CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a...

12
1 CHIMICA E AMBIENTE Negli ultimi decenni la consapevolezza dei problemi ambientali ha portato ad un nuovo approccio, più sostenibile nello sviluppo dei processi chimici, che mira a prevenire e ridurre drasticamente l'inquinamento e l'impatto ambientale Perché non c’è una “Geologia Verde” o una “Astronomia Verde” ? Perché la chimica è la scienza che introduce nuove sostanze nel mondo e noi abbiamo una responsabilità per il loro impatto nel mondo” - Ronald Breslow Durante il XX secolo la chimica ha profondamente cambiato il nostro stile di vita e si può affermare che la società come la conosciamo e viviamo oggi non esisterebbe senza di essa. L‟industria chimica costituisce una delle componenti principali per soddisfare i crescenti bisogni di cibo del pianeta, per poter disporre di forme alternative di energia o per un consumo più efficiente di quelle fossili, per la creazione di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura delle malattie. Nonostante la crisi economica mondiale, l‟industria chimica continua ad essere uno dei settori trainanti a livello mondiale. Su scala globale nel 2014 essa ha realizzato un valore della produzione di oltre 3.200 miliardi di euro La produzione e l‟uso dei prodotti chimici nella società moderna hanno avuto un notevole impatto sull‟ambiente, sulla diminuzione delle risorse naturali e sulla salute delle popolazioni. Spesso, le implicazioni di tali effetti sono rimaste nascoste a causa della difficoltà a comprendere e misurare il destino, il trasporto e la tossicità delle sostanze chimiche nell‟ambiente. Ad esempio, in passato le conseguenze sulla salute di un certo prodotto chimico erano considerate in termini immediati e/o su scala locale, mentre venivano trascurate quelle a lungo termine e/o su scala globale. Due esempi importanti che mostrano la necessità di una maggiore comprensione degli effetti dei prodotti chimici usati nella società sono quelli della deplezione dello strato di ozono stratosferico dovuto all‟uso dei clorofluorocarburi (CFC) e della bioaccumulazione dei pesticidi clorurati (DDT) nella catena alimentare. Per circa 50 anni i CFC sono stati considerati una classe di composti chimici benigni a causa della loro bassa tossicità e reattività. Queste caratteristiche ne hanno fatto gli ideali candidati per numerose applicazioni industriali, dai refrigeranti, ai propellenti per aerosol, ai solventi industriali ecc., passando da una produzione di 180000 tonnellate nel 1960 a 1,2 milioni di tonnellate nel 1988. Nel 1974 M. Molina e S. Rowland pubblicarono dei dati che suggerivano per i CFC un ruolo importante sulla deplezione dello strato di ozono stratosferico. Nonostante lo scetticismo di scienziati ed istituzioni governative, nel 1987 la loro teoria, sul ruolo del cloro presente nei CFC nella distruzione dell‟ozono stratosferico sull‟Antartide, è stata confermata. L‟evidenza dell‟impatto dei CFC sulla diminuzione dell‟ozono ha determinato un‟azione decisa nell‟ambito di accordi internazionali promossi dalla Nazioni Unite per la salvaguardia dell‟ambiente, che ha portato nel 1987 alla firma del Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono ( ozone-depleting

Transcript of CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a...

Page 1: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

1

CHIMICA E AMBIENTE

Negli ultimi decenni la consapevolezza dei problemi ambientali ha portato ad un nuovo approccio, più

sostenibile nello sviluppo dei processi chimici, che mira a prevenire e ridurre drasticamente

l'inquinamento e l'impatto ambientale

Perché non c’è una “Geologia Verde” o una

“Astronomia Verde” ? Perché la chimica è la

scienza che introduce nuove sostanze nel

mondo e noi abbiamo una responsabilità per il

loro impatto nel mondo” - Ronald Breslow

Durante il XX secolo la chimica ha profondamente cambiato il nostro stile di vita e si

può affermare che la società come la conosciamo e viviamo oggi non esisterebbe

senza di essa. L‟industria chimica costituisce una delle componenti principali per

soddisfare i crescenti bisogni di cibo del pianeta, per poter disporre di forme

alternative di energia o per un consumo più efficiente di quelle fossili, per la creazione

di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la

produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura delle malattie. Nonostante la crisi

economica mondiale, l‟industria chimica continua ad essere uno dei settori trainanti a

