che sono li arte

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ditoria Le artiterapie, o terapie espressive, hanno conosciuto negli ultimi anni una costante diffusione accompagna- ta da un sempre maggiore riconoscimento in ambito accademico e scientifico. La constatazione di tale pro- cesso ha maturato l’esigenza di mettere a disposizione della disciplina e dei colleghi, che a vario titolo si acco- stano ad essa, uno strumento di riflessione, di confron- to, di approfondimento. Il primo numero di Arté si apre con l’articolo di Ro- berto Caterina che pur privilegiando a tratti l’ambito musicoterapico ci propone una puntuale descrizione degli aspetti storico-culturali e scientifici che contrasse- gnano le terapie espressive nel loro insieme. L’articolo di Salvo Pitruzzella introduce uno specifico ambito applicativo presentando il contesto drammate- rapico e gli eventi ‘trasformativi’ che si possono realiz- zare al suo interno. I contributi di Rosa Porasso e del- l’équipe del Centro Arcipelago sono rivolti all’arteterapia. Rosa Porasso descrive il processo crea- tivo che sottostà all’intervento arteterapico ricordan- doci come si tratti di un divenire, che necessita un contenitore, capace di trasformare attraverso una fitta rete di relazioni un’energia per configurare un esito, un prodotto. I colleghi del Centro Arcipelago presen- tano da parte loro un’esperienza clinica condotta con gli ospiti di un centro diurno riabilitativo per pazienti affetti da gravi disabilità psicofisiche. Anna Lagomaggiore, danzamovimentoterapeuta, ap- profondisce, attraverso coinvolgenti esemplificazioni cliniche, le fasi iniziali del processo terapeutico sottoli- neando come si tratti di un momento estremamente delicato, da cui spesso può dipendere il buon esito del nostro intervento, dove il terapeuta sperimenta la sua maggiore o minore capacità empatica e contenitiva. L’approccio musicoterapico ritorna nel contributo di Giovanna Artale, Fabio Albano, Cristian Grassilli; gli autori, traendo spunto da un’esperienza clinica, pre- sentano le possibili applicazioni al contesto musicote- rapico del sistema di decodifica relazionale di Alan Fo- gel. Il primo numero dei quaderni si chiude con la preziosa intervista gentilmente concessa da Gillo Dor- fles e redatta da Giorgio Bedoni e Lucia Perfetti. Gerardo Manarolo 00

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ditoriaLe artiterapie, o terapie espressive, hanno conosciutonegli ultimi anni una costante diffusione accompagna-ta da un sempre maggiore riconoscimento in ambitoaccademico e scientifico. La constatazione di tale pro-cesso ha maturato l’esigenza di mettere a disposizionedella disciplina e dei colleghi, che a vario titolo si acco-stano ad essa, uno strumento di riflessione, di confron-to, di approfondimento.Il primo numero di Arté si apre con l’articolo di Ro-berto Caterina che pur privilegiando a tratti l’ambitomusicoterapico ci propone una puntuale descrizionedegli aspetti storico-culturali e scientifici che contrasse-gnano le terapie espressive nel loro insieme.L’articolo di Salvo Pitruzzella introduce uno specificoambito applicativo presentando il contesto drammate-rapico e gli eventi ‘trasformativi’ che si possono realiz-zare al suo interno. I contributi di Rosa Porasso e del-l’équipe del Centro Arcipelago sono rivoltiall’arteterapia. Rosa Porasso descrive il processo crea-tivo che sottostà all’intervento arteterapico ricordan-doci come si tratti di un divenire, che necessita uncontenitore, capace di trasformare attraverso una fitta

rete di relazioni un’energia per configurare un esito,un prodotto. I colleghi del Centro Arcipelago presen-tano da parte loro un’esperienza clinica condotta congli ospiti di un centro diurno riabilitativo per pazientiaffetti da gravi disabilità psicofisiche.Anna Lagomaggiore, danzamovimentoterapeuta, ap-profondisce, attraverso coinvolgenti esemplificazionicliniche, le fasi iniziali del processo terapeutico sottoli-neando come si tratti di un momento estremamentedelicato, da cui spesso può dipendere il buon esito delnostro intervento, dove il terapeuta sperimenta la suamaggiore o minore capacità empatica e contenitiva.L’approccio musicoterapico ritorna nel contributo diGiovanna Artale, Fabio Albano, Cristian Grassilli; gliautori, traendo spunto da un’esperienza clinica, pre-sentano le possibili applicazioni al contesto musicote-rapico del sistema di decodifica relazionale di Alan Fo-gel. Il primo numero dei quaderni si chiude con lapreziosa intervista gentilmente concessa da Gillo Dor-fles e redatta da Giorgio Bedoni e Lucia Perfetti.

Gerardo Manarolo

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mariosomm somm04 Arti-terapie e musicoterapia tra impegno sociale e verifica scientifica

ROBERTO CATERINA

18 Stati di grazia. Eventi trasformativi in DrammaterapiaSALVO PITRUZZELLA

27 Il Grembo della Creazione. Creazione artistica e autocreazione della mente.ROSA PORASSO

32 Dieci anni di martedì mattina con l’arteterapiaIl processo creativo come strumento per contrastare il burn outCENTRO DIURNO RIABILITATIVO ARCIPELAGO - COOP. S.A.B.A.

34 Verso la relazione terapeutica nella Danza Movimento TerapiaANNA LAGOMAGGIORE

42 L’approccio storico-relazionale in musicoterapia: analisi di un frameGIOVANNA ARTALE, FABIO ALBANO, CRISTIAN GRASSILLI

48 Arte e Psichiatria. Conversazione con Gillo DorflesGIORGIO BEDONI, LUCIA PERFETTI

56 Recensioni ar-té

60 Notiziario ar-té

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ca, grazie anche soprattutto alla metodologia psicoa-nalitica e alle istanze esplorative e conoscitive da essasuggerite.

Arte ed arti-terapie,musica e musicoterapia ■Una delle domande più frequenti che viene rivolta achi si occupa di musicoterapia e in generale di arti-te-rapie concerne il grado di preparazione artistica ri-chiesto ai partecipanti di un programma terapeutico eagli operatori. A questa domanda in genere si rispon-de dicendo che non è richiesta alcuna preparazionespecifica da parte del paziente che trova nel terapeutanon un insegnante d’arte ma una persona in grado distimolare il suo processo creativo. La finalità di tutte leforme di arti-terapie, d’altra parte, non è quella di in-segnare delle capacità tecniche per produrre delleopere artistiche, ma quella di lavorare sul processocreativo. Tuttavia l’at-teggiamento di moltiterapeuti può esseredifferente anche inconsiderazione del lorobackground che il piùdelle volte privilegia lapreparazione artisticarispetto a quella psico-terapeutica. Alcuni te-rapeuti pensano alle ar-ti-terapie come ad un momento espressivo in cuibisogna dare al prodotto artistico e allo sforzo impie-gato per realizzarlo un giusto peso. In molte situazio-ni, come quelle relative all’elaborazione del lutto, lapresenza di un prodotto concreto, al di là dell’analisidel processo creativo, può costituire un elemento im-portante che testimonia il lavoro fatto, dà una certasoddisfazione ai pazienti e permette loro di proseguirenell’analisi dei loro processi mentali e delle loro emo-zioni. Altri terapeuti pensano, invece, che lo scopopressoché esclusivo delle arti-terapie sia quello che ipazienti possano esprimere in forma il più delle voltenon verbale - sonora nel caso della musicoterapia - leloro angosce e preoccupazioni e che sia proprio que-

sta capacità espressiva e rappresentativa a dare sensoe slancio al processo terapeutico, mentre il fatto che laloro espressione possieda delle qualità estetiche, cometalvolta in effetti capita, sarebbe da ritenere come deltutto accidentale. In queste diverse posizioni si posso-no cogliere alcune problematiche di un certo rilievo:l’“artisticità” dei pazienti, per così dire, non va coltacome misura della loro abilità, ma come mezzo perpoter comunicare i loro problemi e per stabilire unpercorso terapeutico ben delineato. Non ci si aspettain musicoterapia che i pazienti sappiano suonare be-ne, l’obiettivo della terapia non è certo quello di giudi-carli o di correggerli se sbagliano. Si cerca piuttosto dicreare un ambiente che faciliti l’espressione attraversodeterminati canali e che sostenga e approfondisca illegame con il terapeuta. È difficile in ogni caso daredelle regole specifiche che si applicano sempre ed in-distintamente ad ogni paziente; a volte disporre di

molti materiali ostrumenti può essereutile, altre volte sonosufficienti strumentisonori improvvisati.L’obiettivo della tera-pia dovrebbe esserequello di mettere ingrado il paziente divivere in modo attivoil proprio processo

creativo, ma tale obiettivo deve essere raggiunto, sepossibile, in modo costante e graduale, non può inogni caso essere imposto. Pur nella f lessibilità di unasituazione che si deve adattare a diverse esigenze por-tate da differenti pazienti bisogna tuttavia creare i pre-supposti affinché il rapporto terapeutico e l’impegnoche richiede sia da parte del paziente, sia da parte delterapeuta possa costituirsi.Non ha senso disporre di molteplici materiali e nonsapere poi utilizzare lo spazio terapeutico come spaziopotenziale, ma solo come un’area di parcheggio pertenere impegnati, “buoni” per un po’ di tempo, ungruppo di pazienti. Non ha senso naturalmente ridur-re la situazione terapeutica ad una configurazione lu-

Arti-terapie e musicoterapiatra impegno sociale e verifica scientifica

Roberto Caterina Cattedra di Psicologia della Musica - Università degli Studi di Bologna

Il “miracolo” della musicoterapia ■Nel ricordare lo straordinario sviluppo che ha avutola musicoterapia nel mondo e in Italia negli ultimi 15anni mi fa piacere sottolineare come questo risultatonon sia da attribuire a fattori effimeri ma agli sforzicongiunti dei tanti operatori attivi in questo settoreche hanno permesso la nascita di percorsi didattici af-fidabili, la presenza di figure che potremo chiamare i“pionieri” della musicoterapia che con le loro idee,impegno e stile di vita hanno consentito la concretarealizzazione di molti progetti terapeutici, e, infine, lapossibilità di valutare con strumenti scientifici e attra-verso ricerche mirate sia la validità, sia l’affidabilitàdei risultati conseguiti nella terapia. Per fare un soloesempio il libro The Miracle of Music Therapy diEdith Hillmann Boxhill (1997), pioniera e autrice dimolti lavori sull’argomento, testimonia molto bene, aldi là della parola “miracolo” come in realtà sia fallacela rappresentazione mentale che nella musicoterapiatutto sia semplice e la musica sia sufficiente a risolvereogni problema: in realtà è il costante sforzo dei tera-peuti, il continuo impegno per capire i pazienti e co-municare con loro che rende quel “miracolo” possibi-le. La vita stessa della Boxhill, le sue battaglie socialisono una testimonianza in tal senso. Il “miracolo” èforse quello di trovare elementi comunicativi all’inter-no del linguaggio musicale che spesso si danno per ac-quisiti, ma che, soprattutto in un contesto come quelloattuale in cui spesso predominano dei modelli diascolto solitario, vanno invece riscoperti e ricostruiti.Al pari della Boxhill naturalmente molte altre figuredi “pionieri” possono essere ricordate come Benen-zon, la Alvin e così via. Attraverso la loro opera la mu-sicoterapia ha assunto un ruolo sempre più autonomoche ha saputo far propria sia l’esperienza terapeuticaderivante dalla tradizione psicoanalitica, sia le istanzedi apertura verso il mondo sociale provenienti dallacrisi del modello psichiatrico tradizionale negli anni‘70 del secolo scorso, sia ancora le numerose istanzeprovenienti dall’ambito della psicologia della comuni-cazione e della psicologia della musica per un riscon-tro obiettivo e verificabile dei principali percorsi tera-peutici attuati. Obiettivo questo ultimo che consente

alla musicoterapia di affrancarsi da presupposti miticio magici e di collaborare attivamente con altre disci-pline scientifiche, a cominciare dalla medicina.

Arti-terapie e psicoterapie ■Le arti-terapie, come tutte le forme di psicoterapiache si sono succedute nel tempo, non possono prescin-dere dalla teoria e dalla pratica psicoanalitica nellamisura in cui si basano sugli stessi presupposti di co-struzione del rapporto terapeutico e sulle stesse istan-ze di tipo comunicativo. Certo Freud, sebbene interes-sato ad una definizione della personalità artistica ealle opere di grandi maestri, privilegiò di fatto nellaterapia l’ambito della comunicazione verbale e solo li-mitatamente si interessò alla produzione artistica deipazienti. Tuttavia il suo stesso metodo, come molti an-ni più tardi dirà Donald Meltzer (1967), era simile aquello che determina la produzione artistica: Freudera un “clinico-artista” che scriveva o riscriveva dellestorie terapeutiche, attento a cogliere i nessi non sem-pre evidenti tra le cose, le motivazioni inconsce, maattento anche a non lasciarsi trasportare da un deter-minismo assoluto o a voler spiegare ad ogni costo ilcomportamento umano. Niente forse è più alieno allateoria psicoanalitica di un modello prestabilito e in ciòcertamente Freud si differenzia dalla tradizione psi-chiatrica, peraltro estremamente illustre, della Viennadi fine 800. Esemplare a questo proposito è il rapportotra Freud e Wagner-Jauregg, grande psichiatra, pre-mio Nobel, sostanzialmente estraneo alle idee freudia-ne che applicava un protocollo terapeutico nei casi disimulazione (Freud, 1920) che non differenziava tramotivazioni coscienti ed inconsce.Nel pensiero clinico psicoanalitico e nel rapporto tera-peutico che ne consegue c’è un ampio spazio per i“se”, i “ma”, le circostanze che casualmente determi-nano alcune nostre esperienze e non altre; il rapportoterapeutico è “in fieri”, si alimenta delle intuizioni edelle emozioni in esso contenute, proprio come avvie-ne nella creazione di un’opera d’arte.L’orizzonte delle arti-terapie e in specie della musico-terapia, si allarga e fuoriesce dai confini angusti dimero strumento nell’ambito della pratica psichiatri-

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IN MOLTE SITUAZIONI, COME QUELLE RELATIVEALL’ELABORAZIONE DEL LUTTO, LA PRESENZA DI UN PRODOTTOCONCRETO, AL DI LÀ DELL’ANALISI DEL PROCESSO CREATIVO,PUÒ COSTITUIRE UN ELEMENTO IMPORTANTE CHE TESTIMONIAIL LAVORO FATTO, DÀ UNA CERTA SODDISFAZIONE AI PAZIENTIE PERMETTE LORO DI PROSEGUIRE NELL’ANALISIDEI LORO PROCESSI MENTALI E DELLE LORO EMOZIONI

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perseguito, rimane spesso come una sorta di traguar-do, un risultato tangibile e concreto che ha giustificatoparticolari scelte operative.

