidente l'iden-tità con Ḥaḍramūt e Saba.100

Le genti invece non Yemenite (e come Yemenite inten-diamo qui non solamente quelle sedentarie del Yemen,ma anche le beduine che erano sotto l'influenza di esse)sono riportate dalla genealogia araba al progenitore‘Adnān, come è detto sopra. Esse però prendono piutto-sto il nome dal figlio di questo, Ma‘add, e son fatte risa-lire, con una genealogia di cui gli stessi Arabi ricono-scono assai relativo il valore,101 a Ismaele; i nomi son didubbia lettura ma di sapore ebraico. Abramo e Ismaelesarebbero venuti alla Mecca, vi avrebbero fondato ilsantuario della Ka‘bah, il loro discendente ‘Adnān fissa-tosi nel paese avrebbe dato origine a tutte le tribù delNord, che per questo si chiamano anche Ismailite, com-presa quella dei Quraisciti, in cui nacque Maometto.È importante intanto trarre una deduzione da questo an-100 I genealogi arabi dichiarano che Yaqṭān = Qaḥṭān; cfr. l'art. Qaḥṭān in En-

ciclopedia dell'Islam, redatto da A. FISHER. È certo difficile il passaggioYaqṭān-Qaḥṭān; il Fischer nel predetto articolo suppone che l'antico genea-logista arabo yemenita abbia ricongiunto arbitrariamente per la somiglian-za del nome il biblico Yoqṭān con la stirpe yemenita Qaḥṭān, di cui esisteancora traccia.

101 L. CAETANI, Annali dell'Islam, I, p. 75. Ibn Duraid stesso nel suo Ishtiqāqnon la prende neanche in considerazione.

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tico racconto; e cioè che i genealogi o tradizionisti arabi,sia pure dei primi secoli dell'Islam, hanno avuta benchiara la concezione che nel paese genti antiche hannoparlato l'arabo genuino (e perciò son dette ‘āribah) e lehanno identificate per lo più con i Yemeniti, secondouna dottrina meno diffusa con gli ‘Āditi e le altre gentisparite. Sono poi sopraggiunte altre popolazioni chehanno assunto il loro parlare venendo – è ovvio suppor-re che tale fosse l'opinione di questa antica storiografia– dal Nord e dalla Mesopotamia, divenendo veri Arabima dopo un processo di assimilazione che è espressodall'epiteto musta‘ribah, se si suppone che gli ‘Āribahfossero i Qaḥṭānidi o rispettivamente muta‘arribah emusta‘ribah (Qaḥṭānidi e ‘Adnāniti), se si suppone chegli ‘Āribah fossero le genti sparite bā᾽idah.Tale sistema arabo si è formato nei suoi particolari nellescuole tradizionistiche e tra i genealogisti del primo edel secondo secolo dell'ègira; e certo non si potrebberoin alcun modo fondare considerazioni storiche su talemateriale che almeno in parte mostra così evidente lasua artificiosità. Ma io penso che sarebbe anche arbitra-rio recisamente negare che, dietro queste costruzioni,esista un elemento di verità, la tradizione genealogicache anche studi recenti mostrano così tenace in popola-zioni primitive o di civiltà arretrata, come per esempiotra popolazioni abissine e somale.102

102 Sul valore delle tradizioni gentilizie in Abissinia v. le importanti osserva-zioni di C. CONTI ROSSINI, Proverbi, tradizioni e canzoni tigrine, Roma, Mi-nistero dell'Africa Italiana, 1942, p. 121 e segg. Interessanti elementi an-

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tico racconto; e cioè che i genealogi o tradizionisti arabi,sia pure dei primi secoli dell'Islam, hanno avuta benchiara la concezione che nel paese genti antiche hannoparlato l'arabo genuino (e perciò son dette ‘āribah) e lehanno identificate per lo più con i Yemeniti, secondouna dottrina meno diffusa con gli ‘Āditi e le altre gentisparite. Sono poi sopraggiunte altre popolazioni chehanno assunto il loro parlare venendo – è ovvio suppor-re che tale fosse l'opinione di questa antica storiografia– dal Nord e dalla Mesopotamia, divenendo veri Arabima dopo un processo di assimilazione che è espressodall'epiteto musta‘ribah, se si suppone che gli ‘Āribahfossero i Qaḥṭānidi o rispettivamente muta‘arribah emusta‘ribah (Qaḥṭānidi e ‘Adnāniti), se si suppone chegli ‘Āribah fossero le genti sparite bā᾽idah.Tale sistema arabo si è formato nei suoi particolari nellescuole tradizionistiche e tra i genealogisti del primo edel secondo secolo dell'ègira; e certo non si potrebberoin alcun modo fondare considerazioni storiche su talemateriale che almeno in parte mostra così evidente lasua artificiosità. Ma io penso che sarebbe anche arbitra-rio recisamente negare che, dietro queste costruzioni,esista un elemento di verità, la tradizione genealogicache anche studi recenti mostrano così tenace in popola-zioni primitive o di civiltà arretrata, come per esempiotra popolazioni abissine e somale.102

102 Sul valore delle tradizioni gentilizie in Abissinia v. le importanti osserva-zioni di C. CONTI ROSSINI, Proverbi, tradizioni e canzoni tigrine, Roma, Mi-nistero dell'Africa Italiana, 1942, p. 121 e segg. Interessanti elementi an-

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Poi dalle origini lontane, Qaḥṭānite o ‘Ādnānite (oMa‘addite che sia), la cronaca araba disegna la storiad'Arabia dalle origini alla missione di Maometto, rac-chiudendola in questo schema genealogico, e con stranelacune: ignorandosi per esempio in essa la storia purcosì importante del regno Nabateo, e quella anche diPalmira, delle quali appaiono appena alcuni accenni aimonumenti per quel che concerne i Nabatei o a qualcheepisodio della storia di Palmira come quello di Zabbā᾽di cui appresso. La storia di queste antiche vicende delledue grandi stirpi è tratta dalle opere storiche arabe, dellequali abbiamo fatto cenno sopra (v. p. 72 nota [nota 86in questa edizione elettronica]), e, fra le ricostruzionimoderne, dalla grande opera del Caussin de Perceval, dicui abbiamo detto i grandi pregi nonostante che essa siaormai antiquata, da vari articoli nell'Enciclopediadell'Islam,103 dalle opere d'insieme; tra queste vogliamonotare quelle recentemente pubblicate in Egitto, partico-larmente interessanti per il senso di tradizione e la cono-scenza di fonti antiche che sono propri di quegli autoricresciuti alla scuola orientale ma non ignari dei metodieuropei.104

che presso E. CERULLI, Le popolazioni della Somalia nella tradizione stori-ca locale, in «Rendiconti Acc. dei Lincei», Cl. Sc. Mor., ser. VI, vol. II,pp. 150-172. V. anche ENNO LITTMANN, Thamūd und Safā, «Abhandlungenfür die Kunde d. Morgenlandes», XXV, I, Leipzig, 1940, p. 98 e segg.

103 Così specialmente Azd, Qaḥṭān, Kalb, RabĪ‘ah, Ṭayy᾽, ecc.; per le tribù delNord daremo indicazioni appresso.

104 Soprattutto Fagr al-islām, I, di AHMED AMĪN, Cairo, 1928. Si può consulta-re anche con profitto per gli elementi tradizionali che contiene Ta᾽rīkh al-islām as-siyāsī, I, di ḤASAN IBRĀHĪM ḤASAN, Cairo, 1935. Tenuta nella linea

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Poi dalle origini lontane, Qaḥṭānite o ‘Ādnānite (oMa‘addite che sia), la cronaca araba disegna la storiad'Arabia dalle origini alla missione di Maometto, rac-chiudendola in questo schema genealogico, e con stranelacune: ignorandosi per esempio in essa la storia purcosì importante del regno Nabateo, e quella anche diPalmira, delle quali appaiono appena alcuni accenni aimonumenti per quel che concerne i Nabatei o a qualcheepisodio della storia di Palmira come quello di Zabbā᾽di cui appresso. La storia di queste antiche vicende delledue grandi stirpi è tratta dalle opere storiche arabe, dellequali abbiamo fatto cenno sopra (v. p. 72 nota [nota 86in questa edizione elettronica]), e, fra le ricostruzionimoderne, dalla grande opera del Caussin de Perceval, dicui abbiamo detto i grandi pregi nonostante che essa siaormai antiquata, da vari articoli nell'Enciclopediadell'Islam,103 dalle opere d'insieme; tra queste vogliamonotare quelle recentemente pubblicate in Egitto, partico-larmente interessanti per il senso di tradizione e la cono-scenza di fonti antiche che sono propri di quegli autoricresciuti alla scuola orientale ma non ignari dei metodieuropei.104

che presso E. CERULLI, Le popolazioni della Somalia nella tradizione stori-ca locale, in «Rendiconti Acc. dei Lincei», Cl. Sc. Mor., ser. VI, vol. II,pp. 150-172. V. anche ENNO LITTMANN, Thamūd und Safā, «Abhandlungenfür die Kunde d. Morgenlandes», XXV, I, Leipzig, 1940, p. 98 e segg.

103 Così specialmente Azd, Qaḥṭān, Kalb, RabĪ‘ah, Ṭayy᾽, ecc.; per le tribù delNord daremo indicazioni appresso.

104 Soprattutto Fagr al-islām, I, di AHMED AMĪN, Cairo, 1928. Si può consulta-re anche con profitto per gli elementi tradizionali che contiene Ta᾽rīkh al-islām as-siyāsī, I, di ḤASAN IBRĀHĪM ḤASAN, Cairo, 1935. Tenuta nella linea

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In questa nostra esposizione noi tratteremo prima, se-guendo la traccia della partizione tradizionale araba, lastoria del Yemen e delle tribù da esso dipendenti, poidelle tribù del Nord. E faremo precedere alla esposizio-ne della tradizione araba, che per noi ha la sua insigneimportanza poiché è stata elemento formativo e fonte diumanesimo per tutto lo sviluppo di quella cultura, le no-tizie che i ritrovamenti recenti e soprattutto il criticoesame delle fonti, in parte ora solamente disponibili inedizioni scientifiche, ci permettono di stabilire con mag-giore o minor sicurezza.

strettamente tradizionale e conservativa la già citata (p. 79 nota 2 [nota 99in questa edizione elettronica Manuzio]) opera di ḤUSAIN ‘ABDALLĀH BI-ISLĀMIHI, che nella prima parte tratta anche della storia preislamica; ed è in-teressante non solo per lo spirito tradizionale che la dirige, ma anche pergli attacchi alla critica moderna europea e anche orientale.

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In questa nostra esposizione noi tratteremo prima, se-guendo la traccia della partizione tradizionale araba, lastoria del Yemen e delle tribù da esso dipendenti, poidelle tribù del Nord. E faremo precedere alla esposizio-ne della tradizione araba, che per noi ha la sua insigneimportanza poiché è stata elemento formativo e fonte diumanesimo per tutto lo sviluppo di quella cultura, le no-tizie che i ritrovamenti recenti e soprattutto il criticoesame delle fonti, in parte ora solamente disponibili inedizioni scientifiche, ci permettono di stabilire con mag-giore o minor sicurezza.

strettamente tradizionale e conservativa la già citata (p. 79 nota 2 [nota 99in questa edizione elettronica Manuzio]) opera di ḤUSAIN ‘ABDALLĀH BI-ISLĀMIHI, che nella prima parte tratta anche della storia preislamica; ed è in-teressante non solo per lo spirito tradizionale che la dirige, ma anche pergli attacchi alla critica moderna europea e anche orientale.

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III.L'ANTICA STORIA DEL YEMEN.

Le fonti che ci informano sulla vita dell'Arabia meridio-nale sono orientali o greco-latine. Tra le orientali son su-bito da notare le iscrizioni cuneiformi, le quali ci dànnonotizia di relazioni di re assiri, come Tiglatpileser III(VIII secolo a. C.), Sargon II (722-705 a. C.) e Senna-cherib (704-681 a. C.). Così il primo pone in una suaiscrizione «il Sabeo» fra le popolazioni che sarebberostate sconosciute prima di lui e gli fecero omaggio.Omaggio anche fa, al secondo, il re di Saba It᾽-am-a-ra,nome che corrisponde a quello di Yath‘Amar, che è atte-stato dalle iscrizioni per più re sabei. E in una iscrizionedel terzo è fatta menzione del re di Saba Ka-ra-bi-ilu,nome sicuramente yemenitico. Si ritiene tuttavia nonpossibile che gli Assiri facessero spedizioni fino al Ye-men e si pensa che la menzione delle iscrizioni si riferi-sca a colonie sabee dell'Arabia del Nord, ciò che ha no-tevole importanza storica poiché conferma così autore-volmente il fatto già noto per altre fonti dell'espansionedei Sabei verso il settentrione.105 Ma è possibile ancheche i Sabei di là fossero resti di antiche migrazioni enon provenissero dal Yemen.Preziose sono le notizie che ci dà la Bibbia soprattuttonei capitoli X e XXV del Genesi; sono notizie essenzial-mente genealogiche che mostrano che i nomi che ricor-105 NALLINO, Raccolta, III, p. 16.

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III.L'ANTICA STORIA DEL YEMEN.

Le fonti che ci informano sulla vita dell'Arabia meridio-nale sono orientali o greco-latine. Tra le orientali son su-bito da notare le iscrizioni cuneiformi, le quali ci dànnonotizia di relazioni di re assiri, come Tiglatpileser III(VIII secolo a. C.), Sargon II (722-705 a. C.) e Senna-cherib (704-681 a. C.). Così il primo pone in una suaiscrizione «il Sabeo» fra le popolazioni che sarebberostate sconosciute prima di lui e gli fecero omaggio.Omaggio anche fa, al secondo, il re di Saba It᾽-am-a-ra,nome che corrisponde a quello di Yath‘Amar, che è atte-stato dalle iscrizioni per più re sabei. E in una iscrizionedel terzo è fatta menzione del re di Saba Ka-ra-bi-ilu,nome sicuramente yemenitico. Si ritiene tuttavia nonpossibile che gli Assiri facessero spedizioni fino al Ye-men e si pensa che la menzione delle iscrizioni si riferi-sca a colonie sabee dell'Arabia del Nord, ciò che ha no-tevole importanza storica poiché conferma così autore-volmente il fatto già noto per altre fonti dell'espansionedei Sabei verso il settentrione.105 Ma è possibile ancheche i Sabei di là fossero resti di antiche migrazioni enon provenissero dal Yemen.Preziose sono le notizie che ci dà la Bibbia soprattuttonei capitoli X e XXV del Genesi; sono notizie essenzial-mente genealogiche che mostrano che i nomi che ricor-105 NALLINO, Raccolta, III, p. 16.

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rono nelle costruzioni tradizionali arabe non sono fruttodi invenzione ma, se non di comune tradizione, di usodiretto dei dati ebraici da parte dei genealogisti arabi. Intali capitoli si dànno anche elementi per la storiadell'Arabia del Nord e i figli di Ismaele dei quali tratte-remo appresso. Nella Bibbia si fa anche menzione dellavisita della regina di Saba a Salomone e della spedizio-ne marittima di quest'ultimo nel paese di Ofir che è statoidentificato tra l'altro anche col Yemen.106

Frequente la menzione dell'Arabia del Sud nelle fontigreco-latine.107 Le notizie però non perdono il loro carat-tere leggendario se non quando verso la fine del IV se-colo a. C. l'opera di Alessandro Magno creò le ragioni dimaggiore contatto e di più precisa conoscenza. Teofra-sto (morto nel 287 a. C.) nella sua Historia Plantarumdà notizie assai importanti sull'incenso. Ma Eratostene(morto nel 194 a. C.), che poté valersi delle relazionidelle spedizioni marittime dei Tolomei, nelle sue Geo-

106 Non è qui luogo da discutere la leggenda della regina di Saba; v. art. Sabanell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia dell'Islam e Pauly-Wissowa. Cosìdicasi per Ofir.

107 V. anche qui sopra p. 21 e segg. le notizie sulla geografia d'Arabia negliautori classici. V. l'articolo Saba redatto dal TKAČ per il Pauly-Wissowa,come anche, nello stesso dizionario, quello Arabia di D. H. MÜLLER. Otti-ma raccolta di tutti i passi greci e latini (quelli tradotti in latino) concer-nenti il Yemen è quella premessa da C. CONTI ROSSINI alla sua Chrestoma-tia Arabica meridionalis epigraphica..., Roma, Istituto per l'Oriente, 1931,pp. 1-37. Le notizie degli scrittori classici sull'Arabia settentrionale sonoraccolte e discusse da A. MUSIL in appendici ai primi quattro dei sei volumimenzionati sopra, p. 32 nota 3 [Nota 28 di questa edizione elettronica Ma-nuzio].

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rono nelle costruzioni tradizionali arabe non sono fruttodi invenzione ma, se non di comune tradizione, di usodiretto dei dati ebraici da parte dei genealogisti arabi. Intali capitoli si dànno anche elementi per la storiadell'Arabia del Nord e i figli di Ismaele dei quali tratte-remo appresso. Nella Bibbia si fa anche menzione dellavisita della regina di Saba a Salomone e della spedizio-ne marittima di quest'ultimo nel paese di Ofir che è statoidentificato tra l'altro anche col Yemen.106

Frequente la menzione dell'Arabia del Sud nelle fontigreco-latine.107 Le notizie però non perdono il loro carat-tere leggendario se non quando verso la fine del IV se-colo a. C. l'opera di Alessandro Magno creò le ragioni dimaggiore contatto e di più precisa conoscenza. Teofra-sto (morto nel 287 a. C.) nella sua Historia Plantarumdà notizie assai importanti sull'incenso. Ma Eratostene(morto nel 194 a. C.), che poté valersi delle relazionidelle spedizioni marittime dei Tolomei, nelle sue Geo-

106 Non è qui luogo da discutere la leggenda della regina di Saba; v. art. Sabanell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia dell'Islam e Pauly-Wissowa. Cosìdicasi per Ofir.

107 V. anche qui sopra p. 21 e segg. le notizie sulla geografia d'Arabia negliautori classici. V. l'articolo Saba redatto dal TKAČ per il Pauly-Wissowa,come anche, nello stesso dizionario, quello Arabia di D. H. MÜLLER. Otti-ma raccolta di tutti i passi greci e latini (quelli tradotti in latino) concer-nenti il Yemen è quella premessa da C. CONTI ROSSINI alla sua Chrestoma-tia Arabica meridionalis epigraphica..., Roma, Istituto per l'Oriente, 1931,pp. 1-37. Le notizie degli scrittori classici sull'Arabia settentrionale sonoraccolte e discusse da A. MUSIL in appendici ai primi quattro dei sei volumimenzionati sopra, p. 32 nota 3 [Nota 28 di questa edizione elettronica Ma-nuzio].

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graphikà, di cui abbiamo citazioni in Strabone, ci dà tral'altro notizia delle quattro antiche monarchie nelle qualisi divideva il Yemen con il nome delle loro capitali checorrispondono ai dati delle iscrizioni. Strabone stesso(fine del I secolo a. C.) dà molte notizie sull'Arabia delSud in parte desunte dalla spedizione di Elio Gallo che,come è noto, penetrò nella regione fra il Ḥaḍramūt e ilYemen, ma, dovette poi tornare indietro con gravi perdi-te e rinunciare alla conquista del paese dell'incenso idea-ta da Augusto. Tali notizie in parte dirette, poiché egliaccompagnò per un tratto la spedizione, appaiono anchenell'opera di Plinio il Vecchio (I secolo d. C.). Anche inTolomeo si trovano dati ed egualmente nel Periplo delMar Eritreo che abbiamo già citato, in cui appare ilnome di due sovrani.108 Vanno anche considerati testigreci cristiani e quelli agiografici, come per esempio iracconti sui martiri omeriti109 che concernono la perse-cuzione del re Dhū Nuwās contro i cristiani di Nagrān alprincipio del VI secolo. Da annoverarsi fra le fonti nonindigene della nostra conoscenza dell'Arabia del Sudsono le iscrizioni del re di Aksum ‘Ēzānā, del IV secolo,che portano menzione di regioni del Yemen che egli108 Cfr. M. HARTMANN, Arabische Frage, pp. 416 e segg. e 466 e segg.109 I. GUIDI, La lettera di Simeone vescovo di Beth-Aršam sopra i martiri ome-

riti, «Memorie dell'Accad. dei Lincei», Cl. Sc. Mor., ser. III, vol. VII, 1881(ora anche in Raccolta di scritti, Roma, Istituto per l'Oriente, 1945, I, pp.1-60); A. MOBERG, The Book of the Ḥimyarites, Lund, 1924; a pp. XXIV-XXV vi è un'ampia bibliografia sul soggetto; C. CONTI ROSSINI, Un docu-mento sul cristianesimo nello Yemen ai tempi del re Šarāḥbīl Yakkuf,«Rendiconti della R. Acc. dei Lincei», Cl. di sc. mor., stor. e filol., ser. V,vol. XI, pp. 705-750.

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graphikà, di cui abbiamo citazioni in Strabone, ci dà tral'altro notizia delle quattro antiche monarchie nelle qualisi divideva il Yemen con il nome delle loro capitali checorrispondono ai dati delle iscrizioni. Strabone stesso(fine del I secolo a. C.) dà molte notizie sull'Arabia delSud in parte desunte dalla spedizione di Elio Gallo che,come è noto, penetrò nella regione fra il Ḥaḍramūt e ilYemen, ma, dovette poi tornare indietro con gravi perdi-te e rinunciare alla conquista del paese dell'incenso idea-ta da Augusto. Tali notizie in parte dirette, poiché egliaccompagnò per un tratto la spedizione, appaiono anchenell'opera di Plinio il Vecchio (I secolo d. C.). Anche inTolomeo si trovano dati ed egualmente nel Periplo delMar Eritreo che abbiamo già citato, in cui appare ilnome di due sovrani.108 Vanno anche considerati testigreci cristiani e quelli agiografici, come per esempio iracconti sui martiri omeriti109 che concernono la perse-cuzione del re Dhū Nuwās contro i cristiani di Nagrān alprincipio del VI secolo. Da annoverarsi fra le fonti nonindigene della nostra conoscenza dell'Arabia del Sudsono le iscrizioni del re di Aksum ‘Ēzānā, del IV secolo,che portano menzione di regioni del Yemen che egli108 Cfr. M. HARTMANN, Arabische Frage, pp. 416 e segg. e 466 e segg.109 I. GUIDI, La lettera di Simeone vescovo di Beth-Aršam sopra i martiri ome-

riti, «Memorie dell'Accad. dei Lincei», Cl. Sc. Mor., ser. III, vol. VII, 1881(ora anche in Raccolta di scritti, Roma, Istituto per l'Oriente, 1945, I, pp.1-60); A. MOBERG, The Book of the Ḥimyarites, Lund, 1924; a pp. XXIV-XXV vi è un'ampia bibliografia sul soggetto; C. CONTI ROSSINI, Un docu-mento sul cristianesimo nello Yemen ai tempi del re Šarāḥbīl Yakkuf,«Rendiconti della R. Acc. dei Lincei», Cl. di sc. mor., stor. e filol., ser. V,vol. XI, pp. 705-750.

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aveva conquistate.Ma la sorgente più ragguardevole d'informazione direttae genuina per la conoscenza della storia del Yemen è ilcomplesso delle iscrizioni sudarabiche, che, come ab-biamo già detto, sono state copiate, riprodotte o portatein Occidente da vari viaggiatori europei, fra cui princi-palmente l'Halévy e il Glaser. Il merito della decifrazio-ne di queste iscrizioni spetta a vari studiosi dopo le pri-me conquiste del Gesenius e del Rödiger; e alla decifra-zione si è accompagnato il lavoro di ricostruzione e disintesi per cui abbiamo ora su documenti di indiscussagenuinità elementi che, se non ci possono dare un qua-dro completo della civiltà yemenita, ne fissano alcunipunti in modo sicuro;110 essi vanno coordinati con i datidelle altre fonti ed insieme, specialmente per il periodopiù recente, con i dati della tradizione musulmana. Diquesta faremo cenno più speciale quando or ora indiche-remo i tratti della leggenda che la fantasia araba ha tes-suto sui regni del Yemen. Noi abbiamo certa conoscenzadi quattro regni del Yemen; e già ce li attesta un passoimportante di Eratostene, che ci informa sull'esistenza asuo tempo dei Meinaioi con capitale Karna, dei Sabaioi,con Mariaba, dei Katabaneis con Tamna, dei Chatramu-titai con Sabatan; e i dati delle iscrizioni confermano110 Non è possibile dare qui indicazioni bibliografiche complete su questa ma-

teria. V., oltre la precitata Chrestomathia del CONTI ROSSINI che ha un otti-mo glossario, F. HOMMEL, Südarabische Chrestomathie, München, 1803;Handbuch der altarabischen Altertumskunde, I. Band, Die altarabischeKultur (il solo uscito) redatto da D. NIELSEN, F. HOMMEL, N. RHODOKANAKIS,Kopenhagen, Paris, Leipzig, 1927.

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aveva conquistate.Ma la sorgente più ragguardevole d'informazione direttae genuina per la conoscenza della storia del Yemen è ilcomplesso delle iscrizioni sudarabiche, che, come ab-biamo già detto, sono state copiate, riprodotte o portatein Occidente da vari viaggiatori europei, fra cui princi-palmente l'Halévy e il Glaser. Il merito della decifrazio-ne di queste iscrizioni spetta a vari studiosi dopo le pri-me conquiste del Gesenius e del Rödiger; e alla decifra-zione si è accompagnato il lavoro di ricostruzione e disintesi per cui abbiamo ora su documenti di indiscussagenuinità elementi che, se non ci possono dare un qua-dro completo della civiltà yemenita, ne fissano alcunipunti in modo sicuro;110 essi vanno coordinati con i datidelle altre fonti ed insieme, specialmente per il periodopiù recente, con i dati della tradizione musulmana. Diquesta faremo cenno più speciale quando or ora indiche-remo i tratti della leggenda che la fantasia araba ha tes-suto sui regni del Yemen. Noi abbiamo certa conoscenzadi quattro regni del Yemen; e già ce li attesta un passoimportante di Eratostene, che ci informa sull'esistenza asuo tempo dei Meinaioi con capitale Karna, dei Sabaioi,con Mariaba, dei Katabaneis con Tamna, dei Chatramu-titai con Sabatan; e i dati delle iscrizioni confermano110 Non è possibile dare qui indicazioni bibliografiche complete su questa ma-

teria. V., oltre la precitata Chrestomathia del CONTI ROSSINI che ha un otti-mo glossario, F. HOMMEL, Südarabische Chrestomathie, München, 1803;Handbuch der altarabischen Altertumskunde, I. Band, Die altarabischeKultur (il solo uscito) redatto da D. NIELSEN, F. HOMMEL, N. RHODOKANAKIS,Kopenhagen, Paris, Leipzig, 1927.

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l'esattezza di queste denominazioni: Ma‘īn, Qarnā᾽u;Saba᾽, Maryab; Qatābān, Tamna‘; Ḥaḍramūt, Shabwat.È poi possibile, sui dati di fonti non yemenite, inquadra-re approssimativamente la cronologia delle liste di so-vrani che appaiono nelle iscrizioni, non senza s'intendeche restino gravi questioni da dirimere. Sargon II e Sen-nacherib menzionano due re (v. qui sopra); una iscrizio-ne minea allude certamente alla spedizione di Cambisecontro l'Egitto del 525 a. C.; il Periplo nomina due so-vrani contemporanei (Karibā᾽īl e Ilī‘azzu); infine dafonti cristiane, greche e siriache, risulta chiaramente chel'occupazione etiopica del Yemen in seguito alle perse-cuzioni contro i cristiani avvenne nel 525 d. C.111

Il punto sul quale si è più discusso è la cronologia delregno mineo, in relazione anche al sabeo. Secondo alcu-ni, specialmente il Glaser, il Weber e il Hommel,112 ilmineo sarebbe molto più antico e il sabeo lo avrebbevinto e sarebbe ad esso succeduto nell'VIII secolo. Esiccome le iscrizioni ci attestano i nomi di 29 re diMa‘īn, occorre calcolare a partire dal tempo della cadutaun periodo in cui possano collocarsi i 29 re e cioè circa750 anni. Il regno di Ma‘īn avrebbe così avuto inizio nel1500 se non addirittura nel 2000 a. C. Ma ora prevalel'opinione, fondata anche sui caratteri paleografici delleiscrizioni sabee che sembrano più arcaici dei minei, che

111 Ottima sintesi di questi avvenimenti in NALLINO, Raccolta, III, p. 18 e segg.112 Su tale cronologia è costruito lo schizzo storico del HOMMEL stesso nel

Handbuch indicato sopra, p. 64 nota 3 [Nota 72 di questa edizione elettro-nica Manuzio].

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l'esattezza di queste denominazioni: Ma‘īn, Qarnā᾽u;Saba᾽, Maryab; Qatābān, Tamna‘; Ḥaḍramūt, Shabwat.È poi possibile, sui dati di fonti non yemenite, inquadra-re approssimativamente la cronologia delle liste di so-vrani che appaiono nelle iscrizioni, non senza s'intendeche restino gravi questioni da dirimere. Sargon II e Sen-nacherib menzionano due re (v. qui sopra); una iscrizio-ne minea allude certamente alla spedizione di Cambisecontro l'Egitto del 525 a. C.; il Periplo nomina due so-vrani contemporanei (Karibā᾽īl e Ilī‘azzu); infine dafonti cristiane, greche e siriache, risulta chiaramente chel'occupazione etiopica del Yemen in seguito alle perse-cuzioni contro i cristiani avvenne nel 525 d. C.111

Il punto sul quale si è più discusso è la cronologia delregno mineo, in relazione anche al sabeo. Secondo alcu-ni, specialmente il Glaser, il Weber e il Hommel,112 ilmineo sarebbe molto più antico e il sabeo lo avrebbevinto e sarebbe ad esso succeduto nell'VIII secolo. Esiccome le iscrizioni ci attestano i nomi di 29 re diMa‘īn, occorre calcolare a partire dal tempo della cadutaun periodo in cui possano collocarsi i 29 re e cioè circa750 anni. Il regno di Ma‘īn avrebbe così avuto inizio nel1500 se non addirittura nel 2000 a. C. Ma ora prevalel'opinione, fondata anche sui caratteri paleografici delleiscrizioni sabee che sembrano più arcaici dei minei, che

111 Ottima sintesi di questi avvenimenti in NALLINO, Raccolta, III, p. 18 e segg.112 Su tale cronologia è costruito lo schizzo storico del HOMMEL stesso nel

Handbuch indicato sopra, p. 64 nota 3 [Nota 72 di questa edizione elettro-nica Manuzio].

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i due regni hanno fiorito contemporaneamente. Anzinon è inverosimile che il regno mineo si sia formato inautonomia nel secolo VIII dopo aver appartenuto al re-gno di Saba; infatti nei documenti biblici che possonoriferirsi al 1000 non si parla del regno mineo, ma solo diquello di Saba e di altri territori. Non è però possibilefissare l'inizio dei due Stati che appaiono tuttavia conso-lidati con le loro monarchie all'VIII secolo, in modo chepresuppone senza dubbio un periodo non determinabiledi precedente sviluppo.Il regno mineo, per la testimonianza di Eratostene, risul-ta sicuramente esistente ancora nel III secolo a. C. edebbe una notevole funzione nella storia antica del Vici-no Oriente. Popolo eminentemente commerciale, il mi-neo esercitò per secoli il trasporto terrestre delle merciorientali dall'Arabia meridionale (soprattutto l'incensodel paese e le spezie dell'India) e dai suoi scali versol'Egitto, la Palestina e il Mediterraneo. E sorsero nellastrada del Nord colonie minee, come quella ben nota dial-‘Ulā nel Ḥigiāz, l'antica Dēdān di cui si parla anchenella Bibbia, e dove si son trovate molte iscrizioni mi-nee che si riferiscono al periodo di regno di nove sovra-ni di Ma‘īn. Di questa attività commerciale ci dà docu-mento una iscrizione del primo quarto del VI secolo a.C.,113 mentre a Delo si è trovata una bilingue, dedica dialtare posto al dio Wadd e le altre divinità di Ma‘īn, delII secolo a. C., dopo dunque la fine del regno; e un'epi-

113 V. NALLINO, Raccolta, III, p. 51.

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i due regni hanno fiorito contemporaneamente. Anzinon è inverosimile che il regno mineo si sia formato inautonomia nel secolo VIII dopo aver appartenuto al re-gno di Saba; infatti nei documenti biblici che possonoriferirsi al 1000 non si parla del regno mineo, ma solo diquello di Saba e di altri territori. Non è però possibilefissare l'inizio dei due Stati che appaiono tuttavia conso-lidati con le loro monarchie all'VIII secolo, in modo chepresuppone senza dubbio un periodo non determinabiledi precedente sviluppo.Il regno mineo, per la testimonianza di Eratostene, risul-ta sicuramente esistente ancora nel III secolo a. C. edebbe una notevole funzione nella storia antica del Vici-no Oriente. Popolo eminentemente commerciale, il mi-neo esercitò per secoli il trasporto terrestre delle merciorientali dall'Arabia meridionale (soprattutto l'incensodel paese e le spezie dell'India) e dai suoi scali versol'Egitto, la Palestina e il Mediterraneo. E sorsero nellastrada del Nord colonie minee, come quella ben nota dial-‘Ulā nel Ḥigiāz, l'antica Dēdān di cui si parla anchenella Bibbia, e dove si son trovate molte iscrizioni mi-nee che si riferiscono al periodo di regno di nove sovra-ni di Ma‘īn. Di questa attività commerciale ci dà docu-mento una iscrizione del primo quarto del VI secolo a.C.,113 mentre a Delo si è trovata una bilingue, dedica dialtare posto al dio Wadd e le altre divinità di Ma‘īn, delII secolo a. C., dopo dunque la fine del regno; e un'epi-

113 V. NALLINO, Raccolta, III, p. 51.

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grafe di un mercante mineo d'incenso e mirra è stata tro-vata su un sarcofago in Egitto con la data del 183 a. C.Lo stato sabeo, della cui cronologia rispetto al mineoabbiamo già detto, ci appare dalle iscrizioni come divisoin più periodi, ai quali corrispondono diverse titolaturedel sovrano; il periodo più antico è quello dei Mukarribo Mukarrab, come sembra debba pronunciarsi la parola,che significa il sovrano sacerdote, residenti nella anticacapitale Ṣirwaḥ e dei quali abbiamo tredici o quattordicinomi. Essi si trasferirono poi a Maryab (la cristiana eodierna Ma᾽rib). Seguono i sovrani che prendono ilnome di re di Saba, forse dal 600 a. C., detti così per laregione più ampia da loro occupata che si estende a re-gioni confinanti e finanche in Abissinia. Secondo ilRhodokanakis il primo sarebbe stato Kariba᾽īl Watar II.Avviene sotto di essi, prima del 500 a. C., quella colo-nizzazione delle tribù yemenite, degli Ḥabashat, chediede origine in Eritrea e nel Tigré alla civiltà etiopica eal nome stesso di Abissinia. È sotto i re di Saba che lostato mineo rientra di nuovo nell'orbita del sabeo, forsenel 200 a. C. Segue il periodo dei re di Saba e Dhū-Rai-dān (cioè del territorio di Raidān); tale nome ha ancheun castello che si trova accanto alla città di Ẓafār nelYemen di Sud-Ovest, nella quale è stata portata la capi-tale del regno sembra per far fronte all'atteggiamentodella colonia sabea di Abissinia già avversa alla madrepatria. È stato supposto che l'èra locale in uso nelleiscrizioni sudarabiche, che i calcoli fissano al 115 a. C.,

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grafe di un mercante mineo d'incenso e mirra è stata tro-vata su un sarcofago in Egitto con la data del 183 a. C.Lo stato sabeo, della cui cronologia rispetto al mineoabbiamo già detto, ci appare dalle iscrizioni come divisoin più periodi, ai quali corrispondono diverse titolaturedel sovrano; il periodo più antico è quello dei Mukarribo Mukarrab, come sembra debba pronunciarsi la parola,che significa il sovrano sacerdote, residenti nella anticacapitale Ṣirwaḥ e dei quali abbiamo tredici o quattordicinomi. Essi si trasferirono poi a Maryab (la cristiana eodierna Ma᾽rib). Seguono i sovrani che prendono ilnome di re di Saba, forse dal 600 a. C., detti così per laregione più ampia da loro occupata che si estende a re-gioni confinanti e finanche in Abissinia. Secondo ilRhodokanakis il primo sarebbe stato Kariba᾽īl Watar II.Avviene sotto di essi, prima del 500 a. C., quella colo-nizzazione delle tribù yemenite, degli Ḥabashat, chediede origine in Eritrea e nel Tigré alla civiltà etiopica eal nome stesso di Abissinia. È sotto i re di Saba che lostato mineo rientra di nuovo nell'orbita del sabeo, forsenel 200 a. C. Segue il periodo dei re di Saba e Dhū-Rai-dān (cioè del territorio di Raidān); tale nome ha ancheun castello che si trova accanto alla città di Ẓafār nelYemen di Sud-Ovest, nella quale è stata portata la capi-tale del regno sembra per far fronte all'atteggiamentodella colonia sabea di Abissinia già avversa alla madrepatria. È stato supposto che l'èra locale in uso nelleiscrizioni sudarabiche, che i calcoli fissano al 115 a. C.,

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debba riferirsi a tale trasferimento della capitale. NelPeriplo del Mare Eritreo si fa menzione, come di con-temporaneo, di Kariba᾽īl, re di Ḥimyar e di Saba, e ri-sulta anche da altre fonti che egli come unico re avevala sua capitale a Ẓafār, menzionata qui sopra. E con luiundici sovrani che portano questa titolatura sono delladinastia degli Hamdān,114 ma si discute se essi debbanoessere collocati al principio della serie dei re di Saba eDhū-Raidān o alla fine. In ogni modo è certo che l'ulti-mo re di tale titolatura, Shamir Yuhar‘ish, che è anchericordato dalla tradizione araba musulmana come unodei più antichi Tubba‘, non è hamdānide; vi sono varieiscrizioni tra le quali una del 281 d. C. in cui appare latitolatura Saba, Dhū-Raidān.Ultima serie è quella che si chiama dei re di Saba, Dhū-Raidān, Ḥaḍramūt e Yamanat. Tale titolatura fu assuntaper primo dal predetto Shamir Yuhar‘ish, verso il 300 d.C.; e dimostra chiaramente come il regno del Yemen sifosse grandemente esteso; è probabile che appunto talepolitica espansionistica di questo sovrano abbia provo-cato già una prima invasione etiopica.115 Ed è assai inte-ressante notare che l'iscrizione funeraria in caratteri na-batei ma in lingua araba del re Mar᾽al-Qais ibn ‘Amr, dial-Ḥīrah, trovata a Nemarāh e datata dall'anno della

114 La dinastia hamdanide ha secondo il Rhodokanakis importanza speciale inrelazione al ridestarsi delle forze imperialistiche; v. l'indicato Handbuch, p.112.

115 Su tale questione v. anche M. HARTMANN, Die arabische Frage, p. 503 esegg. (Excursus 122: Die erste abessinische Invasion).

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debba riferirsi a tale trasferimento della capitale. NelPeriplo del Mare Eritreo si fa menzione, come di con-temporaneo, di Kariba᾽īl, re di Ḥimyar e di Saba, e ri-sulta anche da altre fonti che egli come unico re avevala sua capitale a Ẓafār, menzionata qui sopra. E con luiundici sovrani che portano questa titolatura sono delladinastia degli Hamdān,114 ma si discute se essi debbanoessere collocati al principio della serie dei re di Saba eDhū-Raidān o alla fine. In ogni modo è certo che l'ulti-mo re di tale titolatura, Shamir Yuhar‘ish, che è anchericordato dalla tradizione araba musulmana come unodei più antichi Tubba‘, non è hamdānide; vi sono varieiscrizioni tra le quali una del 281 d. C. in cui appare latitolatura Saba, Dhū-Raidān.Ultima serie è quella che si chiama dei re di Saba, Dhū-Raidān, Ḥaḍramūt e Yamanat. Tale titolatura fu assuntaper primo dal predetto Shamir Yuhar‘ish, verso il 300 d.C.; e dimostra chiaramente come il regno del Yemen sifosse grandemente esteso; è probabile che appunto talepolitica espansionistica di questo sovrano abbia provo-cato già una prima invasione etiopica.115 Ed è assai inte-ressante notare che l'iscrizione funeraria in caratteri na-batei ma in lingua araba del re Mar᾽al-Qais ibn ‘Amr, dial-Ḥīrah, trovata a Nemarāh e datata dall'anno della

114 La dinastia hamdanide ha secondo il Rhodokanakis importanza speciale inrelazione al ridestarsi delle forze imperialistiche; v. l'indicato Handbuch, p.112.

115 Su tale questione v. anche M. HARTMANN, Die arabische Frage, p. 503 esegg. (Excursus 122: Die erste abessinische Invasion).

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morte del re, 328 d. C., ricorda l'assedio da lui fatto aNagrān, la città di Shamir; ciò che conferma la reazionedestata dalla politica di questo re. Il primo interventoetiopico può essere stato provocato dalle sue aggressionicontro popolazioni yemenite amiche dell'Abissinia.Sembra confermare ciò il fatto che le iscrizioni sudara-biche dal 300 al 370 d. C. non fanno menzione di re,mentre ‘Ēzānā re di Aksum nelle iscrizioni etiopiche dicui abbiamo fatto già menzione ha il titolo di re degliAksumiti, dei Ḥimyariti, di Raidān, dei Sabei, del Sa-lḥēn, del Şiyāmo ecc. Ma già nel 378 un'iscrizione del reYemenita Malikyakrub Yuha᾽min riprende l'antica tito-latura; è anche importante notare che alla menzione del-le divinità pagane è sostituita nelle iscrizioni sue e deisuoi successori quella del «Dio Signore del Cielo» poidetto anche «Raḥmānān»; certa influenza di monotei-smo proveniente forse dall'Etiopia, come si vedrà piùtardi.Dalle fonti arabe appare che nell'ultimo periodo i re delYemen hanno i nomi di re di Ḥimyar; nell'ultimo perio-do del regno sabeo si nota un prevalere dell'elemento ḥi-myarita che poi porta alla sparizione del nome di Saba.È tuttavia da notare che per questo periodo ci mancanoiscrizioni originali e che gli elementi per la ricostruzionedella titolatura e della storia di esso dobbiamo desumer-la dalla tradizione araba musulmana, della quale faremoqui sotto ampio cenno e che può essere con profitto uti-lizzata per il periodo dopo la metà del secolo V; e insie-

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morte del re, 328 d. C., ricorda l'assedio da lui fatto aNagrān, la città di Shamir; ciò che conferma la reazionedestata dalla politica di questo re. Il primo interventoetiopico può essere stato provocato dalle sue aggressionicontro popolazioni yemenite amiche dell'Abissinia.Sembra confermare ciò il fatto che le iscrizioni sudara-biche dal 300 al 370 d. C. non fanno menzione di re,mentre ‘Ēzānā re di Aksum nelle iscrizioni etiopiche dicui abbiamo fatto già menzione ha il titolo di re degliAksumiti, dei Ḥimyariti, di Raidān, dei Sabei, del Sa-lḥēn, del Şiyāmo ecc. Ma già nel 378 un'iscrizione del reYemenita Malikyakrub Yuha᾽min riprende l'antica tito-latura; è anche importante notare che alla menzione del-le divinità pagane è sostituita nelle iscrizioni sue e deisuoi successori quella del «Dio Signore del Cielo» poidetto anche «Raḥmānān»; certa influenza di monotei-smo proveniente forse dall'Etiopia, come si vedrà piùtardi.Dalle fonti arabe appare che nell'ultimo periodo i re delYemen hanno i nomi di re di Ḥimyar; nell'ultimo perio-do del regno sabeo si nota un prevalere dell'elemento ḥi-myarita che poi porta alla sparizione del nome di Saba.È tuttavia da notare che per questo periodo ci mancanoiscrizioni originali e che gli elementi per la ricostruzionedella titolatura e della storia di esso dobbiamo desumer-la dalla tradizione araba musulmana, della quale faremoqui sotto ampio cenno e che può essere con profitto uti-lizzata per il periodo dopo la metà del secolo V; e insie-

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me dalla agiografia greca, siriaca, etiopica, concernentesoprattutto i martiri di Nagrān fatti uccidere da Dhū Nu-wās, e infine da una iscrizione ḥimyarita del 525. Que-gli, ultimo re, si convertì al Giudaismo già diffuso nelYemen e perseguitò i cristiani, siccome appare da docu-menti dei quali generalmente si afferma indubbial'autenticità come la lettera di Simeone di Bēth Arsham,il libro degli Ḥimyariti, gli Atti del martire Azqīr ecc.La politica di Dhū Nuwās, anticristiana, era in fondo di-retta contro l'Abissinia: Yemen e Persia nella costella-zione politica di allora erano unite contro Bisanzio eAksum cristiane. Fu allora che la Etiopia sotto il re EllaAṣbeḥa, con il consenso di Bisanzio che vide nella cir-costanza una buona occasione di estendere la sua in-fluenza sulla costa del Yemen così importante per ilcommercio orientale, conquistò il Yemen con il favoreanche di alcuni principi cristiani dell'Arabia del Sud.L'iscrizione ḥimyaritica del 525 già menzionata narra lasconfitta e la morte dell'ultimo re ḥimyarita.La dominazione etiopica sul Yemen durò del resto breveperiodo; a un primo governatore sudarabico cristianosuccedette il famoso abissino Abrahah, che costruì lechiese cristiane di Ma᾽rib e Ṣan‘ā᾽, nuova capitale, e re-staurò le dighe di Ma᾽rib; ma specialmente famoso nellamemoria dei musulmani per la sua spedizione in Arabia.Secondo la tradizione araba egli si sarebbe diretto con-tro la Mecca per distruggere la Ka‘bah, nell'attacco allaquale avrebbe portato un elefante che fu poi respinto per

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me dalla agiografia greca, siriaca, etiopica, concernentesoprattutto i martiri di Nagrān fatti uccidere da Dhū Nu-wās, e infine da una iscrizione ḥimyarita del 525. Que-gli, ultimo re, si convertì al Giudaismo già diffuso nelYemen e perseguitò i cristiani, siccome appare da docu-menti dei quali generalmente si afferma indubbial'autenticità come la lettera di Simeone di Bēth Arsham,il libro degli Ḥimyariti, gli Atti del martire Azqīr ecc.La politica di Dhū Nuwās, anticristiana, era in fondo di-retta contro l'Abissinia: Yemen e Persia nella costella-zione politica di allora erano unite contro Bisanzio eAksum cristiane. Fu allora che la Etiopia sotto il re EllaAṣbeḥa, con il consenso di Bisanzio che vide nella cir-costanza una buona occasione di estendere la sua in-fluenza sulla costa del Yemen così importante per ilcommercio orientale, conquistò il Yemen con il favoreanche di alcuni principi cristiani dell'Arabia del Sud.L'iscrizione ḥimyaritica del 525 già menzionata narra lasconfitta e la morte dell'ultimo re ḥimyarita.La dominazione etiopica sul Yemen durò del resto breveperiodo; a un primo governatore sudarabico cristianosuccedette il famoso abissino Abrahah, che costruì lechiese cristiane di Ma᾽rib e Ṣan‘ā᾽, nuova capitale, e re-staurò le dighe di Ma᾽rib; ma specialmente famoso nellamemoria dei musulmani per la sua spedizione in Arabia.Secondo la tradizione araba egli si sarebbe diretto con-tro la Mecca per distruggere la Ka‘bah, nell'attacco allaquale avrebbe portato un elefante che fu poi respinto per

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divino intervento, come si dice anche nella Sura 105 delCorano.Ma la spedizione non mirava alla Mecca, aveva pianopiù ambizioso: attaccar la Persia, nemica di Aksum,d'accordo con Giustiniano attraverso la Mesopotamia; eper difficoltà e ostilità degli Arabi fallì. Più tardi, nel575, furono invece i Persiani che attaccarono il Yemen elo conquistarono. Fu loro governatore per il primo pe-riodo il ḥimyarita Saif ibn Dhī Yazan, uno dei capi digrandi famiglie feudali, che era capo della resistenza alregime etiopico cristiano. La sorte del Yemen sotto iPersiani non fu felice e prevalse l'arbitrio dei grandi pro-prietari, e insieme andò in rovina il complesso delleopere della diga di Ma᾽rib, con gravi conseguenze perl'agricoltura danneggiata anche dalla penetrazione deibeduini nella zona coltivata. Non fa meraviglia se talicondizioni facilitarono la conquista islamica che avven-ne ben presto, nell'8 dell'ègira. Questo periodo come ve-dremo ha la maggiore importanza per le relazioni delYemen con le tribù.I regni di Qatābān e di Ḥaḍramūt, come anche quellodel paese di Ausān, ebbero prima della loro fusione nelgrande regno sabeo la loro storia di cui abbiamo traccenelle iscrizioni (anche nella tradizione araba), le quali,specialmente quelle del Qatābān, hanno importanza perla conoscenza della vita civile e religiosa del Yemen an-tico. In questa sede naturalmente non importa dare indi-cazioni di dati particolari; come del resto abbiamo evita-

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divino intervento, come si dice anche nella Sura 105 delCorano.Ma la spedizione non mirava alla Mecca, aveva pianopiù ambizioso: attaccar la Persia, nemica di Aksum,d'accordo con Giustiniano attraverso la Mesopotamia; eper difficoltà e ostilità degli Arabi fallì. Più tardi, nel575, furono invece i Persiani che attaccarono il Yemen elo conquistarono. Fu loro governatore per il primo pe-riodo il ḥimyarita Saif ibn Dhī Yazan, uno dei capi digrandi famiglie feudali, che era capo della resistenza alregime etiopico cristiano. La sorte del Yemen sotto iPersiani non fu felice e prevalse l'arbitrio dei grandi pro-prietari, e insieme andò in rovina il complesso delleopere della diga di Ma᾽rib, con gravi conseguenze perl'agricoltura danneggiata anche dalla penetrazione deibeduini nella zona coltivata. Non fa meraviglia se talicondizioni facilitarono la conquista islamica che avven-ne ben presto, nell'8 dell'ègira. Questo periodo come ve-dremo ha la maggiore importanza per le relazioni delYemen con le tribù.I regni di Qatābān e di Ḥaḍramūt, come anche quellodel paese di Ausān, ebbero prima della loro fusione nelgrande regno sabeo la loro storia di cui abbiamo traccenelle iscrizioni (anche nella tradizione araba), le quali,specialmente quelle del Qatābān, hanno importanza perla conoscenza della vita civile e religiosa del Yemen an-tico. In questa sede naturalmente non importa dare indi-cazioni di dati particolari; come del resto abbiamo evita-

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to anche per i maggiori regni di dare i nomi dei re, lasupposta durata della loro dominazione, materia che nonmanca di difficoltà e di oscurità.Ma è invece essenziale dare un cenno della costituzionesociale e politica e della religione del Yemen e metterebene in luce la funzione di esso nel sistema commercia-le antico, e nello stesso tempo rilevare le relazioni deglistati con le tribù beduine le quali poste (lo abbiamo no-tato già sopra) sotto il potente influsso yemenita sonostate insieme in contatto con le tribù arabe del Nord;pertanto tali relazioni hanno per noi singolare interesseper più d'una questione, come sarà a suo tempo indicato.Dovremo in base a tutti questi elementi giudicare se visia e quale sia l'azione di questa grande civiltà nello svi-luppo della vita araba, che sbocca nell'Islam, e quindinell'Islam stesso, oggetto speciale della nostra conside-razione.116

L'antica società yemenita ci appare con sufficiente con-cordia organizzata in varie classi: anzitutto le caste no-bili indicate per lo più con la voce Dhū (signore di.... o116 Anche per questa parte è sicura guida il NALLINO, nei suoi due riassunti di

storia yemenita in Raccolta, III, p. 9 e segg. e 48 e segg. (quest'ultimoscritto è l'articolo Yemen dell'Enciclopedia Italiana); brevi ma succosi eprofondamente meditati, ai quali si deve molto di quanto qui appresso. Laparte istituzionale è trattata con grande sicurezza da N. RHODOKANAKIS, cheè il maggiore competente in materia, in Handbuch, pp. 109-142, mentre ilNIELSEN stesso vi ha trattato (pp. 177-250) la parte religiosa (trattazionepiuttosto fantastica) e A. GROHMANN l'archeologica (pp. 143-176). Per ilcommercio arabo in genere v. oltre alle note opere di storia del commercionelle varie enciclopedie e dizionari storici la suggestiva opera di M.ROSTOVTZEFF, Città carovaniere (trad. ital., Bari, Laterza, 1934).

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to anche per i maggiori regni di dare i nomi dei re, lasupposta durata della loro dominazione, materia che nonmanca di difficoltà e di oscurità.Ma è invece essenziale dare un cenno della costituzionesociale e politica e della religione del Yemen e metterebene in luce la funzione di esso nel sistema commercia-le antico, e nello stesso tempo rilevare le relazioni deglistati con le tribù beduine le quali poste (lo abbiamo no-tato già sopra) sotto il potente influsso yemenita sonostate insieme in contatto con le tribù arabe del Nord;pertanto tali relazioni hanno per noi singolare interesseper più d'una questione, come sarà a suo tempo indicato.Dovremo in base a tutti questi elementi giudicare se visia e quale sia l'azione di questa grande civiltà nello svi-luppo della vita araba, che sbocca nell'Islam, e quindinell'Islam stesso, oggetto speciale della nostra conside-razione.116

L'antica società yemenita ci appare con sufficiente con-cordia organizzata in varie classi: anzitutto le caste no-bili indicate per lo più con la voce Dhū (signore di.... o116 Anche per questa parte è sicura guida il NALLINO, nei suoi due riassunti di

storia yemenita in Raccolta, III, p. 9 e segg. e 48 e segg. (quest'ultimoscritto è l'articolo Yemen dell'Enciclopedia Italiana); brevi ma succosi eprofondamente meditati, ai quali si deve molto di quanto qui appresso. Laparte istituzionale è trattata con grande sicurezza da N. RHODOKANAKIS, cheè il maggiore competente in materia, in Handbuch, pp. 109-142, mentre ilNIELSEN stesso vi ha trattato (pp. 177-250) la parte religiosa (trattazionepiuttosto fantastica) e A. GROHMANN l'archeologica (pp. 143-176). Per ilcommercio arabo in genere v. oltre alle note opere di storia del commercionelle varie enciclopedie e dizionari storici la suggestiva opera di M.ROSTOVTZEFF, Città carovaniere (trad. ital., Bari, Laterza, 1934).

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quello di...) premessa a un nome di luogo o di un ante-nato; che avevano i loro vassalli e clienti. Gravi le fun-zioni di questi capi di famiglia che si potrebbero diregrandi feudatari, per lo più alloggiati nei loro castelli.La stessa tradizione araba conserva memoriadell'influenza di queste famiglie, delle loro relazioni coni re. Il grosso della popolazione era diviso in stirpi per lequali il criterio era il territoriale e non il gentilizio; e bendistinte dalle vere e proprie tribù dei beduini soggetti alYemen che avevano come i loro compagni del Nord ilpuro ordinamento tribalizio. La famiglia dalla quale sor-gevano queste unità era solidamente costruita, e sembracon ordinamento monogamico; la fama di antica polian-dria, di cui troviamo eco specialmente in Strabone, eche moderni etnografi hanno creduto del tipo chiamatotibetano, non sembra abbia fondamento storico e sia do-vuta piuttosto a malevole invenzioni di informatori,mentre alcuni testi che parrebbero confermare tale dot-trina vanno differentemente interpretati. L'organizzazio-ne statale è monarchica, in origine teocratica (come lodice forse il più antico titolo del sovrano, Mukarrib, giàcitato); ma quello che ha speciale interesse è che da pa-recchi testi appare concordemente che il re ed anche conlui i kabīr, cioè capi regionali, sono assistiti nel potereda un consiglio che alcuni, come il Nallino, chiamanosenz'altro il miswad, mentre per Rhodokanakis117 la pa-rola indica entro una data stirpe una parte privilegiata al

117 Handbuch, p. 122 segg.

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quello di...) premessa a un nome di luogo o di un ante-nato; che avevano i loro vassalli e clienti. Gravi le fun-zioni di questi capi di famiglia che si potrebbero diregrandi feudatari, per lo più alloggiati nei loro castelli.La stessa tradizione araba conserva memoriadell'influenza di queste famiglie, delle loro relazioni coni re. Il grosso della popolazione era diviso in stirpi per lequali il criterio era il territoriale e non il gentilizio; e bendistinte dalle vere e proprie tribù dei beduini soggetti alYemen che avevano come i loro compagni del Nord ilpuro ordinamento tribalizio. La famiglia dalla quale sor-gevano queste unità era solidamente costruita, e sembracon ordinamento monogamico; la fama di antica polian-dria, di cui troviamo eco specialmente in Strabone, eche moderni etnografi hanno creduto del tipo chiamatotibetano, non sembra abbia fondamento storico e sia do-vuta piuttosto a malevole invenzioni di informatori,mentre alcuni testi che parrebbero confermare tale dot-trina vanno differentemente interpretati. L'organizzazio-ne statale è monarchica, in origine teocratica (come lodice forse il più antico titolo del sovrano, Mukarrib, giàcitato); ma quello che ha speciale interesse è che da pa-recchi testi appare concordemente che il re ed anche conlui i kabīr, cioè capi regionali, sono assistiti nel potereda un consiglio che alcuni, come il Nallino, chiamanosenz'altro il miswad, mentre per Rhodokanakis117 la pa-rola indica entro una data stirpe una parte privilegiata al

117 Handbuch, p. 122 segg.

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disopra di altre categorie in cui essa si divideva e checostituiva il consiglio. Dalla tradizione islamica appareche in periodo tardo il re è a capo di otto qail (signorifeudali). Resta ad ogni modo accertata questa funzionedi assistenza e controllo del potere regio; la totale diffe-renza della organizzazione del potere nelle tribù nonrende facile un qualsiasi parallelo tra tale funzione delmiswad e quella dei seniores della tribù, come anchesarà difficile scorgere nella organizzazione delle monar-chie arabe, nabatea, di al-Ḥīrah o di Ghassān qualchecosa che richiami all'antico Yemen piuttosto che al mon-do ellenistico ed orientale che circondava quei popoli.Speciale importanza per il nostro assunto hanno le tribùdegli ‘arab predette (dei loro ordinamenti si parlerà ap-presso essendo essi identici a quelli delle tribù beduinedell'Arabia settentrionale), di cui in testi antichi apparenetta la distinzione dai sedentari del Yemen; esse checertamente non assunsero la lingua che appare oggi nel-le iscrizioni ḥimyarite ed è propria di quei sedentari, maconservarono un idioma affine a quello delle tribù delNord, seppure screziato di particolarità meridionali,118

118 Così nelle iscrizioni della diga di Ma᾽rib, Glaser 554 e 518 (cfr. E. GLASER,Zwei Inschriften über den Dammbruch von Mārib, «Mitteilungen der Vor-derasiatischen Gesellschaft», 1897, 6, pp. 7 e 31 e segg.); v. C. LANDBERG,Arabica, n. V, Leiden, 1898, pp. 115 e segg. e dello stesso La langue ara-be et ses dialectes, Leiden, 1905 (Comunicazione al XIV Congresso degliOrientalisti ad Algeri). Il Landberg ha, secondo noi, giustamente insistitosempre sull'uso dell'arabo nel Yemen accanto al dialetto ḥimyarita e diceanche che è probabile che i Tubba‘ e gli Ḥimyariti stessi parlassero anchel'Arabo. Su tale questione si avrà occasione di tornare in relazioneall'autenticità delle antiche poesie arabe negata, per le tribù di origine ye-

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disopra di altre categorie in cui essa si divideva e checostituiva il consiglio. Dalla tradizione islamica appareche in periodo tardo il re è a capo di otto qail (signorifeudali). Resta ad ogni modo accertata questa funzionedi assistenza e controllo del potere regio; la totale diffe-renza della organizzazione del potere nelle tribù nonrende facile un qualsiasi parallelo tra tale funzione delmiswad e quella dei seniores della tribù, come anchesarà difficile scorgere nella organizzazione delle monar-chie arabe, nabatea, di al-Ḥīrah o di Ghassān qualchecosa che richiami all'antico Yemen piuttosto che al mon-do ellenistico ed orientale che circondava quei popoli.Speciale importanza per il nostro assunto hanno le tribùdegli ‘arab predette (dei loro ordinamenti si parlerà ap-presso essendo essi identici a quelli delle tribù beduinedell'Arabia settentrionale), di cui in testi antichi apparenetta la distinzione dai sedentari del Yemen; esse checertamente non assunsero la lingua che appare oggi nel-le iscrizioni ḥimyarite ed è propria di quei sedentari, maconservarono un idioma affine a quello delle tribù delNord, seppure screziato di particolarità meridionali,118

118 Così nelle iscrizioni della diga di Ma᾽rib, Glaser 554 e 518 (cfr. E. GLASER,Zwei Inschriften über den Dammbruch von Mārib, «Mitteilungen der Vor-derasiatischen Gesellschaft», 1897, 6, pp. 7 e 31 e segg.); v. C. LANDBERG,Arabica, n. V, Leiden, 1898, pp. 115 e segg. e dello stesso La langue ara-be et ses dialectes, Leiden, 1905 (Comunicazione al XIV Congresso degliOrientalisti ad Algeri). Il Landberg ha, secondo noi, giustamente insistitosempre sull'uso dell'arabo nel Yemen accanto al dialetto ḥimyarita e diceanche che è probabile che i Tubba‘ e gli Ḥimyariti stessi parlassero anchel'Arabo. Su tale questione si avrà occasione di tornare in relazioneall'autenticità delle antiche poesie arabe negata, per le tribù di origine ye-

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hanno costituito uno strumento di diffusionedell'influenza yemenita verso Nord; e al tentativo ripetu-to del Yemen di soggiogare i beduini che generalmentela tradizione chiama figli di Ma‘add, cioè di ‘Adnān (v.qui sopra p. 80), questi hanno risposto con tenace resi-stenza, alle vicende della quale a me pare debba in ulti-ma analisi riportarsi la famosa rivalità che divise e divi-de ancora oggi le tribù che la genealogia riporta aQaḥṭān o ad ‘Adnān; e che, come vedremo meglio quan-do ne faremo più speciale proposito, è stata attribuitadall'ipercritica moderna a ragioni che non sembrano suf-ficienti a spiegare il complesso dei fatti.La religione degli antichi Yemeniti ha indubbiamentemolti tratti comuni a quelli delle altre religioni semiti-che, e pare specialmente collegata con l'assira; né è quiluogo di toccare la questione così controversa delle ori-gini di esse, tanto diversamente trattata a partire dal Re-nan fino alle ultime dottrine del Nielsen.119 Son suffi-

menita, da Ṭāhā Ḥusein con il fallace argomento che tali tribù, come quel-la di Kindah per esempio, dovevano parlare un dialetto ḥimyarita, perchésudarabiche. Non solo, come è facilmente dimostrabile, quegli Arabi vi-venti del resto fuori del vero e proprio Yemen parlavano un dialetto affinea quello del Nord, seppure screziato di varietà sudarabiche, ma è probabi-le, secondo dice il Landberg, che la loro lingua fosse anche diffusa nelvero e proprio Yemen. Anche nella storia politica del paese noi vedremoqui appresso l'inserirsi di elementi beduini; e non siamo affatto disposti,come fa una critica troppo radicale, a vedere in ciò il frutto di falsificazionida parte di dinastie (come quella di al-Ḥīrah, per esempio) dirette ad ag-giunger prestigio con la connessione con la storia del Yemen. Di ciò ap-presso.

119 Dopo i classici manuali di W. ROBERTSON SMITH, Lectures on the Religion ofthe Semites, First Series, The fundamental institutions, 3a ed., Cambridge,

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hanno costituito uno strumento di diffusionedell'influenza yemenita verso Nord; e al tentativo ripetu-to del Yemen di soggiogare i beduini che generalmentela tradizione chiama figli di Ma‘add, cioè di ‘Adnān (v.qui sopra p. 80), questi hanno risposto con tenace resi-stenza, alle vicende della quale a me pare debba in ulti-ma analisi riportarsi la famosa rivalità che divise e divi-de ancora oggi le tribù che la genealogia riporta aQaḥṭān o ad ‘Adnān; e che, come vedremo meglio quan-do ne faremo più speciale proposito, è stata attribuitadall'ipercritica moderna a ragioni che non sembrano suf-ficienti a spiegare il complesso dei fatti.La religione degli antichi Yemeniti ha indubbiamentemolti tratti comuni a quelli delle altre religioni semiti-che, e pare specialmente collegata con l'assira; né è quiluogo di toccare la questione così controversa delle ori-gini di esse, tanto diversamente trattata a partire dal Re-nan fino alle ultime dottrine del Nielsen.119 Son suffi-

menita, da Ṭāhā Ḥusein con il fallace argomento che tali tribù, come quel-la di Kindah per esempio, dovevano parlare un dialetto ḥimyarita, perchésudarabiche. Non solo, come è facilmente dimostrabile, quegli Arabi vi-venti del resto fuori del vero e proprio Yemen parlavano un dialetto affinea quello del Nord, seppure screziato di varietà sudarabiche, ma è probabi-le, secondo dice il Landberg, che la loro lingua fosse anche diffusa nelvero e proprio Yemen. Anche nella storia politica del paese noi vedremoqui appresso l'inserirsi di elementi beduini; e non siamo affatto disposti,come fa una critica troppo radicale, a vedere in ciò il frutto di falsificazionida parte di dinastie (come quella di al-Ḥīrah, per esempio) dirette ad ag-giunger prestigio con la connessione con la storia del Yemen. Di ciò ap-presso.

119 Dopo i classici manuali di W. ROBERTSON SMITH, Lectures on the Religion ofthe Semites, First Series, The fundamental institutions, 3a ed., Cambridge,

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cienti per il nostro scopo alcune considerazioni; anzitut-to l'impronta religiosa che domina su tutta la vita degliantichi Yemeniti, e la stretta relazione del culto con lavita dello Stato, di cui i templi sono il centro, con la vitareligiosa. Perfino la coltivazione e il commercio degliaromi si svolgono in atmosfera religiosa, e con normesacre, ciò che ha fatto impressione alla tradizione classi-ca, che ce ne dà minuta notizia. Come nelle altre religio-ni semitiche le divinità sono di varia origine, astrali sen-za dubbio alcune, come Ilmuqaḥ, ‘Athtar, che al contra-rio della diffusissima Astarte è maschile, secondo alcuniVenere, secondo altri il Cielo; e così si dica della Luna edel Sole, Shams (femminile); altre divinità nascono daconcetti astratti come Wadd, noto anche agli Arabi delNord (e specialmente tra i Kalb che sono, si noti, di ori-gine meridionale), e cioè l'amore ecc.; altre divinitàsono concepite, come avviene anche presso altri popoli

1927 (la prima è del 1889), e del P. M. J. LAGRANGE, Études sur les reli-gions sémitiques, 2a ed., Paris, 1905, che affrontano dopo il Renan il pro-blema nel suo complesso e partono da differenti punti di vista, lo studiodelle religioni semitiche e specialmente delle singole manifestazioni diesse hanno fatto tanto progresso (come si vede per esempio qui per la partearabica) che sarebbe impossibile dare qui un esauriente cenno bibliografi-co. Si veda l'art. Semiti dell'Enciclopedia Italiana e questo e altri concer-nenti i singoli popoli semitici negli altri grandi repertori. Della religionepreislamica degli Arabi fuori del Yemen si dice appresso. [Una esaurienteed equilibrata trattazione della religione degli Arabi così del Yemen comedel resto della penisola è data da G. RYCKMANS, Les religions arabes préi-slamiques, in M. GORE et R. MORTIER, Histoire générale des religions, Pa-ris, 1947, III, pp. 307-332 e 526-534. Utilissimo anche l'elenco delle divi-nità menzionate nelle iscrizioni sudarabiche compilato da A. JAMME, in «LeMuséon», LX, 1947, pp. 57-147. (Nota dell'editore)].

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cienti per il nostro scopo alcune considerazioni; anzitut-to l'impronta religiosa che domina su tutta la vita degliantichi Yemeniti, e la stretta relazione del culto con lavita dello Stato, di cui i templi sono il centro, con la vitareligiosa. Perfino la coltivazione e il commercio degliaromi si svolgono in atmosfera religiosa, e con normesacre, ciò che ha fatto impressione alla tradizione classi-ca, che ce ne dà minuta notizia. Come nelle altre religio-ni semitiche le divinità sono di varia origine, astrali sen-za dubbio alcune, come Ilmuqaḥ, ‘Athtar, che al contra-rio della diffusissima Astarte è maschile, secondo alcuniVenere, secondo altri il Cielo; e così si dica della Luna edel Sole, Shams (femminile); altre divinità nascono daconcetti astratti come Wadd, noto anche agli Arabi delNord (e specialmente tra i Kalb che sono, si noti, di ori-gine meridionale), e cioè l'amore ecc.; altre divinitàsono concepite, come avviene anche presso altri popoli

1927 (la prima è del 1889), e del P. M. J. LAGRANGE, Études sur les reli-gions sémitiques, 2a ed., Paris, 1905, che affrontano dopo il Renan il pro-blema nel suo complesso e partono da differenti punti di vista, lo studiodelle religioni semitiche e specialmente delle singole manifestazioni diesse hanno fatto tanto progresso (come si vede per esempio qui per la partearabica) che sarebbe impossibile dare qui un esauriente cenno bibliografi-co. Si veda l'art. Semiti dell'Enciclopedia Italiana e questo e altri concer-nenti i singoli popoli semitici negli altri grandi repertori. Della religionepreislamica degli Arabi fuori del Yemen si dice appresso. [Una esaurienteed equilibrata trattazione della religione degli Arabi così del Yemen comedel resto della penisola è data da G. RYCKMANS, Les religions arabes préi-slamiques, in M. GORE et R. MORTIER, Histoire générale des religions, Pa-ris, 1947, III, pp. 307-332 e 526-534. Utilissimo anche l'elenco delle divi-nità menzionate nelle iscrizioni sudarabiche compilato da A. JAMME, in «LeMuséon», LX, 1947, pp. 57-147. (Nota dell'editore)].

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semitici e presso gli Arabi, come protettori e signori delluogo. E del resto della maggior parte delle divinità siignora del tutto l'origine. Le iscrizioni e i resti archeolo-gici ci dànno sicura notizia di culti e di sacrifici nei qua-li aveva molta parte naturalmente l'uso dell'incenso edella mirra; alle divinità erano offerti ex-voto, spessostatuette di uomini o di animali. Ai santuari di cui abbia-mo qualche resto si andava in pellegrinaggio e si face-van donazioni anche di schiavi, mentre vi è sicura trac-cia di prostituzione sacra. Dalla suppellettile delle tom-be si può dedurre una fede nella vita futura di cui nonconosciamo la natura; da alcune celebri iscrizioni appa-re il costume di una pubblica confessione.La questione per noi più interessante in questa sede è,come per ogni altro campo della vita yemenita, di scor-gere le relazioni che la vita religiosa ha con quella delpaganesimo nordarabico entro il quale è sorta la riformadi Maometto. È certo che non poche affinità legano idue fenomeni, come è naturale che sia per la parentelache unisce tutti i popoli semitici e per lo stretto contattoche i Yemeniti hanno avuto, come già si è potuto vedere,con gli Arabi settentrionali. Ed è anche facile vedere lacorrispondenza di alcuni nomi, come Shams e al-‘Uzzā,Allāt, Wadd, per citarne alcuni a caso, che trovano i loroparalleli nel Yemen. Ma il genere di vita beduino, lastessa natura del paese, così differente da quella del Ye-men, e il contatto che gli Arabi settentrionali hanno avu-to con le religioni soprattutto di Siria e Mesopotamia,

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semitici e presso gli Arabi, come protettori e signori delluogo. E del resto della maggior parte delle divinità siignora del tutto l'origine. Le iscrizioni e i resti archeolo-gici ci dànno sicura notizia di culti e di sacrifici nei qua-li aveva molta parte naturalmente l'uso dell'incenso edella mirra; alle divinità erano offerti ex-voto, spessostatuette di uomini o di animali. Ai santuari di cui abbia-mo qualche resto si andava in pellegrinaggio e si face-van donazioni anche di schiavi, mentre vi è sicura trac-cia di prostituzione sacra. Dalla suppellettile delle tom-be si può dedurre una fede nella vita futura di cui nonconosciamo la natura; da alcune celebri iscrizioni appa-re il costume di una pubblica confessione.La questione per noi più interessante in questa sede è,come per ogni altro campo della vita yemenita, di scor-gere le relazioni che la vita religiosa ha con quella delpaganesimo nordarabico entro il quale è sorta la riformadi Maometto. È certo che non poche affinità legano idue fenomeni, come è naturale che sia per la parentelache unisce tutti i popoli semitici e per lo stretto contattoche i Yemeniti hanno avuto, come già si è potuto vedere,con gli Arabi settentrionali. Ed è anche facile vedere lacorrispondenza di alcuni nomi, come Shams e al-‘Uzzā,Allāt, Wadd, per citarne alcuni a caso, che trovano i loroparalleli nel Yemen. Ma il genere di vita beduino, lastessa natura del paese, così differente da quella del Ye-men, e il contatto che gli Arabi settentrionali hanno avu-to con le religioni soprattutto di Siria e Mesopotamia,

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mentre il Yemen ne ha anche con Babilonia, cambianoprofondamente il quadro; né presso i beduini e né pressoi santuari dei centri sembrano riscontrarsi quei caratteridel culto che distinguono la religione yemenita quale ciappare dalle iscrizioni. Onde sembra giusto concludereche la religione yemenita non è il fattore principale chedetermina il divenire di quella del Nord e che la somi-glianza di alcune persone divine, a cominciare da quelladi Īl-Allāh, non si presta ad esagerate conclusioni circal'influsso yemenita.Differentemente alcuni autori hanno voluto attribuire alfattore sudarabico un'importanza assai maggiore; e le in-negabili affinità che si trovano nel culto (è nota la eti-mologia che alcuni vogliono dare di Macoraba, anticonome di Mecca, come derivata da una parola yemenitamikrāb nel senso di santuario), la diffusione di coloniesoprattutto minee nel Ḥigiāz, considerano come manife-stazione di questo carattere sudarabico della religionedel Nord. Un'altra dottrina recentemente svolta dal Niel-sen120 vuole invece scorgere nell'antichissimo dio lunaredei beduini l'origine del concetto monoteistico di Dioquale si è sviluppato nelle grandi religioni mondiali, maessa ha trovato poco favore. E riflettendo sulla naturacosì particolare del culto litico proprio della religionedei beduini e dei centri d'Arabia, e sulle caratteristichedel pellegrinaggio e delle altre cerimonie e su vari altri

120 Der dreieinige Gott in religionshistorischer Beleuchtung (2 voll.), Copen-hagen, 1922 e 1943.

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mentre il Yemen ne ha anche con Babilonia, cambianoprofondamente il quadro; né presso i beduini e né pressoi santuari dei centri sembrano riscontrarsi quei caratteridel culto che distinguono la religione yemenita quale ciappare dalle iscrizioni. Onde sembra giusto concludereche la religione yemenita non è il fattore principale chedetermina il divenire di quella del Nord e che la somi-glianza di alcune persone divine, a cominciare da quelladi Īl-Allāh, non si presta ad esagerate conclusioni circal'influsso yemenita.Differentemente alcuni autori hanno voluto attribuire alfattore sudarabico un'importanza assai maggiore; e le in-negabili affinità che si trovano nel culto (è nota la eti-mologia che alcuni vogliono dare di Macoraba, anticonome di Mecca, come derivata da una parola yemenitamikrāb nel senso di santuario), la diffusione di coloniesoprattutto minee nel Ḥigiāz, considerano come manife-stazione di questo carattere sudarabico della religionedel Nord. Un'altra dottrina recentemente svolta dal Niel-sen120 vuole invece scorgere nell'antichissimo dio lunaredei beduini l'origine del concetto monoteistico di Dioquale si è sviluppato nelle grandi religioni mondiali, maessa ha trovato poco favore. E riflettendo sulla naturacosì particolare del culto litico proprio della religionedei beduini e dei centri d'Arabia, e sulle caratteristichedel pellegrinaggio e delle altre cerimonie e su vari altri

120 Der dreieinige Gott in religionshistorischer Beleuchtung (2 voll.), Copen-hagen, 1922 e 1943.

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caratteri, sembra sempre più che si debba concludereper una netta e forte individualità di quel complesso; in-dividualità che corrisponde ad altrettanta in diversi cam-pi dello spirito e che vieta di affermare una stretta di-pendenza dalla religione del Yemen, non certo una seriedi corrispondenze e analogie, che sarebbe assurdo nonesistessero, come abbiamo già detto, data la comune ori-gine semitica, e dati soprattutto i molteplici legami chehanno sempre congiunti i sedentari del Yemen, portatoridella loro ben individuata cultura, e i loro fratelli bedui-ni o abitanti dei centri del Nord, che sì diversa storiahanno creato con il loro spirito.Già dicemmo della probabile indipendenza delle istitu-zioni politiche degli stati arabi anteriori a Maometto (adeccezione s'intende delle vere e proprie colonie sudara-biche) dal sistema yemenita; e la profonda differenzache divide l'organizzazione sociale ad esso propria instirpi e popoli da quella dei veri e propri beduini, rigida-mente tribalizia, tenacemente mantenuta non solo nellavita sedentaria, a cui alcune tribù sono passate nei varicentri, ma anche dopo l'Islam, il cui pensiero centrale ènella sua natura universale così opposto al particolari-smo delle tribù; tanto che, come avremo cura di rilevarea suo tempo, tale contrasto ha costituito un carattere bennetto specialmente del periodo del califfato ortodosso edi quello ommiade. Di altri campi della vita del Yemennon siamo bene informati; si può dire che il fenomenoletterario sfugge a noi completamente non essendocene

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caratteri, sembra sempre più che si debba concludereper una netta e forte individualità di quel complesso; in-dividualità che corrisponde ad altrettanta in diversi cam-pi dello spirito e che vieta di affermare una stretta di-pendenza dalla religione del Yemen, non certo una seriedi corrispondenze e analogie, che sarebbe assurdo nonesistessero, come abbiamo già detto, data la comune ori-gine semitica, e dati soprattutto i molteplici legami chehanno sempre congiunti i sedentari del Yemen, portatoridella loro ben individuata cultura, e i loro fratelli bedui-ni o abitanti dei centri del Nord, che sì diversa storiahanno creato con il loro spirito.Già dicemmo della probabile indipendenza delle istitu-zioni politiche degli stati arabi anteriori a Maometto (adeccezione s'intende delle vere e proprie colonie sudara-biche) dal sistema yemenita; e la profonda differenzache divide l'organizzazione sociale ad esso propria instirpi e popoli da quella dei veri e propri beduini, rigida-mente tribalizia, tenacemente mantenuta non solo nellavita sedentaria, a cui alcune tribù sono passate nei varicentri, ma anche dopo l'Islam, il cui pensiero centrale ènella sua natura universale così opposto al particolari-smo delle tribù; tanto che, come avremo cura di rilevarea suo tempo, tale contrasto ha costituito un carattere bennetto specialmente del periodo del califfato ortodosso edi quello ommiade. Di altri campi della vita del Yemennon siamo bene informati; si può dire che il fenomenoletterario sfugge a noi completamente non essendocene

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rimasta traccia.121 Ma è facile supporre che le più tipichemanifestazioni degli Arabi settentrionali, la qaṣīdah, lanarrazione epica delle gesta, la sapienza popolare haproceduto per le sue vie e qualche apporto ha, se mai, ri-cevuto dalle culture circostanti, e dalle religioni mono-teistiche la cui eco giungeva fino in Arabia. In ognimodo è escluso anche per questo campo un prevalenteinflusso yemenita.Se ci volgiamo all'arte occorre osservare anzitutto che lostato degli studi non permette conclusioni definitive, chesi attendono specialmente dagli studi del Monneret deVillard; ma anche qui, sebbene evidentemente non possanegarsi, soprattutto per l'espansione yemenita, una diffu-sione di forme architettoniche (basti guardare all'aspettoesteriore di alcuni edifici anche recenti nello stesso Ḥi-giāz per scorgervi evidenti richiami alle forme yemeni-te) è prudente attendere il risultato delle ricerche deicompetenti, ai quali, io non appartengo.Eppure, nonostante questa relativa indipendenza di taleaspetto della vita del paese in cui si è preparato e svoltol'Islam da forme concrete maturate nel Yemen, a questoè toccata una parte notevolissima nella preparazione delclima storico in cui quel processo si è avverato. È da no-

121 Una discussione interessante sull'esistenza almeno di un'antica letteraturayemenita si trova in HARTMANN, Die arabesche Frage, pp. 425-427. A p.475 si afferma che, per quanto poco sappiamo di questo argomento, si puòtener certo che un popolo come il yemenita avesse le sue cronache e insie-me una tradizione orale di natura leggendaria alla quale ha attinto la sagayemenica.

