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19/06/22 1 CISL DPEF 2005 2008 Osservazioni Appunti Proposte

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CISL DPEF 2005 2008. Osservazioni Appunti Proposte. CONFRONTO PARTI SOCIALI. Sicuramente qualche cosa è migliorata rispetto agli scorsi anni Più nella forma che nella sostanza Due incontri a Palazzo Chigi: - PowerPoint PPT Presentation

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Osservazioni Appunti Proposte

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CONFRONTO PARTI SOCIALI

Sicuramente qualche cosa è migliorata rispetto agli scorsi anni Più nella forma che nella sostanza Due incontri a Palazzo Chigi:

uno in andata dove ci sono state presentate più di una ventina di slide sugli orientamenti generali;

uno di ritorno dove il Governo non ha fatto altro che riproporci nella stessa forma del primo incontro i suoi orientamenti

Nessuna definizione sul merito delle cose, ma solo indicazioni generali

Nessuna risposta alle nostre osservazioni e proposte Questi incontri non hanno colto lo spirito e la lettera dell’accordo del

23 luglio 1993 che prevedeva una “sessione di politica dei redditi” prima della definizione del DPEF;

Si è rimasti ancora nel campo dell’informazione e non della concertazione

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ACCORDI NON RISPETTATI

Le nostre critiche alla politica economica del Governo nascevano - non certo da pregiudizi politici – ma dalla consapevolezza che il Paese si trovava a fronteggiare una congiuntura economica internazionale molto delicata e in profonda trasformazione. Abbiamo per anni richiamato la necessità di nuove politiche economiche perché preoccupati dalla piega che prendevano gli avvenimenti. Lo abbiamo fatto con rigore noi della Cisl, una organizzazione che non si è mai sottratta al confronto e alle sue responsabilità e che ha sempre agito senza pregiudiziali e in piena autonomia - Nei momenti più delicati del Paese non ci siamo mai tirati indietro. 

Abbiamo firmato con questo Governo un accordo, il cosiddetto “Patto per l’Italia” che ,al di là dell’abbassamento della pressione fiscale sui redditi più bassi, è rimasto inattuato su impegni precisi per il Mezzogiorno, l’innovazione, le infrastrutture ,le risorse umane, gli ammortizzatori sociali e sulla lotta al lavoro nero. Tutti temi che oggi si ripropongono e che, se attuati, avrebbero reso meno pesante la situazione.

Ora la Cisl con rigore chiede conto delle cose non fatte.    

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PROPOSTE AVANZATE Più volte in questi anni abbiamo avanzato critiche, proposte e suggerimenti sul DPEF, sulle

finanziarie oltre che sulle politiche industriali: lo scorso anno l’accordo con Confindustria, questa primavera proposte unitarie: non sono mai state prese in considerazione;

Non siamo stati ascoltati quando dicevamo che i condoni di varia natura non avrebbero risolto le questioni e che occorreva agire in modo deciso sull’evasione fiscale, sul sommerso, sul lavoro nero e attivare interventi più strutturali sul piano degli investimenti;

Abbiamo da tempo  presentato le difficoltà del nostro sistema industriale Si sono sottovalutate le problematiche che investivano il nostro capitalismo e le difficoltà che il nostro sistema produttivo doveva affrontare dentro i nuovi processi di internazionalizzazione dell’economia, della finanza e dei mercati. L’Italia è stata così incalzata sia dal “basso”, dai paesi emergenti, sia “dall’alto”, cioè da economie caratterizzate da produzioni ad alto contenuto tecnologico. Riteniamo che si siano sprecati tempo e potenzialità e che ci si sia illusi e illuso che questioni di questa portata potessero essere affrontate solo con interventi , in parte condivisi, sul mercato del lavoro. Si è cosi mantenuto il Paese in bilico tra sviluppo e regresso. I nodi ora sono tutti, qui, innanzi a noi, ed è difficile districarli.