La matrice sociale della delle arti-terapiee della musicoterapia ■Uno dei punti di forza della musicoterapia è costituitodal fatto che tale esperienza si è rilevata estremamenteutile nel ridurre comportamenti aggressivi, nel favori-re gli aspetti comunicativi all’interno del gruppo, nel-l’utilizzare la musica come fattore di aggregazione so-ciale e mezzo per esprimere in maniera adeguata leproprie emozioni. Le medesime considerazioni valgo-no non solo per la musicoteapia, ma per le arti-terapiein generale. Non a caso molteplici programmi di arti-terapie vengono attuatiin contesti di disagio edemarginazione socialeo di handicap fisico incui molto spesso lamancanza di strumenticomunicativi efficaci èal tempo stesso causa econseguenza di emarginazione. Gli obiettivi terapeuti-ci di molti progetti di arti-terapie puntano a rimuove-re l’isolamento sociale e le ansie ad esso connesse chemolte patologie o disabilità comportano. Ad esempionel caso dell’Alzheimer si cerca, attraverso l’espressio-ne artistica, di tener vivi dei canali di comunicazionenon verbali e uno spazio di condivisione di vissutiemotivi. Di fronte ad handicap fisici, come difficoltàmotorie, sordità, cecità, ecc..., l’espressione artisticapuò attivare dei percorsi in cui la condivisione e la re-golazione delle emozioni portano a convivere in ma-niera consapevole con le proprie limitazioni e ad inte-grarsi socialmente. Nel caso di tossicodipendenze,comportamenti antisociali, gli elementi distruttivi eautodistruttivi possono essere trasformati in elementicreativi con l’obiettivo, ancora una volta, di favorirel’integrazione sociale.Il mondo delle arti-terapie, pur nella sua autonomia, èindubbiamente inserito in vari programmi ed attivitàsociali che cercano di venire incontro alle difficoltà

poste in essere da diverse forme di disagio. Terminiche vengono attualmente utilizzati dal linguaggio ver-bale come “diversamente abili” al posto di handicap-pati non sono solo degli eufemismi, ma testimonianola diversa attenzione che la società riserva a questepersone, il riconoscimento delle loro qualità e una dif-ferente politica per il loro inserimento sociale. In que-sto processo le arti-terapie certamente hanno avuto etuttora hanno un posto di rilievo. L’intervento dellearti-terapie è orientato ad un ampliamento di quellache è la sfera dei vissuti emotivi; l’espressione artisticaporta nel campo dell’esperienza individuale dei nuovicontenuti affettivi con cui il paziente, sostenuto dal te-rapeuta, deve confrontarsi: al contrario dei meccani-smi di difesa ed in particolar modo della rimozione,

l’aspetto espressivocomunicativo pro-prio delle arti-terapieporta ad una mag-giore consapevolezzadi sé, a volersi vederee non a nascondersi.Questa maggiore vi-

sibilità che è l’obiettivo terapeutico va di pari passocon quella che è la maggiore visibilità, attenzione, ri-scontrabile al livello sociale da parte delle istituzionie delle singole persone. Gli obiettivi di inserimentosociale portano al superamento del rifiuto del “diver-so” e si fondano su una nuova consapevolezza acqui-sita o acquisibile da parte di chi è in una situazionedi disagio o malattia.Gli aspetti sociali presenti nelle arti-terapie in partehanno anche dei riferimenti e dei collegamenti storici:si pensi, ad esempio, alla svolta avvenuta intorno aglianni ‘70 nel mondo psichiatrico, l’influenza di FrancoBasaglia, la chiusura dei manicomi, le manifestazioniteatrali e artistiche che nacquero in quell’ormai lonta-no contesto: sarebbe ingeneroso non riconoscere chequel clima, pur con tutti i limiti di un obiettivo tera-peutico solo in parte definito, ha contribuito non pocoad affrancare il mondo delle arti-terapie dai ghetti isti-tuzionali in cui era rinchiuso. Si può dire, anzi, che in-terventi mirati in ambito sociale presero vita da quel

Roberto Caterinadica in cui il gioco è preordinato ed imposto e che im-pedisce di fatto ai pazienti di trovare una strada auto-noma di espressione.Non ha senso, infine, che il terapeuta utilizzi in mododifensivo e non comunicativo il proprio fare arte e chenon sappia tollerare le lunghe fasi di inattività di de-terminati pazienti.Le qualità artistiche o meglio espressive del pazientevanno scoperte, fatte emergere e, una volta che questoobiettivo sia stato raggiunto, devono trovare una giu-sta accoglienza e un’adeguata risposta da parte del te-rapeuta, risposta che non deve suo-nare come semplice approvazione oammirazione, ma come condivisioneemotiva dell’impegno terapeutico.La situazione terapeutica spesso im-plica un dover affrontare e gestireproblematiche difficili e perturbanti,anche laddove l’obiettivo terapeuticopuò non essere così profondo, che senon affrontate con adeguata competenza, rischiano diesporre gli operatori all’attivazione di metodiche di-fensive, che impediscono il dialogo con il paziente, oanche al rischio di burn-out. In sostanza il lato “arti-stico” delle arti-terapie non va ricercato in delle quali-tà pregresse del paziente, né deve essere indicato co-me fine didattico, ma si trova nella possibilità di “farearte” insieme che il terapeuta e il paziente costruisco-no nello spazio di intervento: l’espressione artisticapermette al paziente di poter esprimere i propri vissutiemotivi, elaborandone l’angoscia, e al terapeuta di ac-coglierli, tenerli dentro di sé e restituirli al pazienteadottando quello stesso medium artistico che ha per-messo al paziente di esprimerli.Questa competenza comunicativa implica essere unpo’ artisti sia nel paziente, sia nel terapeuta, ma puòconfigurarsi in termini abbastanza diversi da quellache può essere l’effettiva e concreta esperienza di unartista che non necessariamente ricerca e attua una si-tuazione di dialogo terapeutico, ma talvolta opera insolitudine e, nonostante le sue realizzazioni artistiche,può presentare, in quanto persona, una serie di distur-bi e difficoltà relazionali anche gravi. Questo per dire,

esaminando ora quanto il terapeuta deve essere arti-sta, che non è mai del tutto corretta l’equazione tera-peuta = artista. Il terapeuta naturalmente deve averedelle competenze abbastanza articolate nel campodell’espressione e della tecnica artistica, può essere unartista o, in campo musicale, un bravo interprete edesecutore. Nei curricula richiesti per i vari corsi e ma-sters in arti-terapie queste competenze specifiche sonosempre richieste: si tratta, tuttavia, di elementi neces-sari, ma non sufficienti. La preparazione dei terapeutideve naturalmente incentrarsi sulle dinamiche rela-

zionali, deve trovare nell’osservazione, nellasupervisione, nella definizione del setting gliobiettivi primari sui quali poi si deve inne-stare la preparazione e la pratica in questoo quel campo artistico. Questi obiettivi se sileggono i requisiti di ammissione e i pro-grammi della maggior parte dei corsi di ar-ti-terapie, così come i casi e i progetti deisingoli operatori, sembrano essere degli ele-

menti largamente acquisiti e condivisi. Prevale neglioperatori delle arti-terapie un atteggiamento realisticoe pratico anche se purtroppo una certa confusione,soprattutto in realtà non ancora consolidate, tra il pia-no dell’animazione artistica e quello di un interventoterapeutico, continua a sussistere.Bisogna inoltre distinguere tra situazioni che si posso-no definire propriamente di arti-terapie da altre situa-zioni in cui semplicemente si utilizza l’espressività arti-stica all’interno di altri contesti terapeutici opsicoterapeutici.Spesso in questo tipo di intervento, proprio per la na-tura ausiliaria e non centrale dell’espressione artistica,l’enfasi sul prodotto finito piuttosto che sul processocreativo e sulle modalità comunicative terapeuta-pa-ziente può risultare maggiore rispetto ad un contestopropriamente orientato alle arti-terapie e alla ricercadi un linguaggio artistico espressivo comune al pa-ziente e al terapeuta. In un impiego addizionale e/ooccasionale di elementi artistici nel lavoro terapeutico,il raggiungimento di un prodotto estetico accettabileda poter mostrare ad altri in appositi spazi espositivi,anche se non sempre è un obiettivo deliberatamente

Arti-terapie e musicoterapiatra impegno sociale e verifica scientifica

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AL CONTRARIO DEI MECCANISMI DI DIFESAED IN PARTICOLAR MODO DELLA RIMOZIONE, L’ASPETTOESPRESSIVO COMUNICATIVO PROPRIO DELLE ARTI-TERAPIEPORTA AD UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DI SÉ,A VOLERSI VEDERE E NON A NASCONDERSI

LE QUALITÀ ARTISTICHEO MEGLIO ESPRESSIVEDEL PAZIENTEVANNO SCOPERTE,FATTE EMERGERE

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persone possiedano in eguale misura e che, in talunecircostanze, può essere particolarmente importantesviluppare o acquisire. Quando si usa il termine rego-lazione delle emozioni, non ci si riferisce necessaria-mente alla loro inibizione, ma piuttosto ad una loroespressione adeguata. Si è parlato a tale proposito di“intelligenza emotiva”. Il concetto di intelligenzaemotiva introdotto da Salovey e Mayer (1990) e poi ri-proposto nel libro di Goleman (1995), riprende so-stanzialmente la definizione di intelligenza multicom-ponenziale di Gardner (1993), e sottolinea l’esistenza,tra i vari fattori che costituiscono l’intelligenza uma-na, di un’abilità emotiva che permette a molti indivi-dui di sapersi muovere con successo, di vivere meglioe, spesso, più a lungo. Gli ambiti in cui sostanzialmen-te questa abilità emotiva si esplica riguardano:1) la conoscenza delle

proprie emozioni,ovvero la capacità diessere autoconsape-voli dei propri vissutiemotivi e di sapersiosservare;

2) il controllo e la rego-lazione delle proprie emozioni (appropriatezzanell’espressione e nel vissuto emotivo, evitare il co-siddetto “sequestro emotivo”, ovvero di essere do-minati dalle emozioni);

3) la capacità di sapersi motivare (predisposizione dipiani e scopi, capacità di tollerare le frustrazioni edi posporre le gratificazioni);

4) il riconoscimento delle emozioni altrui (empatia);5) gestione delle relazioni sociali fra individui e nel

gruppo (capacità di leadership, negoziazione, ecc.).L’intelligenza emotiva non necessariamente coincidecon il concetto tradizionale di intelligenza (espressodal quoziente intellettivo), né con le competenze tecni-che che una persona può avere. Si tratta di un tipo diintelligenza che evidenzia le abilità sociali dell’indivi-duo e si fonda su diverse forme di regolazione delleemozioni. Nell’ambito delle arti-terapie il concetto diintelligenza emotiva può essere utile proprio per tra-sformare dei comportamenti antisociali e distruttivi in

processi creativi attraverso l’uso di materiale artisticoe attraverso la condivisione dello stesso con il terapeu-ta e con gli altri pazienti. Pur non avendo le arti-tera-pie una finalità didattica si può dire, però, che abbia-no come obiettivo lo sviluppo di una maggioreintelligenza emotiva, obiettivo che può essere realizza-to nel tempo e nel rispetto del setting, attraverso l’e-spressione artistica.La funzione dell’arte per superare situazioni di emar-ginazione è forse una delle più importanti caratteristi-che delle arti-terapie ed è certamente quella che mettemaggiormente in luce l’utilità di questo modello tera-peutico. È necessario tuttavia che i terapeuti sianoprofessionalmente preparati e continuamente aggior-nati per poter esercitare pienamente e con efficaciaquella funzione. Non bisogna nella maniera più asso-

luta pensare chel’empatia sia una do-te innata: essa puòessere costruita soloattraverso l’espe-rienza, maturatanella pratica dellasupervisione e nelle

realistiche aspettative degli obiettivi terapeutici. Solocosì si può rispondere positivamente alle richieste diaiuto dei pazienti e di collaborazione terapeutica delleistituzioni.

L’osservazione ■È noto come gli psicoanalisti che si occuparono dianalizzare bambini e non pazienti adulti - in primoluogo Melanie Klein e, poi, in un contesto teoricomolto diverso, Anna Freud - dovettero adattare la tec-nica psicoanalitica classica ad una nuova situazione incui la comunicazione verbale aveva un ruolo margi-nale e non era sufficiente. La tecnica freudiana delle“associazioni libere” venne sostituita con una situazio-ne di gioco: attraverso l’uso di giocattoli e non solo,anche carta, matite colorate, pezzi di spago e soprat-tutto acqua, i bambini riuscivano ad esprimere e adelaborare chiaramente le proprie angosce, mentre leverbalizzazioni potevano essere molto difficili. La si-