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rimasta traccia.121 Ma è facile supporre che le più tipichemanifestazioni degli Arabi settentrionali, la qaṣīdah, lanarrazione epica delle gesta, la sapienza popolare haproceduto per le sue vie e qualche apporto ha, se mai, ri-cevuto dalle culture circostanti, e dalle religioni mono-teistiche la cui eco giungeva fino in Arabia. In ognimodo è escluso anche per questo campo un prevalenteinflusso yemenita.Se ci volgiamo all'arte occorre osservare anzitutto che lostato degli studi non permette conclusioni definitive, chesi attendono specialmente dagli studi del Monneret deVillard; ma anche qui, sebbene evidentemente non possanegarsi, soprattutto per l'espansione yemenita, una diffu-sione di forme architettoniche (basti guardare all'aspettoesteriore di alcuni edifici anche recenti nello stesso Ḥi-giāz per scorgervi evidenti richiami alle forme yemeni-te) è prudente attendere il risultato delle ricerche deicompetenti, ai quali, io non appartengo.Eppure, nonostante questa relativa indipendenza di taleaspetto della vita del paese in cui si è preparato e svoltol'Islam da forme concrete maturate nel Yemen, a questoè toccata una parte notevolissima nella preparazione delclima storico in cui quel processo si è avverato. È da no-

121 Una discussione interessante sull'esistenza almeno di un'antica letteraturayemenita si trova in HARTMANN, Die arabesche Frage, pp. 425-427. A p.475 si afferma che, per quanto poco sappiamo di questo argomento, si puòtener certo che un popolo come il yemenita avesse le sue cronache e insie-me una tradizione orale di natura leggendaria alla quale ha attinto la sagayemenica.

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tare che dal Yemen sono partite ondate di popolazioneverso il Nord. Abbiamo accennato alle colonie minee.C'è poi il fatto che popolazioni insediate nel Ḥigiāz, enel Nord dell'Arabia, i Liḥyāniti, i Thamūdeni, i Safate-ni, hanno usato nelle loro epigrafi una scrittura di origi-ne certamente sud-arabica.122 A me sembra si debba rile-vare in primo luogo che il Yemen, con la sua ricca pro-duzione di merci così ricercate nel mondo antico, comeper esempio l'incenso e la mirra, con la sua postazionegeografica che ne fa uno dei naturali tramiti o tappe siadel commercio orientale dell'India soprattutto di aromi edi spezie, sia di quello dei preziosi prodotti dell'oppostaAfrica; con la natura dei suoi abitanti, abili ed alacricommercianti, ha inserito le parti più vitali della peniso-la arabica in quella grande corrente di attività che, pro-veniente certo anche da altre direzioni, come da Gerra,ha avuto la maggiore propulsione dal Yemen stesso.Non solo noi dobbiamo pensare alle colonie dirette che iMinei fondarono nel Ḥigiāz, con l'antica Dēdān(al-‘Ulā), alla diffusione della scrittura yemenita attra-verso di esse, all'innegabile fermento di vita civile chequeste propaggini d'un grande stato diffondeva in Ara-bia; dobbiamo soprattutto ricordare che a questa grandeattività hanno preso man mano parte sempre più direttagli abitanti dell'Arabia del Nord; e Liḥyāniti e Thamūde-ni, e specialmente i Nabatei, fino alla distruzione del

122 V. LEVI DELLA VIDA nell'articolo citato sopra, p. 51 nota 1, e E. LITTMAN

nell'opera citata a p. 81 nota 1 [Note 50 e 102 di questa edizione elettroni-ca Manuzio].

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tare che dal Yemen sono partite ondate di popolazioneverso il Nord. Abbiamo accennato alle colonie minee.C'è poi il fatto che popolazioni insediate nel Ḥigiāz, enel Nord dell'Arabia, i Liḥyāniti, i Thamūdeni, i Safate-ni, hanno usato nelle loro epigrafi una scrittura di origi-ne certamente sud-arabica.122 A me sembra si debba rile-vare in primo luogo che il Yemen, con la sua ricca pro-duzione di merci così ricercate nel mondo antico, comeper esempio l'incenso e la mirra, con la sua postazionegeografica che ne fa uno dei naturali tramiti o tappe siadel commercio orientale dell'India soprattutto di aromi edi spezie, sia di quello dei preziosi prodotti dell'oppostaAfrica; con la natura dei suoi abitanti, abili ed alacricommercianti, ha inserito le parti più vitali della peniso-la arabica in quella grande corrente di attività che, pro-veniente certo anche da altre direzioni, come da Gerra,ha avuto la maggiore propulsione dal Yemen stesso.Non solo noi dobbiamo pensare alle colonie dirette che iMinei fondarono nel Ḥigiāz, con l'antica Dēdān(al-‘Ulā), alla diffusione della scrittura yemenita attra-verso di esse, all'innegabile fermento di vita civile chequeste propaggini d'un grande stato diffondeva in Ara-bia; dobbiamo soprattutto ricordare che a questa grandeattività hanno preso man mano parte sempre più direttagli abitanti dell'Arabia del Nord; e Liḥyāniti e Thamūde-ni, e specialmente i Nabatei, fino alla distruzione del

122 V. LEVI DELLA VIDA nell'articolo citato sopra, p. 51 nota 1, e E. LITTMAN

nell'opera citata a p. 81 nota 1 [Note 50 e 102 di questa edizione elettroni-ca Manuzio].

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loro regno all'inizio del secondo secolo d. C., hanno pre-so nelle loro mani l'inoltro fino al Mediterraneo dellemerci preziose provenienti dal Yemen; e che infine gliabili, industri abitanti della Mecca, i Quraisciti, entranoanch'essi, come si esporrà nella storia della Mecca quiappresso, a far parte di questo sistema. L'abitudine delcommercio, le qualità che esso ha richiesto nell'ammini-strazione, nell'organizzazione delle carovane, la resi-stenza ai disagi, il formarsi dei centri di vere e propriecittà carovaniere che divengono a loro volta città reli-giose, il contatto con tanto mondo diverso negli agi enelle relazioni commerciali, ecco una serie di fatti chehanno singolarmente temprato l'Arabo alla grande mis-sione che in maniera così inaspettata l'Islam gli ha affi-dato. Se questi rozzi uomini seppero trovare saggezza eabilità per governare un nuovo mondo (si ricordi cheuno dei maggiori reggitori islamici fu già il secondo ca-liffo, Omar), ciò si deve non solo all'entusiasmo religio-so e all'incomparabile esempio di Maometto, ma anchealle qualità destate e indirizzate dall'esercizio diuturnodell'attività commerciale. E in questo campo l'azione delYemen è sicuramente decisiva, oltre a quella di regniarabi del Nord, primo di tutti il Nabateo.Un altro punto sul quale dobbiamo portare l'attenzioneper scorgere ove risieda la più vera influenza del Yemensullo sviluppo storico che ci interessa, è quello delle re-lazioni che i regni del Sud, solidamente costituiti nelloro sistema politico, sociale ed economico, hanno avu-

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loro regno all'inizio del secondo secolo d. C., hanno pre-so nelle loro mani l'inoltro fino al Mediterraneo dellemerci preziose provenienti dal Yemen; e che infine gliabili, industri abitanti della Mecca, i Quraisciti, entranoanch'essi, come si esporrà nella storia della Mecca quiappresso, a far parte di questo sistema. L'abitudine delcommercio, le qualità che esso ha richiesto nell'ammini-strazione, nell'organizzazione delle carovane, la resi-stenza ai disagi, il formarsi dei centri di vere e propriecittà carovaniere che divengono a loro volta città reli-giose, il contatto con tanto mondo diverso negli agi enelle relazioni commerciali, ecco una serie di fatti chehanno singolarmente temprato l'Arabo alla grande mis-sione che in maniera così inaspettata l'Islam gli ha affi-dato. Se questi rozzi uomini seppero trovare saggezza eabilità per governare un nuovo mondo (si ricordi cheuno dei maggiori reggitori islamici fu già il secondo ca-liffo, Omar), ciò si deve non solo all'entusiasmo religio-so e all'incomparabile esempio di Maometto, ma anchealle qualità destate e indirizzate dall'esercizio diuturnodell'attività commerciale. E in questo campo l'azione delYemen è sicuramente decisiva, oltre a quella di regniarabi del Nord, primo di tutti il Nabateo.Un altro punto sul quale dobbiamo portare l'attenzioneper scorgere ove risieda la più vera influenza del Yemensullo sviluppo storico che ci interessa, è quello delle re-lazioni che i regni del Sud, solidamente costituiti nelloro sistema politico, sociale ed economico, hanno avu-

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to con le popolazioni, in gran parte nomadi, compresenell'ambito della loro influenza politica, ed anzi, comepiù tardi altre tribù arabe rispetto alla Persia e a Roma,strumenti della loro potenza, mezzi di diffusione delloro prestigio. E il complesso delle tribù arabe, quellesotto l'influsso del Yemen e quelle del Nord, hanno – emettiamo ciò in rilievo – costituito il nerbo della vitaaraba. È tuttavia compito assai difficile precisare la na-tura di tali relazioni e soprattutto risalire alle vicendeche hanno condotto alla differente distribuzione, e quin-di alla differente evoluzione, di questi due gruppi dellapopolazione del Yemen, e regioni circostanti, il sedenta-rio e il nomade. Noi abbiamo già indicato che la tradi-zione nazionale araba ha, nel suo sistema genealogico,prevalentemente attribuito i sedentari a Ḥimyar, i noma-di a Kahlān; e nella stessa tradizione è rimasta ben de-terminata la distinzione tra i sudditi veri e propri del re-gno sabeo e gli Arabi. Più di un'iscrizione sudarabica,quale per esempio quella della diga di Ma᾽rib (Glaser554),123 chiama appunto il sovrano «re di Saba, di Rai-dān» ecc. «e dei loro Arabi», intendendosi con questo,senza alcun dubbio, la precisa distinzione tra i veri epropri Yemeniti sedentari e i membri delle tribù, comeabbiam visto sopra socialmente costituiti in altro modo,e parlanti lingua differente, cioè non il vero e propriosudarabico ma un dialetto che, pure screziato di varietà

123 Cfr. le indicazioni date a p. 93 nota. [Nota 118 di questa edizione elettroni-ca Manuzio]

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to con le popolazioni, in gran parte nomadi, compresenell'ambito della loro influenza politica, ed anzi, comepiù tardi altre tribù arabe rispetto alla Persia e a Roma,strumenti della loro potenza, mezzi di diffusione delloro prestigio. E il complesso delle tribù arabe, quellesotto l'influsso del Yemen e quelle del Nord, hanno – emettiamo ciò in rilievo – costituito il nerbo della vitaaraba. È tuttavia compito assai difficile precisare la na-tura di tali relazioni e soprattutto risalire alle vicendeche hanno condotto alla differente distribuzione, e quin-di alla differente evoluzione, di questi due gruppi dellapopolazione del Yemen, e regioni circostanti, il sedenta-rio e il nomade. Noi abbiamo già indicato che la tradi-zione nazionale araba ha, nel suo sistema genealogico,prevalentemente attribuito i sedentari a Ḥimyar, i noma-di a Kahlān; e nella stessa tradizione è rimasta ben de-terminata la distinzione tra i sudditi veri e propri del re-gno sabeo e gli Arabi. Più di un'iscrizione sudarabica,quale per esempio quella della diga di Ma᾽rib (Glaser554),123 chiama appunto il sovrano «re di Saba, di Rai-dān» ecc. «e dei loro Arabi», intendendosi con questo,senza alcun dubbio, la precisa distinzione tra i veri epropri Yemeniti sedentari e i membri delle tribù, comeabbiam visto sopra socialmente costituiti in altro modo,e parlanti lingua differente, cioè non il vero e propriosudarabico ma un dialetto che, pure screziato di varietà

123 Cfr. le indicazioni date a p. 93 nota. [Nota 118 di questa edizione elettroni-ca Manuzio]

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meridionali, si riavvicinava a quelli del Nord.124 Un pri-mo problema concerne il giudizio da dare circa il siste-ma genealogico che ha aggruppato insieme, riportandoliattraverso Ḥimyar e Kahlān a Qaḥṭān, questi due ele-menti non certo omogenei. È una finzione, come moltisuppongono, e non solo per questo caso, per indicarel'avvicinamento tra queste popolazioni, che è stato crea-to dalla prossimità geografica e dalla continuità di rap-porti? È ben nota la teoria che attribuisce il raggruppa-mento di elementi di popolazione in grandi unità tribali-zie a pure vicende storiche, indipendenti da vincolo disangue, quali alleanze, confederazioni ecc. O piuttostonon può esser vero che tribù semitiche, poi divenute ara-be, direttesi nell'originaria migrazione verso il Sud han-no solo in parte trovato ragione di fissarsi al terreno,mentre un'altra parte è rimasta nomade? Non farebbecerto meraviglia in tal caso che la lingua dei sedentari sisia differentemente definita e che quella dei nomadi, purconservando affinità con quella dei sedentari e assumen-done anche elementi nel contatto storico, sia rimasta piùaffine ai dialetti del Nord ai quali essi come ‘arab resta-no sostanzialmente connessi. Per non aver consideratoquesta possibilità il critico egiziano Ṭāhā Ḥusein ha co-struito una mal congegnata teoria circa la falsità delleantiche poesie attribuite a membri di stirpi che avrebbe-

124 Tutta questa materia di cui già si è fatto cenno a p. 93 nota sarà trattata afondo a suo luogo. Cfr. M. GUIDI, in Enciclopedia Italiana, III, Arabi, lette-ratura. La distinzione tra sedentari e nomadi nel Yemen si trova già in M.HARTMANN, Die arabische Frage, p. 499.

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meridionali, si riavvicinava a quelli del Nord.124 Un pri-mo problema concerne il giudizio da dare circa il siste-ma genealogico che ha aggruppato insieme, riportandoliattraverso Ḥimyar e Kahlān a Qaḥṭān, questi due ele-menti non certo omogenei. È una finzione, come moltisuppongono, e non solo per questo caso, per indicarel'avvicinamento tra queste popolazioni, che è stato crea-to dalla prossimità geografica e dalla continuità di rap-porti? È ben nota la teoria che attribuisce il raggruppa-mento di elementi di popolazione in grandi unità tribali-zie a pure vicende storiche, indipendenti da vincolo disangue, quali alleanze, confederazioni ecc. O piuttostonon può esser vero che tribù semitiche, poi divenute ara-be, direttesi nell'originaria migrazione verso il Sud han-no solo in parte trovato ragione di fissarsi al terreno,mentre un'altra parte è rimasta nomade? Non farebbecerto meraviglia in tal caso che la lingua dei sedentari sisia differentemente definita e che quella dei nomadi, purconservando affinità con quella dei sedentari e assumen-done anche elementi nel contatto storico, sia rimasta piùaffine ai dialetti del Nord ai quali essi come ‘arab resta-no sostanzialmente connessi. Per non aver consideratoquesta possibilità il critico egiziano Ṭāhā Ḥusein ha co-struito una mal congegnata teoria circa la falsità delleantiche poesie attribuite a membri di stirpi che avrebbe-

124 Tutta questa materia di cui già si è fatto cenno a p. 93 nota sarà trattata afondo a suo luogo. Cfr. M. GUIDI, in Enciclopedia Italiana, III, Arabi, lette-ratura. La distinzione tra sedentari e nomadi nel Yemen si trova già in M.HARTMANN, Die arabische Frage, p. 499.

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ro dovuto, secondo lui, parlare la lingua yemenita, es-sendo nella genealogia araba attribuite a tale ceppo.125

Né fa meraviglia se il costume di vita di tali tribù meri-dionali sia simile a quello proprio degli Arabi settentrio-nali; è conservato da ambedue i gruppi il fondo comunesemitico arabo formatosi nel suo carattere più specialenella vita del deserto. Ad ogni modo lo stretto rapportodi queste tribù meridionali, attribuite dal sistema genea-logico al Yemen e riferite al progenitore comuneQaḥṭān, coi sedentari yemeniti è dimostrato da partico-larità linguistiche conservate in alcuni dei dialetti diesse,126 e alla presenza di nomi propri di tipo yemenita,come per esempio tra i Banū Kindah; come è noto simette in relazione la denominazione Shammar propriadel territorio abitato dai Banū Ṭayy᾽ con il nome yeme-nita Shamir.Qualunque cosa sia di questa grave e complicata que-stione di origini, è certo, e la tradizione ne è piena, chemolte tribù tra queste sudarabiche viventi nell'orbita delYemen hanno cooperato con esso per ridurre in sogge-zione in vicende assai varie (di cui troviamo il raccontonelle principali collezioni di ayyām al-‘Arab e sulle qua-li torneremo) le tribù del Nord che la tradizione aggrup-pa sotto il nome di ma‘addite. Come ho già detto, e loaccenna anche il Hartmann, è qui la prima radice della

125 V. ancora p. 93 nota.126 Sarebbe lungo fare l'elenco di questi elementi dialettali, come il dhū, che

funge da relativo, o come la seconda persona del perfetto in ka.

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ro dovuto, secondo lui, parlare la lingua yemenita, es-sendo nella genealogia araba attribuite a tale ceppo.125

Né fa meraviglia se il costume di vita di tali tribù meri-dionali sia simile a quello proprio degli Arabi settentrio-nali; è conservato da ambedue i gruppi il fondo comunesemitico arabo formatosi nel suo carattere più specialenella vita del deserto. Ad ogni modo lo stretto rapportodi queste tribù meridionali, attribuite dal sistema genea-logico al Yemen e riferite al progenitore comuneQaḥṭān, coi sedentari yemeniti è dimostrato da partico-larità linguistiche conservate in alcuni dei dialetti diesse,126 e alla presenza di nomi propri di tipo yemenita,come per esempio tra i Banū Kindah; come è noto simette in relazione la denominazione Shammar propriadel territorio abitato dai Banū Ṭayy᾽ con il nome yeme-nita Shamir.Qualunque cosa sia di questa grave e complicata que-stione di origini, è certo, e la tradizione ne è piena, chemolte tribù tra queste sudarabiche viventi nell'orbita delYemen hanno cooperato con esso per ridurre in sogge-zione in vicende assai varie (di cui troviamo il raccontonelle principali collezioni di ayyām al-‘Arab e sulle qua-li torneremo) le tribù del Nord che la tradizione aggrup-pa sotto il nome di ma‘addite. Come ho già detto, e loaccenna anche il Hartmann, è qui la prima radice della

125 V. ancora p. 93 nota.126 Sarebbe lungo fare l'elenco di questi elementi dialettali, come il dhū, che

funge da relativo, o come la seconda persona del perfetto in ka.

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Page 127: Classici Stranieri

secolare rivalità tra tribù del Nord e tribù del Sud, quellache poi acuita da altri fattori che la critica moderna, se-condo me troppo radicale, ha voluto considerare comecause principali (quali il contrasto tra Muhāgirūn eAnṣār) si è perpetuata in tutto lo sviluppo della storiamusulmana, ha durante il califfato ommiade distribuitoin vario equilibrio le forze, ha nel Khorāsān, indebolen-do l'elemento arabo, aperto la via alla propaganda abba-side, ha riempito di sé la storia di Spagna e di tante altreparti del mondo musulmano, e non è neanche oggi sopi-ta.Si aggiunga a questa circostanza il fatto che qualunquene sia stata la causa, qualunque sia il giudizio che sidebba dare sui racconti della tradizione e sulle fantasieche essa ha ricamato sulle conseguenze della rottura del-la diga di Ma᾽rib, una parte di queste tribù meridionali,essenzialmente quelle nomadi, in diverse ondate – e ten-teremo appresso di fissare qualche tratto di tali movi-menti – hanno emigrato verso il Nord. Secondo tradizio-ne assai solida son di origine yemenita gli abitanti delregno di al-Ḥīrah con la sua dinastia dei Lakhm, del re-gno di Ghassān, gli abitanti di Medina, e molte tribùcome i Ṭayy᾽, i Kalb, gli ‘Udhrah che troviamo pocoprima dell'Islam abitare, lontano dalle loro sedi origina-rie, varie regioni del Nord. Questo fatto è storicamenteimportante non solo per la precisazione, che può interes-sare fino a un certo punto lo storico della cultura, dellaprovenienza di tali elementi; ma perché accortamente

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secolare rivalità tra tribù del Nord e tribù del Sud, quellache poi acuita da altri fattori che la critica moderna, se-condo me troppo radicale, ha voluto considerare comecause principali (quali il contrasto tra Muhāgirūn eAnṣār) si è perpetuata in tutto lo sviluppo della storiamusulmana, ha durante il califfato ommiade distribuitoin vario equilibrio le forze, ha nel Khorāsān, indebolen-do l'elemento arabo, aperto la via alla propaganda abba-side, ha riempito di sé la storia di Spagna e di tante altreparti del mondo musulmano, e non è neanche oggi sopi-ta.Si aggiunga a questa circostanza il fatto che qualunquene sia stata la causa, qualunque sia il giudizio che sidebba dare sui racconti della tradizione e sulle fantasieche essa ha ricamato sulle conseguenze della rottura del-la diga di Ma᾽rib, una parte di queste tribù meridionali,essenzialmente quelle nomadi, in diverse ondate – e ten-teremo appresso di fissare qualche tratto di tali movi-menti – hanno emigrato verso il Nord. Secondo tradizio-ne assai solida son di origine yemenita gli abitanti delregno di al-Ḥīrah con la sua dinastia dei Lakhm, del re-gno di Ghassān, gli abitanti di Medina, e molte tribùcome i Ṭayy᾽, i Kalb, gli ‘Udhrah che troviamo pocoprima dell'Islam abitare, lontano dalle loro sedi origina-rie, varie regioni del Nord. Questo fatto è storicamenteimportante non solo per la precisazione, che può interes-sare fino a un certo punto lo storico della cultura, dellaprovenienza di tali elementi; ma perché accortamente

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raccostando alcune qualità che la tradizione ancor vivaoggi attribuisce alle tribù del Sud (appunto per il contat-to con la superiore civiltà yemenita), qualità di una mag-giore finezza (riqqah o suhūlah yamāniyyah) contrappo-sta ad una maggiore rozzezza del Nord (khushūnahmuḍariyyah)127; pensando all'indubbio progresso cherappresentano i due regni di al-Ḥīrah e di Ghassān,128 aloro volta così pieni di conseguenze per tutto lo svilup-po della storia araba, sembra poter ricostruirsi in modopiù organico il divenire dei vari aspetti della cultura ara-ba, attribuendo elementi di essi all'antico contatto delletribù meridionali con il Yemen. Né è da dimenticare cheappunto nella sfera d'influenza del Yemen si forma pocoprima dell'Islam l'importante per quanto effimero regnodi Kindah, il quale non avrà forse desunto i suoi ordina-menti politici dal Yemen ma dal contatto con quel paesecosì civilizzato traeva ragione di far progredire i costu-mi tradizionali propri delle vecchie tribù e di raggiunge-re un grado più alto di dignità civile. È infatti un primotentativo di regni veramente arabi, senza sudditi «naba-tei» o altri. È certo che tra il Yemen al tempo dei Tubba‘e i regni di al-Ḥīrah e Kindah vi erano relazioni e anchematrimoni.129

127 Il NALLINO, nelle inedite lezioni sulla letteratura araba tenute nell'Universi-tà del Cairo nel 1910-1911, metteva in relazione l'«amore ‘udhrita» con lariqqah yamāniyyah [ora in Raccolta di scritti editi e inediti, VI, pp. 53-65.(Nota dell'editore)].

128 Abbiamo già detto non probabile che i veri e propri elementi politici dellacostituzione dei regni di al-Ḥīrah e di Ghassān vengano dal Yemen.

129 V. Ibn Qutaibah, Ma‘ārif, p. 309; M. HARTMANN, Arabische Frage, p. 494.

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raccostando alcune qualità che la tradizione ancor vivaoggi attribuisce alle tribù del Sud (appunto per il contat-to con la superiore civiltà yemenita), qualità di una mag-giore finezza (riqqah o suhūlah yamāniyyah) contrappo-sta ad una maggiore rozzezza del Nord (khushūnahmuḍariyyah)127; pensando all'indubbio progresso cherappresentano i due regni di al-Ḥīrah e di Ghassān,128 aloro volta così pieni di conseguenze per tutto lo svilup-po della storia araba, sembra poter ricostruirsi in modopiù organico il divenire dei vari aspetti della cultura ara-ba, attribuendo elementi di essi all'antico contatto delletribù meridionali con il Yemen. Né è da dimenticare cheappunto nella sfera d'influenza del Yemen si forma pocoprima dell'Islam l'importante per quanto effimero regnodi Kindah, il quale non avrà forse desunto i suoi ordina-menti politici dal Yemen ma dal contatto con quel paesecosì civilizzato traeva ragione di far progredire i costu-mi tradizionali propri delle vecchie tribù e di raggiunge-re un grado più alto di dignità civile. È infatti un primotentativo di regni veramente arabi, senza sudditi «naba-tei» o altri. È certo che tra il Yemen al tempo dei Tubba‘e i regni di al-Ḥīrah e Kindah vi erano relazioni e anchematrimoni.129

127 Il NALLINO, nelle inedite lezioni sulla letteratura araba tenute nell'Universi-tà del Cairo nel 1910-1911, metteva in relazione l'«amore ‘udhrita» con lariqqah yamāniyyah [ora in Raccolta di scritti editi e inediti, VI, pp. 53-65.(Nota dell'editore)].

128 Abbiamo già detto non probabile che i veri e propri elementi politici dellacostituzione dei regni di al-Ḥīrah e di Ghassān vengano dal Yemen.

129 V. Ibn Qutaibah, Ma‘ārif, p. 309; M. HARTMANN, Arabische Frage, p. 494.

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Tale complesso di disposizioni, il cooperare di essonell'unico quadro di unità politiche quali i regni predetticon altre di differente origine, è matrice di storia; e in-sieme con l'impulso del commercio, di cui abbiamo det-to in primo luogo, dà alla storiografia del Yemen una di-gnità certo maggiore che una semplice raccolta di noti-zie erudite e in special modo interessante in questa sedeove si cerca definire il vero senso della cultura araba.La sensazione di questo legame vitale, che unisce lo svi-luppo storico del Yemen e delle regioni ad esso connes-se con le vicende degli Arabi del Nord, fra i quali è natol'Islam, è sempre desta nella tradizione araba, né oggi èspenta, e le vicende di Yemen sono parte integrante delquadro del paese. E già è apparso da quanto è detto apag. 71 che nel nostro discorso, che è di storia di spiritocreata dagli Arabi, un tale insieme di notizie, se ancheconsti di pura leggenda (e del resto oltre a qualche ele-mento di verità per la parte antica essa ci offre, a partireforse dalla seconda metà del secolo V, informazioni de-gne di fede alle quali bisogna ricorrere per la costruzio-ne della storia di quel periodo) ha molto da dirci.130 Sudi essa brevemente ci intratterremo.Essa ci presenta per la parte più antica, cioè fino al so-vrano al-Hārith ar-Rā᾽ish, che sarebbe il vero fondatore

130 Così anche C. A. NALLINO, Raccolta, III, pp. 55 e 26; e si noti la confessio-ne di un critico molto severo, il HARTMANN, Die arabische Frage, p. 479fine, che per ricostruire la storia del periodo ultimo della dinastia di Ẓafārdobbiamo necessariamente, data la misura scarsa delle iscrizioni, ricorrerein via provvisoria alla tradizione araba.

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Tale complesso di disposizioni, il cooperare di essonell'unico quadro di unità politiche quali i regni predetticon altre di differente origine, è matrice di storia; e in-sieme con l'impulso del commercio, di cui abbiamo det-to in primo luogo, dà alla storiografia del Yemen una di-gnità certo maggiore che una semplice raccolta di noti-zie erudite e in special modo interessante in questa sedeove si cerca definire il vero senso della cultura araba.La sensazione di questo legame vitale, che unisce lo svi-luppo storico del Yemen e delle regioni ad esso connes-se con le vicende degli Arabi del Nord, fra i quali è natol'Islam, è sempre desta nella tradizione araba, né oggi èspenta, e le vicende di Yemen sono parte integrante delquadro del paese. E già è apparso da quanto è detto apag. 71 che nel nostro discorso, che è di storia di spiritocreata dagli Arabi, un tale insieme di notizie, se ancheconsti di pura leggenda (e del resto oltre a qualche ele-mento di verità per la parte antica essa ci offre, a partireforse dalla seconda metà del secolo V, informazioni de-gne di fede alle quali bisogna ricorrere per la costruzio-ne della storia di quel periodo) ha molto da dirci.130 Sudi essa brevemente ci intratterremo.Essa ci presenta per la parte più antica, cioè fino al so-vrano al-Hārith ar-Rā᾽ish, che sarebbe il vero fondatore

130 Così anche C. A. NALLINO, Raccolta, III, pp. 55 e 26; e si noti la confessio-ne di un critico molto severo, il HARTMANN, Die arabische Frage, p. 479fine, che per ricostruire la storia del periodo ultimo della dinastia di Ẓafārdobbiamo necessariamente, data la misura scarsa delle iscrizioni, ricorrerein via provvisoria alla tradizione araba.

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del regno dei Tubba‘, di cui diremo or ora, una serie dinomi di sovrani del tutto leggendaria.131 A Qaḥṭān (v.qui sopra p. 78) sarebbe successo il figlio Ya‘rub, il pri-mo a parlar l'arabo, e s'intende l'arabo divenuto poi clas-sico, e ad usare alcune formule fra cui quella ben nota di«abaita al-la‘na» (e qui non si può entrare nella com-plessa questione del rapporto tra questa leggenda e la ri-partizione delle parlate arabe, v. Caussin de Perceval I,50 ss.) e che, come è detto a p. 75, avrebbe distrutto gli‘Āditi. Di suo figlio Yasgiub la stessa leggenda sa dirciben poco; dopo di lui ‘Ābd ash-Shams Saba᾽ (equest'ultimo elemento è evidentemente eponimo) avreb-be portato a unità il regno, finito di distruggere gli ‘Ādi-ti, fondata Ma᾽rib; alcuni autori, tra cui Abulfeda, attri-buiscono a lui la costruzione della diga. Son suoi figliḤimyar e Kahlān (v. p. 78 e segg.), quegli progenitoredegli Ḥimyariti sedentari, questi della maggior partedelle tribù arabe nomadi di cui sopra, attribuite dalla tra-dizionale genealogica a Qaḥṭān. Discendenti di Ḥimyarsono Wathīl e Shamir, nomi che hanno apparenza suda-rabica; il secondo avrebbe fondato Ẓafār e sarebbe, se-

131 Oltre che nelle fonti arabe indicate a p. 72 nota [nota 86 in questa edizioneelettronica Manuzio] (si aggiungano: Ḥamzah al-Iṣfahānī, Annales, ed.Gottwaldt, Lipsiae, 1844, I, pp. 122-139; ALBERTUS SCHULTENS, Historia im-perii veteris Joctanidarum, citato in CAUSSIN, I, p. 50, nota 4) questa seriesi trova comodamente riunita in CAUSSIN, I, p. 47 segg. e chiamata con ilnome di dinastia sabea per distinguerla da quella ḥimyarita dei Tubba‘ dicui appresso (cfr. anche A. VON KREMER, Ueber die südarabische Sage, pp.54-60). Comoda raccolta di nomi nella compilazione di CESARE ANSALDI, IlYemen nella storia e nella leggenda, Roma, Ministero delle Colonie, 1933,pp. 51-66.

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del regno dei Tubba‘, di cui diremo or ora, una serie dinomi di sovrani del tutto leggendaria.131 A Qaḥṭān (v.qui sopra p. 78) sarebbe successo il figlio Ya‘rub, il pri-mo a parlar l'arabo, e s'intende l'arabo divenuto poi clas-sico, e ad usare alcune formule fra cui quella ben nota di«abaita al-la‘na» (e qui non si può entrare nella com-plessa questione del rapporto tra questa leggenda e la ri-partizione delle parlate arabe, v. Caussin de Perceval I,50 ss.) e che, come è detto a p. 75, avrebbe distrutto gli‘Āditi. Di suo figlio Yasgiub la stessa leggenda sa dirciben poco; dopo di lui ‘Ābd ash-Shams Saba᾽ (equest'ultimo elemento è evidentemente eponimo) avreb-be portato a unità il regno, finito di distruggere gli ‘Ādi-ti, fondata Ma᾽rib; alcuni autori, tra cui Abulfeda, attri-buiscono a lui la costruzione della diga. Son suoi figliḤimyar e Kahlān (v. p. 78 e segg.), quegli progenitoredegli Ḥimyariti sedentari, questi della maggior partedelle tribù arabe nomadi di cui sopra, attribuite dalla tra-dizionale genealogica a Qaḥṭān. Discendenti di Ḥimyarsono Wathīl e Shamir, nomi che hanno apparenza suda-rabica; il secondo avrebbe fondato Ẓafār e sarebbe, se-

131 Oltre che nelle fonti arabe indicate a p. 72 nota [nota 86 in questa edizioneelettronica Manuzio] (si aggiungano: Ḥamzah al-Iṣfahānī, Annales, ed.Gottwaldt, Lipsiae, 1844, I, pp. 122-139; ALBERTUS SCHULTENS, Historia im-perii veteris Joctanidarum, citato in CAUSSIN, I, p. 50, nota 4) questa seriesi trova comodamente riunita in CAUSSIN, I, p. 47 segg. e chiamata con ilnome di dinastia sabea per distinguerla da quella ḥimyarita dei Tubba‘ dicui appresso (cfr. anche A. VON KREMER, Ueber die südarabische Sage, pp.54-60). Comoda raccolta di nomi nella compilazione di CESARE ANSALDI, IlYemen nella storia e nella leggenda, Roma, Ministero delle Colonie, 1933,pp. 51-66.

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condo Ṭabarī I, 516, contemporaneo di Mosè; giù tra inomi dei successori che sarebbe assolutamente inutileriportare qui troviamo ancora Shaddād e Luqmān, chericordano i nomi dei due re ‘Āditi, ma la cronologia tra-dizionale di questi ultimi non può corrispondere a quellaaltrettanto immaginaria di questi sovrani yemeniti. IlCaussin de Perceval suppone che si tratti di nomi similie di confusione di tradizioni attribuite ora agli uni oraagli altri per errore della tradizione araba, né preme di-scutere tali questioni.Si vede chiaramente, paragonando le liste dei sovranidei quattro regni del Yemen che le iscrizioni documenta-no sicuramente, che la genealogia e la storiografia tradi-zionale hanno avuto una ben pallida idea della realtà. Edè del resto ben visibile l'artificio di essa, poiché attribui-sce a vari re una durata di due, tre e persino quattrocentoanni per coprire il periodo che passa da Ya‘rub ad epocameglio conosciuta. Tale tradizione ha voluto anche tro-vare nella serie dei sovrani yemeniti la regina di Saba,di cui è nota la menzione e il racconto della sua visita aSalomone nel capitolo 27 del Corano132 che non dà adessa alcun nome; e ha stabilito la identificazione conBilqīs, la regina figlia di Hadhād che le cronache regi-strano tra gli antichi sovrani yemeniti e che, sia anchenella cronaca immaginaria, appartiene a un periodo chequesta stessa riporta ad epoca assai posteriore a Salomo-

132 Si tenga sempre presente, sia pure senza esagerare, che l'esegesi di passicoranici è stata causa notevole di costruzioni storiche. V. appresso.

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condo Ṭabarī I, 516, contemporaneo di Mosè; giù tra inomi dei successori che sarebbe assolutamente inutileriportare qui troviamo ancora Shaddād e Luqmān, chericordano i nomi dei due re ‘Āditi, ma la cronologia tra-dizionale di questi ultimi non può corrispondere a quellaaltrettanto immaginaria di questi sovrani yemeniti. IlCaussin de Perceval suppone che si tratti di nomi similie di confusione di tradizioni attribuite ora agli uni oraagli altri per errore della tradizione araba, né preme di-scutere tali questioni.Si vede chiaramente, paragonando le liste dei sovranidei quattro regni del Yemen che le iscrizioni documenta-no sicuramente, che la genealogia e la storiografia tradi-zionale hanno avuto una ben pallida idea della realtà. Edè del resto ben visibile l'artificio di essa, poiché attribui-sce a vari re una durata di due, tre e persino quattrocentoanni per coprire il periodo che passa da Ya‘rub ad epocameglio conosciuta. Tale tradizione ha voluto anche tro-vare nella serie dei sovrani yemeniti la regina di Saba,di cui è nota la menzione e il racconto della sua visita aSalomone nel capitolo 27 del Corano132 che non dà adessa alcun nome; e ha stabilito la identificazione conBilqīs, la regina figlia di Hadhād che le cronache regi-strano tra gli antichi sovrani yemeniti e che, sia anchenella cronaca immaginaria, appartiene a un periodo chequesta stessa riporta ad epoca assai posteriore a Salomo-

132 Si tenga sempre presente, sia pure senza esagerare, che l'esegesi di passicoranici è stata causa notevole di costruzioni storiche. V. appresso.

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ne.Ma se questa prima parte della protostoria yemenita la-scia sì traccia nella vita fantastica degli Arabi e anchenella formazione del complesso ethos che giace comesostrato anche della riforma e della vita musulmana, ciòdeve dirsi in più special modo del periodo che gli Arabistessi chiamano dei Tubba‘ (plurale Tabābi‘ah), rimastonome tipico dei sovrani yemeniti, di etimologia dub-bia.133 È interessante notare la figura di sovrani dei Tub-ba‘ quale appare da questa tradizione: essa sarebbe quel-la che l'epigrafia ha anche mostrato, e cioè l'influenza diquesti capi di famiglie (vedi anche l'elenco delle fami-glie in Arabische Frage) nei loro castelli, alla autono-mia crescente dei quali si dovrebbe la decadenza del re-gno dei Tubba‘ (Sage p. 124). Tra di essi otto avevano lafunzione di principi elettori (id.) e di essi la «qaṣīdah ḥi-myarita» dà la serie dei nomi (Kremer, Kasideh, p. 4 esegg., Sage, p. 94 e segg.). Così anche attraverso la Sagaappare la costituzione feudale del Yemen.Tale dinastia comincia per concorde indicazione dellefonti arabe con il predetto al-Ḥārith ar-Rā᾽ish, detto an-che per la sua saggezza al-Failasūf («il Filosofo»), chesarebbe da riportare, secondo il Caussin e contro lamaggioranza degli storici arabi che lo fanno assai più

133 La più comune è quella dal verbo tabi‘a «seguire», perché si sono susse-guiti. Gli Arabi stessi, Ibn Khaldūn per esempio, notano l'oscurità del ter-mine. Cfr. HARTMANN, Die arabische Frage, p. 479; ma v. anche p. 484 incui da un passo di Ibn Qutaibah, Ma‘ārif, p. 51, lin. 16 si deduce che perquesti autori Tubba‘ equivale a «appartenenti alle maggiori stirpi».

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ne.Ma se questa prima parte della protostoria yemenita la-scia sì traccia nella vita fantastica degli Arabi e anchenella formazione del complesso ethos che giace comesostrato anche della riforma e della vita musulmana, ciòdeve dirsi in più special modo del periodo che gli Arabistessi chiamano dei Tubba‘ (plurale Tabābi‘ah), rimastonome tipico dei sovrani yemeniti, di etimologia dub-bia.133 È interessante notare la figura di sovrani dei Tub-ba‘ quale appare da questa tradizione: essa sarebbe quel-la che l'epigrafia ha anche mostrato, e cioè l'influenza diquesti capi di famiglie (vedi anche l'elenco delle fami-glie in Arabische Frage) nei loro castelli, alla autono-mia crescente dei quali si dovrebbe la decadenza del re-gno dei Tubba‘ (Sage p. 124). Tra di essi otto avevano lafunzione di principi elettori (id.) e di essi la «qaṣīdah ḥi-myarita» dà la serie dei nomi (Kremer, Kasideh, p. 4 esegg., Sage, p. 94 e segg.). Così anche attraverso la Sagaappare la costituzione feudale del Yemen.Tale dinastia comincia per concorde indicazione dellefonti arabe con il predetto al-Ḥārith ar-Rā᾽ish, detto an-che per la sua saggezza al-Failasūf («il Filosofo»), chesarebbe da riportare, secondo il Caussin e contro lamaggioranza degli storici arabi che lo fanno assai più

133 La più comune è quella dal verbo tabi‘a «seguire», perché si sono susse-guiti. Gli Arabi stessi, Ibn Khaldūn per esempio, notano l'oscurità del ter-mine. Cfr. HARTMANN, Die arabische Frage, p. 479; ma v. anche p. 484 incui da un passo di Ibn Qutaibah, Ma‘ārif, p. 51, lin. 16 si deduce che perquesti autori Tubba‘ equivale a «appartenenti alle maggiori stirpi».

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antico, al primo secolo avanti Cristo, data ricavata conabbastanza probabilità, checché sia della storicità delpersonaggio, da vari elementi. La dinastia, attraverso isuoi vari rappresentanti, di cui nomineremo appenaqualcuno, giunge fino a Dhū Nuwās in pieno periodostorico (v. p. 119) e interessa subito notare che moltinomi che di essa trasmette la tradizione araba corrispon-dono a quelli della tradizione epigrafica, perciò sicuri, eprecisamente della serie dei re che dicemmo (p. 88) ave-re il nome di «re di Saba, Dhū-Raidān, Ḥaḍramūt e Ya-manat». Anzi, per l'ultimo periodo del regno yemenita,ci mancano epigrafi, ma dalla tradizione arabo-musul-mana noi deduciamo la nuova titolatura reale che èquella di «re di Ḥimyar»134 e le notizie ad essi relativevengono tutte da quella.È necessario, prima di entrare in qualche particolare suiTubba‘, considerare brevemente la tradizione musulma-na che ce ne trasmette notizia, e il suo valore. È ovvioche la parte più antica, antecedente al regno di questi, edi cui abbiamo detto brevemente, è tutta avvolta nellaoscurità del mito e non se ne può trarre nulla, o benpoco di più che gli elementi, per ricostruire il mondofantastico che ispira alcuni aspetti della vita araba. Per ilperiodo dei Tubba‘, e tanto più quando si procede neltempo, traluce accanto alla leggenda una parte di veroche è complemento alle notizie epigrafiche, le commen-ta, alla fine del periodo supplisce alla loro mancanza;

134 V. NALLINO, Raccolta, III, p. 55.

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antico, al primo secolo avanti Cristo, data ricavata conabbastanza probabilità, checché sia della storicità delpersonaggio, da vari elementi. La dinastia, attraverso isuoi vari rappresentanti, di cui nomineremo appenaqualcuno, giunge fino a Dhū Nuwās in pieno periodostorico (v. p. 119) e interessa subito notare che moltinomi che di essa trasmette la tradizione araba corrispon-dono a quelli della tradizione epigrafica, perciò sicuri, eprecisamente della serie dei re che dicemmo (p. 88) ave-re il nome di «re di Saba, Dhū-Raidān, Ḥaḍramūt e Ya-manat». Anzi, per l'ultimo periodo del regno yemenita,ci mancano epigrafi, ma dalla tradizione arabo-musul-mana noi deduciamo la nuova titolatura reale che èquella di «re di Ḥimyar»134 e le notizie ad essi relativevengono tutte da quella.È necessario, prima di entrare in qualche particolare suiTubba‘, considerare brevemente la tradizione musulma-na che ce ne trasmette notizia, e il suo valore. È ovvioche la parte più antica, antecedente al regno di questi, edi cui abbiamo detto brevemente, è tutta avvolta nellaoscurità del mito e non se ne può trarre nulla, o benpoco di più che gli elementi, per ricostruire il mondofantastico che ispira alcuni aspetti della vita araba. Per ilperiodo dei Tubba‘, e tanto più quando si procede neltempo, traluce accanto alla leggenda una parte di veroche è complemento alle notizie epigrafiche, le commen-ta, alla fine del periodo supplisce alla loro mancanza;

134 V. NALLINO, Raccolta, III, p. 55.

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ciò che nasce da fantasia, come abbiamo avuto occasio-ne di rilevare, ha parte singolarissima, come l'elementopiù vivo della saga yemenica, nella coscienza del passa-to che gli Arabi hanno amorosamente rievocato.Una opinione che a me pare esagerata ha voluto vedere,nella maggior parte dei racconti che costituiscono lasaga, il solo prodotto della esegesi coranica; anzi ilHartmann arriva a supporre che la scelta e la elaborazio-ne dei motivi leggendari era in Maometto determinatadal ritegno di portar l'attenzione su materia che, come latradizione di al-Ḥīrah o di Ghassān, del Ḥigiāz, del Ye-men stesso così piena delle glorie del paganesimo, po-tesse dare dignità, a scapito del prestigio del Profeta, aquei personaggi che a tale tradizione si richiamavano. Eper ciò, sempre secondo il Hartmann,135 si preferì daremaggior importanza alla materia leggendaria giudaica.Dal Yemen il Profeta avrebbe preso qualche elementoappena del già formato complesso narrativo; e bastòquesto perché i suoi seguaci vi ricamassero sopra attri-buendo la loro elaborazione allo stesso Profeta: così sor-gerebbe, secondo questa costruzione, la versione norda-rabica della saga yemenica che appare già disegnata neicommentari coranici e nel ḥadīth più antico. In questo ilHartmann, forse troppo sottile nella sua grande erudizio-ne, dimentica che la tradizione antica e nazionale, nono-stante la rivalità tra Nord e Sud, tra ‘Ādnān e Qaḥṭān,era cara a tutti gli Arabi, anche ammesso il pericolo che

135 Die arabische Frage, pp. 476-477.

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ciò che nasce da fantasia, come abbiamo avuto occasio-ne di rilevare, ha parte singolarissima, come l'elementopiù vivo della saga yemenica, nella coscienza del passa-to che gli Arabi hanno amorosamente rievocato.Una opinione che a me pare esagerata ha voluto vedere,nella maggior parte dei racconti che costituiscono lasaga, il solo prodotto della esegesi coranica; anzi ilHartmann arriva a supporre che la scelta e la elaborazio-ne dei motivi leggendari era in Maometto determinatadal ritegno di portar l'attenzione su materia che, come latradizione di al-Ḥīrah o di Ghassān, del Ḥigiāz, del Ye-men stesso così piena delle glorie del paganesimo, po-tesse dare dignità, a scapito del prestigio del Profeta, aquei personaggi che a tale tradizione si richiamavano. Eper ciò, sempre secondo il Hartmann,135 si preferì daremaggior importanza alla materia leggendaria giudaica.Dal Yemen il Profeta avrebbe preso qualche elementoappena del già formato complesso narrativo; e bastòquesto perché i suoi seguaci vi ricamassero sopra attri-buendo la loro elaborazione allo stesso Profeta: così sor-gerebbe, secondo questa costruzione, la versione norda-rabica della saga yemenica che appare già disegnata neicommentari coranici e nel ḥadīth più antico. In questo ilHartmann, forse troppo sottile nella sua grande erudizio-ne, dimentica che la tradizione antica e nazionale, nono-stante la rivalità tra Nord e Sud, tra ‘Ādnān e Qaḥṭān,era cara a tutti gli Arabi, anche ammesso il pericolo che

135 Die arabische Frage, pp. 476-477.

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il ricordo nazionale nuocesse alla riforma profetica,come mostra l'affettuosa memoria che della saga si èperpetuata poi attraverso i secoli presso tutti gli Arabianche di origine non yemenita. Noi a suo luogo mettere-mo in speciale rilievo l'arabicità fondamentale di Mao-metto, l'affetto alla sua gente, e sono da notare gli espli-citi richiami al Yemen stesso che la tradizione gli attri-buisce. «Al-ḥikmah yamāniyyah» (la saggezza è cosayemenita) suona un celebre suo detto.136 La saga yeme-nica era qualche cosa di vivo, era una gloria araba checircolava nella penisola, anche se qualche racconto po-tesse non suonare gradito al sentimento particolaristicodi altre tribù; e di fronte ad essa non si poteva usare in-differenza. L'attaccamento a questo patrimonio dura at-traverso i secoli; e oggi stesso Ṭāhā Ḥusein nel suo libro‘Alā hāmish as-sīrah,137 con cui per la maggior fortunadella cultura araba intende esporla in modo congruo allecondizioni d'oggi e rianimare tutto ciò che di essa èvivo, rievoca in più punti le memorie del Yemen e deiTubba‘.138

Che nel Corano vi sia la menzione dei Tubba‘, che dellasaga risuoni tanta eco nel ḥadīth e nella letteratura, nonè frutto di accorta scelta o di abilità politica, o di puraarmonistica della tradizione religiosa: è anche l'inconte-

136 Cfr. C. LANDBERG, La langue arabe et ses dialectes (v. sopra, p. 93 nota[Nota 118 di questa edizione elettronica Manuzio]).

137 Cairo, Tip. al-Ma‘ārif, 1933 (2 voll.).138 È chiaro quindi, contro Hartmann, che la menzione dei Tubba‘ nel Corano

non è altro che un'altra testimonianza della fama della saga.

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il ricordo nazionale nuocesse alla riforma profetica,come mostra l'affettuosa memoria che della saga si èperpetuata poi attraverso i secoli presso tutti gli Arabianche di origine non yemenita. Noi a suo luogo mettere-mo in speciale rilievo l'arabicità fondamentale di Mao-metto, l'affetto alla sua gente, e sono da notare gli espli-citi richiami al Yemen stesso che la tradizione gli attri-buisce. «Al-ḥikmah yamāniyyah» (la saggezza è cosayemenita) suona un celebre suo detto.136 La saga yeme-nica era qualche cosa di vivo, era una gloria araba checircolava nella penisola, anche se qualche racconto po-tesse non suonare gradito al sentimento particolaristicodi altre tribù; e di fronte ad essa non si poteva usare in-differenza. L'attaccamento a questo patrimonio dura at-traverso i secoli; e oggi stesso Ṭāhā Ḥusein nel suo libro‘Alā hāmish as-sīrah,137 con cui per la maggior fortunadella cultura araba intende esporla in modo congruo allecondizioni d'oggi e rianimare tutto ciò che di essa èvivo, rievoca in più punti le memorie del Yemen e deiTubba‘.138

Che nel Corano vi sia la menzione dei Tubba‘, che dellasaga risuoni tanta eco nel ḥadīth e nella letteratura, nonè frutto di accorta scelta o di abilità politica, o di puraarmonistica della tradizione religiosa: è anche l'inconte-

136 Cfr. C. LANDBERG, La langue arabe et ses dialectes (v. sopra, p. 93 nota[Nota 118 di questa edizione elettronica Manuzio]).

137 Cairo, Tip. al-Ma‘ārif, 1933 (2 voll.).138 È chiaro quindi, contro Hartmann, che la menzione dei Tubba‘ nel Corano

non è altro che un'altra testimonianza della fama della saga.

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nibile manifestazione di un ricordo augusto e tenace.I principali portatori di questa saga, a partire dai più an-tichi, che avranno dato informazioni a Maometto e aisuoi compagni, come per esempio ai famosi Ibn ‘Abbāse Abū Hurairah, debbono essere stati naturalmente inqualche caso di origine yemenita, come sappiamo delfamoso Wahb ibn Munabbih139 specialmente esperto dileggende bibliche oltre che yemeniche; e in realtà ilcongiungimento di storia biblica e yemenica si spiegacon la diffusione del Giudaismo nel Yemen e può corri-spondere insieme a preferenza del Profeta. Egli nacquepresso Ṣan‘ā᾽ nel 34 dell'ègira e vi morì come qāḍi nel114 (= 732 d. C.); del suo scritto, perduto, sulla leggen-daria preistoria del suo paese, si possono trovar traccenelle fonti posteriori. Ed egualmente yemenita fu ‘Ābidibn Sharyah al-Giurhumī, che il califfo Mu‘āwiyahavrebbe chiamato a Damasco per avere da lui raggua-glio sulla storia antica del Yemen.140 Tutta questa mate-ria ha più tardi speciale trattazione, tutta animata dallostesso spirito di affetto per le memorie avite, nei libri di

139 V su di lui C. BROCKELMANN, Geschichte der arabischen Literatur, Supple-ment, I, p. 101.

140 V. ibid., p. 100. L'opera intitolata Kitāb at-tīgiān fī mulūk Ḥimyar, stampa-ta a Hyderabad nel 1347 Eg. (1928-1929) e della quale l'editore F. Kren-kow ha dato un riassunto inglese nella rivista «Islamic Culture», II, 1928,pp. 55-89 e 204-236, è una compilazione di ‘Abd al-Malik ibn Hishām. Inappendice a essa è stata pubblicata un'altra compilazione sullo stesso argo-mento, con il titolo Ikhbār ‘Abīd ibn Sharyah al-Giurhumī fi akhbār al-Yemen wa-ash‘ārihā wa-ansābihā, attribuita a lui ma quasi certamenteapocrifa.

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nibile manifestazione di un ricordo augusto e tenace.I principali portatori di questa saga, a partire dai più an-tichi, che avranno dato informazioni a Maometto e aisuoi compagni, come per esempio ai famosi Ibn ‘Abbāse Abū Hurairah, debbono essere stati naturalmente inqualche caso di origine yemenita, come sappiamo delfamoso Wahb ibn Munabbih139 specialmente esperto dileggende bibliche oltre che yemeniche; e in realtà ilcongiungimento di storia biblica e yemenica si spiegacon la diffusione del Giudaismo nel Yemen e può corri-spondere insieme a preferenza del Profeta. Egli nacquepresso Ṣan‘ā᾽ nel 34 dell'ègira e vi morì come qāḍi nel114 (= 732 d. C.); del suo scritto, perduto, sulla leggen-daria preistoria del suo paese, si possono trovar traccenelle fonti posteriori. Ed egualmente yemenita fu ‘Ābidibn Sharyah al-Giurhumī, che il califfo Mu‘āwiyahavrebbe chiamato a Damasco per avere da lui raggua-glio sulla storia antica del Yemen.140 Tutta questa mate-ria ha più tardi speciale trattazione, tutta animata dallostesso spirito di affetto per le memorie avite, nei libri di

139 V su di lui C. BROCKELMANN, Geschichte der arabischen Literatur, Supple-ment, I, p. 101.

140 V. ibid., p. 100. L'opera intitolata Kitāb at-tīgiān fī mulūk Ḥimyar, stampa-ta a Hyderabad nel 1347 Eg. (1928-1929) e della quale l'editore F. Kren-kow ha dato un riassunto inglese nella rivista «Islamic Culture», II, 1928,pp. 55-89 e 204-236, è una compilazione di ‘Abd al-Malik ibn Hishām. Inappendice a essa è stata pubblicata un'altra compilazione sullo stesso argo-mento, con il titolo Ikhbār ‘Abīd ibn Sharyah al-Giurhumī fi akhbār al-Yemen wa-ash‘ārihā wa-ansābihā, attribuita a lui ma quasi certamenteapocrifa.

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al-Hamdānī, morto a Ṣan‘ā᾽ nel 334 (= 945-46 d. C.).141

Un altro yemenita ancora, Nashwān ibn Sa‘īd (mortonel 1177 d. C.), celebrò in una famosa qaṣīdah, la «qaṣī-dah ḥimyaritica»,142 i fasti degli antichi re. In essa appa-re, in modo altamente poetico e commovente, l'eternomotivo dell'«Ubi sunt qui ante nos in mundo fuere»143

che sembra, e non fa meraviglia, essere stato familiareal ciclo sudarabico, eco d'una civiltà così splendida che,anche attraverso il velo della leggenda, mostra qua e làle tracce di profonda riflessione, e faceva apparire agliantichi Yemeniti e ai più tardi eredi della stirpe più vivoil contrasto con la inesorabile Moira che rapisce gli uo-mini.Le figure più notevoli semileggendarie di questa saga,che una esposizione che non sia del tutto sommaria nonpuò trascurare se vuol ben disporre ad una comprensio-ne del complesso fenomeno dell'arabismo, appaiono in

141 Sono questi: (1) al-Iklīl, grande compilazione in dieci libri, dei quali sol-tanto quattro sono conservati e uno solo è stato pubblicato (l'ottavo, dal p.Anastās al-Karmalī, Bagdad, 1931, e da N. A. Faris, Princeton, 1940, contraduzione, ibid., 1938, e v. le recensioni di G. LEVI DELLA VIDA, in «Orien-talia», IX, 1940, pp. 160-173 e H. W. GLIDDEN, in «Ars Islamica», IX,1942, pp. 221-230); sulla biografia e l'attività letteraria di al-Hamdānī v.O. LÖFGREN, Ein Hamdānīfund, «Uppsala Universitets Årsskrift», 1935, 7.(2) Sifat giazīrat al-‘Arab, un trattato di geografia della Arabia pubblicatoda D. H. Müller, Leiden, 1884-1891, traduzione parziale di L. Forrer,Leipzig, 1942 («Abhandlungen für die Kunde des Morgenlandes », XX-VIII, 3).

142 Pubblicata e tradotta da A. VON KREMER, Die Himjarische Kasideh, Leipzig,1865, e poi da R. BASSET, Alger, 1914.

143 Cfr. l'articolo di questo titolo di C. H. BECKER nel suo volume Islamstu-dien, I, Leipzig, 1924, pp. 501-519 e la nota a p. 519.

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al-Hamdānī, morto a Ṣan‘ā᾽ nel 334 (= 945-46 d. C.).141

Un altro yemenita ancora, Nashwān ibn Sa‘īd (mortonel 1177 d. C.), celebrò in una famosa qaṣīdah, la «qaṣī-dah ḥimyaritica»,142 i fasti degli antichi re. In essa appa-re, in modo altamente poetico e commovente, l'eternomotivo dell'«Ubi sunt qui ante nos in mundo fuere»143

che sembra, e non fa meraviglia, essere stato familiareal ciclo sudarabico, eco d'una civiltà così splendida che,anche attraverso il velo della leggenda, mostra qua e làle tracce di profonda riflessione, e faceva apparire agliantichi Yemeniti e ai più tardi eredi della stirpe più vivoil contrasto con la inesorabile Moira che rapisce gli uo-mini.Le figure più notevoli semileggendarie di questa saga,che una esposizione che non sia del tutto sommaria nonpuò trascurare se vuol ben disporre ad una comprensio-ne del complesso fenomeno dell'arabismo, appaiono in

141 Sono questi: (1) al-Iklīl, grande compilazione in dieci libri, dei quali sol-tanto quattro sono conservati e uno solo è stato pubblicato (l'ottavo, dal p.Anastās al-Karmalī, Bagdad, 1931, e da N. A. Faris, Princeton, 1940, contraduzione, ibid., 1938, e v. le recensioni di G. LEVI DELLA VIDA, in «Orien-talia», IX, 1940, pp. 160-173 e H. W. GLIDDEN, in «Ars Islamica», IX,1942, pp. 221-230); sulla biografia e l'attività letteraria di al-Hamdānī v.O. LÖFGREN, Ein Hamdānīfund, «Uppsala Universitets Årsskrift», 1935, 7.(2) Sifat giazīrat al-‘Arab, un trattato di geografia della Arabia pubblicatoda D. H. Müller, Leiden, 1884-1891, traduzione parziale di L. Forrer,Leipzig, 1942 («Abhandlungen für die Kunde des Morgenlandes », XX-VIII, 3).

142 Pubblicata e tradotta da A. VON KREMER, Die Himjarische Kasideh, Leipzig,1865, e poi da R. BASSET, Alger, 1914.

143 Cfr. l'articolo di questo titolo di C. H. BECKER nel suo volume Islamstu-dien, I, Leipzig, 1924, pp. 501-519 e la nota a p. 519.

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ordine notevolmente diverso nei gruppi di fonti arabemusulmane e il Hartmann nella sua Frage, a cominciaredal Tubba‘ Yāsir, nel capitolo indicato qui in nota mettea confronto le differenti indicazioni,144 illustra ampia-mente i vari nomi e raccoglie insieme quelli che sonogarantiti e fissati cronologicamente dalla tradizione epi-grafica. Accenneremo a qualcuno di essi, espressamentequi ricordando la grande discrepanza dei dati delle fonti,l'attribuzione diversa di fatti a vari sovrani, l'incertezzacronologica; e non certo qui tenteremo un'armonia, fati-ca in buona parte inutile, essendo il nostro intento prin-cipalmente il rendere conto del complesso che ispira poiper sempre la tradizione araba. Così Africus (Ifriqūs), fi-glio di Abrahah Dhu’l-Manār, leggendario conquistatoredel continente che da lui fu chiamato Africa (Ifrīqiyah),allora dominata da un Girgīr, nome cristiano che difficil-mente si accorda con l'epoca di Giosuè alla quale è ri-portata l'impresa.145 E ancora in questa collezione di

144 La migliore esposizione del materiale tradizionale è quella del CAUSSIN, I;in Die Arabische Frage, pp. 480-498, il HARTMANN dà l'elenco dei Tubba‘secondo i due gruppi di fonti, da un lato il Kitāb al-ma‘ārif di Ibn Qutai-bah e il commento alla Qasīdah ḥimyariyyah usato dal KREMER in Die sü-darabische Sage, dall'altro aṭ-Ṭabarī secondo la tradizione di Ibn ‘Abbās;vi aggiunge la menzione dei Tubba‘ attestati dalle iscrizioni e su ognunoesercita una serrata critica. V. anche le osservazioni generali a pp. 38-48.Un poemetto attribuito, certo a torto, a Qudam ibn Qādim, un personaggioanch'egli connesso con la dinastia dei Tubba‘, è stato pubblicato, tradotto ecommentato da E. GRIFFINI in «Rivista degli Studi Orientali», VII, 1917,pp. 293-363. A questo riguardo G. OLINDER, The Kings of Kinda, p. 40,esprime scetticismo sulla corrispondenza dei Tubba‘ della Saga con quelliattestati dalle iscrizioni.

145 È invece il patrizio Gregorio, capo dell'Africa al momento della conquista

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ordine notevolmente diverso nei gruppi di fonti arabemusulmane e il Hartmann nella sua Frage, a cominciaredal Tubba‘ Yāsir, nel capitolo indicato qui in nota mettea confronto le differenti indicazioni,144 illustra ampia-mente i vari nomi e raccoglie insieme quelli che sonogarantiti e fissati cronologicamente dalla tradizione epi-grafica. Accenneremo a qualcuno di essi, espressamentequi ricordando la grande discrepanza dei dati delle fonti,l'attribuzione diversa di fatti a vari sovrani, l'incertezzacronologica; e non certo qui tenteremo un'armonia, fati-ca in buona parte inutile, essendo il nostro intento prin-cipalmente il rendere conto del complesso che ispira poiper sempre la tradizione araba. Così Africus (Ifriqūs), fi-glio di Abrahah Dhu’l-Manār, leggendario conquistatoredel continente che da lui fu chiamato Africa (Ifrīqiyah),allora dominata da un Girgīr, nome cristiano che difficil-mente si accorda con l'epoca di Giosuè alla quale è ri-portata l'impresa.145 E ancora in questa collezione di

144 La migliore esposizione del materiale tradizionale è quella del CAUSSIN, I;in Die Arabische Frage, pp. 480-498, il HARTMANN dà l'elenco dei Tubba‘secondo i due gruppi di fonti, da un lato il Kitāb al-ma‘ārif di Ibn Qutai-bah e il commento alla Qasīdah ḥimyariyyah usato dal KREMER in Die sü-darabische Sage, dall'altro aṭ-Ṭabarī secondo la tradizione di Ibn ‘Abbās;vi aggiunge la menzione dei Tubba‘ attestati dalle iscrizioni e su ognunoesercita una serrata critica. V. anche le osservazioni generali a pp. 38-48.Un poemetto attribuito, certo a torto, a Qudam ibn Qādim, un personaggioanch'egli connesso con la dinastia dei Tubba‘, è stato pubblicato, tradotto ecommentato da E. GRIFFINI in «Rivista degli Studi Orientali», VII, 1917,pp. 293-363. A questo riguardo G. OLINDER, The Kings of Kinda, p. 40,esprime scetticismo sulla corrispondenza dei Tubba‘ della Saga con quelliattestati dalle iscrizioni.

145 È invece il patrizio Gregorio, capo dell'Africa al momento della conquista

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asāṭīr al-awwalīn, Shuraḥbīl, nome che ha suono suda-rabico, e che sarebbe il fondatore del celebre castelloyemenico Ghumdān, e suo figlio Hadhād, dato ai piacerimondani, del quale si narra la meravigliosa storia delsuo matrimonio con la figlia del re dei ginn, da cui nac-que Bilqīs. Ed ecco Yāsir Yun‘im (v. Ṭabarī I, 684) checorrisponde senza dubbio allo Yasirum Yuhan‘um delleiscrizioni, da datarsi secondo esse verso il 270 d. C.; e diqui appare quanto sia fantastica la cronologia dellaSaga, che pensa per sovrani di epoca poco anteriore asincronismi impossibili come quello predetto di Giosuè(ed è quindi costretta a immaginare lunghissime duratedi regni). Yāsir Yun‘im avrebbe raggiunto il Maghrebfino alla Vallata delle Sabbie, Wādī ar-raml, ove nessu-no era mai giunto e dove sparì seppellita dalle sabbieuna sua truppa che aveva voluto passarlo. Secondo laleggenda il re fece innalzare sul fondo della valle unastatua di rame con scritto in carattere musnad (nome tra-dizionale con cui ci indicano la scrittura sudarabica):Laisa warāya madhhab, «oltre me non si può andare».Suo figlio Shamir Yur‘ish, che corrisponde a ShamirYuhar‘ish delle iscrizioni, da porsi verso il 280 d. C.,avrebbe fatto spedizione su Samarcanda, e la connessio-ne non viene che dalla somiglianza dei nomi, doveavrebbe elevato un tempio al Sole. Tubba‘ al-Aqran, omeglio «ibn al-Aqran», o Tubba‘ al-Akbar, «Tubba‘maggiore», sarebbe per alcuni il primo dei Tubba‘

musulmana sotto ᾽Uthmān: di qui si vedono i metodi seguiti da questacompilazione.

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asāṭīr al-awwalīn, Shuraḥbīl, nome che ha suono suda-rabico, e che sarebbe il fondatore del celebre castelloyemenico Ghumdān, e suo figlio Hadhād, dato ai piacerimondani, del quale si narra la meravigliosa storia delsuo matrimonio con la figlia del re dei ginn, da cui nac-que Bilqīs. Ed ecco Yāsir Yun‘im (v. Ṭabarī I, 684) checorrisponde senza dubbio allo Yasirum Yuhan‘um delleiscrizioni, da datarsi secondo esse verso il 270 d. C.; e diqui appare quanto sia fantastica la cronologia dellaSaga, che pensa per sovrani di epoca poco anteriore asincronismi impossibili come quello predetto di Giosuè(ed è quindi costretta a immaginare lunghissime duratedi regni). Yāsir Yun‘im avrebbe raggiunto il Maghrebfino alla Vallata delle Sabbie, Wādī ar-raml, ove nessu-no era mai giunto e dove sparì seppellita dalle sabbieuna sua truppa che aveva voluto passarlo. Secondo laleggenda il re fece innalzare sul fondo della valle unastatua di rame con scritto in carattere musnad (nome tra-dizionale con cui ci indicano la scrittura sudarabica):Laisa warāya madhhab, «oltre me non si può andare».Suo figlio Shamir Yur‘ish, che corrisponde a ShamirYuhar‘ish delle iscrizioni, da porsi verso il 280 d. C.,avrebbe fatto spedizione su Samarcanda, e la connessio-ne non viene che dalla somiglianza dei nomi, doveavrebbe elevato un tempio al Sole. Tubba‘ al-Aqran, omeglio «ibn al-Aqran», o Tubba‘ al-Akbar, «Tubba‘maggiore», sarebbe per alcuni il primo dei Tubba‘

musulmana sotto ᾽Uthmān: di qui si vedono i metodi seguiti da questacompilazione.

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(Arab. Frage, p. 483) e figlio di Abū Mālik Aqran figliodi Shamir, citato dal poeta al-A‘shā contemporaneo diMaometto (v. anche C. Ansaldi, Il Yemen, Roma, 1933,p. 61), e chiamato Dhu᾽l-Qarnain, «il Bicorne». A lui al-luderebbe il Corano (l'inserzione di lui nella Saga nonsarebbe secondo alcuni che lo sviluppo esegetico delpasso) mentre come è noto altri commentatori vedononel personaggio coranico Alessandro Magno. SecondoCaussin, poi (Essai, I, p. 65), Dhu’l-Qarnain sarebbe ilsuccessore di al-Ḥārith ar-Rā’ish. Il periodo di al-Aqranriceve importanza dal fatto che ad esso gli autori arabiriportano un avvenimento molto importante, l'emigra-zione, a causa della rottura della diga, della tribù degliAzd. Secondo qualche autore, tra cui Abulfeda e ad-Dimashqī, i capi di questa tribù, ‘Umrān e ‘Amr, avreb-bero avuto il regno comprandolo ad al-Aqran che poi loriacquistò. Secondo il Caussin si tratterebbe in questocaso, piuttosto che di usurpazione del regno, di ribellio-ni di capi beduini. ‘Amr, famosissimo in tutta la tradi-zione araba con il soprannome di Muzaigiyā’, di cui laleggenda ha immaginato bizzarre etimologie,146 sarebbeemigrato con la famiglia degli Azd, grande tribù bedui-na del Sud, verso il Nord. Il fatto ha duplice importanza,sebbene sia ben difficile stabilire e farne quadrare lacronologia: mostra da un lato l'aspetto delle perpetue re-lazioni tra sovrani del Yemen e beduini, che come quelletra centri e nomadi del Nord sono, si può dire, la ragione146 Ma troppo dotta sembra quella del NÖLDEKE, Die Ghassanischen Fürsten,

p. 5, nota 1.

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(Arab. Frage, p. 483) e figlio di Abū Mālik Aqran figliodi Shamir, citato dal poeta al-A‘shā contemporaneo diMaometto (v. anche C. Ansaldi, Il Yemen, Roma, 1933,p. 61), e chiamato Dhu᾽l-Qarnain, «il Bicorne». A lui al-luderebbe il Corano (l'inserzione di lui nella Saga nonsarebbe secondo alcuni che lo sviluppo esegetico delpasso) mentre come è noto altri commentatori vedononel personaggio coranico Alessandro Magno. SecondoCaussin, poi (Essai, I, p. 65), Dhu’l-Qarnain sarebbe ilsuccessore di al-Ḥārith ar-Rā’ish. Il periodo di al-Aqranriceve importanza dal fatto che ad esso gli autori arabiriportano un avvenimento molto importante, l'emigra-zione, a causa della rottura della diga, della tribù degliAzd. Secondo qualche autore, tra cui Abulfeda e ad-Dimashqī, i capi di questa tribù, ‘Umrān e ‘Amr, avreb-bero avuto il regno comprandolo ad al-Aqran che poi loriacquistò. Secondo il Caussin si tratterebbe in questocaso, piuttosto che di usurpazione del regno, di ribellio-ni di capi beduini. ‘Amr, famosissimo in tutta la tradi-zione araba con il soprannome di Muzaigiyā’, di cui laleggenda ha immaginato bizzarre etimologie,146 sarebbeemigrato con la famiglia degli Azd, grande tribù bedui-na del Sud, verso il Nord. Il fatto ha duplice importanza,sebbene sia ben difficile stabilire e farne quadrare lacronologia: mostra da un lato l'aspetto delle perpetue re-lazioni tra sovrani del Yemen e beduini, che come quelletra centri e nomadi del Nord sono, si può dire, la ragione146 Ma troppo dotta sembra quella del NÖLDEKE, Die Ghassanischen Fürsten,

p. 5, nota 1.

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principale della storia antica della penisola araba; e daun altro lato rappresenta uno di quei complessi movi-menti di beduini del Sud verso il Nord, che è ugualmen-te carattere essenziale di quella storia (v. qui sopra p.102). E sia o non sia in relazione con la rottura delladiga la emigrazione degli Azd, è un fatto difficilmentenegabile, concordemente ricordato dalla tradizione, e adesso si deve la configurazione etnografica di regioni in-tiere, come di Medina, dei regni di al-Ḥīrah e Ghassānecc.Il vero eroe della leggenda yemenica è Tubba‘ Abū Ka-rib, detto anche Tubba‘ al-Ausaṭ («il Medio»), e chiama-to con altri nomi, che corrisponde a Abi Karib As‘addelle iscrizioni, datato in esse del 430 circa e figlio se-condo la leggenda di Maliki Karib, o Kulai Karib, nipo-te di al-Aqran, che corrisponde a MalikyakrubYuha’min della tradizione epigrafica e che da sincroni-smo con le iscrizioni predette può attribuirsi al 360-430d. C.; la leggenda però (e il Caussin sulle sue orme) lomette, con evidenti errori cronologici, assai prima e p.es. in relazione con gli Arsacidi (Ṭabarī però (I, 685)con Bishtāsp e Ardashīr Bahman ibn Isfandiyār) e lo fagiungere ai monti dei Ṭayy’ e ad al-Hīrah. As‘ad fugrande conquistatore e insieme grande sapiente e astro-logo: secondo la saga penetrò nella Caldea, tra i Turchi,in Cina, sottomise il Ḥigiāz. E la pia fraus musulmanaha molto da raccontare sull'assedio di Yathrib, per esem-pio, città che egli volle distruggere per vendetta

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principale della storia antica della penisola araba; e daun altro lato rappresenta uno di quei complessi movi-menti di beduini del Sud verso il Nord, che è ugualmen-te carattere essenziale di quella storia (v. qui sopra p.102). E sia o non sia in relazione con la rottura delladiga la emigrazione degli Azd, è un fatto difficilmentenegabile, concordemente ricordato dalla tradizione, e adesso si deve la configurazione etnografica di regioni in-tiere, come di Medina, dei regni di al-Ḥīrah e Ghassānecc.Il vero eroe della leggenda yemenica è Tubba‘ Abū Ka-rib, detto anche Tubba‘ al-Ausaṭ («il Medio»), e chiama-to con altri nomi, che corrisponde a Abi Karib As‘addelle iscrizioni, datato in esse del 430 circa e figlio se-condo la leggenda di Maliki Karib, o Kulai Karib, nipo-te di al-Aqran, che corrisponde a MalikyakrubYuha’min della tradizione epigrafica e che da sincroni-smo con le iscrizioni predette può attribuirsi al 360-430d. C.; la leggenda però (e il Caussin sulle sue orme) lomette, con evidenti errori cronologici, assai prima e p.es. in relazione con gli Arsacidi (Ṭabarī però (I, 685)con Bishtāsp e Ardashīr Bahman ibn Isfandiyār) e lo fagiungere ai monti dei Ṭayy’ e ad al-Hīrah. As‘ad fugrande conquistatore e insieme grande sapiente e astro-logo: secondo la saga penetrò nella Caldea, tra i Turchi,in Cina, sottomise il Ḥigiāz. E la pia fraus musulmanaha molto da raccontare sull'assedio di Yathrib, per esem-pio, città che egli volle distruggere per vendetta

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dell'uccisione di un suo figlio; ma due dotti rabbini delletribù giudee di Yathrib lo avvertono del castigo terribilea cui si sarebbe esposto perché quella città era destinataad essere ricetto di un Profeta che doveva apparirenell'ultimo tempo. Tubba‘ As‘ad colpito dalla predizio-ne rinuncia al progetto, si converte anzi al Giudaismocon tutto l'esercito e si fa accompagnare dai due rabbiniverso il Yemen. Passando per la Mecca, traditori dellatribù degli Hudhailiti vogliono indurlo a spogliare laKa‘bah, sapendo bene che l'ira divina si sarebbe abbat-tuta su di lui; ma i saggi rabbini lo avvertono ancora, glidicono che il tempio è del padre Abramo, profanatoperò dagli idoli; e allora Tubba‘ As‘ad, pieno di reveren-za per l'augusto luogo, fa il giro della Ka‘bah con la te-sta rasata, secondo il rito, sacrifica vittime e dà offerte,ricopre l'edificio di stoffe preziose, obbliga i Giurhum,che allora l'avevano, a purificarlo e ritorna con i fedelirabbini al Yemen.147 E il Yemen volle anche convertireal Giudaismo e ai sudditi ritrosi propone una prova delfuoco, il quale naturalmente divora i campioni ḥimyariticon i loro idoli e lascia intatti i rabbini con i loro libri.Onde conversione di molti Ḥimyariti al Giudaismo.E questo si narra qui perché resti ben chiaro il senso diconnessione che la tradizione rivela sempre con l'anti-chità yemenita, elemento inscindibile dall'Arabismo; maanche perché appaia di qual cumulo di favole sia intes-suta la Saga, le quali, insieme con gli elementi storici

147 Ottima esposizione in Ibn Khaldūn, II, p. 59; Ṭabarī, I, p. 901 e segg.

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dell'uccisione di un suo figlio; ma due dotti rabbini delletribù giudee di Yathrib lo avvertono del castigo terribilea cui si sarebbe esposto perché quella città era destinataad essere ricetto di un Profeta che doveva apparirenell'ultimo tempo. Tubba‘ As‘ad colpito dalla predizio-ne rinuncia al progetto, si converte anzi al Giudaismocon tutto l'esercito e si fa accompagnare dai due rabbiniverso il Yemen. Passando per la Mecca, traditori dellatribù degli Hudhailiti vogliono indurlo a spogliare laKa‘bah, sapendo bene che l'ira divina si sarebbe abbat-tuta su di lui; ma i saggi rabbini lo avvertono ancora, glidicono che il tempio è del padre Abramo, profanatoperò dagli idoli; e allora Tubba‘ As‘ad, pieno di reveren-za per l'augusto luogo, fa il giro della Ka‘bah con la te-sta rasata, secondo il rito, sacrifica vittime e dà offerte,ricopre l'edificio di stoffe preziose, obbliga i Giurhum,che allora l'avevano, a purificarlo e ritorna con i fedelirabbini al Yemen.147 E il Yemen volle anche convertireal Giudaismo e ai sudditi ritrosi propone una prova delfuoco, il quale naturalmente divora i campioni ḥimyariticon i loro idoli e lascia intatti i rabbini con i loro libri.Onde conversione di molti Ḥimyariti al Giudaismo.E questo si narra qui perché resti ben chiaro il senso diconnessione che la tradizione rivela sempre con l'anti-chità yemenita, elemento inscindibile dall'Arabismo; maanche perché appaia di qual cumulo di favole sia intes-suta la Saga, le quali, insieme con gli elementi storici

147 Ottima esposizione in Ibn Khaldūn, II, p. 59; Ṭabarī, I, p. 901 e segg.

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che le corrispondenze con le iscrizioni fanno innegabili,formano la vera natura di questa leggenda: non dimenti-ca delle vere glorie, espressione del vanto di stirpe, mainsieme documento della «Lust zum Fabulieren» e dellanecessità della pia fraus religiosa e della armonisticacon le esigenze religiose in cui partecipano anche glielementi giudaici.Fra i monumenti poetici più notevoli ispirati da questociclo di racconti148 è la poesia che il Nicholson chiamagiustamente «ballata», la quale racconta le avventure delTubba‘ As‘ad e il suo meraviglioso incontro con trestreghe che gli predicono l'avvenire.149 La ballata, e an-che il testamento naturalmente apocrifo del Tubba‘ asuo figlio Ḥassān sono redatti in lingua e metro classicie hanno, come tutta questa poesia sorta sì più tardi maancora nutrita di spirito antico, un certo andare epico, einsieme un sì composto e dignitoso rimpianto del passa-to e senso della caducità umana che possono figurare trai migliori prodotti della letteratura araba. Infatti questatradizione è sempre presente a letterati e poeti lungo losviluppo secolare di essa; e gravemente errerebbe chinon tenesse continuamente presente a definire il verosenso di arabismo questa che è leggenda in ordine alla

148 La maggior parte tradotti dal Kremer, che ne pubblicò anche il testo (v. so-pra, p. 79 nota 2 [nota 99 in questa edizione elettronica Manuzio]). La tra-dizione sa anche riferire una poesia in arabo (!) dello stesso Tubba‘, in cuiriporta l'avventura di Medina (Ṭabarī, I, pp. 906-908).

149 La «ballata», già tradotta dal KREMER, Die südarabische Sage, pp. 78-81, èstata resa in fluidi versi inglesi da R. A. NICHOLSON, A literary history ofthe Arabs, pp. 19-21.

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che le corrispondenze con le iscrizioni fanno innegabili,formano la vera natura di questa leggenda: non dimenti-ca delle vere glorie, espressione del vanto di stirpe, mainsieme documento della «Lust zum Fabulieren» e dellanecessità della pia fraus religiosa e della armonisticacon le esigenze religiose in cui partecipano anche glielementi giudaici.Fra i monumenti poetici più notevoli ispirati da questociclo di racconti148 è la poesia che il Nicholson chiamagiustamente «ballata», la quale racconta le avventure delTubba‘ As‘ad e il suo meraviglioso incontro con trestreghe che gli predicono l'avvenire.149 La ballata, e an-che il testamento naturalmente apocrifo del Tubba‘ asuo figlio Ḥassān sono redatti in lingua e metro classicie hanno, come tutta questa poesia sorta sì più tardi maancora nutrita di spirito antico, un certo andare epico, einsieme un sì composto e dignitoso rimpianto del passa-to e senso della caducità umana che possono figurare trai migliori prodotti della letteratura araba. Infatti questatradizione è sempre presente a letterati e poeti lungo losviluppo secolare di essa; e gravemente errerebbe chinon tenesse continuamente presente a definire il verosenso di arabismo questa che è leggenda in ordine alla

148 La maggior parte tradotti dal Kremer, che ne pubblicò anche il testo (v. so-pra, p. 79 nota 2 [nota 99 in questa edizione elettronica Manuzio]). La tra-dizione sa anche riferire una poesia in arabo (!) dello stesso Tubba‘, in cuiriporta l'avventura di Medina (Ṭabarī, I, pp. 906-908).

149 La «ballata», già tradotta dal KREMER, Die südarabische Sage, pp. 78-81, èstata resa in fluidi versi inglesi da R. A. NICHOLSON, A literary history ofthe Arabs, pp. 19-21.