livello mondiale. Su scala globale nel 2014 essa ha realizzato un valore della

produzione di oltre 3.200 miliardi di euro

La produzione e l‟uso dei prodotti chimici nella società moderna hanno avuto un

notevole impatto sull‟ambiente, sulla diminuzione delle risorse naturali e sulla salute

delle popolazioni. Spesso, le implicazioni di tali effetti sono rimaste nascoste a causa

della difficoltà a comprendere e misurare il destino, il trasporto e la tossicità delle

sostanze chimiche nell‟ambiente. Ad esempio, in passato le conseguenze sulla salute

di un certo prodotto chimico erano considerate in termini immediati e/o su scala

locale, mentre venivano trascurate quelle a lungo termine e/o su scala globale. Due

esempi importanti che mostrano la necessità di una maggiore comprensione degli

effetti dei prodotti chimici usati nella società sono quelli della deplezione dello strato di

ozono stratosferico dovuto all‟uso dei clorofluorocarburi (CFC) e della

bioaccumulazione dei pesticidi clorurati (DDT) nella catena alimentare.

Per circa 50 anni i CFC sono stati considerati una classe di composti chimici benigni a

causa della loro bassa tossicità e reattività. Queste caratteristiche ne hanno fatto gli

ideali candidati per numerose applicazioni industriali, dai refrigeranti, ai propellenti per

aerosol, ai solventi industriali ecc., passando da una produzione di 180000 tonnellate

nel 1960 a 1,2 milioni di tonnellate nel 1988.

Nel 1974 M. Molina e S. Rowland pubblicarono dei dati che suggerivano per i CFC un

ruolo importante sulla deplezione dello strato di ozono stratosferico. Nonostante lo

scetticismo di scienziati ed istituzioni governative, nel 1987 la loro teoria, sul ruolo del

cloro presente nei CFC nella distruzione dell‟ozono stratosferico sull‟Antartide, è stata

confermata. L‟evidenza dell‟impatto dei CFC sulla diminuzione dell‟ozono ha

determinato un‟azione decisa nell‟ambito di accordi internazionali promossi dalla

Nazioni Unite per la salvaguardia dell‟ambiente, che ha portato nel 1987 alla firma del

Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono (ozone-depleting

Page 2: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

2

substances - ODS), in cui sono state prese una serie di misure restrittive sul consumo

e nella produzione di alcuni CFC1.

I pesticidi derivati dagli idrocarburi clorurati come il diclorofeniltricloroetano (DDT)

furono utilizzati con grande successo negli anni ‟40 per combattere la zanzara anofele,

responsabile della diffusione della malaria. Nel 1962, l‟ambientalista americana R.

Carson pubblicò un libro intitolato “La primavera silenziosa” in cui forniva evidenze

scientifiche sugli effetti dovuti al bioaccumulo di composti organici clorurati nella

catena alimentare, come ad esempio l‟effetto nocivo nella riproduzione degli uccelli

dovuto all‟assottigliamento dello spessore del guscio delle uova. Anche in questo caso,

inizialmente le ipotesi della Carson non furono prese in considerazione cercando di

minimizzare i risultati dei suoi studi, fino a che non fu dimostrato che il DDT e altri

composti organici clorurati si concentravano fino a raggiungere dosi potenzialmente

pericolose nel tessuto adiposo e finivano nel latte materno. Questo portò nel 1972 al

bando del DDT come insetticida da parte dell‟EPA, l‟agenzia americana per l'ambiente.

Un provvedimento preso successivamente da molte altre nazioni.

Gli esempi dei CFC e del DDT e il loro impatto a lungo termine sull‟ambiente

dimostrano la chiara necessità per gli scienziati di tener conto di una più attenta

valutazione dei rischi nella fase di sviluppo e produzione di un composto chimico.

L‟industria chimica è responsabile del rilascio di grandi quantità di sostanze pericolose

nell‟ambiente, sia per immissione diretta di inquinanti chimici, sia come prodotti

formati durante la loro evoluzione nell‟ambiente.

Uno degli esempi più noto è quello della

diossina. Il termine diossina si riferisce ad

una classe di composti organici, più

precisamente conosciuti come

policloruridibenzo-p-diossine. La molecola

da cui derivano è la dibenzo-p-diossina,

che presenta 73 possibili derivati

policlorurati, in cui due o più degli otto

atomi di idrogeno della molecola sono

sostituiti da atomi di cloro. La più studiata

è la 2,3,7,8-tetracloro-p-diossina

(2,3,7,8-TCDD) un sostanza classificata

nel 1997 dall‟Organizzazione mondiale

della Sanità (OMS) come cancerogeno di

classe 1(fig.1).