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ABBANDONATA LA POLITICA DEI REDDITI

Si è operato in modo che la politica dei redditi divenisse insignificante, e questo per una serie di motivi:

La fissazione contro il nostro parere di un tasso di inflazione irrealistico (1,4) e improponibile;

La mancanza di una politica dei prezzi e delle tariffe, pur di fronte a un forte aumento dei prezzi che tagliava il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni;

Il mancato rinnovo di troppi contratti nei tempi normali (ora sono aperti quelli dei pubblici e quello del trasporto locale);

Non possiamo dimenticare che oggi ci sono milioni di persone, lavoratrici, lavoratori, pensionati e famiglie che fanno fatica a far quadrare i loro già magri bilanci. Quando sento parlare di sacrifici mi inquieto, vorrei ricordare che molte lavoratrici, lavoratori e pensionati già li stanno facendo.

  Ne possiamo dimenticare che oggi sta accentuandosi nel nostro Paese la discriminazione

territoriale e che si sta rischiando di frenare le spinte positive che pure si erano manifestate nel Mezzogiorno. La manovra correttiva, da questo punto di vista è stata molto pesante e purtroppo poco selettiva. Ne voglio dimenticare la crescita delle casse integrazioni, dei licenziamenti, della povertà e delle emarginazioni sociali.

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COMMENTO AL DPEF

Si tratta di una manovra di portata imponente: 24 miliardi di euro che sommati ai 7,5 della recente manovra correttiva, determina un’operazione complessiva di 31,5 miliardi di euro, in diciotto mesi.

Le misure che vengono oggi prospettate con il DPEF possono avere effetti depressivi forse maggiori di quelli che comunque provocò la manovra del 1992. E’ chiaro che ridurre il deficit attraverso tagli alla spesa riduce la crescita del Pil, dunque, il deficit in proporzione non diminuisce ma, oggi, non si può ricorrere alla svalutazione.

Reperire i quasi 17 miliardi di tagli strutturali alla spesa non sarà facile e comunque avrà ricadute negative. Il Governo afferma di non volere tagliare su Sanità,Scuola, Sicurezza e Servizi sociali e nello stesso tempo afferma che è impensabile che queste correzioni siano indolori.

Poi vi sono i 7 miliardi di una tantum: su cosa incidono? Sicuramente avranno ripercussioni sui prezzi e stimoleranno l’inflazione come - in parte e in modo indiretto - hanno fatto le altre “una tantum” . Vengono sempre trasferite e poi diventano strutturali.

Non si tratta certo di cosa di poco conto e non c’è tanto da stare allegri, non si può essere ottimisti. L’ottimismo – a prescindere da proposte credibili - crea una ambiente ostile alla responsabilità

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UNA LINEA POLITICA

Si è detto, anche negli incontri con il Governo, che il DPEF sia ormai un documento inutile e privo di contenuti reali. Ma non è politicamente neutro. Esprime una linea politica molto chiara.

Nella comprensibile genericità sembra che si basi su tre presupposti: la crescita internazionale; lo stimolo verso i consumi attraverso l’abbassamento della pressione fiscale; la moderazione salariale.

Il DPEF punta ai fini della crescita più sui consumi che sulla capacità di ripresa competitiva del nostro sistema produttivo, tant'è che ipotizza per tutto il periodo un andamento negativo delle esportazioni.

Se si considera, infine, che il DPEF punta poco sugli investimenti e quindi non determinerà incrementi significativi di domanda per il nostro sistema produttivo, si può concludere che le previsioni del DPEF sulla crescita rischiamo, pur nella loro prudenza, di essere ottimistiche.

Le speranze di dare una spinta allo sviluppo sono basate su un fondo di 5 miliardi di euro e su un punto in meno della pressione fiscale.

Siamo dunque all’interno della logica, anche se con dati più realisti, dei precedenti DPEF.

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POLITICHE PER LO SVILUPPO

Il sindacato ha avanzato nell’incontro con il Governo una serie di proposte sul terreno dello sviluppo concentrando l’attenzione su quattro questioni:

Le politiche industriali; Il mezzogiorno; La politica dei Redditi; Salvaguardia dello Stato Sociale

Siamo convinti che su questi quattro temi si giochino le capacità competitive del nostro Paese; solo un intreccio tra innovazione, sviluppo, tutela dei redditi e garanzie sociali possono creare le condizioni di una coesione sociale necessaria per vincere le sfide che ci stanno di fronte.