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realtà storica ma realtà viva in ordine alla formazionedella coscienza nazionale.La figura di Tubba‘ As‘ad Abū Karib del cui ricordo èpieno il Yemen è rievocata ancora oggi dalla fantasiapopolare tra le rovine della sua cittā Ẓafār; egli morì se-condo la leggenda nella conquista dell'India; secondo unaltro racconto fu assassinato.Dopo As‘ad Abū Karib dicono alcune fonti che il regnosarebbe passato di nuovo a beduini figli di Kahlān con acapo Rabì‘ah ibn Naṣr, che poi regnarono ad al-Ḥīrah;nella storia di questa città noi ne riparleremo. Si fa cen-no di ciò anche qui poiché tale tradizione alla quale ilHartmann (Frage, p. 489) non è disposto ad accordarfede appare invece singolarmente interessante come al-tro documento della continua collaborazione, sia pure informa di lotta tra sedentari e beduini, così tipica per lastoria dell'Arabia e dello Yemen, e nello stesso tempocome una delle indicazioni delle relazioni tra regni arabidel Nord, come al-Ḥīrah, e vita del Sud yemenita: docu-mento che va sì sottoposto a vigile critica, ma non maitrascurato per ricostruire nella sua vera linea la forma-zione della cultura araba (vedi qui sopra p. 102).Rabī‘ah, che secondo lo stesso Caussin non deve essereritenuto come vero e proprio re della serie yemenita,ma, come anche ‘Amr Muzaigiyā’, uno dei Qail o Dhū,o principi locali, in ribellione in seguito a miracolosa vi-sione a lui spiegata da due indovini rimasti famosi nellatradizione, Shiqq e Saṭīḥ (che avrebbero predetto l'inva-

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realtà storica ma realtà viva in ordine alla formazionedella coscienza nazionale.La figura di Tubba‘ As‘ad Abū Karib del cui ricordo èpieno il Yemen è rievocata ancora oggi dalla fantasiapopolare tra le rovine della sua cittā Ẓafār; egli morì se-condo la leggenda nella conquista dell'India; secondo unaltro racconto fu assassinato.Dopo As‘ad Abū Karib dicono alcune fonti che il regnosarebbe passato di nuovo a beduini figli di Kahlān con acapo Rabì‘ah ibn Naṣr, che poi regnarono ad al-Ḥīrah;nella storia di questa città noi ne riparleremo. Si fa cen-no di ciò anche qui poiché tale tradizione alla quale ilHartmann (Frage, p. 489) non è disposto ad accordarfede appare invece singolarmente interessante come al-tro documento della continua collaborazione, sia pure informa di lotta tra sedentari e beduini, così tipica per lastoria dell'Arabia e dello Yemen, e nello stesso tempocome una delle indicazioni delle relazioni tra regni arabidel Nord, come al-Ḥīrah, e vita del Sud yemenita: docu-mento che va sì sottoposto a vigile critica, ma non maitrascurato per ricostruire nella sua vera linea la forma-zione della cultura araba (vedi qui sopra p. 102).Rabī‘ah, che secondo lo stesso Caussin non deve essereritenuto come vero e proprio re della serie yemenita,ma, come anche ‘Amr Muzaigiyā’, uno dei Qail o Dhū,o principi locali, in ribellione in seguito a miracolosa vi-sione a lui spiegata da due indovini rimasti famosi nellatradizione, Shiqq e Saṭīḥ (che avrebbero predetto l'inva-

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sione degli Abissini nel Yemen, poi la loro caduta e lavenuta di Maometto), emigrò con i suoi nell'‘Irāq,150 oveda suo figlio ‘Ādī sarebbe originata la dinastia di al-Ḥīrah. Il Caussin crede probabile che la tradizione lakh-mita abbia voluto mascherare con la miracolosa visionela vera causa dell'emigrazione verso il 205 di Cristo,mentre noi abbiamo già veduto che i sincronismi con idati delle iscrizioni sembrano porre l'epoca di Tubba‘As‘ad fra la seconda metà del secolo IV e la prima delV, quando il regno di al-Ḥīrah, come tra l'altro è dimo-strato dall'iscrizione di Nemārah, era già in fiore. Vi ècioè tra l'indicazione dell'epoca di Rabī‘ah nella Saga,dopo As‘ad Abù Karib, i sincronismi assicurati dalleiscrizioni sudarabiche, e i dati, di cui alcuni sicuri, per lacronologia del regno di al-Ḥīrah, una serie di incon-gruenze, che sarebbe troppo semplice eliminare soppri-mendo il dato della tradizione e che considereremo bre-vemente ancora trattando di al-Ḥīrah.Sotto il Tubba‘ Ḥassān, figlio di Abū Karib, che corri-sponderebbe a Shuraḥbi’īl Ya ‘fur, di cui abbiamo docu-menti del 448 e 451 (occorre anche notare che egliavrebbe dato una sua figlia per sposa al re dei Kindah,Ākil al-Murār), i Giadīs sono completamente distrutti (v.sopra p. 77 ove è riferita la leggenda di Zarqā’ al-Yamā-mah); la Yamāmah, restata deserta per la distruzione deiGiadīs, fu poi, secondo la tradizione, occupata dai Banū

150 Su questa parte v. anche G. ROTHSTEIN, Die Dynastie der Laḫmiden in al-Ḥīrah, p. 39.

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sione degli Abissini nel Yemen, poi la loro caduta e lavenuta di Maometto), emigrò con i suoi nell'‘Irāq,150 oveda suo figlio ‘Ādī sarebbe originata la dinastia di al-Ḥīrah. Il Caussin crede probabile che la tradizione lakh-mita abbia voluto mascherare con la miracolosa visionela vera causa dell'emigrazione verso il 205 di Cristo,mentre noi abbiamo già veduto che i sincronismi con idati delle iscrizioni sembrano porre l'epoca di Tubba‘As‘ad fra la seconda metà del secolo IV e la prima delV, quando il regno di al-Ḥīrah, come tra l'altro è dimo-strato dall'iscrizione di Nemārah, era già in fiore. Vi ècioè tra l'indicazione dell'epoca di Rabī‘ah nella Saga,dopo As‘ad Abù Karib, i sincronismi assicurati dalleiscrizioni sudarabiche, e i dati, di cui alcuni sicuri, per lacronologia del regno di al-Ḥīrah, una serie di incon-gruenze, che sarebbe troppo semplice eliminare soppri-mendo il dato della tradizione e che considereremo bre-vemente ancora trattando di al-Ḥīrah.Sotto il Tubba‘ Ḥassān, figlio di Abū Karib, che corri-sponderebbe a Shuraḥbi’īl Ya ‘fur, di cui abbiamo docu-menti del 448 e 451 (occorre anche notare che egliavrebbe dato una sua figlia per sposa al re dei Kindah,Ākil al-Murār), i Giadīs sono completamente distrutti (v.sopra p. 77 ove è riferita la leggenda di Zarqā’ al-Yamā-mah); la Yamāmah, restata deserta per la distruzione deiGiadīs, fu poi, secondo la tradizione, occupata dai Banū

150 Su questa parte v. anche G. ROTHSTEIN, Die Dynastie der Laḫmiden in al-Ḥīrah, p. 39.

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Ḥanīfah, della grande tribù dei Bakr. Al periodo di Ḥas-sān è anche attribuita l'emigrazione dei Banū Ṭayy’ iquali, rimasti isolati dopo la predetta emigrazione degliAzd, volgono anch'essi verso il Nord. Anche qui la leg-genda intesse le sue fantasie: uno stallone veniva ognianno a fecondare le loro cammelle, ed essi, sicuri dellasua provenienza da un paese più felice, lo seguono fin-ché finalmente giungono alle loro sedi storiche, le duemontagne di Agia’ e Salmā, donde scacciano i BanūAs‘ad.Come si vede, la tradizione, sotto la veste della leggen-da, si preoccupa molto di tali migrazioni; e non invanopoiché esse sono la chiave della storia d'Arabia. Ed èper questo che qui non si rifugge dall'accennare a taliracconti qualunque siano le riserve che si debbano farecirca la loro attendibilità.Ḥassān, per congiura di capi malcontenti delle faticosespedizioni a cui li costringeva, è assassinato da suo fra-tello ‘Amr, il cui ricordo nella tradizione moraleggiantevale come esempio per la punizione dell'iniquo. Egli in-fatti è per castigo celeste colpito da malattia e i suoi dueappellativi, al-Mauthabān e Dhu’l‘Awad, sono riferiti atale circostanza, essendo il primo interpretato nel sensodi «colui che è costretto a rimaner seduto» (mentre inrealtà il nome ricorda uno dei consueti nomi di famigliaformati con il preformativo Dhū) e il secondo spiegatocome «l'uomo dal giaciglio» poiché non poteva muover-si se non trasportato sopra un lettuccio. Così è nota la

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Ḥanīfah, della grande tribù dei Bakr. Al periodo di Ḥas-sān è anche attribuita l'emigrazione dei Banū Ṭayy’ iquali, rimasti isolati dopo la predetta emigrazione degliAzd, volgono anch'essi verso il Nord. Anche qui la leg-genda intesse le sue fantasie: uno stallone veniva ognianno a fecondare le loro cammelle, ed essi, sicuri dellasua provenienza da un paese più felice, lo seguono fin-ché finalmente giungono alle loro sedi storiche, le duemontagne di Agia’ e Salmā, donde scacciano i BanūAs‘ad.Come si vede, la tradizione, sotto la veste della leggen-da, si preoccupa molto di tali migrazioni; e non invanopoiché esse sono la chiave della storia d'Arabia. Ed èper questo che qui non si rifugge dall'accennare a taliracconti qualunque siano le riserve che si debbano farecirca la loro attendibilità.Ḥassān, per congiura di capi malcontenti delle faticosespedizioni a cui li costringeva, è assassinato da suo fra-tello ‘Amr, il cui ricordo nella tradizione moraleggiantevale come esempio per la punizione dell'iniquo. Egli in-fatti è per castigo celeste colpito da malattia e i suoi dueappellativi, al-Mauthabān e Dhu’l‘Awad, sono riferiti atale circostanza, essendo il primo interpretato nel sensodi «colui che è costretto a rimaner seduto» (mentre inrealtà il nome ricorda uno dei consueti nomi di famigliaformati con il preformativo Dhū) e il secondo spiegatocome «l'uomo dal giaciglio» poiché non poteva muover-si se non trasportato sopra un lettuccio. Così è nota la

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storia di Dhū Ru‘ain che ha invece il premio della suarettitudine, poiché, unico a sconsigliare il misfatto madestinato ugualmente dal re a morire con gli altri istiga-tori, riesce a mostrare la sua innocenza per mezzo di undocumento mentre, nello sgomento per l'ira divina, ave-va dimenticato la sua vera condotta; ed ha salva la vita.Con ‘Amr, secondo alcune fonti, finisce la serie dei Ta-bābi‘ah (secondo altri durata fino a Dhū Nuwās) e i so-vrani seguenti non sono più rivestiti di quell'autorità.Quattro suoi figli, di cui la tradizione non dà i nomi,marciano contro la Mecca per prender la pietra nera, masono sconfitti dai Banū Kinānah, il cui capo Fihr ibnMālik è uno degli antenati di Maometto. Dopo segue ilgoverno di una loro sorella che per la sua condotta sa-rebbe poi stata uccisa dai Yemeniti. Tali condizioni, cheappaiono nella tradizione, sembrano convenire alla reg-genza che segue e che la tradizione stessa attribuisce a‘Abd Kulāl, figlio per alcune fonti di ‘Amr al-Mautha-bān che si sarebbe fatto cristiano nelle mani d'un Siria-no: gli Ḥimyariti indignati dalla conversione si ribellanoe lo uccidono. ‘Abd Kulāl è personaggio certamente sto-rico; e da collocarsi forse verso il 458 dopo Cristo (e delresto procedendo la cronologia tradizionale si avvicinaalla verità) poiché una iscrizione di quella data nominaun ‘Abdu Kulālum che il Hartmann stesso suppone siada identificare con il reggente. Il Griffini a sua volta loidentifica con il leggendario Qudam ibn Qādim, a cui latradizione attribuisce una famosa qaṣīdah sulla saga ye-

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storia di Dhū Ru‘ain che ha invece il premio della suarettitudine, poiché, unico a sconsigliare il misfatto madestinato ugualmente dal re a morire con gli altri istiga-tori, riesce a mostrare la sua innocenza per mezzo di undocumento mentre, nello sgomento per l'ira divina, ave-va dimenticato la sua vera condotta; ed ha salva la vita.Con ‘Amr, secondo alcune fonti, finisce la serie dei Ta-bābi‘ah (secondo altri durata fino a Dhū Nuwās) e i so-vrani seguenti non sono più rivestiti di quell'autorità.Quattro suoi figli, di cui la tradizione non dà i nomi,marciano contro la Mecca per prender la pietra nera, masono sconfitti dai Banū Kinānah, il cui capo Fihr ibnMālik è uno degli antenati di Maometto. Dopo segue ilgoverno di una loro sorella che per la sua condotta sa-rebbe poi stata uccisa dai Yemeniti. Tali condizioni, cheappaiono nella tradizione, sembrano convenire alla reg-genza che segue e che la tradizione stessa attribuisce a‘Abd Kulāl, figlio per alcune fonti di ‘Amr al-Mautha-bān che si sarebbe fatto cristiano nelle mani d'un Siria-no: gli Ḥimyariti indignati dalla conversione si ribellanoe lo uccidono. ‘Abd Kulāl è personaggio certamente sto-rico; e da collocarsi forse verso il 458 dopo Cristo (e delresto procedendo la cronologia tradizionale si avvicinaalla verità) poiché una iscrizione di quella data nominaun ‘Abdu Kulālum che il Hartmann stesso suppone siada identificare con il reggente. Il Griffini a sua volta loidentifica con il leggendario Qudam ibn Qādim, a cui latradizione attribuisce una famosa qaṣīdah sulla saga ye-

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menica, e la cui memoria era ancora viva nel Yemen,ove si onora oggi presso Ṣan‘ā᾽ un santuario sulla cimadel monte Dīn con la sua presunta tomba venerata comequella di un santo dagli Zaiditi.151

Tubba‘ al-Aṣghar («il Minore»), da identificare conShuraḥbi’īl Yakkuf, figlio del predetto Ḥassān, rapitodai «ginn» quando suo padre fu ucciso dal fratello, allamorte di ‘Abd Kulāl è fatto re; e secondo alcune fontisarebbe lui e non ‘Amr l'ultimo dei Tabābi‘ah; di lui, traaltri fatti che sono anche attribuiti a suo padre e perfinoad As‘ad Abū Karib, viene riferito dalla tradizione unospiccato favore per il Giudaismo la cui successiva pene-trazione nel Yemen è un fatto storicamente innegabile eche ha sua piena affermazione con il sovrano Dhū Nu-wās. Dopo altri re ancora, che non mette conto notarequi,152 un sovrano che la tradizione chiama Luḥai‘at Ya-nūf Dhū Shanātir avrebbe usurpato il regno: sarebbe, se-condo il Griffini,153 da identificarsi con il Luḥai‘at Yanūfdelle epigrafi (ove sono indicate le date del 467 e del500), figlio di Shuraḥbi’īl Yakkuf (Tubba‘ al-Asghar).

151 V. HARTMANN, Die Arabische Frage, pp. 292 e 486. Sull'edizione e tradu-zione del Griffini v. sopra, p. 110-111 nota 3. [Nota 144 di questa edizioneelettronica Manuzio]

152 È tra questi un terzo Ḥassān detto Dhū Ma‘āhir, che avrebbe dato per reagli ‘Adnān Ḥugr Ākil al-Murār, e sua figlia in sposa al figlio di questo; sene parla appresso a proposito del regno dei Kindah. Per altro egli sembraidentico a Ḥassān ibn ‘Ābd Kulāl.

153 A pp. 302-303 nell'articolo citato a nota 1, ma v. HARTMANN, Die arabischeFrage, p. 498 dove appare tutta la difficoltà di questa identificazione: Lu-hai‘at Yanūf, figlio di Shuraḥbīl Yakkuf (Tubba‘ al-Aṣghar Dhū Shanātir)sembra esser veramente un outsider (così dice anche il CAUSSIN).

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menica, e la cui memoria era ancora viva nel Yemen,ove si onora oggi presso Ṣan‘ā᾽ un santuario sulla cimadel monte Dīn con la sua presunta tomba venerata comequella di un santo dagli Zaiditi.151

Tubba‘ al-Aṣghar («il Minore»), da identificare conShuraḥbi’īl Yakkuf, figlio del predetto Ḥassān, rapitodai «ginn» quando suo padre fu ucciso dal fratello, allamorte di ‘Abd Kulāl è fatto re; e secondo alcune fontisarebbe lui e non ‘Amr l'ultimo dei Tabābi‘ah; di lui, traaltri fatti che sono anche attribuiti a suo padre e perfinoad As‘ad Abū Karib, viene riferito dalla tradizione unospiccato favore per il Giudaismo la cui successiva pene-trazione nel Yemen è un fatto storicamente innegabile eche ha sua piena affermazione con il sovrano Dhū Nu-wās. Dopo altri re ancora, che non mette conto notarequi,152 un sovrano che la tradizione chiama Luḥai‘at Ya-nūf Dhū Shanātir avrebbe usurpato il regno: sarebbe, se-condo il Griffini,153 da identificarsi con il Luḥai‘at Yanūfdelle epigrafi (ove sono indicate le date del 467 e del500), figlio di Shuraḥbi’īl Yakkuf (Tubba‘ al-Asghar).

151 V. HARTMANN, Die Arabische Frage, pp. 292 e 486. Sull'edizione e tradu-zione del Griffini v. sopra, p. 110-111 nota 3. [Nota 144 di questa edizioneelettronica Manuzio]

152 È tra questi un terzo Ḥassān detto Dhū Ma‘āhir, che avrebbe dato per reagli ‘Adnān Ḥugr Ākil al-Murār, e sua figlia in sposa al figlio di questo; sene parla appresso a proposito del regno dei Kindah. Per altro egli sembraidentico a Ḥassān ibn ‘Ābd Kulāl.

153 A pp. 302-303 nell'articolo citato a nota 1, ma v. HARTMANN, Die arabischeFrage, p. 498 dove appare tutta la difficoltà di questa identificazione: Lu-hai‘at Yanūf, figlio di Shuraḥbīl Yakkuf (Tubba‘ al-Aṣghar Dhū Shanātir)sembra esser veramente un outsider (così dice anche il CAUSSIN).

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Dhū Shanātir, che sembra invece indicare la sua prove-nienza da un'altra famiglia differente dalla reale, è spie-gato dalla ingenua etimologia della tradizione come«l'uomo con gli orecchini» per la sua abitudine di porta-re questo ornamento. La menzione di Dhū Shanātir èimportante, poiché Dhū Nuwās, il sovrano che ha tantaimportanza per la storia politica e religiosa, il persecuto-re dei cristiani di Nagrān, con cui entriamo in piena lucestorica, viene al trono con la soppressione dello stessoDhū Shanātir. Questi infatti, dopo un regno di dieci anniesercitato dal castello di Ghumdān a Ṣan‘ā᾽, comincia arendersi colpevole di eccessi tra cui la sodomia, dellaquale doveva esser vittima Dhū Nuwās stesso, rampollodella razza di As‘ad Abū Karib. Ucciso il re per sottrarsialla sua violenza, egli prende il trono, favorisce il Giu-daismo e tenta con la persecuzione chiamare ad essomolti cristiani.La persecuzione di Dhū Nuwās, come è stato già detto,è la causa dell'invasione abissina che sarebbe stata pro-mossa dall'imperatore Giustino al quale aveva esposto lamiseria dei cristiani e le terribili persecuzioni un princi-pe cristiano di Nagrān, Dhū Taulābān: fatto in cui appa-re la linea principale della politica estera del tempo.Così finisce, con la dominazione etiopica, il regno ḥi-myarita e solo Dhū Giadan tenta per qualche tempo resi-stere agli invasori. S'è già detto della spedizione del vi-ceré abissino Abrahah e del suo assedio alla Mecca. Se-gue la dominazione persiana; poi il racconto leggenda-

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Dhū Shanātir, che sembra invece indicare la sua prove-nienza da un'altra famiglia differente dalla reale, è spie-gato dalla ingenua etimologia della tradizione come«l'uomo con gli orecchini» per la sua abitudine di porta-re questo ornamento. La menzione di Dhū Shanātir èimportante, poiché Dhū Nuwās, il sovrano che ha tantaimportanza per la storia politica e religiosa, il persecuto-re dei cristiani di Nagrān, con cui entriamo in piena lucestorica, viene al trono con la soppressione dello stessoDhū Shanātir. Questi infatti, dopo un regno di dieci anniesercitato dal castello di Ghumdān a Ṣan‘ā᾽, comincia arendersi colpevole di eccessi tra cui la sodomia, dellaquale doveva esser vittima Dhū Nuwās stesso, rampollodella razza di As‘ad Abū Karib. Ucciso il re per sottrarsialla sua violenza, egli prende il trono, favorisce il Giu-daismo e tenta con la persecuzione chiamare ad essomolti cristiani.La persecuzione di Dhū Nuwās, come è stato già detto,è la causa dell'invasione abissina che sarebbe stata pro-mossa dall'imperatore Giustino al quale aveva esposto lamiseria dei cristiani e le terribili persecuzioni un princi-pe cristiano di Nagrān, Dhū Taulābān: fatto in cui appa-re la linea principale della politica estera del tempo.Così finisce, con la dominazione etiopica, il regno ḥi-myarita e solo Dhū Giadan tenta per qualche tempo resi-stere agli invasori. S'è già detto della spedizione del vi-ceré abissino Abrahah e del suo assedio alla Mecca. Se-gue la dominazione persiana; poi il racconto leggenda-

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rio della storia del Yemen si confonde con quelladell'Islam.Fin qui abbiamo considerato uno degli elementidell'antica tradizione araba, la quale ha tanto influitosullo sviluppo di quella cultura: la vita yemenita. Ma an-cora forse più importante è la tradizione che, varia nellesue manifestazioni e nelle sue forme, si è fissata a Norddello Yemen tra le popolazioni sedentarie e le tribù be-duine. Il sistema genealogico, specialmente del I-II se-colo, riconnette tutte queste tribù ad ‘Adnān e Ismaelesecondo la serie che esporremo nella parte concernentela Mecca. A questo proposito occorre subito osservareche l'indagine storica recente ha studiato molto davvici-no tale tradizione, ma ha troppo trascurato di guardareagli antichi regni arabi del Nord della penisola, i qualisono invece della più grande importanza, per rendersiconto di un fatto che può dirsi meraviglioso, vale a diredella maturità e della prontezza con la quale gli Arabi,di cui con insistenza a volte noiosa ci si ripete l'anticabarbarie, il costume nomade beduino, hanno saputo am-ministrare il loro impero fulmineamente conquistato. Esi dimentica che è appunto nelle formazioni statali, allequali si è accennato, che si è disegnato un primo iniziodi vita civile la quale molto ha influito sullo sviluppoposteriore della vita araba; ed è questa ipotesi che oc-correrà sempre più accuratamente fondare per avere unabase sicura di spiegazione dell'improvviso fiorire, sotto icaliffi ortodossi e poi sotto gli Ommiadi, di una vita ci-

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rio della storia del Yemen si confonde con quelladell'Islam.Fin qui abbiamo considerato uno degli elementidell'antica tradizione araba, la quale ha tanto influitosullo sviluppo di quella cultura: la vita yemenita. Ma an-cora forse più importante è la tradizione che, varia nellesue manifestazioni e nelle sue forme, si è fissata a Norddello Yemen tra le popolazioni sedentarie e le tribù be-duine. Il sistema genealogico, specialmente del I-II se-colo, riconnette tutte queste tribù ad ‘Adnān e Ismaelesecondo la serie che esporremo nella parte concernentela Mecca. A questo proposito occorre subito osservareche l'indagine storica recente ha studiato molto davvici-no tale tradizione, ma ha troppo trascurato di guardareagli antichi regni arabi del Nord della penisola, i qualisono invece della più grande importanza, per rendersiconto di un fatto che può dirsi meraviglioso, vale a diredella maturità e della prontezza con la quale gli Arabi,di cui con insistenza a volte noiosa ci si ripete l'anticabarbarie, il costume nomade beduino, hanno saputo am-ministrare il loro impero fulmineamente conquistato. Esi dimentica che è appunto nelle formazioni statali, allequali si è accennato, che si è disegnato un primo iniziodi vita civile la quale molto ha influito sullo sviluppoposteriore della vita araba; ed è questa ipotesi che oc-correrà sempre più accuratamente fondare per avere unabase sicura di spiegazione dell'improvviso fiorire, sotto icaliffi ortodossi e poi sotto gli Ommiadi, di una vita ci-

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vile riccamente articolata. Si deve cioè supporre che gliArabi, lungi dall'essersi limitati a prender parte alle for-me di vita beduina, per altro riguardo tanto importantecome diremo or ora, debbono aver avuto il loro sensopolitico dal diuturno contatto, oltre che con lo Yemen,con questi connazionali giunti a grado più elevato divita civile, contatto facilitato dai bisogni del commercio,giacché non bisogna dimenticare che per la maggiorparte quei centri dovettero la loro vita e il loro fiore allafunzione commerciale che essi esercitarono nell'econo-mia del mondo antico.154 Sarebbe urgente bisogno dellaricerca storica araba una monografia che studiasse nelloro complesso tutti i piccoli stati arabi formatisi lungotempo prima dell'Islam; oltre al-Ḥīrah e Ghassān, chesono stati più che gli altri studiati, Hatra, Gerra ecc. Masoprattutto sia detto questo del regno Nabateo la cui im-portanza per la comprensione di tutta la vita araba è in-credibilmente trascurata.155 E sì che l'origine della scrit-tura araba da quella nabatea è fatto sicuro che dà unchiaro indirizzo in questa direzione; quando ricerchesull'influenza delle forme costruttive nabatee su quellearabe avranno raggiunto una maggiore maturità si vedràancora più chiaro come sia grave errore il limitarsi nellostudio di questo grande complesso di fenomeni alla par-te puramente filologica. Nessuna cura è risparmiata pertrovare gli elementi di spiegazione di forme grammati-

154 M. ROSTOVTZEFF, Città carovaniere, trad. ital., Bari, Laterza, 1934.155 In Città carovaniere, p. 48, il ROSTOVTZEFF giustamente afferma che Petra

stessa possa dare un'idea della vita della Mecca.

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vile riccamente articolata. Si deve cioè supporre che gliArabi, lungi dall'essersi limitati a prender parte alle for-me di vita beduina, per altro riguardo tanto importantecome diremo or ora, debbono aver avuto il loro sensopolitico dal diuturno contatto, oltre che con lo Yemen,con questi connazionali giunti a grado più elevato divita civile, contatto facilitato dai bisogni del commercio,giacché non bisogna dimenticare che per la maggiorparte quei centri dovettero la loro vita e il loro fiore allafunzione commerciale che essi esercitarono nell'econo-mia del mondo antico.154 Sarebbe urgente bisogno dellaricerca storica araba una monografia che studiasse nelloro complesso tutti i piccoli stati arabi formatisi lungotempo prima dell'Islam; oltre al-Ḥīrah e Ghassān, chesono stati più che gli altri studiati, Hatra, Gerra ecc. Masoprattutto sia detto questo del regno Nabateo la cui im-portanza per la comprensione di tutta la vita araba è in-credibilmente trascurata.155 E sì che l'origine della scrit-tura araba da quella nabatea è fatto sicuro che dà unchiaro indirizzo in questa direzione; quando ricerchesull'influenza delle forme costruttive nabatee su quellearabe avranno raggiunto una maggiore maturità si vedràancora più chiaro come sia grave errore il limitarsi nellostudio di questo grande complesso di fenomeni alla par-te puramente filologica. Nessuna cura è risparmiata pertrovare gli elementi di spiegazione di forme grammati-

154 M. ROSTOVTZEFF, Città carovaniere, trad. ital., Bari, Laterza, 1934.155 In Città carovaniere, p. 48, il ROSTOVTZEFF giustamente afferma che Petra

stessa possa dare un'idea della vita della Mecca.

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cali o di nomi propri occorrenti in qualche iscrizione;cose certamente importantissime, ma che forse dovreb-bero cedere il passo a ricerche più d'insieme sul valoredella vita nabatea. E ciò sia anche detto per quanto con-cerne la vita della Mecca e dei Quraisciti, dei concittadi-ni cioè di Maometto dei quali è stata studiata a fondo lavita fino a soppesare i più piccoli dati delle fonti; manon si è pensato a indagare quali siano i veri rapporti diquella tribù con la vita nabatea e nessuno sa spiegarsi inqual modo il commercio di transito verso il Nord siapassato dalle mani dei Nabatei a quella dei Quraisciti; enon si è pensato neanche a indicare quale scuola deveessere stato il contatto dei Nabatei per tanti Arabi, aiquali la necessità della vita e le naturali capacità hannosuggerito di mettersi al servizio di essi. È da questi fat-tori così poco considerati che può essere sorgano ele-menti essenziali per spiegare il tormentoso problemadell'improvviso sviluppo delle migliori qualità direttiveda parte di tribù, alle quali la tradizionale vita nomadeaveva conferito ben altre disposizioni. Dal mirabile ac-cordo di questi due ordini di influssi, quello dei regniarabi e quello delle tribù, si materia la formula cheesprime il divenire che portò dalla vita primitiva degliArabi allo sviluppo del loro regno.In questo ordine esporremo qui qualche tratto della sto-ria dei regni di al-Ḥīrah e Ghassān che è stata già ogget-to di accurati studi, ma della quale sappiamo ben poco:accenneremo qui alle principali vicende e al significato

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cali o di nomi propri occorrenti in qualche iscrizione;cose certamente importantissime, ma che forse dovreb-bero cedere il passo a ricerche più d'insieme sul valoredella vita nabatea. E ciò sia anche detto per quanto con-cerne la vita della Mecca e dei Quraisciti, dei concittadi-ni cioè di Maometto dei quali è stata studiata a fondo lavita fino a soppesare i più piccoli dati delle fonti; manon si è pensato a indagare quali siano i veri rapporti diquella tribù con la vita nabatea e nessuno sa spiegarsi inqual modo il commercio di transito verso il Nord siapassato dalle mani dei Nabatei a quella dei Quraisciti; enon si è pensato neanche a indicare quale scuola deveessere stato il contatto dei Nabatei per tanti Arabi, aiquali la necessità della vita e le naturali capacità hannosuggerito di mettersi al servizio di essi. È da questi fat-tori così poco considerati che può essere sorgano ele-menti essenziali per spiegare il tormentoso problemadell'improvviso sviluppo delle migliori qualità direttiveda parte di tribù, alle quali la tradizionale vita nomadeaveva conferito ben altre disposizioni. Dal mirabile ac-cordo di questi due ordini di influssi, quello dei regniarabi e quello delle tribù, si materia la formula cheesprime il divenire che portò dalla vita primitiva degliArabi allo sviluppo del loro regno.In questo ordine esporremo qui qualche tratto della sto-ria dei regni di al-Ḥīrah e Ghassān che è stata già ogget-to di accurati studi, ma della quale sappiamo ben poco:accenneremo qui alle principali vicende e al significato

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della loro storia per la formazione della vita araba. Per iNabatei e altri regni dovremo limitarci a qualche cen-no.156

Ora ci conviene esaminare a fondo la vera e propria tra-dizione delle tribù arabe nomadi, dal cui seno sono usci-ti gli elementi protagonisti della storia di quel popolo;già noi dicemmo che il fatto da tener sempre presentenella considerazione della storia araba è l'osmosi delleenergie beduine con le ragioni di vita superiore maturatein seno alle formazioni sedentarie; in primo luogo neiregni a cui abbiamo accennato qui sopra, e quindi nellecittà sorte per ragioni agricole, commerciali e religiose,oppure politico-strategiche, come la Mecca e Medinadelle quali parleremo tracciando la biografia di Mao-metto.

156 [L'autore non ha poi redatto l'esposizione della storia dei regni dell'Arabiasettentrionale annunziata qui sopra. (Nota dell'editore)].

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della loro storia per la formazione della vita araba. Per iNabatei e altri regni dovremo limitarci a qualche cen-no.156

Ora ci conviene esaminare a fondo la vera e propria tra-dizione delle tribù arabe nomadi, dal cui seno sono usci-ti gli elementi protagonisti della storia di quel popolo;già noi dicemmo che il fatto da tener sempre presentenella considerazione della storia araba è l'osmosi delleenergie beduine con le ragioni di vita superiore maturatein seno alle formazioni sedentarie; in primo luogo neiregni a cui abbiamo accennato qui sopra, e quindi nellecittà sorte per ragioni agricole, commerciali e religiose,oppure politico-strategiche, come la Mecca e Medinadelle quali parleremo tracciando la biografia di Mao-metto.

156 [L'autore non ha poi redatto l'esposizione della storia dei regni dell'Arabiasettentrionale annunziata qui sopra. (Nota dell'editore)].

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IV.LA VITA DELLE ANTICHE

TRIBÙ BEDUINE.

Come dunque il contatto con le formazioni sedentarie hacertamente preparato gli Arabi alla loro missione politi-ca mondiale, il carattere individuale dei singoli, la lorovigoria morale si è formata senza dubbio alla tradizionedell'antica vita nomade, la quale con le sue asprezze e isuoi bisogni ha foggiato le tempre per la grande impresadella conquista. Occorre pertanto considerare da vicino,per la comprensione dell'antica storia araba, accanto allevicende yemenite e poi quelle delle formazioni sedenta-rie del Nord, le caratteristiche della vita beduina e so-prattutto quelle che hanno impresso negli Arabi un ca-rattere capace di perpetuarsi in tutta la vicenda storica.Da quanto abbiamo espresso nelle pagine precedenti ap-pare che nostra fonte per la conoscenza della vita bedui-na sono, accanto ai monumenti scritti e soprattuttoall'antica poesia e alle antiche narrazioni sulle vicendedelle tribù primitive, le descrizioni dei viaggiatori chespecialmente nell'ultimo secolo ci hanno dato un'ideaadeguata della vita dei beduini contemporanei, la quale,visto il carattere conservatore delle forme nomadi, pos-siamo trasportare anche ai tempi antichi. Alludo special-mente agli scritti del Burckhardt, del Musil, del Jaussene di altri ancora. E occorre dire che una ottima sintesidelle informazioni a nostra disposizione, oltre che nella

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IV.LA VITA DELLE ANTICHE

TRIBÙ BEDUINE.

Come dunque il contatto con le formazioni sedentarie hacertamente preparato gli Arabi alla loro missione politi-ca mondiale, il carattere individuale dei singoli, la lorovigoria morale si è formata senza dubbio alla tradizionedell'antica vita nomade, la quale con le sue asprezze e isuoi bisogni ha foggiato le tempre per la grande impresadella conquista. Occorre pertanto considerare da vicino,per la comprensione dell'antica storia araba, accanto allevicende yemenite e poi quelle delle formazioni sedenta-rie del Nord, le caratteristiche della vita beduina e so-prattutto quelle che hanno impresso negli Arabi un ca-rattere capace di perpetuarsi in tutta la vicenda storica.Da quanto abbiamo espresso nelle pagine precedenti ap-pare che nostra fonte per la conoscenza della vita bedui-na sono, accanto ai monumenti scritti e soprattuttoall'antica poesia e alle antiche narrazioni sulle vicendedelle tribù primitive, le descrizioni dei viaggiatori chespecialmente nell'ultimo secolo ci hanno dato un'ideaadeguata della vita dei beduini contemporanei, la quale,visto il carattere conservatore delle forme nomadi, pos-siamo trasportare anche ai tempi antichi. Alludo special-mente agli scritti del Burckhardt, del Musil, del Jaussene di altri ancora. E occorre dire che una ottima sintesidelle informazioni a nostra disposizione, oltre che nella

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parte relativa ai beduini del Berceau del Lammens, sitrova in un ben noto articolo del Nallino,157 il quale ri-guarda soprattutto la costituzione delle tribù; mentre noidovremo insistere specialmente sulla vita intellettuale ereligiosa e sulle dure condizioni di vita che hanno fog-giato il carattere degli Arabi. Il Nallino osserva anzituttoche gli antichi Arabi non conoscevano alcun organismopolitico al di fuori della tribù, collegata dalla coscienzadella discendenza d'un medesimo capostipite maschile estretta insieme dalla più viva solidarietà. Non era cono-sciuto in Arabia né il vero sovrano con poteri coercitiviche esiga obbedienza, né il capotribù del tipo di quellidei selvaggi, arbitro dei propri sudditi. Il capo arabo,che non ha titoli comportanti l'idea di comando, ha nor-malmente per suo nome quello di sayyid, che in originesignifica il parlatore, l'oratore, quegli che con la sua elo-quenza componeva i dissidi entro la tribù e ne difendevacon la parola gli interessi. Ciò che è interessante subitorilevare è che il nome di malik, che può ben tradursi«re», da significati derivanti da quello di «possessore»,era portato solo dai signori di Ghassān e al-Ḥīrah e daiprincipi ḥimyariti (detti localmente, come abbiamo vistoqui sopra, «tubba‘»), e che la dignità del sayyid era con-ferita per elezione e mai trasferita per eredità. Questacircostanza è molto importante poiché spiega con la for-za della tradizione nazionale il carattere del califfato neiprimi tempi; esso ha conservato in gran parte, special-157 C. A. NALLINO, Sulla costituzione delle tribù arabe prima dell'islamismo, in

Raccolta, III, pp. 64-86.

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parte relativa ai beduini del Berceau del Lammens, sitrova in un ben noto articolo del Nallino,157 il quale ri-guarda soprattutto la costituzione delle tribù; mentre noidovremo insistere specialmente sulla vita intellettuale ereligiosa e sulle dure condizioni di vita che hanno fog-giato il carattere degli Arabi. Il Nallino osserva anzituttoche gli antichi Arabi non conoscevano alcun organismopolitico al di fuori della tribù, collegata dalla coscienzadella discendenza d'un medesimo capostipite maschile estretta insieme dalla più viva solidarietà. Non era cono-sciuto in Arabia né il vero sovrano con poteri coercitiviche esiga obbedienza, né il capotribù del tipo di quellidei selvaggi, arbitro dei propri sudditi. Il capo arabo,che non ha titoli comportanti l'idea di comando, ha nor-malmente per suo nome quello di sayyid, che in originesignifica il parlatore, l'oratore, quegli che con la sua elo-quenza componeva i dissidi entro la tribù e ne difendevacon la parola gli interessi. Ciò che è interessante subitorilevare è che il nome di malik, che può ben tradursi«re», da significati derivanti da quello di «possessore»,era portato solo dai signori di Ghassān e al-Ḥīrah e daiprincipi ḥimyariti (detti localmente, come abbiamo vistoqui sopra, «tubba‘»), e che la dignità del sayyid era con-ferita per elezione e mai trasferita per eredità. Questacircostanza è molto importante poiché spiega con la for-za della tradizione nazionale il carattere del califfato neiprimi tempi; esso ha conservato in gran parte, special-157 C. A. NALLINO, Sulla costituzione delle tribù arabe prima dell'islamismo, in

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mente sotto i califfi ben diretti, l'impronta democraticarimasta anche sotto gli Ommiadi, con i quali però si af-fermò fin dal primo califfo, Mu‘āwiyah, il principio ere-ditario. Di tali elementi democratici non rimasero chepiccole tracce nel regime abbaside, il quale, come sarà asuo tempo spiegato, assunse dalle vicende della sua af-fermazione e dall'ambiente circostante un carattere didespotia del tutto alieno all'antico costume. L'anticocapo arabo aveva anche visibili distintivi della sua di-gnità nel turbante (‘imāmah), e il suo potere era limitatodalla deliberazione dell'assemblea della tribù, dinanzialla quale il capo non aveva che autorità morale e si li-mitava a dirigere e regolare la discussione; i principalinotabili della tribù, uomini liberi da molte generazioni,discendenti da illustri antenati, hanno una grande fun-zione sempre sotto l'autorità del capo, in modo che lacostituzione (cfr. il miswad sudarabico di cui si è dettosopra) per tale influenza dei rappresentanti delle miglio-ri famiglie assume anche una sfumatura aristocratica. Èpoi da notare che il sayyid non è necessariamente il capomilitare, e viceversa il comando in guerra viene assuntoanche per elezione da chi gli appaia più atto. Questo co-mando militare, la ri’āsah, diviene un diritto di un capoillustre a lui conferito dall'insieme delle tribù che si riu-niscono per spedizioni, ed anzi può avvenire che una tri-bù più potente delle altre conservi il diritto di ri’āsah,che comporta funzioni di rilievo non soltanto durante lacondotta delle operazioni, ma anche nella divisione del-la preda.

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mente sotto i califfi ben diretti, l'impronta democraticarimasta anche sotto gli Ommiadi, con i quali però si af-fermò fin dal primo califfo, Mu‘āwiyah, il principio ere-ditario. Di tali elementi democratici non rimasero chepiccole tracce nel regime abbaside, il quale, come sarà asuo tempo spiegato, assunse dalle vicende della sua af-fermazione e dall'ambiente circostante un carattere didespotia del tutto alieno all'antico costume. L'anticocapo arabo aveva anche visibili distintivi della sua di-gnità nel turbante (‘imāmah), e il suo potere era limitatodalla deliberazione dell'assemblea della tribù, dinanzialla quale il capo non aveva che autorità morale e si li-mitava a dirigere e regolare la discussione; i principalinotabili della tribù, uomini liberi da molte generazioni,discendenti da illustri antenati, hanno una grande fun-zione sempre sotto l'autorità del capo, in modo che lacostituzione (cfr. il miswad sudarabico di cui si è dettosopra) per tale influenza dei rappresentanti delle miglio-ri famiglie assume anche una sfumatura aristocratica. Èpoi da notare che il sayyid non è necessariamente il capomilitare, e viceversa il comando in guerra viene assuntoanche per elezione da chi gli appaia più atto. Questo co-mando militare, la ri’āsah, diviene un diritto di un capoillustre a lui conferito dall'insieme delle tribù che si riu-niscono per spedizioni, ed anzi può avvenire che una tri-bù più potente delle altre conservi il diritto di ri’āsah,che comporta funzioni di rilievo non soltanto durante lacondotta delle operazioni, ma anche nella divisione del-la preda.

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Altra carica importante nella tribù, capace di limitare ilpotere del capo, è quella del giudice o arbitro (ḥakam)di cui resta traccia nelle vicende dei primi tempi musul-mani; altro personaggio importante nella tribù, e la cuifunzione era di ordine puramente religioso, era il kāhin(= ebraico kōhēn) che potremmo tradurre con «l'indovi-no». Il responso del kāhin, regolarmente consultato neimomenti critici, per esempio anche in guerra, ed anchela persona stessa di lui erano circondati di molta rive-renza; e certo anche in questo è una limitazione del po-tere del sayyid. Un istituto antichissimo che ha poi lasua grande importanza nello sviluppo della vita arabaanche dopo l'uscita d'Arabia è quello della clientela, percui gli Arabi di altra stirpe si mettono sotto la protezionedi una tribù potente o addirittura di un personaggio, percui, mediante l'adozione, perfino uno schiavo poteva di-venire membro effettivo della tribù. Tale protezione as-sumeva anche il carattere di difesa per chiunque si sen-tisse perseguitato dai suoi compagni di tribù per qualchesuo atto di offesa contro di essa; il legame diveniva an-che ereditario in modo che lo straniero entrava nella tri-bù protettrice, alla quale con speciali riti si legava conalleanza. E questa è l'origine delle confederazioni di tri-bù che hanno avuto una grande importanza per tutta lastoria araba. E il Goldziher in un suo studio famoso sutale taḥāluf158 sostiene che da esso sorgono i grandi ag-gruppamenti di tribù arabe che hanno avuto parte pre-

158 I. GOLDZIHER, Muhammedanische Studien, I, Halle, 1889, pp. 63-69.

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Altra carica importante nella tribù, capace di limitare ilpotere del capo, è quella del giudice o arbitro (ḥakam)di cui resta traccia nelle vicende dei primi tempi musul-mani; altro personaggio importante nella tribù, e la cuifunzione era di ordine puramente religioso, era il kāhin(= ebraico kōhēn) che potremmo tradurre con «l'indovi-no». Il responso del kāhin, regolarmente consultato neimomenti critici, per esempio anche in guerra, ed anchela persona stessa di lui erano circondati di molta rive-renza; e certo anche in questo è una limitazione del po-tere del sayyid. Un istituto antichissimo che ha poi lasua grande importanza nello sviluppo della vita arabaanche dopo l'uscita d'Arabia è quello della clientela, percui gli Arabi di altra stirpe si mettono sotto la protezionedi una tribù potente o addirittura di un personaggio, percui, mediante l'adozione, perfino uno schiavo poteva di-venire membro effettivo della tribù. Tale protezione as-sumeva anche il carattere di difesa per chiunque si sen-tisse perseguitato dai suoi compagni di tribù per qualchesuo atto di offesa contro di essa; il legame diveniva an-che ereditario in modo che lo straniero entrava nella tri-bù protettrice, alla quale con speciali riti si legava conalleanza. E questa è l'origine delle confederazioni di tri-bù che hanno avuto una grande importanza per tutta lastoria araba. E il Goldziher in un suo studio famoso sutale taḥāluf158 sostiene che da esso sorgono i grandi ag-gruppamenti di tribù arabe che hanno avuto parte pre-

158 I. GOLDZIHER, Muhammedanische Studien, I, Halle, 1889, pp. 63-69.

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ponderante nello sviluppo della storia araba. Ricerca in-teressante, ma non per la comprensione delle vicendeulteriori della vita araba, argomento che sta soprattutto acuore a noi in questa sede, è quella sull'origine della de-nominazione delle varie tribù; quelle formate per taḥā-luf la prendevano dalla tribù maggiore o da un capomolto importante o anche dalla divinità, mentre le pic-cole tribù hanno generalmente il nome dall'ascendentecomune e si chiamano i Banū (= figli) di tale o tal altro,tipo di denominazione che passa anche alle grandi tribùformate per taḥāluf e che per finzione genealogica sichiamano tutte Banū di un preteso antenato comune. Maquesti ed altri particolari che si potrebbero addurre noninteressano specialmente qui, ove vogliamo notare cheal costume arabo derivano dalla vita antichissima delletribù sia alcune linee principali della costituzione politi-ca e sociale, sia – e questo è il punto che tratteremo quisotto – elementi della vita religiosa, e soprattutto unmodo di vita, una concezione dell'uomo che ha grandeimportanza per tutta la vita araba sino ad oggi, e le cuiradici si profondano nell'epoca eroica delle antiche tri-bù. Questa ha foggiato tipiche facoltà e disposizioni lequali ancor vive oggi son nutrite con la rievocazioneumanistica del tempo antico e sono l'orgoglio delle co-munità arabe che si richiamano al glorioso precedente,ed è, questo, metodo di educazione; ed infatti nellescuole secondarie dei paesi arabi più progrediti si propo-ne alla gioventù, come esempio di vita e come modelloletterario, l'insieme della vita preislamica con tutte le

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ponderante nello sviluppo della storia araba. Ricerca in-teressante, ma non per la comprensione delle vicendeulteriori della vita araba, argomento che sta soprattutto acuore a noi in questa sede, è quella sull'origine della de-nominazione delle varie tribù; quelle formate per taḥā-luf la prendevano dalla tribù maggiore o da un capomolto importante o anche dalla divinità, mentre le pic-cole tribù hanno generalmente il nome dall'ascendentecomune e si chiamano i Banū (= figli) di tale o tal altro,tipo di denominazione che passa anche alle grandi tribùformate per taḥāluf e che per finzione genealogica sichiamano tutte Banū di un preteso antenato comune. Maquesti ed altri particolari che si potrebbero addurre noninteressano specialmente qui, ove vogliamo notare cheal costume arabo derivano dalla vita antichissima delletribù sia alcune linee principali della costituzione politi-ca e sociale, sia – e questo è il punto che tratteremo quisotto – elementi della vita religiosa, e soprattutto unmodo di vita, una concezione dell'uomo che ha grandeimportanza per tutta la vita araba sino ad oggi, e le cuiradici si profondano nell'epoca eroica delle antiche tri-bù. Questa ha foggiato tipiche facoltà e disposizioni lequali ancor vive oggi son nutrite con la rievocazioneumanistica del tempo antico e sono l'orgoglio delle co-munità arabe che si richiamano al glorioso precedente,ed è, questo, metodo di educazione; ed infatti nellescuole secondarie dei paesi arabi più progrediti si propo-ne alla gioventù, come esempio di vita e come modelloletterario, l'insieme della vita preislamica con tutte le

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sue nobili qualità. Nell'educazione principesca fin daltempo degli Ommiadi159 si aveva cura di ricostruire di-nanzi ai figli dei Califfi l'immagine del tempo eroicopassato; e corrispondentemente nelle radunate di uominicolti, che i Califfi amavano chiamare intorno a sé, parteprincipale dei racconti e delle recitazioni poetiche con-cernevano appunto la vita preislamica. E non è neanchecaso che alcuna tra le più importanti raccolte di tale ma-teriale antico siano state composte per il piacere e l'edu-cazione di alti personaggi e ad essi dedicate. Di qui sivede come sia indispensabile allo storico, prima di se-guire la vita araba nei suoi sviluppi, ricomporre innanzia sé il quadro di quell'antico modo di vivere.Ci resta ora da accennare in brevissimi tratti le lineeprincipali di tale costume antico e il pregio delle suemanifestazioni letterarie. Come a fonte di tali disposi-zioni occorre da un lato guardare, senza certo cadere inmaterialistiche dottrine di razza, alle qualità innate diquella stirpe, e poi soprattutto al genere di vita che le tri-bù beduine sono state costrette dall'ambiente geograficoa condurre. Certo la lotta quotidiana contro l'avariziadella terra per strappare il sostentamento e, lato menoleggiadro, la triste necessità della guerra e della rapinahanno temprato in modo singolare quelle nature, hannoloro conferito una forza di sopportazione e di resistenza

159 Si veda quanto dice H. LAMMENS sull'educazione di Yazīd, il secondo deicaliffi ommiadi, in Études sur le règne du Calife omayyade Mo‘āwia Ier,Beyrouth, 1906, pg. 329-362 («Mélanges de la Faculté Orientale», III, pp.193-226).

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sue nobili qualità. Nell'educazione principesca fin daltempo degli Ommiadi159 si aveva cura di ricostruire di-nanzi ai figli dei Califfi l'immagine del tempo eroicopassato; e corrispondentemente nelle radunate di uominicolti, che i Califfi amavano chiamare intorno a sé, parteprincipale dei racconti e delle recitazioni poetiche con-cernevano appunto la vita preislamica. E non è neanchecaso che alcuna tra le più importanti raccolte di tale ma-teriale antico siano state composte per il piacere e l'edu-cazione di alti personaggi e ad essi dedicate. Di qui sivede come sia indispensabile allo storico, prima di se-guire la vita araba nei suoi sviluppi, ricomporre innanzia sé il quadro di quell'antico modo di vivere.Ci resta ora da accennare in brevissimi tratti le lineeprincipali di tale costume antico e il pregio delle suemanifestazioni letterarie. Come a fonte di tali disposi-zioni occorre da un lato guardare, senza certo cadere inmaterialistiche dottrine di razza, alle qualità innate diquella stirpe, e poi soprattutto al genere di vita che le tri-bù beduine sono state costrette dall'ambiente geograficoa condurre. Certo la lotta quotidiana contro l'avariziadella terra per strappare il sostentamento e, lato menoleggiadro, la triste necessità della guerra e della rapinahanno temprato in modo singolare quelle nature, hannoloro conferito una forza di sopportazione e di resistenza

159 Si veda quanto dice H. LAMMENS sull'educazione di Yazīd, il secondo deicaliffi ommiadi, in Études sur le règne du Calife omayyade Mo‘āwia Ier,Beyrouth, 1906, pg. 329-362 («Mélanges de la Faculté Orientale», III, pp.193-226).

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che è poi stata feconda di molti risultati nelle vicendesuccessive degli Arabi. La stessa costituzione tribalizia,il senso di fratellanza e di orgoglio comune che si è na-turalmente sviluppato dentro le singole unità, hannopromosso una naturale fierezza e insieme una viva soli-darietà che il famoso storico arabo Ibn Khaldūn ha rias-sunto nella parola ‘aṣabiyyah che noi potremmo renderecon l'espressione «spirito di corpo». Da questo insiemesi sviluppa facilmente un ideale di umanità, in cui entra-no egualmente il coraggio, la generosità; e si aggiungache l'ospitalità e la fede alla parola data al rifugiato sonoproprie non solo di questa ma anche di altre formazionietniche primitive. Considerando poi che è innata negliArabi, e fin da tempo antico, la disposizione al giustosentenziare e al facondo parlare e che una ispirazionepoetica ha saputo, entro gli schemi di una lingua ricca ebene articolata, disporre il frutto di un'acuta facoltà diosservazione, si comporrà dinanzi a noi l'immaginedell'uomo arabo modello, che continuamente risuscitatodal culto per l'antica letteratura è stato creduto degnissi-mo d'imitazione, base di un vero e proprio umanismo ilcui valore non deve mai perdere di vista chi vuol farestoria di Arabi. E invano vari scrittori160 hanno volutoinsistere sulla barbarie di questi beduini, trascurandocosì il valore dell'arabismo, che bisogna tener ben pre-160 Così il LAMMENS nel suo Berceau de l'Islam e F. NAU, Les Arabes chrétiens

de Mésopotamie et de Syrie (v. sopra, p. 52 nota 1 [nota 52 in questa edi-zione elettronica Manuzio]). Ma v. M. GUIDI, Trois conférences sur quel-ques problèms généraux de l'Orientalisme, in «Annuaire de l'Institut dePhilologie et d'Histoire Orientales», III, 1935, pp. 185-86.

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che è poi stata feconda di molti risultati nelle vicendesuccessive degli Arabi. La stessa costituzione tribalizia,il senso di fratellanza e di orgoglio comune che si è na-turalmente sviluppato dentro le singole unità, hannopromosso una naturale fierezza e insieme una viva soli-darietà che il famoso storico arabo Ibn Khaldūn ha rias-sunto nella parola ‘aṣabiyyah che noi potremmo renderecon l'espressione «spirito di corpo». Da questo insiemesi sviluppa facilmente un ideale di umanità, in cui entra-no egualmente il coraggio, la generosità; e si aggiungache l'ospitalità e la fede alla parola data al rifugiato sonoproprie non solo di questa ma anche di altre formazionietniche primitive. Considerando poi che è innata negliArabi, e fin da tempo antico, la disposizione al giustosentenziare e al facondo parlare e che una ispirazionepoetica ha saputo, entro gli schemi di una lingua ricca ebene articolata, disporre il frutto di un'acuta facoltà diosservazione, si comporrà dinanzi a noi l'immaginedell'uomo arabo modello, che continuamente risuscitatodal culto per l'antica letteratura è stato creduto degnissi-mo d'imitazione, base di un vero e proprio umanismo ilcui valore non deve mai perdere di vista chi vuol farestoria di Arabi. E invano vari scrittori160 hanno volutoinsistere sulla barbarie di questi beduini, trascurandocosì il valore dell'arabismo, che bisogna tener ben pre-160 Così il LAMMENS nel suo Berceau de l'Islam e F. NAU, Les Arabes chrétiens

de Mésopotamie et de Syrie (v. sopra, p. 52 nota 1 [nota 52 in questa edi-zione elettronica Manuzio]). Ma v. M. GUIDI, Trois conférences sur quel-ques problèms généraux de l'Orientalisme, in «Annuaire de l'Institut dePhilologie et d'Histoire Orientales», III, 1935, pp. 185-86.

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sente perfino nel ricostruire l'opera di Maometto, il qua-le, se pure chiamato a rinnovare l'ordine antico, ha cer-tamente, e lo vedremo a suo tempo, preso ispirazionedal valore arabo che gli appariva in singolare rilievo inoccasione dell'affluire alla Mecca delle tribù di ogni par-te di Arabia; egli ha certamente inteso in quelle occasio-ni non solo il valore intrinseco dell'arabicità e la sua di-gnità, ma anche il bisogno di unione in popolo di queiframmenti disgregati nella costituzione centrifuga delletribù.Con questo noi siamo in possesso degli elementi chepensiamo siano stati attivi nel formare l'uomo arabo,quale lo vediamo lanciato alla conquista prima del Vici-no Oriente, poi dell'intero bacino Mediterraneo e delMedio Oriente; quale lo vediamo atto non solo al reggi-mento di sì grande impero, ma alla costituzione di unacultura mondiale, i cui caratteri dovremo esaminare afondo in appresso. Questi elementi sono, lo ripetiamo,l'antica tradizione yemenita, la vita dei centri sedentaridel Nord, l'arabismo maturatosi soprattutto in seno alletribù nomadi. Quando un uomo di genio, Maometto, sa-prà imprimere a questo insieme di fattori la forza in-comparabile che scaturisce dall'entusiasmo religioso, gliArabi troveranno la via della conquista; e in nome delleloro tradizioni e dei nuovi schemi segnati dalla rivela-zione coranica creeranno una nuova formula che, affer-matasi e consolidatasi, costituirà un nuovo aspetto fon-damentale della storia del mondo. La loro facoltà di as-

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sente perfino nel ricostruire l'opera di Maometto, il qua-le, se pure chiamato a rinnovare l'ordine antico, ha cer-tamente, e lo vedremo a suo tempo, preso ispirazionedal valore arabo che gli appariva in singolare rilievo inoccasione dell'affluire alla Mecca delle tribù di ogni par-te di Arabia; egli ha certamente inteso in quelle occasio-ni non solo il valore intrinseco dell'arabicità e la sua di-gnità, ma anche il bisogno di unione in popolo di queiframmenti disgregati nella costituzione centrifuga delletribù.Con questo noi siamo in possesso degli elementi chepensiamo siano stati attivi nel formare l'uomo arabo,quale lo vediamo lanciato alla conquista prima del Vici-no Oriente, poi dell'intero bacino Mediterraneo e delMedio Oriente; quale lo vediamo atto non solo al reggi-mento di sì grande impero, ma alla costituzione di unacultura mondiale, i cui caratteri dovremo esaminare afondo in appresso. Questi elementi sono, lo ripetiamo,l'antica tradizione yemenita, la vita dei centri sedentaridel Nord, l'arabismo maturatosi soprattutto in seno alletribù nomadi. Quando un uomo di genio, Maometto, sa-prà imprimere a questo insieme di fattori la forza in-comparabile che scaturisce dall'entusiasmo religioso, gliArabi troveranno la via della conquista; e in nome delleloro tradizioni e dei nuovi schemi segnati dalla rivela-zione coranica creeranno una nuova formula che, affer-matasi e consolidatasi, costituirà un nuovo aspetto fon-damentale della storia del mondo. La loro facoltà di as-

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similazione già notata li assisterà poi nell'assorbire dallesuperiori civiltà dei paesi conquistati quegli elementiche, fusi con la precedente tradizione araba, reagirannoefficacemente, sicché ne uscirà più completamente ma-nifesta la cultura araba che avremo cura di chiarire inseguito.Ma per apprezzare nel suo intimo valore il nuovo ele-mento religioso noi dobbiamo, prima di affrontare ilproblema della personalità di Maometto, vedere qualierano i fattori attivi in Arabia nel periodo di formazionedel Profeta. Ci conviene cioè, anzitutto, esaminare la re-ligione araba del tempo preislamico, la quale ha lasciatotraccia nell'animo di Maometto e ha costituito una predi-sposizione di tutta la massa, della quale il Profeta, nellasua singolare accortezza politica, non ha potuto non te-ner conto. Dovremo poi considerare quali voci di altrereligioni giungessero in Arabia; ed esaminare anzituttoil problema della diffusione del Giudaismo, Cristianesi-mo e Manicheismo nella penisola, e le possibili relazio-ni con centri organizzati, specialmente di Cristianesimo.La religione preislamica che impresse nell'animo diMaometto il primo sigillo può definirsi un polidemoni-smo con elementi feticistici (litolatria) e animistici (spe-cialmente nel culto di fonti o di alberi, e demonismo).Alcuni decenni fa aveva molto favore la dottrina svilup-pata specialmente dal Robertson Smith, secondo la qua-le nella religione preislamica devesi riconoscere unaviva vena di totemismo. Argomento principale per que-

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similazione già notata li assisterà poi nell'assorbire dallesuperiori civiltà dei paesi conquistati quegli elementiche, fusi con la precedente tradizione araba, reagirannoefficacemente, sicché ne uscirà più completamente ma-nifesta la cultura araba che avremo cura di chiarire inseguito.Ma per apprezzare nel suo intimo valore il nuovo ele-mento religioso noi dobbiamo, prima di affrontare ilproblema della personalità di Maometto, vedere qualierano i fattori attivi in Arabia nel periodo di formazionedel Profeta. Ci conviene cioè, anzitutto, esaminare la re-ligione araba del tempo preislamico, la quale ha lasciatotraccia nell'animo di Maometto e ha costituito una predi-sposizione di tutta la massa, della quale il Profeta, nellasua singolare accortezza politica, non ha potuto non te-ner conto. Dovremo poi considerare quali voci di altrereligioni giungessero in Arabia; ed esaminare anzituttoil problema della diffusione del Giudaismo, Cristianesi-mo e Manicheismo nella penisola, e le possibili relazio-ni con centri organizzati, specialmente di Cristianesimo.La religione preislamica che impresse nell'animo diMaometto il primo sigillo può definirsi un polidemoni-smo con elementi feticistici (litolatria) e animistici (spe-cialmente nel culto di fonti o di alberi, e demonismo).Alcuni decenni fa aveva molto favore la dottrina svilup-pata specialmente dal Robertson Smith, secondo la qua-le nella religione preislamica devesi riconoscere unaviva vena di totemismo. Argomento principale per que-

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sta teoria erano i nomi di animali con i quali prendevanodesignazione molte tribù, che avrebbero riconosciutonel rispettivo animale il totem della tribù stessa. Ma oraper i vari argomenti generali che hanno in genere infir-mato le posizioni della teoria totemistica, e per argo-menti più propri all'ambiente arabo, tale teoria godemolto minor favore. Come è naturale, considerata l'areaisolata in cui è sorta, l'antica religione araba conservamolti caratteri delle antiche religioni semitiche;161 puòanzi dirsi che essa è una delle principali manifestazionidi quelle e pertanto del maggiore interesse per gli storicidella religione e per i biblisti. Carattere che occorre su-bito notare è che il pantheon, assai vario e numeroso,non è comune alla grande varietà di tribù arabe, allaquale abbiamo accennato qui sopra; s'intende poi che lareligione del Yemen e le sue singole divinità sono pro-fondamente distinte, come in genere tutte le manifesta-zioni della vita, da quelle proprie all'Arabia del Nord. Enotiamo fin da ora che molte tribù, fin dal periodo ante-riore a Maometto, erano già cristiane, convertite dallamissione siriaca, mentre sia il proselitismo e sia l'aggre-gazione per taḥāluf a tribù ebraiche avevano ampiamen-te diffuso il Giudaismo nel Yemen e nell'Arabia delNord. Altro fatto da tener sempre presente è la prevalen-za, in una o in gruppi di tribù, di divinità, le quali tutta-via per il prestigio dei santuari, mèta di pellegrinaggio,

161 W. ROBERTSON SMITH, The Religion of the Semites; M.-J. LAGRANGE, Étudessur les Religions sémitiques; D. NIELSEN, Der Dreieinige Gott (cfr. sopra, p.94 nota e 96 nota). [Note 119 e 120 di questa edizione elettronica]

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sta teoria erano i nomi di animali con i quali prendevanodesignazione molte tribù, che avrebbero riconosciutonel rispettivo animale il totem della tribù stessa. Ma oraper i vari argomenti generali che hanno in genere infir-mato le posizioni della teoria totemistica, e per argo-menti più propri all'ambiente arabo, tale teoria godemolto minor favore. Come è naturale, considerata l'areaisolata in cui è sorta, l'antica religione araba conservamolti caratteri delle antiche religioni semitiche;161 puòanzi dirsi che essa è una delle principali manifestazionidi quelle e pertanto del maggiore interesse per gli storicidella religione e per i biblisti. Carattere che occorre su-bito notare è che il pantheon, assai vario e numeroso,non è comune alla grande varietà di tribù arabe, allaquale abbiamo accennato qui sopra; s'intende poi che lareligione del Yemen e le sue singole divinità sono pro-fondamente distinte, come in genere tutte le manifesta-zioni della vita, da quelle proprie all'Arabia del Nord. Enotiamo fin da ora che molte tribù, fin dal periodo ante-riore a Maometto, erano già cristiane, convertite dallamissione siriaca, mentre sia il proselitismo e sia l'aggre-gazione per taḥāluf a tribù ebraiche avevano ampiamen-te diffuso il Giudaismo nel Yemen e nell'Arabia delNord. Altro fatto da tener sempre presente è la prevalen-za, in una o in gruppi di tribù, di divinità, le quali tutta-via per il prestigio dei santuari, mèta di pellegrinaggio,

161 W. ROBERTSON SMITH, The Religion of the Semites; M.-J. LAGRANGE, Étudessur les Religions sémitiques; D. NIELSEN, Der Dreieinige Gott (cfr. sopra, p.94 nota e 96 nota). [Note 119 e 120 di questa edizione elettronica]

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divenivano oggetto di venerazione anche al di fuori del-la tribù, e in parti differenti di Arabia. Così avviene checon il procedere del tempo e in ogni modo da quandonoi abbiamo notizie più abbondanti dalle nostre fontisulla vita degli Arabi (e cioè qualche secolo prima diMaometto) quella relazione del dio verso la tribù comesuo proprio protettore e progenitore, la quale è propriadelle origini e si conserva presso altri popoli semitici,non è più stretta e costante; dimodoché il particolarismoetnico cede man mano a una tendenza di senso opposto,a quella cioè che spinge a trascendere i limiti della tribùper dare alla figura divina un valore più universale; pro-cesso che nel linguaggio della storia delle religioni siusa chiamare enoteistico e che è stato, per la coscienzadi Maometto, lo stadio precedente a quello monoteisti-co. Ciò tanto più in quanto è la figura di Allāh che perquesta via ha assunto valore comune in varie tribùdell'Arabia pagana.Le antiche divinità pagane arabe sono di varia origine enatura; ed è certo esagerata ed unilaterale la opinioneche l'antica religione semitica fosse di natura unicamen-te astrale; ma che tra gli Arabi si adorassero corpi celestiè certo, sia per la testimonianza di alcuni nomi teofori(‘Abd ash-Shāriq, ‘Abd Shams, ecc.) e sia per il fattoanche che alcune divinità la cui venerazione è panarabi-ca sono da identificarsi con astri.162 Così Allāt, letteral-

162 Per tutto ciò cf. R. DUSSAUD, Les Arabes en Syrie avant l'Islam, Paris,1907, fondato soprattutto sulle iscrizioni ṣafaitiche da lui scoperte.

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divenivano oggetto di venerazione anche al di fuori del-la tribù, e in parti differenti di Arabia. Così avviene checon il procedere del tempo e in ogni modo da quandonoi abbiamo notizie più abbondanti dalle nostre fontisulla vita degli Arabi (e cioè qualche secolo prima diMaometto) quella relazione del dio verso la tribù comesuo proprio protettore e progenitore, la quale è propriadelle origini e si conserva presso altri popoli semitici,non è più stretta e costante; dimodoché il particolarismoetnico cede man mano a una tendenza di senso opposto,a quella cioè che spinge a trascendere i limiti della tribùper dare alla figura divina un valore più universale; pro-cesso che nel linguaggio della storia delle religioni siusa chiamare enoteistico e che è stato, per la coscienzadi Maometto, lo stadio precedente a quello monoteisti-co. Ciò tanto più in quanto è la figura di Allāh che perquesta via ha assunto valore comune in varie tribùdell'Arabia pagana.Le antiche divinità pagane arabe sono di varia origine enatura; ed è certo esagerata ed unilaterale la opinioneche l'antica religione semitica fosse di natura unicamen-te astrale; ma che tra gli Arabi si adorassero corpi celestiè certo, sia per la testimonianza di alcuni nomi teofori(‘Abd ash-Shāriq, ‘Abd Shams, ecc.) e sia per il fattoanche che alcune divinità la cui venerazione è panarabi-ca sono da identificarsi con astri.162 Così Allāt, letteral-

162 Per tutto ciò cf. R. DUSSAUD, Les Arabes en Syrie avant l'Islam, Paris,1907, fondato soprattutto sulle iscrizioni ṣafaitiche da lui scoperte.

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mente «la dea», la dea semitica, è quasi sicuramente daidentificarsi con il sole, citata anche da Erodoto nellaforma Alilat e da lui resa con «Ouraníe». Il culto di Dhu’sh-Sharā (Dusares), assai vivo tra i Nabatei (Petra) e iPalmireni, ha elementi solari. Venerata in tutta Arabia èal-‘Uzzā, «la gloriosissima» che è senza dubbio il piane-ta Venere. Secondo altri tanto Allāt quanto al-‘Uzzāsono da identificarsi con la grande dea pansemitica. Delculto della luna, che fu certamente adorata come in altripaesi semitici, non abbiamo traccia sicura presso gli an-tichi Arabi del Nord; e ciò sottrae ogni solida base allateoria del Nielsen, che vede nell'antico dio lunare degliArabi l'origine dell'antico monoteismo semitico e cri-stiano. Altri nomi teofori e l'analogia di altre religionisemitiche ci dànno indizio dell'adorazione di altri corpicelesti. Dio del temporale e della pioggia è Quzaḥ; unacerimonia ancor oggi in uso durante il pellegrinaggiomusulmano, e cioè l'accensione di fuochi nel passaggioper Muzdalifah, è forse ricordo del suo culto.Altre divinità non sono che personificazioni di ideeastratte, come Manāt, la terza delle grandi divinità fem-minili dell'Arabia, che è il Fato, la «moira», così Sa‘d, laFortuna, Ruḍā, la Benignità (forse dal nome eufemisticodato al potere maligno), Wadd (assai venerato presso iSudarabici), l'amore e la benevolenza. Non mancanopersone divine con nomi di animali ed altre che conser-vano meglio nel nome il ricordo della loro qualità diprotettrici delle tribù (come «il dio di Rabī‘ah» per cui

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mente «la dea», la dea semitica, è quasi sicuramente daidentificarsi con il sole, citata anche da Erodoto nellaforma Alilat e da lui resa con «Ouraníe». Il culto di Dhu’sh-Sharā (Dusares), assai vivo tra i Nabatei (Petra) e iPalmireni, ha elementi solari. Venerata in tutta Arabia èal-‘Uzzā, «la gloriosissima» che è senza dubbio il piane-ta Venere. Secondo altri tanto Allāt quanto al-‘Uzzāsono da identificarsi con la grande dea pansemitica. Delculto della luna, che fu certamente adorata come in altripaesi semitici, non abbiamo traccia sicura presso gli an-tichi Arabi del Nord; e ciò sottrae ogni solida base allateoria del Nielsen, che vede nell'antico dio lunare degliArabi l'origine dell'antico monoteismo semitico e cri-stiano. Altri nomi teofori e l'analogia di altre religionisemitiche ci dànno indizio dell'adorazione di altri corpicelesti. Dio del temporale e della pioggia è Quzaḥ; unacerimonia ancor oggi in uso durante il pellegrinaggiomusulmano, e cioè l'accensione di fuochi nel passaggioper Muzdalifah, è forse ricordo del suo culto.Altre divinità non sono che personificazioni di ideeastratte, come Manāt, la terza delle grandi divinità fem-minili dell'Arabia, che è il Fato, la «moira», così Sa‘d, laFortuna, Ruḍā, la Benignità (forse dal nome eufemisticodato al potere maligno), Wadd (assai venerato presso iSudarabici), l'amore e la benevolenza. Non mancanopersone divine con nomi di animali ed altre che conser-vano meglio nel nome il ricordo della loro qualità diprotettrici delle tribù (come «il dio di Rabī‘ah» per cui

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fa giuramento un celebre poeta arabo, Muhalhil ibnRabī‘ah, alludendo forse non al dio di suo padre, ma aquello dell'intero gruppo dei Rabī‘ah). È probabile chela forma speciale della religione araba sia dovutaall'influsso di concezioni o figure proprie di altri paesicome la Babilonia e il Yemen e giunte agli Arabi dopola separazione dal ceppo semitico. È essenziale notareche per naturale oblio si perde la consapevolezza delleorigini delle divinità tali quali le abbiamo indicate quisopra; e che conseguentemente prende tutto il rilievo laconcezione che vede nelle divinità esseri potenti, protet-tori e abitatori del luogo e del santuario in cui amanomanifestarsi (Ba‘al). Abbiamo già indicato il processoper cui il prestigio di alcune di esse si diffonde oltre i li-miti della tribù e del centro della loro venerazione, inmodo che il loro culto diviene panarabo: altre manife-stazioni di quella tendenza all'unità che appare chiara-mente in ogni aspetto del fenomeno arabo.Così è accaduto che Allāt, al-‘Uzzā, Manāt e i loro san-tuari, e inoltre il gruppo delle divinità meccane, sono di-venuti oggetto di venerazione generale e mèta comunedi pellegrinaggio. Vari indizi sicuri attestano poi che unafigura divina, Allāh, ha prevalso presso gli Arabi chenaturalmente hanno conservato anche il culto tradizio-nale degli altri dèi e loro idoli. Una ipotesi assai diffusasuppone che tale prevalenza possa essere avvenuta attra-verso l'apposizione dell'epiteto «il dio» alle maggiori di-vinità e specialmente a Hubal, l'idolo contenuto nella

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fa giuramento un celebre poeta arabo, Muhalhil ibnRabī‘ah, alludendo forse non al dio di suo padre, ma aquello dell'intero gruppo dei Rabī‘ah). È probabile chela forma speciale della religione araba sia dovutaall'influsso di concezioni o figure proprie di altri paesicome la Babilonia e il Yemen e giunte agli Arabi dopola separazione dal ceppo semitico. È essenziale notareche per naturale oblio si perde la consapevolezza delleorigini delle divinità tali quali le abbiamo indicate quisopra; e che conseguentemente prende tutto il rilievo laconcezione che vede nelle divinità esseri potenti, protet-tori e abitatori del luogo e del santuario in cui amanomanifestarsi (Ba‘al). Abbiamo già indicato il processoper cui il prestigio di alcune di esse si diffonde oltre i li-miti della tribù e del centro della loro venerazione, inmodo che il loro culto diviene panarabo: altre manife-stazioni di quella tendenza all'unità che appare chiara-mente in ogni aspetto del fenomeno arabo.Così è accaduto che Allāt, al-‘Uzzā, Manāt e i loro san-tuari, e inoltre il gruppo delle divinità meccane, sono di-venuti oggetto di venerazione generale e mèta comunedi pellegrinaggio. Vari indizi sicuri attestano poi che unafigura divina, Allāh, ha prevalso presso gli Arabi chenaturalmente hanno conservato anche il culto tradizio-nale degli altri dèi e loro idoli. Una ipotesi assai diffusasuppone che tale prevalenza possa essere avvenuta attra-verso l'apposizione dell'epiteto «il dio» alle maggiori di-vinità e specialmente a Hubal, l'idolo contenuto nella

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Ka‘bah della Mecca e oggetto di comune venerazione.Ma v'ha invece chi si domanda in relazione a una notateoria di storia religiosa se anche gli Arabi antichi nonavessero la concezione di un dio celeste superiore aglialtri dèi, depositario e garante delle regole di legge e dimorale. Tale figura si sarebbe conservata nelle singoletribù accanto alle divinità locali. Forse anche si fuse conil nume prevalente del luogo, come per esempio conHubal alla Mecca.È anche opinione assai diffusa che tale idea di Allāh ab-bia servito come introduzione al concetto islamico diDio; il Nöldeke giunge ad affermare che senza di essaMaometto non sarebbe mai divenuto predicatore delmonoteismo. Ma non bisogna neanche dimenticare ilgrande influsso esercitato da Allāh, nome dato al som-mo reggitore da giudei e da cristiani, della cui presenzain Arabia e del cui influsso sulle concezioni del Profetafaremo or ora parola; da quella concezione infinitamen-te superiore è venuta la forza veramente attiva del pro-cesso religioso che ha portato alla formazionedell'Islam. Tale nuova concezione ha profondamenteimpressionato l'animo di Maometto, la cui originalitàconsiste essenzialmente nell'avere egli saputo inserirel'idea dell'Allāh giudeo-cristiano e l'insieme dell'altramateria straniera entro un quadro genuinamente arabo,ispirato alla tradizione nazionale. Vi è insomma tra reli-gione araba antica e islam una frattura, una vera e pro-pria metànoia di cui l'escatologia, ignota agli Arabi, è

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Ka‘bah della Mecca e oggetto di comune venerazione.Ma v'ha invece chi si domanda in relazione a una notateoria di storia religiosa se anche gli Arabi antichi nonavessero la concezione di un dio celeste superiore aglialtri dèi, depositario e garante delle regole di legge e dimorale. Tale figura si sarebbe conservata nelle singoletribù accanto alle divinità locali. Forse anche si fuse conil nume prevalente del luogo, come per esempio conHubal alla Mecca.È anche opinione assai diffusa che tale idea di Allāh ab-bia servito come introduzione al concetto islamico diDio; il Nöldeke giunge ad affermare che senza di essaMaometto non sarebbe mai divenuto predicatore delmonoteismo. Ma non bisogna neanche dimenticare ilgrande influsso esercitato da Allāh, nome dato al som-mo reggitore da giudei e da cristiani, della cui presenzain Arabia e del cui influsso sulle concezioni del Profetafaremo or ora parola; da quella concezione infinitamen-te superiore è venuta la forza veramente attiva del pro-cesso religioso che ha portato alla formazionedell'Islam. Tale nuova concezione ha profondamenteimpressionato l'animo di Maometto, la cui originalitàconsiste essenzialmente nell'avere egli saputo inserirel'idea dell'Allāh giudeo-cristiano e l'insieme dell'altramateria straniera entro un quadro genuinamente arabo,ispirato alla tradizione nazionale. Vi è insomma tra reli-gione araba antica e islam una frattura, una vera e pro-pria metànoia di cui l'escatologia, ignota agli Arabi, è

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uno dei più importanti aspetti, e dinnanzi a tale metàno-ia scolora il precedente arabo. In ogni modo stabiliregiustamente il rapporto fra religione vecchia e nuova,fra tradizione e rivoluzione, sembra il compito più inte-ressante che sorge dall'elenco dei dati su quella religioneormai morta.Ricorderemo infine, perché ciò è importante in relazioneal carattere ricettivo di tutta la vita araba, che la tradizio-ne ci parla concordemente di un gruppo di divinità real-mente adorate in Arabia e che rimonterebbero al tempodi Noè, tra esse cinque idoli di cui il già menzionatoWadd, Ya‘ūq, Yaghūth, Suwā‘, Nasr. Un tale ‘Amr ibnLuḥayy, della tribù dei Khuzā‘ah, la quale tenne per uncerto tempo la città, li avrebbe portati alla Mecca dallaSiria. Si ricordi a questo proposito che la parola arabaper idolo, ṣanam, ci riporta all'aramaico ṣalm. AncheHubal, il dio più venerato della Mecca, è attribuito a taleorigine forestiera e sembra fosse rappresentato da unidolo dentro la Ka‘bah. Ma più generalmente le divinitàarabe antiche erano adorate sotto forma di pietre (l'altraparola araba per idolo, wathan, sembra indicare più pro-priamente una pietra), come massi di varia dimensione efigure o stele o piccoli obelischi che, piuttosto che rap-presentare il dio, erano creduti esser pervasi dal suo spi-rito, esser segno del suo luogo di frequentazione, oveegli volentieri scendeva a prendere venerazione, offertee preghiere dai suoi fedeli. Come in altre religioni, tro-viamo nell'araba traccia del culto di coppie divine; Allāh

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uno dei più importanti aspetti, e dinnanzi a tale metàno-ia scolora il precedente arabo. In ogni modo stabiliregiustamente il rapporto fra religione vecchia e nuova,fra tradizione e rivoluzione, sembra il compito più inte-ressante che sorge dall'elenco dei dati su quella religioneormai morta.Ricorderemo infine, perché ciò è importante in relazioneal carattere ricettivo di tutta la vita araba, che la tradizio-ne ci parla concordemente di un gruppo di divinità real-mente adorate in Arabia e che rimonterebbero al tempodi Noè, tra esse cinque idoli di cui il già menzionatoWadd, Ya‘ūq, Yaghūth, Suwā‘, Nasr. Un tale ‘Amr ibnLuḥayy, della tribù dei Khuzā‘ah, la quale tenne per uncerto tempo la città, li avrebbe portati alla Mecca dallaSiria. Si ricordi a questo proposito che la parola arabaper idolo, ṣanam, ci riporta all'aramaico ṣalm. AncheHubal, il dio più venerato della Mecca, è attribuito a taleorigine forestiera e sembra fosse rappresentato da unidolo dentro la Ka‘bah. Ma più generalmente le divinitàarabe antiche erano adorate sotto forma di pietre (l'altraparola araba per idolo, wathan, sembra indicare più pro-priamente una pietra), come massi di varia dimensione efigure o stele o piccoli obelischi che, piuttosto che rap-presentare il dio, erano creduti esser pervasi dal suo spi-rito, esser segno del suo luogo di frequentazione, oveegli volentieri scendeva a prendere venerazione, offertee preghiere dai suoi fedeli. Come in altre religioni, tro-viamo nell'araba traccia del culto di coppie divine; Allāh

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è messo in relazione con Allāt, e si ricorda di Isāf eNā’ilah, due divinità della Mecca, il peccato sessualecommesso nel tempio, la loro conversione in pietra perpunizione del sacrilegio. Nel Corano poi formano triadele tre grandi divinità femminili già indicate: Allāt,al-‘Uzzā, al-Manāt; e il Corano stesso ricorda la deno-minazione di figlie di Allāh ad esse data dai Meccani;denominazione però che probabilmente indica solo lanatura di divinità femminile o forse solo un rapporto diaffinità e subordinazione ad Allāh. Oltre alle pietre era-no oggetto e luogo di venerazione alberi piantati nei re-cinti sacri e fonti che furono spesso il primo nucleo disantuari (come Zamzam alla Mecca) e grotte sacre.Gli Arabi antichi credevano anche ad esseri demonici ri-tenuti dimorare specialmente in luoghi deserti e manife-starsi in serpenti o rettili in genere; per lo più anonimi, adifferenza degli dèi, ed anche a volta di natura maligna,come la Ghūl, orrendo mostro femminile divoratore deipassanti. Sopravvive ancora oggi tale credenza nei ginnnella religione islamica. È anzi una caratteristica assainotevole della mentalità dei popoli musulmani.Ma più che la figura delle varie divinità hanno avuto unreale influsso sulla pratica religiosa musulmana, attra-verso l'elaborazione di Maometto, alcune forme di culto.Nell'antichità araba presso i nomadi il feticcio era porta-to in una tenda di cuoio rosso nella quale era venerato eseguiva anche la tribù nelle sue battaglie; ciò di cui nonresta alcuna traccia nell'Islam. Ma vi erano anche luoghi

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è messo in relazione con Allāt, e si ricorda di Isāf eNā’ilah, due divinità della Mecca, il peccato sessualecommesso nel tempio, la loro conversione in pietra perpunizione del sacrilegio. Nel Corano poi formano triadele tre grandi divinità femminili già indicate: Allāt,al-‘Uzzā, al-Manāt; e il Corano stesso ricorda la deno-minazione di figlie di Allāh ad esse data dai Meccani;denominazione però che probabilmente indica solo lanatura di divinità femminile o forse solo un rapporto diaffinità e subordinazione ad Allāh. Oltre alle pietre era-no oggetto e luogo di venerazione alberi piantati nei re-cinti sacri e fonti che furono spesso il primo nucleo disantuari (come Zamzam alla Mecca) e grotte sacre.Gli Arabi antichi credevano anche ad esseri demonici ri-tenuti dimorare specialmente in luoghi deserti e manife-starsi in serpenti o rettili in genere; per lo più anonimi, adifferenza degli dèi, ed anche a volta di natura maligna,come la Ghūl, orrendo mostro femminile divoratore deipassanti. Sopravvive ancora oggi tale credenza nei ginnnella religione islamica. È anzi una caratteristica assainotevole della mentalità dei popoli musulmani.Ma più che la figura delle varie divinità hanno avuto unreale influsso sulla pratica religiosa musulmana, attra-verso l'elaborazione di Maometto, alcune forme di culto.Nell'antichità araba presso i nomadi il feticcio era porta-to in una tenda di cuoio rosso nella quale era venerato eseguiva anche la tribù nelle sue battaglie; ciò di cui nonresta alcuna traccia nell'Islam. Ma vi erano anche luoghi

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fissi di culto, e alcuni santuari, acquistata una famamaggiore, erano divenuti mèta di pellegrinaggio per tuttigli Arabi pagani. Anzitutto quello della Mecca, forse laMacoraba di Tolomeo, nome che con probabilità si riav-vicina a mikrāb che in sudarabico vuol dire santuario.Conforta tale etimologia la tradizione araba, secondo laquale avrebbero dato natura sacra al pozzo di Zamzamalcune genti yemenite. Nel santuario meccano era primooggetto di venerazione la Pietra nera, che si ritiene siaun aerolito e che ancor oggi è incastrata nel lato orienta-le della Ka‘bah, – cubo di muratura di circa 12 metri dialtezza, – e ivi riceve l'omaggio degli innumerevoli pel-legrini. Nell'interno della Ka‘bah vi era un idolo, si dicedi forma umana, di Hubal (che secondo il Wellhausendovrebbe ritenersi essere l'Allāh dei Meccani), e inoltreuna quantità di altri feticci i quali, secondo la tradizioneislamica, furono abbattuti da Maometto insieme con Hu-bal il giorno della conquista. Vi era anche una colombascolpita in aloe, che deve quasi sicuramente porsi in re-lazione con la dea semitica. Il pozzo di Zamzam, verafonte sacra, di cui ancora oggi si beve con devozionel'acqua salmastra, si trova a pochi metri dalla Ka‘bah. Siaggiunga che tanto nella città quanto nel territorio dellaMecca vi erano altri luoghi sacri, detti masāgid, che an-cora oggi sono onorati durante la pia visita della Mecca(‘umrah) che è uso antico e che l'Islam ha coordinatocon le cerimonie del vero e proprio pellegrinaggio cheavvengono nei dintorni della città. S'intende che Mao-metto, nella sua audace azione di collegamento della

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fissi di culto, e alcuni santuari, acquistata una famamaggiore, erano divenuti mèta di pellegrinaggio per tuttigli Arabi pagani. Anzitutto quello della Mecca, forse laMacoraba di Tolomeo, nome che con probabilità si riav-vicina a mikrāb che in sudarabico vuol dire santuario.Conforta tale etimologia la tradizione araba, secondo laquale avrebbero dato natura sacra al pozzo di Zamzamalcune genti yemenite. Nel santuario meccano era primooggetto di venerazione la Pietra nera, che si ritiene siaun aerolito e che ancor oggi è incastrata nel lato orienta-le della Ka‘bah, – cubo di muratura di circa 12 metri dialtezza, – e ivi riceve l'omaggio degli innumerevoli pel-legrini. Nell'interno della Ka‘bah vi era un idolo, si dicedi forma umana, di Hubal (che secondo il Wellhausendovrebbe ritenersi essere l'Allāh dei Meccani), e inoltreuna quantità di altri feticci i quali, secondo la tradizioneislamica, furono abbattuti da Maometto insieme con Hu-bal il giorno della conquista. Vi era anche una colombascolpita in aloe, che deve quasi sicuramente porsi in re-lazione con la dea semitica. Il pozzo di Zamzam, verafonte sacra, di cui ancora oggi si beve con devozionel'acqua salmastra, si trova a pochi metri dalla Ka‘bah. Siaggiunga che tanto nella città quanto nel territorio dellaMecca vi erano altri luoghi sacri, detti masāgid, che an-cora oggi sono onorati durante la pia visita della Mecca(‘umrah) che è uso antico e che l'Islam ha coordinatocon le cerimonie del vero e proprio pellegrinaggio cheavvengono nei dintorni della città. S'intende che Mao-metto, nella sua audace azione di collegamento della

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tradizione religiosa araba con il monoteismo, mise inrapporto questi luoghi sacri con la tradizione biblica.Presso la Mecca, ad aṭ-Ṭā᾽if, era venerata dalla tribù deiThaqīf Allāt, il cui santuario era devotamente visitatodagli Arabi ma non più, s'intende, in epoca islamica, chéfu distrutto con ‘Alī dai primi musulmani. Così è anchedi al-‘Uzzā, che venerata alla Mecca con Allāt e Manāt,ebbe il suo santuario presso la Mecca stessa a Nakhlah.Il culto di Manāt era specialmente vivo a Yathrib, cittàche, sembra da tempo antico, come centro sedentarioebbe il nome di Medina, di origine aramaica, che poi lerimase sempre dopo l'ègira. Tutti questi santuari, comeancor oggi quello della Mecca, l'unico sopravvissuto perspeciali ragioni dell'azione di Maometto alla distruzioneislamica, erano circondati da un terreno sacro, ḥaram,nome rimasto proprio ancor oggi ai luoghi più sacridell'Islam; ossia anzitutto la Mecca e Medina, che hannola denominazione di al-Ḥaramān, cioè i due recinti sa-cri. Gli ḥaram erano protetti da speciali interdetti e ave-vano anche un terreno riserbato di pascolo, ḥimā. La ce-rimonia religiosa dell'antichità araba che ha lasciatoorma più profonda sulla religiosità araba è il pellegri-naggio o festa annuale (ḥagg, antica parola semitica chesembra avesse il significato di «festa»). Al pellegrinag-gio, e tanto più quanto più grande era il prestigio dellerispettive divinità, convenivano da ogni parte di Arabiale tribù arabe. Tra i maggiori pellegrinaggi era quelloche aveva per mèta i luoghi sacri nei pressi della Mecca,e specialmente quello di ‘Arafah, il quale fin dal tempo

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tradizione religiosa araba con il monoteismo, mise inrapporto questi luoghi sacri con la tradizione biblica.Presso la Mecca, ad aṭ-Ṭā᾽if, era venerata dalla tribù deiThaqīf Allāt, il cui santuario era devotamente visitatodagli Arabi ma non più, s'intende, in epoca islamica, chéfu distrutto con ‘Alī dai primi musulmani. Così è anchedi al-‘Uzzā, che venerata alla Mecca con Allāt e Manāt,ebbe il suo santuario presso la Mecca stessa a Nakhlah.Il culto di Manāt era specialmente vivo a Yathrib, cittàche, sembra da tempo antico, come centro sedentarioebbe il nome di Medina, di origine aramaica, che poi lerimase sempre dopo l'ègira. Tutti questi santuari, comeancor oggi quello della Mecca, l'unico sopravvissuto perspeciali ragioni dell'azione di Maometto alla distruzioneislamica, erano circondati da un terreno sacro, ḥaram,nome rimasto proprio ancor oggi ai luoghi più sacridell'Islam; ossia anzitutto la Mecca e Medina, che hannola denominazione di al-Ḥaramān, cioè i due recinti sa-cri. Gli ḥaram erano protetti da speciali interdetti e ave-vano anche un terreno riserbato di pascolo, ḥimā. La ce-rimonia religiosa dell'antichità araba che ha lasciatoorma più profonda sulla religiosità araba è il pellegri-naggio o festa annuale (ḥagg, antica parola semitica chesembra avesse il significato di «festa»). Al pellegrinag-gio, e tanto più quanto più grande era il prestigio dellerispettive divinità, convenivano da ogni parte di Arabiale tribù arabe. Tra i maggiori pellegrinaggi era quelloche aveva per mèta i luoghi sacri nei pressi della Mecca,e specialmente quello di ‘Arafah, il quale fin dal tempo

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preislamico era strettamente unito con le devozioni pro-prie della Mecca (la ‘umrah). Certo l'abilità mercantiledei Quraish, padroni della città, deve aver veduto il van-taggio che per essa costituiva il contemporaneo afflussodi tanti Arabi. Il pellegrinaggio si convertiva in una verae propria fiera che ebbe anche forza di propulsione perla formazione della letteratura. E non è certo azzardatoaffermare che Maometto, il quale fin dalla sua infanziaebbe occasione di assistere a queste adunate, da essetraesse quel senso dell'unità araba che è stato uno deimaggiori stimoli della sua azione. Come diremo nel ca-pitolo su Maometto, il maggiore suo merito fu quello disaper volgere a nuovo significato, in armonia con la suanuova fede monoteistica, il complesso di energia reli-giosa così radicato nelle più genuine tradizioni arabe.Il culto durante tali feste consisteva in una pia statio in-nanzi all'idolo o feticcio,163 in una processione intorno alsantuario, ṭawāf (alla Mecca intorno alla Ka‘bah), poinel contatto e bacio del simulacro (alla Mecca, anche intempo islamico, della Pietra nera), in corse rituali tradue luoghi sacri (alla Mecca tra le colline di Ṣafā e Mar-163 L'interpretazione delle cerimonie del pellegrinaggio islamico come conti-

nuazione, appena lievemente modificata, di riti pagani praticati alla Meccain età preislamica è stata genialmente data da CH. SNOUCK HURGRONJE, HetMekkaansche Fest, Leiden, 1880 (ristampato in Verspreide Geschriften, I,Bonn-Leipzig, 1923, pp. 1-124). Un'eccellente opera complessiva sul pel-legrinaggio, sia nelle sue origini storiche, sia nel suo aspetto contempora-neo, è quella di M. GAUDEFROY-DEMOMBYNES, Le pèlerinage à la Mecque,Paris, 1923. In tempi recenti anche studiosi musulmani (tra essi special-mente Ibrāhīm Rif‘at Pascià e Moḥammed Haikal) hanno dato ampi e pre-cisi ragguagli della topografia dei luoghi sacri e delle cerimonie meccane.