Le diossine sono raramente prodotte in natura, ad esempio durante l‟eruzioni

vulcaniche e gli incendi delle foreste; le principali immissioni nell‟ambiente sono le

reazioni industriali in cui si formano come prodotti secondari o a seguito di processi di

incenerimento di particolari composti organici sintetici. In un rapporto sulla diossina

del 1999 l‟OMS conclude: “le diossine sono trovate in ogni parte del mondo,

praticamente in tutti gli ambienti con livelli più o meno elevati in aria, suolo, acqua e

cibo, specialmente nei prodotti come carne, pesce e crostacei”.

1 Lezione Treccani - Effetti antropogenici sull‟atmosfera: “Il buco dell‟Ozono”

Figura 1 - Le diossine sono sostanze chimiche

tossiche e persistenti nell'ambiente, che si accumulano nella catena alimentare e pertanto,

anche un'esposizione prolungata a livelli minimi può recare gravi danni alla salute

Page 3: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

3

I disastri chimici come quello del 1984 a Bhopal in India, dove una fuga di pesticidi da

una fabbrica della Union Carbide portò alla morte di 4.000 persone e a più 50.000

contaminati che subirono dei gravissimi danni come la cecità, insufficienza renale e

malesseri permanenti degli apparati interni, o quello del 1976 nel comune di Seveso,

nella Brianza, dove una nube tossica rilasciata da una fabbrica di pesticidi espose

37.000 persone ai livelli più alti mai registrati di diossina, hanno portato l‟opinione

pubblica a considerare

l‟industria chimica come uno

dei maggiori responsabili del

degrado ambientale, facendola

diventare oggetto di una

crescente preoccupazione

sociale per le conseguenze

negative della produzione,

dell‟uso e della dispersione dei

prodotti chimici nell‟ambiente.

La consapevolezza che la

produzione chimica non deve

avere effetti negativi

sull‟ambiente ha costituito la

forza trainante dello sviluppo

della chimica verde (green

chemistry - GC) o chimica sostenibile. Questa non costituisce una branca della

chimica, piuttosto un approccio nuovo che

applica principi innovativi in ogni stadio del

processo chimico, prevenendo e riducendo

sostanzialmente l'inquinamento e l'impatto

ambientale. La chimica verde si applica

all‟intero ciclo del prodotto chimico:

progettazione, produzione, uso e in ultimo

il suo smaltimento.

Un‟importante spinta verso questo nuovo

approccio alla chimica è stato il movimento

per uno sviluppo sostenibile nato nei primi

anni ‟80, il cui obiettivo, secondo la

definizione proposta nel rapporto “Our

Common Future” pubblicato nel 1987 dalla

Commissione mondiale per l‟ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite è : “lo sviluppo

che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la

possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”.

L‟espressione green chemistry fu coniata nel 1991 da P.T. Anastas, direttore

dell‟Office of research and development della Environmental Protection Agency (EPA),

e J.C. Warner, i quali sintetizzarono in 12 principi l‟impostazione che sta alla base

della chimica verde (fig.2).

I dodici principi possono essere condensati un due idee principali: sviluppare processi

che massimizzano le quantità di reagenti in modo da ridurre le materie prime

Figura 3 - Obiettivi che una sintesi chimica deve

raggiungere per rispettare i principi della chimica verde

Figura 2 - I dodici principi che sono alla base della chimica verde

Page 4: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

4

utilizzate e producendo la minima quantità di scarti da smaltire; l‟utilizzo di reazioni

con sostanze e solventi che portano alla formazione della minore quantità possibile di

prodotti pericolosi per l‟ambiente.

La fig.3 riassume le caratteristiche di un processo di sintesi che rispetta i principi della

chimica verde come combinazione di una serie di obiettivi da raggiungere: ambiente,

salute, sicurezza ed economia.

Per stimare la sostenibilità di un processo sono stati introdotti una serie di parametri

metrici (green metrics).

Uno dei modi di misurare l‟efficienza di un processo è calcolare la resa, cioè

comparare la quantità del prodotto atteso con la reale quantità di prodotto ottenuto.