E’ vero che il DPEF contiene un lungo elenco delle cose da fare per ridare slancio alla nostra economia: liberalizzazioni, infrastrutture, settori innovativi ma molte di queste non sono cose nuove ma le indicazioni sono ancora tanto generiche che non consentono un giudizio definitivo e chiaro.

E’ chiaro che occorrerà attendere le declinazioni nella Finanziaria per cogliere la vera portata di quello che si intende realmente fare

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POLITICA INDUSTRIALE

Il tema delle politiche industriali è per noi uno dei temi centrali su cui ci si doveva concentrare con molta attenzione. Alcune proposte le avevamo avanzate, ma i riscontri sono molto lontani da ciò che avevamo proposto e nel Dpef vi si fa cenno ma in modo alquanto generico:

1. Fa riferimento a "Programmi Paese" su fattori trasversali (bonifiche, Kioto contraffazione…) ma evita accuratamente di parlare delle politiche settoriali.

2. Affronta il tema dei settori in crisi, del ruolo di Sviluppo Italia e parla di modalità non meglio precisate di utilizzo del Fondo Rotativo. Par di capire che si riferisca sempre allo stesso Fondo Rotativo di carattere generale, che dovrebbe sostituire le attuali politiche di sostegno e incentivo agli investimenti.

3. Più apprezzabile è il riferimento, peraltro molto vago, al rifinanziamento del Fondo Rotativo Nazionale (sempre quello) per interventi nel capitale di rischio di aziende nelle aree di crisi del Paese.

 

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 Ci sono riferimenti molto generali sulla selettività legata all'innovazione tecnologica delle imprese: pare che l'unico sgravio sia l'esclusione dalla base di calcolo per il personale addetto a Ricerca e Sviluppo.

Molto contenuto è anche il riferimento alla fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, subordinata peraltro all'autorizzazione dell'Unione Europea.

Nulla si dice su come si compenserà il mancato introito dell’IRAP, un taglio che potrebbe avere ricadute negative sul sistema sanitario nazionale

FONDO ROTATIVO

IRAP PER LO SVILUPPO

Secondo il DPEF sarà sostitutivo di molti strumenti in materia di innovazione, Mezzogiorno, Aree sotto utilizzate:

1.L. 64 (contratti di programma), L. 488 (investimenti), L. 662 (Programmazione Negoziata), L. 46 (innovazione tecnologica), L. 208 (Fondo Aree Sotto utilizzate).2.E' prevista una dimensione di interventi analoga a quella degli anni precedenti, con minori oneri a carico della Pubblica Amministrazione.3.E' una previsione del tutto teorica, perché quello che appare certo è lo smontaggio degli strumenti attualmente esistenti, mentre non è minimamente approfondita la natura, la dotazione, la gestione di questo Fondo Rotativo. E' scomparso, infatti, nel DPEF anche il riferimento alla Cassa Depositi e Prestiti, per cui il mistero è realmente fitto. Inoltre mancano indicazioni sulla fase di transizione dagli attuali strumenti al nuovo.

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C'è un generico riferimento ad incentivi per favorire processi di concentrazione e crescita delle piccole e medie aziende.

PICCOLE E MEDIE AZIENDE

Privatizzazioni   La previsione di privatizzazioni, cessioni di crediti e immobili e d'altri attivi pari a 100 MD di euro 2005-2008 appare irrealistica, almeno se confrontata con la velocità storica, che nemmeno nei periodi più favorevoli alle privatizzazioni era arrivata ai livelli annui ipotizzati per il prossimo quadriennio.

Ricordo che nel decennio 1990/2000 ci furono privatizzazioni e liberalizzazioni pari circa alla stessa cifra ma in un periodo di 10 anni - non di 4 anni. Inoltre si trattava della prima tornata di privatizzazioni e si agiva quindi su una platea molto ampia, che oggi è notevolmente ridotta proprio per effetto delle privatizzazioni già realizzate. L’idea di contenere il debito procedendo a forti privatizzazioni va dunque ponderata con molta cautela. Le privatizzazioni vanno precedute dalle liberalizzazioni e non possono essere un modo per fare cassa. Esse vanno collocate all’interno di una politica economica capace di aprire spazi al mercato, di innovazione di settori dell’economia e con aperture verso la democrazia economica e la partecipazione dei lavoratori

PRIVATIZZAZIONI

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MEZZOGIORNO Nel DPEF viene enfatizzata la crescita maggiore del PIL nel Sud rispetto alla

media del Paese in questi ultimi anni, dimenticando clamorosamente di ricordare che gli obiettivi erano ben più alti, anche in ragione dell'utilizzo dei Fondi Europei.