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preislamico era strettamente unito con le devozioni pro-prie della Mecca (la ‘umrah). Certo l'abilità mercantiledei Quraish, padroni della città, deve aver veduto il van-taggio che per essa costituiva il contemporaneo afflussodi tanti Arabi. Il pellegrinaggio si convertiva in una verae propria fiera che ebbe anche forza di propulsione perla formazione della letteratura. E non è certo azzardatoaffermare che Maometto, il quale fin dalla sua infanziaebbe occasione di assistere a queste adunate, da essetraesse quel senso dell'unità araba che è stato uno deimaggiori stimoli della sua azione. Come diremo nel ca-pitolo su Maometto, il maggiore suo merito fu quello disaper volgere a nuovo significato, in armonia con la suanuova fede monoteistica, il complesso di energia reli-giosa così radicato nelle più genuine tradizioni arabe.Il culto durante tali feste consisteva in una pia statio in-nanzi all'idolo o feticcio,163 in una processione intorno alsantuario, ṭawāf (alla Mecca intorno alla Ka‘bah), poinel contatto e bacio del simulacro (alla Mecca, anche intempo islamico, della Pietra nera), in corse rituali tradue luoghi sacri (alla Mecca tra le colline di Ṣafā e Mar-163 L'interpretazione delle cerimonie del pellegrinaggio islamico come conti-

nuazione, appena lievemente modificata, di riti pagani praticati alla Meccain età preislamica è stata genialmente data da CH. SNOUCK HURGRONJE, HetMekkaansche Fest, Leiden, 1880 (ristampato in Verspreide Geschriften, I,Bonn-Leipzig, 1923, pp. 1-124). Un'eccellente opera complessiva sul pel-legrinaggio, sia nelle sue origini storiche, sia nel suo aspetto contempora-neo, è quella di M. GAUDEFROY-DEMOMBYNES, Le pèlerinage à la Mecque,Paris, 1923. In tempi recenti anche studiosi musulmani (tra essi special-mente Ibrāhīm Rif‘at Pascià e Moḥammed Haikal) hanno dato ampi e pre-cisi ragguagli della topografia dei luoghi sacri e delle cerimonie meccane.

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wah), in altre invocazioni alla divinità (tahlīl); la folladevota gridava «labbaika, Allahumma», «ai tuoi servigi,Signore»; nella lapidazione di mucchi di pietre (chesembra connessa con pratiche magiche per discacciare idemoni), e in altre complesse cerimonie proprie del pel-legrinaggio di ‘Arafah tra le quali l'Islam ha anche inse-rito la recitazione di una khuṭbah o predica sul colle, chene forma oggi parte essenziale. Tutte queste praticheeran compite, e lo sono ancora nell'Islam, in stato di pu-rità rituale, e norme fisse regolavano anche il vestito, lafoggia e taglio dei capelli; vigevano anche rigorosi in-terdetti, ed è comprensibile che nell'entusiasmo religio-so la folla si abbandonasse anche alla licenza.Parte essenziale del culto era infine il sacrificio, offertedi prodotti della terra o pastorizi e immolazione di ani-mali con il sangue dei quali si irrorava il feticcio. Perraccogliere i doni e per dare scolo al sangue degli ani-mali vi era spesso, come alla Mecca, una favissa (ghab-ghab).La festa del pellegrinaggio di ‘Arafah si concludeva aMinā, presso a poco a metà strada tra Mecca e ‘Arafah,con un grande sacrificio di animali, anche oggi in uso,ma con ben altro significato. Chi è stato in Oriente ri-corderà che alla conclusione del periodo del pellegri-naggio, nel giorno del gran bairàm, cioè, con parola tur-ca, «grande festa», e che ha in arabo ancor oggi il nomedi «giorno dei sacrifici», si fa dappertutto una grandestrage di montoni, la cui carne viene in parte data per

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wah), in altre invocazioni alla divinità (tahlīl); la folladevota gridava «labbaika, Allahumma», «ai tuoi servigi,Signore»; nella lapidazione di mucchi di pietre (chesembra connessa con pratiche magiche per discacciare idemoni), e in altre complesse cerimonie proprie del pel-legrinaggio di ‘Arafah tra le quali l'Islam ha anche inse-rito la recitazione di una khuṭbah o predica sul colle, chene forma oggi parte essenziale. Tutte queste praticheeran compite, e lo sono ancora nell'Islam, in stato di pu-rità rituale, e norme fisse regolavano anche il vestito, lafoggia e taglio dei capelli; vigevano anche rigorosi in-terdetti, ed è comprensibile che nell'entusiasmo religio-so la folla si abbandonasse anche alla licenza.Parte essenziale del culto era infine il sacrificio, offertedi prodotti della terra o pastorizi e immolazione di ani-mali con il sangue dei quali si irrorava il feticcio. Perraccogliere i doni e per dare scolo al sangue degli ani-mali vi era spesso, come alla Mecca, una favissa (ghab-ghab).La festa del pellegrinaggio di ‘Arafah si concludeva aMinā, presso a poco a metà strada tra Mecca e ‘Arafah,con un grande sacrificio di animali, anche oggi in uso,ma con ben altro significato. Chi è stato in Oriente ri-corderà che alla conclusione del periodo del pellegri-naggio, nel giorno del gran bairàm, cioè, con parola tur-ca, «grande festa», e che ha in arabo ancor oggi il nomedi «giorno dei sacrifici», si fa dappertutto una grandestrage di montoni, la cui carne viene in parte data per

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beneficenza. Tanta è la forza di queste antichissime tra-dizioni.Autori greci e bizantini, come Porfirio, San Nilo e Pro-copio, ci informano di sacrifici umani. Il figlio di SanNilo, come il santo stesso racconta, era sul punto di es-sere sacrificato dai Saraceni ad al-‘Uzzā; secondo Pro-copio il famoso re di al-Ḥīrah, al-Mundhir III, fece sa-crificare a quest'ultima divinità nel 544 d. C. il figlio delGassānide al-Ḥārith V suo rivale; da fonti siriache sap-piamo poi che lo stesso re di al-Ḥīrah sacrificò adal-‘Uzzā 400 monache cristiane.Ma sacrifici umani sono attestati solo per gli Arabi delNord e di Mesopotamia, ove tale barbarie può esser do-vuta all'esempio di popoli vicini. Il Corano stesso ci as-sicura dell'uso crudele degli Arabi pagani di seppellirevive le bambine appena nate; ma si può attribuire l'usoorribile a un movente economico oltre che religioso; perla parte religiosa si è pensato che in origine esso sia re-siduo di antichi sacrifici alle divinità sotterranee. L'abi-tudine islamica di tagliare i capelli al neonato, sacrifi-cando insieme un animale, può esser sorta come sostitu-zione dell'antico sacrificio dei bambini.I santuari avevano anche il loro personale, non veri epropri sacerdoti (manca completamente nell'antica Ara-bia ogni traccia di collegio sacerdotale) ma piuttosto cu-stodi, indovini, persone esperte nei riti, che avevano ilnome di sādin, plurale sadanah. Tale funzione si tra-

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beneficenza. Tanta è la forza di queste antichissime tra-dizioni.Autori greci e bizantini, come Porfirio, San Nilo e Pro-copio, ci informano di sacrifici umani. Il figlio di SanNilo, come il santo stesso racconta, era sul punto di es-sere sacrificato dai Saraceni ad al-‘Uzzā; secondo Pro-copio il famoso re di al-Ḥīrah, al-Mundhir III, fece sa-crificare a quest'ultima divinità nel 544 d. C. il figlio delGassānide al-Ḥārith V suo rivale; da fonti siriache sap-piamo poi che lo stesso re di al-Ḥīrah sacrificò adal-‘Uzzā 400 monache cristiane.Ma sacrifici umani sono attestati solo per gli Arabi delNord e di Mesopotamia, ove tale barbarie può esser do-vuta all'esempio di popoli vicini. Il Corano stesso ci as-sicura dell'uso crudele degli Arabi pagani di seppellirevive le bambine appena nate; ma si può attribuire l'usoorribile a un movente economico oltre che religioso; perla parte religiosa si è pensato che in origine esso sia re-siduo di antichi sacrifici alle divinità sotterranee. L'abi-tudine islamica di tagliare i capelli al neonato, sacrifi-cando insieme un animale, può esser sorta come sostitu-zione dell'antico sacrificio dei bambini.I santuari avevano anche il loro personale, non veri epropri sacerdoti (manca completamente nell'antica Ara-bia ogni traccia di collegio sacerdotale) ma piuttosto cu-stodi, indovini, persone esperte nei riti, che avevano ilnome di sādin, plurale sadanah. Tale funzione si tra-

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smetteva in famiglie di notabili per via ereditaria, a vol-te anche entro tribù altre da quella degli abitanti del cen-tro sacro. Ciò che può dare indizio circa l'origine dellesingole divinità.Le predette feste del pellegrinaggio avevano luogo inmesi sacri (specialmente nel mese di Ragiab) durante iquali era stabilita tregua tra le tribù. Ciò aveva un effettofavorevole per il commercio, per la sicurezza che davaalle strade; e tanto più il pellegrinaggio diveniva occa-sione di scambi proficui. Appare chiaro quanto fosseroimportanti tali solennità per lo sviluppo di ogni lato del-la vita di Arabia, economico, spirituale, religioso, politi-co. La naturale tendenza all'unificazione, che nonostantela dispersione delle tribù era sensibile nell'antica Arabia,ne riceveva impulso; come anche l'unità religiosa, nellatendenza comune al monoteismo e nel decaderedell'etnicismo religioso, ne aveva egualmente vantaggiocon il convenire di tanti diversi elementi, che venerava-no tante diverse divinità, in un luogo solo, uniti nel cultodi un solo complesso divino. L'unità linguistica, verso laquale gli Arabi già andavano per l'uso letterario di unalingua comune, trovava conforto nelle gare letterarie epoetiche, a cui davano luogo le adunanze del ḥagg. Nonbisogna poi dimenticare quanto fosse desto nell'animodi Maometto, già così sollecito dell'unità dei suoi Arabi,il senso di essa in occasione del periodico conveniredelle popolazioni della penisola alle feste del ḥagg, nel-le quali gli apparivano in ogni loro aspetto i legami che

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smetteva in famiglie di notabili per via ereditaria, a vol-te anche entro tribù altre da quella degli abitanti del cen-tro sacro. Ciò che può dare indizio circa l'origine dellesingole divinità.Le predette feste del pellegrinaggio avevano luogo inmesi sacri (specialmente nel mese di Ragiab) durante iquali era stabilita tregua tra le tribù. Ciò aveva un effettofavorevole per il commercio, per la sicurezza che davaalle strade; e tanto più il pellegrinaggio diveniva occa-sione di scambi proficui. Appare chiaro quanto fosseroimportanti tali solennità per lo sviluppo di ogni lato del-la vita di Arabia, economico, spirituale, religioso, politi-co. La naturale tendenza all'unificazione, che nonostantela dispersione delle tribù era sensibile nell'antica Arabia,ne riceveva impulso; come anche l'unità religiosa, nellatendenza comune al monoteismo e nel decaderedell'etnicismo religioso, ne aveva egualmente vantaggiocon il convenire di tanti diversi elementi, che venerava-no tante diverse divinità, in un luogo solo, uniti nel cultodi un solo complesso divino. L'unità linguistica, verso laquale gli Arabi già andavano per l'uso letterario di unalingua comune, trovava conforto nelle gare letterarie epoetiche, a cui davano luogo le adunanze del ḥagg. Nonbisogna poi dimenticare quanto fosse desto nell'animodi Maometto, già così sollecito dell'unità dei suoi Arabi,il senso di essa in occasione del periodico conveniredelle popolazioni della penisola alle feste del ḥagg, nel-le quali gli apparivano in ogni loro aspetto i legami che

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univano insieme le diverse tribù. Noteremo parlando delCristianesimo in Arabia l'efficacia che per la sua diffu-sione hanno avuto i numerosi preti itineranti che furonozelanti missionari; e certo queste adunate dovevano rap-presentare per essi una delle migliori occasioni per svol-gere il loro apostolato. Ed allo storico appare indubbioche in tutte queste condizioni consista la funzione piùviva e storicamente più operante dell'antica religionearaba.Molti aspetti della vita quotidiana erano anche presso gliantichi Arabi influenzati dal senso religioso. Si deve aquesto proposito notare anzitutto la diffusione delle cre-denze magiche; il sāḥir o mago aveva un'importantefunzione nella vita sociale araba, mentre era assai vivala credenza nel valor magico della parola (l'antica poe-sia, specialmente quella satirica, era sentita come armapotente, non meno efficace di quelle materiali, per lavittoria sugli avversari). Così avevano carattere sacro ilgiuramento e altri modi di prova. Il kāhin o indovino,già citato qui sopra, aveva anche grande importanza, eprima di gravi decisioni, come la partenza in guerra,consultava l'idolo, per mezzo del sorteggio fatto confrecce, circa la sua volontà; e curava anche, insieme conaltri custodi o perfino persone estranee al santuario,l'interpretazione di oracoli tratti da vari segni e di variomina indicati in vario modo, nel sacrificio di animaliecc., e dei sogni. È quasi certo che la circoncisione, cheda tempo antico era di uso generale, avesse origine ri-

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univano insieme le diverse tribù. Noteremo parlando delCristianesimo in Arabia l'efficacia che per la sua diffu-sione hanno avuto i numerosi preti itineranti che furonozelanti missionari; e certo queste adunate dovevano rap-presentare per essi una delle migliori occasioni per svol-gere il loro apostolato. Ed allo storico appare indubbioche in tutte queste condizioni consista la funzione piùviva e storicamente più operante dell'antica religionearaba.Molti aspetti della vita quotidiana erano anche presso gliantichi Arabi influenzati dal senso religioso. Si deve aquesto proposito notare anzitutto la diffusione delle cre-denze magiche; il sāḥir o mago aveva un'importantefunzione nella vita sociale araba, mentre era assai vivala credenza nel valor magico della parola (l'antica poe-sia, specialmente quella satirica, era sentita come armapotente, non meno efficace di quelle materiali, per lavittoria sugli avversari). Così avevano carattere sacro ilgiuramento e altri modi di prova. Il kāhin o indovino,già citato qui sopra, aveva anche grande importanza, eprima di gravi decisioni, come la partenza in guerra,consultava l'idolo, per mezzo del sorteggio fatto confrecce, circa la sua volontà; e curava anche, insieme conaltri custodi o perfino persone estranee al santuario,l'interpretazione di oracoli tratti da vari segni e di variomina indicati in vario modo, nel sacrificio di animaliecc., e dei sogni. È quasi certo che la circoncisione, cheda tempo antico era di uso generale, avesse origine ri-

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tuale. Nell'imposizione dei nomi è comune l'uso di unprimo elemento che ha il significato di «servo, dono»ecc. e a cui viene aggiunto il nome di singole divinità.Sebbene gli usi funerari fossero anche permeati di reli-giosità, non si può in alcun modo affermare una nozionedella vita dell'aldilà, benché il concetto dell'anima comeun soffio (nafs) distinto dal corpo esistesse ben chiaro.L'escatologia musulmana è di origine intieramente giu-deo-cristiana e non si riattacca ad alcun precedente prei-slamico; e fu corrispondentemente la parte del messag-gio di Maometto meno comprensibile e quindi meno ac-cettabile per i pagani. La religione delle tribù anticheebbe anche un suo riflesso, sebbene non paragonabile aquello dell'Islam, sulla vita morale; è certo che l'anticapoesia che ci documenta in modo sicuro sulla vita prei-slamica, e della quale almeno per una buona parte è as-solutamente vano cercar di negare l'autenticità, ci mo-stra la credenza in una tutela divina, da parte special-mente di Allāh, delle norme etiche e particolarmente deipatti; è ovvio che nella mancanza di ogni concetto di re-tribuzione nella vita futura e di ogni organizzata disci-plina religiosa, più che al timor di Dio l'ossequio alle re-gole morali si dovesse al rispetto della tradizione e al ri-guardo verso l'opinione e il giudizio pubblico; questa èuna giusta osservazione del Nöldeke. È opportuno nota-re, quale condizione dell'affermarsi della nuova religio-ne, che l'antica già prima di Maometto era in fase di de-cadenza; s'intende che il rito, con la sua tipica tenacia, siconservava ancora nella sua interezza; ma particolari

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tuale. Nell'imposizione dei nomi è comune l'uso di unprimo elemento che ha il significato di «servo, dono»ecc. e a cui viene aggiunto il nome di singole divinità.Sebbene gli usi funerari fossero anche permeati di reli-giosità, non si può in alcun modo affermare una nozionedella vita dell'aldilà, benché il concetto dell'anima comeun soffio (nafs) distinto dal corpo esistesse ben chiaro.L'escatologia musulmana è di origine intieramente giu-deo-cristiana e non si riattacca ad alcun precedente prei-slamico; e fu corrispondentemente la parte del messag-gio di Maometto meno comprensibile e quindi meno ac-cettabile per i pagani. La religione delle tribù anticheebbe anche un suo riflesso, sebbene non paragonabile aquello dell'Islam, sulla vita morale; è certo che l'anticapoesia che ci documenta in modo sicuro sulla vita prei-slamica, e della quale almeno per una buona parte è as-solutamente vano cercar di negare l'autenticità, ci mo-stra la credenza in una tutela divina, da parte special-mente di Allāh, delle norme etiche e particolarmente deipatti; è ovvio che nella mancanza di ogni concetto di re-tribuzione nella vita futura e di ogni organizzata disci-plina religiosa, più che al timor di Dio l'ossequio alle re-gole morali si dovesse al rispetto della tradizione e al ri-guardo verso l'opinione e il giudizio pubblico; questa èuna giusta osservazione del Nöldeke. È opportuno nota-re, quale condizione dell'affermarsi della nuova religio-ne, che l'antica già prima di Maometto era in fase di de-cadenza; s'intende che il rito, con la sua tipica tenacia, siconservava ancora nella sua interezza; ma particolari

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credenze e insieme la forza della personale devozione siaffievolivano, mentre guadagnava prestigio di fronteagli idoli la figura di Allāh; e questo è causa delle aspi-razioni di ordine superiore che agitavano gli Arabi e co-stituivano una favorevole premessa per l'azione del Pro-feta. Come anche era efficace in questo senso l'esempiodelle tribù arabe cristiane, anche se esse non possonosempre citarsi come esempio di fervore religioso; e inol-tre la missione cristiana, le cerimonie del culto giudaicoe cristiano, ordinate secondo una costante regola e nobi-litate dalla lettura dei libri sacri, ponevano innanzi agliArabi, e soprattutto agli abitanti della città, un modellodi religiosità superiore che appariva tanto più elevatoquanto più decadeva la fede antica. Così non è meravi-glia se anche prima di Maometto alcuni uomini di piadisposizione abbiano inteso, sebbene in forma ancorvaga e inefficiente comparata con quella propriadell'azione di Maometto, l'aspirazione verso una nuovaformula di vita religiosa; la forza di Maometto ha consi-stito nell'aver saputo con il suo genio interpretare me-glio che ogni altro tale tendenza, e nello stesso tempoanimare del nuovo fermento la tradizione, della qualeegli ha lasciato sussistere parti importanti, soprattuttonel culto, ciò che ha dato la garanzia del successodell'Islam. Infatti, per quanto sia innegabile che moltamateria concreta del Corano è presa da fonti ebraiche ecristiane, resta pur sempre il fatto, prezioso come indi-catore della vera natura del processo, che lo stile del Co-rano è nel suo complesso veramente arabo e anima di

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credenze e insieme la forza della personale devozione siaffievolivano, mentre guadagnava prestigio di fronteagli idoli la figura di Allāh; e questo è causa delle aspi-razioni di ordine superiore che agitavano gli Arabi e co-stituivano una favorevole premessa per l'azione del Pro-feta. Come anche era efficace in questo senso l'esempiodelle tribù arabe cristiane, anche se esse non possonosempre citarsi come esempio di fervore religioso; e inol-tre la missione cristiana, le cerimonie del culto giudaicoe cristiano, ordinate secondo una costante regola e nobi-litate dalla lettura dei libri sacri, ponevano innanzi agliArabi, e soprattutto agli abitanti della città, un modellodi religiosità superiore che appariva tanto più elevatoquanto più decadeva la fede antica. Così non è meravi-glia se anche prima di Maometto alcuni uomini di piadisposizione abbiano inteso, sebbene in forma ancorvaga e inefficiente comparata con quella propriadell'azione di Maometto, l'aspirazione verso una nuovaformula di vita religiosa; la forza di Maometto ha consi-stito nell'aver saputo con il suo genio interpretare me-glio che ogni altro tale tendenza, e nello stesso tempoanimare del nuovo fermento la tradizione, della qualeegli ha lasciato sussistere parti importanti, soprattuttonel culto, ciò che ha dato la garanzia del successodell'Islam. Infatti, per quanto sia innegabile che moltamateria concreta del Corano è presa da fonti ebraiche ecristiane, resta pur sempre il fatto, prezioso come indi-catore della vera natura del processo, che lo stile del Co-rano è nel suo complesso veramente arabo e anima di

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nuovo ethos, che trae la sua originalità di fronte allefonti suindicate dalla aderenza alla vita dell'arabismo, lamateria presa dal di fuori; egualmente la costruzionedella religione islamica contiene non pochi elementi tol-ti dalla vita religiosa tradizionale degli Arabi, volti peròa nuovo senso dall'agile industria di Maometto. E ciò vadetto non solo di elementi rituali, soprattutto del pelle-grinaggio, ma anche di varie concezioni e varie pratiche,le quali rappresentavano l'eredità di un lungo periodoche ha saputo costruire solide basi per l'avvenire arabo;tale eredità è necessario aver sempre presente perché ilgiudizio sulla vita dell'Islam sia giusto e ne possa deri-vare la piena comprensione delle ragioni che hanno de-terminato lo sviluppo della vita e della cultura araba neisecoli. Ed in questo, certo, il precedente nazionale araboha grande importanza e in tutto lo sviluppo di questaesposizione tenteremo di mettere sempre in evidenzatale realtà, che ha la sua manifestazione, si può dire, inogni dominio della vita arabo-musulmana.Così per quanto riguarda la religione è evidente la forzadel precedente arabo-pagano. Basta considerare il cultoe specialmente quella parte così essenziale di esso che ècostituita dal pellegrinaggio, ancor oggi praticato secon-do le antichissime norme, e che rimonta interamente,anche nei suoi particolari, al precedente pagano. E cheanche l'intima coscienza religiosa del Profeta ricevesseimpronta dalla disposizione religiosa che a lui fu fami-liare nei primi anni della sua vita, è cosa certa; si consi-

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nuovo ethos, che trae la sua originalità di fronte allefonti suindicate dalla aderenza alla vita dell'arabismo, lamateria presa dal di fuori; egualmente la costruzionedella religione islamica contiene non pochi elementi tol-ti dalla vita religiosa tradizionale degli Arabi, volti peròa nuovo senso dall'agile industria di Maometto. E ciò vadetto non solo di elementi rituali, soprattutto del pelle-grinaggio, ma anche di varie concezioni e varie pratiche,le quali rappresentavano l'eredità di un lungo periodoche ha saputo costruire solide basi per l'avvenire arabo;tale eredità è necessario aver sempre presente perché ilgiudizio sulla vita dell'Islam sia giusto e ne possa deri-vare la piena comprensione delle ragioni che hanno de-terminato lo sviluppo della vita e della cultura araba neisecoli. Ed in questo, certo, il precedente nazionale araboha grande importanza e in tutto lo sviluppo di questaesposizione tenteremo di mettere sempre in evidenzatale realtà, che ha la sua manifestazione, si può dire, inogni dominio della vita arabo-musulmana.Così per quanto riguarda la religione è evidente la forzadel precedente arabo-pagano. Basta considerare il cultoe specialmente quella parte così essenziale di esso che ècostituita dal pellegrinaggio, ancor oggi praticato secon-do le antichissime norme, e che rimonta interamente,anche nei suoi particolari, al precedente pagano. E cheanche l'intima coscienza religiosa del Profeta ricevesseimpronta dalla disposizione religiosa che a lui fu fami-liare nei primi anni della sua vita, è cosa certa; si consi-

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deri per questo il noto episodio della onorifica menzionedelle tre divinità femminili, citate nel Corano, e che poila tradizione ha voluto spiegare come una seduzionediabolica. E si ripeta qui ancora l'argomento di grandeimportanza, che lo stile del Corano, specialmente nellepiù antiche parti di esso, richiama gli oscuri ed involutivaticini degli indovini pagani; la cui solennità sicura-mente ha lasciato impronta nell'animo del Profeta.Ma d'altra parte sarebbe vano tentare di ricondurre uni-camente a precedente pagano l'ispirazione profetica diMaometto; tanto sono evidenti nel monumento religiosofrutto di tale ispirazione, cioè il Corano, e nei più antichiprecetti di culto da esso fissati, le tracce di ben altra tra-dizione: la tradizione monoteistica presente in Arabianelle forme vigorose di Giudaismo e di Cristianesimoche si sono affermate nella penisola e con le quali Mao-metto ha indubbiamente avuto contatto. Da tale stato difatto sono nate diverse teorie le quali hanno or l'una orl'altra voluto sostenere il prevalente influsso del Giudai-smo o rispettivamente del Cristianesimo, come esporre-mo ampiamente trattando del Profeta. Ma per porre unabase solida a tale prossima esposizione ci occorre fin daora, con una breve considerazione storica, vedere qualefosse, al momento in cui Maometto ebbe la sua ispira-zione, la diffusione tra gli Arabi del Giudaismo e delCristianesimo; e potremo anche avere idea delle occa-sioni che egli poté avere di conoscere il culto giudaico ecristiano che tanta impressione esercitarono sull'animo

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deri per questo il noto episodio della onorifica menzionedelle tre divinità femminili, citate nel Corano, e che poila tradizione ha voluto spiegare come una seduzionediabolica. E si ripeta qui ancora l'argomento di grandeimportanza, che lo stile del Corano, specialmente nellepiù antiche parti di esso, richiama gli oscuri ed involutivaticini degli indovini pagani; la cui solennità sicura-mente ha lasciato impronta nell'animo del Profeta.Ma d'altra parte sarebbe vano tentare di ricondurre uni-camente a precedente pagano l'ispirazione profetica diMaometto; tanto sono evidenti nel monumento religiosofrutto di tale ispirazione, cioè il Corano, e nei più antichiprecetti di culto da esso fissati, le tracce di ben altra tra-dizione: la tradizione monoteistica presente in Arabianelle forme vigorose di Giudaismo e di Cristianesimoche si sono affermate nella penisola e con le quali Mao-metto ha indubbiamente avuto contatto. Da tale stato difatto sono nate diverse teorie le quali hanno or l'una orl'altra voluto sostenere il prevalente influsso del Giudai-smo o rispettivamente del Cristianesimo, come esporre-mo ampiamente trattando del Profeta. Ma per porre unabase solida a tale prossima esposizione ci occorre fin daora, con una breve considerazione storica, vedere qualefosse, al momento in cui Maometto ebbe la sua ispira-zione, la diffusione tra gli Arabi del Giudaismo e delCristianesimo; e potremo anche avere idea delle occa-sioni che egli poté avere di conoscere il culto giudaico ecristiano che tanta impressione esercitarono sull'animo

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suo. Così si disegna fin da ora per quanto concerne an-che il Profeta quel carattere di sviluppo che noi tentere-mo costantemente metter in luce per la vita e la culturaaraba; cioè una intima collaborazione tra elementi tradi-zionali ed elementi stranieri che si fondono in formuledi volta in volta varie ed originali, ma che in questa va-rietà non perdono un carattere fondamentale comuneche è sommo interesse della ricerca storica far fruttifica-re sempre in sé per giungere ad una efficace compren-sione del fenomeno storico e misurarne la portata in tut-to lo sviluppo culturale, in ogni dominio e fino ai giorninostri.Anche per questo Maometto ha posto la premessa fon-damentale per il carattere della vita araba.

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suo. Così si disegna fin da ora per quanto concerne an-che il Profeta quel carattere di sviluppo che noi tentere-mo costantemente metter in luce per la vita e la culturaaraba; cioè una intima collaborazione tra elementi tradi-zionali ed elementi stranieri che si fondono in formuledi volta in volta varie ed originali, ma che in questa va-rietà non perdono un carattere fondamentale comuneche è sommo interesse della ricerca storica far fruttifica-re sempre in sé per giungere ad una efficace compren-sione del fenomeno storico e misurarne la portata in tut-to lo sviluppo culturale, in ogni dominio e fino ai giorninostri.Anche per questo Maometto ha posto la premessa fon-damentale per il carattere della vita araba.

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V.IL GIUDAISMO E IL CRISTIANESIMO IN

ARABIA.

Due notevoli centri di Giudaismo noi possiamo notarein Arabia prima dell'Islam: il primo nel Yemen, il secon-do nel Ḥigiāz. Quanto alle più antiche penetrazioni diebrei nella Penisola noi abbiamo varie notizie più omeno leggendarie che la riconnettono con la lotta degliEbrei contro gli Amaleciti, e più o meno esplicitamentecon le più antiche vicende dei popoli semitici in Arabia;ma in questa sede a noi interessano meno tali ricerche diorigini, che la constatazione dello stato di fatto al mo-mento della missione profetica di Maometto. Della pre-senza di forte fattore giudaico nel Yemen dànno testimo-nianza, oltre che antiche leggende arabe (come quellagià citata dei due rabbini che avrebbero persuaso unodei Tubba‘ a risparmiare la Ka‘bah e che al loro ritornoin patria avrebbero avuto accresciuta la loro influenzanel paese, ecc.) anche fonti cristiane, come per esempiogli Atti del martire Azqīr164 scritti in etiopico, che sareb-be stato ucciso a Nagrān al tempo di Shuraḥbi’īl Yakkuf,re di Ḥimyar, regnante nel 467 d. C. Tali atti, probabil-mente redatti in origine in siriaco, mostrano – ed essihanno carattere di autenticità – una grande influenza de-

164 C. CONTI ROSSINI, Un documento sul cristianesimo nello Iemen ai tempi delre Šarāḥbīl Yakkuf (citato sopra, p. 84 nota 2). [Nota 109 di questa edizio-ne elettronica]

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V.IL GIUDAISMO E IL CRISTIANESIMO IN

ARABIA.

Due notevoli centri di Giudaismo noi possiamo notarein Arabia prima dell'Islam: il primo nel Yemen, il secon-do nel Ḥigiāz. Quanto alle più antiche penetrazioni diebrei nella Penisola noi abbiamo varie notizie più omeno leggendarie che la riconnettono con la lotta degliEbrei contro gli Amaleciti, e più o meno esplicitamentecon le più antiche vicende dei popoli semitici in Arabia;ma in questa sede a noi interessano meno tali ricerche diorigini, che la constatazione dello stato di fatto al mo-mento della missione profetica di Maometto. Della pre-senza di forte fattore giudaico nel Yemen dànno testimo-nianza, oltre che antiche leggende arabe (come quellagià citata dei due rabbini che avrebbero persuaso unodei Tubba‘ a risparmiare la Ka‘bah e che al loro ritornoin patria avrebbero avuto accresciuta la loro influenzanel paese, ecc.) anche fonti cristiane, come per esempiogli Atti del martire Azqīr164 scritti in etiopico, che sareb-be stato ucciso a Nagrān al tempo di Shuraḥbi’īl Yakkuf,re di Ḥimyar, regnante nel 467 d. C. Tali atti, probabil-mente redatti in origine in siriaco, mostrano – ed essihanno carattere di autenticità – una grande influenza de-

164 C. CONTI ROSSINI, Un documento sul cristianesimo nello Iemen ai tempi delre Šarāḥbīl Yakkuf (citato sopra, p. 84 nota 2). [Nota 109 di questa edizio-ne elettronica]

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gli ebrei e dei rabbini nel paese yemenita, sebbene nonse ne possa dedurre che il sovrano e gli ottimati fosseroebrei. Vi è per un'altra fonte cristiana di singolare im-portanza, e cioè il racconto di Simeone di Bēth Ar-sham165 sui martiri di Nagrān caduti nella persecuzionedi Dhū Nuwās; da tale testo dipendono anche narrazioniin greco, il Martyrium Arethae.166 Si è discussosull'autenticità della lettera di Simeone di Beth Arsham,dalla quale appare il grande favore dato dal sovrano agliebrei, forse in reazione all'influenza cristiana abissina ealle invasioni etiopiche. Non è neanche improbabile cheil sovrano stesso fosse ebreo, sebbene appaia certo chenon era generale presso tali giudei l'osservanza delle mi-nuziose regole cultuali e di vita in genere; sembra cheessi non avessero dimestichezza con il Talmud, benchénon sia dimostrabile quanto dice il Friedländer che essirappresentassero una corrente antitalmudica. In ognimodo, per quanto abbia notevole importanza la presenzadi questo nucleo ebraico in Arabia, è certo che il Profetanon ebbe diretto contatto con esso.Ben diversamente deve dirsi delle numerose comunitàebraiche che al momento della missione profetica eranopresenti nel Ḥigiāz. Una serie di oasi che dal Nord aTaimā’ si snodano giù attraverso Fadak, Khaibar e il165 I. GUIDI, La lettera di Simeone vescovo di Beth Aršam sopra i martiri ome-

riti (citato sopra, p. 84 nota 2).166 Martyrium Arethae, in Acta Sanctorum, Oct. X. Il materiale relativo alla

persecuzione dei cristiani nel Yemen è raccolto e discusso, a proposito del-la pubblicazione di un nuovo documento, da A. MOBERG, The Book of theḤimyarites (citato sopra, p. 84 nota 2).

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gli ebrei e dei rabbini nel paese yemenita, sebbene nonse ne possa dedurre che il sovrano e gli ottimati fosseroebrei. Vi è per un'altra fonte cristiana di singolare im-portanza, e cioè il racconto di Simeone di Bēth Ar-sham165 sui martiri di Nagrān caduti nella persecuzionedi Dhū Nuwās; da tale testo dipendono anche narrazioniin greco, il Martyrium Arethae.166 Si è discussosull'autenticità della lettera di Simeone di Beth Arsham,dalla quale appare il grande favore dato dal sovrano agliebrei, forse in reazione all'influenza cristiana abissina ealle invasioni etiopiche. Non è neanche improbabile cheil sovrano stesso fosse ebreo, sebbene appaia certo chenon era generale presso tali giudei l'osservanza delle mi-nuziose regole cultuali e di vita in genere; sembra cheessi non avessero dimestichezza con il Talmud, benchénon sia dimostrabile quanto dice il Friedländer che essirappresentassero una corrente antitalmudica. In ognimodo, per quanto abbia notevole importanza la presenzadi questo nucleo ebraico in Arabia, è certo che il Profetanon ebbe diretto contatto con esso.Ben diversamente deve dirsi delle numerose comunitàebraiche che al momento della missione profetica eranopresenti nel Ḥigiāz. Una serie di oasi che dal Nord aTaimā’ si snodano giù attraverso Fadak, Khaibar e il165 I. GUIDI, La lettera di Simeone vescovo di Beth Aršam sopra i martiri ome-

riti (citato sopra, p. 84 nota 2).166 Martyrium Arethae, in Acta Sanctorum, Oct. X. Il materiale relativo alla

persecuzione dei cristiani nel Yemen è raccolto e discusso, a proposito del-la pubblicazione di un nuovo documento, da A. MOBERG, The Book of theḤimyarites (citato sopra, p. 84 nota 2).

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Wādī al-Qurā fino a Medina ebbero da tempo antico unanotevole popolazione giudaica, economicamente fioren-te e religiosamente attaccata alle sue tradizioni; è daqueste comunità, specialmente da quella di Medina, chederiva a Maometto l'ampia materia giudaica, la qualeentra nella sintesi dell'Islam, e che secondo alcuni,167

come meglio spiegheremo più sotto, è in essa la preva-lente. Quanto all'origine di questi ebrei sono state fattediverse ipotesi, ma la più attendibile è quella che attri-buisce la formazione di tali comunità nelle singole oasiche costellano il Ḥigiāz dal Nord verso il Sud allo scia-mare degli ebrei dalla Palestina quando le vittorie roma-ne, e soprattutto quelle di Tito e Adriano, li obbligaronoa lasciare le terre avite. Altre ipotesi più complicatesono assai meno attendibili di questa, che ha il pregio dirichiamarsi a un precedente storico ben noto ed ha an-che a suo favore la distribuzione geografica di tali puntidella diaspora.168 È interessante qui accennare subito algenere di vita di questi ebrei, specialmente in Medina.Due tribù ebraiche, e cioè quelle dei Banū an-Naḍīr edei Banū Quraiẓah, occupavano parte del territorio agri-colo della città, mentre una terza, i Banū Qainuqā‘, ri-siedevano nella città stessa esercitando ivi l'arte dell'ore-ficeria. Senza addentrarci nell'esame dell'origine piùparticolare di queste tribù e della loro denominazionediremo fin da ora che le due prime erano strette da patto

167 V. lo scritto del TORREY citato a p. 184 nota 3. [Nota 206 di questa edizioneelettronica]

168 Opinione seguita anche da C. A. NALLINO, Raccolta, III, p. 101.

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Wādī al-Qurā fino a Medina ebbero da tempo antico unanotevole popolazione giudaica, economicamente fioren-te e religiosamente attaccata alle sue tradizioni; è daqueste comunità, specialmente da quella di Medina, chederiva a Maometto l'ampia materia giudaica, la qualeentra nella sintesi dell'Islam, e che secondo alcuni,167

come meglio spiegheremo più sotto, è in essa la preva-lente. Quanto all'origine di questi ebrei sono state fattediverse ipotesi, ma la più attendibile è quella che attri-buisce la formazione di tali comunità nelle singole oasiche costellano il Ḥigiāz dal Nord verso il Sud allo scia-mare degli ebrei dalla Palestina quando le vittorie roma-ne, e soprattutto quelle di Tito e Adriano, li obbligaronoa lasciare le terre avite. Altre ipotesi più complicatesono assai meno attendibili di questa, che ha il pregio dirichiamarsi a un precedente storico ben noto ed ha an-che a suo favore la distribuzione geografica di tali puntidella diaspora.168 È interessante qui accennare subito algenere di vita di questi ebrei, specialmente in Medina.Due tribù ebraiche, e cioè quelle dei Banū an-Naḍīr edei Banū Quraiẓah, occupavano parte del territorio agri-colo della città, mentre una terza, i Banū Qainuqā‘, ri-siedevano nella città stessa esercitando ivi l'arte dell'ore-ficeria. Senza addentrarci nell'esame dell'origine piùparticolare di queste tribù e della loro denominazionediremo fin da ora che le due prime erano strette da patto

167 V. lo scritto del TORREY citato a p. 184 nota 3. [Nota 206 di questa edizioneelettronica]

168 Opinione seguita anche da C. A. NALLINO, Raccolta, III, p. 101.

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di amicizia con una delle due tribù di origine puramentearaba e più precisamente sudarabica che popolavano ilterritorio di Medina, ivi giunte per emigrazione, cometante altre tribù del Ḥigiāz, dal paese del Yemen. Questierano i Banū Aus; mentre i Banū Qainuqā‘ erano stretta-mente legati alla seconda delle tribù predette, cioè iBanū al-Khazrag. È necessario notare subito che taliebrei ḥigiāzeni erano di lingua araba, tanto che si suppo-ne con probabilità che la loro diffusione sia avvenuta oper proselitismo di antichi elementi giudaici tra le tribùarabe o addirittura per un rapporto di clientela cheavrebbe collegato gli ebrei con gli Arabi del paese. Chearaba fosse la lingua di questi ebrei, ciò che facilitò sen-za dubbio i rapporti di essi con Maometto, è attestato dapoesie che ci sono conservate di autori ebrei e che innulla, sia nella lingua, sia nello stile, differiscono daquelle arabe; non è d'altra parte probabile che essi aves-sero una traduzione in arabo della Torah; piuttosto essiavranno adottato per la comprensione del popolo il mez-zo del Targum; essi avevano i loro dottori, chiamati inarabo aḥbār, mentre nel Corano appare anche la men-zione dei rabbāniyyūn, che tuttavia non ricorre più neiracconti storici e nel ḥadīth; onde è probabile che essinon avessero che i predetti aḥbār. Non appare menzionedi sinagoga né nel Corano né nella tradizione né nellefonti storiche o poetiche; solo per Medina si può asseri-re l'esistenza di sinagoghe, e solamente una volta si cita-no le biya‘ e kanā’is, cioè chiese, degli ebrei. Ma vice-versa si parla sicuramente nel ḥadīth del Bait al-Midrās,

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di amicizia con una delle due tribù di origine puramentearaba e più precisamente sudarabica che popolavano ilterritorio di Medina, ivi giunte per emigrazione, cometante altre tribù del Ḥigiāz, dal paese del Yemen. Questierano i Banū Aus; mentre i Banū Qainuqā‘ erano stretta-mente legati alla seconda delle tribù predette, cioè iBanū al-Khazrag. È necessario notare subito che taliebrei ḥigiāzeni erano di lingua araba, tanto che si suppo-ne con probabilità che la loro diffusione sia avvenuta oper proselitismo di antichi elementi giudaici tra le tribùarabe o addirittura per un rapporto di clientela cheavrebbe collegato gli ebrei con gli Arabi del paese. Chearaba fosse la lingua di questi ebrei, ciò che facilitò sen-za dubbio i rapporti di essi con Maometto, è attestato dapoesie che ci sono conservate di autori ebrei e che innulla, sia nella lingua, sia nello stile, differiscono daquelle arabe; non è d'altra parte probabile che essi aves-sero una traduzione in arabo della Torah; piuttosto essiavranno adottato per la comprensione del popolo il mez-zo del Targum; essi avevano i loro dottori, chiamati inarabo aḥbār, mentre nel Corano appare anche la men-zione dei rabbāniyyūn, che tuttavia non ricorre più neiracconti storici e nel ḥadīth; onde è probabile che essinon avessero che i predetti aḥbār. Non appare menzionedi sinagoga né nel Corano né nella tradizione né nellefonti storiche o poetiche; solo per Medina si può asseri-re l'esistenza di sinagoghe, e solamente una volta si cita-no le biya‘ e kanā’is, cioè chiese, degli ebrei. Ma vice-versa si parla sicuramente nel ḥadīth del Bait al-Midrās,

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che può ritenersi equivalere alla sinagoga. Sicché si puòaffermare con sicurezza che Maometto, condotto dallasua sete religiosa, abbia assistito, prima dell'ègira inqualche comunità ḥigiāzena e dopo l'ègira a Medina, alculto ebraico, nel quale senza dubbio ha fatto a lui lamaggiore impressione la lettura del libro sacro. È notoche la mancanza che Maometto ha inteso più vivamenteper i suoi Arabi fu quella di libri sacri; per questo eglichiamò ebrei e cristiani «la gente del libro», e a tale la-cuna egli volle ovviare con il suo «libro» il quale nonper nulla ebbe subito, come ogni singolo testo di esso, ilnome di qur’ān, denominazione che vale «lettura», e ilcui immediato modello può cercarsi nel siriaco geryānā,con cui le chiese monofisite e nestoriane, così diffuse inArabia, indicavano quella parte del culto che tanto colpìMaometto, cioè la lettura del testo sacro.Con ciò noi siamo in possesso di due elementi principaliche il Profeta trovò operanti nell'ambiente e che entrava-no nella sua ispirazione: la tradizione araba religiosa oaltra (anche la sapienza yemenica) e l'influsso del Giu-daismo. Ci manca, per completare il quadro, di conside-rare un altro elemento già posto in rilievo dal Wellhau-sen, combattuto dal Lammens,169 e che può dirsi secon-do alcune dottrine recenti170 il prevalente, quale determi-169 Cfr. Les Chrétiens à la Mecque, in L'Arabie Occidentale à la veille de

l'Hégire, pp. 1-49.170 V. lo scritto del NAU citato sopra, p. 52 nota 1 [Nota 52 di questa edizione

elettronica] e il fondamentale lavoro di TOR ANDRAE, Der Ursprung desIslams und das Christentum, in «Kyrkohistorisk Årsskrift», 1923-1925(pubblicato anche a parte, Upssala, 1926); inoltre gli scritti citati appresso,

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che può ritenersi equivalere alla sinagoga. Sicché si puòaffermare con sicurezza che Maometto, condotto dallasua sete religiosa, abbia assistito, prima dell'ègira inqualche comunità ḥigiāzena e dopo l'ègira a Medina, alculto ebraico, nel quale senza dubbio ha fatto a lui lamaggiore impressione la lettura del libro sacro. È notoche la mancanza che Maometto ha inteso più vivamenteper i suoi Arabi fu quella di libri sacri; per questo eglichiamò ebrei e cristiani «la gente del libro», e a tale la-cuna egli volle ovviare con il suo «libro» il quale nonper nulla ebbe subito, come ogni singolo testo di esso, ilnome di qur’ān, denominazione che vale «lettura», e ilcui immediato modello può cercarsi nel siriaco geryānā,con cui le chiese monofisite e nestoriane, così diffuse inArabia, indicavano quella parte del culto che tanto colpìMaometto, cioè la lettura del testo sacro.Con ciò noi siamo in possesso di due elementi principaliche il Profeta trovò operanti nell'ambiente e che entrava-no nella sua ispirazione: la tradizione araba religiosa oaltra (anche la sapienza yemenica) e l'influsso del Giu-daismo. Ci manca, per completare il quadro, di conside-rare un altro elemento già posto in rilievo dal Wellhau-sen, combattuto dal Lammens,169 e che può dirsi secon-do alcune dottrine recenti170 il prevalente, quale determi-169 Cfr. Les Chrétiens à la Mecque, in L'Arabie Occidentale à la veille de

l'Hégire, pp. 1-49.170 V. lo scritto del NAU citato sopra, p. 52 nota 1 [Nota 52 di questa edizione

elettronica] e il fondamentale lavoro di TOR ANDRAE, Der Ursprung desIslams und das Christentum, in «Kyrkohistorisk Årsskrift», 1923-1925(pubblicato anche a parte, Upssala, 1926); inoltre gli scritti citati appresso,

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nante della psicologia religiosa di Maometto. Non solodal libro dell'Andrae citato in nota ma soprattutto daquello del Nau egualmente citato appare evidente chenon si può fare storia dell'Islam primitivo senza avercontinuamente sotto gli occhi il quadro del Cristianesi-mo in Arabia, del quale tracceremo qui sotto le linee ge-nerali; e ciò non solo in ordine all'ispirazione concretadi Maometto, per la quale ha dato elementi decisivi ilpredetto Andrae; ma anche per la diffusione prima dellanuova dottrina, la quale sicuramente ha trovato nei nu-merosi cristiani presenti non solo in alcuni centri di Si-ria e Mesopotamia, ma anche nelle tribù arabe nomadi,elementi singolarmente adatti e preparati dal Cristianesi-mo a ricevere ed accettare credenze e pratiche così nuo-ve e lontane dal paganesimo, quelle insegnate da Mao-metto.Indirizzati dunque dalla presenza nel Corano di elementiche Maometto non avrebbe potuto desumere dalla suapropria esperienza senza intervento di elementi estranei(tali p. e. la descrizione della figura di Cristo, la stessadottrina del giudizio e della resurrezione, alcune espres-sioni concrete, ecc.) siamo condotti naturalmente a daretutto il valore a quelle notizie sulla diffusione del Cri-stianesimo in Arabia, che recentemente sono state rac-colte con singolare cura da più autori.171 Nel considerare

p. 181 note 1-5 [note 197-201 di questa edizione elettronica].171 Oltre agli scritti del LAMMENS e del NAU citati sopra, note 1 e 2, [Note 169 e

170 di questa edizione elettronica] v. H. CHARLES, Le Christianisme desArabes nomades sur le Limes et dans le désert syro-mésopotamique aux

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nante della psicologia religiosa di Maometto. Non solodal libro dell'Andrae citato in nota ma soprattutto daquello del Nau egualmente citato appare evidente chenon si può fare storia dell'Islam primitivo senza avercontinuamente sotto gli occhi il quadro del Cristianesi-mo in Arabia, del quale tracceremo qui sotto le linee ge-nerali; e ciò non solo in ordine all'ispirazione concretadi Maometto, per la quale ha dato elementi decisivi ilpredetto Andrae; ma anche per la diffusione prima dellanuova dottrina, la quale sicuramente ha trovato nei nu-merosi cristiani presenti non solo in alcuni centri di Si-ria e Mesopotamia, ma anche nelle tribù arabe nomadi,elementi singolarmente adatti e preparati dal Cristianesi-mo a ricevere ed accettare credenze e pratiche così nuo-ve e lontane dal paganesimo, quelle insegnate da Mao-metto.Indirizzati dunque dalla presenza nel Corano di elementiche Maometto non avrebbe potuto desumere dalla suapropria esperienza senza intervento di elementi estranei(tali p. e. la descrizione della figura di Cristo, la stessadottrina del giudizio e della resurrezione, alcune espres-sioni concrete, ecc.) siamo condotti naturalmente a daretutto il valore a quelle notizie sulla diffusione del Cri-stianesimo in Arabia, che recentemente sono state rac-colte con singolare cura da più autori.171 Nel considerare

p. 181 note 1-5 [note 197-201 di questa edizione elettronica].171 Oltre agli scritti del LAMMENS e del NAU citati sopra, note 1 e 2, [Note 169 e

170 di questa edizione elettronica] v. H. CHARLES, Le Christianisme desArabes nomades sur le Limes et dans le désert syro-mésopotamique aux

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tali notizie dobbiamo tener separate quelle che riguarda-no il Cristianesimo tra le tribù nomadi e quelle relativeai centri. Quelle sulle tribù nomadi hanno certo impor-tanza sia perché possono darci ragione della considera-zione che il Profeta deve aver avuto di quella dottrina, laquale trovava favore già tra i suoi connazionali, la sortereligiosa dei quali gli era tanto a cuore; e sia perché ilCristianesimo può aver rappresentato una efficace pre-parazione dei beduini a quei concetti superiori chel'Islam ha voluto introdurre presso di essi. Ora è certoche non si deve trascurare la naturale scarsa disposizio-ne religiosa dei beduini stessi di fronte all'Islam; ma sa-rebbe egualmente errato attribuire ad essi la piena irreli-giosità che sarebbe in contrasto specialmente con avve-nimenti della storia islamica, quali per esempio quellirelativi allo scisma dei Khārigiti ecc. Non ci interessaqui rimontare ai primordi della evangelizzazione: dai re-centi studi che abbiamo citati in note precedenti risultacerto che i fattori che hanno specialmente influito suibeduini in favore del Cristianesimo sono stati il culto diS. Sergio, così diffuso specialmente nel territoriodell'antica Provincia Arabia; in secondo luogo la vita deimonaci e degli eremiti che con le loro penitenze e leloro caritatevoli disposizioni verso i poveri erranti nel

alentours de l'Hégire, Paris, 1936 (Bibliothèque de 1'École de Hautes Étu-des, Sciences religieuses, vol. 52); R. DEVREESSE, Le Christianisme dans lapéninsule sinaïtique, in «Revue Biblique», XLIX, 1940, pp. 205-223, e LeChristianisme dans la province d'Arabie, in «Vivre et Penser», 2e série,1942, pp. 110-146, riprodotto in Le patriarcat d'Antioche, Paris, 1945, pp.208-240.

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tali notizie dobbiamo tener separate quelle che riguarda-no il Cristianesimo tra le tribù nomadi e quelle relativeai centri. Quelle sulle tribù nomadi hanno certo impor-tanza sia perché possono darci ragione della considera-zione che il Profeta deve aver avuto di quella dottrina, laquale trovava favore già tra i suoi connazionali, la sortereligiosa dei quali gli era tanto a cuore; e sia perché ilCristianesimo può aver rappresentato una efficace pre-parazione dei beduini a quei concetti superiori chel'Islam ha voluto introdurre presso di essi. Ora è certoche non si deve trascurare la naturale scarsa disposizio-ne religiosa dei beduini stessi di fronte all'Islam; ma sa-rebbe egualmente errato attribuire ad essi la piena irreli-giosità che sarebbe in contrasto specialmente con avve-nimenti della storia islamica, quali per esempio quellirelativi allo scisma dei Khārigiti ecc. Non ci interessaqui rimontare ai primordi della evangelizzazione: dai re-centi studi che abbiamo citati in note precedenti risultacerto che i fattori che hanno specialmente influito suibeduini in favore del Cristianesimo sono stati il culto diS. Sergio, così diffuso specialmente nel territoriodell'antica Provincia Arabia; in secondo luogo la vita deimonaci e degli eremiti che con le loro penitenze e leloro caritatevoli disposizioni verso i poveri erranti nel

alentours de l'Hégire, Paris, 1936 (Bibliothèque de 1'École de Hautes Étu-des, Sciences religieuses, vol. 52); R. DEVREESSE, Le Christianisme dans lapéninsule sinaïtique, in «Revue Biblique», XLIX, 1940, pp. 205-223, e LeChristianisme dans la province d'Arabie, in «Vivre et Penser», 2e série,1942, pp. 110-146, riprodotto in Le patriarcat d'Antioche, Paris, 1945, pp.208-240.

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deserto hanno fatto profonda impressione sull'animo deinomadi. Vedremo appresso come le pratiche devote edascetiche degli eremiti nel deserto (preghiere, prostra-zioni, digiuni) hanno forse avuto influsso sull'animo diMaometto incline al misticismo; egli forse nei suoi viag-gi in Siria ha avuto occasione, traversando il deserto, divedere questi monaci darsi alle loro orazioni (cfr. Nau).Citiamo in special modo gli Stiliti; abbiamo una interes-sante testimonianza di Teodoreto172 il quale attestal'entusiasmo rumoroso, e a un certo punto per lui anchepericoloso, dei beduini che si affollavano per avere labenedizione di S. Simeone. Non dobbiamo dimenticarea questo punto che i conventi costituivano un luogo dirifugio e di ristoro per gli abitanti del deserto, e il Lam-mens173 ha insistito particolarmente sul commercio delvino esercitato da questi conventi e sull'efficacia di que-sto argomento invero più terreno per la diffusionedell'influenza cristiana. Più sottoscrizioni di vescovi adatti di Concili ci attestano inoltre che intorno ad agglo-merazioni monacali si sono costituite comunità cristianedi beduini alle quali i monaci hanno fornito la chiesa ealtri edifici necessari per la convivenza, costituendoquelle che sono chiamate nelle nostre fonti le parembo-lai o accampamenti, agglomerazioni cristiane che hannoavuto anche il loro vescovo, presente appunto a quei

172 Teodoreto, Historia religiosa, cap. XXVI, §§ 13-19 (Patrologia Graeca,LXXVII, coll. 1476-1477).

173 H. LAMMENS, Études sur le siècle des Omayyades, Beyrouth, 1930, pp. 245-246.

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deserto hanno fatto profonda impressione sull'animo deinomadi. Vedremo appresso come le pratiche devote edascetiche degli eremiti nel deserto (preghiere, prostra-zioni, digiuni) hanno forse avuto influsso sull'animo diMaometto incline al misticismo; egli forse nei suoi viag-gi in Siria ha avuto occasione, traversando il deserto, divedere questi monaci darsi alle loro orazioni (cfr. Nau).Citiamo in special modo gli Stiliti; abbiamo una interes-sante testimonianza di Teodoreto172 il quale attestal'entusiasmo rumoroso, e a un certo punto per lui anchepericoloso, dei beduini che si affollavano per avere labenedizione di S. Simeone. Non dobbiamo dimenticarea questo punto che i conventi costituivano un luogo dirifugio e di ristoro per gli abitanti del deserto, e il Lam-mens173 ha insistito particolarmente sul commercio delvino esercitato da questi conventi e sull'efficacia di que-sto argomento invero più terreno per la diffusionedell'influenza cristiana. Più sottoscrizioni di vescovi adatti di Concili ci attestano inoltre che intorno ad agglo-merazioni monacali si sono costituite comunità cristianedi beduini alle quali i monaci hanno fornito la chiesa ealtri edifici necessari per la convivenza, costituendoquelle che sono chiamate nelle nostre fonti le parembo-lai o accampamenti, agglomerazioni cristiane che hannoavuto anche il loro vescovo, presente appunto a quei

172 Teodoreto, Historia religiosa, cap. XXVI, §§ 13-19 (Patrologia Graeca,LXXVII, coll. 1476-1477).

173 H. LAMMENS, Études sur le siècle des Omayyades, Beyrouth, 1930, pp. 245-246.

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concili. Una delle più famose parembolai è quella for-matasi intorno al monastero di S. Saba in Palestina, traGerusalemme e Gerico, per opera di S. Eutimio. El'esempio di questo, la solennità della liturgia melchitaed altri fattori hanno certamente contribuito a radicarenell'animo delle povere tribù arabe nomadi essenzialiprincipi e pratiche del Cristianesimo. Ma il fatto che vaconsiderato in prima linea in questo contesto è la mis-sione. La grande espansione della chiesa monofisita e diquella nestoriana ai limiti del deserto, lo zelo di ambe-due queste confessioni per la propagazione della dottri-na cristiana hanno avuto effetti assai notevoli per la dif-fusione del cristianesimo in Arabia. Sembra certo che ilmaggiore spirito mistico dei monofisiti e il loro maggiorcalore di zelo apostolico (si pensi, per un esempio pertutti, a Giacomo Baradeo, instauratore della chiesa mo-nofisita in Siria) debba far concludere per una premi-nenza dei monofisiti in quest'opera e ciò contrariamenteper qualche aspetto alla tesi dell'Andrae,174 il quale nelsuo ottimo libro sulle origini dell'Islam e il Cristianesi-mo, sul quale ritorneremo, ha posto a base della sua co-struzione una prevalenza degli elementi nestoriani tragli Arabi. In un testo siriaco, la storia di Akhūdem-mēh,175 abbiamo il racconto della missione di questo ze-lante monofisita proveniente da uno dei numerosi mona-

174 Sul «pannestorianismo» dell'Andrae, v. le osservazioni di M. GUIDI in «By-zantion», VII, 1932, p. 419.

175 Histoire de Saint Mar Akhoudemmeh apôtre et Saint Martyr, pubblicata etradotta da F. NAU in Patrologia Orientalis, III, Paris, 1909, pp. 15-52.

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concili. Una delle più famose parembolai è quella for-matasi intorno al monastero di S. Saba in Palestina, traGerusalemme e Gerico, per opera di S. Eutimio. El'esempio di questo, la solennità della liturgia melchitaed altri fattori hanno certamente contribuito a radicarenell'animo delle povere tribù arabe nomadi essenzialiprincipi e pratiche del Cristianesimo. Ma il fatto che vaconsiderato in prima linea in questo contesto è la mis-sione. La grande espansione della chiesa monofisita e diquella nestoriana ai limiti del deserto, lo zelo di ambe-due queste confessioni per la propagazione della dottri-na cristiana hanno avuto effetti assai notevoli per la dif-fusione del cristianesimo in Arabia. Sembra certo che ilmaggiore spirito mistico dei monofisiti e il loro maggiorcalore di zelo apostolico (si pensi, per un esempio pertutti, a Giacomo Baradeo, instauratore della chiesa mo-nofisita in Siria) debba far concludere per una premi-nenza dei monofisiti in quest'opera e ciò contrariamenteper qualche aspetto alla tesi dell'Andrae,174 il quale nelsuo ottimo libro sulle origini dell'Islam e il Cristianesi-mo, sul quale ritorneremo, ha posto a base della sua co-struzione una prevalenza degli elementi nestoriani tragli Arabi. In un testo siriaco, la storia di Akhūdem-mēh,175 abbiamo il racconto della missione di questo ze-lante monofisita proveniente da uno dei numerosi mona-

174 Sul «pannestorianismo» dell'Andrae, v. le osservazioni di M. GUIDI in «By-zantion», VII, 1932, p. 419.

175 Histoire de Saint Mar Akhoudemmeh apôtre et Saint Martyr, pubblicata etradotta da F. NAU in Patrologia Orientalis, III, Paris, 1909, pp. 15-52.

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steri dell'alta Mesopotamia tra gli Arabi del Bēth ‘Ar-bāyē. Questa missione che si diffondeva dai principalicentri monofisiti e nestoriani è riuscita a convertire nonpoche tribù, e non ha trascurato di inviare i propri mem-bri nei luoghi ove in maggior numero esse convenivano.Così non è azzardato supporre che tra gli elementi cosìdisparati che frequentavano le riunioni religiose pagane,come il pellegrinaggio ai grandi santuari, si trovasse ac-canto al mercante o al cantastorie o al poeta anche ilmissionario cristiano; appare tutt'altro che impossibiledalle condizioni generali che appunto in queste occasio-ni Maometto, così curioso di vita religiosa, abbia intesodalla bocca del missionario alcune di quelle espressioniche l'Andrae ha dimostrato esser comuni al Corano eall'antica letteratura siriaca, la quale doveva formare lasostanza del messaggio missionario, come ancor oggi èdei maggiori Padri della Chiesa da cui predicatori e mis-sionari derivano non solo materia ma anche espressioni.Per tutto ciò occorre però supporre o che Maomettocomprendesse il siriaco, cosa del tutto improbabile, oche i missionari sapessero esprimersi in arabo, almenoin maniera sufficiente, cosa che viceversa appare moltopiù possibile. Non è neanche da escludere che questimissionari giungessero assai addentro nei deserti di Ara-bia; e a questo proposito non bisogna dimenticare chenel Yemen, nella vallata di Nagrān, vi era un notevolecentro di cristianesimo, come attestano senza alcun dub-bio i testi agiografici che abbiamo citato qui sopra. Lo

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steri dell'alta Mesopotamia tra gli Arabi del Bēth ‘Ar-bāyē. Questa missione che si diffondeva dai principalicentri monofisiti e nestoriani è riuscita a convertire nonpoche tribù, e non ha trascurato di inviare i propri mem-bri nei luoghi ove in maggior numero esse convenivano.Così non è azzardato supporre che tra gli elementi cosìdisparati che frequentavano le riunioni religiose pagane,come il pellegrinaggio ai grandi santuari, si trovasse ac-canto al mercante o al cantastorie o al poeta anche ilmissionario cristiano; appare tutt'altro che impossibiledalle condizioni generali che appunto in queste occasio-ni Maometto, così curioso di vita religiosa, abbia intesodalla bocca del missionario alcune di quelle espressioniche l'Andrae ha dimostrato esser comuni al Corano eall'antica letteratura siriaca, la quale doveva formare lasostanza del messaggio missionario, come ancor oggi èdei maggiori Padri della Chiesa da cui predicatori e mis-sionari derivano non solo materia ma anche espressioni.Per tutto ciò occorre però supporre o che Maomettocomprendesse il siriaco, cosa del tutto improbabile, oche i missionari sapessero esprimersi in arabo, almenoin maniera sufficiente, cosa che viceversa appare moltopiù possibile. Non è neanche da escludere che questimissionari giungessero assai addentro nei deserti di Ara-bia; e a questo proposito non bisogna dimenticare chenel Yemen, nella vallata di Nagrān, vi era un notevolecentro di cristianesimo, come attestano senza alcun dub-bio i testi agiografici che abbiamo citato qui sopra. Lo

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zelo dei monofisiti del regno di Ghassān, che aveva lasua sede intorno a Damasco, e anche quello dei nestoria-ni di al-Ḥīrah, ebbero anche la loro importanza perquest'opera di diffusione del Cristianesimo, e come ri-sultato di essa possiamo indicare che molte grandi tribùarabe nomadi dell'interno, poi in parte emigrate in Siriae Mesopotamia, furono da tempo antico cristiane: cosìla grande confederazione dei Tanūkh, facente parte delgruppo yemenita dei Quḍā‘ah che poi occuparono il ter-ritorio ad ovest dell'Eufrate e giunsero fino ad al-Ḥīrahdi cui costituirono una parte importante della popolazio-ne, insieme con gli ‘Ibād, composti di elementi di parec-chie tribù arabe che ricevettero il nome comune dal fattodi essere cristiani, probabilmente da ‘ibād al-Masīḥ«servi di Cristo». Noi non sappiamo però come penetròfra essi il Cristianesimo. Altra grande tribù cristiana ve-nuta nell'‘Irāq fu quella dei Taghlib, che dopo la famosaguerra di Basūs, che essi combatterono coi fratelli Bakribn Wā’il, emigrarono in Mesopotamia, dove li trovia-mo già alla metà del VI secolo, e dove assunsero il Cri-stianesimo monofisita appunto perché in più stretto con-tatto con la Siria che professava in prevalenza quellaconfessione. Dei predetti Bakr ibn Wā’il solo alcunefrazioni si convertirono al Cristianesimo, come i famosiBanū Shaibān. I Banū Kalb, anch'essi ramo deiQuḍā‘ah, trasferitisi nel deserto tra la Siria, il Ḥigiāz el'‘Irāq, e che tanta parte ebbero nella storia degli Om-miadi, che come si sa si appoggiarono ad essi, erano cri-stiani monofisiti in grande maggioranza al momento che

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zelo dei monofisiti del regno di Ghassān, che aveva lasua sede intorno a Damasco, e anche quello dei nestoria-ni di al-Ḥīrah, ebbero anche la loro importanza perquest'opera di diffusione del Cristianesimo, e come ri-sultato di essa possiamo indicare che molte grandi tribùarabe nomadi dell'interno, poi in parte emigrate in Siriae Mesopotamia, furono da tempo antico cristiane: cosìla grande confederazione dei Tanūkh, facente parte delgruppo yemenita dei Quḍā‘ah che poi occuparono il ter-ritorio ad ovest dell'Eufrate e giunsero fino ad al-Ḥīrahdi cui costituirono una parte importante della popolazio-ne, insieme con gli ‘Ibād, composti di elementi di parec-chie tribù arabe che ricevettero il nome comune dal fattodi essere cristiani, probabilmente da ‘ibād al-Masīḥ«servi di Cristo». Noi non sappiamo però come penetròfra essi il Cristianesimo. Altra grande tribù cristiana ve-nuta nell'‘Irāq fu quella dei Taghlib, che dopo la famosaguerra di Basūs, che essi combatterono coi fratelli Bakribn Wā’il, emigrarono in Mesopotamia, dove li trovia-mo già alla metà del VI secolo, e dove assunsero il Cri-stianesimo monofisita appunto perché in più stretto con-tatto con la Siria che professava in prevalenza quellaconfessione. Dei predetti Bakr ibn Wā’il solo alcunefrazioni si convertirono al Cristianesimo, come i famosiBanū Shaibān. I Banū Kalb, anch'essi ramo deiQuḍā‘ah, trasferitisi nel deserto tra la Siria, il Ḥigiāz el'‘Irāq, e che tanta parte ebbero nella storia degli Om-miadi, che come si sa si appoggiarono ad essi, erano cri-stiani monofisiti in grande maggioranza al momento che

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sorse l'Islam; non così i Tayy’, rimasti pagani. Nellalontana Yamāmah i Banū Ḥanīfah, ramo dei Bakr ibnWā’il, furono in molta parte cristiani, e così alcune fra-zioni dei Tamīm. Nel vero e proprio Negd più scarsa èla mèsse e di due conventi che lo Cheikho176 ha volutotrovarvi è tutt'altro che sicura l'esistenza. Nel regno kin-dita vi erano certamente cristiani e la celebre principessaHind, figlia del capo kindita al-Ḥārith ibn ‘Amr e sposadel grande re lakhmida Mundhir III, sappiamo sicura-mente che fu cristiana e un'iscrizione ci attesta che essafondò un convento-chiesa ad al-Ḥīrah. Da quanto si èesposto si vede quanto sia differente il quadro che oc-corre rappresentarsi dell'Arabia all'origine dell'Islam daquello che spesso disegna la storiografia tradizionale:dobbiamo cioè vedervi quale fattore potentemente pre-sente il Cristianesimo, con conseguenze di straordinariaimportanza, non solo in merito all'ispirazione di Mao-metto, ma anche in relazione alla diffusione dell'Islamconsiderata alla base della disposizione degli abitanti diArabia che lo accettarono. E non è neanche da escluder-si che il calore di pietà musulmana che recenti ricerche,specialmente dell'Asín, hanno dimostrato in feconda re-lazione con i valori cristiani si ricongiunga attraversovene sottili della tradizione spirituale all'imponente pre-cedente cristiano che si è affermato in Arabia. E non sipuò a meno di dire da chi abbia al sommo delle sueaspirazioni la gloria di questa tradizione cristiana che

176 «Al-Machriq», XV, 1912, p. 627.