Ad esempio nella reazione per la produzione del fenolo partendo dal benzene e usando

acido solforico e idrossido di sodio in un processo multistadio, che complessivamente

può essere espressa come:

(1)

si ha una resa intorno all‟82%. Questo calcolo però nasconde il fatto che per ogni

mole di fenolo (94g) si produce una mole di solfito di sodio (126g) che determina un

problema di gestione degli scarti e addiziona costi significativi alla produzione. Una

misura alternativa alla resa di una reazione è il concetto di economia atomica (EA),

introdotto dal chimico B.M.Trost 2, considerato uno delle idee chiavi della chimica

verde e che indica l'efficienza in termini di capacità di trasferire nei prodotti finali gli

atomi presenti nei reagenti di partenza.

Esso valuta una reazione sulla base dei pesi molecolari dei prodotti e dei reagenti. Ad

esempio, se si considera il processo multistadio di produzione del composto E:

Considerando la somma delle reazioni, esso può essere scritto come:

La sua EA è definita in percentuale come:

L‟incorporazione di tutti gli atomi dei reagenti nei prodotti desiderati permette di

ottenere il valore massimo, mentre all‟aumentare del peso molecolare degli scarti tale

valore scende. Il calcolo dell‟EA alla reazione (1) porta ad un valore del 37%

assumendo come scarto il solfito di sodio.

Semplici reazioni di addizione e isomerizzazioni in cui le sostanze di partenza

diventano parte dei prodotti hanno un EA pari al 100%, mentre reazioni di

sostituzione ed eliminazione presentano sempre valori di EA più bassi.

2 Trost, B.M. «The Atom Economy – A Search for Synthetic Efficiency» Science 1991, 254, 1471-1477

Page 5: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

5

Uno degli obiettivi della chimica verde è trovare un modo per ottenere lo stesso

prodotto con lo scarto di meno atomi reagenti. Un esempio tra i più conosciuti di

miglioramento di EA sviluppato industrialmente è quella della produzione del

ibuprofene, una molecola con proprietà analgesiche ed antiinfiammatorie, utilizzata in

molti farmaci. Il metodo originale di preparazione dell‟ibuprofene è stato sviluppato

negli anni „60 e si basa su una sintesi a sei stadi in cui si “perdono” un numero di

atomi dei reagenti che non sono presenti nel prodotto finale (fig. 4); l‟EA del processo

risulta del 40%.

Figura 4 - Reazione di sintesi dell'ibuprofene. A sinistra sintesi a sei stadi con una EA del 40%. A destra

processo a tre stadi con EA del 77%

Nel 1980 è stato sviluppato un nuovo metodo di produzione dell‟ibuprofene che

consiste solo di tre stadi (fig.4) con un aumento dell‟EA al 77%. L‟efficienza della

reazione aumenta ulteriormente se l‟acido acetico ottenuto come sottoprodotto dello

stadio 1 è recuperato. In questo caso la EA raggiunge il 99%.

Il concetto di EA si basa però su alcuni presupposti che fanno discostare molto i

risultati dei calcoli teorici dall‟applicazione pratica. Viene infatti considerata una resa

chimica del 100% e si assume che i reagenti vengano utilizzati secondo i rapporti

stechiometrici e non si tiene conto, ad esempio, della quantità e del tipo di solvente

impiegato.

Per giudicare la compatibilità ambientale, un parametro utilizzato è l‟Environmental

factor (Ef), introdotto da R.A. Sheldon3, che tiene conto di tutti i composti chimici

usati per condurre una reazione (additivi, solventi, catalizzatori ecc.) e non solo quelli

che compaiono nella sua equazione stechiometrica.

3 Sheldon, R.A. “The E factor: fifteen years on” Green Chem. 2007, 9, 1273-1283.

Page 6: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

6

Esso viene calcolato come massa

degli scarti di una reazione,

diviso per la massa del prodotto

desiderato, entrambe espresse

in chilogrammi. Tanto inferiore

sarà il valore, tanto migliore sarà

il risultato della reazione.

Il valore del Ef varia a seconda

del processo chimico considerato

(fig.5). Nei derivati petrolchimici

il valore è molto più basso che nei prodotti farmaceutici in cui arriva fino a 100.

Questo è dovuto al fatto che i sottoprodotti di raffinazione vengono quasi tutti usati

per ricavare nuovi substrati, mentre nella produzione dei prodotti farmaceutici di

norma le sintesi sono costituite da più stadi e utilizzano quantità stechiometriche

(quelle prescritte dai rapporti molari tra i vari reagenti nella espressione di reazione),

impiegando grandissime quantità di solventi e generando un‟elevata quantità di

sottoprodotti. Abbassare il fattore Ef del settore farmaceutico è uno degli obiettivi più

impegnativi nell‟ambito della chimica sostenibile.