Roberto Caterinamomento in poi. Allora si iniziò un faticoso percorsoche permise di scindere il piano dell’animazione arti-stica da quello delle arti-terapie e a individuarne lecompetenze professionali all’interno di progetti speci-fici in ospedali, comunità, centri, residenze assistite.La valenza sociale delle arti-terapie si fonda su una ri-sposta che esse sanno offrire a richieste di aiuto e talerisposta si basa su una competenza comunicativa deglioperatori che deve essere appresa, non improvvisata esu un’esperienza clinica e relazionale che consente diutilizzare gli elementi comu-nicativi espressi attraverso glielementi artistici per condi-videre e saper regolare delleemozioni. Pur senza volerproporre degli apprendi-menti specifici le arti-terapieindicano dei percorsi che mi-rano all’acquisizione di alcu-ne abilità sociali, a potersiesprimere e a farsi ascoltare dagli altri, abilità che so-no poi le stesse che gli arti-terapeuti devono avere peresercitare in maniera efficace la loro professione. Nonsono solo le arti-terapie a suggerire questo percorsoche evidenzia delle competenze sociali. Basti pensare,ad esempio, ad un campo apparentemente lontanissi-mo come quello delle tecniche di vendita o a contestipiù vicini come molti programmi educativi e clinici incui si valorizzano le capacità di “empatia” fra soggettiinteragenti.Queste capacità empatiche si fondano in buona so-stanza su quelli che sono gli elementi principali dellacompetenza comunicativa. Nella competenza comu-nicativa possono essere individuate tre classi specifichedi abilità. Una prima classe si riferisce in generale allafunzione di ricezione dei segnali e delle informazioniche essi forniscono; una seconda classe di abilità si ri-ferisce all’insieme dei comportamenti che favorisconoun invio efficace dei messaggi, o, in senso più lato, unmodo adeguato di agire verso gli altri; una terza classedi abilità è più propriamente intraindividuale e po-trebbe essere indicata da concetti quali consapevolez-za, congruenza interna, feedback interno: tutti con-

cetti che si riferiscono alla possibilità di operare un co-stante monitoraggio nei confronti dei propri compor-tamenti comunicativi e dei sottostanti atteggiamenti,sentimenti, intenzioni.Questi tre livelli di abilità, o meglio, tre aspetti dellacompetenza comunicativa, implicano due diverse mo-dalità applicative, ovvero due diversi modi di utilizza-re la competenza comunicativa in vista di una comu-nicazione efficace. Citando Imbasciati (1993) si puòdire che esiste una modalità “manipolativa”, direttiva

che utilizza la competenza comunicativaper modificare il comportamento altrui euna modalità “identificatoria” in cui ci sipone in ascolto dell’altro, si recepiscono isuoi messaggi non verbali, le sue emozioni.Nell’ambito delle arti-terapie entrambe lemodalità possono essere usate. La modalitàmanipolativa non è necessariamente da in-tendersi in senso negativo: è certamentemeno profonda, più facile da apprendere e

da applicare. Molti modelli di terapie comportamen-tali la utilizzano per il raggiungimento di obiettivi de-finiti. Tuttavia se si vogliono conseguire risultati piùduraturi tali strategie si rivelano insufficienti in quan-to si basano soprattutto sulla possibilità di “esserecambiati” piuttosto che di “cambiare”. La modalitàidentificatoria anche se appare più passiva e richiedetempi più lunghi di applicazione fa sì che il pazientetrovi nel terapeuta uno spazio anche mentale di ascol-to, un luogo in cui la comunicazione delle emozionirisulti possibile e in cui gli affetti possano essere tra-sformati da strumenti di sofferenza in mezzi utili permaturare e per vivere consapevolmente anche un’e-sperienza estremamente devastante. Questa modalitàidentificatoria si rileva come uno strumento terapeuti-co particolarmente utile affinché il paziente veda sestesso, esca da una situazione di chiusura ed emargi-nazione e accetti di condividere con altri le proprieemozioni.Lo stato di salute e il benessere individuale dipendonoin gran parte dal controllo e dalla regolazione delleemozioni. La capacità di controllare, esprimere, vive-re e sentire le emozioni è una qualità che non tutte le

Arti-terapie e musicoterapiatra impegno sociale e verifica scientifica

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LA FUNZIONE DELL’ARTE PER SUPERARE SITUAZIONIDI EMARGINAZIONE È FORSE UNA DELLE PIÙ IMPORTANTICARATTERISTICHE DELLE ARTI-TERAPIEED È CERTAMENTE QUELLA CHE METTE MAGGIORMENTE IN LUCEL’UTILITÀ DI QUESTO MODELLO TERAPEUTICO

LA VALENZA SOCIALEDELLE ARTI-TERAPIE SI FONDASU UNA RISPOSTACHE ESSE SANNO OFFRIREA RICHIESTE DI AIUTO

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do Benenzon, 1981, 1997) è profondamente radicatanell’inconscio: compito del musicoterapeuta è quellodi avvicinarsi all’identità sonora del paziente. Il prin-cipio dell’ISO, secondo la più recente formulazione diBenenzon (1997), rappresenta l’insieme infinito delleenergie sonore, acustiche e di movimento che appar-tengono ad ogni individuo e lo caratterizzano. L’ISOuniversale rappresenta l’energia che deriva dal patri-monio sonoro che si è costituito attraverso i millennicon variazioni signif icative per alcune grandi areegeografiche (occidente- oriente; nord - sud;paesi freddi - paesi tro-picali). Il ritmo binarioche imita il battito delcuore, i movimenti diinspirazione ed espirazione, il suono dell’acqua (legatoal liquido amniotico) sono alcuni elementi dell’iso uni-versale. L’ISO gestaltico rappresenta l’esperienza so-nora individuale dal concepimento in poi e può inparte coincidere, in parte sovrapporsi all’ISO univer-sale laddove vi siano state diverse e particolari espe-rienze sonore. L’ISO culturale rappresenta l’influenzadell’ambiente - dalla nascita in poi - nel patrimoniosonoro-musicale di ogni individuo.Il principio dell’ISO appare come un processo che siarticola in stadi successivi. Un ritmo binario fa partedell’ISO universale, la voce della madre dell’ISO ge-staltico, un frammento melodico dell’ISO culturale. Ilmusicoterapeuta deve possedere una grande flessibili-tà e sensibilità nel dosare i suoi interventi attivi, nel sa-per privilegiare il più delle volte l’ascolto rispetto al“fare”, nel saper orientare il suo intervento per svilup-pare e rafforzare la capacità di ascolto del paziente.Certo si tratta di un compito non facile, ma è solo perquesta via che il contatto sonoro tra paziente e tera-peuta (o fra i vari componenti di un gruppo terapeuti-co) può crescere e trasformarsi in un’attività da fareinsieme e che in sostanza costituisce la parte più pro-priamente musicale della terapia.L’improvvisazione consente al terapeuta di cogliere isuoni che vengono prodotti dal paziente, di elaborarlie di restituirglieli nella forma della variazione su tema.

A questo intervento il musicoterapeuta deve arrivarepreparato avendo ascoltato e capito ciò che il pazientegli vuole comunicare. Nel dare al dialogo sonoro unaforma musicale, soprattutto grazie a delle tecniche diimprovvisazione, ma anche nello sviluppare una di-versa modalità di ascolto orientata a comprendere ilsignificato di un brano musicale si trovano i fonda-menti stessi dell’attività terapeutica esercitata dallamusica (Scardovelli, 1992). Secondo Bruscia (1987) lefinalità generali dell’improvvisazione in musicoterapia

sono molteplici, ri-guardano varie fasidell’intervento tera-peutico e coinvolgo-no più dimensioni delsé, da quelle più pro-

priamente interne a quelle relative all’interazione so-ciale. Tra i metodi storici relativi all’improvvisazionesi possono ricordare l’approccio di Nordoff-Robbins(Nordoff e Robbins, 1977), ora chiamato “CreativeMusic Therapy”, che si fonda sulle potenzialità comu-nicative dell’improvvisazione e l’ “Analytic MusicTherapy” della Priestley (1994) che, basandosi su con-cetti freudiani e kleiniani, utilizza l’improvvisazionecome strumento di crescita e di esplorazione della psi-che. Per quanto riguarda la capacità di ascoltare lamusica da parte del terapeuta e del paziente in sinto-nia emotiva si possono fare considerazioni simili aquelle che sono state fatte per l’improvvisazione.Tanto l’ascolto che l’espressione musicale prevedonoun intervento che permette di acquisire delle regole diascolto e di espressione. È la capacità di osservare sestessi in quanto fruitori di musica e in quanto esecuto-ri, d’altra parte, che consente ai pazienti di apprende-re quelle regole.A sostegno di questa tesi si può citare la metodologiadella Bonny (G.I.M. “Guided Imagery in Music”,Bonny, 1997) in cui l’ascolto è in funzione dell’im-maginazione e della elaborazione simbolica del vis-suto emotivo. Un profondo rilassamento viene abbi-nato alla concentrazione nella musica per guidare ilpaziente attraverso diverse esperienze interiori.Il terapeuta tiene un rapporto scritto sulle immagini

Roberto Caterinatuazione di gioco aveva, se così si può dire, una dupli-ce funzione: era una situazione terapeutica, a tutti glieffetti, ma era anche una situazione di osservazione; ilterapeuta poteva osservare il gioco del bambino, attri-buirgli un significato e in qualche modo comunicar-glielo attraverso il gioco stesso. La situazione di osser-vazione, d’altra parte, suggeriva al terapeutaun’auto-osservazione, una valutazione delle sue rea-zioni di fronte al comportamento espresso dal pazien-te; non si trattava, quindi, di una situazione passiva,ma di un vero e proprio scambio di emozioni che im-plicava un controllo e una regolazione delle stesse. Lacapacità di osservare diventava così uno dei prerequi-siti dell’intervento terapeutico: sapere osservare il pa-ziente significava stabilire una giusta distanza che per-metteva uno scambio emotivo; una distanza che fossenon troppo grande, al di là di ogni possibilità comuni-cativa, né troppo piccola per evitare i rischi di un rap-porto collusivo e troppo coinvolgente. La capacità diosservare da parte del terapeuta, inoltre, era il presup-posto per l’attivazione da parte del paziente di unacorrispondente capacità riflessiva; gradualmente il pa-ziente poteva imparare ad osservare se stesso e a vede-re la sua relazione con il terapeuta. Tutti i presuppostidinamici inerenti alla relazione terapeutica erano inqualche modo presenti nella situazione di osservazio-ne e di gioco interattivo che ad essa seguiva. Il mo-mento dell’osservazione, inteso non come attivitàsemplicemente meccanica o passiva, ma in qualchemodo partecipe del contesto affettivo relazionale, co-stituisce un importante strumento di formazione delterapeuta, come suggerito dai modelli della psicoana-lista Ester Bick (1964) e dalle successive esperienze for-mative della Tavistock Clinic di Londra. Nella forma-zione dello psicoterapeuta infantile l’osservazioneregolare del rapporto madre-bambino, dalla nascita odai primissimi giorni di vita fino al termine del primoanno di vita, costituisce un’occasione unica per com-prendere le dinamiche affettive e relazionali presentinella coppia madre-bambino e per capire le propriereazioni emotive a ciò che si osserva. La possibilità,inoltre, di discutere in gruppo le proprie osservazionie di confrontarle con l’esperienza degli altri parteci-

panti al gruppo orienta e definisce la tecnica stessa peruna corretta osservazione, come prima si è detto, nontroppo attiva e coinvolgente, né troppo distaccata, inmodo da non perdere di vista l’oggetto dell’osservazio-ne e le emozioni che comunica.La tecnica dell’osservazione partecipe, nata nell’am-bito della psicoterapia infantile, ben si adatta alla si-tuazione delle arti-terapie. In questo contesto, infatti,bisogna comprendere ciò che il paziente o i pazientivogliono comunicare attraverso le loro attivitàespressive. È necessaria, quindi, un’osservazione ac-curata e valutare bene quanto ogni intervento del te-rapeuta possa essere compreso e recepito. Inoltre,mediante l’osservazione è possibile capire a quale ti-po di materiale o produzione artistica un pazientepuò rivelarsi più sensibile ed interessato e possa co-stituire, in definitiva, un valido canale di comunica-zione con il terapeuta.

Il mondo sonoro ■Un primo modo per entrare in contatto con il pazien-te è quello di conoscere il suo ambiente sonoro: i suoniche gli sono familiari, quelli graditi e quelli sgraditi. Aquesto scopo si utilizzano degli strumenti di osserva-zione, delle schede che sono compilate dal terapeuta,a volte con la collaborazione dei familiari del pazien-te. Le schede di musicoterapia non consistono, co-munque, in una mera raccolta di dati provenienti dalpaziente, così come l’osservazione non è una mera re-gistrazione di avvenimenti esterni, ma rappresentanoper il terapeuta la capacità di saper costruire i presup-posti per un dialogo fondato nell’individuazione di al-cuni elementi sonori che fanno parte di uno spazio dicomunicazione comune. Secondo Benenzon (1981)non tutte le persone reagiscono allo stesso modo a de-terminati suoni: se si vuole entrare in contatto con unpaziente bisogna quindi individuare i suoni giusti traquelli che risultano più familiari. Ogni individuo ap-pare come caratterizzato da un suo proprio suono, dauna propria esperienza sonora, in parte ereditaria, inparte acquisita a partire dalle primissime esperienzeintrauterine (dove l’ambiente è quasi totalmente sono-ro). L’identità sonora individuale (ovvero ISO, secon-

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TANTO L’ASCOLTO CHE L’ESPRESSIONE MUSICALEPREVEDONO UN INTERVENTO CHE PERMETTE DI ACQUISIREDELLE REGOLE DI ASCOLTO E DI ESPRESSIONE

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che gli interventi di arti-terapie favoriscono una mag-giore interiorizzazione dei vissuti psichici e predi-spongono ad un più efficace controllo delle emozio-ni. Dati di tipo quantitativo come questi relativi allarelazione tra efficacia terapeutica e modifiche ai pun-teggi di una scala possono poi essere corroborati dadati qualitativi, osservazioni mirate che evidenziano imutamenti nel tempo che i singoli pazienti presenta-no relativamente alla propria espressività e nel rap-porto con gli altri.Per quanto concerne gli effetti terapeutici dell’esposi-zione o del contatto con alcuni materiali artistici nelcampo dell’arte visiva sono stati studiati soprattutto glieffetti dei colori, dando vita a tecniche di meditazio-ne, di autocontrollo e terapeutiche che non sempre ri-spondono a obiettivi definiti e la cui validità, al di làdegli effetti suggestivi, ha bisogno senza dubbio di ul-teriori verifiche. L’esposizione sonora è stata oggetto,invece, di numerose ricerche attente a valutare l’in-fluenza dei suoni sulle risposte corporee e fisiologichee ad indicarne le potenzialità terapeutiche. L’accelera-zione e la decelerazione del battito cardiaco, stimolatasoprattutto dalle componenti ritmiche della musica, èstata osservata in alcuni contesti terapeutici. Sono sta-ti fatti degli studi nelle unità coronariche in pazientiaffetti da infarto miocardico e altri scompensi cardia-ci. I risultati sono stati contradditori per quanto ri-guarda i cambiamenti nel parametro fisiologico osser-vato. Ad esempionello studio di Davis-Rollans & Cunnin-gham (1987) non si ènotata una differen-za nel battito cardia-co fra i soggetti espo-sti a suoni e il gruppo di controllo, ma nello studio diGuzzetta (1989) in soggetti infartuati, si è assistito aduna significativa decelerazione del battito cardiaco ri-spetto ai controlli. La contraddittorietà dei risultatiimpone ulteriori verifiche metodologiche, del proto-collo terapeutico e dei suoni somministrati. È ben no-to ad ogni modo che l’esposizione sonora, laddovevengano attuate determinate condizioni relative alla

struttura e al volume dei brani impiegati, può com-portare una riduzione dell’ansia.Si è ipotizzata una forte influenza dell’esposizione so-nora anche per quanto riguarda il controllo del ritmorespiratorio. I risultati ancora una volta sono staticontradditori: in uno studio su ammalati di sclerosimultipla (Wiens, Reimer, Guyn, 1999) si è visto chel’esposizione sonora poteva aiutare nel rafforzamentodei muscoli respiratori, ma non v’erano differenze si-gnificative con i controlli. In un altro studio (Gros-sman, Grossman, Schein, Zimlichman, Gavish, 2001)si è potuto osservare un miglioramento del ritmo re-spiratorio in pazienti ipertesi in seguito ad esposizionesonora.Nello stesso studio precedentemente citato vi è qual-che evidenza di un abbassamento dei valori massimidella pressione del sangue in soggetti ipertesi in segui-to ad esposizione sonora.Per quanto riguarda la conduttanza cutanea alcunericerche della Alvin (1975) avevano dimostrato unacerta differenza nella risposta psicogalvanica tra chiascoltava la musica e chi non l’ascoltava. Si tratta co-munque di indicazioni piuttosto vaghe e non legate apatologie specifiche.Maggiori evidenze sono suggerite dalle ricerche cheriguardano il rapporto tra esposizione sonora (o pro-tocolli di musicoterapia) e risposte ormonali. Si posso-no citare alcuni studi sull’incremento di melatonina in

occasione della stimola-zione sonora in pazientiaffetti da Alzheimer(Kumar et al., 1999) ri-spetto a controlli (senzaesposizione sonora) conconseguente stabilizza-

zione del ciclo del sonno. Altre ricerche indicano la ri-duzione della produzione degli ormoni dello stress(cortisolo e ACTH ormone adrenocorticotropico) inseguito ad esposizione sonora o a musicoterapia in pa-zienti affetti da cancro (Bunt, 1994) o in situazionipreoperatorie (Escher, Hohmann, Anthenien, Dayer,Bosshard, Gaillard, 1993).L’esposizione sonora stimola significativamente le di-

Roberto Caterinaraccontate dal paziente durante l’ascolto musicale. Leimmagini vengono, poi, discusse. Nel corso di questeesperienze possono emergere problemi personali odifficoltà che possono divenire argomento centraleper ulteriori discussioni o per un futuro lavoro. Lascelta dei brani da ascoltare nelle terapie ricettivespesso è in funzione dell’osservazione del paziente.