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sorse l'Islam; non così i Tayy’, rimasti pagani. Nellalontana Yamāmah i Banū Ḥanīfah, ramo dei Bakr ibnWā’il, furono in molta parte cristiani, e così alcune fra-zioni dei Tamīm. Nel vero e proprio Negd più scarsa èla mèsse e di due conventi che lo Cheikho176 ha volutotrovarvi è tutt'altro che sicura l'esistenza. Nel regno kin-dita vi erano certamente cristiani e la celebre principessaHind, figlia del capo kindita al-Ḥārith ibn ‘Amr e sposadel grande re lakhmida Mundhir III, sappiamo sicura-mente che fu cristiana e un'iscrizione ci attesta che essafondò un convento-chiesa ad al-Ḥīrah. Da quanto si èesposto si vede quanto sia differente il quadro che oc-corre rappresentarsi dell'Arabia all'origine dell'Islam daquello che spesso disegna la storiografia tradizionale:dobbiamo cioè vedervi quale fattore potentemente pre-sente il Cristianesimo, con conseguenze di straordinariaimportanza, non solo in merito all'ispirazione di Mao-metto, ma anche in relazione alla diffusione dell'Islamconsiderata alla base della disposizione degli abitanti diArabia che lo accettarono. E non è neanche da escluder-si che il calore di pietà musulmana che recenti ricerche,specialmente dell'Asín, hanno dimostrato in feconda re-lazione con i valori cristiani si ricongiunga attraversovene sottili della tradizione spirituale all'imponente pre-cedente cristiano che si è affermato in Arabia. E non sipuò a meno di dire da chi abbia al sommo delle sueaspirazioni la gloria di questa tradizione cristiana che

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tale circostanza rappresenta uno dei migliori argomentidi apologia che ci possa offrire la storia religiosa diOriente. Nella quale vediamo sì sorgere in violenta op-posizione al Cristianesimo la nuova grande confessione,l'Islam, ma la vediamo tuttavia dovere tanto di sé a quel-lo e più particolarmente allo zelo di quei poveri monaciche accesi dallo spirito di Cristo hanno nelle più asprefatiche, ed esponendosi ai più gravi pericoli, diffuso lasua voce tra coloro che erravano dietro l'adorazione deifeticci di pietra e si avvilivano in un culto fanatico, dicui abbiamo qui sopra descritto qualche tratto; preparan-do insieme il terreno per quella più sottile diffusione delfermento cristiano, ai cui effetti remoti abbiamo accen-nato qui sopra. Considerata la diffusione del Cristianesi-mo nelle tribù ci conviene ora, seguendo sempre il ne-cessario metodo di guardare insieme alle condizioni del-la vita nomade e di quella sedentaria, considerare breve-mente il Cristianesimo nei centri. Già abbiamo accenna-to all'importanza che per la diffusione di quello ebbero iregni di al-Ḥīrah e di Ghassān. Ci resta da studiare piùspecialmente le condizioni del Ḥigiāz. S'intende che vasempre tenuta presente l'importanza di Bostra, centrodel culto di S. Sergio, divenuta dopo la conquista roma-na il capoluogo della Provincia Arabia, e che fu centronotevole di religione cristiana, come risulta dalle nume-rose chiese di cui abbiamo notizie ed anche dai fastidell'Episcopato. A Medina, in cui abbiamo visto cosìimportante l'influsso dell'elemento giudaico, non consta-tiamo alcun elemento cristiano di rilievo. Più lungo di-

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tale circostanza rappresenta uno dei migliori argomentidi apologia che ci possa offrire la storia religiosa diOriente. Nella quale vediamo sì sorgere in violenta op-posizione al Cristianesimo la nuova grande confessione,l'Islam, ma la vediamo tuttavia dovere tanto di sé a quel-lo e più particolarmente allo zelo di quei poveri monaciche accesi dallo spirito di Cristo hanno nelle più asprefatiche, ed esponendosi ai più gravi pericoli, diffuso lasua voce tra coloro che erravano dietro l'adorazione deifeticci di pietra e si avvilivano in un culto fanatico, dicui abbiamo qui sopra descritto qualche tratto; preparan-do insieme il terreno per quella più sottile diffusione delfermento cristiano, ai cui effetti remoti abbiamo accen-nato qui sopra. Considerata la diffusione del Cristianesi-mo nelle tribù ci conviene ora, seguendo sempre il ne-cessario metodo di guardare insieme alle condizioni del-la vita nomade e di quella sedentaria, considerare breve-mente il Cristianesimo nei centri. Già abbiamo accenna-to all'importanza che per la diffusione di quello ebbero iregni di al-Ḥīrah e di Ghassān. Ci resta da studiare piùspecialmente le condizioni del Ḥigiāz. S'intende che vasempre tenuta presente l'importanza di Bostra, centrodel culto di S. Sergio, divenuta dopo la conquista roma-na il capoluogo della Provincia Arabia, e che fu centronotevole di religione cristiana, come risulta dalle nume-rose chiese di cui abbiamo notizie ed anche dai fastidell'Episcopato. A Medina, in cui abbiamo visto cosìimportante l'influsso dell'elemento giudaico, non consta-tiamo alcun elemento cristiano di rilievo. Più lungo di-

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scorso richiede la Mecca, anche perché la formazionedella coscienza religiosa di Maometto avvenne appuntoin quel centro. È sicuro che non vi fosse alcuna tracciadi vita cristiana organizzata, come non ve n'era, el'abbiamo già detto, di vita ebraica. Ma una paziente ri-cognizione delle nostre fonti permette di rilevare una se-rie di isolati elementi, i quali senza dubbio hanno avutoil loro effetto sulla primitiva evoluzione dell'Islam.177

Dobbiamo anzitutto rivolger lo sguardo ai rapporti chela Mecca ebbe sia con l'Abissinia, sia con Nagrān, paesiambedue cristiani. Si vedrà che secondo la tradizioneMaometto nacque nel cosiddetto «anno dell'Elefante»,quello in cui il viceré di Abissinia mosse alla conquistadella Mecca, avendo nel suo esercito un elefante chefece profonda impressione sui rozzi ed ingenui Arabi.Le relazioni di varia indole, ma soprattutto commerciali,continuarono vive e ininterrotte; ciò che è interessantequi notare è che uno degli aspetti di tali relazioni è ilconfluire alla Mecca di schiavi abissini, di cui si facevacommercio, naturalmente cristiani, e che ebbero la loroparte notevole nella diffusione in vari ambienti dellaloro fede. E il commercio in genere dei Quraish conl'Abissinia fu attivissimo e la vita del Profeta, o più pre-cisamente la descrizione di essa dovuta a Ibn Isḥāq eche noi abbiamo nella redazione di Ibn Hishām (chia-mata generalmente la Sīrah), ce ne dà abbondantissime

177 H. LAMMENS, Les Chrétiens à la Mecque, in L'Arabie Occidentale à la veil-le de l'Hégire, Beyrouth, 1928, pp. 1-49 Les Juifs à la Mecque, ibid., pp.51-99.

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scorso richiede la Mecca, anche perché la formazionedella coscienza religiosa di Maometto avvenne appuntoin quel centro. È sicuro che non vi fosse alcuna tracciadi vita cristiana organizzata, come non ve n'era, el'abbiamo già detto, di vita ebraica. Ma una paziente ri-cognizione delle nostre fonti permette di rilevare una se-rie di isolati elementi, i quali senza dubbio hanno avutoil loro effetto sulla primitiva evoluzione dell'Islam.177

Dobbiamo anzitutto rivolger lo sguardo ai rapporti chela Mecca ebbe sia con l'Abissinia, sia con Nagrān, paesiambedue cristiani. Si vedrà che secondo la tradizioneMaometto nacque nel cosiddetto «anno dell'Elefante»,quello in cui il viceré di Abissinia mosse alla conquistadella Mecca, avendo nel suo esercito un elefante chefece profonda impressione sui rozzi ed ingenui Arabi.Le relazioni di varia indole, ma soprattutto commerciali,continuarono vive e ininterrotte; ciò che è interessantequi notare è che uno degli aspetti di tali relazioni è ilconfluire alla Mecca di schiavi abissini, di cui si facevacommercio, naturalmente cristiani, e che ebbero la loroparte notevole nella diffusione in vari ambienti dellaloro fede. E il commercio in genere dei Quraish conl'Abissinia fu attivissimo e la vita del Profeta, o più pre-cisamente la descrizione di essa dovuta a Ibn Isḥāq eche noi abbiamo nella redazione di Ibn Hishām (chia-mata generalmente la Sīrah), ce ne dà abbondantissime

177 H. LAMMENS, Les Chrétiens à la Mecque, in L'Arabie Occidentale à la veil-le de l'Hégire, Beyrouth, 1928, pp. 1-49 Les Juifs à la Mecque, ibid., pp.51-99.

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notizie. Cristiani di Nagrān sono venuti sicuramente allaMecca, e secondo la tradizione anche accompagnati dalVescovo, che avrebbe avuto colloqui con Maometto(Lammens) per sostenere le famose contese orali con ilProfeta, delle quali è piena la storia delle varie popola-zioni arabe al momento della prima diffusione dellanuova dottrina. Non è improbabile certo che questi de-putati fossero nello stesso tempo rappresentanti di com-mercio, ed è credibile che la loro venuta abbia coincisocon le grandi fiere annuali che avevano luogo alla Mec-ca all'epoca del pellegrinaggio. La tradizione ci sa anchedire che uno di questi cristiani di Nagrān, un certo ‘Ab-dah ibn Mus-hir, ha avuto colloquio con il Profeta, figu-ra anzi nelle raccolte biografiche che illustrano i perso-naggi che sono ritenuti come Compagni del Profeta.‘Abdah avrebbe anche indicato come sua patria laKa‘bah di Nagrān, cioè, secondo la tradizione, una chie-sa ivi esistente. S'intende che nelle predette fiere nondovevano trovarsi solamente questi Nagrāniti, ma daogni parte di Arabia dovevano venirvi mercanti, e fraessi naturalmente mercanti cristiani, come quelli di al-Ḥīrah, che certamente non dovevano mancare nella an-nuale carovana di Stato che i re di Persia mandavano inArabia. Ed è sicuro che tutti questi elementi non posso-no non aver visitato anche la Mecca, i cui fondachi ecci-tavano naturalmente la loro curiosità e la loro cupidigia.E che fra tanti elementi cristiani che giungevano da partilontane alla capitale quraiscita Maometto abbia potutotrovar pascolo alla sua sempre desta curiosità di cose re-

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notizie. Cristiani di Nagrān sono venuti sicuramente allaMecca, e secondo la tradizione anche accompagnati dalVescovo, che avrebbe avuto colloqui con Maometto(Lammens) per sostenere le famose contese orali con ilProfeta, delle quali è piena la storia delle varie popola-zioni arabe al momento della prima diffusione dellanuova dottrina. Non è improbabile certo che questi de-putati fossero nello stesso tempo rappresentanti di com-mercio, ed è credibile che la loro venuta abbia coincisocon le grandi fiere annuali che avevano luogo alla Mec-ca all'epoca del pellegrinaggio. La tradizione ci sa anchedire che uno di questi cristiani di Nagrān, un certo ‘Ab-dah ibn Mus-hir, ha avuto colloquio con il Profeta, figu-ra anzi nelle raccolte biografiche che illustrano i perso-naggi che sono ritenuti come Compagni del Profeta.‘Abdah avrebbe anche indicato come sua patria laKa‘bah di Nagrān, cioè, secondo la tradizione, una chie-sa ivi esistente. S'intende che nelle predette fiere nondovevano trovarsi solamente questi Nagrāniti, ma daogni parte di Arabia dovevano venirvi mercanti, e fraessi naturalmente mercanti cristiani, come quelli di al-Ḥīrah, che certamente non dovevano mancare nella an-nuale carovana di Stato che i re di Persia mandavano inArabia. Ed è sicuro che tutti questi elementi non posso-no non aver visitato anche la Mecca, i cui fondachi ecci-tavano naturalmente la loro curiosità e la loro cupidigia.E che fra tanti elementi cristiani che giungevano da partilontane alla capitale quraiscita Maometto abbia potutotrovar pascolo alla sua sempre desta curiosità di cose re-

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ligiose è più che probabile. Ma dobbiamo ancora guar-dare all'elemento servile che popolava la Mecca e per lopiù dimorava nei sobborghi, quelli che a differenza delcentro della Mecca, che si trovava nei pressi dellaKa‘bah, nella depressione centrale, ricevevano il nomedi aẓ-Ẓawāhir. Fra tanti stranieri i repertori musulmaninominano infatti vari schiavi; e considerata l'abitudineche aveva Maometto di frequentare ogni ambiente pertrarne esperienza, possiamo supporre la possibilità cheun'eco di cristianesimo giungesse fino a lui attraversoquegli umili proseliti. Tanto più in quanto nel Corano, inun celebre passo (Sura 16, 105), Maometto risponde aisuoi detrattori che lo accusavano, come anche nella Sura25, 5, di farsi indicare da altri le nuove dottrine, chel'uomo e la sua lingua, alla quale essi accennano, è bar-bara, cioè non araba, mentre questa (quella del Corano)è araba pura. Ed è quasi certo che in questo straniero di-morante permanentemente alla Mecca si deve ricono-scere appunto uno schiavo o un artigiano; poiché sap-piamo che numerosi stranieri esercitavano nella Meccavarie professioni per lo più non proprie di uomini liberi,tra cui quella di flebotomo o di chirurgo per le più umilifunzioni di tale arte, come protesi di denti, di nasi ecc.Ed erano questi tutti cristiani. Abbiamo anche notizia dischiavi copti e greci ecc. In conclusione, se la Meccanon aveva alcuna organizzazione cristiana, contava peròtra i suoi abitanti o tra gli occasionali visitatori un nu-mero notevole di cristiani, sia anche di condizione servi-le, che possono certo aver diffuso la notizia delle princi-

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ligiose è più che probabile. Ma dobbiamo ancora guar-dare all'elemento servile che popolava la Mecca e per lopiù dimorava nei sobborghi, quelli che a differenza delcentro della Mecca, che si trovava nei pressi dellaKa‘bah, nella depressione centrale, ricevevano il nomedi aẓ-Ẓawāhir. Fra tanti stranieri i repertori musulmaninominano infatti vari schiavi; e considerata l'abitudineche aveva Maometto di frequentare ogni ambiente pertrarne esperienza, possiamo supporre la possibilità cheun'eco di cristianesimo giungesse fino a lui attraversoquegli umili proseliti. Tanto più in quanto nel Corano, inun celebre passo (Sura 16, 105), Maometto risponde aisuoi detrattori che lo accusavano, come anche nella Sura25, 5, di farsi indicare da altri le nuove dottrine, chel'uomo e la sua lingua, alla quale essi accennano, è bar-bara, cioè non araba, mentre questa (quella del Corano)è araba pura. Ed è quasi certo che in questo straniero di-morante permanentemente alla Mecca si deve ricono-scere appunto uno schiavo o un artigiano; poiché sap-piamo che numerosi stranieri esercitavano nella Meccavarie professioni per lo più non proprie di uomini liberi,tra cui quella di flebotomo o di chirurgo per le più umilifunzioni di tale arte, come protesi di denti, di nasi ecc.Ed erano questi tutti cristiani. Abbiamo anche notizia dischiavi copti e greci ecc. In conclusione, se la Meccanon aveva alcuna organizzazione cristiana, contava peròtra i suoi abitanti o tra gli occasionali visitatori un nu-mero notevole di cristiani, sia anche di condizione servi-le, che possono certo aver diffuso la notizia delle princi-

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pali dottrine e pratiche di quella religione. Aggiungiamoqui che secondo il P. Lammens178 le famose truppe qu-raiscite che avevano il nome di aḥābīsh, e che ebberomolta importanza nella storia militare della Mecca, era-no composte unicamente da elementi abissini, secondoindica il nome. Ecco dunque le condizioni di ambientealle quali Maometto poté dovere quegli elementi ebraicie cristiani che sicuramente appaiono nella sua dottrina; evedremo appresso l'importanza di tali condizioni che ca-ratterizzano l'ambiente.In possesso ora di tutti questi elementi possiamo passarea considerare quello che è il fondamento di ogni storiadell'arabismo, e cioè il sorgere del messaggio di Mao-metto. Alla trattazione però di tale argomento faremoprecedere una breve storia della Mecca, sua città natale;per renderci ben conto del luogo in cui egli è nato, oveha passato la giovinezza e dal quale ha preso più imme-diate attitudini e direzioni.Precederanno a questa esposizione le notizie più eviden-temente leggendarie che si riferiscono alle origini dellaMecca e del suo santuario; e che qui si espongono per-ché possono illuminare sullo stato d'animo di Maometto.È bensì diffusa teoria che si tratti di costruzione dovutain gran parte al Profeta stesso, sebbene non sia affattoescluso che già prima di lui vigesse in Arabia una tradi-zione abramica e che fosse diffusa la cognizione della

178 Les «Aḥābīsh» et l'organisation militaire à la Mecque au siècle de l'Hégi-re, in Arabie occidentale ecc., pp. 237-292.

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pali dottrine e pratiche di quella religione. Aggiungiamoqui che secondo il P. Lammens178 le famose truppe qu-raiscite che avevano il nome di aḥābīsh, e che ebberomolta importanza nella storia militare della Mecca, era-no composte unicamente da elementi abissini, secondoindica il nome. Ecco dunque le condizioni di ambientealle quali Maometto poté dovere quegli elementi ebraicie cristiani che sicuramente appaiono nella sua dottrina; evedremo appresso l'importanza di tali condizioni che ca-ratterizzano l'ambiente.In possesso ora di tutti questi elementi possiamo passarea considerare quello che è il fondamento di ogni storiadell'arabismo, e cioè il sorgere del messaggio di Mao-metto. Alla trattazione però di tale argomento faremoprecedere una breve storia della Mecca, sua città natale;per renderci ben conto del luogo in cui egli è nato, oveha passato la giovinezza e dal quale ha preso più imme-diate attitudini e direzioni.Precederanno a questa esposizione le notizie più eviden-temente leggendarie che si riferiscono alle origini dellaMecca e del suo santuario; e che qui si espongono per-ché possono illuminare sullo stato d'animo di Maometto.È bensì diffusa teoria che si tratti di costruzione dovutain gran parte al Profeta stesso, sebbene non sia affattoescluso che già prima di lui vigesse in Arabia una tradi-zione abramica e che fosse diffusa la cognizione della

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storia della Mecca che sarebbe giunta al Profeta e neavrebbe determinato lo stato d'animo; ma specialmentesi espongono perché nella considerazione dell'antichitàaraba non resti nell'ombra questo elemento che poi piùtardi ha veramente, nella comunità, appagato curiosità enutrito o indirizzato sentimento nazionale religioso.

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storia della Mecca che sarebbe giunta al Profeta e neavrebbe determinato lo stato d'animo; ma specialmentesi espongono perché nella considerazione dell'antichitàaraba non resti nell'ombra questo elemento che poi piùtardi ha veramente, nella comunità, appagato curiosità enutrito o indirizzato sentimento nazionale religioso.

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VI.LA MECCA.

Le origini della Mecca, lo abbiamo già accennato, sononella storiografia musulmana strettamente connesse conAbramo. Secondo la redazione vulgata, che forse rimon-ta ad attività armonistica del Profeta, Abramo fuggendodall'ira di Nemrod giunge fino in Egitto, ove Faraone in-sidia Sara e, commosso dall'efficacia della preghiera diquesta, dona a lei una schiava egiziana, Hagar, la qualepoi Sara stessa, per la mancanza di discendenza, donaad Abramo, che ha da essa Ismaele. Come appare benchiaro, è stretta la relazione con il racconto biblico; mase la concezione definitiva che ebbe Maometto di taliavvenimenti dipenda solamente da un suo diretto presti-to alla tradizione ebraica ovvero in quel mondo a noicosì ignoto dell'Arabia preislamica già circolassero tra-dizioni ad essa simili, è questione che appare assai dub-bia né noi possiamo qui discutere.Mosso poi dalla insorta gelosia di Sara, Abramo abban-dona Hagar ed Ismaele nel paese deserto intorno allaMecca, privi di nutrimento ed acqua; nell'affannosa cor-sa di essi tra le colline di Ṣafā e Marwah sarebbe l'origi-ne del rito simile che si compie ancora oggi durante ilpellegrinaggio. Disperato poi per la mancanza d'acqua,Ismaele avrebbe battuto il piede in terra e ne sarebbesorta la fonte che ancora oggi nutre il pozzo di Zamzam.Il paese era allora abitato da Amaleciti. Due di essi er-

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VI.LA MECCA.

Le origini della Mecca, lo abbiamo già accennato, sononella storiografia musulmana strettamente connesse conAbramo. Secondo la redazione vulgata, che forse rimon-ta ad attività armonistica del Profeta, Abramo fuggendodall'ira di Nemrod giunge fino in Egitto, ove Faraone in-sidia Sara e, commosso dall'efficacia della preghiera diquesta, dona a lei una schiava egiziana, Hagar, la qualepoi Sara stessa, per la mancanza di discendenza, donaad Abramo, che ha da essa Ismaele. Come appare benchiaro, è stretta la relazione con il racconto biblico; mase la concezione definitiva che ebbe Maometto di taliavvenimenti dipenda solamente da un suo diretto presti-to alla tradizione ebraica ovvero in quel mondo a noicosì ignoto dell'Arabia preislamica già circolassero tra-dizioni ad essa simili, è questione che appare assai dub-bia né noi possiamo qui discutere.Mosso poi dalla insorta gelosia di Sara, Abramo abban-dona Hagar ed Ismaele nel paese deserto intorno allaMecca, privi di nutrimento ed acqua; nell'affannosa cor-sa di essi tra le colline di Ṣafā e Marwah sarebbe l'origi-ne del rito simile che si compie ancora oggi durante ilpellegrinaggio. Disperato poi per la mancanza d'acqua,Ismaele avrebbe battuto il piede in terra e ne sarebbesorta la fonte che ancora oggi nutre il pozzo di Zamzam.Il paese era allora abitato da Amaleciti. Due di essi er-

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ranti in cerca d'acqua, visto il miracolo compiuto daIsmaele, si avvicinano a lui reverenti e tutta la tribù sistabilisce nel luogo. Così Ismaele cresce fra gli Amale-citi finché poi, dopo che l'intervento di Gabriele impedi-sce ad Abramo di immolarlo (qui la tradizione araba hasostituito Ismaele ad Isacco), gli Amaleciti, temendoche il suo abbandono della regione possa farvi seccar lafonte, gli fanno sposare una loro donna, che è poi daIsmaele stesso ripudiata, poiché essa non accoglie con ladovuta ospitalità il padre Abramo, che incita Ismaele alripudio. Ma ecco giungere alla Mecca e accamparsipresso gli Amaleciti due nuove tribù che avranno partegrandissima nella storia della città; esse sono i Giurhume i Qaṭūrā’, quelli supposti di origine sudarabica, questifigli di Abramo, capitanati rispettivamente da Muḍāḍ eSumaida‘. Gli Amaleciti temendo la loro presenza usanocontro di essi ingiustizie e violenze, tanto che Dio sde-gnato della profanazione da essi commessa nella terrasacra li scaccia dal paese suscitando contro di loro scia-mi di formiche, e i Giurhum e i Qaṭūrā’ divengono pa-droni del paese; sicché le origini della Mecca sono lega-te agli Amaleciti e ai Giurhumiti e a figli di Abramo:Ismaele da Hagar, i Qaṭūrā’ dalla biblica Cetura, la se-conda moglie di Abramo. Ismaele si lega ai Giurhumsposando la figlia di Muḍāḍ che per il suo contegno ver-so Abramo quando viene a visitare Ismaele riceve da luila più ampia grata approvazione e rimane pertanto sposadi Ismaele. Secondo la tradizione araba avviene ora lacostruzione della Ka‘bah, che era stata eretta da Adamo

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ranti in cerca d'acqua, visto il miracolo compiuto daIsmaele, si avvicinano a lui reverenti e tutta la tribù sistabilisce nel luogo. Così Ismaele cresce fra gli Amale-citi finché poi, dopo che l'intervento di Gabriele impedi-sce ad Abramo di immolarlo (qui la tradizione araba hasostituito Ismaele ad Isacco), gli Amaleciti, temendoche il suo abbandono della regione possa farvi seccar lafonte, gli fanno sposare una loro donna, che è poi daIsmaele stesso ripudiata, poiché essa non accoglie con ladovuta ospitalità il padre Abramo, che incita Ismaele alripudio. Ma ecco giungere alla Mecca e accamparsipresso gli Amaleciti due nuove tribù che avranno partegrandissima nella storia della città; esse sono i Giurhume i Qaṭūrā’, quelli supposti di origine sudarabica, questifigli di Abramo, capitanati rispettivamente da Muḍāḍ eSumaida‘. Gli Amaleciti temendo la loro presenza usanocontro di essi ingiustizie e violenze, tanto che Dio sde-gnato della profanazione da essi commessa nella terrasacra li scaccia dal paese suscitando contro di loro scia-mi di formiche, e i Giurhum e i Qaṭūrā’ divengono pa-droni del paese; sicché le origini della Mecca sono lega-te agli Amaleciti e ai Giurhumiti e a figli di Abramo:Ismaele da Hagar, i Qaṭūrā’ dalla biblica Cetura, la se-conda moglie di Abramo. Ismaele si lega ai Giurhumsposando la figlia di Muḍāḍ che per il suo contegno ver-so Abramo quando viene a visitare Ismaele riceve da luila più ampia grata approvazione e rimane pertanto sposadi Ismaele. Secondo la tradizione araba avviene ora lacostruzione della Ka‘bah, che era stata eretta da Adamo

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nel suo posto attuale, sotto il luogo che essa occupa incielo, e poi fu rapita in cielo al tempo del diluvio univer-sale restandone solo le fondamenta. Ecco dunque l'ordi-ne di Dio ad Abramo di ricostruirla; Abramo ed Ismaelescavando trovarono le fondamenta e con pietre delle vi-cine montagne si accinsero alla costruzione delle mura.Ad Ismaele, che cercava la pietra adatta a segnare ilpunto di inizio del giro rituale, Gabriele diede quella cheancora oggi è incastrata nel muro della Ka‘bah e dellaquale qui sopra vedemmo la probabile origine idolatricae il significato. Fu durante la costruzione che Abramo,per poter arrivare a porre le pietre al loro posto, misesotto i suoi piedi un pezzo di roccia, che è quello cheoggi si chiama maqām Ibrāhīm, e che porta secondo lapia credenza musulmana l'impronta del piede del Pa-triarca. Il tempio compiuto è votato al Signore e Gabrie-le indica ai due le preghiere e il rito del pellegrinaggio.Dall'alto del monte Abū Qubais Abramo chiamò tutti ipopoli ad accorrere alla casa di Dio, e costituì Ismaele aguardiano del tempio e capo del paese. Perfino il Caus-sin de Perceval, il cui Essai abbiamo qui seguito da vici-no, sottolinea il carattere mitologico di queste tradizioni;sebbene neanche qui si debba esagerare e si debba tenerpresente la possibilità di una antichissima tradizionemonoteistica, che poi arricchita e rifoggiata dalla pietàpopolare ha dato origine a queste favole. S'intende chel'origine idolatrica della Ka‘bah, come abbiamo espostoqui sopra, è indubbia, ed il formarsi di tali tradizioni sa-rebbe dovuto ad una reazione, la quale trova più tardi in

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nel suo posto attuale, sotto il luogo che essa occupa incielo, e poi fu rapita in cielo al tempo del diluvio univer-sale restandone solo le fondamenta. Ecco dunque l'ordi-ne di Dio ad Abramo di ricostruirla; Abramo ed Ismaelescavando trovarono le fondamenta e con pietre delle vi-cine montagne si accinsero alla costruzione delle mura.Ad Ismaele, che cercava la pietra adatta a segnare ilpunto di inizio del giro rituale, Gabriele diede quella cheancora oggi è incastrata nel muro della Ka‘bah e dellaquale qui sopra vedemmo la probabile origine idolatricae il significato. Fu durante la costruzione che Abramo,per poter arrivare a porre le pietre al loro posto, misesotto i suoi piedi un pezzo di roccia, che è quello cheoggi si chiama maqām Ibrāhīm, e che porta secondo lapia credenza musulmana l'impronta del piede del Pa-triarca. Il tempio compiuto è votato al Signore e Gabrie-le indica ai due le preghiere e il rito del pellegrinaggio.Dall'alto del monte Abū Qubais Abramo chiamò tutti ipopoli ad accorrere alla casa di Dio, e costituì Ismaele aguardiano del tempio e capo del paese. Perfino il Caus-sin de Perceval, il cui Essai abbiamo qui seguito da vici-no, sottolinea il carattere mitologico di queste tradizioni;sebbene neanche qui si debba esagerare e si debba tenerpresente la possibilità di una antichissima tradizionemonoteistica, che poi arricchita e rifoggiata dalla pietàpopolare ha dato origine a queste favole. S'intende chel'origine idolatrica della Ka‘bah, come abbiamo espostoqui sopra, è indubbia, ed il formarsi di tali tradizioni sa-rebbe dovuto ad una reazione, la quale trova più tardi in

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forma più perfetta un'altra manifestazione nell'opera diMaometto. Ora occorre vedere come la tradizione mu-sulmana immagina la propagazione della discendenzad'Ismaele fino a giungere, nel territorio dal quale Ismae-le secondo gli Arabi non s'è più staccato, alla formazio-ne della grande tribù dei Quraish, entro la quale nacqueMaometto. E dopo tale indicazione ci fermeremo più alungo a considerare la vita della Mecca sotto tale tribùnei vari aspetti, politici religiosi e commerciali, questi sìtali da aver avuto una decisiva influenza sulla formazio-ne di Maometto, e avergli dato, insieme con la forza del-la disposizione ereditaria, quella sua abilità politica,quel suo senso della diplomazia e dell'amministrazione,che specialmente nel secondo periodo della sua azionegli hanno assicurato il suo singolare successo.Dopo la morte di Abramo la dignità patriarcale resta adIsmaele, al quale Dio avrebbe affidato il compito di pre-dicare la fede monoteistica ai Giurhum, ai Qaṭūrā’ e agliAmaleciti. Alla morte poi di Ismaele i suoi figli restanonel paese e costituiscono gli Arabi musta‘ribah che an-che nell'uso moderno si chiamano spesso Ismaeliti. IGiurhum, che alla morte del primogenito di Ismaele as-sumono la direzione della Ka‘bah, radunano intorno a ségli Ismaeliti con i quali Muḍāḍ si stabilì nella parte su-periore del territorio, ove poi sorse la Mecca; mentre iQaṭūrā’ dimorarono nella parte bassa. Ben presto fraGiurhum e Qaṭūrā’ sorge la guerra e i Qaṭūrā’ vinti van-no al Nord, confondendosi con gli Amaleciti. Qui non

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forma più perfetta un'altra manifestazione nell'opera diMaometto. Ora occorre vedere come la tradizione mu-sulmana immagina la propagazione della discendenzad'Ismaele fino a giungere, nel territorio dal quale Ismae-le secondo gli Arabi non s'è più staccato, alla formazio-ne della grande tribù dei Quraish, entro la quale nacqueMaometto. E dopo tale indicazione ci fermeremo più alungo a considerare la vita della Mecca sotto tale tribùnei vari aspetti, politici religiosi e commerciali, questi sìtali da aver avuto una decisiva influenza sulla formazio-ne di Maometto, e avergli dato, insieme con la forza del-la disposizione ereditaria, quella sua abilità politica,quel suo senso della diplomazia e dell'amministrazione,che specialmente nel secondo periodo della sua azionegli hanno assicurato il suo singolare successo.Dopo la morte di Abramo la dignità patriarcale resta adIsmaele, al quale Dio avrebbe affidato il compito di pre-dicare la fede monoteistica ai Giurhum, ai Qaṭūrā’ e agliAmaleciti. Alla morte poi di Ismaele i suoi figli restanonel paese e costituiscono gli Arabi musta‘ribah che an-che nell'uso moderno si chiamano spesso Ismaeliti. IGiurhum, che alla morte del primogenito di Ismaele as-sumono la direzione della Ka‘bah, radunano intorno a ségli Ismaeliti con i quali Muḍāḍ si stabilì nella parte su-periore del territorio, ove poi sorse la Mecca; mentre iQaṭūrā’ dimorarono nella parte bassa. Ben presto fraGiurhum e Qaṭūrā’ sorge la guerra e i Qaṭūrā’ vinti van-no al Nord, confondendosi con gli Amaleciti. Qui non

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possiamo discutere l'anacronismo che appare chiaro sesi pensa che Muḍāḍ dovrebbe essere lo stesso suocero diIsmaele, mentre lo discute a lungo, e ci si domanda conquale utilità, vista la natura delle notizie, il Caussin dePerceval. Come abbiamo già avvertito, per giungere daquesta generazione di figli di Ismaele fino al più anticorappresentante degli Arabi del Nord, di cui troviamo no-tizia nella tradizione, cioè ‘Adnān, c'è una grande lacu-na, che non possiamo riempire, sia pure con notizie im-maginarie, né con la tradizione araba né con i dati bibli-ci. Vero è che la Bibbia accenna a Midianiti ed Amaleci-ti in alleanza con i nostri Ismaeliti contro gli Israelitiguidati da Gedeone; e Isaia vaticina contro i figli di Ce-dar e parla degli arieti dei Nabaioth. E qui bisogna nota-re che secondo la tradizione araba Nābit è il figlio mag-giore di Ismaele, mentre il secondo sarebbe Qaidar; que-sta stessa tradizione indica come Arabi, anzi Arabi mu-sta‘ribah, i discendenti di questi due. Poi il primo perso-naggio che risulta della stirpe d'Ismaele nella stessa tra-dizione araba è ‘Adnān, ma essa nulla ci dice circa legenerazioni tra Ismaele e ‘Adnān, calcolate a quarantadallo storico arabo at-Ṭabarī ed altri. Alle notizie su taleperiodo date dalla Bibbia, e alle quali abbiamo accenna-to qui sopra, si possono aggiungere altre leggende ara-be; tra cui quella relativa al babilonese Bokhtnaṣṣar, cheavrebbe invaso il Ḥigiāz; Dio ordina a Geremia e a Ba-rūk di salvare Ma‘add, figlio di ‘Adnān, dal conquistato-re. I due Profeti avrebbero nascosto Ma‘add e gli avreb-bero anche comunicato la loro scienza dei libri santi

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possiamo discutere l'anacronismo che appare chiaro sesi pensa che Muḍāḍ dovrebbe essere lo stesso suocero diIsmaele, mentre lo discute a lungo, e ci si domanda conquale utilità, vista la natura delle notizie, il Caussin dePerceval. Come abbiamo già avvertito, per giungere daquesta generazione di figli di Ismaele fino al più anticorappresentante degli Arabi del Nord, di cui troviamo no-tizia nella tradizione, cioè ‘Adnān, c'è una grande lacu-na, che non possiamo riempire, sia pure con notizie im-maginarie, né con la tradizione araba né con i dati bibli-ci. Vero è che la Bibbia accenna a Midianiti ed Amaleci-ti in alleanza con i nostri Ismaeliti contro gli Israelitiguidati da Gedeone; e Isaia vaticina contro i figli di Ce-dar e parla degli arieti dei Nabaioth. E qui bisogna nota-re che secondo la tradizione araba Nābit è il figlio mag-giore di Ismaele, mentre il secondo sarebbe Qaidar; que-sta stessa tradizione indica come Arabi, anzi Arabi mu-sta‘ribah, i discendenti di questi due. Poi il primo perso-naggio che risulta della stirpe d'Ismaele nella stessa tra-dizione araba è ‘Adnān, ma essa nulla ci dice circa legenerazioni tra Ismaele e ‘Adnān, calcolate a quarantadallo storico arabo at-Ṭabarī ed altri. Alle notizie su taleperiodo date dalla Bibbia, e alle quali abbiamo accenna-to qui sopra, si possono aggiungere altre leggende ara-be; tra cui quella relativa al babilonese Bokhtnaṣṣar, cheavrebbe invaso il Ḥigiāz; Dio ordina a Geremia e a Ba-rūk di salvare Ma‘add, figlio di ‘Adnān, dal conquistato-re. I due Profeti avrebbero nascosto Ma‘add e gli avreb-bero anche comunicato la loro scienza dei libri santi

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ebraici. Particolare da cui appare anche più chiara la na-tura religiosa e combinatoria di tali leggende. Nella lottache ‘Adnān intraprende contro il conquistatore insiemecon gli Ismaeliti e i Giurhum è sconfitto e torna allaMecca solo quando è morto il tiranno. Ivi sposa una giu-rhumita della famiglia di Muḍāḍ e da tale matrimoniosorge una grande nazione ismaelita, quella che abbiamogià conosciuto come Ma‘addita.Ora dobbiamo giungere, sempre con questo materialeleggendario, attraverso la discendenza di ‘Ādnān fino alsorgere della tribù quraiscita da esso discendente, entrocui nasce Maometto. La tradizione araba ha molto cura-to questo capitolo per venire in chiaro della genealogiadel Profeta, con scopi cioè principalmente religiosi. Intutte le genealogie appare tra i numerosi figli di Ma‘addNizār, il quale a sua volta avrebbe avuto quattro figli,Anmār, Iyād, Rabī‘ah e Muḍar, da cui nascono tutte leprincipali tribù del Nord che già chiamammo Ismaeliteo ‘Adnānite. Da Muḍar, che anche per l'opinione dottaodierna dei paesi arabi vale come il rappresentante pereccellenza delle tribù del Nord di fronte ai Rabī‘ah, chesono ravvicinati a quelle del Sud, e ai Qais, nascono pa-recchi figli tra cui Kinānah, eponimo di tribù, e da que-sto tra altri figli nacque Naḍr, chiamato da altri Quraish.I Giurhum rimanevano sempre con alti incarichi allaMecca ed esercitavano una supremazia sul Ḥigiāz. Dopol'invasione di Bokhtnaṣṣar essi hanno una più vigorosavita: è la seconda fase dei Giurhum. Gli Arabi ci dànno

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ebraici. Particolare da cui appare anche più chiara la na-tura religiosa e combinatoria di tali leggende. Nella lottache ‘Adnān intraprende contro il conquistatore insiemecon gli Ismaeliti e i Giurhum è sconfitto e torna allaMecca solo quando è morto il tiranno. Ivi sposa una giu-rhumita della famiglia di Muḍāḍ e da tale matrimoniosorge una grande nazione ismaelita, quella che abbiamogià conosciuto come Ma‘addita.Ora dobbiamo giungere, sempre con questo materialeleggendario, attraverso la discendenza di ‘Ādnān fino alsorgere della tribù quraiscita da esso discendente, entrocui nasce Maometto. La tradizione araba ha molto cura-to questo capitolo per venire in chiaro della genealogiadel Profeta, con scopi cioè principalmente religiosi. Intutte le genealogie appare tra i numerosi figli di Ma‘addNizār, il quale a sua volta avrebbe avuto quattro figli,Anmār, Iyād, Rabī‘ah e Muḍar, da cui nascono tutte leprincipali tribù del Nord che già chiamammo Ismaeliteo ‘Adnānite. Da Muḍar, che anche per l'opinione dottaodierna dei paesi arabi vale come il rappresentante pereccellenza delle tribù del Nord di fronte ai Rabī‘ah, chesono ravvicinati a quelle del Sud, e ai Qais, nascono pa-recchi figli tra cui Kinānah, eponimo di tribù, e da que-sto tra altri figli nacque Naḍr, chiamato da altri Quraish.I Giurhum rimanevano sempre con alti incarichi allaMecca ed esercitavano una supremazia sul Ḥigiāz. Dopol'invasione di Bokhtnaṣṣar essi hanno una più vigorosavita: è la seconda fase dei Giurhum. Gli Arabi ci dànno

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una genealogia con i nomi dei singoli reggitori di novegenerazioni esagerando secondo il loro costume l'anti-chità di esse. Parallelamente a quanto ha egualmentefatto per la genealogia dei Ma‘add, il Caussin de Perce-val esaminando tali genealogie traccia una corrispon-denza tra di esse e arriva alla conclusione che Fihr, fi-glio di Quraish, dovesse essere contemporaneo conl'ultimo dei Giurhumiti, di quella linea fondata dal ma-trimonio di Ma‘add con la giurhumita Ma‘ān figlia diGiurhum, e detta dal Caussin stesso dei secondi Giu-rhum. Ma ora basta di seguire queste fantasie genealogi-che di cui si è dato però un cenno, perché si conoscal'idea che gli Arabi hanno avuta della derivazione delloro Profeta e della storia della città prima della sua mis-sione, senza dire che alla fantasia di Maometto deve es-ser stato presente questo sfondo leggendario delle origi-ni meccane. È importante tuttavia accennare che i Giu-rhumiti, i quali sono accusati di aver dato inizio all'ido-latria nella sacra valle e di aver commesso ingiustizie edelitti, sono poi soverchiati – e la tradizione vede in ciòevidentemente il castigo di Dio, analogo a quello checolpì gli Amaleciti ed altri popoli – da una grande immi-grazione degli Azd provenienti dal Yemen, di lì cacciatidal crollo della diga di Ma᾽rib. Questa grande immigra-zione determinò la distribuzione delle tribù in Arabia,come abbiamo già accennato di sopra. È da questa gran-de tribù guidata da ‘Amr Muzaiqiyā’ che sarebbero deri-vati i Ghassānidi. Al conflitto tra i Giurhum e gli Azd, iquali a un certo punto si arrestarono in un vallone ad Est

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una genealogia con i nomi dei singoli reggitori di novegenerazioni esagerando secondo il loro costume l'anti-chità di esse. Parallelamente a quanto ha egualmentefatto per la genealogia dei Ma‘add, il Caussin de Perce-val esaminando tali genealogie traccia una corrispon-denza tra di esse e arriva alla conclusione che Fihr, fi-glio di Quraish, dovesse essere contemporaneo conl'ultimo dei Giurhumiti, di quella linea fondata dal ma-trimonio di Ma‘add con la giurhumita Ma‘ān figlia diGiurhum, e detta dal Caussin stesso dei secondi Giu-rhum. Ma ora basta di seguire queste fantasie genealogi-che di cui si è dato però un cenno, perché si conoscal'idea che gli Arabi hanno avuta della derivazione delloro Profeta e della storia della città prima della sua mis-sione, senza dire che alla fantasia di Maometto deve es-ser stato presente questo sfondo leggendario delle origi-ni meccane. È importante tuttavia accennare che i Giu-rhumiti, i quali sono accusati di aver dato inizio all'ido-latria nella sacra valle e di aver commesso ingiustizie edelitti, sono poi soverchiati – e la tradizione vede in ciòevidentemente il castigo di Dio, analogo a quello checolpì gli Amaleciti ed altri popoli – da una grande immi-grazione degli Azd provenienti dal Yemen, di lì cacciatidal crollo della diga di Ma᾽rib. Questa grande immigra-zione determinò la distribuzione delle tribù in Arabia,come abbiamo già accennato di sopra. È da questa gran-de tribù guidata da ‘Amr Muzaiqiyā’ che sarebbero deri-vati i Ghassānidi. Al conflitto tra i Giurhum e gli Azd, iquali a un certo punto si arrestarono in un vallone ad Est

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della Mecca assai famoso nella tradizione araba e che sichiama Baṭn Marr, non presero parte i discendenti di Ni-zār, e cioè gli antenati di Quraish, perché essi stessi sitrovavano in lotta contro un'altra grande tribù yemenitache anche essa popolò l'Arabia e che alcuni genealogiattribuiscono alle stirpi del Nord. È questa la tribù deiQuḍā‘ah, da cui derivarono i Salīḥiti che i Ghassānidicacciarono dal loro regno, i Kalb ecc.; intanto al princi-pio del terzo secolo (il Caussin fissa con eccessiva pre-cisione e con poca verisimiglianza le date di avvenimen-ti così vagamente attestati da una tradizione che ha tantimotivi pragmatici tra cui la documentazione e glorifica-zione del passato del Profeta) gli Azditi che abbiamo vi-sti arrestarsi a Baṭn Marr lasciano questa località e sidiffondono in Arabia; sono tra di essi la famiglia diGiafnah, capostipite dei re Ghassānidi, gli Aus e Khaz-rag, che popolano l'oasi di Medina e infine i Khuzā‘ah(secondo gli Arabi la parola indicherebbe «separazio-ne») che rimasero alla Mecca e ne costituirono con iQuraish, da cui furono poi vinti, l'antica popolazione.Sarebbe stato il capo dei Khuzā‘ah ‘Amr ibn Luḥayyche avrebbe introdotto ancora gli idoli alla Mecca (e latradizione sa dirci quali) ed anche il culto di Hubal, e in-sieme usi superstiziosi. Intanto si propagavano e fioriva-no i Quraisciti, e da Fihr nacque Ghālib, da cui Luwayy,Ka‘b, Murrah, Kilāb, da cui infine Quṣayy, il grandefondatore, secondo la tradizione, della potenza quraisci-ta e della preminenza della sua famiglia, contro l'opposi-zione dei Khuzā‘ah. Con ciò siamo giunti su di un terre-

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della Mecca assai famoso nella tradizione araba e che sichiama Baṭn Marr, non presero parte i discendenti di Ni-zār, e cioè gli antenati di Quraish, perché essi stessi sitrovavano in lotta contro un'altra grande tribù yemenitache anche essa popolò l'Arabia e che alcuni genealogiattribuiscono alle stirpi del Nord. È questa la tribù deiQuḍā‘ah, da cui derivarono i Salīḥiti che i Ghassānidicacciarono dal loro regno, i Kalb ecc.; intanto al princi-pio del terzo secolo (il Caussin fissa con eccessiva pre-cisione e con poca verisimiglianza le date di avvenimen-ti così vagamente attestati da una tradizione che ha tantimotivi pragmatici tra cui la documentazione e glorifica-zione del passato del Profeta) gli Azditi che abbiamo vi-sti arrestarsi a Baṭn Marr lasciano questa località e sidiffondono in Arabia; sono tra di essi la famiglia diGiafnah, capostipite dei re Ghassānidi, gli Aus e Khaz-rag, che popolano l'oasi di Medina e infine i Khuzā‘ah(secondo gli Arabi la parola indicherebbe «separazio-ne») che rimasero alla Mecca e ne costituirono con iQuraish, da cui furono poi vinti, l'antica popolazione.Sarebbe stato il capo dei Khuzā‘ah ‘Amr ibn Luḥayyche avrebbe introdotto ancora gli idoli alla Mecca (e latradizione sa dirci quali) ed anche il culto di Hubal, e in-sieme usi superstiziosi. Intanto si propagavano e fioriva-no i Quraisciti, e da Fihr nacque Ghālib, da cui Luwayy,Ka‘b, Murrah, Kilāb, da cui infine Quṣayy, il grandefondatore, secondo la tradizione, della potenza quraisci-ta e della preminenza della sua famiglia, contro l'opposi-zione dei Khuzā‘ah. Con ciò siamo giunti su di un terre-

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no più solido; possiamo ora con maggiore sicurezzatracciare le linee della storia della Mecca, della sua vitae delle caratteristiche di essa, guidati incomparabilmen-te dal Lammens179 il quale nella monografia citata innota più che interessarsi di queste favolose genealogietraccia un quadro avvincente dell'attività commerciale,della organizzazione finanziaria, delle ragioni di potenzae di prestigio della città mercantile.Quṣayy dunque avrebbe accentrato nella sua famiglia ilpotere contro i Khuzā‘ah. Il Lammens tuttavia180 fa pre-sente che secondo la stessa tradizione araba Quṣayy erain relazione con gli Arabi del Nord; vi è poi un passo diIbn Qutaibah secondo il quale Quṣayy avrebbe ottenutoil potere con l'appoggio del basileus di Bisanzio. IlLammens stesso mette accortamente in relazione talinotizie con la situazione internazionale della Mecca, fa-cendo notare che naturalmente per Bisanzio deve inten-dersi piuttosto Damasco e i suoi Ghassānidi, i quali in-tervenivano nell'interesse di Bisanzio stessa negli affarid'Arabia, e per quanto concerne la Mecca esercitavanouna viva pressione attraverso i loro posti di dogana e laloro politica di fronte all'attività commerciale dei Mec-cani.181 Qualunque cosa sia di ciò, è certo saldissima tra-dizione che il predetto Quṣayy riuscì a concentrare nelle179 La Mecque à la veille de l'Hégire, Beyrouth, 1924 («Mélanges de l'Univer-

sité St.-Joseph», IX, 3).180 Ibid., p. 268 e seg.181 Si veda ibid., pp. 270-279 sul curioso episodio di ‘Uthmān ibn al-Ḥuwairi-

th, un discendente di Quṣayy, che pochi anni prima dell'ègira avrebbe ten-tato, con l'aiuto dell'imperatore di Bisanzio, di farsi re della Mecca.

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no più solido; possiamo ora con maggiore sicurezzatracciare le linee della storia della Mecca, della sua vitae delle caratteristiche di essa, guidati incomparabilmen-te dal Lammens179 il quale nella monografia citata innota più che interessarsi di queste favolose genealogietraccia un quadro avvincente dell'attività commerciale,della organizzazione finanziaria, delle ragioni di potenzae di prestigio della città mercantile.Quṣayy dunque avrebbe accentrato nella sua famiglia ilpotere contro i Khuzā‘ah. Il Lammens tuttavia180 fa pre-sente che secondo la stessa tradizione araba Quṣayy erain relazione con gli Arabi del Nord; vi è poi un passo diIbn Qutaibah secondo il quale Quṣayy avrebbe ottenutoil potere con l'appoggio del basileus di Bisanzio. IlLammens stesso mette accortamente in relazione talinotizie con la situazione internazionale della Mecca, fa-cendo notare che naturalmente per Bisanzio deve inten-dersi piuttosto Damasco e i suoi Ghassānidi, i quali in-tervenivano nell'interesse di Bisanzio stessa negli affarid'Arabia, e per quanto concerne la Mecca esercitavanouna viva pressione attraverso i loro posti di dogana e laloro politica di fronte all'attività commerciale dei Mec-cani.181 Qualunque cosa sia di ciò, è certo saldissima tra-dizione che il predetto Quṣayy riuscì a concentrare nelle179 La Mecque à la veille de l'Hégire, Beyrouth, 1924 («Mélanges de l'Univer-

sité St.-Joseph», IX, 3).180 Ibid., p. 268 e seg.181 Si veda ibid., pp. 270-279 sul curioso episodio di ‘Uthmān ibn al-Ḥuwairi-

th, un discendente di Quṣayy, che pochi anni prima dell'ègira avrebbe ten-tato, con l'aiuto dell'imperatore di Bisanzio, di farsi re della Mecca.

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sue mani le principali cariche182 della Mecca, le quali as-sicuravano al loro titolare il predominio politico sul pae-se. Va anche detto che alcune di queste cariche, menoquella della custodia della Ka‘bah, più importante di tut-te e che dava la preminenza, furono istituite da Quṣayystesso e da lui attribuite alla sua famiglia. Maometto èpronipote di Quṣayy, e la sua adolescenza e giovinezzacadono appunto nel periodo del maggior fiore dei Qurai-sh. Per varie vicende l'eredità di Quṣayy nelle dignità vaal suo figlio ‘Abd Manāf, poi al fratello di questo al-Muṭṭalib, e infine a ‘Ābd al-Muṭṭalib, nonno di Maomet-to, di cui son piene le cronache della Mecca. A questomomento la Mecca era, come abbiam detto, all'apicedella sua potenza. Il Lammens nella sua monografia ci-tata, la quale del resto ripete il risultato di suoi prece-denti studi, descrive vivacemente il carattere della città,esagerando forse un poco nell'attribuire ad essa una re-golare organizzazione finanziaria simile a quella che po-trebbe esser oggi in vigore nei maggiori centri commer-ciali. Ma ciò che resta indubbio è il complesso delle su-periori qualità dei Quraisciti, promosse e favoritedall'azione di prominenti personalità, tra cui probabil-mente anche Quṣayy, rimasto sempre in tanta venerazio-ne tra i suoi posteri. Tali qualità risalgono in ultima ana-lisi alla naturale disposizione di quella popolazione, che

182 Le principali cariche ereditarie nella famiglia di Quṣayy erano l'ammini-strazione della sede del consiglio (dār an-nadwah), il privilegio di portarelo stendardo (liwā’), la cura dell'alloggio e del vitto dei pellegrini (rifādahe siqāyah), la custodia e manutenzione della Ka‘bah (ḥigiābah e sidānah).

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sue mani le principali cariche182 della Mecca, le quali as-sicuravano al loro titolare il predominio politico sul pae-se. Va anche detto che alcune di queste cariche, menoquella della custodia della Ka‘bah, più importante di tut-te e che dava la preminenza, furono istituite da Quṣayystesso e da lui attribuite alla sua famiglia. Maometto èpronipote di Quṣayy, e la sua adolescenza e giovinezzacadono appunto nel periodo del maggior fiore dei Qurai-sh. Per varie vicende l'eredità di Quṣayy nelle dignità vaal suo figlio ‘Abd Manāf, poi al fratello di questo al-Muṭṭalib, e infine a ‘Ābd al-Muṭṭalib, nonno di Maomet-to, di cui son piene le cronache della Mecca. A questomomento la Mecca era, come abbiam detto, all'apicedella sua potenza. Il Lammens nella sua monografia ci-tata, la quale del resto ripete il risultato di suoi prece-denti studi, descrive vivacemente il carattere della città,esagerando forse un poco nell'attribuire ad essa una re-golare organizzazione finanziaria simile a quella che po-trebbe esser oggi in vigore nei maggiori centri commer-ciali. Ma ciò che resta indubbio è il complesso delle su-periori qualità dei Quraisciti, promosse e favoritedall'azione di prominenti personalità, tra cui probabil-mente anche Quṣayy, rimasto sempre in tanta venerazio-ne tra i suoi posteri. Tali qualità risalgono in ultima ana-lisi alla naturale disposizione di quella popolazione, che

182 Le principali cariche ereditarie nella famiglia di Quṣayy erano l'ammini-strazione della sede del consiglio (dār an-nadwah), il privilegio di portarelo stendardo (liwā’), la cura dell'alloggio e del vitto dei pellegrini (rifādahe siqāyah), la custodia e manutenzione della Ka‘bah (ḥigiābah e sidānah).

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si propagava per eredità. E non è esagerato dire cheMaometto stesso ha avuto dalla sua appartenenza aquella stirpe quelle doti politiche e diplomatiche, che in-sieme con il suo slancio religioso, nutrito come abbiamodetto sia dalla tradizione pagana araba sia dal contattocon il Giudaismo e il Cristianesimo, ne hanno fatto uncosì grande capo religioso e politico insieme. È poi cer-to che tali attitudini non sono morte con la generazionedi Maometto; ché le vediamo ancora attive tra i princi-pali uomini politici del periodo dei califfi ortodossi, acominciare dai califfi stessi, tra cui Abū Bakr e Omarincarnano egregiamente l'ideale del reggitore islamico,sia per il fervore religioso, così vivo in quell'epoca cheera ancora tutta piena del ricordo dell'attività del Profe-ta, e sia per la loro abilità di amministratori, dovutaall'eredità quraiscita. Né si dimentichi che una dellemaggiori figure dell'Islam è Mu‘āwiyah che era del piùpuro sangue quraiscita, figlio di quell'Abū Sufyān che fuper lungo tempo il leader della Mecca e come tale oppo-se una ostinata resistenza alla propaganda di Maometto,temendo certamente da essa pregiudizio alle fortunecommerciali della Mecca; ma seppe poi trovare nellasua accortezza motivo di riavvicinarsi a Maomettoquando vide, avvertito dal suo senso politico, che tra-smise intero a suo figlio Mu‘āwiyah, che il trionfo diMaometto era inevitabile.Quṣayy dunque, secondo la tradizione, vinti i Khuzā‘ah,stabilì alcune nuove cariche in stretta relazione con il

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si propagava per eredità. E non è esagerato dire cheMaometto stesso ha avuto dalla sua appartenenza aquella stirpe quelle doti politiche e diplomatiche, che in-sieme con il suo slancio religioso, nutrito come abbiamodetto sia dalla tradizione pagana araba sia dal contattocon il Giudaismo e il Cristianesimo, ne hanno fatto uncosì grande capo religioso e politico insieme. È poi cer-to che tali attitudini non sono morte con la generazionedi Maometto; ché le vediamo ancora attive tra i princi-pali uomini politici del periodo dei califfi ortodossi, acominciare dai califfi stessi, tra cui Abū Bakr e Omarincarnano egregiamente l'ideale del reggitore islamico,sia per il fervore religioso, così vivo in quell'epoca cheera ancora tutta piena del ricordo dell'attività del Profe-ta, e sia per la loro abilità di amministratori, dovutaall'eredità quraiscita. Né si dimentichi che una dellemaggiori figure dell'Islam è Mu‘āwiyah che era del piùpuro sangue quraiscita, figlio di quell'Abū Sufyān che fuper lungo tempo il leader della Mecca e come tale oppo-se una ostinata resistenza alla propaganda di Maometto,temendo certamente da essa pregiudizio alle fortunecommerciali della Mecca; ma seppe poi trovare nellasua accortezza motivo di riavvicinarsi a Maomettoquando vide, avvertito dal suo senso politico, che tra-smise intero a suo figlio Mu‘āwiyah, che il trionfo diMaometto era inevitabile.Quṣayy dunque, secondo la tradizione, vinti i Khuzā‘ah,stabilì alcune nuove cariche in stretta relazione con il

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pellegrinaggio, ricostruì la Ka‘bah, che dopo il restaurodei Giurhum aveva di nuovo sofferto, e costruì la casadel consiglio, la dār an-nadwah, per dare sede alle riu-nioni di quell'organo aristocratico, che fu caratteristicodella Mecca, vale a dire il mala’ o consiglio delle fami-glie maggiori della Mecca, a cui era deferita la decisionedegli affari più importanti. Il Lammens, con quel suoamore tipico per definizioni argute, ha chiamato la Mec-ca una repubblica mercantile; quanto a repubblica si puòesitare a riconoscerla nella costituzione della Mecca,che potrebbe piuttosto dirsi una oligarchia aristocratica;quanto al mercantile, l'appellativo appare pienamentegiustificato in quanto la città viveva dell'organizzazionedel commercio carovaniero,183 per il quale formava ognianno, con l'aiuto finanziario dei cittadini, grandiose ca-rovane che esportavano sia i prodotti giunti dai mercatidell'Oriente e dal Yemen, sia prodotti del Ḥigiāz e dellaTihāmah stessa, tra cui il famoso zibibbo di aṭ-Ṭā᾽if,cuoi, polvere d'oro ecc.; tutte merci che trovavano illoro sbocco nel Nord, non senza passare, come abbiamodetto, attraverso le barriere doganali che i Ghassānidiavevano stabilito nel loro interesse e anche nell'interessedi Bisanzio. Queste carovane andavano anche protettedagli attacchi dei nomadi, ciò che si otteneva stringendoparentele o accordi con gli shaikh delle principali tribù.Tutta la preparazione finanziaria di tali complicate ope-razioni è abbondantemente descritta dal Lammens, con

183 V. M. ROSTOVTZEFF, Città carovaniere, p. 33, 48.

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pellegrinaggio, ricostruì la Ka‘bah, che dopo il restaurodei Giurhum aveva di nuovo sofferto, e costruì la casadel consiglio, la dār an-nadwah, per dare sede alle riu-nioni di quell'organo aristocratico, che fu caratteristicodella Mecca, vale a dire il mala’ o consiglio delle fami-glie maggiori della Mecca, a cui era deferita la decisionedegli affari più importanti. Il Lammens, con quel suoamore tipico per definizioni argute, ha chiamato la Mec-ca una repubblica mercantile; quanto a repubblica si puòesitare a riconoscerla nella costituzione della Mecca,che potrebbe piuttosto dirsi una oligarchia aristocratica;quanto al mercantile, l'appellativo appare pienamentegiustificato in quanto la città viveva dell'organizzazionedel commercio carovaniero,183 per il quale formava ognianno, con l'aiuto finanziario dei cittadini, grandiose ca-rovane che esportavano sia i prodotti giunti dai mercatidell'Oriente e dal Yemen, sia prodotti del Ḥigiāz e dellaTihāmah stessa, tra cui il famoso zibibbo di aṭ-Ṭā᾽if,cuoi, polvere d'oro ecc.; tutte merci che trovavano illoro sbocco nel Nord, non senza passare, come abbiamodetto, attraverso le barriere doganali che i Ghassānidiavevano stabilito nel loro interesse e anche nell'interessedi Bisanzio. Queste carovane andavano anche protettedagli attacchi dei nomadi, ciò che si otteneva stringendoparentele o accordi con gli shaikh delle principali tribù.Tutta la preparazione finanziaria di tali complicate ope-razioni è abbondantemente descritta dal Lammens, con

183 V. M. ROSTOVTZEFF, Città carovaniere, p. 33, 48.

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eccessivo riferimento alle condizioni odierne, immagi-nando un sistema bancario e attuando conti correnti, as-segni, tagliandi, a quell'epoca remota con scarsa verosi-miglianza.Alla morte di Quṣayy successero nel possesso delle cari-che, e quindi nel predominio sulla Mecca, suoi discen-denti; vi fu anzi un dissidio fra questi, e più precisamen-te tra i figli del primogenito di Quṣayy ‘Abd ad-Dār e ifigli di ‘Abd Manāf. I figli di ‘Abd ad-Dār erano ancorain tenera età alla sua morte mentre quelli di ‘Abd Manāfgodevano molta considerazione nella città ed eranoquindi persuasi che il potere dovesse passare a loro piut-tosto che ai fanciulli figli di ‘Abd ad-Dār. Questi figli di‘Abd Manāf furono ‘Abd Shams, progenitore della fa-miglia omayyade, Hāshim, capo di quella da cui usciro-no abbasidi e alidi, che nella tradizione araba ricevono ilnome di Hāshimiti, ecc. Naturalmente i vari altri rami diQuraish si atteggiarono differentemente di fronte allepretensioni delle due parti. Secondo la tradizione sistrinsero in seguito patti tra i partigiani della casa di‘Abd Manāf e quella di ‘Abd ad-Dār, patti che sarebberostati conclusi dinnanzi alla Ka‘bah in un punto che poisi chiamò sempre al-Multazam, con una specie di rito difumigazione con profumi; si costituì tutto un sistema de-stinato ad evitare che la contesa si inasprisse e ne nac-que un complesso di alleanze che secondo la tradizionesarebbero rimaste fino al sorgere dell'Islam. Accaddepoi che le principali cariche, la siqāyah e la rifādah, an-

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eccessivo riferimento alle condizioni odierne, immagi-nando un sistema bancario e attuando conti correnti, as-segni, tagliandi, a quell'epoca remota con scarsa verosi-miglianza.Alla morte di Quṣayy successero nel possesso delle cari-che, e quindi nel predominio sulla Mecca, suoi discen-denti; vi fu anzi un dissidio fra questi, e più precisamen-te tra i figli del primogenito di Quṣayy ‘Abd ad-Dār e ifigli di ‘Abd Manāf. I figli di ‘Abd ad-Dār erano ancorain tenera età alla sua morte mentre quelli di ‘Abd Manāfgodevano molta considerazione nella città ed eranoquindi persuasi che il potere dovesse passare a loro piut-tosto che ai fanciulli figli di ‘Abd ad-Dār. Questi figli di‘Abd Manāf furono ‘Abd Shams, progenitore della fa-miglia omayyade, Hāshim, capo di quella da cui usciro-no abbasidi e alidi, che nella tradizione araba ricevono ilnome di Hāshimiti, ecc. Naturalmente i vari altri rami diQuraish si atteggiarono differentemente di fronte allepretensioni delle due parti. Secondo la tradizione sistrinsero in seguito patti tra i partigiani della casa di‘Abd Manāf e quella di ‘Abd ad-Dār, patti che sarebberostati conclusi dinnanzi alla Ka‘bah in un punto che poisi chiamò sempre al-Multazam, con una specie di rito difumigazione con profumi; si costituì tutto un sistema de-stinato ad evitare che la contesa si inasprisse e ne nac-que un complesso di alleanze che secondo la tradizionesarebbero rimaste fino al sorgere dell'Islam. Accaddepoi che le principali cariche, la siqāyah e la rifādah, an-

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darono non al maggiore dei figli di ‘Abd Manāf, ‘AbdShams, non abbastanza ricco per questo, ma a Hāshim,suo fratello, il cui nome, secondo la tradizione, derive-rebbe dal fatto assai frequentemente menzionato nellepoesie e nei testi arabi, che egli avrebbe distribuito perprimo ai poveri una zuppa chiamata tharīd, fatta di panespezzato nel brodo; hāshim vuol dire «lo spezzettatore»,dalla radice hashama. Hāshim morì ben presto in Siria ele cariche da lui occupate passarono ad un altro suo fra-tello minore, detto Muṭṭalib, il quale, avendo saputo cheHāshim aveva avuto un figliuolo a Yathrib e che egli sitrovava in condizioni disagiate, lo portò alla Mecca edai Quraisciti il giovane che entra nella città sul cam-mello di Muṭṭalib in misero arnese è ritenuto uno schia-vo e quindi chiamato ‘Abd al-Muṭṭalib. ‘Abd al-Muṭṭa-lib succede a suo zio Muṭṭalib nelle cariche di siqayāh edi rifādah e si distingue grandemente nell'esercizio diesse. La leggenda racconta poi che egli, triste di nonavere che un solo figlio, fa il voto di sacrificare uno deisuoi rampolli nel caso che egli avesse avuto numerosafigliolanza, ed essendosi questo verificato, egli proce-dette alla consultazione della sorte con le frecce dinanziall'idolo di Hubal, per sapere quale dei suoi figli dovesseessere sacrificato. La sorte cadde su ‘Abdallāh, il futuropadre di Maometto e il prediletto del padre. Avvienepoi, come è da attendere visto il carattere di queste leg-gende, un intervento superiore all'ultimo momento, senon proprio un diretto intervento di Dio, come perIsmaele, ma in forma dell'opposizione dei Quraish che

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darono non al maggiore dei figli di ‘Abd Manāf, ‘AbdShams, non abbastanza ricco per questo, ma a Hāshim,suo fratello, il cui nome, secondo la tradizione, derive-rebbe dal fatto assai frequentemente menzionato nellepoesie e nei testi arabi, che egli avrebbe distribuito perprimo ai poveri una zuppa chiamata tharīd, fatta di panespezzato nel brodo; hāshim vuol dire «lo spezzettatore»,dalla radice hashama. Hāshim morì ben presto in Siria ele cariche da lui occupate passarono ad un altro suo fra-tello minore, detto Muṭṭalib, il quale, avendo saputo cheHāshim aveva avuto un figliuolo a Yathrib e che egli sitrovava in condizioni disagiate, lo portò alla Mecca edai Quraisciti il giovane che entra nella città sul cam-mello di Muṭṭalib in misero arnese è ritenuto uno schia-vo e quindi chiamato ‘Abd al-Muṭṭalib. ‘Abd al-Muṭṭa-lib succede a suo zio Muṭṭalib nelle cariche di siqayāh edi rifādah e si distingue grandemente nell'esercizio diesse. La leggenda racconta poi che egli, triste di nonavere che un solo figlio, fa il voto di sacrificare uno deisuoi rampolli nel caso che egli avesse avuto numerosafigliolanza, ed essendosi questo verificato, egli proce-dette alla consultazione della sorte con le frecce dinanziall'idolo di Hubal, per sapere quale dei suoi figli dovesseessere sacrificato. La sorte cadde su ‘Abdallāh, il futuropadre di Maometto e il prediletto del padre. Avvienepoi, come è da attendere visto il carattere di queste leg-gende, un intervento superiore all'ultimo momento, senon proprio un diretto intervento di Dio, come perIsmaele, ma in forma dell'opposizione dei Quraish che

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gli impediscono di consumare il sacrifizio. Il procedi-mento suggerito dall'indovina porta a ben cento cam-melli il prezzo del sangue di ‘Abdallāh, cifra che poi re-stò fissata come quella necessaria per riscattare il san-gue di un uomo. Diciamo fin da ora che figli di ‘Abd al-Muṭṭalib furono oltre ‘Abdallāh, padre di Maometto,Abū Ṭālib, padre di ‘Alī, e al-‘Abbās, capostipite degliAbbasidi.Avviene poi l'incontro di ‘Abdallāh con Āminah, la qua-le presso la Ka‘bah colpita dal fulgore che emanava dalgiovane gli offre il suo amore; ella era cugina del famo-so Waraqah ibn Naufal, che nella tradizione è annovera-to fra gli ḥanīf o anche tra i cristiani, e che dotto nellescritture le aveva detto che stava per nascere tra gli Ara-bi un Profeta; l'aspetto di ‘Abdallāh fece concepire adĀminah la speranza di divenire la madre dell'annunciatoProfeta; ‘Abd al-Muṭṭalib chiese Āminah per sposa disuo figlio al padre di essa, Wahb, e così avvenne il ma-trimonio che avrebbe tanto profondamente cambiato lesorti dell'Arabia. Tale leggenda aggiunge che nell'annoimmediatamente seguente il matrimonio, in quello cioèin cui doveva avvenire la nascita di Maometto, gli Abis-sini invasero l'Arabia e assediarono la Mecca; la vistadel capo dei nemici montato su un elefante avrebbe pro-vocato lo spavento e la rotta dei Meccani, e l'avveni-mento rimasto così impresso nella loro memoria diede ilnome a quell'anno che fu chiamato «l'anno dell'elefan-te», ‘ām al-fīl, nome che è rimasto caratteristico anche

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gli impediscono di consumare il sacrifizio. Il procedi-mento suggerito dall'indovina porta a ben cento cam-melli il prezzo del sangue di ‘Abdallāh, cifra che poi re-stò fissata come quella necessaria per riscattare il san-gue di un uomo. Diciamo fin da ora che figli di ‘Abd al-Muṭṭalib furono oltre ‘Abdallāh, padre di Maometto,Abū Ṭālib, padre di ‘Alī, e al-‘Abbās, capostipite degliAbbasidi.Avviene poi l'incontro di ‘Abdallāh con Āminah, la qua-le presso la Ka‘bah colpita dal fulgore che emanava dalgiovane gli offre il suo amore; ella era cugina del famo-so Waraqah ibn Naufal, che nella tradizione è annovera-to fra gli ḥanīf o anche tra i cristiani, e che dotto nellescritture le aveva detto che stava per nascere tra gli Ara-bi un Profeta; l'aspetto di ‘Abdallāh fece concepire adĀminah la speranza di divenire la madre dell'annunciatoProfeta; ‘Abd al-Muṭṭalib chiese Āminah per sposa disuo figlio al padre di essa, Wahb, e così avvenne il ma-trimonio che avrebbe tanto profondamente cambiato lesorti dell'Arabia. Tale leggenda aggiunge che nell'annoimmediatamente seguente il matrimonio, in quello cioèin cui doveva avvenire la nascita di Maometto, gli Abis-sini invasero l'Arabia e assediarono la Mecca; la vistadel capo dei nemici montato su un elefante avrebbe pro-vocato lo spavento e la rotta dei Meccani, e l'avveni-mento rimasto così impresso nella loro memoria diede ilnome a quell'anno che fu chiamato «l'anno dell'elefan-te», ‘ām al-fīl, nome che è rimasto caratteristico anche

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per l'anno della nascita del Profeta.A questo proposito occorre notare che il raccontodell'invasione abissina appare come veramente consonoalle circostanze; da tempo antico il regno di Aksum vol-geva il suo sguardo per interesse politico e commercialeall'Arabia e naturalmente alla Mecca.184 Non vi ha quin-di alcuna ragione di dubitare della storicità di tale inva-sione. Ma su tale nucleo di verità si è tessuto un insiemedi leggende e il Conti Rossini185 arriva a supporre che laleggenda dell'elefante (in arabo fīl) sia nata dal nomeAfila di un re abissino. La tradizione afferma inoltre cheil viceré abissino Abrahah, che aveva già conquistato ilYemen e che aveva costruito la famosa chiesa di Ṣan‘ā᾽,avrebbe voluto con la spedizione distruggere la Ka‘bahche aveva guadagnato tanto prestigio fra tutti gli Arabifino ad essere meta di comune pellegrinaggio ed oscura-re la Ka‘bah di Nagrān. In realtà la spedizione abissinanon è che un episodio del conflitto secolare tra l'imperobizantino e quello sassanide. Con la spedizione contro laMecca il regno di Aksum cercava di sottrarre quella cit-tà all'influenza persiana e di dominare una delle grandivie commerciali dell'Arabia. Gli Arabi sarebbero statisconfitti dagli Abissini al confine settentrionale del Ye-men e questi sarebbero giunti fino ad at-Ṭā‘if, ove unAbū Righāl avrebbe accettato di guidare il nemico allaMecca, morendo poi presso di essa in un luogo detto al-184 V. LAMMENS, La Mecque d la veille de l'Hégire, pp. 279-293.185 C. CONTI ROSSINI, Expéditions et possessions des Ḥabašāt en Arabie, in

«Journal Asiatique», 1921, 2, pp. 30-32.

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per l'anno della nascita del Profeta.A questo proposito occorre notare che il raccontodell'invasione abissina appare come veramente consonoalle circostanze; da tempo antico il regno di Aksum vol-geva il suo sguardo per interesse politico e commercialeall'Arabia e naturalmente alla Mecca.184 Non vi ha quin-di alcuna ragione di dubitare della storicità di tale inva-sione. Ma su tale nucleo di verità si è tessuto un insiemedi leggende e il Conti Rossini185 arriva a supporre che laleggenda dell'elefante (in arabo fīl) sia nata dal nomeAfila di un re abissino. La tradizione afferma inoltre cheil viceré abissino Abrahah, che aveva già conquistato ilYemen e che aveva costruito la famosa chiesa di Ṣan‘ā᾽,avrebbe voluto con la spedizione distruggere la Ka‘bahche aveva guadagnato tanto prestigio fra tutti gli Arabifino ad essere meta di comune pellegrinaggio ed oscura-re la Ka‘bah di Nagrān. In realtà la spedizione abissinanon è che un episodio del conflitto secolare tra l'imperobizantino e quello sassanide. Con la spedizione contro laMecca il regno di Aksum cercava di sottrarre quella cit-tà all'influenza persiana e di dominare una delle grandivie commerciali dell'Arabia. Gli Arabi sarebbero statisconfitti dagli Abissini al confine settentrionale del Ye-men e questi sarebbero giunti fino ad at-Ṭā‘if, ove unAbū Righāl avrebbe accettato di guidare il nemico allaMecca, morendo poi presso di essa in un luogo detto al-184 V. LAMMENS, La Mecque d la veille de l'Hégire, pp. 279-293.185 C. CONTI ROSSINI, Expéditions et possessions des Ḥabašāt en Arabie, in

«Journal Asiatique», 1921, 2, pp. 30-32.

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Mughammas e rimanendo in abominio tra gli Arabi,tanto che per lunghi secoli la sua tomba fu lapidata daipassanti. Da al-Mughammas Abrahah manda delle squa-dre verso la Mecca ed esse razziano greggi dei Quraisci-ti, fra i quali quelli di ‘Abd al-Muṭṭalib, e di altre tribù, epoi manda un messo ad ‘Abd al-Muṭṭalib con il qualeegli stesso si incontra. Dopo le trattative, mentre ‘Abdal-Muṭṭalib e i Quraisciti attendono gli avvenimenti,Abrahah che non rinuncia a distruggere la Ka‘bah mon-ta sul suo elefante per entrare alla Mecca e portare a fineil suo disegno. Qui avviene il miracolo: l'elefante si in-ginocchia ed insieme Dio manda contro gli Abissininubi di uccelli, gli abābīl del Corano (Sura 105) i qualilasciarono cadere delle pietre che uccisero, producendomortali pustole, gli Abissini, mentre i pochi superstitipresero la fuga e un violento diluvio portò via verso ilmare i morti e i moribondi. Anche Abrahah fu colpito e,portato sofferente a Ṣan‘ā᾽, vi morì poco dopo.

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Mughammas e rimanendo in abominio tra gli Arabi,tanto che per lunghi secoli la sua tomba fu lapidata daipassanti. Da al-Mughammas Abrahah manda delle squa-dre verso la Mecca ed esse razziano greggi dei Quraisci-ti, fra i quali quelli di ‘Abd al-Muṭṭalib, e di altre tribù, epoi manda un messo ad ‘Abd al-Muṭṭalib con il qualeegli stesso si incontra. Dopo le trattative, mentre ‘Abdal-Muṭṭalib e i Quraisciti attendono gli avvenimenti,Abrahah che non rinuncia a distruggere la Ka‘bah mon-ta sul suo elefante per entrare alla Mecca e portare a fineil suo disegno. Qui avviene il miracolo: l'elefante si in-ginocchia ed insieme Dio manda contro gli Abissininubi di uccelli, gli abābīl del Corano (Sura 105) i qualilasciarono cadere delle pietre che uccisero, producendomortali pustole, gli Abissini, mentre i pochi superstitipresero la fuga e un violento diluvio portò via verso ilmare i morti e i moribondi. Anche Abrahah fu colpito e,portato sofferente a Ṣan‘ā᾽, vi morì poco dopo.

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CAPITOLO TERZO.IL PROFETA MAOMETTO.

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CAPITOLO TERZO.IL PROFETA MAOMETTO.

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I.DALLA NASCITA ALL'ÈGIRA.

Con questo siamo giunti alla nascita del Profeta ed oratratteremo a fondo della sua vita e della sua missione,lasciando finalmente questo materiale leggendario; seb-bene anche la vita di Maometto offra gravissime que-stioni, le nostre fonti, la conoscenza che possiamo averedel mondo religioso d'Arabia ci permettono di incederesu terreno più solido.186

186 Le fonti per la biografia di Maometto, copiose quanto per nessun altro fon-datore di religione, sono elencate, raccolte e discusse nella monumentaleopera di L. CAETANI, Annali dell'Islam, voll. I e II, Milano, 1905-1907. Ipiù antichi e autorevoli racconti, fondati su materiale tradizionistico ante-riore, sono la Sīrah (biografia) di Muḥammad ibn Isḥāq (morto nel 150Ègira), giunta a noi nella recensione di ‘Abd al-Malik ibn Hishām (mortonel 235 Ègira) e, indirettamente, attraverso citazioni, anche in altre recen-sioni, e la biografia premessa da Muḥammad ibn Sa‘d alla sua grande col-lezione di biografie di tradizionisti (IBN SAAD, Biographien Muhammeds,seiner Gefährten und der späteren Träger des Islams, Leiden, 1904 esegg., voll. I e II), risalente a Muḥammad al-Wāqidī (morto nel 207 Ègira).Molto materiale importante è sparso nelle raccolte di tradizioni (ḥadīth)che si presentano come testimonianze immediate di discepoli del Profeta.Per il periodo anteriore all'Ègira, ossia per tutto quanto riguarda la nascita,l'infanzia e la gioventù, la vocazione profetica e la prima predicazione diMaometto, l'attendibilità dei dati forniti dalla tradizione è stata messa indubbio dalla critica storica occidentale, soprattutto dal CAETANI stesso e poidal LAMMENS (specialmente in Qoran et Tradition: comment fut composéela vie de Mahomet, in «Recherches de Science religieuse», 1910, no. 1) ilquale ultimo spinge lo scetticismo alle estreme conseguenze, giudicandotutte le notizie biografiche su Maometto fino all'Ègira null'altro che il ri-sultato di un'esegesi congetturale e tendenziosa di alcuni passi del Coranoesercitata dalle generazioni posteriori. Contro questo radicalismo già pro-testavano TH. NÖLDEKE in «Der Islam», V, 1914, pp. 160-170 e C. H.BECKER, Grundsätzliches zur Leben-Muhammed-Forschung, in Islamstu-

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I.DALLA NASCITA ALL'ÈGIRA.

Con questo siamo giunti alla nascita del Profeta ed oratratteremo a fondo della sua vita e della sua missione,lasciando finalmente questo materiale leggendario; seb-bene anche la vita di Maometto offra gravissime que-stioni, le nostre fonti, la conoscenza che possiamo averedel mondo religioso d'Arabia ci permettono di incederesu terreno più solido.186

186 Le fonti per la biografia di Maometto, copiose quanto per nessun altro fon-datore di religione, sono elencate, raccolte e discusse nella monumentaleopera di L. CAETANI, Annali dell'Islam, voll. I e II, Milano, 1905-1907. Ipiù antichi e autorevoli racconti, fondati su materiale tradizionistico ante-riore, sono la Sīrah (biografia) di Muḥammad ibn Isḥāq (morto nel 150Ègira), giunta a noi nella recensione di ‘Abd al-Malik ibn Hishām (mortonel 235 Ègira) e, indirettamente, attraverso citazioni, anche in altre recen-sioni, e la biografia premessa da Muḥammad ibn Sa‘d alla sua grande col-lezione di biografie di tradizionisti (IBN SAAD, Biographien Muhammeds,seiner Gefährten und der späteren Träger des Islams, Leiden, 1904 esegg., voll. I e II), risalente a Muḥammad al-Wāqidī (morto nel 207 Ègira).Molto materiale importante è sparso nelle raccolte di tradizioni (ḥadīth)che si presentano come testimonianze immediate di discepoli del Profeta.Per il periodo anteriore all'Ègira, ossia per tutto quanto riguarda la nascita,l'infanzia e la gioventù, la vocazione profetica e la prima predicazione diMaometto, l'attendibilità dei dati forniti dalla tradizione è stata messa indubbio dalla critica storica occidentale, soprattutto dal CAETANI stesso e poidal LAMMENS (specialmente in Qoran et Tradition: comment fut composéela vie de Mahomet, in «Recherches de Science religieuse», 1910, no. 1) ilquale ultimo spinge lo scetticismo alle estreme conseguenze, giudicandotutte le notizie biografiche su Maometto fino all'Ègira null'altro che il ri-sultato di un'esegesi congetturale e tendenziosa di alcuni passi del Coranoesercitata dalle generazioni posteriori. Contro questo radicalismo già pro-testavano TH. NÖLDEKE in «Der Islam», V, 1914, pp. 160-170 e C. H.BECKER, Grundsätzliches zur Leben-Muhammed-Forschung, in Islamstu-

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È naturale che la tradizione abbia ornato l'evento dellanascita del Profeta ancora con la leggenda; e così è luo-go comune delle biografie di Maometto che al momentoin cui Āminah diede alla luce Moḫammad crollò il pa-lazzo di Ctesifonte e si spense il fuoco dei Magi. Deiprimi anni del Profeta abbiamo qualche notizia che sipuò ritenere sicura, così quella che egli rimase ben pre-sto orfano di suo padre ‘Abdallāh morto giovane in Si-ria; ce lo attesta il Corano.187 È poi da ritenersi storicoche suo zio Abū Ṭālib lo accolse presso di sé e lo cir-condò della sua protezione. Quanto ai suoi primi viaggiin Siria e alla predizione del monaco Baḥīrā circa la fu-tura gloria di Maometto, e la visione che il monaco stes-so ebbe dell'albero che si chinava a proteggere Maomet-to ecc., gli storici sono per lo più di opinione che sonofrutto di un lavorio combinatorio. La leggenda di Baḥirāha avuto grande popolarità e ha provocato il sorgere diun'intera letteratura.188 Egualmente non deve forse rite-nersi storico il racconto della partecipazione di Maomet-to giovanissimo alla ricostruzione della Ka‘bah con‘Abd al-Muṭṭalib, né è sicuramente attestata la sua par-tecipazione alle famose due guerre di al-Figiār, combat-tute tra i Quraisciti e i Hawāzin, e così chiamate perché

dien, I, pp. 520-527, ed esso appare esagerato, per quanto non si neghi nel-la biografia di Maometto la presenza di elementi leggendari, già sorti inetà antica.