L‟Ef viene talvolta moltiplicato per un quoziente di pericolosità ambientale

(unfriendliness quotient), che tiene conto della pericolosità dei prodotti ottenuti, ma la

cui definizione risente di una certa arbitrarietà. Il risultato assume il nome di

quoziente ambientale (EQ, Environmental Quotient). Per esempio, si può assegnare 1

all‟NaCl e un valore da 100-1000 per un metallo pesante come il cromo, a seconda

della sua tossicità, ma anche dai volumi prodotti e dalla facilità di smaltimento o

riciclo.

Uno dei problemi di molte produzioni chimiche è l‟uso di sostanze di partenza molto

tossiche e pericolose per l‟ambiente che possono rimanere nei prodotti come impurità

o come parte degli scarti di produzione. Una soluzione sostenibile è evitare materie

prime pericolose dall‟inizio, sostituendole con sostanze che non sono dannose.

Oggi, la maggior parte delle produzioni chimiche deriva direttamente o indirettamente

dal petrolio. La ricerca di materie prime alternative tende verso l‟impiego di materie

diverse, che siano rinnovabili o che riducano il rischio per l‟uomo e per l‟ambiente.

Figura 6 - Sintesi dell'acido adipico. A sinistra processo ottenuto partendo dal benzene; a destra processo

di biosintesi ottenuto con Escherichia Coli geneticamente modificata

Figura 5 - Variabilità dell’Environmental factor per alcune

tipologie di prodotti chimici

Page 7: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

7

Un esempio è la modifica suggerita per la sintesi dell‟acido adipico, uno dei principali

prodotti dell‟industria chimica con una produzione annuale di circa 2 × 109 kg, il cui

uso primario è nella produzione del nylon e delle schiume poliuretaniche.

Il metodo tradizionale è riportato in fig.6 e consiste nel partire dal benzene, derivato

da combustibili fossili non rinnovabili e classificato come cancerogeno di classe A,

trasformarlo in cicloesano e successivamente nei due intermedi quali il cicloesanone e

il cicloesanolo, solitamente abbreviati con la sigla KA oil (chetone/alcol). La reazione

successiva è la trasformazione ad acido adipico mediante ossidazione con acido nitrico

del KA oil. Proprio in quest‟ultimo passaggio che risiede il problema principale della

sintesi, in quanto viene sviluppata una grande quantità di N2O, un gas pericoloso per

l‟ambiente perché ritenuto tra i responsabili dell‟effetto serra a causa del suo forte

assorbimento dell‟IR. Si ritiene che la produzione mondiale di acido adipico

contribuisca per il 10% nell‟incremento annuale di ossido di azoto atmosferico. Inoltre,

le condizioni di reazione necessitano di temperature intorno a 250°C e pressioni di 5,5

106 Pa.

Un metodo alternativo è quello sviluppato da K.M. Draths e J.W. Frost (fig.6)

attraverso un processo biosintetico che non esiste in natura. Utilizzando il batterio

Escherichia coli, geneticamente modificato, si trasforma il D-glucosio in acido

muconico, che viene successivamente idrogenato ad acido adipico.

Questo metodo è vantaggioso in termini ambientali per tre motivi: utilizza una

sostanza di partenza sicura (glucosio piuttosto che benzene); il processo è catalizzato

da microorganismi invece che da una miscela di ossidi metallici e avviene a 37 °C e a

pressione ambiente; non vengono rilasciati nell‟ambiente sostanze pericolose come

l‟ossido di azoto.

Figura 7 - Sintesi del policarbonato. A) processo che utilizza fosgene e diclorometano. B) processo “verde” senza fosgene e solventi

Page 8: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

8

Un secondo esempio di uso di materie prime alternative è quello del processo di

produzione dei policarbonati, resine termoplastiche caratterizzate da buone proprietà

meccaniche ed elettriche, trasparenti, insensibili all‟azione dell‟acqua, della luce, degli

agenti atmosferici e degli idrocarburi e che presentano una facile lavorabilità alle

macchine utensili la cui produzione, nel 2013, ha raggiunto, a livello globale, il valore

di 3,7 milioni di tonnellate.