Poi, invece, si ipotizza per il 2004 una crescita dell'1% del PIL meridionale inferiore alla media del Paese (1,2% previsto).

C'è un gravissimo riferimento al totale depotenziamento del Fondo Aree Sottoutilizzate e delle risorse ordinarie, dichiarando apertamente che non verranno mantenuti gli impegni assunti con l'Unione Europea di destinare al Sud il 30% della spesa in conto capitale.

Risulta poi nel DPEF molto contraddittorio con quanto sopra enunciato il vincolo, che potrebbe essere positivo ma va decisamente chiarito, di mantenere gli impegni assunti con l'Unione Europea in merito alla gestione del Fondo Aree Sottoutilizzate, anche per il cofinanziamento dei Fondi Comunitari.

Nella sostanza il rispetto di questo vincolo porterebbe ad un dato di spesa complessiva pari al 7% del PIL meridionale e quindi ad un valore complessivo inferiore ma non distante da quello degli anni scorsi.

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INCOGNITE SULLE PROPOSTE PER IL SUD

L'aperta contraddizione con le affermazioni del DPEF alle pagine precedenti sullo stesso Fondo Aree Sottoutilizzate.

La mancata indicazione dei provvedimenti e dei tempi che dovrebbero sostanziare questo impegno. Ciò vale soprattutto per la delibera CIPE, già istruita, di 10,7 MD di euro bloccata da mesi.

Il richiamo forte alla coerenza dello scenario di finanza pubblica, che, nelle intenzioni esplicite del DPEF equivale ad una sua forte riduzione.

Infine, come già detto, la fiscalità di vantaggio per il Sud appare debole nelle intenzioni e molto problematica come esito.

Quindi sul Mezzogiorno ribadiamo tutte le nostre richieste già presentate, ricordando al Governo che sono la base minima, venendo a mancare la quale, le conseguenze sullo sviluppo sarebbero molto negative.

 

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LE NOSTRE PROPOSTE SUL MEZZOGIORNO La proposta di fiscalità di vantaggio è per noi praticabile. Il suo costo se riguarda solo il Sud settore

privato 2.4 MD di euro/annuo.Se esteso anche alle aree sottoutilizzate del Centro Nord-settore privato (zone con deroga 87.3.c.), andrebbero aggiunti altri 3.6 MD euro per un totale di 6 MD Euro.

Un ipotesi intermedia riguarda l'abbattimento dell'IRAP che si potrebbe fare in due anni anziché solo in uno. Resta naturalmente da decidere come sostituire il gettito IRAP in campo di spesa sanitaria, un taglio senza restituzione avrebbe incidenze negative sul sistema sanitario regionale. 

Per quanto riguarda il sostegno agli investimenti vale quanto già detto sulla difesa delle risorse dei Fondi MAP e MEF che operano in prevalenza nel sud.

Sul controverso tema della trasformazione degli incentivi da contributo a fondo perduto a previsto va precisato che questo riguarda la L. 488, che pur non esente da sprechi e ritardi, ha operato proficuamente in questi anni. Infatti dal 1996 ad oggi sono state concesse agevolazioni per 17 miliardi di euro di cui l'88% nel Sud.

Tali programmi agevolati hanno attivato e dovrebbero attivare oltre 400.000 nuovi posti di lavoro (75% nel Sud) con 57 miliardi di euro di investimenti.

Questa legge è già stata caratterizzata da ritardi nelle erogazioni: il bando 2001 e il bando 2003 hanno avuto durata di oltre un anno con attese lunghissime per le imprese e paralisi degli investimenti agevolati. 

Comunque qualcosa va rivisto perché l'ammontare di residui e giacenze presso il MAP (contabilità speciale) è pari a circa 3,5 MD di euro.