La ricerca e la verifica ■Non deve sorprendere, se si leggono molti programmidi masters americani in arti-terapie, che una parte deicorsi sia orientata alla definizione di un progetto di ri-cerca, alle ipotesi che si intendono verifi-care, alla costituzione di un campionevalido, l’uso dei gruppi di controllo, pac-chetti statistici per l’analisi dei dati, i li-miti etici della situazione sperimentale.Un aspetto di rilievo delle arti-terapie èsenza dubbio legato alla ricerca, intesacome strumento per convalidare dei datiosservati: la ricerca può riguardare diret-tamente l’efficacia a breve e a lungo ter-mine dell’arte-terapia in determinati contesti applica-tivi e, eventualmente, il confronto con altre forme ditrattamento, oppure può riguardare l’osservazione el’analisi di determinati elementi espressivi per questa oquella categoria di pazienti in sede diagnostica, oppu-re può riguardare un’analisi degli effetti che l’esposi-zione e il contatto con alcuni prodotti artistici o conalcuni elementi degli stessi - tipo suoni, colori - posso-no avere per le risposte comportamentali dell’organi-smo umano o animale. Nonostante le intenzioni biso-gna però dire che la ricerca nell’ambito delle artiterapie è alquanto limitata (Carolan, 2001; Kaplan,1998, 2001) e rimane per molti versi un obiettivo ver-so cui tendere, piuttosto che un dato realmente acqui-sito: la maggior parte dei reports sulle riviste scientifi-che riguardano casi singoli, articoli su modelli teoricio su tecniche espressive; talvolta i progetti esposti sonoapprossimativi e mancano di alcuni elementi essenzia-li; talvolta si dice, non senza una qualche ragione, chei criteri di una verifica empirica e sperimentale nonsempre possono trovare applicazione nell’ambito del

contesto clinico ed interattivo delle arti-terapie e chedovrebbero essere introdotte delle nuove metodologiedi ricerca accanto a quelle tradizionali. Si tratta senzadubbio di problemi di grande rilevanza per lo svilup-po e il futuro delle arti-terapie.Ad ogni modo dai pochi studi controllati esistenti si de-linea con chiarezza che gran parte dell’efficacia dellearti-terapie risieda nelle sue modalità interattive e co-municative più semplici, rispetto al linguaggio verbale,che attivano in modo spontaneo i processi di socializ-zazione: gli ambiti più indagati riguardano l’autismoinfantile, bambini ustionati o che hanno subito delle

violenze o altri casi di disadatta-mento; in tutti questi casi si è vi-sto, rispetto a dei gruppi di con-trollo, che l’uso di materiale nonverbale, comunemente usatonelle arti-terapie, consente unoscambio interattivo più frequen-te e spontaneo da parte di co-etanei. Attraverso la situazionedi gioco, facendo dei disegni o

della musica assieme è possibile superare le resistenzeverso una persona percepita come diversa ed attivaredei meccanismi di comunicazione empatica. Pari-menti alle potenzialità comunicative e alla capacità dipoter esprimere e regolare le proprie emozioni sareb-bero legati gli effetti delle arti-terapie in altre applica-zioni che riguardano i disturbi alimentari, l’anoressia,i protocolli di cure palliative nei tumori, i disturbicomportamentali e le malattie degenerative comel’Alzheimer. Alcuni lavori (Rosal, 1992, 1996; Mal-chiodi, 1999; Epping e Willmuth, 1994) indicano co-me l’impiego di programmi e protocolli di arti-tera-pie implichino cambiamenti in alcune dimensionipsicologiche misurabili attraverso specifici strumentio scale: così la riduzione dell’ansia e cambiamenti nel“locus of control” - concetto studiato da Rotter (1966)relativo alla valutazione di quanto il comportamentoindividuale sia determinato da fattori interni o esternie che ha dato luogo alla costruzione di molte scale tracui la più famosa è quella formulata da Nowicki eDuke (1974) - danno delle indicazioni relative al fatto

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L’ESPOSIZIONE SONORA STIMOLA SIGNIFICATIVAMENTELE DIFESE IMMUNITARIE COME TESTIMONIANO DELLE RICERCHEFATTE SIA NELL’UOMO, SIA IN ANIMALI DA LABORATORIO

LA SCELTA DEI BRANIDA ASCOLTARE NELLE TERAPIERICETTIVE SPESSOÈ IN FUNZIONEDELL’OSSERVAZIONE DEL PAZIENTE

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privilegia la comunicazione e la regolazione delleemozioni.Strettamente connessa al rapporto tra ricerca e arti-terapie è la possibilità di verificare l’utilità dei proto-colli e dei progetti terapeutici messi in atto dagli arti-terapeuti. In altri termini occorre chiedersi edimostrare se e in che misura le arti-terapie siano utili.Questo tipo di verifica è naturalmente di una certaimportanza per i progetti che vengono svolti all’inter-no delle istituzioni e può riferirsi sia all’osservazionedei pazienti, sia alla valutazione dei terapeuti e di altrefigure professionali presenti all’interno dell’istituzione.Gli strumenti tecnici con cui questa verifica può essereattuata si avvale della videoregistrazione delle sedute edi interviste agli altri operatori. L’analisi e la codificadei segnali espressivi corporei dei pazienti consenteuna prima forma di valutazione in termini quantitati-vi dei cambiamenti espressivi.Dai dati raccolti in numerose situazioni di arti-terapiesi può vedere come nel corso delle sedute i pazienti simuovano di più, fac-ciano maggior uso diespressioni faccialirispetto al loro abi-tuale stile espressivo.In particolare la dif-ferenza si riferisce al rapporto tra momenti di impe-gno con materiale artistico rispetto ad episodi di nonimpegno. Essere impegnati in un’attività di tipo arti-stico accentua le capacità espressive corporee nei pa-zienti. Questi dati possono essere quantificati e dareuna prima idea della risposta dei pazienti alla situa-zione terapeutica, anche se, naturalmente non sononecessariamente indicativi di cambiamenti dello stileespressivo a lungo termine.Sempre tramite strumenti quantitativi possono essererilevati nel corso delle varie sedute i cambiamenti nel-l’attenzione e nell’interesse per la produzione e per ilmateriale artistico da parte dei pazienti nel corso dellaterapia. Si prende in considerazione la durata tempo-rale dell’impegno nella produzione artistica, nella ma-nipolazione dei materiali, nell’uso degli strumenti.Impegni temporali maggiori testimoniano un maggio-

re interesse. Questi aspetti relativi all’interesse e all’at-tenzione sono più stabili e meno transitori di quelliespressivi e rivelano una crescita motivazionale deipazienti per la terapia seguita: si tratta in sostanza diindicatori importanti circa l’utilità della terapia.Attraverso varie griglie di osservazione è possibile poiquantificare i cambiamenti che si verificano nel rap-porto del paziente con il terapeuta esaminando il nu-mero di contatti e interazioni. Si può così documenta-re il passaggio da situazioni di non contatto e noninterazione a momenti di contatto simmetrico e valu-tare, quindi, l’evoluzione e il successo del rapporto te-rapeutico.Un altro parametro che può essere preso in considera-zione per una valutazione di tipo quantitativo riguar-da i cambiamenti dei vissuti soggettivi dei pazienti ri-levabili mediante le loro verbalizzazioni sulleprincipali modif icazioni dei loro stati affettivi. Lacomparsa e il contenuto delle verbalizzazioni può es-sere rilevato e analizzato ponendo a confronto diversi

momenti della terapia.In uno studio di Rein-hardt e Ficker (1983) supazienti depressi, in unmodello di musicotera-pia particolarmente

centrato sulla regolazione delle emozioni, si è potutoosservare che i pazienti sono stati in grado di viverecoscientemente le proprie emozioni e di instaurare unconfronto razionale con il proprio sé.In sostanza la verifica di tipo quantitativo si concentrasul numero dei cambiamenti espressivi, sul tempo de-dicato al lavoro con il materiale artistico, sul contattocon il terapeuta e sull’elaborazione dei vissuti emotivi.Il numero dei cambiamenti viene quantificato anno-tando i singoli eventi oppure valutandoli su una scala:la valutazione può essere fatta dal terapeuta, ma puòpoi essere anche giudicata indipendentemente da altrivalutatori sulla base del materiale videoregistrato (sul-le metodologie del trattamento dei dati provenientidall’osservazione di comportamenti non verbali cfr.Bonaiuto e Maricchiolo, 2003). Il confronto tra le pri-me fasi della terapia con quelle intermedie e finali può

Roberto Caterinafese immunitarie come testimoniano delle ricerchefatte sia nell’uomo, sia in animali da laboratorio. Al-cuni studi sono stati fatti sull’immunoglobulina A(Burns et al., 2001; Knight, Rickard, 2001). Altri suicosiddetti natural killers “NK” (Hasegawa, Kubota,Inagaki, Shinagawa, 2001). Altri ancora sui linfocitiT4 (Bittman, Berk, Felten, Westengard, Simonton,Pappas, Ninehouser, 2001).Tutte queste ricerche, anche se l’impianto metodologi-co non sempre perfetto e la presenza di altre variabilidifficili da controllare danno luogo a risultati spessonon univoci, testimoniano ad ogni modo che l’esposi-zione sonora è un fattore importante nella regolazionedei ritmi fisiologici e delle risposte corporee. Bisogna,inoltre, distinguere tra quelli che sono degli effettitransitori legati al periodo della stimolazione da modi-f iche comportamentali più durature. È chiaro chemolte applicazioni terapeutiche, se si esclude un im-piego sporadico come la riduzione dell’ansia in fasepreoperatoria o in altre situazioni di appoggio a curemediche, si fondano soprattutto su un apprendimentobiologico di ritmi via via più regolari e richiedono oun protocollo applicativo di tipo comportamentale oun vero e proprio intervento di musicoterapia. Alcunericerche applicative circa il rapporto tra esposizionesonora e risposte fisiologiche si sono avvalse dell’indu-zione attraverso vibrazioni di suoni a bassa frequenza(tecnica che viene definita del “massaggio sonoro”).Applicazioni più specifiche della musicoterapia hannoriguardato dei cambiamenti ottenuti nel corso di tera-pie mediche. Questo ambito di ricerca ha riguardatosia l’esposizione sonora, sia l’applicazione di modellidi musicoterapia ricettiva e attiva rivolti in particolarmodo agli studi sul cancro (Frank, 1985; Zimmermanet al., 1989; Bailey, 1983). I principali risultati in que-sto ambito hanno evidenziato la riduzione degli episo-di di vomito, non associata a riduzione di nausee; lariduzione della sintomatologia dolorosa cronica, maun minore effetto sulla sintomatologia dolorosa acuta;cambiamenti di umore in positivo. Sono risultati forsenon eclatanti, ma certamente di rilievo e che testimo-niano come la musicoterapia e probabilmente le arti-terapie in genere costituiscono un valido programma

all’interno delle cure palliative, soprattutto se l’inter-vento permette un rapporto con il terapeuta e, nei ca-si non terminali, con il gruppo: al di là degli effettispecifici della musica bisogna infatti considerare chein questi casi la relazione terapeutica risulta partico-larmente importante per il paziente al fine di esprime-re, regolare le proprie emozioni e poterle condividereall’interno di un gruppo.Al pari di altre forme di arti-terapie anche nella musi-coterapia i cambiamenti ottenuti nell’interazione so-ciale costituiscono degli effetti concretamente tangibilie oggetto di indagine in alcuni studi e ricerche. Nelcorso di terapie di gruppo private e in contesti istitu-zionali si è potuto vedere come l’intervento musicote-rapeutico sia riuscito a migliorare (o a creare) delle in-terazioni di gruppo.Nelle ricerche di Courtright et. Al. (1990) si è visto checomportamenti distruttivi e asociali in pazienti psi-chiatrici cronici diminuiscono significativamente inseguito alla musicoterapia. Tale mutamenti, però,spesso, viste le gravi patologie e la cronicità dei pa-zienti, non sono definitivi e richiedono un dettagliatoprogramma di intervento per ottenere dei benefici alungo termine. Ad ogni modo si è visto che in pazientischizofrenici cronici la musicoterapia favorisce la co-municazione; il suonare favorisce l’attività, il cantareriduce l’ansia.In sostanza l’interesse per la ricerca scientifica nel set-tore delle arti-terapie è in costante evoluzione: alcunirisultati, concreti, sono stati verificati, ma un cammi-no lungo e spesso non facile deve essere ancora per-corso. La collaborazione con altre discipline come lapsicologia, la psicologia dell’arte o della musica, e conaltre figure professionali, tipo psicoterapeuti, medici,può rilevarsi preziosa e proporre dei modelli di ricer-ca e di terapia interdisciplinari. Lentamente si sta fa-cendo avanti l’idea che le arti-terapie possano rappre-sentare qualcosa di più di una delle tante terapie nontradizionali, non meglio differenziate, ma che esiste,invece, uno spazio specifico di intervento, fondato nonsu aspettative magiche o esoteriche, ma su un linguag-gio, quello artistico, che risponde alle richieste di aiutosia al livello privato, sia al livello istituzionale e che