Il metodo tradizionale di produzione del policarbonato utilizza una reazione di

polimerizzazione per condensazione del bifenolo-A con fosgene (COCl2 ) e NaOH nei

due solventi, diclorometano (CH2Cl2) e acqua (fig.7A). Lavaggi successivi del

policarbonato ottenuto eliminano il sottoprodotto NaCl, ma non riescono ad eliminare

completamente il CH2Cl2 a causa della sua forte affinità con il policarbonato. Questa

sintesi è problematica da un punto di vista ambientale perché uno dei materiali di

partenza, il fosgene (COCl2 ), è altamente tossico e corrosivo, ma anche il CH2Cl2 è

stato indicato come una sostanza tossica e potenzialmente cancerogena. Il CH2Cl2

pone un problema notevole perché deve essere utilizzato in grande quantità,

praticamente 10 volte il peso del prodotto ottenuto dalla reazione.

È stato proposto un processo alternativo chiamato “Processo di polimerizzazione a

stato-solido” che ha il vantaggio di non utilizzare né il fosgene né il diclorometano e

che consiste di tre fasi: pre-polimerizzazione, cristallizzazione e polimerizzazione a

stato-solido. Nel primo stadio si ha la reazione di pre-polimerizzazione tra bifenolo-A e

difenilcarbonato allo stato fuso (fig.7B) con eliminazione del fenolo. Nella fase

successiva il pre-polimero amorfo è convertito a pre-polimero cristallizzato, seguita

da una polimerizzazione allo stato solido del pre-polimero da cui si ottiene il

policarbonato a massa molecolare elevata.

In questo processo si evita di utilizzare due sostanze potenzialmente pericolose come

il fosgene e il diclorometano rendendo il processo di sintesi più sostenibile per

l‟ambiente.

La catalisi svolge un ruolo determinante nel raggiungimento degli obiettivi della

chimica sostenibile. L‟utilizzazione

dei catalizzatori permette di ottenere

oltre che benefici nella salvaguardia

dell‟ambiente, anche notevoli

vantaggi in termini economici. I

catalizzatori consentono di

progettare e realizzare sintesi nuove

altrimenti realizzabili solo con scarsa

efficienza e con alto valore di EA,

dato che una piccola quantità di

catalizzatore può convertire un

materiale di partenza in un prodotto

con un incremento significativo della

complessità strutturale con la

produzione di minori quantità di

sottoprodotti.

È possibile utilizzare materie prime

Figura 8 - Sintesi dell'idrochinone attraverso il metodo

tradizionale che parte dall’anilina e quello catalitico che genera una quantità inferiore di prodotti di scarto

Page 9: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

9

derivate da fonti alternative, in condizioni di temperatura e pressione più blande e

quindi con la necessità di minori consumi energetici e minori problemi legati alla

sicurezza. Inoltre, una maggiore selettività della reazione comporta un numero

inferiore di processi separativi e di purificazione, con una riduzione di solventi e una

maggiore purezza del prodotto, le cui proprietà tossicologiche possono variare

significativamente a seconda della presenza di impurezze nocive anche a bassa

concentrazione.

I prodotti di scarto generati nella produzione dei composti organici consistono

principalmente di sali inorganici. Questa è una conseguenza diretta dell‟uso di reagenti

inorganici in quantità stechiometrica nelle sintesi organiche. Ad esempio le reazioni

stechiometriche di riduzione con metalli (Na, Fe, Mg, Zn) e idruri metallici (LiAlH4,

NaBH4), ossidazioni con permanganato, ossidi manganese e cromo ecc., reazioni di

solfonazione, nitrazione o alogenazione

che usano quantità stechiometriche di

acidi minerali (H2SO4, HF, H3PO4) e

acidi di Lewis (AlCl3, ZnCl2, BF3).

Ad esempio la produzione tradizionale

dell‟idrochinone, un intermedio molto

utile nella produzione di materiali

polimerici, parte dall‟ossidazione

dell‟anilina con una quantità

stechiometrica di ossido di manganese

per dare benzochinone, seguita da una

riduzione con ferro e acido cloridrico

(riduzione di Bechamp). L‟anilina è a

sua volta ottenuta dal benzene

mediante nitrazione e riduzione di

Bechamp. Il processo complessivo

genera una quantità complessiva di più

di 10 kg di sali inorganici (MnSO4, FeCl2, NaCl, Na2SO4) per ogni kilogrammo di

idrochinone (fig.8). Questo processo di sintesi può essere sostituito da uno più

moderno che implica l‟ossidazione del p-diisopropilbenzene seguito da un

riarrangiamento acido catalizzato del p-diisopropilbenzene-bis-idroperossido, che

produce una quantità di sali inorganici minore di 1 kg per kg di idrochinone. In fig.9

sono illustrati i principali benefici che la catalisi è in grado di fornire in un processo

chimico.