187 Sura 93, 6: «Non ti ha egli trovato orfano e ti ha raccolto?».188 L'incontro di Maometto con un monaco Nastūr (Nestorio) riferito da alcu-

ne fonti non è altro che un doppione della leggenda di Baḥirā (v. CAETANI,Annali dell'Islam, I, pp. 134-137 e 160-162).

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È naturale che la tradizione abbia ornato l'evento dellanascita del Profeta ancora con la leggenda; e così è luo-go comune delle biografie di Maometto che al momentoin cui Āminah diede alla luce Moḫammad crollò il pa-lazzo di Ctesifonte e si spense il fuoco dei Magi. Deiprimi anni del Profeta abbiamo qualche notizia che sipuò ritenere sicura, così quella che egli rimase ben pre-sto orfano di suo padre ‘Abdallāh morto giovane in Si-ria; ce lo attesta il Corano.187 È poi da ritenersi storicoche suo zio Abū Ṭālib lo accolse presso di sé e lo cir-condò della sua protezione. Quanto ai suoi primi viaggiin Siria e alla predizione del monaco Baḥīrā circa la fu-tura gloria di Maometto, e la visione che il monaco stes-so ebbe dell'albero che si chinava a proteggere Maomet-to ecc., gli storici sono per lo più di opinione che sonofrutto di un lavorio combinatorio. La leggenda di Baḥirāha avuto grande popolarità e ha provocato il sorgere diun'intera letteratura.188 Egualmente non deve forse rite-nersi storico il racconto della partecipazione di Maomet-to giovanissimo alla ricostruzione della Ka‘bah con‘Abd al-Muṭṭalib, né è sicuramente attestata la sua par-tecipazione alle famose due guerre di al-Figiār, combat-tute tra i Quraisciti e i Hawāzin, e così chiamate perché

dien, I, pp. 520-527, ed esso appare esagerato, per quanto non si neghi nel-la biografia di Maometto la presenza di elementi leggendari, già sorti inetà antica.

187 Sura 93, 6: «Non ti ha egli trovato orfano e ti ha raccolto?».188 L'incontro di Maometto con un monaco Nastūr (Nestorio) riferito da alcu-

ne fonti non è altro che un doppione della leggenda di Baḥirā (v. CAETANI,Annali dell'Islam, I, pp. 134-137 e 160-162).

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avvenute durante i mesi sacri, e quindi empie. Secondoil racconto tradizionale Khadīgiah, ricca vedova, avreb-be fatto la proposta al giovane Maometto, già rinomatocome esperto direttore di carovane, di sposarla ed assu-mere la gestione dei suoi affari. Ciò certamente avven-ne, e l'influenza di tale matrimonio per il sorgeredell'Islam è notevole, sia per l'agiatezza che esso procu-rò al Profeta, sia ancora per l'occasione che la condottadelle carovane sicuramente gli diede di recarsi in Siria:abbiamo già accennato non essere improbabile cheMaometto nel suo itinerario abbia avuto occasione divedere gli esercizi di pietà ai quali si davano monaci ederemiti nel deserto ove essi si recavano in pio ritiro dalleloro celle; ed è così che egli deve aver appreso il mododi prostrazione che poi è rimasto tipico della preghieramusulmana.189 La personalità di Khadīgiah, la sua virilefermezza sono state certamente di grande aiuto a Mao-metto, specialmente nel primo tempo della sua missio-ne, quando più grandi erano gli ostacoli e più frequentile occasioni di scoraggiamento. Per questo la memoriadi Khadīgiah è rimasta in benedizione non solo presso ilProfeta e i suoi più vicini collaboratori, ma anche in tut-ta la tradizione musulmana.Quanto alla cronologia,190 la data della nascita di Mao-metto è per lo più fissata al 570 d. C., cioè l'anno della

189 I. HAUSHERR, Penthos. La doctrine de la componction dans l'Orient Chré-tien, Roma, 1944 (Orientalia Christiana Analecta, no. 132).

190 V. H. LAMMENS, L'âge de Mahomet et la chronologie de la Sîra, in «JournalAsiatique», 1911, I, pp. 209-250.

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avvenute durante i mesi sacri, e quindi empie. Secondoil racconto tradizionale Khadīgiah, ricca vedova, avreb-be fatto la proposta al giovane Maometto, già rinomatocome esperto direttore di carovane, di sposarla ed assu-mere la gestione dei suoi affari. Ciò certamente avven-ne, e l'influenza di tale matrimonio per il sorgeredell'Islam è notevole, sia per l'agiatezza che esso procu-rò al Profeta, sia ancora per l'occasione che la condottadelle carovane sicuramente gli diede di recarsi in Siria:abbiamo già accennato non essere improbabile cheMaometto nel suo itinerario abbia avuto occasione divedere gli esercizi di pietà ai quali si davano monaci ederemiti nel deserto ove essi si recavano in pio ritiro dalleloro celle; ed è così che egli deve aver appreso il mododi prostrazione che poi è rimasto tipico della preghieramusulmana.189 La personalità di Khadīgiah, la sua virilefermezza sono state certamente di grande aiuto a Mao-metto, specialmente nel primo tempo della sua missio-ne, quando più grandi erano gli ostacoli e più frequentile occasioni di scoraggiamento. Per questo la memoriadi Khadīgiah è rimasta in benedizione non solo presso ilProfeta e i suoi più vicini collaboratori, ma anche in tut-ta la tradizione musulmana.Quanto alla cronologia,190 la data della nascita di Mao-metto è per lo più fissata al 570 d. C., cioè l'anno della

189 I. HAUSHERR, Penthos. La doctrine de la componction dans l'Orient Chré-tien, Roma, 1944 (Orientalia Christiana Analecta, no. 132).

190 V. H. LAMMENS, L'âge de Mahomet et la chronologie de la Sîra, in «JournalAsiatique», 1911, I, pp. 209-250.

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spedizione di Abrahah contro la Mecca ricordata in unfamoso passo coranico;191 mentre è concorde l'opinioneche la vocazione di Maometto sia avvenuta circa il suoquarantesimo anno d'età, cioè verso il 610 d. C. Questagrande religione universale nasce dunque alla Mecca,centro religioso pagano di tanta importanza, e dove con-venivano tutti gli Arabi i quali nel pellegrinaggio e nellefiere ad esso connesse mostravano il senso unitario ver-so cui era avviata la nazione araba; nel campo letterariolo mostravano nelle gare poetiche che avevan luogo ad‘Ukāẓ ed in altri luoghi, nel campo linguistico egual-mente in tali manifestazioni, nel campo politico sempli-cemente col fatto dell'essere concordi in un comune attoreligioso, dell'essere uniti da un solido vincolo linguisti-co e accomunati da un sistema sociale omogeneo. Non ècaso che Maometto abbia concepito la sua religionecome religione degli Arabi in quanto a lui, nel cui ani-mo vigeva caldo il sentimento di affetto per le patrie tra-dizioni, il convenire di tutti gli Arabi al pellegrinaggionon poteva non essere potente impulso ad operare perl'effettiva unità e dignità della sua nazione e per dare adessa quell'unità religiosa posseduta da altri popoli. Latradizione politica della Mecca, l'abilità commercialedei Quraish, la diffusione del loro commercio, il presti-gio che essi godevano presso le altre tribù di Arabia einfine l'eco di Cristianesimo e Giudaismo che giungevaalla Mecca e risonava in tutte le vie che il commercio

191 Sura 105.

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spedizione di Abrahah contro la Mecca ricordata in unfamoso passo coranico;191 mentre è concorde l'opinioneche la vocazione di Maometto sia avvenuta circa il suoquarantesimo anno d'età, cioè verso il 610 d. C. Questagrande religione universale nasce dunque alla Mecca,centro religioso pagano di tanta importanza, e dove con-venivano tutti gli Arabi i quali nel pellegrinaggio e nellefiere ad esso connesse mostravano il senso unitario ver-so cui era avviata la nazione araba; nel campo letterariolo mostravano nelle gare poetiche che avevan luogo ad‘Ukāẓ ed in altri luoghi, nel campo linguistico egual-mente in tali manifestazioni, nel campo politico sempli-cemente col fatto dell'essere concordi in un comune attoreligioso, dell'essere uniti da un solido vincolo linguisti-co e accomunati da un sistema sociale omogeneo. Non ècaso che Maometto abbia concepito la sua religionecome religione degli Arabi in quanto a lui, nel cui ani-mo vigeva caldo il sentimento di affetto per le patrie tra-dizioni, il convenire di tutti gli Arabi al pellegrinaggionon poteva non essere potente impulso ad operare perl'effettiva unità e dignità della sua nazione e per dare adessa quell'unità religiosa posseduta da altri popoli. Latradizione politica della Mecca, l'abilità commercialedei Quraish, la diffusione del loro commercio, il presti-gio che essi godevano presso le altre tribù di Arabia einfine l'eco di Cristianesimo e Giudaismo che giungevaalla Mecca e risonava in tutte le vie che il commercio

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quraiscita doveva seguire per la sua irradiazione nelmondo circostante, il fatto stesso che Maometto abbiapreso con probabilità parte attiva a questo commercio eil fatto che la Mecca fosse così venerato centro di anticareligione, molti elementi della quale rimangononell'Islam, sono tutte condizioni che sembrano far con-cludere che l'Islam, religione panarabica conservantetraccia dell'antico paganesimo e insieme del Cristianesi-mo e del Giudaismo, che assurge in breve a grande fat-tore politico, non poteva sorgere che alla Mecca. Mao-metto, con la sua grande sensibilità, non sarebbe in fon-do che la personalità indispensabile, promotrice di unosviluppo già insito nelle condizioni del centro in cui egliha operato.La versione tradizionale della sua vocazione ci narra cheegli verso il quarantesimo anno di età fu preso da unacrisi religiosa che lo spingeva ad appartarsi in solitudine(appunto come i monaci che tante volte aveva visto neldeserto di Siria); e fu durante una delle sue dimore inuna caverna del Monte Ḥirā’ (vi si recava periodicamen-te e la buona Khadīgiah gli preparava il cibo per questeassenze) che gli apparve l'angelo Gabriele, il quale gliordinò di leggere. Alla risposta di Maometto di non sa-per leggere l'angelo ripeté il suo comando che violente-mente continuò a dargli finché egli, quasi liberato da unpeso, pronunciò le parole che sono contenute nella Sura96: «Recita nel nome del tuo Signore che ha creato; hacreato l'uomo da un grumo di sangue. Recita, perché il

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quraiscita doveva seguire per la sua irradiazione nelmondo circostante, il fatto stesso che Maometto abbiapreso con probabilità parte attiva a questo commercio eil fatto che la Mecca fosse così venerato centro di anticareligione, molti elementi della quale rimangononell'Islam, sono tutte condizioni che sembrano far con-cludere che l'Islam, religione panarabica conservantetraccia dell'antico paganesimo e insieme del Cristianesi-mo e del Giudaismo, che assurge in breve a grande fat-tore politico, non poteva sorgere che alla Mecca. Mao-metto, con la sua grande sensibilità, non sarebbe in fon-do che la personalità indispensabile, promotrice di unosviluppo già insito nelle condizioni del centro in cui egliha operato.La versione tradizionale della sua vocazione ci narra cheegli verso il quarantesimo anno di età fu preso da unacrisi religiosa che lo spingeva ad appartarsi in solitudine(appunto come i monaci che tante volte aveva visto neldeserto di Siria); e fu durante una delle sue dimore inuna caverna del Monte Ḥirā’ (vi si recava periodicamen-te e la buona Khadīgiah gli preparava il cibo per questeassenze) che gli apparve l'angelo Gabriele, il quale gliordinò di leggere. Alla risposta di Maometto di non sa-per leggere l'angelo ripeté il suo comando che violente-mente continuò a dargli finché egli, quasi liberato da unpeso, pronunciò le parole che sono contenute nella Sura96: «Recita nel nome del tuo Signore che ha creato; hacreato l'uomo da un grumo di sangue. Recita, perché il

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tuo Signore è il più generoso; Egli è colui che ha inse-gnato a servirsi del qalam, ha insegnato all'uomo ciò chenon sapeva ecc.». Maometto torna a casa febbricitante,tremante, e Khadigiāh lo assiste amorevolmente; ellaconsulta poi suo cugino Waraqah il quale attesta trattarsidi rivelazione divina, chiama anzi questa prima rivela-zione parte del «nomos aionios» cioè della legge divinasecolare od eterna, concetti ed espressioni che ricorrononella letteratura pseudoclementina. Dopo tale prima ri-velazione continua, con una certa regolarità interrotta daassenze che preoccupano vivamente il Profeta, la disce-sa del testo divino su di lui. Questa è una delle due ver-sioni più diffuse circa l'inizio e la forma della rivelazio-ne, cioè la venuta dell'angelo e la sua violenta insuffla-zione della parola divina. E questa versione è quella chetroviamo nella fonte più autorevole per la vita di Mao-metto e cioè la Sīrah di Ibn Hishām, che abbiamo già in-dicato qui sopra. Il quale però aggiunge che Maomettoall'uscita della caverna vide Gabriele all'orizzonte delcielo in forma di uomo; e per quanto il Profeta tentassedi allontanare il suo sguardo, vedeva sempre Gabrieleallo stesso punto. In qualche passo del Corano si alludea questa presenza di Gabriele, che è l'unica accolta daun solenne storico degli inizi dell'Islam, Ibn Sa‘d (An-drae, pp. 43, 44). Quest'ultima aggiunta è però omessadal collezionista più autorevole delle tradizioni islami-che, al-Bukhārī, e sulla sua orma da una parte della tra-dizione.

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tuo Signore è il più generoso; Egli è colui che ha inse-gnato a servirsi del qalam, ha insegnato all'uomo ciò chenon sapeva ecc.». Maometto torna a casa febbricitante,tremante, e Khadigiāh lo assiste amorevolmente; ellaconsulta poi suo cugino Waraqah il quale attesta trattarsidi rivelazione divina, chiama anzi questa prima rivela-zione parte del «nomos aionios» cioè della legge divinasecolare od eterna, concetti ed espressioni che ricorrononella letteratura pseudoclementina. Dopo tale prima ri-velazione continua, con una certa regolarità interrotta daassenze che preoccupano vivamente il Profeta, la disce-sa del testo divino su di lui. Questa è una delle due ver-sioni più diffuse circa l'inizio e la forma della rivelazio-ne, cioè la venuta dell'angelo e la sua violenta insuffla-zione della parola divina. E questa versione è quella chetroviamo nella fonte più autorevole per la vita di Mao-metto e cioè la Sīrah di Ibn Hishām, che abbiamo già in-dicato qui sopra. Il quale però aggiunge che Maomettoall'uscita della caverna vide Gabriele all'orizzonte delcielo in forma di uomo; e per quanto il Profeta tentassedi allontanare il suo sguardo, vedeva sempre Gabrieleallo stesso punto. In qualche passo del Corano si alludea questa presenza di Gabriele, che è l'unica accolta daun solenne storico degli inizi dell'Islam, Ibn Sa‘d (An-drae, pp. 43, 44). Quest'ultima aggiunta è però omessadal collezionista più autorevole delle tradizioni islami-che, al-Bukhārī, e sulla sua orma da una parte della tra-dizione.

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Occorre poi ricordare che nel Corano non è fatto alcuncenno della prima versione mentre si allude più di unavolta alla seconda. Questa è ragione per cui Tor Andrae,che ha particolarmente studiato la vocazione di Mao-metto con il criterio dei suoi speciali studi sulla psicolo-gia mistica, nega l'attendibilità della prima versione, laquale è da lui ritenuta semplicemente un ampliamentoesegetico della Sura 96 del Corano, che comincia ap-punto con le parole «Leggi nel nome del Signore», men-tre il critico aggiunge di non conoscere caso in cui ilprofeta o veggente non faccia cenno del modo della suarivelazione; e come abbiam detto, della sola secondaversione è cenno nel Corano. Qui si può osservare, daun lato, che la tradizione della caverna e della venutadell'angelo in essa è assai antica e solidamente attestata,e l'argomento positivo che si trae da essa può avere al-meno lo stesso valore di quello negativo della mancatamenzione nel Corano. Non è poi impossibile – ma a memanca certo l'esperienza di psicologia mistica così in-tensa in Tor Andrae – ammettere la coesistenza di dueversioni corrispondenti a due forme di visione cheavrebbe avuto il Profeta,192 la cui menzione si è trasmes-sa da un lato attraverso il Corano, dall'altro attraverso larelazione che il Profeta non può aver mancato di farealla fida Khadīgiah e che da lei può essere stata trasmes-sa al cerchio dei più antichi fedeli; ciò spiegherebbel'esistenza dei due racconti, quello del Corano e quello192 Quella della caverna apparterrebbe al tipo auditivo dell'allucinazione mi-

stica, l'altra al tipo visivo.

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Occorre poi ricordare che nel Corano non è fatto alcuncenno della prima versione mentre si allude più di unavolta alla seconda. Questa è ragione per cui Tor Andrae,che ha particolarmente studiato la vocazione di Mao-metto con il criterio dei suoi speciali studi sulla psicolo-gia mistica, nega l'attendibilità della prima versione, laquale è da lui ritenuta semplicemente un ampliamentoesegetico della Sura 96 del Corano, che comincia ap-punto con le parole «Leggi nel nome del Signore», men-tre il critico aggiunge di non conoscere caso in cui ilprofeta o veggente non faccia cenno del modo della suarivelazione; e come abbiam detto, della sola secondaversione è cenno nel Corano. Qui si può osservare, daun lato, che la tradizione della caverna e della venutadell'angelo in essa è assai antica e solidamente attestata,e l'argomento positivo che si trae da essa può avere al-meno lo stesso valore di quello negativo della mancatamenzione nel Corano. Non è poi impossibile – ma a memanca certo l'esperienza di psicologia mistica così in-tensa in Tor Andrae – ammettere la coesistenza di dueversioni corrispondenti a due forme di visione cheavrebbe avuto il Profeta,192 la cui menzione si è trasmes-sa da un lato attraverso il Corano, dall'altro attraverso larelazione che il Profeta non può aver mancato di farealla fida Khadīgiah e che da lei può essere stata trasmes-sa al cerchio dei più antichi fedeli; ciò spiegherebbel'esistenza dei due racconti, quello del Corano e quello192 Quella della caverna apparterrebbe al tipo auditivo dell'allucinazione mi-

stica, l'altra al tipo visivo.

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della tradizione, poi registrato nella Sīrah di Ibn Hi-shām, e che certo per influsso della Sura 96 del Coranoè divenuto la vulgata.Alla prima rivelazione seguirono ben presto le altre tra-smesse da Gabriele, solo di quando in quando interrotteda periodi di secchezza ben conosciuti ai più fervidi mi-stici e che gettavano il Profeta in uno stato di profondoabbattimento. Queste prime rivelazioni trovarono acco-glienza in una stretta cerchia di primi aderenti, tra i qua-li la tradizione concorde mette prima Khadīgiah. È trop-po naturale che la novità della predicazione, di cui indi-cheremo ora il contenuto essenziale, trovasse in princi-pio non poca avversione; si aggiunga che il linguaggio elo stile di queste antichissime parti del Corano arieggia-vano a quello così oscuro e complicato degli antichi in-dovini i quali – e ne abbiamo detto qui sopra – eranoconcordemente ritenuti ossessi dai ginn; e come visiona-rio, impostore e mago ed anche indovino o poeta – purei poeti erano creduti verseggiare invasi dagli spiriti edesser fatti quindi partecipi del potere magico che confe-riva alle loro invettive contro i nemici un valore tuttospeciale – era dileggiato dai suoi concittadini, i Quraishdella Mecca che, dotati di sì fine senso politico e tantoattaccati al loro commercio connesso strettamente con lefeste pagane del pellegrinaggio, guardavano con sospet-to alle novità predicate dal Profeta che minacciavano ro-vesciare l'ordine antico. È ben naturale quindi che din-nanzi a questa incomprensione Maometto passasse in al-

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della tradizione, poi registrato nella Sīrah di Ibn Hi-shām, e che certo per influsso della Sura 96 del Coranoè divenuto la vulgata.Alla prima rivelazione seguirono ben presto le altre tra-smesse da Gabriele, solo di quando in quando interrotteda periodi di secchezza ben conosciuti ai più fervidi mi-stici e che gettavano il Profeta in uno stato di profondoabbattimento. Queste prime rivelazioni trovarono acco-glienza in una stretta cerchia di primi aderenti, tra i qua-li la tradizione concorde mette prima Khadīgiah. È trop-po naturale che la novità della predicazione, di cui indi-cheremo ora il contenuto essenziale, trovasse in princi-pio non poca avversione; si aggiunga che il linguaggio elo stile di queste antichissime parti del Corano arieggia-vano a quello così oscuro e complicato degli antichi in-dovini i quali – e ne abbiamo detto qui sopra – eranoconcordemente ritenuti ossessi dai ginn; e come visiona-rio, impostore e mago ed anche indovino o poeta – purei poeti erano creduti verseggiare invasi dagli spiriti edesser fatti quindi partecipi del potere magico che confe-riva alle loro invettive contro i nemici un valore tuttospeciale – era dileggiato dai suoi concittadini, i Quraishdella Mecca che, dotati di sì fine senso politico e tantoattaccati al loro commercio connesso strettamente con lefeste pagane del pellegrinaggio, guardavano con sospet-to alle novità predicate dal Profeta che minacciavano ro-vesciare l'ordine antico. È ben naturale quindi che din-nanzi a questa incomprensione Maometto passasse in al-

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tri capitoli del Corano a indicare l'esempio della terribilepunizione dei popoli ribelli a Dio e ripetere la minacciadel giudizio finale ai pervicaci negatori. E qui cade op-portuno dire, e fin da ora, della natura del Corano; ilquale non è che la raccolta delle rivelazioni che Mao-metto ha preteso ricevere dall'angelo e che da lui recita-te sono state poi raccolte e scritte sul più vario materia-le, dalle scapole di animali a foglie di palma, dai più an-tichi fedeli e poi coordinate insieme una prima volta sot-to Abū Bakr e una seconda volta, la definitiva, dal Calif-fo ‘Uthmān che le fece diffondere in più esemplari in-viati nei principali centri dell'esercito musulmano, ovegià si disputava, per mancanza di un testo fisso, su moltipassi del Libro. Tale raccolta fu ordinata secondo un cri-terio del tutto esteriore, facendo precedere le rivelazionipiù lunghe – ad eccezione della prima, la famosa Surafātiḥah cioè «la aprente il libro» la quale non conta chepochi versetti devotamente recitati nelle preghiere quoti-diane dei musulmani – fino a conchiudere con alcuni ca-pitoli di poche righe. Onde la difficoltà di rintracciareun ordine storico e logico nel Corano, che pertanto è,senza una guida, di lettura difficile ed arida. È anche op-portuno esporre fin da ora il contenuto principale dei piùantichi capitoli e i concetti religiosi che essi hanno affer-mato, cosa che ha fatto in modo impareggiabile il pre-detto Andrae. L'esposizione di tale contenuto ci porràsubito dinnanzi a un grave problema che abbiamo appe-na toccato, cioè la fonte delle dottrine religiose di Mao-metto, problema la cui soluzione non vuol solamente ri-

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tri capitoli del Corano a indicare l'esempio della terribilepunizione dei popoli ribelli a Dio e ripetere la minacciadel giudizio finale ai pervicaci negatori. E qui cade op-portuno dire, e fin da ora, della natura del Corano; ilquale non è che la raccolta delle rivelazioni che Mao-metto ha preteso ricevere dall'angelo e che da lui recita-te sono state poi raccolte e scritte sul più vario materia-le, dalle scapole di animali a foglie di palma, dai più an-tichi fedeli e poi coordinate insieme una prima volta sot-to Abū Bakr e una seconda volta, la definitiva, dal Calif-fo ‘Uthmān che le fece diffondere in più esemplari in-viati nei principali centri dell'esercito musulmano, ovegià si disputava, per mancanza di un testo fisso, su moltipassi del Libro. Tale raccolta fu ordinata secondo un cri-terio del tutto esteriore, facendo precedere le rivelazionipiù lunghe – ad eccezione della prima, la famosa Surafātiḥah cioè «la aprente il libro» la quale non conta chepochi versetti devotamente recitati nelle preghiere quoti-diane dei musulmani – fino a conchiudere con alcuni ca-pitoli di poche righe. Onde la difficoltà di rintracciareun ordine storico e logico nel Corano, che pertanto è,senza una guida, di lettura difficile ed arida. È anche op-portuno esporre fin da ora il contenuto principale dei piùantichi capitoli e i concetti religiosi che essi hanno affer-mato, cosa che ha fatto in modo impareggiabile il pre-detto Andrae. L'esposizione di tale contenuto ci porràsubito dinnanzi a un grave problema che abbiamo appe-na toccato, cioè la fonte delle dottrine religiose di Mao-metto, problema la cui soluzione non vuol solamente ri-

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spondere a una pura curiosità erudita ma comporta lepiù interessanti conclusioni circa la storia religiosa diOriente, circa la forza di penetrazione delle grandi reli-gioni monoteistiche presenti in Arabia prima dell'Islam;poi infine fornire qualche criterio di ben intesa apologiache guardi non a particolari ma all'insieme dello svilup-po storico-religioso in cui appare l'alta funzione del Cri-stianesimo che dà frutti copiosi per l'elevazione dellavita spirituale degli Arabi e può sembrare rispondere aipiani di una superiore Provvidenza.Il concetto centrale della religiosità di Maometto, il qua-le appare fin dalle prime manifestazioni di essa, è la cre-denza nel giudizio universale e nella timorosa aspetta-zione di esso che giungerà all'improvviso ma non primadella risurrezione della carne. Secondo il concetto diMaometto l'anima non può essere immaginata senza ilcorpo; essa è rapita all'uomo alla morte e l'uomo resta inuno stato d'incoscienza che dura fino alla risurrezione;in tale periodo intermedio Maometto non sa dire qualesia la sorte delle anime: per l'uomo esso passa come unsogno senza alcuna coscienza, tanto che a lui pare che ilgiudizio segua subito alla morte. E nello sviluppo diquesta dottrina si afferma che mentre i giusti sanno laverità e si rendono subito conto nel destarsi che è giuntoil giorno fatale, i peccatori credono di aver passato pocotempo nella tomba. Questi concetti esposti in manierasuggestiva dalla infiammata predicazione di Maomettomettevano innanzi agli infedeli la terribile verità che

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spondere a una pura curiosità erudita ma comporta lepiù interessanti conclusioni circa la storia religiosa diOriente, circa la forza di penetrazione delle grandi reli-gioni monoteistiche presenti in Arabia prima dell'Islam;poi infine fornire qualche criterio di ben intesa apologiache guardi non a particolari ma all'insieme dello svilup-po storico-religioso in cui appare l'alta funzione del Cri-stianesimo che dà frutti copiosi per l'elevazione dellavita spirituale degli Arabi e può sembrare rispondere aipiani di una superiore Provvidenza.Il concetto centrale della religiosità di Maometto, il qua-le appare fin dalle prime manifestazioni di essa, è la cre-denza nel giudizio universale e nella timorosa aspetta-zione di esso che giungerà all'improvviso ma non primadella risurrezione della carne. Secondo il concetto diMaometto l'anima non può essere immaginata senza ilcorpo; essa è rapita all'uomo alla morte e l'uomo resta inuno stato d'incoscienza che dura fino alla risurrezione;in tale periodo intermedio Maometto non sa dire qualesia la sorte delle anime: per l'uomo esso passa come unsogno senza alcuna coscienza, tanto che a lui pare che ilgiudizio segua subito alla morte. E nello sviluppo diquesta dottrina si afferma che mentre i giusti sanno laverità e si rendono subito conto nel destarsi che è giuntoil giorno fatale, i peccatori credono di aver passato pocotempo nella tomba. Questi concetti esposti in manierasuggestiva dalla infiammata predicazione di Maomettomettevano innanzi agli infedeli la terribile verità che

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nella stessa ora della loro morte si inizia, per quantoconcerne la loro coscienza, il giudizio. Anche la creden-za esposta dal Corano che nelle ultime ore di vita gli an-geli vengono a prendere l'anima umana per portarla pri-ma dinanzi al giudice, subito poi, se condannata, allapena del fuoco, non è che lo sviluppo della credenza so-pra descritta che morte e giudizio non sono, vista lamancanza di coscienza nel corpo privo dell'anima, cheun solo momento. Analogamente ai cristiani Maomettocrede però che le anime dei martiri, prima della risurre-zione, restino in vita e ricevano già prima della risurre-zione e senza il corpo la ricompensa del loro sacrificio.Tale è il concetto centrale intorno a cui si sviluppa nonsolo la dottrina ma la pietà del primitivo Islam. La vitanon è che una aspettativa dell'ora inevitabile, da atten-dersi con angoscia; e qui è giusto ricordar subito un'altraanalogia che lega questo stato d'animo con quello degliantichi cristiani. Il P. Hausherr ha sviluppato in un suoscritto del più grande interesse193 la descrizione dellemanifestazioni di compunzione proprie del monachismoorientale e di cui certo Maometto deve aver avuto espe-rienza; tanta è l'analogia tra tali manifestazioni e la com-punzione propria dei più antichi fedeli, inculcata daMaometto dinnanzi al contrasto tra la realtà della vitaindividuale macchiata di colpe e la gravità della minac-cia che sarà senza alcun dubbio effettuata. A questo pro-posito si può forse ricordare che una classe intera di an-

193 V. sopra, p. 171 nota 1. [Nota 189 di questa edizione elettronica]

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nella stessa ora della loro morte si inizia, per quantoconcerne la loro coscienza, il giudizio. Anche la creden-za esposta dal Corano che nelle ultime ore di vita gli an-geli vengono a prendere l'anima umana per portarla pri-ma dinanzi al giudice, subito poi, se condannata, allapena del fuoco, non è che lo sviluppo della credenza so-pra descritta che morte e giudizio non sono, vista lamancanza di coscienza nel corpo privo dell'anima, cheun solo momento. Analogamente ai cristiani Maomettocrede però che le anime dei martiri, prima della risurre-zione, restino in vita e ricevano già prima della risurre-zione e senza il corpo la ricompensa del loro sacrificio.Tale è il concetto centrale intorno a cui si sviluppa nonsolo la dottrina ma la pietà del primitivo Islam. La vitanon è che una aspettativa dell'ora inevitabile, da atten-dersi con angoscia; e qui è giusto ricordar subito un'altraanalogia che lega questo stato d'animo con quello degliantichi cristiani. Il P. Hausherr ha sviluppato in un suoscritto del più grande interesse193 la descrizione dellemanifestazioni di compunzione proprie del monachismoorientale e di cui certo Maometto deve aver avuto espe-rienza; tanta è l'analogia tra tali manifestazioni e la com-punzione propria dei più antichi fedeli, inculcata daMaometto dinnanzi al contrasto tra la realtà della vitaindividuale macchiata di colpe e la gravità della minac-cia che sarà senza alcun dubbio effettuata. A questo pro-posito si può forse ricordare che una classe intera di an-

193 V. sopra, p. 171 nota 1. [Nota 189 di questa edizione elettronica]

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tichi devoti musulmani prende il nome di bakkā’ūn«piagnoni» che corrispondono perfettamente ai cristianiche si abbandonavano al «penthos» e alla «katanyxis».La concezione del giudizio, sorta per motivi sentimenta-li nella coscienza religiosa di Maometto, il quale fustraordinariamente colpito dagli elementi di essa che gligiunsero attraverso i cristiani, si riflette potentementesulla concezione di Dio che è maturata nell'intelletto diMaometto. Chi è Signore del giorno fatale, in cui giudi-ca tutti, mentre la natura è agitata dal più potente dei ca-taclismi, non può essere che il Potente e il Sapiente pereccellenza, padrone dei regni del cielo e della terra, e ar-bitro assoluto dell'esecuzione del suo giudizio; l'uomo ènulla di fronte a questa volontà superiore, la cui conce-zione, sempre più viva in Maometto, lo porta logica-mente alla conclusione della predestinazione (sebbene ilCorano offra appoggi alle due tesi), alla quale dottrina,come quella che è stata tipica del Profeta, la tradizionereligiosa ha tenuto in modo singolare. E quando iMu‘taziliti,194 forse mossi da ragioni di apologia e di di-fesa contro gli attacchi di religioni più evolute, hannovoluto rinnegare tale dottrina, professando invece quelladella giustizia di Dio che anche alla coscienza comuneappare essere offesa dalla condanna o dal premio di chidalla volontà superiore divina è stato ab aeterno prede-

194 Ossia i seguaci di un indirizzo teologico ed etico che, per quanto respintodall'ortodossia, ebbe importanza fondamentale nella formazione della teo-logia dogmatica musulmana; essi tra l'altro negavano che potessero attri-buirsi a Dio azioni contrarie al concetto generale di giustizia.

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tichi devoti musulmani prende il nome di bakkā’ūn«piagnoni» che corrispondono perfettamente ai cristianiche si abbandonavano al «penthos» e alla «katanyxis».La concezione del giudizio, sorta per motivi sentimenta-li nella coscienza religiosa di Maometto, il quale fustraordinariamente colpito dagli elementi di essa che gligiunsero attraverso i cristiani, si riflette potentementesulla concezione di Dio che è maturata nell'intelletto diMaometto. Chi è Signore del giorno fatale, in cui giudi-ca tutti, mentre la natura è agitata dal più potente dei ca-taclismi, non può essere che il Potente e il Sapiente pereccellenza, padrone dei regni del cielo e della terra, e ar-bitro assoluto dell'esecuzione del suo giudizio; l'uomo ènulla di fronte a questa volontà superiore, la cui conce-zione, sempre più viva in Maometto, lo porta logica-mente alla conclusione della predestinazione (sebbene ilCorano offra appoggi alle due tesi), alla quale dottrina,come quella che è stata tipica del Profeta, la tradizionereligiosa ha tenuto in modo singolare. E quando iMu‘taziliti,194 forse mossi da ragioni di apologia e di di-fesa contro gli attacchi di religioni più evolute, hannovoluto rinnegare tale dottrina, professando invece quelladella giustizia di Dio che anche alla coscienza comuneappare essere offesa dalla condanna o dal premio di chidalla volontà superiore divina è stato ab aeterno prede-

194 Ossia i seguaci di un indirizzo teologico ed etico che, per quanto respintodall'ortodossia, ebbe importanza fondamentale nella formazione della teo-logia dogmatica musulmana; essi tra l'altro negavano che potessero attri-buirsi a Dio azioni contrarie al concetto generale di giustizia.

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stinato al bene o al male, provocarono ben presto la vivareazione di correnti profonde di religiosità che videroinvece offesa dalla mano dell'uomo la maestà divina, esi attaccavano, sia pure inconsciamente, alla più profon-da e più viva tradizione musulmana risalente nella suaoriginaria formulazione alla coscienza religiosa del Pro-feta. Tor Andrae afferma giustamente che tale dottrina èquella preferita dagli spiriti religiosi più profondi, e ba-sterebbe per noi citare Sant'Agostino.È stato giustamente supposto che l'idea della predestina-zione rimasta, come abbiamo detto, tipica per tutto losviluppo dell'Islam, sia sorta in Maometto quando egliha constatato con sua sorpresa l'ostinata avversione deiQuraish a seguire le sue indicazioni che gli apparivanocosì giuste e salutari. La spiegazione che si sarebbe pre-sentata a Maometto sarebbe quella di una volontà di Dioche li acceca e li rende incapaci di credere. Tale idea hail suo conforto in qualche passo del Corano.195

Occorre rilevare qualche altro concetto che completa lafigura della divinità secondo Maometto e precisa l'attitu-dine degli uomini verso di essa. Nel Corano, unicoesempio tra le scritture rivelate, vi sono dei passi cheabrogano altri passi; ciò che vuol dire che la divinità ri-velatrice è rivenuta sulle sue decisioni, ciò che si chiamacon parola araba bad‘, mentre il versetto abrogante sichiama nāsikh e il versetto abrogato si chiama mansūkh.

195 «Iddio ha posto un suggello sui loro cuori, sui loro orecchi e sui loro oc-chi» (Sura 2, 6; cfr. 6, 46 e 45, 22).

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stinato al bene o al male, provocarono ben presto la vivareazione di correnti profonde di religiosità che videroinvece offesa dalla mano dell'uomo la maestà divina, esi attaccavano, sia pure inconsciamente, alla più profon-da e più viva tradizione musulmana risalente nella suaoriginaria formulazione alla coscienza religiosa del Pro-feta. Tor Andrae afferma giustamente che tale dottrina èquella preferita dagli spiriti religiosi più profondi, e ba-sterebbe per noi citare Sant'Agostino.È stato giustamente supposto che l'idea della predestina-zione rimasta, come abbiamo detto, tipica per tutto losviluppo dell'Islam, sia sorta in Maometto quando egliha constatato con sua sorpresa l'ostinata avversione deiQuraish a seguire le sue indicazioni che gli apparivanocosì giuste e salutari. La spiegazione che si sarebbe pre-sentata a Maometto sarebbe quella di una volontà di Dioche li acceca e li rende incapaci di credere. Tale idea hail suo conforto in qualche passo del Corano.195

Occorre rilevare qualche altro concetto che completa lafigura della divinità secondo Maometto e precisa l'attitu-dine degli uomini verso di essa. Nel Corano, unicoesempio tra le scritture rivelate, vi sono dei passi cheabrogano altri passi; ciò che vuol dire che la divinità ri-velatrice è rivenuta sulle sue decisioni, ciò che si chiamacon parola araba bad‘, mentre il versetto abrogante sichiama nāsikh e il versetto abrogato si chiama mansūkh.

195 «Iddio ha posto un suggello sui loro cuori, sui loro orecchi e sui loro oc-chi» (Sura 2, 6; cfr. 6, 46 e 45, 22).

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Di fronte a questa inflessibile decisiva volontà di Diol'atteggiamento che Maometto ha inculcato è quello delpieno abbandono, anch'esso tipico per tutto lo sviluppodell'Islam; islām è parola che indica appunto questo at-teggiamento e muslim è colui che lo assume.196 Tale tipodi religione di dipendenza, che ha la sua radice nellaconcezione personale di Maometto, determina netti ca-ratteri di tutta la vita interiore che riappaiono nel diveni-re delle varie provincie di vita religiosa, così nel concet-to di legge divina, nell'indirizzo preso dalle principaliattività dogmatiche, così infine nello sviluppo della mi-stica. Ma tale natura della volontà divina che si rispec-chia nella predestinazione non esclude in alcun modo lamisericordia; non è un caso che la forma eulogicad'introduzione a qualsiasi testo musulmano a partire dalCorano consista nelle parole «in nome di Dio clementee misericordioso»; e, concetto ancora più determinato,la legge divina mira, insieme con tutta l'azione di Dio,all'interesse, maṣlaḥah, degli uomini; e, corrispondente-mente a ciò, tutta la legge musulmana è ispirata da que-sto altissimo concetto che, come quello della misericor-dia divina, rimonta alla iniziativa profetica. Problema dinatura molto sottile, ma insieme essenziale per il giudi-zio su Maometto e sull'Islam e in genere sul divenire

196 Secondo D. S. MARGOLIOUTH, in «Journal of the Royal Asiatic Society»,1903, pp. 467-493, Muslim avrebbe designato in origine un seguace dellopseudoprofeta Musailimah e solo più tardi sarebbe stato assunto da Mao-metto a designazione dei propri seguaci. Tale ipotesi è del tutto inverosi-mile, come anche quella di M. LIDZBARSKI, in «Zeitschrift für Semitistik», I,1921, pp. 85-96 che combina islām e muslim con salām «salute».

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Di fronte a questa inflessibile decisiva volontà di Diol'atteggiamento che Maometto ha inculcato è quello delpieno abbandono, anch'esso tipico per tutto lo sviluppodell'Islam; islām è parola che indica appunto questo at-teggiamento e muslim è colui che lo assume.196 Tale tipodi religione di dipendenza, che ha la sua radice nellaconcezione personale di Maometto, determina netti ca-ratteri di tutta la vita interiore che riappaiono nel diveni-re delle varie provincie di vita religiosa, così nel concet-to di legge divina, nell'indirizzo preso dalle principaliattività dogmatiche, così infine nello sviluppo della mi-stica. Ma tale natura della volontà divina che si rispec-chia nella predestinazione non esclude in alcun modo lamisericordia; non è un caso che la forma eulogicad'introduzione a qualsiasi testo musulmano a partire dalCorano consista nelle parole «in nome di Dio clementee misericordioso»; e, concetto ancora più determinato,la legge divina mira, insieme con tutta l'azione di Dio,all'interesse, maṣlaḥah, degli uomini; e, corrispondente-mente a ciò, tutta la legge musulmana è ispirata da que-sto altissimo concetto che, come quello della misericor-dia divina, rimonta alla iniziativa profetica. Problema dinatura molto sottile, ma insieme essenziale per il giudi-zio su Maometto e sull'Islam e in genere sul divenire

196 Secondo D. S. MARGOLIOUTH, in «Journal of the Royal Asiatic Society»,1903, pp. 467-493, Muslim avrebbe designato in origine un seguace dellopseudoprofeta Musailimah e solo più tardi sarebbe stato assunto da Mao-metto a designazione dei propri seguaci. Tale ipotesi è del tutto inverosi-mile, come anche quella di M. LIDZBARSKI, in «Zeitschrift für Semitistik», I,1921, pp. 85-96 che combina islām e muslim con salām «salute».

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delle religioni rivelate, è stabilire se questi caratteri dimisericordia e di benevolenza che il Corano attribuisceall'azione di Dio rispecchino attitudini personali del Pro-feta. Noi sappiamo, e lo ripeteremo tra breve nel giudi-zio complessivo su Maometto, di una sua singolare bon-tà e di una sua amabile mitezza, che lo assisté tra l'altroal momento della conquista della Mecca, quando invecedi trarre sanguinosa vendetta dei suoi vecchi nemici ap-plicò il criterio della moderazione, ciò che valse a luipiù di una battaglia vinta. Si può sostenere, è vero, checiò derivasse dal senso politico di opportunismo, dallafine attitudine diplomatica, che furono anche tipiche delProfeta; ma basta leggere i racconti delle nostre fontiper vedere in essi non l'artificio dell'uomo politico, ma ilsentimento di un animo pieno di umanità, che vibra sin-cero nel racconto stesso. Né si deduca contro tale affer-mazione il dubbio dell'autenticità di tali racconti; se purtale dubbio è fondato, il fatto che nella tradizione restivivo il senso della moderazione profetica ha altrettantaimportanza che la veridicità del rapporto.Dei precetti positivi per il culto, che in parte riflettono icaratteri essenziali del messaggio di Maometto quali liabbiamo qui sopra delineati, si parlerà in un'altra occa-sione; ma è importante considerare fin da ora il proble-ma delle fonti della religiosità di Maometto; la soluzio-ne dei quale è premessa indispensabile per la compren-sione di tutta la sua opera.A questo proposito va subito indicato un ultimo caratte-

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delle religioni rivelate, è stabilire se questi caratteri dimisericordia e di benevolenza che il Corano attribuisceall'azione di Dio rispecchino attitudini personali del Pro-feta. Noi sappiamo, e lo ripeteremo tra breve nel giudi-zio complessivo su Maometto, di una sua singolare bon-tà e di una sua amabile mitezza, che lo assisté tra l'altroal momento della conquista della Mecca, quando invecedi trarre sanguinosa vendetta dei suoi vecchi nemici ap-plicò il criterio della moderazione, ciò che valse a luipiù di una battaglia vinta. Si può sostenere, è vero, checiò derivasse dal senso politico di opportunismo, dallafine attitudine diplomatica, che furono anche tipiche delProfeta; ma basta leggere i racconti delle nostre fontiper vedere in essi non l'artificio dell'uomo politico, ma ilsentimento di un animo pieno di umanità, che vibra sin-cero nel racconto stesso. Né si deduca contro tale affer-mazione il dubbio dell'autenticità di tali racconti; se purtale dubbio è fondato, il fatto che nella tradizione restivivo il senso della moderazione profetica ha altrettantaimportanza che la veridicità del rapporto.Dei precetti positivi per il culto, che in parte riflettono icaratteri essenziali del messaggio di Maometto quali liabbiamo qui sopra delineati, si parlerà in un'altra occa-sione; ma è importante considerare fin da ora il proble-ma delle fonti della religiosità di Maometto; la soluzio-ne dei quale è premessa indispensabile per la compren-sione di tutta la sua opera.A questo proposito va subito indicato un ultimo caratte-

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re assai notevole del primitivo Islam; vale a dire la con-cezione, che fu viva nel Profeta, di una successiva di-scesa della rivelazione da parte di Dio a popoli diversi eai loro profeti. Maometto, profeta degli Arabi, sarebbel'ultimo, il suggello, con la rivelazione al quale si chiudela comunanza tra Dio e gli uomini. Tale credenza è inrelazione all'idea, anche propria di Maometto, che incielo esista un originale scritto ab aeterno della rivela-zione stessa.Fin dal 1833 il rabbino tedesco Abraham Geiger indica-va, in una sua pubblicazione rimasta celebre,197 quelloche, secondo lui, le credenze e precetti di Maometto do-vessero al Giudaismo. Da allora in poi nessuno ha piùnegato che una parte notevole dell'Islam rimonta a mo-dello ebraico; e solamente i dotti hanno rivolto la loroindustria a stabilire le circostanze storiche che hannopermesso e condizionato tale influsso giudaico.198 Laprima reazione a tale opinione dominante venne dalWellhausen, il quale nei suoi Reste arabisches Heiden-tums per primo espresse l'opinione che l'Islam dovesse

197 A. GEIGER, Was hat Muhammed aus dem Judentum aufgenommen? (ristam-pato a Lipsia nel 1902). Troppo poca parte fa agli influssi ebraici e cristia-ni sull'ispirazione di Maometto C. H. BECKER, Abriss der islamischen Reli-gion, in Islamstudien, I, pp. 331-385.

198 H. HIRSCHFELD, Jüdische Elemente im Koran, Leipzig, 1878, e New resear-ches into the composition and exegesis of the Qoran, London, 1902 (Asia-tic Monographs, III); A. J. WENSINCK, Mohammed en de Joden te Medina,Leiden, 1908; R. LESZINSKI, Die Juden in Arabien zur Zeit Mohammeds,Berlin, 1910; e per ultimo il TORREY, sul quale v. p. 184 nota 3 [nota 206 inquesta edizione elettronica].

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re assai notevole del primitivo Islam; vale a dire la con-cezione, che fu viva nel Profeta, di una successiva di-scesa della rivelazione da parte di Dio a popoli diversi eai loro profeti. Maometto, profeta degli Arabi, sarebbel'ultimo, il suggello, con la rivelazione al quale si chiudela comunanza tra Dio e gli uomini. Tale credenza è inrelazione all'idea, anche propria di Maometto, che incielo esista un originale scritto ab aeterno della rivela-zione stessa.Fin dal 1833 il rabbino tedesco Abraham Geiger indica-va, in una sua pubblicazione rimasta celebre,197 quelloche, secondo lui, le credenze e precetti di Maometto do-vessero al Giudaismo. Da allora in poi nessuno ha piùnegato che una parte notevole dell'Islam rimonta a mo-dello ebraico; e solamente i dotti hanno rivolto la loroindustria a stabilire le circostanze storiche che hannopermesso e condizionato tale influsso giudaico.198 Laprima reazione a tale opinione dominante venne dalWellhausen, il quale nei suoi Reste arabisches Heiden-tums per primo espresse l'opinione che l'Islam dovesse

197 A. GEIGER, Was hat Muhammed aus dem Judentum aufgenommen? (ristam-pato a Lipsia nel 1902). Troppo poca parte fa agli influssi ebraici e cristia-ni sull'ispirazione di Maometto C. H. BECKER, Abriss der islamischen Reli-gion, in Islamstudien, I, pp. 331-385.

198 H. HIRSCHFELD, Jüdische Elemente im Koran, Leipzig, 1878, e New resear-ches into the composition and exegesis of the Qoran, London, 1902 (Asia-tic Monographs, III); A. J. WENSINCK, Mohammed en de Joden te Medina,Leiden, 1908; R. LESZINSKI, Die Juden in Arabien zur Zeit Mohammeds,Berlin, 1910; e per ultimo il TORREY, sul quale v. p. 184 nota 3 [nota 206 inquesta edizione elettronica].

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più al Cristianesimo che al Giudaismo. Il Lammens199

reagì contro questa opinione, sottolineò l'influsso giu-daico, finché due dotti, l'Ahrens e l'Andrae, tornaronoalla tesi cristiana.200 L'apporto decisivo fu datodall'Andrae201 il quale, con una fine analisi letteraria,mostrò le strette somiglianze che uniscono gli scritti diPadri siriaci, e specialmente di S. Efrem, al Corano, so-prattutto per quanto concerne la parte escatologica. Datale innegabile stato di fatto, del quale ogni ricerca daora deve tenere il massimo conto, l'Andrae dedusse cheMaometto deve aver inteso le prediche dei missionaricristiani, certamente presenti, come abbiamo qui sopranotato, nelle radunate del pellegrinaggio pagano. Loschema di tali prediche doveva essere ben determinato ela sostanza, spesso anche la lettera, doveva esser presada quei Padri, come accade ancor oggi nel Cattolicesi-mo, nel quale le prediche abitualmente attingono pensie-ro ed espressioni ai maggiori Padri della Chiesa, spe-cialmente latini. L'Andrae tuttavia partì da una presup-posizione che credo erronea, vale a dire che la maggio-ranza di tali missionari fosse nestoriana, dottrina confor-

199 Les Chrétiens à la Mecque, pp. 1-9.200 Sulla diffusione del Cristianesimo in Arabia il migliore studio di insieme è

quello dell'ANDRAE a pp. 7-58 dello scritto citato nella nota seguente. V. an-che W. RUDOLPH, Die Abhängigkeit des Qorans von Judentum und Chri-stentum, Stuttgart, 1922; R. BELL, The Origin of Islam in its Christian En-vironment, London, 1926.

201 TOR ANDRAE, Der Ursprung des Islams... (v. sopra, p. 147 nota 2 [nota 170in questa edizione elettronica]); Mohammed, sein Leben und Glaube, Göt-tingen, 1932 (trad. ital., Maometto, la sua vita e la sua fede, Bari, Laterza,1934).

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più al Cristianesimo che al Giudaismo. Il Lammens199

reagì contro questa opinione, sottolineò l'influsso giu-daico, finché due dotti, l'Ahrens e l'Andrae, tornaronoalla tesi cristiana.200 L'apporto decisivo fu datodall'Andrae201 il quale, con una fine analisi letteraria,mostrò le strette somiglianze che uniscono gli scritti diPadri siriaci, e specialmente di S. Efrem, al Corano, so-prattutto per quanto concerne la parte escatologica. Datale innegabile stato di fatto, del quale ogni ricerca daora deve tenere il massimo conto, l'Andrae dedusse cheMaometto deve aver inteso le prediche dei missionaricristiani, certamente presenti, come abbiamo qui sopranotato, nelle radunate del pellegrinaggio pagano. Loschema di tali prediche doveva essere ben determinato ela sostanza, spesso anche la lettera, doveva esser presada quei Padri, come accade ancor oggi nel Cattolicesi-mo, nel quale le prediche abitualmente attingono pensie-ro ed espressioni ai maggiori Padri della Chiesa, spe-cialmente latini. L'Andrae tuttavia partì da una presup-posizione che credo erronea, vale a dire che la maggio-ranza di tali missionari fosse nestoriana, dottrina confor-

199 Les Chrétiens à la Mecque, pp. 1-9.200 Sulla diffusione del Cristianesimo in Arabia il migliore studio di insieme è

quello dell'ANDRAE a pp. 7-58 dello scritto citato nella nota seguente. V. an-che W. RUDOLPH, Die Abhängigkeit des Qorans von Judentum und Chri-stentum, Stuttgart, 1922; R. BELL, The Origin of Islam in its Christian En-vironment, London, 1926.

201 TOR ANDRAE, Der Ursprung des Islams... (v. sopra, p. 147 nota 2 [nota 170in questa edizione elettronica]); Mohammed, sein Leben und Glaube, Göt-tingen, 1932 (trad. ital., Maometto, la sua vita e la sua fede, Bari, Laterza,1934).

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tata dal carattere di altre concezioni islamiche che si av-vicinano piuttosto al Nestorianismo. Le fonti non per-mettono di concludere per l'assoluta prevalenza dei ne-storiani in Arabia postulata dall'Andrae, mentre noi ab-biamo già notato che la maggiore tendenza mistica, chesembra innegabile nei monofisiti e che deve averli assi-stiti nell'opera ardua di apostolato, spiega meglio l'operamissionaria in Arabia; mentre da più fonti risulta inne-gabile la grande diffusione del Monofisismo in Arabia(che fu tanto favorito dai Ghassānidi) e l'attività di nu-merosi vescovati e monasteri.202 Anche la dottrina fon-damentale dell'Andrae, che presuppone una regolare au-dizione da parte di Maometto delle prediche e la suacomprensione di esse, può essere oggetto di valide obie-zioni, fondate principalmente sul fatto, dall'Andrae stes-so ben riconosciuto, dell'ignoranza di Maometto su pun-ti principalissimi della dottrina cristiana, quale la Trini-tà, da lui stranamente concepita come composta da DioPadre, Gesù e Maria, e sulla persona di Maria, da luiconfusa con la sorella di Mosè e Aronne ecc. l'Andraepoi non ha forse pensato che la somiglianza tra espres-sioni di Padri siriaci e quelle del Corano può essere fattarimontare a qualche cosa di più generale che non il fattooccasionale dell'audizione delle prediche da parte diMaometto. Vale a dire alla possibile diffusione in Arabiadi espressioni costanti su questioni essenziali della reli-gione cristiana, quale la vita futura ecc., luoghi comuni202 Cfr. gli scritti di NAU, CHARLES, DEVREESSE, citati sopra, p. 147 nota 3 [nota

171 di questa edizione elettronica].

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tata dal carattere di altre concezioni islamiche che si av-vicinano piuttosto al Nestorianismo. Le fonti non per-mettono di concludere per l'assoluta prevalenza dei ne-storiani in Arabia postulata dall'Andrae, mentre noi ab-biamo già notato che la maggiore tendenza mistica, chesembra innegabile nei monofisiti e che deve averli assi-stiti nell'opera ardua di apostolato, spiega meglio l'operamissionaria in Arabia; mentre da più fonti risulta inne-gabile la grande diffusione del Monofisismo in Arabia(che fu tanto favorito dai Ghassānidi) e l'attività di nu-merosi vescovati e monasteri.202 Anche la dottrina fon-damentale dell'Andrae, che presuppone una regolare au-dizione da parte di Maometto delle prediche e la suacomprensione di esse, può essere oggetto di valide obie-zioni, fondate principalmente sul fatto, dall'Andrae stes-so ben riconosciuto, dell'ignoranza di Maometto su pun-ti principalissimi della dottrina cristiana, quale la Trini-tà, da lui stranamente concepita come composta da DioPadre, Gesù e Maria, e sulla persona di Maria, da luiconfusa con la sorella di Mosè e Aronne ecc. l'Andraepoi non ha forse pensato che la somiglianza tra espres-sioni di Padri siriaci e quelle del Corano può essere fattarimontare a qualche cosa di più generale che non il fattooccasionale dell'audizione delle prediche da parte diMaometto. Vale a dire alla possibile diffusione in Arabiadi espressioni costanti su questioni essenziali della reli-gione cristiana, quale la vita futura ecc., luoghi comuni202 Cfr. gli scritti di NAU, CHARLES, DEVREESSE, citati sopra, p. 147 nota 3 [nota

171 di questa edizione elettronica].

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che avrebbero la loro origine nella così notevole diffu-sione del Cristianesimo in Arabia, e d'altra partenell'interesse degli argomenti escatologici che attiravanola speciale attenzione della comune opinione e destava-no timori e speranze. Non è impossibile supporre chetali descrizioni e tali espressioni siano giunte egualmen-te a Maometto, mentre la regolare audizione delle predi-che gli avrebbe sicuramente fatto evitare i suoi grossola-ni errori e, d'altra parte, avrebbe dato un tono differentedi maggior calore e di più alto apprezzamento della dot-trina cristiana che non sia quello che certamente si ri-scontra in più espressioni di Maometto e del Corano;ciò, anche, considerando specialmente che Maomettoera sensibilissimo alle impressioni religiose e capace diapprezzare come nessun altro in quel momento in Ara-bia l'altezza del messaggio cristiano. La conclusione èche non si può, dopo le ricerche dell'Andrae, negare laprevalenza dell'influsso cristiano sull'Islam e che sola-mente bisogna precisare meglio i modi di penetrazionedi tale influsso ed evitare che l'ipotesi della diretta audi-zione delle prediche conduca a conclusioni erronee e so-prattutto a giudizio sbagliato circa l'intimo carattere del-la vita religiosa di Arabia alla vigilia dell'Islam.Il predetto Ahrens203 ha poi supposto che alcune espres-sioni del Corano possano essere derivate dalla visionediretta che ebbe Maometto della Chiesa del Sinai e dei

203 K. AHRENS, Muhammed als Religionsstifter, Leipzig, 1935 («Abhandlungenfür die Kunde des Morgenlandes», XIX, 4).

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che avrebbero la loro origine nella così notevole diffu-sione del Cristianesimo in Arabia, e d'altra partenell'interesse degli argomenti escatologici che attiravanola speciale attenzione della comune opinione e destava-no timori e speranze. Non è impossibile supporre chetali descrizioni e tali espressioni siano giunte egualmen-te a Maometto, mentre la regolare audizione delle predi-che gli avrebbe sicuramente fatto evitare i suoi grossola-ni errori e, d'altra parte, avrebbe dato un tono differentedi maggior calore e di più alto apprezzamento della dot-trina cristiana che non sia quello che certamente si ri-scontra in più espressioni di Maometto e del Corano;ciò, anche, considerando specialmente che Maomettoera sensibilissimo alle impressioni religiose e capace diapprezzare come nessun altro in quel momento in Ara-bia l'altezza del messaggio cristiano. La conclusione èche non si può, dopo le ricerche dell'Andrae, negare laprevalenza dell'influsso cristiano sull'Islam e che sola-mente bisogna precisare meglio i modi di penetrazionedi tale influsso ed evitare che l'ipotesi della diretta audi-zione delle prediche conduca a conclusioni erronee e so-prattutto a giudizio sbagliato circa l'intimo carattere del-la vita religiosa di Arabia alla vigilia dell'Islam.Il predetto Ahrens203 ha poi supposto che alcune espres-sioni del Corano possano essere derivate dalla visionediretta che ebbe Maometto della Chiesa del Sinai e dei

203 K. AHRENS, Muhammed als Religionsstifter, Leipzig, 1935 («Abhandlungenfür die Kunde des Morgenlandes», XIX, 4).

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suoi mosaici; così la menzione della cupola elevata, del-la casa frequentata204 ecc. Questa, ed altre ipotesidell'Ahrens, non sembrano sufficientemente fondate inquanto l'espressione dei passi coranici relativi si applicapiù facilmente alla Ka‘bah, al cielo ecc. Ma l'Ahrens haveduto, anche prima dell'Andrae il quale pure ha adotta-to tale dottrina, che il Cristianesimo non può aver sug-gerito al Profeta la teoria della successiva discesa dellarivelazione e che tale teoria, la quale ben difficilmented'altra parte poteva sorgere spontanea nella sua mente, èpropria del Manicheismo e con esso di alcune sette gno-stiche, che sappiamo aver avuto diffusione in Arabia.Tale idea appare giusta e l'Andrae l'ha adottata così reci-samente da affermare205 che se Maometto non è divenu-to cristiano sotto l'influsso della predicazione dei Siri èappunto perché la dottrina centrale dell'Islam, la qualeassicura a lui la possibilità di apparire tra gli Arabi comeProfeta ed anzi come sigillo dei Profeti, gli è stata ispi-rata da un'altra tradizione, quella gnostica presente inArabia, della quale si possono forse rintracciare altrielementi nel suo messaggio. Recentemente, dopo la pre-valenza della dottrina che sostiene l'influsso predomi-nante del cristianesimo sull'Islam, un americano, il Tor-rey,206 ha tentato di confortare con nuovi argomentil'antica dottrina del preponderante influsso giudaico.204 pp. 28-29; cfr. M. GUIDI, in «Rivista degli Studi Orientali», XVII, 1937, pp.

123-127.205 V. Der Ursprung des Islams, pp. 203-204.206 C. C. TORREY, The Jewish Foundation of Islam, New York, 1933 (Jewish

History of Religion Press).

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suoi mosaici; così la menzione della cupola elevata, del-la casa frequentata204 ecc. Questa, ed altre ipotesidell'Ahrens, non sembrano sufficientemente fondate inquanto l'espressione dei passi coranici relativi si applicapiù facilmente alla Ka‘bah, al cielo ecc. Ma l'Ahrens haveduto, anche prima dell'Andrae il quale pure ha adotta-to tale dottrina, che il Cristianesimo non può aver sug-gerito al Profeta la teoria della successiva discesa dellarivelazione e che tale teoria, la quale ben difficilmented'altra parte poteva sorgere spontanea nella sua mente, èpropria del Manicheismo e con esso di alcune sette gno-stiche, che sappiamo aver avuto diffusione in Arabia.Tale idea appare giusta e l'Andrae l'ha adottata così reci-samente da affermare205 che se Maometto non è divenu-to cristiano sotto l'influsso della predicazione dei Siri èappunto perché la dottrina centrale dell'Islam, la qualeassicura a lui la possibilità di apparire tra gli Arabi comeProfeta ed anzi come sigillo dei Profeti, gli è stata ispi-rata da un'altra tradizione, quella gnostica presente inArabia, della quale si possono forse rintracciare altrielementi nel suo messaggio. Recentemente, dopo la pre-valenza della dottrina che sostiene l'influsso predomi-nante del cristianesimo sull'Islam, un americano, il Tor-rey,206 ha tentato di confortare con nuovi argomentil'antica dottrina del preponderante influsso giudaico.204 pp. 28-29; cfr. M. GUIDI, in «Rivista degli Studi Orientali», XVII, 1937, pp.

123-127.205 V. Der Ursprung des Islams, pp. 203-204.206 C. C. TORREY, The Jewish Foundation of Islam, New York, 1933 (Jewish

History of Religion Press).

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Egli, nel ricordare i passi del Corano che parlanodell'accusa dei Meccani a Maometto di lasciarsi istruireda uno straniero, e contenenti la risposta di Maomettostesso, sostiene che tale persona non poteva essere cheun ebreo, rafforzando questa sua opinione con la preva-lenza degli elementi giudaici nel Corano, nei precetti enei racconti, e osservando che i racconti di contenutocristiano potevano ben essere giunti a lui attraverso latrafila ebraica. S'intende che tutti questi ricercatori sono,pur nella divergenza delle opinioni, d'accordo nel crede-re che tanto la materia giudaica quanto la cristiana nonviene direttamente dalla Bibbia o dal Vangelo, ma siadal Midrash sia dagli Apocrifi come è chiaramente mo-strato dalla versione coranica di tali racconti. Un puntoessenziale, che appare generalmente trascurato in questepure ricerche di fonti, è la personalità di Maometto. Ab-biamo già osservato la passione araba che doveva muo-vere il Profeta e che aveva occasione di nutrirsi al con-tatto di tante varie tribù arabe che frequentavano le festedel pellegrinaggio. Ad essa corrisponde il fatto cheMaometto ha voluto creare una religione non universale,ma tale da togliere al suo popolo, gli Arabi, l'inferioritàdi non possedere una religione rivelata, come gli altripopoli, e a questa corrisponde anche il fatto che l'unicavera ragione di unità del Corano è lo stile di esso che èintimamente e profondamente arabo, non solo per la so-miglianza che alcune parti del libro hanno con vaticini

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Egli, nel ricordare i passi del Corano che parlanodell'accusa dei Meccani a Maometto di lasciarsi istruireda uno straniero, e contenenti la risposta di Maomettostesso, sostiene che tale persona non poteva essere cheun ebreo, rafforzando questa sua opinione con la preva-lenza degli elementi giudaici nel Corano, nei precetti enei racconti, e osservando che i racconti di contenutocristiano potevano ben essere giunti a lui attraverso latrafila ebraica. S'intende che tutti questi ricercatori sono,pur nella divergenza delle opinioni, d'accordo nel crede-re che tanto la materia giudaica quanto la cristiana nonviene direttamente dalla Bibbia o dal Vangelo, ma siadal Midrash sia dagli Apocrifi come è chiaramente mo-strato dalla versione coranica di tali racconti. Un puntoessenziale, che appare generalmente trascurato in questepure ricerche di fonti, è la personalità di Maometto. Ab-biamo già osservato la passione araba che doveva muo-vere il Profeta e che aveva occasione di nutrirsi al con-tatto di tante varie tribù arabe che frequentavano le festedel pellegrinaggio. Ad essa corrisponde il fatto cheMaometto ha voluto creare una religione non universale,ma tale da togliere al suo popolo, gli Arabi, l'inferioritàdi non possedere una religione rivelata, come gli altripopoli, e a questa corrisponde anche il fatto che l'unicavera ragione di unità del Corano è lo stile di esso che èintimamente e profondamente arabo, non solo per la so-miglianza che alcune parti del libro hanno con vaticini

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degli antichi indovini arabi,207 ma anche per l'andamentoretorico di altre parti, che si riconnette facilmente conl'ethos arabo ed è lontano da quello della parenetica cri-stiana. E allora tale imprecisione nel rendere le dottrinecristiane può ben attribuirsi alla preminenza dell'interes-se arabo che è divenuto il criterio principale di coordi-nazione dei singoli elementi per la precisazione dei qua-li veniva a mancare l'interesse diretto. Così, con taleconcezione della psicologia propria di Maomettonell'unire gli elementi del suo composito edificio, trova-no spiegazione insieme sia le somiglianze con l'omileti-ca siriaca addotte dall'Andrae a sostegno della sua dot-trina, da attribuirsi anche alla diffusione di luoghi comu-ni, come si è detto sopra, sia l'erronea comprensione didottrine essenziali per ogni vero cristiano. Tale criteriodello stile del Corano deve esser tenuto sempre presentequale guida per un giudizio complessivo sulla somma dielementi, di cui indubbiamente si compone lo stesso Co-rano. Ripetiamo qui che tali precisazioni appaionotutt'altro che oziose in quanto dal giudizio giusto sul va-lore e l'efficacia relativa delle varie fonti del Corano di-pende unicamente la giusta valutazione della forza deisingoli fattori presenti in Arabia al momento della mis-sione profetica e dipende anche la concezione adeguata

207 I kāhin, sui quali v. sopra pp. 125, 139. Sullo stile del Corano v. M. GUIDI,in «Byzantion», VII, 1932, pp, 419-420 e Storia della religione d'Islam, inStoria delle Religioni diretta da P. Tacchi Venturi, Torino, 1936, II, p. 251[3a ed., 1949, II, p. 327]; G. VON GRÜNEBAUM, Von Muhammeds Wirkungund Originalität, in «Wiener Zeitschrift für die Kunde des Morgenlandes»,XLIV, 1936, pp. 29-50.

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degli antichi indovini arabi,207 ma anche per l'andamentoretorico di altre parti, che si riconnette facilmente conl'ethos arabo ed è lontano da quello della parenetica cri-stiana. E allora tale imprecisione nel rendere le dottrinecristiane può ben attribuirsi alla preminenza dell'interes-se arabo che è divenuto il criterio principale di coordi-nazione dei singoli elementi per la precisazione dei qua-li veniva a mancare l'interesse diretto. Così, con taleconcezione della psicologia propria di Maomettonell'unire gli elementi del suo composito edificio, trova-no spiegazione insieme sia le somiglianze con l'omileti-ca siriaca addotte dall'Andrae a sostegno della sua dot-trina, da attribuirsi anche alla diffusione di luoghi comu-ni, come si è detto sopra, sia l'erronea comprensione didottrine essenziali per ogni vero cristiano. Tale criteriodello stile del Corano deve esser tenuto sempre presentequale guida per un giudizio complessivo sulla somma dielementi, di cui indubbiamente si compone lo stesso Co-rano. Ripetiamo qui che tali precisazioni appaionotutt'altro che oziose in quanto dal giudizio giusto sul va-lore e l'efficacia relativa delle varie fonti del Corano di-pende unicamente la giusta valutazione della forza deisingoli fattori presenti in Arabia al momento della mis-sione profetica e dipende anche la concezione adeguata

207 I kāhin, sui quali v. sopra pp. 125, 139. Sullo stile del Corano v. M. GUIDI,in «Byzantion», VII, 1932, pp, 419-420 e Storia della religione d'Islam, inStoria delle Religioni diretta da P. Tacchi Venturi, Torino, 1936, II, p. 251[3a ed., 1949, II, p. 327]; G. VON GRÜNEBAUM, Von Muhammeds Wirkungund Originalität, in «Wiener Zeitschrift für die Kunde des Morgenlandes»,XLIV, 1936, pp. 29-50.

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della persona di Maometto, la quale ha affermato la suapresenza nell'insieme di quei fattori, che senza la suacoordinazione sarebbero rimasti disgregati e privi diquella nuova efficacia che sola può creare l'indirizzo diessi secondo una nuova forza che impedisce loro di li-mitarsi ad un'azione affievolita secondo l'antica direzio-ne, nella quale si era manifestata la loro prima efficacia.La forza che agisce in tutto questo è l'arabismo, sommadi energie storiche sviluppatesi da secoli in Arabia econcentrate nella persona di Maometto. In tale formula-zione sta anche il segreto del destino della nuova dottri-na alla sua prima apparizione; perché l'aspetto special-mente escatologico derivato dal Giudaismo e soprattuttodal Cristianesimo doveva incontrare la reazione dei con-cittadini del Profeta e solo, d'altra parte, facilitare l'acco-glimento della nuova dottrina presso le tribù cristianegià preparate agli ardui concetti della loro professionereligiosa. L'opposizione che i Quraisciti fecero alle pri-me manifestazioni di Maometto è certo attribuibile siaalla novità rivoluzionaria della dottrina sia anche (manon bisogna esagerare in questo) al timore dei Quraiscitiche la rivoluzione religiosa portasse pregiudizio al pre-stigio della Mecca e al conseguente vantaggio commer-ciale. Ma certamente per buona parte va attribuita allariluttanza per le inaudite dottrine e soprattutto per la ri-surrezione; il Corano stesso ci dipinge degli increduliche, tenendo in mano delle ossa umane in disfacimento,domandavano: «Potranno esse risorgere, così consuntecome sono?» (Sura 17, 52, 100). Che d'altronde si pro-

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della persona di Maometto, la quale ha affermato la suapresenza nell'insieme di quei fattori, che senza la suacoordinazione sarebbero rimasti disgregati e privi diquella nuova efficacia che sola può creare l'indirizzo diessi secondo una nuova forza che impedisce loro di li-mitarsi ad un'azione affievolita secondo l'antica direzio-ne, nella quale si era manifestata la loro prima efficacia.La forza che agisce in tutto questo è l'arabismo, sommadi energie storiche sviluppatesi da secoli in Arabia econcentrate nella persona di Maometto. In tale formula-zione sta anche il segreto del destino della nuova dottri-na alla sua prima apparizione; perché l'aspetto special-mente escatologico derivato dal Giudaismo e soprattuttodal Cristianesimo doveva incontrare la reazione dei con-cittadini del Profeta e solo, d'altra parte, facilitare l'acco-glimento della nuova dottrina presso le tribù cristianegià preparate agli ardui concetti della loro professionereligiosa. L'opposizione che i Quraisciti fecero alle pri-me manifestazioni di Maometto è certo attribuibile siaalla novità rivoluzionaria della dottrina sia anche (manon bisogna esagerare in questo) al timore dei Quraiscitiche la rivoluzione religiosa portasse pregiudizio al pre-stigio della Mecca e al conseguente vantaggio commer-ciale. Ma certamente per buona parte va attribuita allariluttanza per le inaudite dottrine e soprattutto per la ri-surrezione; il Corano stesso ci dipinge degli increduliche, tenendo in mano delle ossa umane in disfacimento,domandavano: «Potranno esse risorgere, così consuntecome sono?» (Sura 17, 52, 100). Che d'altronde si pro-

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clamasse che l'ultima fase della rivelazione fosse disce-sa in lingua araba pura, che apparisse che la religioneera per gli Arabi, che ciò fosse conclamato dallo stilearabo del Corano, tutto ciò non poteva non agire in sen-so contrario alla diffidenza con cui erano state accolte leprime manifestazioni di Maometto. Giacché lo zelo perl'arabismo è sempre presente nell'animo degli antichiArabi; e i paesi arabi d'oggi hanno ereditato il vanto ditutto quello che nella lingua, nella letteratura e nella re-ligione ha saputo creare lo spirito arabo. Il continuo ri-guardo a tale elemento è una delle ragioni principali del-la presente esposizione, nella quale apparrà che le sortidei valori arabi nel mondo sono state sempre determina-te da questo entusiasmo nazionale che si riattacca diret-tamente al fakhr delle antiche tribù, al quale abbiamoaccennato qui sopra.Con ciò abbiamo indicato le condizioni principali cheregolarono l'accoglienza dei concittadini di Maomettoalla sua dottrina; e occorre insistere in primo luogo sullosfavore che la novità di essa provocò alla Mecca. Datale sfavore e dalle sue manifestazioni fu causato l'avve-nimento capitale che segnò la sorte dell'Islam e tral'altro, processo d'incalcolabile portata, condusse Mao-metto dalla sua attività puramente religiosa di Profeta aquella di natura politica di capo di stato.

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clamasse che l'ultima fase della rivelazione fosse disce-sa in lingua araba pura, che apparisse che la religioneera per gli Arabi, che ciò fosse conclamato dallo stilearabo del Corano, tutto ciò non poteva non agire in sen-so contrario alla diffidenza con cui erano state accolte leprime manifestazioni di Maometto. Giacché lo zelo perl'arabismo è sempre presente nell'animo degli antichiArabi; e i paesi arabi d'oggi hanno ereditato il vanto ditutto quello che nella lingua, nella letteratura e nella re-ligione ha saputo creare lo spirito arabo. Il continuo ri-guardo a tale elemento è una delle ragioni principali del-la presente esposizione, nella quale apparrà che le sortidei valori arabi nel mondo sono state sempre determina-te da questo entusiasmo nazionale che si riattacca diret-tamente al fakhr delle antiche tribù, al quale abbiamoaccennato qui sopra.Con ciò abbiamo indicato le condizioni principali cheregolarono l'accoglienza dei concittadini di Maomettoalla sua dottrina; e occorre insistere in primo luogo sullosfavore che la novità di essa provocò alla Mecca. Datale sfavore e dalle sue manifestazioni fu causato l'avve-nimento capitale che segnò la sorte dell'Islam e tral'altro, processo d'incalcolabile portata, condusse Mao-metto dalla sua attività puramente religiosa di Profeta aquella di natura politica di capo di stato.

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II.MAOMETTO A MEDINA.

Le difficoltà incontrate da Maometto nella sua città na-tale e che giunsero fino a un inizio di persecuzione (an-che se il bando dei Banū Hāshim, cioè il boicottaggiodeciso dai Quraisciti contro la famiglia del Profeta, nonsi possa dimostrare come rigorosamente storico e anchese alcuni particolari su tale lotta debbano ritenersi esa-gerati dalla pia tradizione) lo indussero dapprima a sug-gerire ad un gruppo dei suoi primi aderenti di emigrarein Abissinia, ove la fede cristiana del Negus gli facevasperare una benevola accoglienza per i seguaci dellanuova dottrina rivelata connessa da tanti legami con ilCristianesimo e così tenacemente avversa al paganesi-mo; a queste prime difficoltà si può anche riattaccare unepisodio assai interessante dal punto di vista storico-religioso. Ossia la menzione onorifica, come appare an-che nel Corano, che Maometto fece delle tre divinitàfemminili, Allāt, al-‘Uzzā e al-Manāt, poi rinnegata dalui come insinuazione del demonio.208 Si può vedere intutto ciò una captatio benevolentiae presso i pagani sot-to la pressione delle persecuzioni; vi si può anche vede-re, e ciò ci interessa di più, un riverente ricordo del Pro-

208 In tre versetti seguenti a Sura 53, 20, i quali non compaiono nel testo uffi-ciale del Corano. Su questo episodio, la cui autenticità è stata contestata,ma che sembra accertato, V. NÖLDEKE-SCHWALLY, Geschichte des Qorans, I,pp. 100-103; ANDRAE, Maometto, pp. 13, 18; AHRENS, Muhammed als Reli-gionsstifter, pp. 55-57.

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II.MAOMETTO A MEDINA.

Le difficoltà incontrate da Maometto nella sua città na-tale e che giunsero fino a un inizio di persecuzione (an-che se il bando dei Banū Hāshim, cioè il boicottaggiodeciso dai Quraisciti contro la famiglia del Profeta, nonsi possa dimostrare come rigorosamente storico e anchese alcuni particolari su tale lotta debbano ritenersi esa-gerati dalla pia tradizione) lo indussero dapprima a sug-gerire ad un gruppo dei suoi primi aderenti di emigrarein Abissinia, ove la fede cristiana del Negus gli facevasperare una benevola accoglienza per i seguaci dellanuova dottrina rivelata connessa da tanti legami con ilCristianesimo e così tenacemente avversa al paganesi-mo; a queste prime difficoltà si può anche riattaccare unepisodio assai interessante dal punto di vista storico-religioso. Ossia la menzione onorifica, come appare an-che nel Corano, che Maometto fece delle tre divinitàfemminili, Allāt, al-‘Uzzā e al-Manāt, poi rinnegata dalui come insinuazione del demonio.208 Si può vedere intutto ciò una captatio benevolentiae presso i pagani sot-to la pressione delle persecuzioni; vi si può anche vede-re, e ciò ci interessa di più, un riverente ricordo del Pro-

208 In tre versetti seguenti a Sura 53, 20, i quali non compaiono nel testo uffi-ciale del Corano. Su questo episodio, la cui autenticità è stata contestata,ma che sembra accertato, V. NÖLDEKE-SCHWALLY, Geschichte des Qorans, I,pp. 100-103; ANDRAE, Maometto, pp. 13, 18; AHRENS, Muhammed als Reli-gionsstifter, pp. 55-57.

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feta per quelle forme religiose che gli furono care ingioventù. Secondo la tradizione il sintomo di distensio-ne che sembrava doversi dedurre da tale episodio avreb-be indotto gli emigrati in Abissinia a tornare in buonaparte alla Mecca; ma ciò è tutt'altro che certo. Dopol'emigrazione in Abissinia, nell'acuirsi delle ostilità,Maometto concepì seriamente il piano di trasferirsi eglistesso in ambiente più favorevole. È sicuro che egli ten-tò prima di trovare tale possibilità nel centro di aṭ-Ṭā᾽ifove la prosperità del paese e le egregie qualità dei suoiabitanti, i Banū Thaqīf, gli facevano sperare la possibili-tà di un favorevole sviluppo degli eventi; ma ben prestodové rinunciare al suo piano; non gli rimase allora chevolgere il suo pensiero all'altro grande centro vicino allaMecca, Yathrib, che poi si chiamò Medina, nome che ècomunemente attribuito ad abbreviazione di un'espres-sione Madīnat an-Nabī, «città del Profeta», mentre sem-bra che essa avesse già tale nome derivato dall'Aramai-co e indicante, in opposizione ai campi dei nomadi, unavera «città», come il più notevole e fiorente centro urba-no, dopo la Mecca, di tutto il Ḥigiāz. Avvennero i primicontatti con cittadini ragguardevoli medinesi vicino allaMecca nelle alture di al-‘Aqabah. In un primo incontrosei Medinesi entrarono nelle prime trattative col Profeta,e portarono poi un maggior numero di concittadini adun seguente convegno, e tra di essi fu stretto un patto fa-moso di adesione, il quale prese nome di «riconosci-mento delle donne» (bai‘at an-nisā’) perché avvenutonelle stesse condizioni che nel Corano sono indicate

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feta per quelle forme religiose che gli furono care ingioventù. Secondo la tradizione il sintomo di distensio-ne che sembrava doversi dedurre da tale episodio avreb-be indotto gli emigrati in Abissinia a tornare in buonaparte alla Mecca; ma ciò è tutt'altro che certo. Dopol'emigrazione in Abissinia, nell'acuirsi delle ostilità,Maometto concepì seriamente il piano di trasferirsi eglistesso in ambiente più favorevole. È sicuro che egli ten-tò prima di trovare tale possibilità nel centro di aṭ-Ṭā᾽ifove la prosperità del paese e le egregie qualità dei suoiabitanti, i Banū Thaqīf, gli facevano sperare la possibili-tà di un favorevole sviluppo degli eventi; ma ben prestodové rinunciare al suo piano; non gli rimase allora chevolgere il suo pensiero all'altro grande centro vicino allaMecca, Yathrib, che poi si chiamò Medina, nome che ècomunemente attribuito ad abbreviazione di un'espres-sione Madīnat an-Nabī, «città del Profeta», mentre sem-bra che essa avesse già tale nome derivato dall'Aramai-co e indicante, in opposizione ai campi dei nomadi, unavera «città», come il più notevole e fiorente centro urba-no, dopo la Mecca, di tutto il Ḥigiāz. Avvennero i primicontatti con cittadini ragguardevoli medinesi vicino allaMecca nelle alture di al-‘Aqabah. In un primo incontrosei Medinesi entrarono nelle prime trattative col Profeta,e portarono poi un maggior numero di concittadini adun seguente convegno, e tra di essi fu stretto un patto fa-moso di adesione, il quale prese nome di «riconosci-mento delle donne» (bai‘at an-nisā’) perché avvenutonelle stesse condizioni che nel Corano sono indicate

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come richieste per l'adesione all'Islam delle donne, sen-za cioè l'obbligo della difesa armata. Ma per compren-dere appieno la portata di questo patto, e il nuovo corsoche esso impresse alle sorti del nascente Islam, non saràfuor di luogo ricapitolare brevissimamente le sorti dellacittà e le condizioni dei suoi abitanti prima dell'incontrocon Maometto, e dell'ègira.Per quanto concerne la storia antichissima di Medina oYathrib209 la tradizione araba la riconnette con gli stessiAmaleciti, popolo le cui vicende son di dominio piutto-sto della leggenda che della storia, e che abbiamo vistoessere stato, sempre secondo la leggenda, il primo occu-pante del territorio della Mecca e aver ricevuto Ismaelequando vi giunse con Abramo e Agar. Si può dire che lavera storia di Medina comincia con la venuta degliEbrei e poi, più particolarmente, con la venuta di duetribù che la genealogia costantemente riporta al gruppomeridionale, e giunte nella regione di Medina con lagrande immigrazione yemenita attribuita alla rotturadella diga di Ma᾽rib e condotta da ‘Amr ibn Muzaiqiyā’.Come abbiamo già esposto nella parte relativa agli ebreinel Ḥigiāz, ormai l'opinione prevalente, anche contro leindicazioni della tradizione araba, è che la spinta princi-pale alla colonizzazione ebraica del Ḥigiāz venne dallaconquista romana della Palestina. Secondo la tradizionele tribù ebraiche (e sopra abbiamo visto come sia diffici-209 Le notizie sulla storia antica di Medina sono raccolte e vagliate da J.