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ESSERE IMPEGNATI IN UN’ATTIVITÀ DI TIPO ARTISTICOACCENTUA LE CAPACITÀ ESPRESSIVE CORPOREE NEI PAZIENTI

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In sostanza se le arti-terapie e la musicoterapia occu-pano attualmente un posto di rilievo in molte istituzio-ni, anche in Italia, forniscono un contributo impor-tante in vari protocolli terapeutici e costituiscono unavalida opportunità di lavoro per molte persone chehanno una formazione artistica e psicologica, lo si de-ve in gran parte al fatto che molti dei suoi percorsi ri-sultano verificabili e attuabili da équipe di esperti chehanno ruoli e funzioni diverse. Il “miracolo” dellamusicoterapia è tutto nell’aver saputo creare, sfruttan-do le capacità creative che sono presenti in ciascuna

persona, dei punti di contatto tra ricerca scientifica,clinica e psicologica, spesso portandovi dei nuovi pun-ti di vista tesi ad evidenziare l’importanza della comu-nicazione e della regolazione delle emozioni. ■

Roberto Caterinadare una buona idea dei progressi registrati. La valu-tazione degli interventi di arti-terapie può riferirsi acome essi vengono accolti e vissuti da parte del perso-nale che lavora nella stessa istituzione, medici, para-medici, assistenti sociali, ecc. e che ha occasione di ve-dere ed interagire con i pazienti in altri momenti.Questionari appositamente predisposti con domandechiuse ed aperte e rivolti a questi operatori ci possonofornire delle indicazioni estremamente utili sul valoredell’intervento di arti-terapie all’interno dell’istituzio-ne e in relazione alle singole storie cliniche.Le verifiche che si sono fin qui descritte non costitui-scono un modello da realizzare, ma si riferiscono innumerosissimi casi a realtà operative concrete pressovarie istituzioni e centri più o meno grandi. Per questosi può dire con una certa tranquillità che esistono pro-getti di arti-terapie in qualche modo verif icati sulcampo, all’estero, ma anche in Italia, che costituisco-no una preziosa risorsa permolte istituzioni e che sono cer-tamente utili per numerosi pa-zienti. Il riferimento a dati si-gnificativi, la scrupolosità deiprogetti, la preparazione degliarti-terapeuti naturalmente so-no variabili che vanno valutatein relazione alle singole espe-rienze e non possono essereestese a tutti gli interventi svol-ti. In linea di massima si puòdire però che soprattutto nel-l’ambito della musicoterapia gli standards operativi e iprogetti attuati sono in una fase molto più matura eattenta alle esigenze dei pazienti e delle istituzioni ri-spetto al passato.La verifica quantitativa non è il solo tipo di verificadisponibile e attuabile. Nelle arti-terapie non è sem-pre corretto applicare parametri di verifica quantitati-vi e applicare in maniera meccanica delle proceduredi verifica che sono proprie delle leggi fisiche e mate-matiche.Spesso nella pratica clinica delle arti-terapie non èsempre agevole creare dei gruppi di controllo. Inoltre

un caso singolo, una patologia particolare, una rispo-sta alla terapia eccezionale, a volte, possono insegnaremolte cose a chi pratica le arti-terapie.Ancora non tutto è osservabile e non tutto ciò che èosservabile ha lo stesso valore in contesti e in momen-ti temporali diversi. La comparsa di un determinatotratto espressivo può avere un significato diverso all’i-nizio o alla f ine del trattamento e in relazione allaqualità del lavoro terapeutico. Bisogna distinguere ele-menti positivi e negativi nell’espressività che può esse-re utilizzata come un semplice agire contro la relazio-ne terapeutica.L’efficacia della terapia si basa anche e forse soprat-tutto sul progredire della qualità dell’interazione tera-peuta-paziente, sulle emozioni che sia il terapeuta, siail paziente sanno provare. Una valutazione soggettivadel terapeuta e del paziente è pertanto indispensabileper capire se il rapporto funziona e se può avere un

qualche sbocco futuro. Le rela-zioni di transfert e controtran-sfert rappresentano nella dinami-ca terapeutica dei fattoriessenziali e predittivi dello svi-luppo del lavoro terapeutico. Ilterapeuta deve sviluppare dellestrategie atte a sostenere il pa-ziente, a contenere le sue ango-sce, deve sapere quando e comeintervenire e deve capire la natu-ra e le conseguenze del suo inter-vento.

Elementi qualitativi, piuttosto che quantitativi devonoessere tenuti presenti anche all’inizio della terapia,nelle sedute psicodiagnostiche, nella presa in caricodel paziente e nella valutazione di una possibile rispo-sta positiva alla terapia.La valutazione qualitativa trova un riscontro affidabi-le nella supervisione, intesa sia come supervisione in-dividuale, sia come supervisione di gruppo. La super-visione consente, infatti, al terapeuta di sviluppare ilrapporto empatico con il paziente, di osservare meglioil proprio mondo interno e di elaborare delle strategieterapeutiche efficaci.

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L’EFFICACIA DELLA TERAPIASI BASA ANCHE E SOPRATTUTTOSUL PROGREDIRE DELLAQUALITÀ DELL’INTERAZIONETERAPEUTA-PAZIENTE,SULLE EMOZIONI CHESIA IL TERAPEUTA, SIA IL PAZIENTESANNO PROVARE

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che, attraverso tre storie tratte da esperienze di Dram-materapia in ambiti diversi.

1. Il mostroAssorbimento e percezione degli altri ■

È un sabato pomeriggio di un dicembre freddo e pio-voso. I vetri delle finestre della grande sala sono tuttiappannati, ma anche dentro il freddo è pungente, etutti indossano pesanti maglioni di lana. Siamo alquarto incontro del secondo anno di formazione inDrammaterapia al Centro di Formazione nelle Arti-Terapie di Lecco. Questa è una delle prime classi informazione dalla nascita del Corso di Drammatera-pia, e, come tutte le classi, ha una sua storia particola-re. All’inizio, era una classe molto numerosa, compo-sta di 21 persone. La maggior parte di loro eranooperatori sociali e sanitari che avevano avuto espe-rienze teatrali, spesso anche molto ricche, ma che nonavevano un’idea precisa di cosa fosse la Drammatera-pia. Erano venuti non per apprendere un metodo spe-cifico, ma perché cercavano qualcosa, anche senza sa-pere bene che cosa. Come spesso accade in questicasi, ad un certo punto del percorso ci si è accorti chele motivazioni di molte persone non coincidevano conquello che il corso poteva dar loro: qualcuno cercavastrumenti belli epronti, da usare sullavoro il giorno do-po; qualcun altroesprimeva un biso-gno di terapia perso-nale. Nel passaggiotra il primo e il se-condo anno, il grup-po subisce un drasti-co ridimensionamento, che arriva quasi a dimezzarlo.Le 12 persone che rimangono, benché molto motivatee armate di fiducia, faticano ad abbandonare quel cli-ma di circospezione, di “lasciarsi andare ma non trop-po”, che aveva contrassegnato il lavoro nell’anno pre-cedente, impedendo al gruppo di costituirsi come unvero laboratorio di ricerca. Le improvvisazioni, sebbe-ne meno impacciate e più creative e consapevoli di

quelle che si erano viste nel corso dell’anno preceden-te, continuano ad essere in qualche modo superficiali.È difficile scorgere in esse tracce di nuove consapevo-lezze che restituiscano alle persone il senso profondodell’incontro che è al cuore della Drammaterapia.Ciononostante, il gruppo procede brillantemente nel-l’esplorazione dei vari concetti e metodi della Dram-materapia.All’inizio dell’anno di corso, avevo introdotto la Tasso-nomia dei Ruoli di R. Landy, oltre che dal punto di vi-sta teorico, attraverso un gioco di carte utilizzate co-me spunti per l’improvvisazione. Nell’incontroprecedente, il gruppo si era cimentato con una sortadi “drammatizzazione estesa”, seguendo i personagginel tempo, attraverso scene improvvisate, monologhi,sculture, stesura di lettere e altre tecniche drammati-che. Ma, nonostante la qualità del lavoro e delle rifles-sioni delle persone su di esso, sentivo che ancora qual-cosa mancava, che il gruppo non era sufficientementematuro per permettere a ciascuno di compiere il saltoverso una personale, profonda comprensione di quel-lo che finora era stato soprattutto un metodo, razio-nalmente accettato ma non vissuto fino in fondo nellesue intime implicazioni.Quel pomeriggio di dicembre, con quella pioggia in-

terminabile, mi sem-brava incline all’attesa.Continuando a lavora-re sullo sviluppo deipersonaggi costruiti suiruoli della Tassonomiadi Landy, proposi unastruttura di improvvisa-zione basata sull’attesa.Tre personaggi, creati

sulla base di una carta di ruolo estratta a sorte, s’in-contrano in un luogo d’attesa (l’anticamera di uno stu-dio medico o legale, un ascensore momentaneamentebloccato, una cerimonia che tarda a cominciare); do-po una breve interazione, ciascuno racconta la pro-pria storia in forma di monologo. Partono le primescene: garbate, belline, ma mancano ancora di mor-dente, di un senso di verità, quello che faceva afferma-

Stati di graziaEventi trasformativi in Drammaterapia

Salvo Pitruzzella Drammaterapeuta, Psicodrammatista

“Aldous Huxley era solito dire che il problema fon-damentale dell’umanità è la ricerca della grazia.Egli usava questa parola nel senso in cui pensavafosse usata nel Nuovo Testamento; tuttavia la spie-gava in termini suoi. Egli sosteneva (come WaltWhitman) che gli animali si comportano e comuni-cano con una naturalezza, una semplicità che l’uo-mo ha perduto. Il comportamento dell’uomo è cor-rotto dall’inganno - perfino contro se stesso - dallafinalità e dall’autocoscienza. Secondo l’opinione diAldous, l’uomo ha perso la ‘grazia’ che gli animaliancora possiedono. Nei termini di questo contra-sto, Aldous sosteneva che Dio somiglia più agli ani-mali che all’uomo: Egli è idealmente incapace diinganni e incapace di confusioni interne. (...) Io so-stengo che l’arte è un aspetto della ricerca dellagrazia da parte dell’uomo: la sua estasi a volte,quando in parte riesce; la sua rabbia e agonia,quando a volte fallisce.” (Bateson, 1972)

Premessa: punti di svolta ■Il principale obiettivo terapeutico della Drammatera-pia è favorire, attraverso il processo drammatico digruppo, le condizioni che permettono alla persona diattivare delle trasformazioni nel suo equilibrio internoe nelle sue relazioni col mondo; trasformazioni cheaiutano la persona a migliorare il suo stato di benesse-re, a godere di più la propria vita, e a superare le diffi-coltà che impediscono la sua piena realizzazione co-me essere umano.Tale processo di trasformazione è un processo com-plesso, sia nel senso che coinvolge molteplici aspettidella persona, sia nel senso che implica un continuointreccio di feedback e calibrazioni tra livelli di equili-brio che si vanno a mano a mano modificando. Cometutti i processi complessi, esso non funziona per accu-mulazioni progressive, ma è piuttosto punteggiato damomenti speciali che segnano delle discontinuità e deisalti qualitativi.Questi momenti speciali sono spesso dei punti di svol-ta nel viaggio intrapreso dall’individuo e dal gruppodentro la realtà drammatica. Essi sono spesso collega-ti con profondi insight personali dei partecipanti; il ri-

specchiamento metaforico del mondo interno dellapersona nel mondo del dramma consente una com-prensione del primo alla luce del secondo; a questacomprensione possono essere dati dei nomi, dotando-la di significato nella conoscenza che ha la persona dise stessa. Ma altrettanto spesso l’esperienza è sempli-cemente vissuta, con intensità emotiva ma senza unaconsapevole elaborazione del pensiero. A volte, essa èperfino difficilmente verbalizzabile, e può essere par-zialmente espressa solo simbolicamente, attraverso al-tri media non verbali.Ciononostante, funziona. Dopo questi eventi, la per-sona mostra segni inequivocabili che “qualcosa ècambiato”. È più rilassata, più comunicativa e apertaalla relazione; sembra godere di più delle cose che fa.Spesso questi segni sono visibili anche nel “mondoesterno”, nella vita relazionale di ogni giorno dellapersona, e preludono a trasformazioni durature. Qua-si sempre, essi rappresentano una soglia visibile nellacrescita delle capacità drammatiche della persona,che sostiene la possibilità che il processo drammaticoraggiunga ulteriori obiettivi curativi.In questi eventi, sembra quasi che innumerevoli fram-menti disseminati nel corso del lavoro precedenteprendano di colpo una forma visibile, spesso sotto for-ma di strutture simboliche.Il drammaterapeuta può riconoscere questi frammen-ti e tracciare dei fili che li connettono; può cercare dicomprendere e spiegare il senso dell’evento e perfinoauspicarlo e promuovere le condizioni in cui esso pos-sa verificarsi; ma l’evento stesso si presenta sempre ecomunque come un’epifania improvvisa, che generaanche nel terapeuta stupore e meraviglia.In tutti i gruppi di Drammaterapia che ho condottonegli ultimi dieci anni, mi sono imbattuto in eventi diquesto tipo. Quasi sempre, essi sono riconosciuti im-mediatamente dai partecipanti come momenti impor-tanti, e ricordati con chiarezza di dettagli. In un certosenso, essi sono “scene madri” del dramma collettivoche si sviluppa nel processo della Drammaterapia. Hochiamato questi eventi “stati di grazia”.In questo articolo, cercherò di indagare su questieventi, mettendone a fuoco le caratteristiche specifi-

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COME SPESSO ACCADE IN QUESTI CASI,AD UN CERTO PUNTO DEL PERCORSO CI SI È ACCORTICHE LE MOTIVAZIONI DI MOLTE PERSONE NON COINCIDEVANOCON QUELLO CHE IL CORSO POTEVA DAR LORO:QUALCUNO CERCAVA STRUMENTI BELLI E PRONTI,DA USARE SUL LAVORO IL GIORNO DOPO; QUALCUN ALTROESPRIMEVA UN BISOGNO DI TERAPIA PERSONALE