A fronte di tutto ciò si potrebbe accedere ad una proposta di revisione del sistema degli incentivi che prevedesse un mix tra fondo perduto e prestito, fermo restando però l'ammontare complessivo delle risorse per lo sviluppo (e quindi aumentando altre voci) e introducendo provvedimenti che aumentino l'efficacia e la tempestività dell'incentivo, ad esempio corresponsabilizzando integralmente nei progetti le banche impegnate nelle istruttorie.

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INCENTIVI

Il DPEF conferma che in questi anni mediamente il sistema di incentivi a sostegno agli investimenti ha erogato circa 4 MD di euro/annui da parte del Fondo Aree Sottoutilizzate (80% nel Mezzogiorno) e circa 3.5 MD di euro/annui (20% nel Sud) da parte del Ministero dell’Economia e Finanze e Ministero delle Attività Produttive per il sostegno alle imprese.

Il riferimento è ad una pluralità di strumenti sopra ricordati: L. 488, L. 662, L. 64, L. 46, credito di imposta per investimenti, bonus occupazione, autoimprenditorialità giovanile e femminile.

Molti di questi strumenti non si capisce che fine faranno, sembrano risucchiati nel vuoto, soprattutto per il depotenziamento del Fondo Aree Sottoutilizzate.

Per la L. 488 si prevede esplicitamente che venga a cessare, seppur gradualmente. Sarà sostituita per il 50% con un finanziamento a credito agevolato prelevato dal

Fondo Rotativo e per il 50% da credito bancario ordinario a tassi di mercato. C'è un'altra interpretazione (effettivamente il testo è oscuro) secondo cui il 50%

rimarrebbe a fondo perduto e l'altro 50% metà a credito pubblico agevolato e metà a credito bancario ordinario.

Comunque occorre che siano definiti gli strumenti per la transizione da un modello altro 

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RISORSE UMANE

Non si punta alla innovazione se non si recupera con il tema della valorizzazione delle risorse umane, della formazione e dell’apprendimento continuo.

Nel DPEF si fanno accenni molto generali, come per il bonus occupazione verso il quale si manifesta peraltro almeno attenzione.

Si deve puntare, in proposito, alla concretizzazione degli obiettivi previsti dal vertice europeo di Lisbona. Inoltre, ritengo opportuno che si realizzi un articolato sistema di ammortizzatori sociali. Il “Patto per l’Italia“ aveva previsto le modalità e i primi finanziamenti. Nulla è stato realizzato e i finanziamenti previsti sono sempre decurtati.

La fase che stiamo attraversando, ha bisogno di un sistema di ammortizzatori che accompagnino tutta la fase di cambiamento e di innovazione

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INFRASTRUTTURE

Il DPEF ricorda, in più parti, l'impegno sulle infrastrutture materiali ed immateriali, con ripetute citazioni del Mezzogiorno. La realtà purtroppo è diversa perché mancano assolutamente i riferimenti alle risorse che dovrebbero sostenere gli impegni.

Pesa, anche in questo campo, tantissimo il depotenziamento del Fondo Aree Sottoutilizzate.

Per le infrastrutture appare veramente imprescindibile un atto di chiarezza e cioè l'approvazione in tempi rapidi della delibera CIPE sul riparto del FAS pari a 10,7 MD di euro ferma da molti mesi, che contiene gran parte degli impegni di spesa per infrastrutture già progettate in tutte le regioni italiane ma in particolare nel Sud.

 

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POLITICA DEI REDDITI

La politica dei redditi non deve essere confusa con la politica di moderazione salariale, ma come un impianto virtuoso che tenga legato la tutela del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, un governo dei prezzi e delle tariffe.

Il ministro Siniscalco ha affermato che non è più il tempo della politica dei redditi come avveniva nel ’93” perché gli obiettivi di inflazione si sono spostati a Francoforte. Il ministro sembra però dimenticare che esiste un differenziale inflattivo tra il nostro e gli altri paesi con cui condividiamo la moneta e questo ha comunque ripercussioni negative sul potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, oltre che sulle capacità competitive del nostro Paese.

Il dibattito di questi giorni sembra dimenticare che la politica dei redditi serviva anche a tutelare il potere d’acquisto di chi come i pensionati non ha una tutela contrattuale. Ora mi spieghino come si tutela il valore delle pensioni che è già stato lungamente decurtato.