Un altro importante aspetto riguarda la sostituzione di catalizzatori che vengono

utilizzati in quantità elevate a causa o della scarsa attività catalitica o per la difficoltà

o impossibilità di separazione, purificazione e riciclo e che sono inoltre caratterizzati

da elevata pericolosità per l‟uomo e per l‟ambiente (ad es. l‟acido solforico, l‟acido

fluoridrico e il tricloruro di alluminio).

Importanti risultati sono stati ottenuti con l‟uso di catalizzatori solidi come le zeoliti,

silico-alluminati facilmente ottenibili in forma acida dotati di strutture cristalline porose

ordinate, in grado di accelerare e rendere selettive reazioni chimiche. Esse mostrano

notevole attività catalitica, lunga durata e in quanto catalizzatori eterogenei riducono il

Figura 9 - Vantaggi ottenuti dall'uso di catalizzatori nelle sintesi chimiche

Page 10: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

10

problema della separazione

del catalizzatore

dall‟ambiente di reazione e

risultano inerti dal punto di

vista di vista tossicologico e

ambientale.

Un esempio importante

di uso delle zeoliti in

sostituzione dei catalizzatori

tradizionali, è quello delle

reazioni di acilazione di

Friedel-Crafts, reazioni largamente utilizzate nella chimica industriale in quanto le

molecole aromatiche ottenute sono importanti intermedi per la produzione di farmaci,

insetticidi, plasticizzanti, profumi e altri prodotti commerciali. In questo tipo di

reazione avviene la formazione di un chetone aromatico a seguito dell‟interazione fra

un composto aromatico ed un agente acilante che può essere un alogenuro acilico,

un‟anidride, un acido o un estere, in presenza di un catalizzatore acido come l‟AlCl3.

Queste reazioni richiedono nel processo di sintesi una quantità di AlCl3 superiore a

quella stechiometrica a causa della forte complessazione del catalizzatore con il

chetone formato, nonché l‟impiego di grossi volumi di solventi per l‟isolamento del

prodotto.

La sintesi tradizionale per ottenere p-metossiacetofenone a partire dall‟anisolo

(fig.10), utilizza cloruro di acetile insieme ad AlCl3 in HCl, dando origine a consistenti

reflui liquidi e solidi contenenti alluminio e cloro pari a 4,5 kg per kg di prodotto. Al

contrario, l‟uso della zeolite come catalizzatore eterogeneo nella reazione di acilazione

dell‟anisolo con l‟anidride acetica porta alla generazione di una quantità di reflui 100

volte inferiore, consistenti al 99% di acqua, 0,8% di acido acetico e meno dello 0,2%

di altri compostati organici e senza richiedere solvente. Inoltre, si ottiene un prodotto

di maggiore purezza e con una resa più alta (>95% contro 85-90%); il catalizzatore è

recuperabile, cosa impossibile nel caso dell‟AlCl3 che viene irrimediabilmente

disattivato e consumato durante il processo, con un numero di operazioni necessarie

alla sintesi ridotto da 12 a 2. Questo rende il processo con zeoliti non solo superiore

da un punto di vista ambientale, ma anche economicamente più vantaggioso.

Il solvente, benché non sia parte integrante dei reagenti, svolge un ruolo importante

nella sintesi, che è quello di solubilizzare i reagenti e permettere l‟omogeneizzazione

della miscela di reazione, migliorando la velocità e riducendo il consumo di energia.

I solventi contribuiscono per circa l‟85% della massa non acquosa in un processo e

attualmente l‟efficienza di recupero varia tra 50-80%.

Una delle sfide principali della chimica verde consiste nell‟eliminazione dei solventi

organici volatili (i cosiddetti VOC, Volatile Organic Compounds) nelle sintesi,

attraverso la ricerca di condizioni di processo indirizzate o verso l‟eliminazione dell‟uso

dei solventi o allo sviluppo di solventi alternativi benigni.

Composti come ad esempio il benzene, cloroformio, tetracloruro di carbonio o il

tetracloroetilene, sono sostanze non solo cancerogene, ma che contribuiscono in

misura sostanziale all‟inquinamento dell‟aria e delle acque. Il principale problema

Figura 10 - Reazione di acilazione dell’anisolo per ottenere p-

metossiacetofenone nel metodo tradizionale di Friedel-Crafts (sopra) e mediante l’uso di un catalizzatore di zeolite (sotto)

Page 11: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

11

ambientale con i VOC è la loro capacità di formare ozono e smog attraverso processi

di ossidazione da radicali liberi.