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capriccioso, passivo o aggressivo. Rispetto al suo ana-logo Bestia è più umano e meno fantastico.Funzione: La sua funzione è di spaventare; giocarecon i confini tra bello, accettabile e brutto.La scena ha inizio: Mariella si accoccola su una sediasul fondo, Giulia resta in piedi accanto a lei. Martapasseggia avanti e indietro sul proscenio, come un sol-dato o un secondino, con un’arma in spalla: è la Mor-te con la falce, che controlla le anime che ha raccolto.Giulia comincia a parlare: è un impiegato di bancacinquantenne, stroncato da un infarto, che non capi-sce bene che cosa è successo, e non riesce a farseneuna ragione. E mentre racconta la sua vita piatta esenza emozioni, il passo della Morte scandisce ineso-rabilmente il tempo.Ma quando entra in scena Mariella, accade qualcosadi strabiliante: il pubblico assiste attonito ad unastraordinaria metamorfosi della persona. Il suo corposi rattrappisce e si irrigidisce, e anche la voce cambia,diventando roca. Il volto è contratto in una smorfia didolore, che crea delle fattezze che non conoscevamoprima (Mariella è molto bella, e, come molte donnebelle e intelligenti che si muovono in un universo ma-schile, come quello della pubblicità dove ella lavora,ha lamentato spesso che la bellezza è a volte un handi-cap, in quanto gli uomini ti considerano alla streguadi un oggetto, “muta d’accento e di pensier”). Ci ren-diamo conto che in questo non c’è artificio, non c’ètecnica recitativa né interminabili prove, né tantome-no parodia o caricatura. Mariella ha semplicementeaccettato che il personaggio parlasse e si muovesse at-traverso di lei, e raccontasse il mistero della sofferenzaumana: il dolore della caduta e la solitudine dell’esse-re diverso. La Morte ferma il suo passo; il pubblico ècol fiato sospeso: “Io sono un mostro...”Rivolgendosi direttamente agli spettatori, il mostroracconta la sua storia, una storia apparentemente ba-nale, ma che risuona di elementi mitici: era un came-riere che, innamoratosi della padrona, è stato punitocon un’ustione che lo ha sfregiato e reso deforme persempre. Dietro questa storia emergono molti motivitragici: l’impossibilità di amare e di essere amati; ilsupplizio ingiusto; l’essere reietto e bandito. Il pubbli-

co viene toccato da una grande compassione; moltiocchi luccicano di lacrime trattenute a stento. Ma lacosa più sorprendente che Mariella riusciva a tra-smetterci era che aveva finalmente incontrato l’Altrodentro di sé, prima ancora di incontrarlo nel mondoesterno, quell’Altro che lei desiderava tanto aiutarema che ancora le faceva paura. E nel momento in cuiciò avveniva, la scena diventava vera: percepivamonettamente le pareti e le porte della stanza immagina-ria, la luce fioca e lo scintillio della falce della Morte, eil volto contratto di Mariella diventava la mascherauniversale dell’ineluttabilità della sofferenza.La scena si conclude con l’intervento della Morte, cheannuncia: “Signori, vi prego di seguirmi”.Un lungo, caloroso applauso sottolinea l’intensità del-la performance. Mariella è visibilmente accaldata, maanche molti spettatori durante la scena hanno toltosciarpe e pullover. Noto che molte persone, nel con-gratularsi con lei per la qualità della sua interpretazio-ne, tendono ad entrare in contatto fisico con lei. “Macome hai fatto?”, le chiedono. “Non lo so nemmenoio”, risponde, “L’ho sentito...”Quest’episodio ha segnato una soglia importante nelpercorso sia per Mariella, sia per il gruppo nel suo in-sieme. Mariella ha iniziato a pensare ad un progetto darealizzare per il tirocinio dell’anno successivo - progettoche ha poi portato avanti brillantemente -: un gruppodi Drammaterapia con una delle popolazioni con cui èpiù difficile lavorare, gli ospiti di una comunità tera-peutica coatta per tossicodipendenti. Il gruppo, dalcanto suo, ha iniziato da quel momento a concedersi ilpermesso di osare, di toccare territori sconosciuti e at-traversarli acquisendo nuovi saperi. Al termine del cor-so tutti gli allievi tranne uno (chiamato ad un altro lavo-ro), hanno iniziato a praticare interessanti, e spessoinnovative, esperienze di Drammaterapia.Per me, fu l’occasione per fermarmi a rif lettere: checosa era accaduto di speciale in quell’evento tale darenderlo una visibile soglia di trasformazione?Certamente, era stato un pezzo di gran teatro: l’inten-sità e la finezza dell’interpretazione - i tempi, gli sguar-di, gli accenti, la tensione - avevano creato uno di queirari momenti teatrali in cui maschera, attore ed essere

Salvo Pitruzzellare a Stanislavskij: “Ci credo!”. Rapito da questo moodestetico, mi viene voglia di dare un “giro di vite”. For-se da qualche parte sotto il livello della coscienza, hafatto capolino il ricordo del pregevole atto unico diJ.P. Sartre, “A porte chiuse”. Propongo come ambien-tazione della prossima improvvisazione l’anticameradell’aldilà: i tre personaggi presenti in scena sono ap-pena morti e attendono di essere ammessi “oltre la so-glia”. Nell’attesa, riflettono sulla propria vita. Il primosottogruppo chiamato ad eseguire l’esercizio è cosìcomposto:

1) Giulia, 35 anni, insegnante in un liceo artistico; èuna persona garbata, molto benvoluta nel gruppo; hasperimentato un ciclo di lavoro drammatico con lasua classe, ed è entusiasta di quello che sta imparandonel corso. La carta che ha estratto è la seguente:Campo: SomaticoClassificazione: AspettoTipo: NormaleQualità: Il Normale è scialbo e insignif icante, diaspetto ordinario, una non-entità, spesso alienato.Nonostante la sua ordinarietà, tal-volta il Normale si trova travolto dacircostanze straordinarie.Funzione: Questo ruolo si mescolaalla folla, appare ed agisce comechiunque altro. Il Normale intrappo-lato in circostanze straordinarieesprime la malleabilità dell’essereumano.

2) Marta, 36 anni, infermiera psichiatrica; generosama con un carattere piuttosto spigoloso; ha partecipa-to a un’esperienza di TdO nel servizio in cui lavora e,insieme a una collega che già da due anni frequenta ilcorso di Drammaterapia, conduce una laboratorioteatrale con i pazienti. (Di fatto, è una delle poche adaver avuto sin dall’inizio una qualche idea della Dram-materapia). La sua carta è:Campo: SpiritualeTipo: DemoneSottotipo: Morte

Qualità: La morte è uno dei più antichi ruoli personi-ficati nei rituali drammatici. Come tipo, è minacciosoe terrificante, l’incarnazione del non-essere.Funzione: La morte reclama per sé le vite dei mortali.

3) Mariella, 38 anni. Mariella è un personaggio parti-colare nel gruppo. Tanto la sua formazione quanto ilsuo attuale lavoro non hanno niente a che vedere conquello degli altri: è un grafico pubblicitario, con unostudio avviato, e non ha mai avuto esperienze in am-bito sociale o clinico, eccezion fatta per un periodo divolontariato in ospedale. Questa situazione mi avevaindotto in un primo tempo a scartare la sua domandadi iscrizione alla Scuola, ma tante e tali furono le sueinsistenze che alla fine ho pensato: se una persona in-siste tanto, un motivo ci sarà, e Mariella è stata am-messa come n. 21. In effetti, ella aveva maturato lasua decisione nel corso di una psicoterapia individua-le, in seguito alla quale aveva scoperto che il suo attua-le lavoro non la rendeva felice: quello che realmentedesiderava era aiutare le persone in difficoltà, e spera-va di farlo attraverso il teatro, attività che era sempre

stata per lei una verapassione. Nel gruppo, èstata sempre una dellepiù attente e curiose. Diindole gentile, ma unpo’ legnosa all’inizio, siè andata via via scio-gliendo, soprattutto nelcorpo e nell’affettivitàdimostrata verso gli al-

tri compagni. Ma rimane ancora molto incerta sulsuo futuro, anche perché continua a non avere unaconoscenza diretta del mondo in cui vorrebbe entra-re. Spesso assiste ai racconti di quelli che lavorano inpsichiatria o con soggetti disabili, con un’espressionesul volto tra lo stupito e l’ammirato, che sembra dire:non so se io avrei tanto coraggio. La sua carta è:Campo: SomaticoClassificazione: SaluteTipo: Disabile fisico/DeformeQualità: Questo ruolo suscita paura, è imprevedibile e

Stati di graziaEventi trasformativi in Drammaterapia

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MA QUANDO ENTRA IN SCENA MARIELLA,ACCADE QUALCOSA DI STRABILIANTE:IL PUBBLICO ASSISTE ATTONITOAD UNA STRAORDINARIAMETAMORFOSI DELLA PERSONA

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2. EmozioniSintesi emozionale ■

L’anno scorso mi è stato chiesto da un’amica terapeu-ta del movimento di condurre alcuni incontri diDrammaterapia all’interno di un percorso di forma-zione personale da lei diretto. Il gruppo è formato dacinque donne d’età variabile tra i 30 e i 50 anni, chetentavano di uscire da situazioni di tedio e d’insoddi-sfazione per la propria vita cercando dentro di sé dellefonti di energia creativa.All’inizio del secondo incontro, nella fase informaleche precede l’avvio della seduta, noto nell’aria unacerta aggressività, seppur velata di ironia, verso il ge-nere maschile, del quale il conduttore è l’unico rap-presentante in quel contesto. Decido di non accettarequesta sfida, chiedendo scusa per questa contingenzadi genere, e sottolineando che il mio ruolo non è quel-lo di capire e spiegare, ma di accompagnare un viag-gio immaginativo: non trattatemi come un terapeutama come un tour operator. Sentitevi libere di nonesporvi, di non rivelare i vostri problemi intimi, diusare delle maschere per il tempo del viaggio: il restoverrà da sé.Questo rassicurante understatement sortisce un effet-to paradosso: le persone si rilassano, e iniziano a par-lare di sé. Valeria racconta: “Sto bene, anzi benissi-mo. Ho lasciato le emozioni fuori della porta...”;Diana, divorziata di recente, racconta dei suoi attac-chi di panico e del suo difficile rapporto con i farmaci;Barbara, la più gio-vane del gruppo, ri-corda suo padre,morto quando leiaveva 10 anni, escoppia in lacrime: iltema del rapporto con il maschile è sempre presente.Le tengo la mano nella mia f ino a quando cessa dipiangere, poi, quando mi rendo conto che si è rassere-nata, chiedo al gruppo se ha voglia di mettersi a gio-care. Sento che a quel punto un’attivazione di energiacorporea può essere una buona idea, e propongo unasequenza piuttosto intensa di esercizi fisici, che libera-no la tensione accumulatasi. La sequenza si conclude

con un’esplorazione del gioco che V. Spolin chiamava“space substance”: sentire lo spazio come se fosse do-tato di una densità che lo rende manipolabile. In cer-chio, creiamo una scultura di spazio; ognuno modellail suo lato e, a vedere i movimenti delle mani, sembrache si stia edificando uno stupa tibetano o una catte-drale gotica. Ma al momento di osservarla attenta-mente (quando ognuno descrive quello che ha imma-ginato di modellare), ci accorgiamo che in quasi tutti ilati c’é una finestra: finestre grandi o piccole, a biforao con tanto di tendine e vasi da fiori sul davanzale, masempre finestre, aperture sul mondo, e quella che ave-vamo costruito era senza dubbio una casa. Qualcunotrova una porta: entriamo. Possiamo sederci, accen-dere un fuoco e nutrirci, ma alla fine c’è un attimo diprofondo silenzio e perplessità. La casa è un luogo perprendersi cura di se stessi e degli altri, ma dopo averassolto le faccende di ogni giorno, cosa resta? Qualcu-no dice: potremmo cantare. Propongo di restare incerchio, seduti sulle ginocchia, appoggiare le bracciasulle spalle degli altri, e chiudere gli occhi.Ad occhi chiusi, il gruppo comincia lentamente adoscillare. Qualcuno accenna una ninna nanna, manon ha molto successo: non è di sonno che il gruppoha bisogno in questo momento. Segue un lungo, inter-minabile silenzio, rotto ad un tratto da Diana che, convoce fresca ma esitante, inizia a cantare: “Seguir congli occhi un airone sopra il fiume e poi...”, e il grupporisponde all’unisono: “...ritrovarsi a volare”. E tutti in-

sieme, con Diana comelead vocalist, ci ritrovia-mo a cantare quellavecchia canzone, legataa dei ricordi diversi perciascuno di noi. Una

canzone che ciascuno di noi aveva probabilmentecantato in coro un’infinità di volte, ma che qui acqui-stava un sapore particolare, come se l’intensa emozio-ne provata nel cantare fosse la sintesi di una pluralitàdi emozioni, legate a diversi livelli dell’esistenza.Il passato, innanzi tutto, con la scoperta meravigliosae tragica del mondo delle emozioni nel passaggio traquelli che Blake chiamava “i due stati contrari dell’a-