Il problema vero non è il tasso programmato di inflazione, ma il venire meno della politica dei redditi. Ora non resta che affidarsi ai rapporti di forza, con quello che ne consegue sul terreno della coesione sociale.

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INFLAZIONE

In prima istanza andrebbero individuate le ragioni, in una fase di moderazione salariale, del mancato contenimento dell'inflazione, ed insieme agli elementi generatori quindi strumenti e quali politiche assumere per aggredire il differenziale di inflazione del nostro Paese, rispetto agli altri paesi europei.

Servirebbero politiche capaci di cui incidere sui prodotti che hanno maggiormente contribuito ad aumentare l’inflazione (alimentare e alcuni servizi); sui costi dei prodotti energetici, manovrando le accise e definendo con i produttori il contenimento dei margini di ricarico al fine di stabilizzare i prezzi finali; sulle tariffe, specie a livello locale.

Andrebbero, inoltre, costruiti interventi, come quelli posti in campo in Francia da Chirac, di accordi con la grande distribuzione e i produttori, che, proprio perché basati sulla “moral suasion” di un soggetto autorevole, possono essere molto utili a piegare le attese inflazionistiche.

Non puntiamo a rincorse salariali, ad incentivare l’inflazione, ma alla determinazione di politiche antinflattive che non siano basate esclusivamente sulla moderazione salariale, ma tese a salvaguardare il potere d’acquisto degli stipendi, dei salari, delle pensioni per stimolare i consumi e fornire un incentivo alla crescita economica.

L’aver fissato un tasso di inflazione all’1,6% e abbandonata la politica dei redditi significa che il Governo punta alla moderazione salariale e a una svalorizzazione complessiva del potere d’acquisto di tutti i redditi.

 

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MODELLO CONTRATTUALE E INFLAZIONE

Per giustificare l’incongruità del tasso di inflazione programmato, alcuni esponenti del Governo non hanno trovato di meglio che aprire una discussione sul modello contrattuale, cercando improvvidamente di inserire polemiche tra le Organizzazioni Sindacali. La Cisl ha da tempo posto il problema del modello contrattuale, ma il superamento della politica dei redditi non aiuta il processo di innovazione semmai lo può rallentare. Inoltre sarebbe bene che i politici discutessero molto di più delle loro questioni e delle loro divisioni che non delle nostre.

Abbiamo perso qualche occasione ma stiamo cercando di recuperarla con forza e rigore, del resto tutti sappiamo che una rimodulazione innovativa dei sistemi contrattuali si può fare solo unitariamente e pertanto chi alimenta polemiche ( politici o sindacalisti) non fa altro che frenare il processo di confronto e di discussione che si avvierà, come deciso a settembre .

Inoltre non si coprono le responsabilità assunte dal Governo con la definizione di un tasso di inflazione incompatibile con la tutela del potere d’acquisto, alimentando polemiche inutili: non si mena il can per l’aia.

E’ chiaro che l’1,6% previsto dal Dpef è stato scelto più per fare tornare i conti del Tesoro che non riguardo all’inflazione attesa.

Ma il sindacato non può fare finta di niente dopo anni di bassi salari e svalorizzazione delle pensioni.

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PENSIONATI E TUTELA DEL REDDITO

In questi mesi abbiamo molto discusso dei pensionandi, molto poco dei pensionati. Eppure molti di loro sono colpiti nel potere di acquisto e va considerato che l’inflazione ha inciso sul valore stesso delle pensioni.

Quando parliamo di politica dei redditi comprendiamo anche i redditi da pensione. Il Dpef non da risposte a questo proposito, anzi superando la politica dei redditi finisce per acuire il problema. Noi crediamo che oggi vadano affrontati alcune questioni che riguardano i pensionati:

1. Rispondere all’esigenza e all’urgenza del miglioramento delle condizioni reddituali dei pensionati, mediante il recupero del potere d’acquisto delle pensioni che, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 503/92, sono rapportate soltanto all’inflazione ufficiale – per altro applicata a posteriori e non in misura integrale per tutte le fasce di pensione – senza alcun ulteriore incremento, pur previsto, rapportato all’incremento del Pil;

2. superamento delle iniquità fiscali che penalizzano i pensionati, ciascun intervento sugli incapienti e il recupero del fiscal drag;

3. istituzione di un fondo per la nonautosufficienza.