L‟acqua è considerata il solvente più benigno ed economico, ma nonostante sia il

mezzo in cui avvengono le reazioni biochimiche nei sistemi viventi, è un solvente di

difficile utilizzo nelle reazioni organiche. Molti reagenti e prodotti, come pure molti

catalizzatori a base di elementi di transizione, sono insolubili in acqua e il recupero dei

prodotti da soluzioni acquose è in genere abbastanza gravoso. Inoltre, l‟acqua può

essere molto reattiva verso composti

organici e bloccare numerose reazioni.

Una delle più promettenti alternative è l‟uso

dell‟anidride carbonica (CO2), facilmente

reperibile, non tossica, inodore e insapore,

nella fase di fluido supercritico (scCO2). A

determinati valori di temperatura e pressione

per una sostanza pura (che per la CO2 sono

rispettivamente 31,1 °C e 7,38 MPa) non

esiste più la distinzione tra fase liquida e

fase vapore, ma esiste una fase cosiddetta

critica che esibisce proprietà che

appartengono ad entrambe le fasi (fig.11).

In queste condizioni, la CO2 diffonde

rapidamente e ha bassa viscosità, proprietà

associate alla fase gassosa, ma è anche un

buon solvente, una proprietà spesso

associata ad un liquido. Le sue proprietà

solventi possono essere opportunamente

modulate variando la pressione di lavoro,

quindi la densità, influenzando in maniera

significativa la solubilità. La CO2 in fase

supercritica assume le caratteristiche di un

solvente non polare ed è paragonabile al n-

esano.

I fluidi supercritici possono essere facilmente

allontanati dall‟ambiente di reazione per

Figura 12 - Schema del processo di estrazione

della caffeina mediante CO2 supercritica

Figura 11 - Camera contenente due fasi di anidride carbonica, liquido-gas. All’aumento della temperatura

e pressione (da sinistra verso destra), le due fasi si uniscono per diventare un fluido supercritico

Page 12: CHIMICA E AMBIENTE - treccani.it · di nuovi materiali avanzati con migliori prestazioni rispetto a quelli tradizionali, per la produzione di farmaci sempre più efficaci nella cura

12

depressurizzazione/espansione, consentendo un più agevole recupero del prodotto,

evitando l‟uso di altre fasi di lavorazione quali estrazione, distillazione ecc.

Un‟applicazione industriale della CO2 supercritica è l‟estrazione della caffeina e di altri

principi attivi naturali e farmaceutici e il lavaggio a secco degli indumenti.

Per l‟estrazione della caffeina inizialmente era utilizzato il benzene sostituito

successivamente dal tricloroetene, entrambi cancerogeni per l‟uomo.

Il processo di estrazione avviene in una colonna in cui i chicchi di caffè entrano in

contatto con un flusso controcorrente di CO2 in condizione supercritica. La miscela

scCO2+caffeina è inviata in una colonna di purificazione in cui l‟acqua che proviene

dall‟alto rimuove la caffeina dalla CO2 che ritorna in circolo e viene riutilizzata

nuovamente nella colonna di estrazione. La caffeina è successivamente separata

dall‟acqua mediante diverse tecniche, tra le quali l‟osmosi inversa.

L‟utilizzo di scCO2 consente di estrarre la maggior parte della caffeina, che può essere

recuperata e utilizzata in altri settori, lasciando quasi del tutto inalterate le altre

sostanze che contribuiscono all‟aroma del caffè (fig.12).

La chimica verde sta ancora muovendo i primi passi anche se, secondo il recente

rapporto pubblicato dalla società statunitense di analisi TechNavio intitolato “Global

Chemicals Green Market 2014-2018”, tenderà a una crescita significativa e

progressiva nel corso del quinquennio considerato, con una previsione del tasso di

crescita annuo medio dell‟8,16%. Pertanto, si prevede che alla fine del decennio il suo

fatturato crescerà fino a 100 miliardi di dollari. Secondo l‟agenzia americana per

l‟ambiente, solo negli Stati Uniti la quantità di rifiuti chimici tossici è passata dai 278

milioni di tonnellate del 1991 a 35 milioni di tonnellate nel 2009.

Ma nonostante questi risultati, come ha dichiarato Anastas, “Avremo certezza che la

“chimica verde” ha avuto successo quando questa espressione sparirà perché sarà

l’unica chimica che conosceremo”.