Salvo Pitruzzellaumano si fondono in una sintesi simbolica che svela isegreti, e universali, rapporti che ognuno di noi ha colmondo. Il mostro di Mariella era ognuno di noi, poi-ché ognuno di noi ha sperimentato, fin dalla primissi-ma infanzia, il sentirsi ferito e ripudiato, e il peso diquesto sentire influisce sull’equilibrio della persona. Ilpubblico si era realmente identificato nel personaggiodel dramma, e quest’identificazione aveva consentitoche si verificasse quello che è il fenomeno teatrale pereccellenza, teorizzato da Aristotele e riscoperto comenecessità vitale dal teatro del 900: la catarsi.Catarsi è terrore e pietà. Roger Grainger sottolineal’aspetto relazionale della catarsi aristotelica: “L’emo-zione che si risveglia sulla parte di qualcun altropuò essere troppo saldamente radicata nella nostrastoria personale per essere completamente altrui-stica, ma l’atto di rivivere il nostro dolore attraver-so un coinvolgimento liberamente scelto nella sof-ferenza di qualcun altro trasforma la reale identitàdelle passioni che sono solitamente rivolte su sestessi e allontanate dall’altro. (...) Il terrore è assor-bito dalla pietà, e da essa redento, perché il nostromodo di percepire la vita è purificato dall’intensitàdel nostro coinvolgimento nella storia-mondo deldramma.” (Grainger, 1997)Ma, d’altra parte, Mariella stessa stava sperimentandoun processo analogo: nell’universalizzare, attraverso ilpersonaggio, il suo rapporto con il diverso, attraversa-va la sua paura e si preparava alla possibilità di acco-gliere. Si preparava all’esercizio dell’Empatia, che, co-me aveva intuito Edith Stein, non è l’immedesimarsinell’Altro fino ad una forma quasi magica di fusione,ma un allargare l’orizzonte della propria esperienza fi-no a comprendervi l’esperienza dell’Altro.Paradossalmente, quest’espansione dell’esperienza av-viene attraverso un atto di forte concentrazione. Nelsuo studio psicologico sulla felicità, M. Csikszentmi-halyi, nel tentativo di descrivere la condizione di“esperienza ottimale” da lui studiata in numerosi casi,ritiene che la polarizzazione della coscienza sia unacomponente essenziale di quest’esperienza: “Vi sonosituazioni in cui l’attenzione può essere liberamen-te investita per raggiungere i f ini della persona,

perché non c’è disordine a scompigliarla né minac-ce per il sé da cui difendersi. Abbiamo chiamatoquesto stato ‘esperienza di flusso’, perché questo èil termine in cui molte persone dai noi intervistateusavano per descrivere come ci si sente ad esserenella massima forma: «Era come fluttuare»; «Erotrascinato nel flusso»”. (Csikszentmihalyi, 1990)Molte delle espressioni usate da Mariella per descrive-re la sua performance suonavano molto simili. Ma lacondizione di flusso non è un mero problem-solving,un accanimento tecnico verso un risultato da raggiun-gere, esso è piuttosto uno stato di libertà creativa incui l’energia psichica è condotta a fluire verso un ordi-ne superiore. E il frutto dell’esperienza non è tantoconnesso col f ine raggiunto, quanto con la crescitadella complessità della persona: “Si può affermareche il sé cresca solo diventando sempre più com-plesso. Complessità è il risultato di due grandi pro-cessi psicologici: differenziazione e integrazione. Ladifferenziazione implica un movimento verso l’uni-cità, verso il separare se stesso dagli altri. L’integra-zione si riferisce al suo opposto: un’unione con le al-tre persone, con idee ed entità oltre il sé”. (ibid.)Un principio di esclusione e un principio di inclusio-ne, secondo E. Morin (2001), sono inscritti nella con-dizione di soggetto, e l’identità si costituisce attraversoun processo dialogico tra questi principi, analogo aldialogo tra mondo come esperienza e mondo comerelazione predicato da Martin Buber.Dal punto di vista di Mariella, la sua comprensionedell’Altro, del personaggio che prendeva forma e vitadalle profondità della sua anima, e che lei accoglievalasciandosene interamente riempire, non escludeva lacomprensione degli altri, la percezione della presenzadi altri soggetti viventi, i suoi compagni di viaggio. Neitermini di Wilshire, ella era contemporaneamente nel“mondo” e nel mondo, dentro e fuori la realtà dram-matica.Questo equilibrio tra assorbimento immaginativo econsapevolezza degli altri è sempre presente negli“stati di grazia”, e la sua particolare qualità emozio-nale è connessa con il fluire delle emozioni tra i diver-si livelli dell’esperienza.

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QUESTO EQUILIBRIO TRA ASSORBIMENTO IMMAGINATIVOE CONSAPEVOLEZZA DEGLI ALTRI È SEMPRE PRESENTENEGLI “STATI DI GRAZIA”

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sime capacità d’autonomia, anche per quanto riguar-da la cura della persona. A casa è molto aggressiva eimprevedibile, ha una fame compulsiva (“mi svuota ilfrigorifero”, lamenta la madre), bagna il letto e pre-tende di vestirsi con abiti sporchi e stracciati. Litigaspesso col fratellino, che invece è buono, intelligente e“normale”, e arriva al punto di diventare molto vio-lenta sia con gli altri, sia con se stessa. I genitori hannoda tempo gettato la spugna, soprattutto la madre, cheormai la considera poco più che uno scherzo di natu-ra, e, durante le frequenti crisi, spesso minaccia di far-la rinchiudere in un istituto. Frequenta le attività delCentro (è un Centro diurno di riabilitazione per ado-lescenti con disturbi della personalità) da circa un an-no e mezzo. È arrivata al seguito di una neuropsichia-tra infantile, una delle fondatrici del Centro, che lasegue fin dalla prima infanzia, e resta caparbiamenteconvinta, a dispetto dell’opinione della madre, che inValentina c’è del buono. Da quando frequenta il Cen-tro, Valentina ha leggermente diminuito i suoi com-portamenti aggressivi, anche se tutti gli altri sintomipermangono. Spessosi presenta dicendo“Io non sono Valen-tina: sono Jessica”.Jessica è una sua examica, che sembraesattamente il suo opposto: bella, bionda, magra ebrava a scuola. Lontano da casa, Valentina vuole sen-tirsi diversa da quell’immagine pesante che le riman-da il suo ambiente d’ogni giorno, e ci chiede di asse-condarla in un gioco che però la confonde sempre dipiù. Ciò è confermato dal fatto che, nel Centro, Va-lentina ha un rapporto conflittuale con la “sua” dotto-ressa, che è testimone del suo segreto.Nel gruppo di Drammaterapia, sono faticosamente ri-uscito a porre dei limiti a questo scambio di personali-tà, attraverso l’esercizio del ‘come se’. La sua presenzanel gruppo è però passiva: esegue quasi sempre le con-segne, ma è completamente priva d’iniziativa. Talvol-ta imita i comportamenti di Silvana, una ragazzinadella sua età che ha frequenti crisi ipomaniacali, in cuioscilla tra un’agitazione panica e risate convulse, crisi

che spesso si risolvono in attacchi di cleptomania. Ilpiù delle volte sta semplicemente seduta in attesa chequalcuno le dica che cosa deve fare.Siamo al primo incontro dopo una breve pausa per laSettimana Santa. Nel gruppo sono presenti Valentina,Silvana e Romina, una ragazzina quattordicenne cheha sviluppato una sindrome borderline a partire dauna situazione di epilessia. Dopo un breve riscalda-mento, chiedo alle bambine che cosa hanno voglia dimettere in scena. Stavolta, la prima a parlare è pro-prio Valentina. “Facciamo la Pasqua”, dice. Accolgol’idea, e propongo di rappresentare la visita al sepol-cro delle tre Marie. Allestiamo rapidamente il sepol-cro, con sedie, cuscini e una stoffa bianca. Valentinaprende per sé un telo azzurro, se lo dispone sulla testae dice: “Io sono la Madonna”; viene subito imitatadalle altre, anche se i loro ruoli sono meno definiti. Ame tocca la parte dell’Angelo. Inizia il viaggio verso ilsepolcro; Silvana, come al suo solito, è agitata, escespesso dal ruolo, e ridacchia incessantemente. Ma sta-volta Valentina non la segue: è insolitamente concen-

trata ed ha un’espres-sione molto seria; il suoincedere è solenne e alcontempo stranamenteleggero. Poco a poco,anche Silvana e Romi-

na entrano in questo sentimento. Quando s’inginoc-chiano davanti al sepolcro, sono bellissime, nei loroveli azzurri, strette in un abbraccio in cui si consolanoe si sostengono a vicenda. La scena è così intensa cheesito ad entrare in scena e porre la domanda: Chi cer-cate? Dolcemente, lentamente, con una sfumatura ditenerezza e di apprensione, Valentina risponde: “Cer-chiamo Gesù crocifisso. Gli abbiamo portato delle co-se”. All’annuncio della resurrezione, scoppiano evvivae scrosci di risate. Silvana, approfittando del momen-to di eccitazione, si toglie il velo, si alza in piedi edesclama: “Sono Gesù risorto! Non mi toccate!” Valen-tina le si avvicina; le due bambine si fissano negli oc-chi un attimo, e alla fine si abbracciano forte. La sce-na è finita; dedichiamo un meritato applauso a noistessi.

Salvo Pitruzzellanima umana”: l’Innocenza e l’Esperienza. E la perce-zione del mistero indicibile tra il “rimembrar dellepassate cose” e la nostalgia del futuro che è connatu-rato nella sfida del diventare adulti. Poi, le emozionidella vita di adesso, che è così difficile integrare nellaroutine di tutti i giorni, e si preferisce “lasciare fuoridella porta” perché fanno paura, in quanto portatricidi squilibri che, per stanchezza o per debolezza, nonriusciamo a reggere. E infine, il ritrovarsi con altrepersone dentro una casa che abbiamo costruito e tro-vato insieme, dove ci si può riscaldare e nutrire, e do-ve si può anche cantare. Questa presenza contempo-ranea di significati diversi, unificati in una strutturasimbolica, è paragonabile a un atto di creazione poeti-ca. In un Song di Blake o in un sonetto di Rilke, mol-teplici livelli di senso vengono integrati e trascesi inuna sintesi simbolica che parla direttamente all’animadel lettore, conducendolo verso nuove consapevolez-ze. In quell’intreccio di mondi, parole e musica dellacanzone, dopotutto piuttosto banali, venivano arric-chite e diventavano parte di un universo poetico con-diviso, nuovo e originale, che ci toccava commoven-doci intimamente.La sessione è poi continuata con un viaggio per mare,e la scoperta di nuove terre. Ma il cuore del viaggioera quel canto dentro la casa, perché aveva dato il sen-so che esso poteva cominciare. Senza bisogno di capi-re sempre tutto: “Capire tu non puoi/tu chiamale sevuoi/emozioni...”. E in effetti, quello fu l’inizio di unnuovo viaggio per il gruppo, viaggio che ancora conti-nua, ed è costante fonte di nuove scoperte.Come nella storia precedente, anche qui la coesisten-za di assorbimento nell’azione e percezione degli altripermetteva un f luire di emozioni complesse. Pur re-stando principalmente ad un livello non tematico,non esprimibile con concetti o parole, esse sono non-dimeno coscienti, e influiscono direttamente sullo sta-to di benessere della persona. Questa inf luenza puòessere transitoria, ma permette alla persona un’espan-sione dell’esperienza che può aiutarla ad andare avan-ti alla ricerca di un benessere più duraturo. Come l’in-namoramento, lo “stato di grazia” non è ripetibile acomando, ma l’esperirlo può dare l’idea di che cos’è

un momento in cui si sta bene con se stessi e con gli al-tri, e spingerci a cercare degli equivalenti nel mondoesterno.Ma quali che siano le sue componenti (e abbiamo vi-sto come esse siano differenti nelle due storie presen-tate), questa sintesi emozionale ricorda la descrizionedelle reazioni emotive nelle “peak experiences” che A.Maslow pone al centro della sua concezione dell’auto-realizzazione come “causa finale”dell’esistenza uma-na. Queste reazioni, secondo Maslow, “Hanno un sa-pore di meraviglia, di timore, di reverenza, diumiltà, e di resa di fronte all’esperienza, come di-nanzi a qualcosa di grande.” (1962).Nelle “peak experiences”, secondo Maslow, prevaleun tipo di percezione del mondo che è creata non dal-le nostre mancanze e dai nostri buchi esistenziali e af-fari lasciati in sospeso, ma dalla nostra tendenza allacrescita verso il raggiungimento della pienezza dell’es-sere. Maslow collega queste due polarità nella perce-zione alle due differenti esperienze dell’amore: “Amo-re per l’Essere di un’altra persona, amore nonnecessitante, amore non egoistico; e amore caren-ziale, bisogno d’amore, amore egoistico”. (ibid.)Il sentimento degli altri è il sentimento del mondo: ne-gli “stati di grazia” il volgersi verso l’altro ha sempre ilsenso del dono. Potremmo affermare che, a un livellosuperiore dell’esistenza, la sintesi delle emozioni inquesti eventi è una forma d’Amore. Ha scritto RogerGrainger: “È l’amore che porge e riceve doni. Lasoddisfazione che riceve è quella del dare per crea-re relazione; il suo ricevere è parte del dono. Que-sto amore scambievole degli esseri umani è socio-genico. È esperito come proveniente da altrove,poiché si muove avanti e indietro tra le persone,creando invisibili legami tra tutto ciò che tocca.”(Grainger, 1995)

3. Quem quaeritis?Il dono ■

Valentina è una ragazzina di tredici anni, portatrice diun lieve ritardo mentale su cui però si è innestato unforte disturbo di personalità. Presenta delle stereoti-pie, dei cambiamenti repentini d’umore, e ha scarsis-

Stati di graziaEventi trasformativi in Drammaterapia

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IL SENTIMENTO DEGLI ALTRI È IL SENTIMENTO DEL MONDO:NEGLI “STATI DI GRAZIA” IL VOLGERSI VERSO L’ALTROHA SEMPRE IL SENSO DEL DONO

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Il Grembo della CreazioneCreazione artistica e autocreazione della mente.

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“Ciò che è creativo deve creare se stesso.”(Keats, 1984)

Il modello della creazione simbolica mentale, presen-ta lo stesso andamento ed elementi simili alla creazio-ne naturale, e ne mantiene il linguaggio. Partorire,nascere, crescere, svilupparsi, sono parole usate per si-gnificare anche questioni astratte come un progetto,un’idea, una teoria, un’opera d’arte. Si tratta di unprocesso che ha bisogno di un contenitore, e che me-diante una rete di relazioni, trasforma un’energia pergiungere infine ad un esito, ad un prodotto.Lo sviluppo mentale parte dall’organizzazione dellesensazioni primitive anco-ra indistinte (tra sé e altroda sé, tra dentro e fuoril’individuo), e quindi dauna concezione arcaicadello spazio indifferenzia-to, per arrivare alle perce-zioni pre - visive e infine alla rappresentazione visivavera e propria. Solo successivamente appare la perso-nificazione, come accade nelle fantasie che accompa-gnano i giochi dei bambini con i peluches e le bambo-le. Ancora più tardi compare il pensiero verbale, chesegue il principio di non - contraddizione e ha la ca-pacità di formare e usare il concetto.Nella descrizione dei fenomeni mentali è comune-mente usato il modello spaziale.Matte Blanco ipotizza un’organizzazione dell’incon-scio in uno spazio multidimensionale: lo spazio è unmodo in cui la mente traduce determinate relazionioggettive, trovando una corrispondenza biunivoca traqualcosa nel pensiero e qualcosa nel mondo esterno.Lo spazio, in questo senso, è un sistema di relazioni;non solo un contenitore, ma una struttura, idea che hacome conseguenza che ogni strutturazione dello spazioè contemporaneamente strutturazione della mente.L’espressività simbolica dello spazio è molto evidentenei nostri sogni: i luoghi, le prospettive scelte, le co-struzioni reali indicano la trama della nostra psiche.Più della narrazione è proprio la scenografia del so-gno a parlarci in modo esplicito del sognatore. L’alto,

il profondo, la destra, la sinistra, il vicino o il lontano,colorano gli affetti di significati che hanno un valorecollettivo, archetipico.Il concetto di forma risulta centrale: il processo d’indi-viduazione si manifesta come un viaggio verso la pro-pria forma, sia essa percepita come esterna dall’essereumano o interna alla sua mente. E la forma, prima dicomparire, si affaccia da un luogo vuoto intermediofra l’esserci e il non esserci.Nei luoghi della creazione c’è sempre del vuoto. Illuogo originario è un vuoto. Non il vuoto. Un partico-lare vuoto: il foglio bianco, la tela immacolata, la pie-tra intatta, l’argilla informe, la mente calma. Tutte

aperture. È uno statomentale di contemplazio-ne. Ce ne parla Oury(1992) come: “Un luogodi raccolta, non per for-za di cose esistenti, chefarà sì che ci sarà esi-

stenza... qualcosa di pre-intenzionale, di pre-rap-presentativo.”Racconta Ruggero Savinio, pittore dotato di grandeconsapevolezza riguardo ai meccanismi della creazio-ne: “Stesura su stesura, ogni stesura si adagia sul-l’altra; dal loro lento sovrapporsi nascono le imma-gini. Che cosa mi guida se non la volontà diavvicinarmi a un che di opaco e di ruvido, o invecelucido e liscio, a un colore, a un tono? Certo, l’im-magine non è tutta risolta nella sua materia, maconserva le tracce della sua origine dal grembomateriale come un alone, un’ombra, una risonanzamitica; vive nel fragile equilibrio fra opacità e chia-rezza. La figura compie un percorso dall’oscuritàalla presenza, e del percorso aggrovigliato e diffici-le conserva indelebili tracce.”Lo spazio pittorico: un luogo in cui qualcosa avviene;la presenza di un’immagine che essendo insieme ma-teria e forma vive di una vita tremante e instabile,pronta a riaffondare nel grembo materiale da cui èemersa per patire di nuovo quello che Artaud chiama-va la souffrance du prénatal. Come chiamare questospazio vibrante e instabile in cui le immagini avvengo-