WELLHAUSEN, Medina vor dem Islam, in Skizzen und Vorarbeiten, IV, 1,Berlin, 1889.

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come richieste per l'adesione all'Islam delle donne, sen-za cioè l'obbligo della difesa armata. Ma per compren-dere appieno la portata di questo patto, e il nuovo corsoche esso impresse alle sorti del nascente Islam, non saràfuor di luogo ricapitolare brevissimamente le sorti dellacittà e le condizioni dei suoi abitanti prima dell'incontrocon Maometto, e dell'ègira.Per quanto concerne la storia antichissima di Medina oYathrib209 la tradizione araba la riconnette con gli stessiAmaleciti, popolo le cui vicende son di dominio piutto-sto della leggenda che della storia, e che abbiamo vistoessere stato, sempre secondo la leggenda, il primo occu-pante del territorio della Mecca e aver ricevuto Ismaelequando vi giunse con Abramo e Agar. Si può dire che lavera storia di Medina comincia con la venuta degliEbrei e poi, più particolarmente, con la venuta di duetribù che la genealogia costantemente riporta al gruppomeridionale, e giunte nella regione di Medina con lagrande immigrazione yemenita attribuita alla rotturadella diga di Ma᾽rib e condotta da ‘Amr ibn Muzaiqiyā’.Come abbiamo già esposto nella parte relativa agli ebreinel Ḥigiāz, ormai l'opinione prevalente, anche contro leindicazioni della tradizione araba, è che la spinta princi-pale alla colonizzazione ebraica del Ḥigiāz venne dallaconquista romana della Palestina. Secondo la tradizionele tribù ebraiche (e sopra abbiamo visto come sia diffici-209 Le notizie sulla storia antica di Medina sono raccolte e vagliate da J.

WELLHAUSEN, Medina vor dem Islam, in Skizzen und Vorarbeiten, IV, 1,Berlin, 1889.

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le stabilire se esse fossero completamente ebraiche o au-mentate di numero e di potenza per l'aggregazione diArabi, sia per proselitismo e sia per alleanza) giunseroal tempo ancora degli Amaleciti e con ciò quella sembradar fede alle tradizioni che riportano a un'età molto piùantica l'invasione ebraica. Parecchie furono le tribùgiunte nel territorio di Medina, ma le principali che die-dero carattere alla storia antica della città all'epoca deiconflitti con le tribù arabe predette e poi furono in stret-ta relazione con Maometto, il quale in seguito, comeesporremo appresso, in parte le esiliò, in parte le distrus-se, furono i Banū an-Naḍīr, i Banū Quraiẓah e i BanūQainuqā‘; le prime due sono anche conosciute con ilnome al-Kāhinān, secondo la tradizione perché riporta-vano la loro origine a Kōhēn, figlio di Aronne, e dimo-ravano nelle oasi, mentre i Banū Qainuqā‘, dati nonall'agricoltura ma all'artigianato, e soprattutto all'orefi-ceria, dimoravano nel centro della città. Il carattere poli-tico di Medina e la ragione della possibilità dell'inter-vento di Maometto sta appunto nella discordia che ine-vitabilmente separò sia le due tribù arabe di cui abbiamodetto sopra, sia gli Ebrei dagli Arabi. Infatti poco dopol'arrivo delle due famiglie della tribù meridionale degliAzd nascono le ragioni di dissenso tra di esse. Non èfuor di luogo ricordare il nome di ciascuna, e cioè gliAus e i Khazrag: di questi nomi son piene le cronacheantichissime dell'Islam. Vogliamo poi fare speciale rife-rimento all'origine yemenita o azdita di queste due tribù,nel seno delle quali sorsero i generosi ausiliari o Anṣār

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le stabilire se esse fossero completamente ebraiche o au-mentate di numero e di potenza per l'aggregazione diArabi, sia per proselitismo e sia per alleanza) giunseroal tempo ancora degli Amaleciti e con ciò quella sembradar fede alle tradizioni che riportano a un'età molto piùantica l'invasione ebraica. Parecchie furono le tribùgiunte nel territorio di Medina, ma le principali che die-dero carattere alla storia antica della città all'epoca deiconflitti con le tribù arabe predette e poi furono in stret-ta relazione con Maometto, il quale in seguito, comeesporremo appresso, in parte le esiliò, in parte le distrus-se, furono i Banū an-Naḍīr, i Banū Quraiẓah e i BanūQainuqā‘; le prime due sono anche conosciute con ilnome al-Kāhinān, secondo la tradizione perché riporta-vano la loro origine a Kōhēn, figlio di Aronne, e dimo-ravano nelle oasi, mentre i Banū Qainuqā‘, dati nonall'agricoltura ma all'artigianato, e soprattutto all'orefi-ceria, dimoravano nel centro della città. Il carattere poli-tico di Medina e la ragione della possibilità dell'inter-vento di Maometto sta appunto nella discordia che ine-vitabilmente separò sia le due tribù arabe di cui abbiamodetto sopra, sia gli Ebrei dagli Arabi. Infatti poco dopol'arrivo delle due famiglie della tribù meridionale degliAzd nascono le ragioni di dissenso tra di esse. Non èfuor di luogo ricordare il nome di ciascuna, e cioè gliAus e i Khazrag: di questi nomi son piene le cronacheantichissime dell'Islam. Vogliamo poi fare speciale rife-rimento all'origine yemenita o azdita di queste due tribù,nel seno delle quali sorsero i generosi ausiliari o Anṣār

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del Profeta, ma insieme anche taluni avversari di Mao-metto, quelli che il Corano chiama «ipocriti» (munāfi-qūn). Gli Anṣār protessero Maometto, come narreremoor ora, dalle angherie dei suoi concittadini e furono sem-pre separati da una viva rivalità dai musulmani emigraticon Maometto dalla Mecca, che la tradizione ha chia-mati muhāgirūn, e, come Quraisciti, appartenenti inveceal ramo settentrionale delle tribù arabe. Fondandosi suquesto fatto alcuni critici moderni hanno voluto attribui-re la rivalità tra tribù qaḥṭānidi e tribù ‘adnānidi al pre-detto dissidio tra Muhāgirūn e Anṣār, di origine del tuttodiversa; dissidio che, data la provenienza rispettivamen-te settentrionale e meridionale dei Muhāgirūn e degliAnṣār, avrebbe diffuso e perpetuato la rivalità stessa trai due grandi rami delle tribù arabe che abbiamo visto in-formare di sé tanta parte della storia musulmana; mentrenoi, qui sopra, abbiamo tentato attribuirla alle antichelotte tra tribù dipendenti dal Yemen, che per conto diquesto esercitavano una supremazia sulle tribù del Nord,e queste ultime.Secondo la tradizione poco dopo l'arrivo degli Aus eKhazrag avviene l'assedio di Medina da parte del Tub-ba‘ Abū Karib; e del resto sulla cronologia da attribuirea tale avvenimento leggendario, anche in relazione adun preteso secondo assedio, vi è disparità di opinioni.Moltiplicatisi gli Arabi, la cui vita nel Ḥigiāz, vista lapresenza degli Ebrei, era grama, man mano le relazionitra Ebrei ed Arabi si fanno più tese finché sboccano in

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del Profeta, ma insieme anche taluni avversari di Mao-metto, quelli che il Corano chiama «ipocriti» (munāfi-qūn). Gli Anṣār protessero Maometto, come narreremoor ora, dalle angherie dei suoi concittadini e furono sem-pre separati da una viva rivalità dai musulmani emigraticon Maometto dalla Mecca, che la tradizione ha chia-mati muhāgirūn, e, come Quraisciti, appartenenti inveceal ramo settentrionale delle tribù arabe. Fondandosi suquesto fatto alcuni critici moderni hanno voluto attribui-re la rivalità tra tribù qaḥṭānidi e tribù ‘adnānidi al pre-detto dissidio tra Muhāgirūn e Anṣār, di origine del tuttodiversa; dissidio che, data la provenienza rispettivamen-te settentrionale e meridionale dei Muhāgirūn e degliAnṣār, avrebbe diffuso e perpetuato la rivalità stessa trai due grandi rami delle tribù arabe che abbiamo visto in-formare di sé tanta parte della storia musulmana; mentrenoi, qui sopra, abbiamo tentato attribuirla alle antichelotte tra tribù dipendenti dal Yemen, che per conto diquesto esercitavano una supremazia sulle tribù del Nord,e queste ultime.Secondo la tradizione poco dopo l'arrivo degli Aus eKhazrag avviene l'assedio di Medina da parte del Tub-ba‘ Abū Karib; e del resto sulla cronologia da attribuirea tale avvenimento leggendario, anche in relazione adun preteso secondo assedio, vi è disparità di opinioni.Moltiplicatisi gli Arabi, la cui vita nel Ḥigiāz, vista lapresenza degli Ebrei, era grama, man mano le relazionitra Ebrei ed Arabi si fanno più tese finché sboccano in

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aperta ostilità, e i Khazrag chiedono aiuto a un contribu-le che regnava in Siria insieme con i Ghassānidi; in oc-casione delle varie vicende che seguono nella lotta moltiEbrei sono massacrati dai Khazragiti, e finalmente, inseguito anche a tale eccidio, gli Aus e Khazrag restanopadroni della città. Ma poi scoppiano le rivalità tra ledue tribù, le quali sboccano in vere e proprie guerre, du-rante le quali gli Ebrei appoggiano rispettivamente orl'una or l'altra fazione, e più precisamente i Kāhinān siavvicinano agli Aus, mentre i Qainuqā‘ stanno per iKhazrag. Ne sono ancor più acuite le rivalità e le dueparti si scontrano nel famoso «yaum Bu‘āth» ove gliAus hanno la vittoria. Dopo tale avvenimento, che esau-rì le forze delle due fazioni, continuano atti di violenzatra di esse: così il famoso poeta Qais ibn al-Khaṭīm210 èassassinato e ne vengono strascichi di vendette. Qui èopportuno rilevare che questa precaria situazione, que-sta discordia che indeboliva sempre più gli Arabi difronte agli Ebrei, spingeva a cercare in una autorità su-periore un organo di conciliazione. Sta di fatto che un‘Abdallāh ibn Ubayy appare a un certo punto come can-didato adatto ad assumere una signoria che mettesse finea tale insopportabile situazione. Questo è il terreno nelquale è nata l'idea dei Medinesi di rivolgersi a Maomet-to, di cui giungeva loro la fama di capo: vi agiva anchel'abito alla funzione dell'arbitro (ḥakam) ma insieme, ed

210 T. KOWALSKI, Der Dīwān des Ṛais ibn al Ḫaṭīm, Leipzig, 1914. V. la re-censione di M. GUIDI in «Rivista degli Studi orientali», VII, 1917, pp. 515-521.

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aperta ostilità, e i Khazrag chiedono aiuto a un contribu-le che regnava in Siria insieme con i Ghassānidi; in oc-casione delle varie vicende che seguono nella lotta moltiEbrei sono massacrati dai Khazragiti, e finalmente, inseguito anche a tale eccidio, gli Aus e Khazrag restanopadroni della città. Ma poi scoppiano le rivalità tra ledue tribù, le quali sboccano in vere e proprie guerre, du-rante le quali gli Ebrei appoggiano rispettivamente orl'una or l'altra fazione, e più precisamente i Kāhinān siavvicinano agli Aus, mentre i Qainuqā‘ stanno per iKhazrag. Ne sono ancor più acuite le rivalità e le dueparti si scontrano nel famoso «yaum Bu‘āth» ove gliAus hanno la vittoria. Dopo tale avvenimento, che esau-rì le forze delle due fazioni, continuano atti di violenzatra di esse: così il famoso poeta Qais ibn al-Khaṭīm210 èassassinato e ne vengono strascichi di vendette. Qui èopportuno rilevare che questa precaria situazione, que-sta discordia che indeboliva sempre più gli Arabi difronte agli Ebrei, spingeva a cercare in una autorità su-periore un organo di conciliazione. Sta di fatto che un‘Abdallāh ibn Ubayy appare a un certo punto come can-didato adatto ad assumere una signoria che mettesse finea tale insopportabile situazione. Questo è il terreno nelquale è nata l'idea dei Medinesi di rivolgersi a Maomet-to, di cui giungeva loro la fama di capo: vi agiva anchel'abito alla funzione dell'arbitro (ḥakam) ma insieme, ed

210 T. KOWALSKI, Der Dīwān des Ṛais ibn al Ḫaṭīm, Leipzig, 1914. V. la re-censione di M. GUIDI in «Rivista degli Studi orientali», VII, 1917, pp. 515-521.

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è opportuno rilevarlo, l'eco delle dottrine religiose chenon potevano rimanere senza effetto su quegli Arabi neiquali la diuturna convivenza con gli Ebrei doveva aversuscitato aspirazioni superiori a quelle del paganesimo.Paganesimo del resto che essi professavano con fedeltà.Noi sappiamo sicuramente del culto di al-Manāt e di Al-lāt a Medina, e certamente i primi incontri con Maomet-to avvennero in occasione della visita che i Medinesi fa-cevano nei luoghi del pellegrinaggio pagano. Così lastoria di Medina sembra preparare acconciamente losvolgimento degli avvenimenti; queste discordie negliArabi, tanto più incresciose per essi quanto più la rivali-tà con gli Ebrei rendeva necessaria la concordia, deli-neavano una precisa funzione per il Profeta e preparava-no la sua funzione di capo di stato essenziale per tutto losviluppo dell'Islam, mentre il singolare sviluppodell'elemento ebraico nella città poneva le condizioniper quella maggiore conoscenza dell'ebraismo che fupiena di conseguenze per le sorti del primitivo Islam. Edinsieme la convivenza di Maometto con gli Ebrei stessi,che non poteva avvenire che a Medina, mostrò a luil'impossibilità del suo sogno di creare con l'Islam unareligione, nella pratica della quale potessero esserd'accordo ebrei e musulmani; ed insieme l'accorta difesada parte degli Ebrei dei loro interessi ed altre circostan-ze portarono a maturazione il conflitto, il quale separòdefinitivamente l'Islam dall'Ebraismo e diede ad essoquel tipico carattere di una religione che si ispira nelculto e in qualche credenza all'Ebraismo, ma al tempo

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è opportuno rilevarlo, l'eco delle dottrine religiose chenon potevano rimanere senza effetto su quegli Arabi neiquali la diuturna convivenza con gli Ebrei doveva aversuscitato aspirazioni superiori a quelle del paganesimo.Paganesimo del resto che essi professavano con fedeltà.Noi sappiamo sicuramente del culto di al-Manāt e di Al-lāt a Medina, e certamente i primi incontri con Maomet-to avvennero in occasione della visita che i Medinesi fa-cevano nei luoghi del pellegrinaggio pagano. Così lastoria di Medina sembra preparare acconciamente losvolgimento degli avvenimenti; queste discordie negliArabi, tanto più incresciose per essi quanto più la rivali-tà con gli Ebrei rendeva necessaria la concordia, deli-neavano una precisa funzione per il Profeta e preparava-no la sua funzione di capo di stato essenziale per tutto losviluppo dell'Islam, mentre il singolare sviluppodell'elemento ebraico nella città poneva le condizioniper quella maggiore conoscenza dell'ebraismo che fupiena di conseguenze per le sorti del primitivo Islam. Edinsieme la convivenza di Maometto con gli Ebrei stessi,che non poteva avvenire che a Medina, mostrò a luil'impossibilità del suo sogno di creare con l'Islam unareligione, nella pratica della quale potessero esserd'accordo ebrei e musulmani; ed insieme l'accorta difesada parte degli Ebrei dei loro interessi ed altre circostan-ze portarono a maturazione il conflitto, il quale separòdefinitivamente l'Islam dall'Ebraismo e diede ad essoquel tipico carattere di una religione che si ispira nelculto e in qualche credenza all'Ebraismo, ma al tempo

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stesso lo ripudia come falsificazione della vera rivela-zione. Ne risulta un orientamento tipico di tutta la reli-gione dell'Islam, ne risultano le premesse per l'atteggia-mento reciproco delle due grandi religioni nei secoli, ela base fondamentale per la polemica. Così le antichecondizioni interne di Medina sono state storicamenteproduttive per determinare valori e indirizzi di primaimportanza per la storia religiosa e culturale del mondo.E con ciò possiamo passare ad osservare lo svolgimentodegli avvenimenti che seguirono al patto con i Medine-si.Fatto sicuro della loro accoglienza, il Profeta, dopo ilfallimento dei suoi precedenti tentativi, decide il trasfe-rimento della comunità dall'ingrata patria; e a gruppi,nell'estate del 622, i fedeli cominciano ad emigrare. Dabuon capitano Maometto resta fino all'ultimo finché lacerta notizia dei piani dei suoi nemici lo obbliga a segui-re i suoi. Si narra che egli, avvertito dell'intenzione deiQuraisciti di assassinarlo nel suo letto (la leggenda vuo-le che il diavolo introdottosi sotto false sembianzenell'assemblea riuscisse a far votare l'uccisione del Pro-feta), vi lasciasse invece il fedele ‘Alī che con la suapresenza deluse i sicari che speravano aver finalmentein mano l'odiato rivale. Tra i titoli di maggiore dignitàche la tradizione attribuisce ad Abū Bakr, il quale fu ilsuo primo successore come capo dello stato musulmano,è quello di essere rimasto fino all'ultimo con Maomettoalla Mecca e di averlo accompagnato nel viaggio di tra-

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stesso lo ripudia come falsificazione della vera rivela-zione. Ne risulta un orientamento tipico di tutta la reli-gione dell'Islam, ne risultano le premesse per l'atteggia-mento reciproco delle due grandi religioni nei secoli, ela base fondamentale per la polemica. Così le antichecondizioni interne di Medina sono state storicamenteproduttive per determinare valori e indirizzi di primaimportanza per la storia religiosa e culturale del mondo.E con ciò possiamo passare ad osservare lo svolgimentodegli avvenimenti che seguirono al patto con i Medine-si.Fatto sicuro della loro accoglienza, il Profeta, dopo ilfallimento dei suoi precedenti tentativi, decide il trasfe-rimento della comunità dall'ingrata patria; e a gruppi,nell'estate del 622, i fedeli cominciano ad emigrare. Dabuon capitano Maometto resta fino all'ultimo finché lacerta notizia dei piani dei suoi nemici lo obbliga a segui-re i suoi. Si narra che egli, avvertito dell'intenzione deiQuraisciti di assassinarlo nel suo letto (la leggenda vuo-le che il diavolo introdottosi sotto false sembianzenell'assemblea riuscisse a far votare l'uccisione del Pro-feta), vi lasciasse invece il fedele ‘Alī che con la suapresenza deluse i sicari che speravano aver finalmentein mano l'odiato rivale. Tra i titoli di maggiore dignitàche la tradizione attribuisce ad Abū Bakr, il quale fu ilsuo primo successore come capo dello stato musulmano,è quello di essere rimasto fino all'ultimo con Maomettoalla Mecca e di averlo accompagnato nel viaggio di tra-

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sferimento. «Il secondo dei due», dice il Corano,211 atte-stando con la solennità del testo sacro la suprema distin-zione di Abū Bakr.Così i due centri del Ḥigiāz, ciascuno per la sua parte,imprimono fin dal principio carattere di necessitàall'opera di Maometto e all'Islam. La leggenda ha poi ri-camato le sue fantasie sulla fuga, su questa ègira che hasegnato un essenziale momento del nascente Islam, tan-to che poi, come è noto, la data sicura di essa è statascelta fin dal tempo di Omar come origine dell'era mu-sulmana (16 luglio 622). Qui occorre dir subito chel'ègira, da uno dei significati della parola, è costante-mente tradotta con «fuga». Ora, sebbene la partenza diMaometto dalla Mecca possa ben dirsi una fuga, la pa-rola higrah ha più propriamente un altro significato;essa designa, e con valore anche giuridico, il distaccodell'individuo dal sistema della tribù, la sua rinuncia allaprotezione e agli altri vantaggi che nell'antico ordina-mento erano assicurati all'individuo dalla sua connessio-ne con il gruppo gentilizio. La leggenda dunque narrache i due grandi personaggi dell'Islam primitivo, inse-guiti dagli adirati Meccani, trovarono rifugio in una ca-verna del monte Thaur, discosta dalla strada per Medina.Un ragno avrebbe tessuto la sua tela all'ingresso di essa,ed ivi una coppia di colombi avrebbe costruito il suonido. Da questi fatti gli inseguitori immaginarono chenessuno fosse penetrato nella caverna e procedettero ol-

211 Sura 9, 40.

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sferimento. «Il secondo dei due», dice il Corano,211 atte-stando con la solennità del testo sacro la suprema distin-zione di Abū Bakr.Così i due centri del Ḥigiāz, ciascuno per la sua parte,imprimono fin dal principio carattere di necessitàall'opera di Maometto e all'Islam. La leggenda ha poi ri-camato le sue fantasie sulla fuga, su questa ègira che hasegnato un essenziale momento del nascente Islam, tan-to che poi, come è noto, la data sicura di essa è statascelta fin dal tempo di Omar come origine dell'era mu-sulmana (16 luglio 622). Qui occorre dir subito chel'ègira, da uno dei significati della parola, è costante-mente tradotta con «fuga». Ora, sebbene la partenza diMaometto dalla Mecca possa ben dirsi una fuga, la pa-rola higrah ha più propriamente un altro significato;essa designa, e con valore anche giuridico, il distaccodell'individuo dal sistema della tribù, la sua rinuncia allaprotezione e agli altri vantaggi che nell'antico ordina-mento erano assicurati all'individuo dalla sua connessio-ne con il gruppo gentilizio. La leggenda dunque narrache i due grandi personaggi dell'Islam primitivo, inse-guiti dagli adirati Meccani, trovarono rifugio in una ca-verna del monte Thaur, discosta dalla strada per Medina.Un ragno avrebbe tessuto la sua tela all'ingresso di essa,ed ivi una coppia di colombi avrebbe costruito il suonido. Da questi fatti gli inseguitori immaginarono chenessuno fosse penetrato nella caverna e procedettero ol-

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tre lasciando la via libera ai due fuggitivi. I quali, nutritida un fedele e dalla figlia stessa di Abū Bakr, Asmā’,poi celebre nella storia dell'Islam, montarono finalmentedue cammelli che Abū Bakr aveva fatto da tempo prepa-rare e, guidati da Asmā’ per lungo itinerario, si recaronoa Medina. Maometto fece però sosta nel sobborgo diQubā, ove secondo la tradizione fece la preghiera e ovesorse una moschea, e donde egli prese gli ultimi accordiper l'ingresso a Medina, che si può dire trionfale. Il rac-conto tradizionale ci dice che Maometto lasciò libero ilsuo cammello di fermarsi dove avesse voluto, per nonesercitare subito la preferenza per qualsiasi luogo. A uncerto punto il cammello si inginocchiò e incitato ad al-zarsi tornò indietro ad inginocchiarsi nello stesso luogo.Maometto quindi decise di fermarsi qui e nel terreno,aiutato dai più fedeli dei Muhagirūn e da alcuni Anṣār,diede mano alla costruzione di quella che si chiamò poila moschea di Medina, primizia di tutte le moschee, inparte poi costruite sul modello di essa. Ma il Caetani,212

con penetrante critica, ha mostrato che in origine il Pro-feta non ha mai pensato a costruire templi; nel Coranoinfatti si chiamano tali solo la Ka‘bah e la moschea al-Aqṣā di Gerusalemme. La primitiva costruzione di Me-dina, sulla quale la tradizione ci dà i più ampi particola-ri, era intesa unicamente come abitazione del Profeta edella sua famiglia, come spazio degli animali domestici,e infine come luogo di discussione e di riunione accanto

212 Annali dell'Islam, I, pp. 432-460.

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tre lasciando la via libera ai due fuggitivi. I quali, nutritida un fedele e dalla figlia stessa di Abū Bakr, Asmā’,poi celebre nella storia dell'Islam, montarono finalmentedue cammelli che Abū Bakr aveva fatto da tempo prepa-rare e, guidati da Asmā’ per lungo itinerario, si recaronoa Medina. Maometto fece però sosta nel sobborgo diQubā, ove secondo la tradizione fece la preghiera e ovesorse una moschea, e donde egli prese gli ultimi accordiper l'ingresso a Medina, che si può dire trionfale. Il rac-conto tradizionale ci dice che Maometto lasciò libero ilsuo cammello di fermarsi dove avesse voluto, per nonesercitare subito la preferenza per qualsiasi luogo. A uncerto punto il cammello si inginocchiò e incitato ad al-zarsi tornò indietro ad inginocchiarsi nello stesso luogo.Maometto quindi decise di fermarsi qui e nel terreno,aiutato dai più fedeli dei Muhagirūn e da alcuni Anṣār,diede mano alla costruzione di quella che si chiamò poila moschea di Medina, primizia di tutte le moschee, inparte poi costruite sul modello di essa. Ma il Caetani,212

con penetrante critica, ha mostrato che in origine il Pro-feta non ha mai pensato a costruire templi; nel Coranoinfatti si chiamano tali solo la Ka‘bah e la moschea al-Aqṣā di Gerusalemme. La primitiva costruzione di Me-dina, sulla quale la tradizione ci dà i più ampi particola-ri, era intesa unicamente come abitazione del Profeta edella sua famiglia, come spazio degli animali domestici,e infine come luogo di discussione e di riunione accanto

212 Annali dell'Islam, I, pp. 432-460.

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alla dimora del Profeta. È naturale che in questo luogoMaometto, oltre alle trattative e alle discussioni, tenessela preghiera, la quale non assunse che man mano il ca-rattere regolare liturgico che fu poi pieno di conseguen-ze per la psicologia dei musulmani. Il regolamento dellecinque preghiere quotidiane e di quella solenne del ve-nerdì non è avvenuto prima del periodo medinese, con-trariamente a quanto ha sostenuto il Kremer,213 che ha ri-camato di fantasia sull'efficacia disciplinare dell'anticapreghiera di Medina. È naturale che compiuto il primiti-vo edificio di Medina, svoltisi in esso fatti memorandiper l'antica storia dell'Islam, morto in esso il Profeta,proclamatovi Abū Bakr, divenisse il modello per moltemoschee primitive che infatti per lungo tempo conserva-no nelle linee principali il piano dell'abitazione di Medi-na. Ed è naturale anche che, come nell'edificio di Medi-na avvennero le più grandi discussioni e trattative, e siiniziarono attività varie di disputa e d'insegnamento,così anche nelle antiche moschee si iniziasse il costumepoi perpetuato di esercitarvi, oltre alle funzioni del cul-to, l'insegnamento ed altri atti in stretta relazione con lareligione. Quando parleremo, nel periodo ommiade, del-le origini del culto musulmano dovremo riportare unaparte centrale di esso, e cioè la khuṭbah o predica, alleprime origini profetiche. Già alla Mecca, per esempio,in occasione della conquista, Maometto tenne pubblicodiscorso ai fedeli; ma a Qubā, nell'edificio di Medina,213 In Kulturgeschichte des Orients unter den Chalifen, Wien, 1875, I, p. 10.

V. la critica mossagli dal CAETANI, Annali dell'Islam, I, pp. 448-449.

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alla dimora del Profeta. È naturale che in questo luogoMaometto, oltre alle trattative e alle discussioni, tenessela preghiera, la quale non assunse che man mano il ca-rattere regolare liturgico che fu poi pieno di conseguen-ze per la psicologia dei musulmani. Il regolamento dellecinque preghiere quotidiane e di quella solenne del ve-nerdì non è avvenuto prima del periodo medinese, con-trariamente a quanto ha sostenuto il Kremer,213 che ha ri-camato di fantasia sull'efficacia disciplinare dell'anticapreghiera di Medina. È naturale che compiuto il primiti-vo edificio di Medina, svoltisi in esso fatti memorandiper l'antica storia dell'Islam, morto in esso il Profeta,proclamatovi Abū Bakr, divenisse il modello per moltemoschee primitive che infatti per lungo tempo conserva-no nelle linee principali il piano dell'abitazione di Medi-na. Ed è naturale anche che, come nell'edificio di Medi-na avvennero le più grandi discussioni e trattative, e siiniziarono attività varie di disputa e d'insegnamento,così anche nelle antiche moschee si iniziasse il costumepoi perpetuato di esercitarvi, oltre alle funzioni del cul-to, l'insegnamento ed altri atti in stretta relazione con lareligione. Quando parleremo, nel periodo ommiade, del-le origini del culto musulmano dovremo riportare unaparte centrale di esso, e cioè la khuṭbah o predica, alleprime origini profetiche. Già alla Mecca, per esempio,in occasione della conquista, Maometto tenne pubblicodiscorso ai fedeli; ma a Qubā, nell'edificio di Medina,213 In Kulturgeschichte des Orients unter den Chalifen, Wien, 1875, I, p. 10.

V. la critica mossagli dal CAETANI, Annali dell'Islam, I, pp. 448-449.

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risuonò più volte la sua voce di esortazione e si costituì,anche nella sua relazione con la preghiera, il modello diquella allocuzione che anche oggi si sente il venerdì nel-la solenne preghiera del mezzogiorno.Così Maometto si stabilisce definitivamente a Medina ein casa propria; la tradizione sa anche darci particolaricirca l'acquisto del terreno ove sorse la sua abitazione,nella quale morì, e che fu poi la sua tomba, ora la secon-da moschea per dignità in tutto il mondo musulmano. Ilnome arabo per moschea è masgid che in origine, dalsuo significato «luogo di venerazione», indicò qualsiasiluogo sacro dell'antico paganesimo e poi divenne pro-prio per il luogo di culto per eccellenza, la moschea. Ecredo si possa affermare che la frequenza nel rito dellapreghiera delle prostrazioni (sugiūd) abbia contribuito afondare ancor meglio la ragione della indicazione dellamoschea stessa con la parola masgid.Ora si inizia per Maometto, finalmente stabilito nellacittà da lui scelta come rifugio, un nuovo periodo di atti-vità, che succede a quello puramente religioso, duranteil quale, alla Mecca, aveva posto le basi della nuovafede; periodo distinto dall'esercizio e dall'affermazionedi qualità differenti da quelle che lo portarono al succes-so religioso, ma non meno distinte e brillanti; qualità diindole piuttosto diplomatica e politica, che nella suanuova funzione di capo di una città, e si potrebbe direarbitro nelle discordie che ne separavano gli elementi,incomparabilmente messe a punto e rese efficaci dalla

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risuonò più volte la sua voce di esortazione e si costituì,anche nella sua relazione con la preghiera, il modello diquella allocuzione che anche oggi si sente il venerdì nel-la solenne preghiera del mezzogiorno.Così Maometto si stabilisce definitivamente a Medina ein casa propria; la tradizione sa anche darci particolaricirca l'acquisto del terreno ove sorse la sua abitazione,nella quale morì, e che fu poi la sua tomba, ora la secon-da moschea per dignità in tutto il mondo musulmano. Ilnome arabo per moschea è masgid che in origine, dalsuo significato «luogo di venerazione», indicò qualsiasiluogo sacro dell'antico paganesimo e poi divenne pro-prio per il luogo di culto per eccellenza, la moschea. Ecredo si possa affermare che la frequenza nel rito dellapreghiera delle prostrazioni (sugiūd) abbia contribuito afondare ancor meglio la ragione della indicazione dellamoschea stessa con la parola masgid.Ora si inizia per Maometto, finalmente stabilito nellacittà da lui scelta come rifugio, un nuovo periodo di atti-vità, che succede a quello puramente religioso, duranteil quale, alla Mecca, aveva posto le basi della nuovafede; periodo distinto dall'esercizio e dall'affermazionedi qualità differenti da quelle che lo portarono al succes-so religioso, ma non meno distinte e brillanti; qualità diindole piuttosto diplomatica e politica, che nella suanuova funzione di capo di una città, e si potrebbe direarbitro nelle discordie che ne separavano gli elementi,incomparabilmente messe a punto e rese efficaci dalla

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disposizione e dal fascino religioso del Profeta, condus-sero alla costituzione non più di una setta o comunità re-ligiosa, ma di un vero nuovo Stato arabo e musulmano,dal cui seno nacque la grande potenza islamica che mo-dificò per secoli la storia del mondo.Il primo atto politico di grande portata fu il celebre edit-to214 con il quale Maometto pose le basi della collabora-zione tra gli elementi musulmani della popolazione, diche però non è menzione nel Corano sebbene sia solida-mente documentato. Si può dire infatti che con tale edit-to al vincolo del sangue e quindi alla costituzione triba-lizia, che con forza centrifuga disperdeva le energie de-gli Arabi, si sostituì il vincolo religioso, che costituivala ragione essenziale di solidarietà. In questo sistemasono nel principio inseriti anche gli Ebrei, che poi mani-festatisi duramente ostili a Maometto e apparsi con laloro fede non coordinabili nel sistema musulmano furo-no non solo esclusi dalla comunità, alla quale essi delresto non avrebbero mai spontaneamente aderito, mascacciati fuori dei loro territori e in parte massacrati.Con questo primo atto Maometto rispose alla prima esi-genza che pone la funzione di un capo politico, e cioè lacreazione di un modo di convivenza. Occorre anche no-tare che in questa abolizione dell'ordine tribalizio Mao-metto lascia sussistere in parte per qualche tempo il si-stema della vendetta, così radicato nella psiche araba214 Studiato e illustrato con profondo senso storico dal WELLHAUSEN, Muham-

meds Gemeindeordnung von Medina, in Skizzen und Vorarbeiten, IV, 2,Berlin, 1889. V. anche CAETANI, Annali dell'Islam, I, pp. 391-408.

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disposizione e dal fascino religioso del Profeta, condus-sero alla costituzione non più di una setta o comunità re-ligiosa, ma di un vero nuovo Stato arabo e musulmano,dal cui seno nacque la grande potenza islamica che mo-dificò per secoli la storia del mondo.Il primo atto politico di grande portata fu il celebre edit-to214 con il quale Maometto pose le basi della collabora-zione tra gli elementi musulmani della popolazione, diche però non è menzione nel Corano sebbene sia solida-mente documentato. Si può dire infatti che con tale edit-to al vincolo del sangue e quindi alla costituzione triba-lizia, che con forza centrifuga disperdeva le energie de-gli Arabi, si sostituì il vincolo religioso, che costituivala ragione essenziale di solidarietà. In questo sistemasono nel principio inseriti anche gli Ebrei, che poi mani-festatisi duramente ostili a Maometto e apparsi con laloro fede non coordinabili nel sistema musulmano furo-no non solo esclusi dalla comunità, alla quale essi delresto non avrebbero mai spontaneamente aderito, mascacciati fuori dei loro territori e in parte massacrati.Con questo primo atto Maometto rispose alla prima esi-genza che pone la funzione di un capo politico, e cioè lacreazione di un modo di convivenza. Occorre anche no-tare che in questa abolizione dell'ordine tribalizio Mao-metto lascia sussistere in parte per qualche tempo il si-stema della vendetta, così radicato nella psiche araba214 Studiato e illustrato con profondo senso storico dal WELLHAUSEN, Muham-

meds Gemeindeordnung von Medina, in Skizzen und Vorarbeiten, IV, 2,Berlin, 1889. V. anche CAETANI, Annali dell'Islam, I, pp. 391-408.

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che la sua completa abolizione avrebbe significato uncerto motivo di dissenso.Compiuto quest'atto politicamente necessario Maomettodovette rivolgere la sua attenzione ai problemi materialidi sussistenza che si ponevano per i numerosi emigrati.Da principio egli pensò a un sistema di fratellanza(mu’ākhāh) tra coppie di Muhāgirūn e di Anṣār, che do-veva anche, in uno spirito di collaborazione, provvederealle più acute asprezze della situazione economica. Mala tradizione ci insegna che tale sistema non andò oltrealcuni primi casi di applicazione; fatalmente il Profeta,condotto dalla necessità, indirizzato dalla tradizione delcostume arabo, dovette pensare alla razzia, al metodocioè violento di procurare ai suoi il modo di sussistere,nell'attesa che un migliore avviamento di politica agri-cola, in relazione anche alla cacciata degli Ebrei, potes-se fornire ai Muhāgirūn mezzi più abbondanti di vita.Questi primi atti guerreschi si possono anche interpreta-re come il primo approccio alla lotta con la Mecca chela direzione della qiblah (anno 2 ègira) rendeva necessa-ria.La prima grande razzia, quella di Badr, fu preceduta dauna piccola operazione, vale a dire la spedizione di Na-khlah, compiuta da un pugno di uomini, per ordine diMaometto, prima che scadesse la tregua del mese sacrodi Ragiab. Maometto, rendendosi conto dell'enorme in-frazione che compiva di una norma tradizionale rispetta-ta da tutti gli Arabi, ricorse, per scaricarsi della respon-

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che la sua completa abolizione avrebbe significato uncerto motivo di dissenso.Compiuto quest'atto politicamente necessario Maomettodovette rivolgere la sua attenzione ai problemi materialidi sussistenza che si ponevano per i numerosi emigrati.Da principio egli pensò a un sistema di fratellanza(mu’ākhāh) tra coppie di Muhāgirūn e di Anṣār, che do-veva anche, in uno spirito di collaborazione, provvederealle più acute asprezze della situazione economica. Mala tradizione ci insegna che tale sistema non andò oltrealcuni primi casi di applicazione; fatalmente il Profeta,condotto dalla necessità, indirizzato dalla tradizione delcostume arabo, dovette pensare alla razzia, al metodocioè violento di procurare ai suoi il modo di sussistere,nell'attesa che un migliore avviamento di politica agri-cola, in relazione anche alla cacciata degli Ebrei, potes-se fornire ai Muhāgirūn mezzi più abbondanti di vita.Questi primi atti guerreschi si possono anche interpreta-re come il primo approccio alla lotta con la Mecca chela direzione della qiblah (anno 2 ègira) rendeva necessa-ria.La prima grande razzia, quella di Badr, fu preceduta dauna piccola operazione, vale a dire la spedizione di Na-khlah, compiuta da un pugno di uomini, per ordine diMaometto, prima che scadesse la tregua del mese sacrodi Ragiab. Maometto, rendendosi conto dell'enorme in-frazione che compiva di una norma tradizionale rispetta-ta da tutti gli Arabi, ricorse, per scaricarsi della respon-

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sabilità, a un meschino artificio che getta un'ombra sfa-vorevole sulla sua lealtà. Egli ordinò cioè a ‘Abdallāhibn Giaḥsh, a cui aveva affidato il comando, di aprire lalettera di ordini solo a due giornate dalla Mecca, e di la-sciare liberi i componenti di prendere o non prendereparte all'operazione quando avessero saputo che si trat-tava di un attacco in mese di tregua. L'attacco ebbe luo-go, nonostante qualche esitazione, per il grande presti-gio che aveva già Maometto, e fece assai cattiva impres-sione, tanto che il Profeta non volle prender parte allaspartizione del bottino (si trattava dell'assalto ad unapiccola carovana meccana di cui fu ucciso un uomo);più tardi il Profeta recitò anche una rivelazione corani-ca215 in cui si affermava che la rottura della tregua è unmale, ma male più grave ancora è quello di impedire aifedeli di fare le loro devozioni meccane. Rotto il ghiac-cio, il Profeta, avendo saputo, dopo la fine del mese ditregua, di una grossa carovana meccana, che si dirigevadalla Siria verso il Sud, si preparò ad assalirla. Il capoperò di essa, Abū Sufyān, avvertito a tempo, la fece de-viare e insieme provocò l'aiuto di una grossa schierameccana, che sopraggiunse ben presto numerosa e bal-danzosa; ma Maometto con i suoi poco più che trecentouomini, forte della sua fede nell'assistenza divina, attac-cò ugualmente e ai pozzi di Badr, nell'anno secondodell'ègira, sconfisse duramente i Quraisciti, dei quali uc-cise alcune decine facendo pingue bottino del prezioso

215 Sura 2, 214.

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sabilità, a un meschino artificio che getta un'ombra sfa-vorevole sulla sua lealtà. Egli ordinò cioè a ‘Abdallāhibn Giaḥsh, a cui aveva affidato il comando, di aprire lalettera di ordini solo a due giornate dalla Mecca, e di la-sciare liberi i componenti di prendere o non prendereparte all'operazione quando avessero saputo che si trat-tava di un attacco in mese di tregua. L'attacco ebbe luo-go, nonostante qualche esitazione, per il grande presti-gio che aveva già Maometto, e fece assai cattiva impres-sione, tanto che il Profeta non volle prender parte allaspartizione del bottino (si trattava dell'assalto ad unapiccola carovana meccana di cui fu ucciso un uomo);più tardi il Profeta recitò anche una rivelazione corani-ca215 in cui si affermava che la rottura della tregua è unmale, ma male più grave ancora è quello di impedire aifedeli di fare le loro devozioni meccane. Rotto il ghiac-cio, il Profeta, avendo saputo, dopo la fine del mese ditregua, di una grossa carovana meccana, che si dirigevadalla Siria verso il Sud, si preparò ad assalirla. Il capoperò di essa, Abū Sufyān, avvertito a tempo, la fece de-viare e insieme provocò l'aiuto di una grossa schierameccana, che sopraggiunse ben presto numerosa e bal-danzosa; ma Maometto con i suoi poco più che trecentouomini, forte della sua fede nell'assistenza divina, attac-cò ugualmente e ai pozzi di Badr, nell'anno secondodell'ègira, sconfisse duramente i Quraisciti, dei quali uc-cise alcune decine facendo pingue bottino del prezioso

215 Sura 2, 214.

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carico. Questo piccolo avvenimento guerresco haun'importanza fondamentale per lo sviluppo dell'Islam;creò intanto un'aureola di vittoria intorno al Profeta chepersuase di essere assistito da Dio, e determinò gli avve-nimenti seguenti, sia acuendo il dissidio con i Quraisciti,sia producendo l'adesione a Maometto di parecchi ele-menti esitanti che più tardi, ma in relazione essenzial-mente a questa prima vittoria, si aggregarono alla causadell'Islam. L'avvenimento ha anche grande importanzaperché fu in occasione di esso che Maometto determinò,con speciali rivelazioni inserite nel Corano, le norme re-lative alla spartizione del bottino. E già che siamo inquesta sede, è opportuno dir subito che nel periodo me-dinese la rivelazione assume carattere differente daquella del meccano. Mentre quest'ultima indicava leprincipali credenze e minacciava agli increduli gli stessicastighi che avevano colti gli antichi negatori delle mis-sioni profetiche, o narravano di storia sacra, e corrispon-dentemente lo stile era agitato dall'afflato religioso edalla violenza delle invettive, le sure del periodo medi-nese danno per lo più prescrizioni di ordine cultuale egiuridico secondo i bisogni che man mano si presenta-vano al Profeta, e lo stile assume un carattere differente,quello del legislatore che pacatamente impone le suenuove regole. Occorre tuttavia rilevare che il conflittocon gli Ebrei in modo particolare, rivelatosi principal-mente a Medina, fa sì che le sure medinesi contenganoviolenti attacchi che tradiscono nello stile la viva conci-tazione del Profeta contro i suoi nemici. Questa profon-

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carico. Questo piccolo avvenimento guerresco haun'importanza fondamentale per lo sviluppo dell'Islam;creò intanto un'aureola di vittoria intorno al Profeta chepersuase di essere assistito da Dio, e determinò gli avve-nimenti seguenti, sia acuendo il dissidio con i Quraisciti,sia producendo l'adesione a Maometto di parecchi ele-menti esitanti che più tardi, ma in relazione essenzial-mente a questa prima vittoria, si aggregarono alla causadell'Islam. L'avvenimento ha anche grande importanzaperché fu in occasione di esso che Maometto determinò,con speciali rivelazioni inserite nel Corano, le norme re-lative alla spartizione del bottino. E già che siamo inquesta sede, è opportuno dir subito che nel periodo me-dinese la rivelazione assume carattere differente daquella del meccano. Mentre quest'ultima indicava leprincipali credenze e minacciava agli increduli gli stessicastighi che avevano colti gli antichi negatori delle mis-sioni profetiche, o narravano di storia sacra, e corrispon-dentemente lo stile era agitato dall'afflato religioso edalla violenza delle invettive, le sure del periodo medi-nese danno per lo più prescrizioni di ordine cultuale egiuridico secondo i bisogni che man mano si presenta-vano al Profeta, e lo stile assume un carattere differente,quello del legislatore che pacatamente impone le suenuove regole. Occorre tuttavia rilevare che il conflittocon gli Ebrei in modo particolare, rivelatosi principal-mente a Medina, fa sì che le sure medinesi contenganoviolenti attacchi che tradiscono nello stile la viva conci-tazione del Profeta contro i suoi nemici. Questa profon-

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da differenza nel contenuto e nello stile tra le sure deidue periodi ha mosso la stessa esegesi musulmana a di-videre le sure del Corano nelle due principali categoriedi meccane e medinesi; e l'orientalista moderno, che piùdi ogni altro ha contribuito a stabilire la cronologia dellesure del Corano, il Nöldeke,216 ha assunto come criterioprincipale appunto lo stile, criterio s'intende confortatoda notizie della tradizione, che per una parte sono certa-mente attendibili, e, considerato l'enorme interesse cheha destato lo studio del Corano nella Comunità, abbon-danti e particolareggiate.Lo scontro di Badr, come il trasferimento a Medina, haportato l'Islam dal piano religioso a quello politico, hadato all'Islam stesso il suo carattere guerriero di religio-ne conquistatrice, che non si perderà mai più, resteràanzi uno dei caratteri più tipici di esso fino ad oggi.Aver preso parte alla battaglia di Badr è titolo di massi-mo onore per i primi seguaci di Maometto; se ne creauna categoria privilegiata di badriyyiūn. Dal conflittostesso nasce una serie di avvenimenti, forse secondo ilpiano del Profeta, che fatalmente conducono alla con-quista della Mecca, alla definitiva affermazionedell'Islam, alla sua completa distinzione dall'Ebraismo,che in un primo tempo egli aveva pensato poter coordi-nare nella sua religione.Il conflitto con gli Ebrei fu veramente e subito determi-

216 TH. NÖLDEKE, Geschichte des Qorans, Göttingen, 1860 (seconda edizione,vol. I a cura di F. Schwally, Leipzig, 1909).

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da differenza nel contenuto e nello stile tra le sure deidue periodi ha mosso la stessa esegesi musulmana a di-videre le sure del Corano nelle due principali categoriedi meccane e medinesi; e l'orientalista moderno, che piùdi ogni altro ha contribuito a stabilire la cronologia dellesure del Corano, il Nöldeke,216 ha assunto come criterioprincipale appunto lo stile, criterio s'intende confortatoda notizie della tradizione, che per una parte sono certa-mente attendibili, e, considerato l'enorme interesse cheha destato lo studio del Corano nella Comunità, abbon-danti e particolareggiate.Lo scontro di Badr, come il trasferimento a Medina, haportato l'Islam dal piano religioso a quello politico, hadato all'Islam stesso il suo carattere guerriero di religio-ne conquistatrice, che non si perderà mai più, resteràanzi uno dei caratteri più tipici di esso fino ad oggi.Aver preso parte alla battaglia di Badr è titolo di massi-mo onore per i primi seguaci di Maometto; se ne creauna categoria privilegiata di badriyyiūn. Dal conflittostesso nasce una serie di avvenimenti, forse secondo ilpiano del Profeta, che fatalmente conducono alla con-quista della Mecca, alla definitiva affermazionedell'Islam, alla sua completa distinzione dall'Ebraismo,che in un primo tempo egli aveva pensato poter coordi-nare nella sua religione.Il conflitto con gli Ebrei fu veramente e subito determi-

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nato dalla maggiore esperienza che Maometto poté ave-re delle loro credenze nel diuturno contatto a Medina.Nel primo tempo della convivenza il Profeta aveva adot-tato alcuni elementi ebraici, forse condotto anche daldesiderio di far cosa gradita a quel numeroso gruppomedinese; s'intende anche per la forza e il prestigio diantichi elementi religiosi. Così il primo digiuno cheMaometto prescrisse ai suoi fedeli – e qui aggiungiamoche i principali atti cultuali sono ad essi ordinati appun-to nel periodo medinese – fu quello dei primi dieci gior-ni di Muḥarram, direttamente calcato sul noto digiunodella ‘āshūrā degli ebrei; e sebbene non si possa parlareper le origini dell'Islam di una vera e propria qiblah odirezione per la preghiera, è sicuro che Maometto, neiprimi tempi di Medina, si rivolgeva, pregando, versoGerusalemme, come facevano gli ebrei (e sembra ancheEbioniti ed Elkesaiti). Ciò non poteva non far piacereagli Ebrei stessi, ma come ora vedremo, l'adozione dellaqiblah verso la Mecca fu uno dei segni di quell'aspraguerra che Maometto condusse contro gli Ebrei e chefinì tragicamente per questi; egualmente il primitivo di-giuno fu sostituito con quello del Ramaḍān, che sembraabbia i suoi precedenti nel Manicheismo. Ma il conflittocon gli Ebrei, alle cui cause abbiamo già accennato, chesono cioè la profonda differenza tra le due credenze el'atteggiamento infido delle tribù ebraiche di Medina, ècosì connesso con gli ulteriori avvenimenti che si suc-cessero dopo Badr, che lo esporremo in stretta connes-sione con essi. Infatti subito dopo Badr egli scacciò da

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nato dalla maggiore esperienza che Maometto poté ave-re delle loro credenze nel diuturno contatto a Medina.Nel primo tempo della convivenza il Profeta aveva adot-tato alcuni elementi ebraici, forse condotto anche daldesiderio di far cosa gradita a quel numeroso gruppomedinese; s'intende anche per la forza e il prestigio diantichi elementi religiosi. Così il primo digiuno cheMaometto prescrisse ai suoi fedeli – e qui aggiungiamoche i principali atti cultuali sono ad essi ordinati appun-to nel periodo medinese – fu quello dei primi dieci gior-ni di Muḥarram, direttamente calcato sul noto digiunodella ‘āshūrā degli ebrei; e sebbene non si possa parlareper le origini dell'Islam di una vera e propria qiblah odirezione per la preghiera, è sicuro che Maometto, neiprimi tempi di Medina, si rivolgeva, pregando, versoGerusalemme, come facevano gli ebrei (e sembra ancheEbioniti ed Elkesaiti). Ciò non poteva non far piacereagli Ebrei stessi, ma come ora vedremo, l'adozione dellaqiblah verso la Mecca fu uno dei segni di quell'aspraguerra che Maometto condusse contro gli Ebrei e chefinì tragicamente per questi; egualmente il primitivo di-giuno fu sostituito con quello del Ramaḍān, che sembraabbia i suoi precedenti nel Manicheismo. Ma il conflittocon gli Ebrei, alle cui cause abbiamo già accennato, chesono cioè la profonda differenza tra le due credenze el'atteggiamento infido delle tribù ebraiche di Medina, ècosì connesso con gli ulteriori avvenimenti che si suc-cessero dopo Badr, che lo esporremo in stretta connes-sione con essi. Infatti subito dopo Badr egli scacciò da

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Medina, con un pretesto, una delle tribù ebraiche, iBanū Qainuqā‘, e ne confiscò i beni.La sconfitta fu dura per i Quraish, che non si rassegna-rono a subirla senza vendetta. Apprestarono infatti unnumeroso esercito che nell'anno seguente mosse in dire-zione di Medina. Le informazioni che ebbe Maomettocirca l'importanza delle schiere quraiscite non lo distol-sero, animato come era dalla sicurezza dell'assistenzadivina, dall'uscire dalla sua città per incontrarle, e preseposizione a ridosso del monte Uḥud, dove nel terzoanno dell'ègira avvenne lo scontro. Il famoso capitanoKhālid, che fu poi l'eroe della lotta contro le tribù ribellie della conquista della Siria, ne approfittò per aggirarli ene seguì la rotta dei musulmani, durante la quale (la piatradizione dice per intervento del diavolo) si sparse lavoce della morte di Maometto. È notevole che i Qurai-sciti non approfittassero dell'occasione per dare l'assaltoa Medina che sarebbe probabilmente caduta, e tale cir-costanza illumina sulle intenzioni dei Meccani che nonvolevano probabilmente che la sconfitta del Profeta; ciòche appare in ogni modo è la forza d'animo di questo, ilsuo ascendente sui seguaci. Egli riuscì infatti ad evitareil disastro e riorganizzare i suoi in modo che solo dueanni dopo potevano vittoriosamente resistere al famosoassedio di Medina che allora apparve necessario ai Qu-raish e che essi intrapresero con l'aiuto di molte tribùarabe. La sconfitta di Uḥud fu inoltre occasione perMaometto per rianimare i suoi con la rinnovata promes-

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Medina, con un pretesto, una delle tribù ebraiche, iBanū Qainuqā‘, e ne confiscò i beni.La sconfitta fu dura per i Quraish, che non si rassegna-rono a subirla senza vendetta. Apprestarono infatti unnumeroso esercito che nell'anno seguente mosse in dire-zione di Medina. Le informazioni che ebbe Maomettocirca l'importanza delle schiere quraiscite non lo distol-sero, animato come era dalla sicurezza dell'assistenzadivina, dall'uscire dalla sua città per incontrarle, e preseposizione a ridosso del monte Uḥud, dove nel terzoanno dell'ègira avvenne lo scontro. Il famoso capitanoKhālid, che fu poi l'eroe della lotta contro le tribù ribellie della conquista della Siria, ne approfittò per aggirarli ene seguì la rotta dei musulmani, durante la quale (la piatradizione dice per intervento del diavolo) si sparse lavoce della morte di Maometto. È notevole che i Qurai-sciti non approfittassero dell'occasione per dare l'assaltoa Medina che sarebbe probabilmente caduta, e tale cir-costanza illumina sulle intenzioni dei Meccani che nonvolevano probabilmente che la sconfitta del Profeta; ciòche appare in ogni modo è la forza d'animo di questo, ilsuo ascendente sui seguaci. Egli riuscì infatti ad evitareil disastro e riorganizzare i suoi in modo che solo dueanni dopo potevano vittoriosamente resistere al famosoassedio di Medina che allora apparve necessario ai Qu-raish e che essi intrapresero con l'aiuto di molte tribùarabe. La sconfitta di Uḥud fu inoltre occasione perMaometto per rianimare i suoi con la rinnovata promes-

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sa delle gioie eterne per i martiri, e fu insieme, dopo lavittoria di Badr, un secondo pretesto per liberarsi ancoradi un altro gruppo di Ebrei. Fu la volta dei Banū an-Naḍīr, i quali appena dopo un anno da Uḥud furono as-sediati da Maometto, che sospettò il loro tradimento,nelle loro fortezze. Essi, ottenuta dal Profeta la facoltàdi uscire dalle loro case, emigrarono in massa a Khaibar,dove più tardi li raggiunse ancora l'ira e la cupidigia delProfeta. Poco tempo prima egli aveva fatto uccidere unsuo avversario ebreo, Ka‘b ibn al-Ashraf, il quale dopoBadr si era recato alla Mecca e cercava di incitare, conl'arma anche della sua satira poetica, i Quraisciti allavendetta che essi trassero a Uḥud. La battaglia di Uḥudnaturalmente ebbe anche le sue sfavorevoli ripercussioniper la sorte dell'Islam; così guadagnarono coraggioquelli delle tribù arabe di Medina che apparentementefavorevoli al Profeta manovravano contro di lui, i famo-si munāfiqūn già menzionati, e contro cui più volte siscaglia il Corano. Fatto anche sintomatico fu quello diBi’r Ma‘ūnah, ove la tribù degli ‘Āmir osò uccidere cin-que missionari che Maometto aveva loro inviato percondurli all'Islam.L'avvenimento saliente dopo la battaglia del monteUḥud fu l'assedio di Medina. Come abbiamo detto i Qu-raisciti, persuasi infine del bisogno di sopprimere il cen-tro dell'azione di Maometto, radunarono un potenteesercito composto di varie tribù da essi capitanate emossero all'assedio di Medina. In questa occasione riful-

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sa delle gioie eterne per i martiri, e fu insieme, dopo lavittoria di Badr, un secondo pretesto per liberarsi ancoradi un altro gruppo di Ebrei. Fu la volta dei Banū an-Naḍīr, i quali appena dopo un anno da Uḥud furono as-sediati da Maometto, che sospettò il loro tradimento,nelle loro fortezze. Essi, ottenuta dal Profeta la facoltàdi uscire dalle loro case, emigrarono in massa a Khaibar,dove più tardi li raggiunse ancora l'ira e la cupidigia delProfeta. Poco tempo prima egli aveva fatto uccidere unsuo avversario ebreo, Ka‘b ibn al-Ashraf, il quale dopoBadr si era recato alla Mecca e cercava di incitare, conl'arma anche della sua satira poetica, i Quraisciti allavendetta che essi trassero a Uḥud. La battaglia di Uḥudnaturalmente ebbe anche le sue sfavorevoli ripercussioniper la sorte dell'Islam; così guadagnarono coraggioquelli delle tribù arabe di Medina che apparentementefavorevoli al Profeta manovravano contro di lui, i famo-si munāfiqūn già menzionati, e contro cui più volte siscaglia il Corano. Fatto anche sintomatico fu quello diBi’r Ma‘ūnah, ove la tribù degli ‘Āmir osò uccidere cin-que missionari che Maometto aveva loro inviato percondurli all'Islam.L'avvenimento saliente dopo la battaglia del monteUḥud fu l'assedio di Medina. Come abbiamo detto i Qu-raisciti, persuasi infine del bisogno di sopprimere il cen-tro dell'azione di Maometto, radunarono un potenteesercito composto di varie tribù da essi capitanate emossero all'assedio di Medina. In questa occasione riful-

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sero ancora le eccelse qualità di Maometto, il quale alsuo fascino religioso che trascinò i primi seguaci e an-cora oggi ispira in tutte le parti del mondo milioni di fe-deli seppe unire una calma e decisa energia, che nei mo-menti più gravi rianimò il coraggio dei suoi e li strinseintorno a sé; senza dire delle qualità diplomatiche, sucui ritorneremo, e alle quali si deve essenzialmente ilmirabile fatto dello scardinamento della resistenza dellaMecca e dell'aggruppamento delle tribù arabe intorno alui. La tradizione attribuisce in buona parte il meritodella mirabile resistenza di Medina a un liberto persia-no, Salmān al-Fārisī, figura le cui qualità religiose han-no singolarmente sedotto i musulmani e che diresse i la-vori per la costruzione del fossato (khandaq), nome concui è anche conosciuto quell'assedio. La leggenda narradi Salmān che fin da ragazzo andò in cerca tra i cristianidi una più alta verità finché invece la trovò in Maomet-to. In tutta la tradizione che celebra i discendenti Alidi,cioè di Maometto per Fāṭimah sua figlia, che fu sposa di‘Alī, Salmān ha una parte notevolissima; ancora oggi iNoṣairi o ‘Alawiti, sciiti estremi della regione di Lata-kiyyeh, lo comprendono nella pentade divina che formaoggetto della loro venerazione. Che egli abbia realmentesuggerito al Profeta, a cui lo chiamava una inclinazionereligiosa, un mezzo di fortificazione sconosciuto agliArabi, e che a lui come persiano poteva esser noto, ètutt'altro che improbabile. Ciò non toglie che la figura di

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sero ancora le eccelse qualità di Maometto, il quale alsuo fascino religioso che trascinò i primi seguaci e an-cora oggi ispira in tutte le parti del mondo milioni di fe-deli seppe unire una calma e decisa energia, che nei mo-menti più gravi rianimò il coraggio dei suoi e li strinseintorno a sé; senza dire delle qualità diplomatiche, sucui ritorneremo, e alle quali si deve essenzialmente ilmirabile fatto dello scardinamento della resistenza dellaMecca e dell'aggruppamento delle tribù arabe intorno alui. La tradizione attribuisce in buona parte il meritodella mirabile resistenza di Medina a un liberto persia-no, Salmān al-Fārisī, figura le cui qualità religiose han-no singolarmente sedotto i musulmani e che diresse i la-vori per la costruzione del fossato (khandaq), nome concui è anche conosciuto quell'assedio. La leggenda narradi Salmān che fin da ragazzo andò in cerca tra i cristianidi una più alta verità finché invece la trovò in Maomet-to. In tutta la tradizione che celebra i discendenti Alidi,cioè di Maometto per Fāṭimah sua figlia, che fu sposa di‘Alī, Salmān ha una parte notevolissima; ancora oggi iNoṣairi o ‘Alawiti, sciiti estremi della regione di Lata-kiyyeh, lo comprendono nella pentade divina che formaoggetto della loro venerazione. Che egli abbia realmentesuggerito al Profeta, a cui lo chiamava una inclinazionereligiosa, un mezzo di fortificazione sconosciuto agliArabi, e che a lui come persiano poteva esser noto, ètutt'altro che improbabile. Ciò non toglie che la figura di

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Salmān sia velata da fitta cortina di notizie leggenda-rie.217 Il fatto è che dopo ripetuti tentativi di irruzione, iQuraisciti e i loro collegati (il fatto d'arme si chiamò an-che nella tradizione yaum al-aḥzāb, cioè la giornata opiuttosto la campagna dei confederati) si ritirarono libe-rando Medina, e dando così a Maometto un aumento in-sperato di prestigio, non solo presso le tribù arabe masoprattutto tra i cittadini di Mecca che cominciarono colloro tradizionale senso politico a sentire quale avversa-rio fosse Maometto e quanta la necessità di venire a unaccordo con lui. Ma al Profeta l'assedio di Medina diedel'occasione di liberarsi definitivamente degli Ebrei.L'ultimo gruppo di essi, i Banu Quraiẓah, furono accu-sati di tradimento; Maometto, con fine accorgimento, osi potrebbe anche dire con non molto nobile astuzia,volle scaricarsi della responsabilità del massacro inmassa di questi ebrei che egli aveva già freddamente de-ciso. Affidò la sentenza a Sa‘d ibn Mu‘ādh della tribùdegli Aus alleata, come abbiamo detto, dei Quraiẓah.Ma l'arbitro giudicò come forse aveva concordato conMaometto, vale a dire per l'uccisione di tutti i maschi ela vendita come schiavi di donne e bambini. L'orrendacarneficina fu compiuta con la decapitazione su fosseprecedentemente preparate. ‘Alī, il genero del Profeta, sidistinse nella macabra operazione e a sera era stanco diaver tagliato tante teste. Con la distruzione dell'ultimo

217 L. MASSIGNON, Salmân Pâk et les prémices spirituelles de l'Islam iranien,Tours, 1934 (Publications de la Société des Études iraniennes et de l'ArtPersan, no. 7).

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Salmān sia velata da fitta cortina di notizie leggenda-rie.217 Il fatto è che dopo ripetuti tentativi di irruzione, iQuraisciti e i loro collegati (il fatto d'arme si chiamò an-che nella tradizione yaum al-aḥzāb, cioè la giornata opiuttosto la campagna dei confederati) si ritirarono libe-rando Medina, e dando così a Maometto un aumento in-sperato di prestigio, non solo presso le tribù arabe masoprattutto tra i cittadini di Mecca che cominciarono colloro tradizionale senso politico a sentire quale avversa-rio fosse Maometto e quanta la necessità di venire a unaccordo con lui. Ma al Profeta l'assedio di Medina diedel'occasione di liberarsi definitivamente degli Ebrei.L'ultimo gruppo di essi, i Banu Quraiẓah, furono accu-sati di tradimento; Maometto, con fine accorgimento, osi potrebbe anche dire con non molto nobile astuzia,volle scaricarsi della responsabilità del massacro inmassa di questi ebrei che egli aveva già freddamente de-ciso. Affidò la sentenza a Sa‘d ibn Mu‘ādh della tribùdegli Aus alleata, come abbiamo detto, dei Quraiẓah.Ma l'arbitro giudicò come forse aveva concordato conMaometto, vale a dire per l'uccisione di tutti i maschi ela vendita come schiavi di donne e bambini. L'orrendacarneficina fu compiuta con la decapitazione su fosseprecedentemente preparate. ‘Alī, il genero del Profeta, sidistinse nella macabra operazione e a sera era stanco diaver tagliato tante teste. Con la distruzione dell'ultimo

217 L. MASSIGNON, Salmân Pâk et les prémices spirituelles de l'Islam iranien,Tours, 1934 (Publications de la Société des Études iraniennes et de l'ArtPersan, no. 7).

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gruppo Maometto, la cui fama è certo offuscata da que-sti atti così spietati, si era liberato dal pericolo della con-correnza giudaica, ma già da prima aveva ovviato ad unaltro pericolo, e cioè l'affermarsi della fede giudaica en-tro il quadro di tolleranza da lui tracciato; e il Coranocontiene la testimonianza del suo procedimento. Egliaveva preteso che nelle Scritture si trovasse menzionedella sua futura venuta; egli si valse forse della menzio-ne del Paracleto in San Giovanni, che interpretò forsecome «periklytòs», scambio che spiegherebbe il suonome di Aḥmad o Muḥammad, interpretando «perikly-tòs» come «lodato». Fu però specialmente contro gliebrei che Maometto diresse le proprie accuse; è notoche egli osservò sempre un contegno di maggiore sim-patia e considerazione verso i cristiani, e nel Corano visono espressioni assai benevole per essi le cui virtù reli-giose sono attribuite al monachismo che abbiamo vistoaver fatto tanta impressione sul Profeta; monachismotuttavia che in un passo coranico è attribuito a un'inno-vazione dei cristiani non voluta da Dio o almeno defor-mata da essi nella sua natura. Una famosa tradizione cimostra il Profeta affermare: «non vi è monachismonell'Islam». In ogni caso ebrei e cristiani sono accomu-nati da Maometto nell'accusa di aver scientemente alte-rato con il taḥrīf il testo della Rivelazione; e questa ac-cusa, dopo le riforme che condussero alla abolizione deldigiuno dei dieci giorni simile a quello ebraico, dopo lafissazione della direzione della preghiera verso la Mec-ca alla fine dell'anno 2 dell'ègira, porta alla rovina

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gruppo Maometto, la cui fama è certo offuscata da que-sti atti così spietati, si era liberato dal pericolo della con-correnza giudaica, ma già da prima aveva ovviato ad unaltro pericolo, e cioè l'affermarsi della fede giudaica en-tro il quadro di tolleranza da lui tracciato; e il Coranocontiene la testimonianza del suo procedimento. Egliaveva preteso che nelle Scritture si trovasse menzionedella sua futura venuta; egli si valse forse della menzio-ne del Paracleto in San Giovanni, che interpretò forsecome «periklytòs», scambio che spiegherebbe il suonome di Aḥmad o Muḥammad, interpretando «perikly-tòs» come «lodato». Fu però specialmente contro gliebrei che Maometto diresse le proprie accuse; è notoche egli osservò sempre un contegno di maggiore sim-patia e considerazione verso i cristiani, e nel Corano visono espressioni assai benevole per essi le cui virtù reli-giose sono attribuite al monachismo che abbiamo vistoaver fatto tanta impressione sul Profeta; monachismotuttavia che in un passo coranico è attribuito a un'inno-vazione dei cristiani non voluta da Dio o almeno defor-mata da essi nella sua natura. Una famosa tradizione cimostra il Profeta affermare: «non vi è monachismonell'Islam». In ogni caso ebrei e cristiani sono accomu-nati da Maometto nell'accusa di aver scientemente alte-rato con il taḥrīf il testo della Rivelazione; e questa ac-cusa, dopo le riforme che condussero alla abolizione deldigiuno dei dieci giorni simile a quello ebraico, dopo lafissazione della direzione della preghiera verso la Mec-ca alla fine dell'anno 2 dell'ègira, porta alla rovina

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dell'Ebraismo ancor più forse che l'esilio delle due tribùdi Medina e il massacro della terza.Ma per completare l'opera grandiosa Maometto dovevanon solo in senso negativo vincere la concorrenza deglielementi non arabi, doveva soprattutto, e questa fu im-presa da lui condotta con singolarissima abilità, inserirein forza del nuovo ordine l'arabismo, il che vuol dire daun lato guadagnare a sé le tribù arabe (finora era soprat-tutto nel centro di Medina e in quello di Mecca che ave-va guadagnato seguaci); doveva dall'altro, e questa è lasua tipica missione storica, coordinare la religiosità na-zionale araba entro lo schema della nuova rivelazione.Questo secondo compito si poté dire assolto quando ilProfeta indicò come direzione della preghiera la Mecca,fin dai primi tempi del soggiorno a Medina; insieme, e ilCorano ce ne serba testimonio, fu dichiarato da lui chela Ka‘bah era la casa di Dio in terra ed egli costruì il suosistema secondo il quale essa fu eretta da Abramo e daIsmaele, dopo che per la prima volta lo stesso Adamol'aveva prima fondata, come abbiamo qui sopra esposto.Due conseguenze di primaria importanza ne derivano: laprima è il passo decisivo per l'inserimento di quanto eraancora vivo della religione pagana nell'Islam, secondo laperpetuazione dell'obbligo del ḥagg, del pellegrinaggioalla Mecca, la quale da centro pagano diviene così cen-tro musulmano; la seconda, la conquista della Meccacon la guerra santa, la quale diviene un obbligo per i fe-deli. Di qui noi dobbiamo seguire un doppio ordine di

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dell'Ebraismo ancor più forse che l'esilio delle due tribùdi Medina e il massacro della terza.Ma per completare l'opera grandiosa Maometto dovevanon solo in senso negativo vincere la concorrenza deglielementi non arabi, doveva soprattutto, e questa fu im-presa da lui condotta con singolarissima abilità, inserirein forza del nuovo ordine l'arabismo, il che vuol dire daun lato guadagnare a sé le tribù arabe (finora era soprat-tutto nel centro di Medina e in quello di Mecca che ave-va guadagnato seguaci); doveva dall'altro, e questa è lasua tipica missione storica, coordinare la religiosità na-zionale araba entro lo schema della nuova rivelazione.Questo secondo compito si poté dire assolto quando ilProfeta indicò come direzione della preghiera la Mecca,fin dai primi tempi del soggiorno a Medina; insieme, e ilCorano ce ne serba testimonio, fu dichiarato da lui chela Ka‘bah era la casa di Dio in terra ed egli costruì il suosistema secondo il quale essa fu eretta da Abramo e daIsmaele, dopo che per la prima volta lo stesso Adamol'aveva prima fondata, come abbiamo qui sopra esposto.Due conseguenze di primaria importanza ne derivano: laprima è il passo decisivo per l'inserimento di quanto eraancora vivo della religione pagana nell'Islam, secondo laperpetuazione dell'obbligo del ḥagg, del pellegrinaggioalla Mecca, la quale da centro pagano diviene così cen-tro musulmano; la seconda, la conquista della Meccacon la guerra santa, la quale diviene un obbligo per i fe-deli. Di qui noi dobbiamo seguire un doppio ordine di

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fatti: l'impressione destata nelle tribù arabe da questeabili mosse del Profeta, e d'altra parte le concrete misureda questo prese per conquistare la Mecca, fine al qualelo chiamava non solo tale alto scopo religioso, ma undesiderio di vendetta contro i suoi ribelli concittadini, euna vera e propria libidine di rivincita dalla quale benpochi privilegiati si possono chiamare immuni. Perquanto concerne il primo punto le tribù arabe, e soprat-tutto quelle più vicine al Ḥigiāz e alla Mecca, fin daiprimi successi di Maometto avevano cominciato a senti-re il desiderio di mettersi dalla parte del più forte e dal 3al 5 dell'ègira un'opera sottile ed accorta della diploma-zia di Maometto riesce a raggruppare intorno a lui, so-prattutto come capo di stato, meno come religioso, unabuona parte di tali tribù, che, si noti, erano per lo piùamiche dei Quraish. E fu in relazione appunto a questofatto che i Quraisciti credettero giunto il momentodell'assedio di Medina, del quale abbiamo narrato quisopra. Lo sfavorevole risultato dell'operazione convinsesempre più le tribù arabe della potenza di Maometto econtinuò quindi, nonostante che Maometto trascurassedi sfruttare il successo con l'inseguimento dei nemici,l'adesione delle tribù. Qui si presenta tuttavia una gravequestione, che ha di per sé importanza storica per la va-lutazione di questo periodo della vita di Maometto, mache poi si riflette in un altro grande avvenimento dellastoria primitiva dell'Islam, e cioè la riddah o apostasiadelle tribù. Il Caetani ha profondamente studiato talequestione sia nella parte dedicata all'anno 11 dell'ègira e

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fatti: l'impressione destata nelle tribù arabe da questeabili mosse del Profeta, e d'altra parte le concrete misureda questo prese per conquistare la Mecca, fine al qualelo chiamava non solo tale alto scopo religioso, ma undesiderio di vendetta contro i suoi ribelli concittadini, euna vera e propria libidine di rivincita dalla quale benpochi privilegiati si possono chiamare immuni. Perquanto concerne il primo punto le tribù arabe, e soprat-tutto quelle più vicine al Ḥigiāz e alla Mecca, fin daiprimi successi di Maometto avevano cominciato a senti-re il desiderio di mettersi dalla parte del più forte e dal 3al 5 dell'ègira un'opera sottile ed accorta della diploma-zia di Maometto riesce a raggruppare intorno a lui, so-prattutto come capo di stato, meno come religioso, unabuona parte di tali tribù, che, si noti, erano per lo piùamiche dei Quraish. E fu in relazione appunto a questofatto che i Quraisciti credettero giunto il momentodell'assedio di Medina, del quale abbiamo narrato quisopra. Lo sfavorevole risultato dell'operazione convinsesempre più le tribù arabe della potenza di Maometto econtinuò quindi, nonostante che Maometto trascurassedi sfruttare il successo con l'inseguimento dei nemici,l'adesione delle tribù. Qui si presenta tuttavia una gravequestione, che ha di per sé importanza storica per la va-lutazione di questo periodo della vita di Maometto, mache poi si riflette in un altro grande avvenimento dellastoria primitiva dell'Islam, e cioè la riddah o apostasiadelle tribù. Il Caetani ha profondamente studiato talequestione sia nella parte dedicata all'anno 11 dell'ègira e

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sia nel riassunto dell'opera di Maometto.218 Il Caetanisostanzialmente afferma che l'adesione di queste tribùebbe solamente significato politico, e non comportò lacompleta accettazione della dottrina religiosa. Cosìl'apostasia delle tribù, che la tradizione ha dipinto comeun distacco dall'Islam dei beduini, dei quali già il Cora-no afferma il poco fervore, assume il carattere più natu-rale di rescissione di un patto, uno dei contraenti delquale era morto. È noto che un'opinione forse più ragio-nevole pone in relazione la predetta riddah con l'obbligoimposto ai musulmani di pagare la tassa rituale, la za-kāh. La voglia di sfuggire con l'occasione della morte diMaometto a questo duro peso, cosa resa più facile dallamorte del capo, con il quale essi avevano stipulato ilpatto, spiega certo in modo molto umano il grande avve-nimento dell'apostasia. Di ciò del resto abbiamo qui par-lato solo in quanto questi fatti illuminano l'azione diMaometto, del quale l'abilità diplomatica risulta certa-mente meglio affermata quando lo si dipinga non illusodi chiamare a sé subito il grosso delle tribù arabe, mapiuttosto confidente nella possibilità di legarle con pattopolitico. Non è fuor di luogo accennare che la tradizioneci conserva per questo periodo una serie di trattati contali tribù, i quali hanno apparenza di genuinità, mentrele notizie circa le ambascerie giunte più tardi, all'acmedella potenza del Profeta, da parte di grandi tribù anchelontane (i cosidetti wufūd, plurale di wafd, parola che

218 Annali dell'Islam, II, pp. 372-476.

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sia nel riassunto dell'opera di Maometto.218 Il Caetanisostanzialmente afferma che l'adesione di queste tribùebbe solamente significato politico, e non comportò lacompleta accettazione della dottrina religiosa. Cosìl'apostasia delle tribù, che la tradizione ha dipinto comeun distacco dall'Islam dei beduini, dei quali già il Cora-no afferma il poco fervore, assume il carattere più natu-rale di rescissione di un patto, uno dei contraenti delquale era morto. È noto che un'opinione forse più ragio-nevole pone in relazione la predetta riddah con l'obbligoimposto ai musulmani di pagare la tassa rituale, la za-kāh. La voglia di sfuggire con l'occasione della morte diMaometto a questo duro peso, cosa resa più facile dallamorte del capo, con il quale essi avevano stipulato ilpatto, spiega certo in modo molto umano il grande avve-nimento dell'apostasia. Di ciò del resto abbiamo qui par-lato solo in quanto questi fatti illuminano l'azione diMaometto, del quale l'abilità diplomatica risulta certa-mente meglio affermata quando lo si dipinga non illusodi chiamare a sé subito il grosso delle tribù arabe, mapiuttosto confidente nella possibilità di legarle con pattopolitico. Non è fuor di luogo accennare che la tradizioneci conserva per questo periodo una serie di trattati contali tribù, i quali hanno apparenza di genuinità, mentrele notizie circa le ambascerie giunte più tardi, all'acmedella potenza del Profeta, da parte di grandi tribù anchelontane (i cosidetti wufūd, plurale di wafd, parola che

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anche oggi ha designato l'ambasceria egiziana che sirecò a Londra a chiedere l'indipendenza) sono meno so-lidamente attestate.In ogni modo il Profeta, indirizzato dal bisogno di porta-re i suoi fedeli alla Mecca, fatto forte di tali adesioni, sipresentò nell'anno 6 dell'ègira davanti alla Mecca, a dirvero con pochi armati, forse un migliaio dei suoi fedelicon le sole spade, per compiere la ‘umrah. La tradizioneci dice che Maometto, imbaldanzito dal favore di alcunetribù forse già in possesso di informazioni circa le con-dizioni interne della Mecca, avrebbe voluto assalire su-bito la città sacra e per di più nei mesi sacri del pellegri-naggio. Fu Abū Bakr ad impedire questa azione che loavrebbe certamente messo in cattiva luce; né intanto ilProfeta trascurava l'arte diplomatica, poiché inviò ‘Uth-mān, che poi fu califfo, a informarsi delle vere condizio-ni d'animo dei Quraisciti. Nella Mecca stessa egli avevaun fido amico ed informatore in al-‘Ābbās. ‘Uthmān tar-dava a tornare e foschi presagi agitavano i musulmani;tanto che essi, sotto un albero nella pianura di Ḥudai-biyah ove Maometto si era ritirato quando aveva avutonotizia di apparecchi d'armi dei Quraisciti, si strinserointorno a lui e gli giurarono fedeltà ed assistenza finoall'ultimo. Di questo deciso atteggiamento dei musulma-ni i Quraisciti ebbero ben presto notizia e ciò li inclinò atrattare, scopo al quale in fondo mirava il Profeta. Emis-sario dei Meccani fu Suhail, il quale nel redigere l'attoche doveva permettere a Maometto nell'anno seguente

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anche oggi ha designato l'ambasceria egiziana che sirecò a Londra a chiedere l'indipendenza) sono meno so-lidamente attestate.In ogni modo il Profeta, indirizzato dal bisogno di porta-re i suoi fedeli alla Mecca, fatto forte di tali adesioni, sipresentò nell'anno 6 dell'ègira davanti alla Mecca, a dirvero con pochi armati, forse un migliaio dei suoi fedelicon le sole spade, per compiere la ‘umrah. La tradizioneci dice che Maometto, imbaldanzito dal favore di alcunetribù forse già in possesso di informazioni circa le con-dizioni interne della Mecca, avrebbe voluto assalire su-bito la città sacra e per di più nei mesi sacri del pellegri-naggio. Fu Abū Bakr ad impedire questa azione che loavrebbe certamente messo in cattiva luce; né intanto ilProfeta trascurava l'arte diplomatica, poiché inviò ‘Uth-mān, che poi fu califfo, a informarsi delle vere condizio-ni d'animo dei Quraisciti. Nella Mecca stessa egli avevaun fido amico ed informatore in al-‘Ābbās. ‘Uthmān tar-dava a tornare e foschi presagi agitavano i musulmani;tanto che essi, sotto un albero nella pianura di Ḥudai-biyah ove Maometto si era ritirato quando aveva avutonotizia di apparecchi d'armi dei Quraisciti, si strinserointorno a lui e gli giurarono fedeltà ed assistenza finoall'ultimo. Di questo deciso atteggiamento dei musulma-ni i Quraisciti ebbero ben presto notizia e ciò li inclinò atrattare, scopo al quale in fondo mirava il Profeta. Emis-sario dei Meccani fu Suhail, il quale nel redigere l'attoche doveva permettere a Maometto nell'anno seguente