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FISCO

Il nodo politico che dobbiamo superare è quello di considerare la riduzione delle tasse come un “bene in sé”, scollegato dagli altri elementi economici: come l’insieme dei servizi che vengono erogati, la situazione economica del Paese, l’esigenza di investimenti.

Inoltre, non è dimostrato che essa possa servire allo sviluppo dell’economia, con il rilancio dei consumi e la ripresa degli investimenti.

Così come non viene evidenziato quale sarà il gettito dopo la riforma né si specifica cosa si intende per tagli improduttivi di spesa pubblica. Vorremmo capire quali provvedimenti si vogliono assumere (tagli alla spesa) per compensare il mancato gettito.

Si vorrebbe anche capire come si pone oggi il rapporto tra tasse e deficit pubblico e investimenti.

Non siamo contrari alle riduzioni fiscali, ma a questa riforma perchè: nell’attuale contesto economico non è realizzabile; non è chiaro come verrà coperta; Premierà i redditi più alti resta irrisolto il nodo del federalismo fiscale. E questo preoccupa perché un taglio, a

livello centrale, riduce la possibilità dei trasferimenti a livello locale.

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LE NOSTRE PROPOSTE SUL FISCO  Siccome siamo sempre accusati di non fare proposte, diamo priorità ai seguenti punti: liberare risorse per incentivare occupazione e sviluppo: fiscalità di vantaggio per il Sud; sgravi

contributivi sul costo del lavoro (privilegiando le imprese ad alta intensità di lavoro) da ripartire tra imprese e lavoratori;

ogni intervento sull’IRAP deve essere compensato da altre risorse (oggi l’Irap vale 30 miliardi di euro l’anno e finanzia prevalentemente la sanità);

redistribuzione reddito verso gli incapienti. Va introdotta una imposta negativa a favore degli incapienti, almeno nella parte delle detrazioni per familiari a carico e spese sanitarie;

ampliamento dell’area della deduzione, e detrazione con particolare riferimento alla non autosufficienza;

riduzione del carico fiscale sui bassi redditi. Elevare l’area esente (9000 euro), uguale per pensionati e dipendenti;

sostenere economicamente la famiglia, soprattutto quella con figli, per la quale si può ipotizzare un incremento delle detrazioni per la prima fascia di reddito (fino a 36.151,98 euro) ed una modulazione delle deduzioni no tax area al variare del carico familiare;

Fiscal drag; lotta all’evasione fiscale, attraverso un chiaro attacco al sommerso, e avvio del federalismo fiscale. La necessità di mantenere l’attenzione sul fronte delle entrate (in modo da non deteriorare

ulteriormente i conti pubblici) non consente la riduzione dell’aliquota marginale. Non sarebbe sostenibile per la nostra finanza pubblica un calo di gettito, tanto meno lo consente una politica redistributiva, che non voglia penalizzare i deboli o gli svantaggiati e l’universalità dello stato sociale. Il problema, di conseguenza, non si risolve con la spalmatura sui due anni.

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SPESE MILITARI Il tema della sicurezza è sicuramente un tema importante, ma si continua a

restare ancorati a principi ormai superati. Oggi lo scontro non avviene più come nel passato tra grandi potenze, la sicurezza è minacciata dai terroristi, dalla criminalità organizzata, dagli Stati in bancarotta, dalla proliferazione delle armi. A ciò occorre aggiungere che le ingiustizie, la iniqua distribuzione nella produzione e distribuzione della ricchezza, la fame, la miseria e le malattie sono generatori di turbolenze. Queste problematiche non si affrontano con le vecchie strategia militari

Ma gli li interventi militari si sono dimostrati insufficienti e, pertanto, va definita una strategia diversa che punti ad valorizzare più l’intervento civile a quello militare della sicurezza.

Per questo occorre puntare progetti di cooperazione e di intervento sul terreno dello sviluppo sociale ed economico. Per queste ragioni occorre andare verso una riduzione delle spese militari a favore della cooperazione internazionale, della formazione e del servizio civile.