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di compiere la ‘umrah e l'obbligava d'altra parte a nonaccettare transfughi nel suo campo, e ad altre condizio-ni, volle che Maometto rinunciasse alla formula musul-mana «In nome di Dio clemente e misericordioso» a fa-vore della pagana «In nome tuo o Signore»; volle infineche Maometto apponesse la sua firma senza la qualificadi «Inviato da Dio». L'arrendevolezza con cui Maomettoaderì alla richiesta del Meccano provocò lo sdegno so-prattutto di Omar; ma il Profeta che nella sua lungimi-rante sapienza scorgeva già tutto il vantaggio che a luiconferiva il semplice fatto di aver potuto trattare con isignori della Ka‘bah e di aver ricevuto il diritto di visita-re i luoghi sacri, lasciò sbollire l'ira di Omar e concluseil trattato, che nella realtà fu la sua vera garanzia di suc-cesso, come si vide subito quando degli elementi arabisi avvicinarono ancor più a lui, sia per il maggior presti-gio che aveva guadagnato, sia perché non appariva piùnella veste del nemico della casa di Dio. L'anno seguen-te Maometto, quasi a dar compenso ai musulmani per ildolore di Ḥudaibiyah, capitanò una spedizione control'oasi di Khaibar, la quale insieme con altre razzie arric-chì i musulmani. Dopo aver compiuto la prima ‘umrahMaometto, profittando di una pretesa rottura del pattoda parte dei Meccani, decise di passare all'azione vio-lenta e nell'anno 8 dell'ègira giunse innanzi alla Meccacon un forte esercito di 8000 uomini, in cui erano rap-presentati tutti gli elementi favorevoli a lui, Anṣār, Mu-hāgirūn, beduini. L'accorta azione di Maometto avevagià sgretolato la compagine meccana; avvennero nella

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di compiere la ‘umrah e l'obbligava d'altra parte a nonaccettare transfughi nel suo campo, e ad altre condizio-ni, volle che Maometto rinunciasse alla formula musul-mana «In nome di Dio clemente e misericordioso» a fa-vore della pagana «In nome tuo o Signore»; volle infineche Maometto apponesse la sua firma senza la qualificadi «Inviato da Dio». L'arrendevolezza con cui Maomettoaderì alla richiesta del Meccano provocò lo sdegno so-prattutto di Omar; ma il Profeta che nella sua lungimi-rante sapienza scorgeva già tutto il vantaggio che a luiconferiva il semplice fatto di aver potuto trattare con isignori della Ka‘bah e di aver ricevuto il diritto di visita-re i luoghi sacri, lasciò sbollire l'ira di Omar e concluseil trattato, che nella realtà fu la sua vera garanzia di suc-cesso, come si vide subito quando degli elementi arabisi avvicinarono ancor più a lui, sia per il maggior presti-gio che aveva guadagnato, sia perché non appariva piùnella veste del nemico della casa di Dio. L'anno seguen-te Maometto, quasi a dar compenso ai musulmani per ildolore di Ḥudaibiyah, capitanò una spedizione control'oasi di Khaibar, la quale insieme con altre razzie arric-chì i musulmani. Dopo aver compiuto la prima ‘umrahMaometto, profittando di una pretesa rottura del pattoda parte dei Meccani, decise di passare all'azione vio-lenta e nell'anno 8 dell'ègira giunse innanzi alla Meccacon un forte esercito di 8000 uomini, in cui erano rap-presentati tutti gli elementi favorevoli a lui, Anṣār, Mu-hāgirūn, beduini. L'accorta azione di Maometto avevagià sgretolato la compagine meccana; avvennero nella

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città conversioni di ragguardevoli personaggi e lo stessoAbū Sufyān, capo dell'opposizione antimusulmana, ven-ne a cercare Maometto. Il Caetani qui sospetta chel'azione di Abū Sufyān fosse in relazione con un trattatosegreto da tempo concordato per l'entrata del Profeta inMecca senza spargimento di sangue. Fatto è che appun-to nell'8 dell'ègira il Profeta entrò nel sacro terreno dellacittà senza lotta, raggiungendo così lo scopo supremodella sua vita e insieme coronando quell'accorta e auda-ce opera di coordinamento che lo aveva condotto a di-sporre valori arabi e pagani entro una nuova cornice,quella della fede musulmana, per sì gran parte ispirata alGiudaismo e al Cristianesimo, mostrando infine alle tri-bù arabe, non ancora tutte schierate sotto la nuova ban-diera, che la vecchia tradizione non solo religiosa maanche culturale e letteraria era segnacolo per il vessillomusulmano, con incalcolabili conseguenze per il presti-gio del Profeta. La scena più solenne e più suggestiva ditutta la storia dell'Islam si può ritenere quella della paci-fica entrata del Profeta montato sul suo cammello nelsacro recinto affollato dai tenaci Meccani che vedevanola casa di Hubal occupata dal mortale nemico degli ido-li, e questi da lui distrutti. C'era però certamente diffusoin quella fatidica giornata, nel sacro silenzio del recinto,il senso di qualche cosa di sacro e superiore che avevaportato il giovane cammelliere, seguìto da una fedelefolla di aderenti, ad occupare il palladio arabo e a pro-nunciarvi il poderoso Allāh akbar che sonava la sconfit-ta definitiva di tutto un mondo, di tutta una tradizione

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città conversioni di ragguardevoli personaggi e lo stessoAbū Sufyān, capo dell'opposizione antimusulmana, ven-ne a cercare Maometto. Il Caetani qui sospetta chel'azione di Abū Sufyān fosse in relazione con un trattatosegreto da tempo concordato per l'entrata del Profeta inMecca senza spargimento di sangue. Fatto è che appun-to nell'8 dell'ègira il Profeta entrò nel sacro terreno dellacittà senza lotta, raggiungendo così lo scopo supremodella sua vita e insieme coronando quell'accorta e auda-ce opera di coordinamento che lo aveva condotto a di-sporre valori arabi e pagani entro una nuova cornice,quella della fede musulmana, per sì gran parte ispirata alGiudaismo e al Cristianesimo, mostrando infine alle tri-bù arabe, non ancora tutte schierate sotto la nuova ban-diera, che la vecchia tradizione non solo religiosa maanche culturale e letteraria era segnacolo per il vessillomusulmano, con incalcolabili conseguenze per il presti-gio del Profeta. La scena più solenne e più suggestiva ditutta la storia dell'Islam si può ritenere quella della paci-fica entrata del Profeta montato sul suo cammello nelsacro recinto affollato dai tenaci Meccani che vedevanola casa di Hubal occupata dal mortale nemico degli ido-li, e questi da lui distrutti. C'era però certamente diffusoin quella fatidica giornata, nel sacro silenzio del recinto,il senso di qualche cosa di sacro e superiore che avevaportato il giovane cammelliere, seguìto da una fedelefolla di aderenti, ad occupare il palladio arabo e a pro-nunciarvi il poderoso Allāh akbar che sonava la sconfit-ta definitiva di tutto un mondo, di tutta una tradizione

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ancora cara al cuore degli Arabi, e avvicinava l'Arabiaad un'altra tradizione. Ma ciò che aggiunse solennità edignità alla grande scena fu il contegno di Maometto, ilquale ebbe la scienza suprema di non abusare della suavittoria, di non condurre sanguinose vendette, ma diproclamare con quieta gravità il trionfo di Allāh. Infattisolo poche persone furono da lui condannate: la mag-gior parte dei nemici pieni di colpe verso l'Islam e ancheverso il Profeta stesso, tra cui la famosa Hind (colei chealla battaglia di Uḥud aveva straziato il cadavere del va-loroso zio del Profeta, Ḥamzah, ne aveva masticato esputato il fegato e si era fatta collana dei pezzi di carnedi lui), ebbero salva la vita. E così anche quell'‘Abdallāhibn Abū Sarḥ che, scriba del Profeta, si era divertito ascrivere differentemente la rivelazione da come Mao-metto la pronunciava e a constatare poi che egli non sene accorgeva. Ciò lo condusse anche all'apostasia. Ma lasaggia clemenza di Maometto risparmiò anche lui.Maometto, anche in questo guidato dalla sua sapienzapolitica, non rimase alla Mecca ma rientrò alla sua Me-dina. Né prese parte in quest'anno al pellegrinaggio; egliera già intento ai preparativi per una grande spedizioneverso i confini della Siria, quella di Tabūk, destinata, aquanto sembra, ad interrompere e sorprendere nella fasepreparatoria gli armamenti che pare Eraclio, l'imperato-re bizantino, facesse, soprattutto per mezzo degli Arabicristiani a lui soggetti, come Ghassānidi ecc., per spez-zare la potenza di Maometto. Questa spedizione, che do-

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ancora cara al cuore degli Arabi, e avvicinava l'Arabiaad un'altra tradizione. Ma ciò che aggiunse solennità edignità alla grande scena fu il contegno di Maometto, ilquale ebbe la scienza suprema di non abusare della suavittoria, di non condurre sanguinose vendette, ma diproclamare con quieta gravità il trionfo di Allāh. Infattisolo poche persone furono da lui condannate: la mag-gior parte dei nemici pieni di colpe verso l'Islam e ancheverso il Profeta stesso, tra cui la famosa Hind (colei chealla battaglia di Uḥud aveva straziato il cadavere del va-loroso zio del Profeta, Ḥamzah, ne aveva masticato esputato il fegato e si era fatta collana dei pezzi di carnedi lui), ebbero salva la vita. E così anche quell'‘Abdallāhibn Abū Sarḥ che, scriba del Profeta, si era divertito ascrivere differentemente la rivelazione da come Mao-metto la pronunciava e a constatare poi che egli non sene accorgeva. Ciò lo condusse anche all'apostasia. Ma lasaggia clemenza di Maometto risparmiò anche lui.Maometto, anche in questo guidato dalla sua sapienzapolitica, non rimase alla Mecca ma rientrò alla sua Me-dina. Né prese parte in quest'anno al pellegrinaggio; egliera già intento ai preparativi per una grande spedizioneverso i confini della Siria, quella di Tabūk, destinata, aquanto sembra, ad interrompere e sorprendere nella fasepreparatoria gli armamenti che pare Eraclio, l'imperato-re bizantino, facesse, soprattutto per mezzo degli Arabicristiani a lui soggetti, come Ghassānidi ecc., per spez-zare la potenza di Maometto. Questa spedizione, che do-

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veva vendicare anche un'altra precedente, fatta nellastessa direzione e con scopi analoghi, quella di Mu’tah,nella quale le armi musulmane furono duramente scon-fitte e trovò anche la morte il diletto figlio adottivo diMaometto, Zaid, si scontrò con una tenace opposizionedei musulmani, opposizione provocata non solo forsedal ricordo della sconfitta, così contrastante con quellogradito del trionfo di Mecca, ma anche dall'eccessivocalore della stagione. Furono molti i musulmani che di-chiararono apertamente di preferire di rimanersene acasa piuttosto che di uscire a battaglia; e quando Mao-metto nello stesso anno 9 inviò al pellegrinaggio in suavece Abū Bakr, fece a lui proclamare in quella solenneoccasione il capitolo 9 del Corano, la famosa SuraBarā’ah con la quale egli si propose due scopi ben pre-cisi: primo quello di rescindere ogni sia pur tenue lega-me con i pagani, ai quali d'ora innanzi era vietatol'accesso ai luoghi sacri ed ogni rapporto con i musul-mani; e in secondo luogo, in stretta connessione con ilprimo punto, affermare apertamente l'obbligo dei mu-sulmani di combattere e di uscire contro il nemico. Que-sta sura ebbe valore incalcolabile nel fissare i rapportitra musulmani e infedeli. Anche quest'opera di chiarifi-cazione ebbe, e specialmente nelle ulteriori vicendedell'Islam, la sua precisa funzione, e tanto più si vede laforza e la sicurezza del Profeta, considerando che eglinella diuturna opera di conciliare i cuori dei Meccaniaveva già dato occasione ad altro malcontento nei suoifedeli; il quale si manifestò quando Maometto, avendo

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veva vendicare anche un'altra precedente, fatta nellastessa direzione e con scopi analoghi, quella di Mu’tah,nella quale le armi musulmane furono duramente scon-fitte e trovò anche la morte il diletto figlio adottivo diMaometto, Zaid, si scontrò con una tenace opposizionedei musulmani, opposizione provocata non solo forsedal ricordo della sconfitta, così contrastante con quellogradito del trionfo di Mecca, ma anche dall'eccessivocalore della stagione. Furono molti i musulmani che di-chiararono apertamente di preferire di rimanersene acasa piuttosto che di uscire a battaglia; e quando Mao-metto nello stesso anno 9 inviò al pellegrinaggio in suavece Abū Bakr, fece a lui proclamare in quella solenneoccasione il capitolo 9 del Corano, la famosa SuraBarā’ah con la quale egli si propose due scopi ben pre-cisi: primo quello di rescindere ogni sia pur tenue lega-me con i pagani, ai quali d'ora innanzi era vietatol'accesso ai luoghi sacri ed ogni rapporto con i musul-mani; e in secondo luogo, in stretta connessione con ilprimo punto, affermare apertamente l'obbligo dei mu-sulmani di combattere e di uscire contro il nemico. Que-sta sura ebbe valore incalcolabile nel fissare i rapportitra musulmani e infedeli. Anche quest'opera di chiarifi-cazione ebbe, e specialmente nelle ulteriori vicendedell'Islam, la sua precisa funzione, e tanto più si vede laforza e la sicurezza del Profeta, considerando che eglinella diuturna opera di conciliare i cuori dei Meccaniaveva già dato occasione ad altro malcontento nei suoifedeli; il quale si manifestò quando Maometto, avendo

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assalito nell'anno 8 la grande tribù degli Hawāzin eavendola battuta nella battaglia di Ḥunain, ripartì aGir‘ānah il ricchissimo bottino con evidente favore per iMeccani, a scapito dei vecchi musulmani. Fu la politicadel ta’līf al-qulūb, la conciliazione dei cuori, che con-dusse Maometto a questo; siccome la politica era saggiaportò a tangibili risultati, il malcontento fu sedato, e latradizione ancor oggi, lungi dal biasimare Maometto,magnifica la sapienza di questo suo atto.Finalmente nell'anno 10 dell'ègira avvenne il grande fat-to che può considerarsi l'acme dell'azione di Maometto,il solenne pellegrinaggio cioè, e non la semplice visitadevota, la ‘umrah, che egli compì con i suoi fedeli e cheha nella tradizione il nome di ḥaggiat al-wadā‘, pelle-grinaggio di addio. E altra pietra miliare nella storiadell'Islam è la predica che il Profeta tenne a tutti i mu-sulmani, non più cioè ai vecchi Muhāgirūn, Anṣār, be-duini, ma anche ai Meccani, dall'alto del colle di ‘Ara-fah, ove ancora oggi è recitata la khuṭbah, uno dei punticulminanti dei complicati riti del pellegrinaggio. E ben aragione, e possiamo immaginare con quale interno motodell'animo, egli poté affermare che la sua missione eracompiuta, confermò insieme i suoi precetti e cancellò leultime traccie di usi pagani, quale la vendetta del sanguee l'intercalazione del calendario. «Satana ha perdutoogni speranza di esser più adorato in questo vostro pae-se», questa è la frase grandiosa con cui egli riassunse ilsenso del momento.

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assalito nell'anno 8 la grande tribù degli Hawāzin eavendola battuta nella battaglia di Ḥunain, ripartì aGir‘ānah il ricchissimo bottino con evidente favore per iMeccani, a scapito dei vecchi musulmani. Fu la politicadel ta’līf al-qulūb, la conciliazione dei cuori, che con-dusse Maometto a questo; siccome la politica era saggiaportò a tangibili risultati, il malcontento fu sedato, e latradizione ancor oggi, lungi dal biasimare Maometto,magnifica la sapienza di questo suo atto.Finalmente nell'anno 10 dell'ègira avvenne il grande fat-to che può considerarsi l'acme dell'azione di Maometto,il solenne pellegrinaggio cioè, e non la semplice visitadevota, la ‘umrah, che egli compì con i suoi fedeli e cheha nella tradizione il nome di ḥaggiat al-wadā‘, pelle-grinaggio di addio. E altra pietra miliare nella storiadell'Islam è la predica che il Profeta tenne a tutti i mu-sulmani, non più cioè ai vecchi Muhāgirūn, Anṣār, be-duini, ma anche ai Meccani, dall'alto del colle di ‘Ara-fah, ove ancora oggi è recitata la khuṭbah, uno dei punticulminanti dei complicati riti del pellegrinaggio. E ben aragione, e possiamo immaginare con quale interno motodell'animo, egli poté affermare che la sua missione eracompiuta, confermò insieme i suoi precetti e cancellò leultime traccie di usi pagani, quale la vendetta del sanguee l'intercalazione del calendario. «Satana ha perdutoogni speranza di esser più adorato in questo vostro pae-se», questa è la frase grandiosa con cui egli riassunse ilsenso del momento.

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Tornato a Medina, forse anche sotto il peso di sì potentiemozioni, Maometto ammalava. Si trattò forse della fa-tale «febbre di Medina» che ancor oggi infesta il paese,e dopo pochi giorni, col capo reclinato sul grembo dellagiovanissima ‘Ā’ishah, sua moglie preferita e figlia diAbū Bakr, alla quale dobbiamo tante notizie sul Profeta,egli morì mormorando parole sull'alta compagnia delParadiso.

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Tornato a Medina, forse anche sotto il peso di sì potentiemozioni, Maometto ammalava. Si trattò forse della fa-tale «febbre di Medina» che ancor oggi infesta il paese,e dopo pochi giorni, col capo reclinato sul grembo dellagiovanissima ‘Ā’ishah, sua moglie preferita e figlia diAbū Bakr, alla quale dobbiamo tante notizie sul Profeta,egli morì mormorando parole sull'alta compagnia delParadiso.

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III.L'OPERA DI MAOMETTO.

Con Maometto, che così ora spariva dalla scena delmondo, si era costituita la premessa essenziale per tuttala storia degli Arabi, che porta l'arabismo carico dellesue tradizioni a fecondarsi dei frutti degli influssi mono-teistici o altrimenti stranieri; la premessa perché essopotesse divenire una nuova grande forza mondiale ope-rante nel senso politico, religioso, culturale. Tutto ciò èdovuto alla ineffabile combinazione che avviene entro lasua personalità dei valori di varia origine presenti inArabia. Ci conviene pertanto soffermarci un momento aconsiderare quale sia l'intimo valore dell'opera persona-le del Profeta, e, corrispondentemente, quale sia il giudi-zio che di essa noi dobbiamo formarci e considerarel'accusa che da polemisti ed avversari è stata da tempoelevata contro di lui, di essere stato un impostore; al co-spetto degli augusti avvenimenti storici che prendono lemosse da lui ci sarà tanto più facile respingere la sem-plicistica formulazione di tale giudizio. Nelle pagine cheprecedono noi abbiamo ripetutamente vòlto l'attenzioneal valore arabistico tradizionale, abbiamo anche accen-nato al senso che di esso ebbe il Profeta e già abbiamointravveduto che tutto il destino della nazione araba sisvolge attraverso una vivificazione e un ricordo operan-te del valore passato. Ora noi riconduciamo la nostra at-tenzione sul fatto che il Profeta, attraverso i contatti che

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III.L'OPERA DI MAOMETTO.

Con Maometto, che così ora spariva dalla scena delmondo, si era costituita la premessa essenziale per tuttala storia degli Arabi, che porta l'arabismo carico dellesue tradizioni a fecondarsi dei frutti degli influssi mono-teistici o altrimenti stranieri; la premessa perché essopotesse divenire una nuova grande forza mondiale ope-rante nel senso politico, religioso, culturale. Tutto ciò èdovuto alla ineffabile combinazione che avviene entro lasua personalità dei valori di varia origine presenti inArabia. Ci conviene pertanto soffermarci un momento aconsiderare quale sia l'intimo valore dell'opera persona-le del Profeta, e, corrispondentemente, quale sia il giudi-zio che di essa noi dobbiamo formarci e considerarel'accusa che da polemisti ed avversari è stata da tempoelevata contro di lui, di essere stato un impostore; al co-spetto degli augusti avvenimenti storici che prendono lemosse da lui ci sarà tanto più facile respingere la sem-plicistica formulazione di tale giudizio. Nelle pagine cheprecedono noi abbiamo ripetutamente vòlto l'attenzioneal valore arabistico tradizionale, abbiamo anche accen-nato al senso che di esso ebbe il Profeta e già abbiamointravveduto che tutto il destino della nazione araba sisvolge attraverso una vivificazione e un ricordo operan-te del valore passato. Ora noi riconduciamo la nostra at-tenzione sul fatto che il Profeta, attraverso i contatti che

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ebbe con le tribù arabe nelle feste del pellegrinaggio allaMecca, attraverso l'esperienza che fu viva in lui delleforme di vita dell'arabismo, concepì ben presto entro lasua ricettiva psiche una essenziale armonia fra tali valorie quelle ragioni superiori di vita religiosa che la vita diArabia andava affermando. Credo che il frutto più pre-zioso della meditazione su questi punti possa dirsi l'ideadi una vera missione che si è presentata a questa co-scienza, la quale, aperta ai ricordi del passato, piena diaffetto per la nazione araba e nello stesso tempo com-presa del bisogno di una vita religiosa superiore, dellaesigenza di una morale non autonoma, ha saputo inseri-re negli schemi della tradizione araba le migliori mani-festazioni del senso di dipendenza da Dio, provenientidalle religioni monoteistiche, del bisogno di attribuirglionore e di osservare la sua legge, creando così una reli-gione con un'insopprimibile originalità; l'originalità chele viene da questa augusta fusione di un valore naziona-le che, solo, avrebbe condotto alle manifestazioni di unosterile e limitato nazionalismo e che invece, animato dalsoffio potente della religione, ha portato a una fede uni-versale entro la quale, con giusta ragione e per le mi-gliori fortune della cultura orientale, opera in posizionedi privilegio una grande tradizione, della quale abbiamotentato qui sopra disegnare alcuni tratti, la tradizionearaba. È questo l'aspetto dell'azione di Maometto che gliconferisce non solo la dignità di grande personalità sto-rica, ma eleva insieme la sua azione al disopra di me-schini sospetti di impostura e di azione egoistica. La

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ebbe con le tribù arabe nelle feste del pellegrinaggio allaMecca, attraverso l'esperienza che fu viva in lui delleforme di vita dell'arabismo, concepì ben presto entro lasua ricettiva psiche una essenziale armonia fra tali valorie quelle ragioni superiori di vita religiosa che la vita diArabia andava affermando. Credo che il frutto più pre-zioso della meditazione su questi punti possa dirsi l'ideadi una vera missione che si è presentata a questa co-scienza, la quale, aperta ai ricordi del passato, piena diaffetto per la nazione araba e nello stesso tempo com-presa del bisogno di una vita religiosa superiore, dellaesigenza di una morale non autonoma, ha saputo inseri-re negli schemi della tradizione araba le migliori mani-festazioni del senso di dipendenza da Dio, provenientidalle religioni monoteistiche, del bisogno di attribuirglionore e di osservare la sua legge, creando così una reli-gione con un'insopprimibile originalità; l'originalità chele viene da questa augusta fusione di un valore naziona-le che, solo, avrebbe condotto alle manifestazioni di unosterile e limitato nazionalismo e che invece, animato dalsoffio potente della religione, ha portato a una fede uni-versale entro la quale, con giusta ragione e per le mi-gliori fortune della cultura orientale, opera in posizionedi privilegio una grande tradizione, della quale abbiamotentato qui sopra disegnare alcuni tratti, la tradizionearaba. È questo l'aspetto dell'azione di Maometto che gliconferisce non solo la dignità di grande personalità sto-rica, ma eleva insieme la sua azione al disopra di me-schini sospetti di impostura e di azione egoistica. La

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manifestazione più evidente di tale attività armonisticasta in quel ravvicinamento del culto musulmano alla tra-dizione araba, ottenuto per mezzo della inserzione dellecerimonie del pellegrinaggio nella pratica musulmana edel coordinamento della supposta vita di Abramo inArabia con lo stabilimento del luogo principale del cultoarabico; insieme con la dichiarazione che la nuova co-munità era la comunità di Abramo, professante la reli-gione pura, la religione ḥanīf. Qui occorre naturalmentericordare che questa riconnessione di Maometto non èdiretta a collegare gli Arabi con la tradizione ebraica,bensì a qualche cosa che, come dimostrano le tradizionisugli Ḥanīf, e come dimostra ancora la tendenza mono-teistica degli antichi Arabi, era strettamente congenitoalla tradizione araba. Lo stile del Corano infine, che perproclamare la nuova era religiosa adopera il fraseggiaretradizionale degli antichi Arabi, è un segno chiaramenteindicatore che ci conferma nella nostra direzione.Tale funzione storica è così piena di dignità, i risultatiche ne nascono così operanti per l'elevazione religiosadell'umanità, che, come abbiamo altra volta accennato,si può porre con ogni moderazione, e si potrebbe direcon ogni riserva e precauzione, la questione se tale gran-dioso divenire possa concepirsi come piano di una supe-riore Provvidenza che ha veduto in tale forma l'unica viaper condurre alla confessione della superiore divinità eall'affermazione di un sistema di giusta retribuzione e didovuto omaggio al Dio unico dell'umanità anime troppo

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manifestazione più evidente di tale attività armonisticasta in quel ravvicinamento del culto musulmano alla tra-dizione araba, ottenuto per mezzo della inserzione dellecerimonie del pellegrinaggio nella pratica musulmana edel coordinamento della supposta vita di Abramo inArabia con lo stabilimento del luogo principale del cultoarabico; insieme con la dichiarazione che la nuova co-munità era la comunità di Abramo, professante la reli-gione pura, la religione ḥanīf. Qui occorre naturalmentericordare che questa riconnessione di Maometto non èdiretta a collegare gli Arabi con la tradizione ebraica,bensì a qualche cosa che, come dimostrano le tradizionisugli Ḥanīf, e come dimostra ancora la tendenza mono-teistica degli antichi Arabi, era strettamente congenitoalla tradizione araba. Lo stile del Corano infine, che perproclamare la nuova era religiosa adopera il fraseggiaretradizionale degli antichi Arabi, è un segno chiaramenteindicatore che ci conferma nella nostra direzione.Tale funzione storica è così piena di dignità, i risultatiche ne nascono così operanti per l'elevazione religiosadell'umanità, che, come abbiamo altra volta accennato,si può porre con ogni moderazione, e si potrebbe direcon ogni riserva e precauzione, la questione se tale gran-dioso divenire possa concepirsi come piano di una supe-riore Provvidenza che ha veduto in tale forma l'unica viaper condurre alla confessione della superiore divinità eall'affermazione di un sistema di giusta retribuzione e didovuto omaggio al Dio unico dell'umanità anime troppo

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lontane dalla verità nell'errore della più crassa idolatria,le quali hanno trovato una forma possibile di accettazio-ne nel carattere indubbio di compromesso che la stessanatura dell'Islam, composto dalla fusione di una tradi-zione pagana, e si potrebbe dire barbarica, per una parte,con superiori valori di altissime religioni per l'altra, con-tiene indubbiamente in sé.E giacché abbiamo accennato al compromesso, dobbia-mo rilevare un carattere che è indubbiamente proprio ditutta l'azione di Maometto. Egli, guidato dalla sua naturabenevola e facilmente bonaria, ha rifuggito da una for-mulazione troppo rigorosa di vita ascetica, dando eglistesso l'esempio di apprezzare al grado dovuto i beni diquesta terra, che per lui sono stati degnissimi di essergoduti. Si cita un famoso detto del Profeta nel quale egliavrebbe ammesso di amare i profumi e le donne, ag-giungendo subito che la cosa a lui più cara era la pre-ghiera. La stessa fusione della tradizione araba con lereligioni monoteistiche, su cui ci siamo a lungo trattenu-ti, ha sapore di compromesso, e corrispondentemente lostorico non può fare dell'Islam un fenomeno puramentearabo e neanche una pura imitazione di altre confessio-ni; per questo il fatto più importante da scorgere inMaometto è la creazione di storia nuova mediante uncompromesso tra tradizione nazionale e influsso stranie-ro. Così nelle più vive questioni di teodicea, per le qualia dir vero il Profeta non ha segnato una linea precisa, sivede che il senso della comunità attraverso la sua mani-

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lontane dalla verità nell'errore della più crassa idolatria,le quali hanno trovato una forma possibile di accettazio-ne nel carattere indubbio di compromesso che la stessanatura dell'Islam, composto dalla fusione di una tradi-zione pagana, e si potrebbe dire barbarica, per una parte,con superiori valori di altissime religioni per l'altra, con-tiene indubbiamente in sé.E giacché abbiamo accennato al compromesso, dobbia-mo rilevare un carattere che è indubbiamente proprio ditutta l'azione di Maometto. Egli, guidato dalla sua naturabenevola e facilmente bonaria, ha rifuggito da una for-mulazione troppo rigorosa di vita ascetica, dando eglistesso l'esempio di apprezzare al grado dovuto i beni diquesta terra, che per lui sono stati degnissimi di essergoduti. Si cita un famoso detto del Profeta nel quale egliavrebbe ammesso di amare i profumi e le donne, ag-giungendo subito che la cosa a lui più cara era la pre-ghiera. La stessa fusione della tradizione araba con lereligioni monoteistiche, su cui ci siamo a lungo trattenu-ti, ha sapore di compromesso, e corrispondentemente lostorico non può fare dell'Islam un fenomeno puramentearabo e neanche una pura imitazione di altre confessio-ni; per questo il fatto più importante da scorgere inMaometto è la creazione di storia nuova mediante uncompromesso tra tradizione nazionale e influsso stranie-ro. Così nelle più vive questioni di teodicea, per le qualia dir vero il Profeta non ha segnato una linea precisa, sivede che il senso della comunità attraverso la sua mani-

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Page 279: Classici Stranieri

festazione più augusta, e cioè l'ortodossia, ha sempre, sidirebbe per istinto, risuscitata la formula del Profeta,quale essa può essere dedotta non da definizioni concre-te che, come abbiamo già detto, mancano, ma dal sensodi moderazione e di compromesso che egli ha promossoe che è rimasto per sempre caratteristico dell'Islam.Così, se per l'osservatore superficiale può sentire di con-traddizione il concreto senso di ascesi che indubbiamen-te inerisce alle origini dell'Islam e a tante sue manifesta-zioni, e d'altra parte la mancanza di severe norme di vitasessuale, si potrebbe dire anzi una concreta inclinazioneverso la licenza, ciò non deve condurre ad erronee con-clusioni, ma solamente deve essere ricondotto a quellospirito di conciliazione che vediamo proprio in Maomet-to e che qui si manifesta nella tentata armonia tra la con-cessione alla fralezza umana e l'alto valore dell'ascesi,figlia diretta dell'aspettazione timorosa del giudizio, mo-tivo principale, come abbiamo veduto, della primitivaispirazione di Maometto. E alla luce di queste riflessionisi può anche considerare il problema della sincerità diMaometto. Più fatti, tra cui lo spirito di religiosità cheemana dal Corano, tra cui anche il favore che la sua pre-dicazione trovò presso spiriti alti di profonda religiositàe che diedero nella storia prove solenni del loro attacca-mento sincero all'Islam e alla religione, come primi tratutti Abū Bakr e Omar, insieme tutto il meraviglioso svi-luppo di ascetica e mistica che è sorto entro all'Islam,rendono inammissibile l'ipotesi che il primo propulsoredi tal movimento non fosse che un volgare impostore. E

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festazione più augusta, e cioè l'ortodossia, ha sempre, sidirebbe per istinto, risuscitata la formula del Profeta,quale essa può essere dedotta non da definizioni concre-te che, come abbiamo già detto, mancano, ma dal sensodi moderazione e di compromesso che egli ha promossoe che è rimasto per sempre caratteristico dell'Islam.Così, se per l'osservatore superficiale può sentire di con-traddizione il concreto senso di ascesi che indubbiamen-te inerisce alle origini dell'Islam e a tante sue manifesta-zioni, e d'altra parte la mancanza di severe norme di vitasessuale, si potrebbe dire anzi una concreta inclinazioneverso la licenza, ciò non deve condurre ad erronee con-clusioni, ma solamente deve essere ricondotto a quellospirito di conciliazione che vediamo proprio in Maomet-to e che qui si manifesta nella tentata armonia tra la con-cessione alla fralezza umana e l'alto valore dell'ascesi,figlia diretta dell'aspettazione timorosa del giudizio, mo-tivo principale, come abbiamo veduto, della primitivaispirazione di Maometto. E alla luce di queste riflessionisi può anche considerare il problema della sincerità diMaometto. Più fatti, tra cui lo spirito di religiosità cheemana dal Corano, tra cui anche il favore che la sua pre-dicazione trovò presso spiriti alti di profonda religiositàe che diedero nella storia prove solenni del loro attacca-mento sincero all'Islam e alla religione, come primi tratutti Abū Bakr e Omar, insieme tutto il meraviglioso svi-luppo di ascetica e mistica che è sorto entro all'Islam,rendono inammissibile l'ipotesi che il primo propulsoredi tal movimento non fosse che un volgare impostore. E

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Page 280: Classici Stranieri

abbiamo già qui sopra indicato che il grande processo difusione di due tradizioni, l'araba e la cristiano-giudaica,è anche un segno che ci mostra la natura religiosamentepotente del movimento, quale difficilmente sarebbe po-tuta nascere dagli inganni di un falsificatore. Dobbiamosì, certo, guardare alla natura umana ed araba di Mao-metto, e spiegare molte debolezze con le esigenze diquella natura, che come abbiamo detto lo ha condotto acompromesso. Dobbiamo infine ricordare che a Mao-metto è mancata l'assistenza della divina coerenza delCristianesimo, il quale, per il sovrumano impulso del di-vino fondatore, ha proclamato con un'intransigenza cheS. Paolo stesso non esitò a chiamare «moría», pazzia, laviltà di ogni valore esclusivamente umano. La sua debo-lezza umana non ha trovato l'appoggio dei divieti asso-luti e categorici del Cristianesimo e del suo divino ec-cesso; l'obiezione quindi che possa esser mossa alla suasincerità partendo anche dalla sua sensualità va riesami-nata alla luce di un'indagine psicologica. Ed alla luce diessa, con la considerazione profonda dell'ambiente ara-bo, non apparrà neanche sorprendente che il Profeta,avendo in mano la formidabile arma della rivelazione,alla quale egli fin da principio ha creduto sinceramente,se ne sia valso per scopi connessi troppo da presso coninteressi politici o addirittura per i suoi scopi egoisticiparticolari, e per fondare divinamente vantaggi o privi-legi per la sua persona. Resta quindi indubbio che il suoprimo slancio, il suo timore della giusta retribuzione diDio, le manifestazioni di amore divino che appaiono nel

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abbiamo già qui sopra indicato che il grande processo difusione di due tradizioni, l'araba e la cristiano-giudaica,è anche un segno che ci mostra la natura religiosamentepotente del movimento, quale difficilmente sarebbe po-tuta nascere dagli inganni di un falsificatore. Dobbiamosì, certo, guardare alla natura umana ed araba di Mao-metto, e spiegare molte debolezze con le esigenze diquella natura, che come abbiamo detto lo ha condotto acompromesso. Dobbiamo infine ricordare che a Mao-metto è mancata l'assistenza della divina coerenza delCristianesimo, il quale, per il sovrumano impulso del di-vino fondatore, ha proclamato con un'intransigenza cheS. Paolo stesso non esitò a chiamare «moría», pazzia, laviltà di ogni valore esclusivamente umano. La sua debo-lezza umana non ha trovato l'appoggio dei divieti asso-luti e categorici del Cristianesimo e del suo divino ec-cesso; l'obiezione quindi che possa esser mossa alla suasincerità partendo anche dalla sua sensualità va riesami-nata alla luce di un'indagine psicologica. Ed alla luce diessa, con la considerazione profonda dell'ambiente ara-bo, non apparrà neanche sorprendente che il Profeta,avendo in mano la formidabile arma della rivelazione,alla quale egli fin da principio ha creduto sinceramente,se ne sia valso per scopi connessi troppo da presso coninteressi politici o addirittura per i suoi scopi egoisticiparticolari, e per fondare divinamente vantaggi o privi-legi per la sua persona. Resta quindi indubbio che il suoprimo slancio, il suo timore della giusta retribuzione diDio, le manifestazioni di amore divino che appaiono nel

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Corano così chiaramente da indurre il Massignon a cer-care in esse la vera e prima fonte dell'atteggiamento mi-stico dell'Islam, non sono stati frutto di una calcolataastuzia per raggirare i compatrioti e innalzarsi alla di-gnità di capo, ma frutto di un intimo moto religioso, dicui noi abbiamo qui sopra cercato le fonti, sia nel sensodel sacro che le antiche cerimonie pagane gl'infondeva-no, e che nutrivano anche i culti per le antiche divinità,sia anche, soprattutto, nell'influsso del Giudaismo e delCristianesimo. Questo ha inteso la Comunità, e con ilsuo atteggiamento nei secoli, che costituisce corrispon-dentemente un'altra prova della sincerità del Profeta, gliha attribuito una venerazione e un culto che sono tipicidell'Islam. Anche nelle vicende che hanno allontanatouna parte della comunità dall'ortodossia e hanno condot-to all'elevazione a scapito del Profeta stesso di altri per-sonaggi del primitivo Islam, come soprattutto ‘Alī e lasua famiglia, a Maometto rimane sempre un posto altis-simo che poi gli è costantemente attribuito nel processodi glorificazione che sempre più elevò la figura del Pro-feta a quella di essere privilegiato di perfezione sovru-mana e dotato di poteri taumaturgici. E gli si attribuì, sulfondamento della visione del suo viaggio notturno daMecca a Gerusalemme, l'ascesa al cielo219 durante la sua

219 Il cosiddetto mi‘rāg, il racconto del quale, sviluppato ed elaborato dallafantasia religiosa dell'Islam ha dato spunto ad una copiosa letteratura suiregni d'oltretomba, nella quale il grande islamista spagnolo M. ASÍN

PALACIOS, in un suo libro diventato famoso (La escatologia musulmana enla Divina Comedia, Madrid, 1919, 2a ed., 1943), ha voluto ravvisare lafonte precipua di Dante. Recentemente U. MONNERET DE VILLARD, Lo studio

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Corano così chiaramente da indurre il Massignon a cer-care in esse la vera e prima fonte dell'atteggiamento mi-stico dell'Islam, non sono stati frutto di una calcolataastuzia per raggirare i compatrioti e innalzarsi alla di-gnità di capo, ma frutto di un intimo moto religioso, dicui noi abbiamo qui sopra cercato le fonti, sia nel sensodel sacro che le antiche cerimonie pagane gl'infondeva-no, e che nutrivano anche i culti per le antiche divinità,sia anche, soprattutto, nell'influsso del Giudaismo e delCristianesimo. Questo ha inteso la Comunità, e con ilsuo atteggiamento nei secoli, che costituisce corrispon-dentemente un'altra prova della sincerità del Profeta, gliha attribuito una venerazione e un culto che sono tipicidell'Islam. Anche nelle vicende che hanno allontanatouna parte della comunità dall'ortodossia e hanno condot-to all'elevazione a scapito del Profeta stesso di altri per-sonaggi del primitivo Islam, come soprattutto ‘Alī e lasua famiglia, a Maometto rimane sempre un posto altis-simo che poi gli è costantemente attribuito nel processodi glorificazione che sempre più elevò la figura del Pro-feta a quella di essere privilegiato di perfezione sovru-mana e dotato di poteri taumaturgici. E gli si attribuì, sulfondamento della visione del suo viaggio notturno daMecca a Gerusalemme, l'ascesa al cielo219 durante la sua

219 Il cosiddetto mi‘rāg, il racconto del quale, sviluppato ed elaborato dallafantasia religiosa dell'Islam ha dato spunto ad una copiosa letteratura suiregni d'oltretomba, nella quale il grande islamista spagnolo M. ASÍN

PALACIOS, in un suo libro diventato famoso (La escatologia musulmana enla Divina Comedia, Madrid, 1919, 2a ed., 1943), ha voluto ravvisare lafonte precipua di Dante. Recentemente U. MONNERET DE VILLARD, Lo studio

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vita.Tutto il lavorìo, che ha così elevato Maometto nella co-scienza della sua comunità a persona di dignità quasi di-vina e lo ha reso elemento fondamentale di ogni costru-zione religiosa, è mirabilmente esposto dallo stesso An-drae220 i cui studi ci hanno già efficacemente guidato inquesta esposizione. E l'uomo colto, che oggi nei paesimusulmani vede umilissimi servi esaltarsi alla lettura diingenue esposizioni di miracoli del Profeta, o di sue pre-diche, spesso apocrife, sente rivivere ancora la forza diquella personalità religiosa che ha conquistato il cuoredei suoi antichi fedeli e li ha portati all'impero del mon-do e vive ancora nel devoto ricordo degli aderenti umilie dotti di oggi; forza, questa, che mai avrebbe potutoprendere l'abbrivio da una vile impostura.

dell'Islam in Europa, Città del Vaticano, 1944 (Studi e Testi, n. 110), p. 53,ha segnalato la esistenza di versioni in latino, spagnolo, francese di un te-sto arabo relativo al mi‘rāg. Esso sarà pubblicato prossimamente da E. Ce-rulli. [V. ora E. CERULLI, Il "Libro della Scala" e la questione delle fontiarabo-spagnole della Divina Commedia, Città del Vaticano, 1949 (Studi eTesti n. 150) (Nota dell'editore)].

220 TOR ANDRAE, Die Person Muhammeds in Lehre und Glauben seiner Ge-meinde, Stockholm, 1918 (Archives d'Études Orientales, vol. 16).

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vita.Tutto il lavorìo, che ha così elevato Maometto nella co-scienza della sua comunità a persona di dignità quasi di-vina e lo ha reso elemento fondamentale di ogni costru-zione religiosa, è mirabilmente esposto dallo stesso An-drae220 i cui studi ci hanno già efficacemente guidato inquesta esposizione. E l'uomo colto, che oggi nei paesimusulmani vede umilissimi servi esaltarsi alla lettura diingenue esposizioni di miracoli del Profeta, o di sue pre-diche, spesso apocrife, sente rivivere ancora la forza diquella personalità religiosa che ha conquistato il cuoredei suoi antichi fedeli e li ha portati all'impero del mon-do e vive ancora nel devoto ricordo degli aderenti umilie dotti di oggi; forza, questa, che mai avrebbe potutoprendere l'abbrivio da una vile impostura.

dell'Islam in Europa, Città del Vaticano, 1944 (Studi e Testi, n. 110), p. 53,ha segnalato la esistenza di versioni in latino, spagnolo, francese di un te-sto arabo relativo al mi‘rāg. Esso sarà pubblicato prossimamente da E. Ce-rulli. [V. ora E. CERULLI, Il "Libro della Scala" e la questione delle fontiarabo-spagnole della Divina Commedia, Città del Vaticano, 1949 (Studi eTesti n. 150) (Nota dell'editore)].

220 TOR ANDRAE, Die Person Muhammeds in Lehre und Glauben seiner Ge-meinde, Stockholm, 1918 (Archives d'Études Orientales, vol. 16).

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INDICEDEI NOMI PROPRI E

DEI VOCABOLI ARABI*

abābīl (uccelli mitici)abaita al-‘lana (non maledire!)al-‘AbbāsAbbasidi‘Abd ad-Dār‘Abd Kulāl‘Abd al-Malik ibn Hishām‘Abd Manāf‘Abd al-Muṭṭalib‘Abd Shams (Servo del Sole)‘Abd Shams‘Ābd ash-Shams Saba’‘Abd ash-Shāriq (Servo del [Sole] Sorgente)

* Sono omessi i nomi «Arabi», «Arabia», «Maometto», «Islam». L'articoloarabo al- e le sue forme assimilate ad-, aḍ-, adh- ecc. non contano nella se-rie alfabetica. Nei nomi preceduti da «Gebel» (monte) e «Banū» (figli di...,nei nomi di tribù) queste due parole sono omesse. La parola «ibn» tra duenomi di persona significa «figlio di...».

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INDICEDEI NOMI PROPRI E

DEI VOCABOLI ARABI*

abābīl (uccelli mitici)abaita al-‘lana (non maledire!)al-‘AbbāsAbbasidi‘Abd ad-Dār‘Abd Kulāl‘Abd al-Malik ibn Hishām‘Abd Manāf‘Abd al-Muṭṭalib‘Abd Shams (Servo del Sole)‘Abd Shams‘Ābd ash-Shams Saba’‘Abd ash-Shāriq (Servo del [Sole] Sorgente)

* Sono omessi i nomi «Arabi», «Arabia», «Maometto», «Islam». L'articoloarabo al- e le sue forme assimilate ad-, aḍ-, adh- ecc. non contano nella se-rie alfabetica. Nei nomi preceduti da «Gebel» (monte) e «Banū» (figli di...,nei nomi di tribù) queste due parole sono omesse. La parola «ibn» tra duenomi di persona significa «figlio di...».

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‘Abdah ibn Mus-hir‘Abdallāh (padre di Maometto)‘Abdallāh ibn Abū Sarḥ‘Abdallāh ibn Giaḥsh‘Abdallāh ibn UbayyAbi Karib As‘ad‘Ābīd ibn Sharyah al-GiurhumīAbīlAbissini, Abissinia, e v. Etiopia.AbrahahAbrahah Dhu ’l-ManārAbramoAbū BakrAbū HurairahAbū Karib As‘ad (Tubba‘ al-Ausat)Abū Mālik AqranAbū Qubais (monte)Abū RighālAbū SufyānAbū ṬālibAbulfeda

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‘Abdah ibn Mus-hir‘Abdallāh (padre di Maometto)‘Abdallāh ibn Abū Sarḥ‘Abdallāh ibn Giaḥsh‘Abdallāh ibn UbayyAbi Karib As‘ad‘Ābīd ibn Sharyah al-GiurhumīAbīlAbissini, Abissinia, e v. Etiopia.AbrahahAbrahah Dhu ’l-ManārAbramoAbū BakrAbū HurairahAbū Karib As‘ad (Tubba‘ al-Ausat)Abū Mālik AqranAbū Qubais (monte)Abū RighālAbū SufyānAbū ṬālibAbulfeda

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‘Ād, ‘ĀditiAdamoAden‘Ādī (re di al-Ḥīrah)‘Ādnān, ‘ĀdnānitiAdrianoAfilaal-AflagAfricaAfricusAgar, e v. HagarAgia’ (monte)Agostino (s.)aḥabīsh (milizie della Mecca)aḥabār (dottori ebrei di Medina)Aḥmad (nome mistico di Maometto)al-Aḥqāfaḥqāf ar-raml (montagne di sabbia)Ahrens, K.Aḥṣā‘A’ishah

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‘Ād, ‘ĀditiAdamoAden‘Ādī (re di al-Ḥīrah)‘Ādnān, ‘ĀdnānitiAdrianoAfilaal-AflagAfricaAfricusAgar, e v. HagarAgia’ (monte)Agostino (s.)aḥabīsh (milizie della Mecca)aḥabār (dottori ebrei di Medina)Aḥmad (nome mistico di Maometto)al-Aḥqāfaḥqāf ar-raml (montagne di sabbia)Ahrens, K.Aḥṣā‘A’ishah

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al-Akhḍar (monte)al-AkhṭalAkhūdemmēhĀkil al-Murār v. Ḥugr Ākil al-MurārAksum, Aksumitial-‘Alā’ (ibn al-Ḥaḍrami)‘AlawitiAleppoAlessandro Magno‘Alī‘Alī Bey al-‘Abbāsī v. Badía y Leblich, DomingoAllāhAllāh akbar (Allah è il più grande)Allāt (Alilat)‘Alqamah Dhū Giadan‘ām al fīl (anno dell'Elefante)Amaleciti ‘AmāliqĀminah‘ĀmirAmoriti‘Amr (Tubba‘)

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al-Akhḍar (monte)al-AkhṭalAkhūdemmēhĀkil al-Murār v. Ḥugr Ākil al-MurārAksum, Aksumitial-‘Alā’ (ibn al-Ḥaḍrami)‘AlawitiAleppoAlessandro Magno‘Alī‘Alī Bey al-‘Abbāsī v. Badía y Leblich, DomingoAllāhAllāh akbar (Allah è il più grande)Allāt (Alilat)‘Alqamah Dhū Giadan‘ām al fīl (anno dell'Elefante)Amaleciti ‘AmāliqĀminah‘ĀmirAmoriti‘Amr (Tubba‘)

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‘Amr ibn Luḥayy‘Amr al-Mauthabān‘Amr Muzaiqiyā’AmurruAndrae, T.‘AneizahAnmārAnṣār‘AntarahApocrifial-‘Aqabahal-Aqran v. Abū Karib Aqranal-Aqṣā‘arab (nomadi)Arabia DesertaArabia FelixArabia Petraea‘ArafahAragdosAram, ArameiArdashīr Bahman ibn Isfandiyār

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‘Amr ibn Luḥayy‘Amr al-Mauthabān‘Amr Muzaiqiyā’AmurruAndrae, T.‘AneizahAnmārAnṣār‘AntarahApocrifial-‘Aqabahal-Aqran v. Abū Karib Aqranal-Aqṣā‘arab (nomadi)Arabia DesertaArabia FelixArabia Petraea‘ArafahAragdosAram, ArameiArdashīr Bahman ibn Isfandiyār

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‘āribah (parlanti arabo)Arnaud, Th. A.AronneArphaxadArsacidi‘aṣabiyyah (spirito di corpo)As‘ad (tribù)As‘ ad v. Abū Karib As‘adAsāfil al-Yemenasāṭir al-awwalīn (favole degli antichi)al-A‘shā‘āshūrā (digiuno)Asia‘AsīrAsmā’Assiri, Assiro-babilonesiAstarte‘AthtarAugustoAusAusān

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‘āribah (parlanti arabo)Arnaud, Th. A.AronneArphaxadArsacidi‘aṣabiyyah (spirito di corpo)As‘ad (tribù)As‘ ad v. Abū Karib As‘adAsāfil al-Yemenasāṭir al-awwalīn (favole degli antichi)al-A‘shā‘āshūrā (digiuno)Asia‘AsīrAsmā’Assiri, Assiro-babilonesiAstarte‘AthtarAugustoAusAusān

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Avaris, Awārayyām al-‘Arab (guerre di tribù)AzdAzqīr

Ba‘al,Bāb el-MandebBabilonia, Babilonidebad‘ (abrogazione)Badía y Leblich, Domingo (‘Alī Bey al-‘Abbāsi)Badrbadriyyūn (combattenti di Badr)BagdadBaḥirāBaḥreinbai‘at an-nisā’ (riconoscimento delle donne)bā’idah (popolazioni sparite)bairām (turco: festa)bait al-Midrās (sinagoga)bakkā’ūn (piagnoni)Bakr ibn Waā’ilBanū (figli di...)

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Avaris, Awārayyām al-‘Arab (guerre di tribù)AzdAzqīr

Ba‘al,Bāb el-MandebBabilonia, Babilonidebad‘ (abrogazione)Badía y Leblich, Domingo (‘Alī Bey al-‘Abbāsi)Badrbadriyyūn (combattenti di Badr)BagdadBaḥirāBaḥreinbai‘at an-nisā’ (riconoscimento delle donne)bā’idah (popolazioni sparite)bairām (turco: festa)bait al-Midrās (sinagoga)bakkā’ūn (piagnoni)Bakr ibn Waā’ilBanū (figli di...)

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bāqiyah (popolazioni sopravvissute)Barā‘ah (sura coranica)Bartoli, MatteoBarton, G. A.BarūkBaṭn Marral-BaṭnahBeirutBell, GertrudBeniamino da TudelaBerberiBēth ArbāyēBibbiaBidez, J.BilqīsBi’r Ma‘ūnahBisanzioBishtāsp,biya‘ (chiese)Blunt, AnneBokhtnaṣṣar

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bāqiyah (popolazioni sopravvissute)Barā‘ah (sura coranica)Bartoli, MatteoBarton, G. A.BarūkBaṭn Marral-BaṭnahBeirutBell, GertrudBeniamino da TudelaBerberiBēth ArbāyēBibbiaBidez, J.BilqīsBi’r Ma‘ūnahBisanzioBishtāsp,biya‘ (chiese)Blunt, AnneBokhtnaṣṣar

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BostraBottaBräunlich, E.Bu‘āthal-BukhārīBureidahBurckhardt, J.Burton, R. F.

Caetani, L.CaldeaCamCambiseCamito-semitiCananeiCaprotti, G.Carruthers, D.Caskel, W.CattolicesimoCaussin de Perceval, A. P.CedarCetura

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BostraBottaBräunlich, E.Bu‘āthal-BukhārīBureidahBurckhardt, J.Burton, R. F.

Caetani, L.CaldeaCamCambiseCamito-semitiCananeiCaprotti, G.Carruthers, D.Caskel, W.CattolicesimoCaussin de Perceval, A. P.CedarCetura

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ChatramutitaiCheesman, R. E.Cheikho, L.CinaCiroCiro il GiovaneClay, C. T.Cobilham (de), PedroConti Rossini, C.CoranoCresoCristianesimoCristo e v. GesùCrociateCtesifonteCumont, F.

ad-Dahnā’DamascoDantedār an-nadwah (sede del consiglio)Dario

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ChatramutitaiCheesman, R. E.Cheikho, L.CinaCiroCiro il GiovaneClay, C. T.Cobilham (de), PedroConti Rossini, C.CoranoCresoCristianesimoCristo e v. GesùCrociateCtesifonteCumont, F.

ad-Dahnā’DamascoDantedār an-nadwah (sede del consiglio)Dario

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DavidDe Goeje, M. J.DēdānDelitzsch, F.DeloDhū (quello di...)Dhu ’l-‘Awad (‘Amr al-Mauthabān)Dhū GiadanDhu Ma‘āhir Ḥassāndhu ’n-nusūr (quello degli avoltoi)Dhū NuwāsDhu ’l-QarnainDhū-RaidānDhū Ru‘ainDhū Shanātir (Luḥai‘at Yanūf)Dhu ’sh-Sharā (Dusares)Dhū Taulabānad-DimashqīDīn (monte)aḍ-ḌoḥaDougherty, R. Ph.

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DavidDe Goeje, M. J.DēdānDelitzsch, F.DeloDhū (quello di...)Dhu ’l-‘Awad (‘Amr al-Mauthabān)Dhū GiadanDhu Ma‘āhir Ḥassāndhu ’n-nusūr (quello degli avoltoi)Dhū NuwāsDhu ’l-QarnainDhū-RaidānDhū Ru‘ainDhū Shanātir (Luḥai‘at Yanūf)Dhu ’sh-Sharā (Dusares)Dhū Taulabānad-DimashqīDīn (monte)aḍ-ḌoḥaDougherty, R. Ph.

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Doughty, Ch. M.

EberEbionitiEbraismo e v. Giudaismo.EbreiEdomEfrem (s.)EgittoElio GallioElkesaitiElla Asbeḥa‘ěrābhāh (ebraico: steppa)EraclioEratosteneEritreaErodotoEtbaiEtiopia e v. Abissinia.EufrateEutimio (s.)‘Ēzānā

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Doughty, Ch. M.

EberEbionitiEbraismo e v. Giudaismo.EbreiEdomEfrem (s.)EgittoElio GallioElkesaitiElla Asbeḥa‘ěrābhāh (ebraico: steppa)EraclioEratosteneEritreaErodotoEtbaiEtiopia e v. Abissinia.EufrateEutimio (s.)‘Ēzānā

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Fadakfakhr (vanto)al-Farazdaqal-Fātiḥah (sura coranica)FāṭimahFatimidial-FigiārFihr ibn Mālikfīl (elefante)Finati, G.Fischer, A.Forbes, RositaFresnel, F.Friedländer, I.

GabrieleGarcía Gómez, E.GeddaGedeoneGeiger, A.Geographia NubiensisGeremia

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Fadakfakhr (vanto)al-Farazdaqal-Fātiḥah (sura coranica)FāṭimahFatimidial-FigiārFihr ibn Mālikfīl (elefante)Finati, G.Fischer, A.Forbes, RositaFresnel, F.Friedländer, I.

GabrieleGarcía Gómez, E.GeddaGedeoneGeiger, A.Geographia NubiensisGeremia

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GericoGerraGerusalemmeGesenius, W.Gesù e v. Cristoghabghab (favissa)GhālibGhassān, GhassānidiGhūlGhumdānGiabrīnGiacomo BaradeoGiadīsGiafnahal-GiarādatānGiarīral-Giaufginn (spiriti)GiosuèGiovanni (s.)Gi‘rānah

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GericoGerraGerusalemmeGesenius, W.Gesù e v. Cristoghabghab (favissa)GhālibGhassān, GhassānidiGhūlGhumdānGiabrīnGiacomo BaradeoGiadīsGiafnahal-GiarādatānGiarīral-Giaufginn (spiriti)GiosuèGiovanni (s.)Gi‘rānah

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GirgīrGiudaismo e v. EbraismoGiudei e v. EbreiGiurhumGiustinianoGiustinoGlaser, E.Goldziher, I.Greci, GreciaGregorio (patrizio)Griffini, E.Guarmani, C.Guidi, I.

ḤabashatHadhādḥadīth (tradizione su Maometto)ḤaḍramūtHagar e v. Agarḥagg (pellegrinaggio)ḥaggiat al-wadā‘ (pellegrinaggio di addio)Ḥā᾽il

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GirgīrGiudaismo e v. EbraismoGiudei e v. EbreiGiurhumGiustinianoGiustinoGlaser, E.Goldziher, I.Greci, GreciaGregorio (patrizio)Griffini, E.Guarmani, C.Guidi, I.

ḤabashatHadhādḥadīth (tradizione su Maometto)ḤaḍramūtHagar e v. Agarḥagg (pellegrinaggio)ḥaggiat al-wadā‘ (pellegrinaggio di addio)Ḥā᾽il

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Page 298: Classici Stranieri

ḥakam (arbitro)Halévy, J.Hamdānal-Hamdānīḥammād (deserto sassoso)Ḥamzah (ibn ‘Abd al-Muṭṭalibḥanif (monoteista preislamico)Ḥanīfahḥaram (territorio sacro)al-Ḥaramān (i due recinti sacri)al-Ḥārith Val-Ḥārith ibn ‘Amral-Hārith ar-Rā’ishḥarrah (deserto vulcanico),Hartmann, M.al-ḤaṣāḤaṣermawetHāshim, Hāshimitihāshim (spezzettatore)Ḥassān (Tubba‘)Hatra

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ḥakam (arbitro)Halévy, J.Hamdānal-Hamdānīḥammād (deserto sassoso)Ḥamzah (ibn ‘Abd al-Muṭṭalibḥanif (monoteista preislamico)Ḥanīfahḥaram (territorio sacro)al-Ḥaramān (i due recinti sacri)al-Ḥārith Val-Ḥārith ibn ‘Amral-Hārith ar-Rā’ishḥarrah (deserto vulcanico),Hartmann, M.al-ḤaṣāḤaṣermawetHāshim, Hāshimitihāshim (spezzettatore)Ḥassān (Tubba‘)Hatra

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Page 299: Classici Stranieri

ḤaurānHausherr, I.Hawāzinḥigiābah (custodia della Ka‘bah)Ḥigiāzhigrah (ègira)Hilālhimā (riserva)Ḥimyar, ḤimyaritiHind (regina di al-Ḥīrah)Hind (moglie di Abū Sufyān)Ḥirā’ (monte)al-ḤīrahḤismāHodeidaHofhūfHommel, F.HubalHūdḤudaibiyahHudhailiti

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ḤaurānHausherr, I.Hawāzinḥigiābah (custodia della Ka‘bah)Ḥigiāzhigrah (ègira)Hilālhimā (riserva)Ḥimyar, ḤimyaritiHind (regina di al-Ḥīrah)Hind (moglie di Abū Sufyān)Ḥirā’ (monte)al-ḤīrahḤismāHodeidaHofhūfHommel, F.HubalHūdḤudaibiyahHudhailiti

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Page 300: Classici Stranieri

Ḥugr Ākil al-MurārḤunainHyksos

‘IbādIbn ‘AbbāsIbn BaṭṭūṭahIbn DuraidIbn Hishām v. ‘Ābd al-Malik ibn HishāmIbn IsḥāqIbn KhaldūnIbn QutaibahIbn Sa‘dIbn Sa‘ūdal-IdrīsīIdumea, IdumeiIfrīqiyah e v. AfricaIfrīqūsĪlIlī‘azzuIlmuqah‘imāmah (turbante)

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Ḥugr Ākil al-MurārḤunainHyksos

‘IbādIbn ‘AbbāsIbn BaṭṭūṭahIbn DuraidIbn Hishām v. ‘Ābd al-Malik ibn HishāmIbn IsḥāqIbn KhaldūnIbn QutaibahIbn Sa‘dIbn Sa‘ūdal-IdrīsīIdumea, IdumeiIfrīqiyah e v. AfricaIfrīqūsĪlIlī‘azzuIlmuqah‘imāmah (turbante)

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Page 301: Classici Stranieri

Imru’ al-QaisIndiaIndiano (Oceano)IndoeuropeiIodysitaiIramIran e v. Persia‘Irāq,IsaccoIsāf,islām (abbandono)Ismaele, IsmaelitiIsraeliti e v. Ebrei.It’-am-a-raIyād

Jaeger, W.Jaussen, A.

Ka‘bKa‘b ibn al-AshrafKa‘bah

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Imru’ al-QaisIndiaIndiano (Oceano)IndoeuropeiIodysitaiIramIran e v. Persia‘Irāq,IsaccoIsāf,islām (abbandono)Ismaele, IsmaelitiIsraeliti e v. Ebrei.It’-am-a-raIyād

Jaeger, W.Jaussen, A.

Ka‘bKa‘b ibn al-AshrafKa‘bah

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Page 302: Classici Stranieri

Ka‘bah di Nagrānkabīr (capo)kāhin (indovino)al-KāhinānKahlānKalbkanā’is (chiese)Kara-bi-iluKariba’īlKariba’īl Watar IIKarnakarwān (uccello)KatabaneisKhadīgiahKhaibarKhālid (ibn al-Walīd)khandaq (fossa)Khārigitial-KhazragKhorāsānkhushūnah muḍariyyah (rozzezza dei Mudar)

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Ka‘bah di Nagrānkabīr (capo)kāhin (indovino)al-KāhinānKahlānKalbkanā’is (chiese)Kara-bi-iluKariba’īlKariba’īl Watar IIKarnakarwān (uccello)KatabaneisKhadīgiahKhaibarKhālid (ibn al-Walīd)khandaq (fossa)Khārigitial-KhazragKhorāsānkhushūnah muḍariyyah (rozzezza dei Mudar)

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Page 303: Classici Stranieri

khuṭbah (predica)Khuzā‘ahKilābKinānahKindahKōhēn figlio di AronneKremer (von), A.Kulai Karibal-Kuweit

labbaika Allahumma (ai tuoi servigi, Signore)Lakhm, LakhmidiLammens, H.Landberg, C.LatakiyyehLawrence, E. T.Leachman, G. E.LidiaLiḥyānitiliwā’ (stendardo)Loth, O.Lūd

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khuṭbah (predica)Khuzā‘ahKilābKinānahKindahKōhēn figlio di AronneKremer (von), A.Kulai Karibal-Kuweit

labbaika Allahumma (ai tuoi servigi, Signore)Lakhm, LakhmidiLammens, H.Landberg, C.LatakiyyehLawrence, E. T.Leachman, G. E.LidiaLiḥyānitiliwā’ (stendardo)Loth, O.Lūd

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Page 304: Classici Stranieri

Luḥai‘at Yanūf Dhū ShanātirLuqmānLuwayy

Ma‘addMa‘ānMa‘ān (figlia di Giurhum)MacorabaMadā’in ṢāliḥMadīnat an-nabī (cittā del Profeta)MaganMaghrebMagiMahrahMa‘in e v. Mineimala’ (assemblea)malik (re)Malikyakrub Yuha’min (Maliki Karib)Mamelucchi(al-) ManātManicheismomansūkh (abrogato)

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Luḥai‘at Yanūf Dhū ShanātirLuqmānLuwayy

Ma‘addMa‘ānMa‘ān (figlia di Giurhum)MacorabaMadā’in ṢāliḥMadīnat an-nabī (cittā del Profeta)MaganMaghrebMagiMahrahMa‘in e v. Mineimala’ (assemblea)malik (re)Malikyakrub Yuha’min (Maliki Karib)Mamelucchi(al-) ManātManicheismomansūkh (abrogato)

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Page 305: Classici Stranieri

Manzoni, Renzomaqām Ibrāhīm (stazione di Abramo)MariaMariaba e v. Mar’ib e MaryabMa᾽ribMaroccoMar’ al-Qais ibn ‘AmrMartyrium ArethaeMarwahMaryab e v. Ma᾽ribmasāgid (luoghi sacri)masgid (moschea)Mashārif ash-Shāmmaṣlaḥah (interesse)Massignon, L.al-Mauthabān v. ‘Amr al Mauthabānmawālī (clienti)MeccaMedina e v. YathribMediterraneoMeinaioi e v. Ma‘īn, Minei.

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Manzoni, Renzomaqām Ibrāhīm (stazione di Abramo)MariaMariaba e v. Mar’ib e MaryabMa᾽ribMaroccoMar’ al-Qais ibn ‘AmrMartyrium ArethaeMarwahMaryab e v. Ma᾽ribmasāgid (luoghi sacri)masgid (moschea)Mashārif ash-Shāmmaṣlaḥah (interesse)Massignon, L.al-Mauthabān v. ‘Amr al Mauthabānmawālī (clienti)MeccaMedina e v. YathribMediterraneoMeinaioi e v. Ma‘īn, Minei.

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Page 306: Classici Stranieri

MelukkhaMesopotamiaMeyer, E.Michaelis, J. D.Midian, MidianitiMidrashmikrāb (santuario)MināMinei e v. Ma‘in, Meinaioi.mi‘rāg (ascensione)miswad (consiglio)MoabMohammed AliMonneret de Villard, U.MonofisismoMontgomery, J. A.Morgan (de), J. J. M.Moritz, B.Mosèmu’ākhāh (affratellamento)Mu‘āwiyah

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MelukkhaMesopotamiaMeyer, E.Michaelis, J. D.Midian, MidianitiMidrashmikrāb (santuario)MināMinei e v. Ma‘in, Meinaioi.mi‘rāg (ascensione)miswad (consiglio)MoabMohammed AliMonneret de Villard, U.MonofisismoMontgomery, J. A.Morgan (de), J. J. M.Moritz, B.Mosèmu’ākhāh (affratellamento)Mu‘āwiyah

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Page 307: Classici Stranieri

Mu‘āwiyah ibn BakrMuḍāḍMuḍaral-MughammasMuhalhil ibn Rabī‘ahMuhāgirūnMuḥarram (mese)al-Mu‘izzMukallāMukarrab (Mukarrib)Müller, D. H.al-Multazammunāfiqūn (ipocriti)al-Mundhir IIIMurrahMurrah (tribù)MusailimahMusil, A.muslim (musulmano)musnad (scrittura sudarabica)Muṣri

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Mu‘āwiyah ibn BakrMuḍāḍMuḍaral-MughammasMuhalhil ibn Rabī‘ahMuhāgirūnMuḥarram (mese)al-Mu‘izzMukallāMukarrab (Mukarrib)Müller, D. H.al-Multazammunāfiqūn (ipocriti)al-Mundhir IIIMurrahMurrah (tribù)MusailimahMusil, A.muslim (musulmano)musnad (scrittura sudarabica)Muṣri

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Page 308: Classici Stranieri

musta‘ribah (arabizzati)muta’akhkhirah (posteriori)muta‘arribah (arabizzati)Mu’tahMu’tazilitiMuṭṭalibMuzdalifah

NabaiothNabateiNābitan-NaḍīrNaḍrnafs (anima)NagrānNā’ilahNakhlahNallino, C. A.an-Namir ibn TaulabNashwān ibn Sa‘īdnāsikh (abrogante)Nasr

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musta‘ribah (arabizzati)muta’akhkhirah (posteriori)muta‘arribah (arabizzati)Mu’tahMu’tazilitiMuṭṭalibMuzdalifah

NabaiothNabateiNābitan-NaḍīrNaḍrnafs (anima)NagrānNā’ilahNakhlahNallino, C. A.an-Namir ibn TaulabNashwān ibn Sa‘īdnāsikh (abrogante)Nasr

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Page 309: Classici Stranieri

NasṭūrNau, F.NefūdNefūd (Grande)Nefūd (Piccolo)NegdNemārahNemrodNestorianismoNicholson, R. A.Niebuhr, KarstenNielsen, D.Nilo (s.)NizārNoèNöldeke, Th.Noṣairi

OaditiOfirOman‘Omar

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NasṭūrNau, F.NefūdNefūd (Grande)Nefūd (Piccolo)NegdNemārahNemrodNestorianismoNicholson, R. A.Niebuhr, KarstenNielsen, D.Nilo (s.)NizārNoèNöldeke, Th.Noṣairi

OaditiOfirOman‘Omar

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Page 310: Classici Stranieri

OmmiadiOppenheim (von), M.al-‘OqairOuranie

PalestinaPalgrave, W. G.Palma (Cornelio)Palmira, Palmirena, PalmireniPaolo (s.)ParacletoParembolai (greco: accampamenti)Periplus Maris Erythraei (Periplo del Mare Eritreo)Persia, Persiani e v. Iran.Persico (Golfo)PetraPhilby, H. St.-J. B.Pietra neraPirati (Costa dei)Pitts, J.PlinioPompeo

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OmmiadiOppenheim (von), M.al-‘OqairOuranie

PalestinaPalgrave, W. G.Palma (Cornelio)Palmira, Palmirena, PalmireniPaolo (s.)ParacletoParembolai (greco: accampamenti)Periplus Maris Erythraei (Periplo del Mare Eritreo)Persia, Persiani e v. Iran.Persico (Golfo)PetraPhilby, H. St.-J. B.Pietra neraPirati (Costa dei)Pitts, J.PlinioPompeo

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Page 311: Classici Stranieri

PorfirioProcopioProvincia Arabia

Qaḥṭān, QaḥṭānidiQaidarqail (signore feudale)Qainuqā‘Qais ibn al-Khaṭīmqalam (penna)Qarmaṭi, 47Qarnā’uqaṣīdah (ode)Qaṣr el-Kheirqaṭā (uccello)QatabānQaṭūrā’qeryānā (siriaco: lezione liturgica)qiblah (direzione della preghiera)QubāQuḍā‘ahQudam ibn Qādim

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PorfirioProcopioProvincia Arabia

Qaḥṭān, QaḥṭānidiQaidarqail (signore feudale)Qainuqā‘Qais ibn al-Khaṭīmqalam (penna)Qarmaṭi, 47Qarnā’uqaṣīdah (ode)Qaṣr el-Kheirqaṭā (uccello)QatabānQaṭūrā’qeryānā (siriaco: lezione liturgica)qiblah (direzione della preghiera)QubāQuḍā‘ahQudam ibn Qādim

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Page 312: Classici Stranieri

Quraish, QuraiscitiQuraiẓahqur’ān (lettura)QuṣayyQuzaḥ

rabbāniyyūn (rabbini)Rabī‘ahRabi‘ah ibn NaṣrRaḍwā (monte)Ragiab (mese)RaḥmānānRaidān e v. Dhū-RaidānRamaḍān (mese)Raunkiaer, B.Renan, E.Rhodokanakis, N.ri’āsah (comando militare)riddah (apostasia)rifādah (ospitalità)ar-Rimālriqqah yamaniyyah (finezza del Yemen)

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Quraish, QuraiscitiQuraiẓahqur’ān (lettura)QuṣayyQuzaḥ

rabbāniyyūn (rabbini)Rabī‘ahRabi‘ah ibn NaṣrRaḍwā (monte)Ragiab (mese)RaḥmānānRaidān e v. Dhū-RaidānRamaḍān (mese)Raunkiaer, B.Renan, E.Rhodokanakis, N.ri’āsah (comando militare)riddah (apostasia)rifādah (ospitalità)ar-Rimālriqqah yamaniyyah (finezza del Yemen)

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Page 313: Classici Stranieri

ar-RiyāḍRiyāḥ ibn MurrahRobertson Smith v. Smith, W. R.Rödiger, E.Roma, Romani, Impero RomanoRossi, EttoreRosso (Mare)Rualaar-Rub‘ al-KhālīRuḍāRutter, E.

Saba, SabeiSaba (s.)Saba’Sabaioi e v. Saba.SabatanSābir (monte)Sa‘dSa‘d ibn Mu‘ādhsādin, plur. sadanah (custode)Sadlier, G. F.

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ar-RiyāḍRiyāḥ ibn MurrahRobertson Smith v. Smith, W. R.Rödiger, E.Roma, Romani, Impero RomanoRossi, EttoreRosso (Mare)Rualaar-Rub‘ al-KhālīRuḍāRutter, E.

Saba, SabeiSaba (s.)Saba’Sabaioi e v. Saba.SabatanSābir (monte)Sa‘dSa‘d ibn Mu‘ādhsādin, plur. sadanah (custode)Sadlier, G. F.

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Page 314: Classici Stranieri

ṢafāSafateniSaharasāḥir (mago)Saif ibn Dhī Yazanṣā’iqah (flagello)salām (salute)SalḥēnṢāliḥSalīḥitiṣalm (aramaico: statua)Salmā (monte)Salmān al-FārisiSalomoneSamarcandaṢan‘āṣanam (idolo)SaraSaracenias-SarāhSargon II

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ṢafāSafateniSaharasāḥir (mago)Saif ibn Dhī Yazanṣā’iqah (flagello)salām (salute)SalḥēnṢāliḥSalīḥitiṣalm (aramaico: statua)Salmā (monte)Salmān al-FārisiSalomoneSamarcandaṢan‘āṣanam (idolo)SaraSaracenias-SarāhSargon II

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Page 315: Classici Stranieri

Sarnelli, T.SaṭīḥSayce, A. H.sayyid (capo)Schrader, E.Seetzen (von), U. J.SemSemitiSennacheribSenofonteSenussiSergio (s.)ShabwatShaddādShadīdShaibānshaikh (anziano)Shakespear, W. H. I.ShakrahShām e v. SiriaShamir

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Sarnelli, T.SaṭīḥSayce, A. H.sayyid (capo)Schrader, E.Seetzen (von), U. J.SemSemitiSennacheribSenofonteSenussiSergio (s.)ShabwatShaddādShadīdShaibānshaikh (anziano)Shakespear, W. H. I.ShakrahShām e v. SiriaShamir

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Page 316: Classici Stranieri

Shamir Yur‘ish (Yuhar‘ish)Shammar (monte)Shammar (tribù)ShamsSheba e v. SabaShelahShibāmShiqqShuraḥbīlShuraḥbi’īl Ya‘furShurahbi’īl Yakkuf (Tubba, al-Aṣghar)Siciliasidānah (custodia della Ka‘bah)Simeone (s.)Simeone di Bēth ArshamSinaisiqāyah (mantenimento)Sīrah (biografia di Maometto)Siri, SiriaṢirwaḥṢiyāmo

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Shamir Yur‘ish (Yuhar‘ish)Shammar (monte)Shammar (tribù)ShamsSheba e v. SabaShelahShibāmShiqqShuraḥbīlShuraḥbi’īl Ya‘furShurahbi’īl Yakkuf (Tubba, al-Aṣghar)Siciliasidānah (custodia della Ka‘bah)Simeone (s.)Simeone di Bēth ArshamSinaisiqāyah (mantenimento)Sīrah (biografia di Maometto)Siri, SiriaṢirwaḥṢiyāmo

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Page 317: Classici Stranieri

SkylaxSmith, W. R.Snouck Hurgronje, Ch.SpagnaSpengler, O.Sprenger, A.StilitiStrabonesugiūd (prostrazione)SuhailSulaimas-SulayyilSumaida‘suhūlah yamaniyyah (finezza del Yemen)Suwā‘

Tabābi‘ah v. Tubba‘aṭ-ṬabarīTabūkTaghlibṬāhā Ḥuseintaḥāluf (confederazione)

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SkylaxSmith, W. R.Snouck Hurgronje, Ch.SpagnaSpengler, O.Sprenger, A.StilitiStrabonesugiūd (prostrazione)SuhailSulaimas-SulayyilSumaida‘suhūlah yamaniyyah (finezza del Yemen)Suwā‘

Tabābi‘ah v. Tubba‘aṭ-ṬabarīTabūkTaghlibṬāhā Ḥuseintaḥāluf (confederazione)

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Page 318: Classici Stranieri

tahlīl (invocazione)taḥrīf (adulterazione)aṭ-Ṭā᾽ifTaimā’ta’līf al-qulūb (conciliazione dei cuori)TalmudTamīmTamna, Tamna‘TanūkhTaqwīm al-buldānTargumṬasmṭawāf (circumambulazione)Ṭayy’TemanTeodoretoTeofrasto, 74Thamūd, ThamūdeniThaqīftharīd (zuppa)Thaur (monte)

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tahlīl (invocazione)taḥrīf (adulterazione)aṭ-Ṭā᾽ifTaimā’ta’līf al-qulūb (conciliazione dei cuori)TalmudTamīmTamna, Tamna‘TanūkhTaqwīm al-buldānTargumṬasmṭawāf (circumambulazione)Ṭayy’TemanTeodoretoTeofrasto, 74Thamūd, ThamūdeniThaqīftharīd (zuppa)Thaur (monte)

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Page 319: Classici Stranieri

ThimanaeiThomas, BertramTiglat-pileser IIITigrèTigriTihāmahTitoTolomeiTolomeoTorahTorrey, C. C.TraianoTransgiordaniaTubba‘, plur. Tabābi‘ahTubba‘ al-Aqran (Tubba‘ al Akbar)Tubba‘ al-Aṣghar (Shuraḥbi’il Yakkuf)Tubba‘ Ḥassān (Shuraḥbi’il Ya‘fur)TurchestanTurchi, TurchiaTuwaiq (monte)

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ThimanaeiThomas, BertramTiglat-pileser IIITigrèTigriTihāmahTitoTolomeiTolomeoTorahTorrey, C. C.TraianoTransgiordaniaTubba‘, plur. Tabābi‘ahTubba‘ al-Aqran (Tubba‘ al Akbar)Tubba‘ al-Aṣghar (Shuraḥbi’il Yakkuf)Tubba‘ Ḥassān (Shuraḥbi’il Ya‘fur)TurchestanTurchi, TurchiaTuwaiq (monte)

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Page 320: Classici Stranieri

‘UdhrahUḥud (monte)‘Ukāẓal-‘UlāUmaim‘umrah (pia visita)‘Umrān‘Ūs‘Uthmān‘Uthmān ibn al-Ḥuwairith‘Uwairiḍ (monte)al-‘Uzzā

VangeloVarthema (de), Lodovico

WabārWaddWādī (ad-) DawāsirWādī HaurānWādī NagrānWādī al-Qurā

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‘UdhrahUḥud (monte)‘Ukāẓal-‘UlāUmaim‘umrah (pia visita)‘Umrān‘Ūs‘Uthmān‘Uthmān ibn al-Ḥuwairith‘Uwairiḍ (monte)al-‘Uzzā

VangeloVarthema (de), Lodovico

WabārWaddWādī (ad-) DawāsirWādī HaurānWādī NagrānWādī al-Qurā

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Page 321: Classici Stranieri

Wādī ar-RamlWādī ar-RummahWādī (as-) Sirḥānwafd, plur. wufūd (ambasciata)WahbWahb ibn MunabbihWahhābitiWallin, G. A.Waraqah ibn Naufalwathan (idolo)WathīlWavell, A. I.Weber, O.Wellhausen, J.Wellsted, J.Wetzstein, J. G.al-WidiānWinckler, H.Wrede (von) A.

Yaghūth(al-) Yamāmah

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Wādī ar-RamlWādī ar-RummahWādī (as-) Sirḥānwafd, plur. wufūd (ambasciata)WahbWahb ibn MunabbihWahhābitiWallin, G. A.Waraqah ibn Naufalwathan (idolo)WathīlWavell, A. I.Weber, O.Wellhausen, J.Wellsted, J.Wetzstein, J. G.al-WidiānWinckler, H.Wrede (von) A.

Yaghūth(al-) Yamāmah

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Page 322: Classici Stranieri

YamanatYanbu‘Yaqṭān v. YoqṭānYāqūtYa‘rubYasgiubYāsir (Tubba‘)Yāsir Yun‘im (Yasirum Yuhan‘um)Yath‘-AmarYathrib e v. MedinaYaum al-aḥzāb (la campagna dei confederati)Ya‘ūqYazidYemenYoqṭān

Zabbā’aẓ-Ẓafār (regione)Ẓafār (cittā)ZaidZaiditizakāh (tassa rituale)

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YamanatYanbu‘Yaqṭān v. YoqṭānYāqūtYa‘rubYasgiubYāsir (Tubba‘)Yāsir Yun‘im (Yasirum Yuhan‘um)Yath‘-AmarYathrib e v. MedinaYaum al-aḥzāb (la campagna dei confederati)Ya‘ūqYazidYemenYoqṭān

Zabbā’aẓ-Ẓafār (regione)Ẓafār (cittā)ZaidZaiditizakāh (tassa rituale)

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Page 323: Classici Stranieri

ZamzamZarqā’ al-Yamāmahaẓ-ẒawāhirZīridi

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ZamzamZarqā’ al-Yamāmahaẓ-ẒawāhirZīridi

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