Salvo PitruzzellaQuando ci sediamo in cerchio per una breve chiac-chierata, domando a Valentina che cosa abbia prova-to, e lei risponde: “Ero triste perché mio f iglio eramorto, e io gli volevo bene”. (Ricordo che una volta,non molto tempo fa, mi aveva chiamato in disparte“per sfogarsi”. Molto agitata, alternava frasi come“Non ce la faccio più. Qualche giorno mi ammazzo”e “Mia madre. La odio. Vorrei che morisse”). Le chie-do che cosa sentiva quando ha incontrato Gesù risor-to, e risponde: “Stavo bene. Ero contenta perché Sil-vana mi vuole bene”.A modo suo, Valentina esprimeva quella sintesi com-plessa di livelli dell’esperienza di cui abbiamo parlatoprima, e il suo dono era lo spazio concesso al senti-mento, all’accettare la tristezza e la gioia, all’esserecon e per gli altri. La giornata proseguì serenamente:Silvana non ha rubato, Romina ha aiutato a prepara-re la merenda, Valentina ha fatto pace con la dotto-ressa. Da allora, Valentina ha iniziato ad usare ildramma come un luogo in cui sperimentare, e cerca-re parti di se stessa. Naturalmente, i significativi pro-gressi di Valentina nel periodo successivo non sono daattribuire solo all’effetto della Drammaterapia, poichégli interventi messi in atto nel Centro sono molti e sa-pientemente integrati.Ma quelle volte che la vedo pulita e sorridente, capacedi interrompere i suoi comportamenti infantili e ripe-titivi e parlare come una ragazzina adolescente, ancheaccettando tutte le sofferenze e i rischi che quest’età

porta con sé, non posso fare a meno di ripensare allasua stupenda Mater Dolorosa.

Conclusione: lo stato poetico ■In queste pagine, ho cercato di suggerire alcuni con-cetti che possano fornire un piccolo contributo peraiutarci a comprendere come l’esperienza della Dram-materapia agisca non solo sul comportamento, masull’equilibrio interno della persona, sostenendola nel-la sua tendenza a una maggiore integrazione. Parte diquesto processo continua a rimanere misterioso, lega-to al potere trasformativo dell’arte, che solo in parte èesprimibile in parole.Nel raccontare le storie che avete letto, ho cercato an-che di ricostruire e di trasmettere la mia personaleesperienza di esse, che è stata, per usare ancora le pa-role di Maslow, un’esperienza “di meraviglia, di timo-re, di reverenza, di umiltà” davanti alla bellezza del-l’umanità che si svelava in un atto poetico.Consapevole che, come ha scritto Edgar Morin, “Lostato poetico ci dà la sensazione di superare i nostrilimiti, di essere capaci di comunicare con ciò che citrascende. Lo stato poetico spurga l’ansietà, lapreoccupazione, la mediocrità, la banalità. Trasfi-gura il reale. Stato trasfigurante e trasfigurato del-l’esistenza, è certamente precario, aleatorio, ma èlo stato di grazia”. (op. cit.) ■

Stati di graziaEventi trasformativi in Drammaterapia

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NEI LUOGHI DELLA CREAZIONEC’È SEMPRE DEL VUOTO,IL LUOGO ORIGINARIO È UN VUOTO, NON IL VUOTO

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Ascoltiamo il racconto di Jung rispetto al primo emer-gere della forma: “A livello animale e primitivo re-gna una semplice luminositas ancor quasi indistin-guibile dalla chiarezza di frammenti dissociatidell’Io, così come a livello infantile e primitivo lacoscienza non è un’unità, non essendo ancora cen-trata da un complesso dell’Io consolidato, ma di-vampa ora qui ora là, dove venti, istinti e affetti in-terni o esterni la destano. A questo livello lacoscienza ha ancora un carattere insulare o di arci-pelago. Isole affioranti, se non interi continenti,possono ancora sempre essere aggregate alla co-scienza moderna. Sarà quindi bene pensare allacoscienza dell’Io come a un qualcosa circondato damolte piccole luminosità.” (1988)Anche per Anassimandro l’universo mitico appare co-me un insieme di ‘porzioni’ o parti dello spazio globa-le, collegate fra di loro. È una visione del mondo cheAnassimandro ha in comune con l’immagine dogondell’origine dell’universo (fig. 2) e con l’immagine spi-raliforme di una paziente psicotica (fig. 3).Per i Dogon del Mali il dio Amma ha eletto la sua se-

de all’interno dell’uovo primordiale, con il quale siidentifica. Grazie al suo movimento a spirale, la pallaaccelerata genera, al suo centro, il seme di po. Il po èla più piccola cosa fatta. Dopo questa prima genesi,Amma disegna nel cuore del suo centro le tracce pri-

mordiali chiamate yala. Da esse attraverso un movi-mento a spirale nasce l’universo.La spirale è una figura aperta, che, di rotazione in ro-tazione, indica al di fuori di sé. Partendo da un punto,che circonda in sempre nuove rivoluzioni, continuaall’infinito. Annulla, richiamando Kandinsky, la quie-te suprema in sé conchiusa del punto e produce il sal-to dalla staticità al dinamismo.Ogni nuova acquisizione della coscienza rinnovaquindi il passaggio dalla dissociazione all’integrazio-ne, dalla distruzione alla creatività. In questa prospet-tiva il simbolo, attraverso il cercare di afferrare delleparticelle di luce in mezzo a un grande buio (Keats,1984), rivela il non ancora implicito, il mistero dell’e-sistenza. È un implicito che compare per la primavolta e, mettendo insieme gli opposti, riorganizza ilpensiero dando un nuovo senso all’esistenza. La men-te tesse una sorta di rete - ricevente piena di fertilipunti d’intersezione, i quali possono attirare l’espe-rienza e irradiarla indietro al centro.Creato un ‘pensiero nuovo’, per evitare il pericolo del-la dissociazione, molto presente nella paziente psicoti-

ca di cui osservammo l’immagine precedentemente(fig. 3), occorre avere una scatola dove tenere i pensie-ri pensati (figg. 4, 5): delle due immagini una è unascatola/regalo con un grande fiocco, un pensiero/donoper la terapeuta; l’altra immagine è una scatola picco-

Rosa Porassono aprendosi il cammino a fatica attraverso l’intrico dicolori e materie: si formano e lentamente emergonocome una creatura vivente affiora dall’oscuro luogodelle germinazioni?Mantenere al linguaggio il suo alone, la sua ombra, lasua sorda terrestre risonanza; attraversare, col linguag-gio e nel linguaggio, le regioni opache, oscure e intrica-te, vuol dire produrre immagini che, conservando me-moria di questo attraversamento, mantengono unlegame con l’oscurità e il caos, con la fertile zona dellaprenascita, dell’indistinto, dell’innato: tutto quello, in-somma, che in termini pittorici si chiama lo sfondo diuna forma. Forma, ritmo, sfondo rimandano a un luogoricettacolo, un tutto indistinto, luogo di una sorta di ef-fervescenza. Figurativamente questo luogo è espressodall’immagine dell’uroboro (fig. 1).Erich Neumann, che studiò le proiezioni immaginati-ve dell’uomo come espressione della spinta organizza-tiva del Sé, coglieva nell’Uroboros del mito egiziano, ilserpente circolare che si morde la coda, una delle fi-gurazioni più antiche dell’esperienza limite che prece-de e accompagna l’Io embrionale agli albori del pro-

cesso di distinzione tra sé e il mondo. Anche l’uroboroè un vuoto, ma un vuoto cinto, un luogo e non lo spa-zio illimitato. La struttura della personalità può man-tenersi solo se non c’è fuga centrale, solo se c’è delchiuso - la chiusura formale. È necessario saper/poter

mantenere/contenere il vuoto. Occorre saper caderenello spazio senza paura, saper presagire il significatoe lo scopo esplorativo o evolutivo delle esperienze ca-tastrofiche.È, per l’Io che si risveglia, una vertigine e insieme lascoperta dello spazio mentale. Scoprire che c’è unospazio per sentire e pensare è acquistare una prospet-tiva interiore, sporgersi all’interno della propria fine-stra, equivale a confrontarsi con l’abisso opaco e igno-to della realtà inconscia. Bion parla di vertexriferendosi alla piramide visiva che guarda all’intimitàdel proprio essere.Parliamo dell’esperienza della mancanza di risposte,della perdita dei consueti parametri di riferimento cheognuno ha provato almeno una volta nella vita e cheprecede e determina il formarsi dell’immagine attiva. La filosofia taoista si basa direttamente sulla potenzaformante del vuoto.Trenta raggi si congiungono in un unico mozzo: que-sto vuoto nel carro ne consente l’uso. Da una zona diargilla si plasma un vaso: questo vuoto nel vaso neconsente l’uso. Si preparano porte e finestre per una

stanza: questo vuoto nella stanza ne consente l’uso.L’avere fa il vantaggio, ma il non avere fa l’uso. Qual-cosa funziona perché si istituisce un vuoto.Luogo vuoto dal quale, a un certo punto, sorgono ilmovimento e il ritmo.

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I lavori costruiti dai pazienti sono creazioni di mondiparalleli, scenari di grandi epopee quanto di piccolevicende quotidiane, e la sorpresa del paziente stesso difronte alla sua creazione è la prova più chiara checreare coincide con rendere visibile e condivisibile ciòche stava comunque dentro - un ritrovamento, quindi- ma che in tale condizione, implicita e inconscia, eracome inesistente, ununiverso invisibile.In Ricordi, sogni, ri-f lessioni, l’autobio-grafia di Jung (1988),c’è una frase che ci facomprendere l’im-portanza nell’econo-mia psichica del passaggio tra l’avere sensazioni e ildare loro una forma concreta:“Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagi-ni, e cioè a trovare le immagini che in esse si na-scondevano, mi sentivo interiormente calmo e ras-sicurato. Se mi fossi fermato alle emozioni, alloraforse sarei stato distrutto dai contenuti dell’incon-scio... Il mio esperimento m’insegnò quanto possaessere d’aiuto - da un punto di vista terapeutico -scoprire le particolari immagini che si nascondonodietro le emozioni.”Nel racconto autobiografico di Jung si coglie un ele-mento di fondo preliminare al lavoro con le immaginie l’arte: il contatto con la perdita della sicurezza e del-l’oggetto amato, con l’esperienza della distruttività.Essendo creatività e distruttività intimamente connes-se, la percezione della bellezza emerge sempre dalleinnumerevoli composizioni e decomposizioni che

hanno luogo tra l’intelletto e i suoi mille materiali(Keats, 1984). È il momento della sofferenza psichicache apre le porte all’immaginazione: “Tutto il lavoroumano trae origine dalla fantasia creativa, dall’imma-ginazione... La fantasia normalmente non si smarrisceprofondamente e intimamente legata com’è alla radicedegli istinti umani e animali, ritrova sempre, in modo

sorprendente, la via.L’attività creatrice del-l’immaginazione strap-pa l’uomo ai vincoliche lo imprigionanonel “nient’altro che”,elevandolo allo stato dicolui che gioca. E l’uo-

mo, come dice Schiller, è totalmente uomo solo là do-ve gioca. L’effetto al quale io miro è di produrre unostato psichico nel quale il paziente cominci a sperimen-tare con la sua natura uno stato di fluidità, mutamentoe divenire, in cui nulla è eternamente fissato e pietrifi-cato senza speranza.” (Jung, 1988)E noi insieme a Jung cerchiamo di fare del nostro me-glio giocando... ■

Rosa Porassola dentro una scatola più grande, forse un’immaginedel setting che fa sì che la paziente possa sentire senzaperdersi (durante l’esecuzione del disegno mi chiede:“Ti sembra che io riesca a tenere dentro tutto?”).La scatola è un vas hermeticum che contiene i pensie-ri e che permette, con l’apertura del coperchio, dise-gnato ben chiaramente, il passaggio fra il dentro e ilfuori. Inoltre la capacità dell’immaginare - dentro èsecondaria, o forse conseguente, alla facoltà dell’esse-re - immaginati - dentro. E in un lavoro terapeutico lamente del terapeuta non solo contiene il paziente maanche immagina la sua psiche. Nel processo di unamente che si immagina all’interno di un’altra, si puòassistere alla formazione del simbolo.Quest’immagine, al contrario di tutte quelle date inpassato da questa paziente, è un’immagine tridimen-sionale. Melanie Klein introduce la terza dimensio-ne, parlando di oggetti interni e di un Io in rilievoche abitano lo spazio mentale del mondo interno:arrivare alla terza dimensione vuol dire iniziare aprendere in considerazione la profondità e lo spesso-re della psiche. Lo spazio mentale non può essereconcepito privo di profondità, può esistere solo seil mondo interno èpercepito come volu-me. La scoperta del-la prospettiva in pit-tura introduce nellearti plastiche e nel-l’architettura l’ideadi prospettiva inte-riore. Quando PaoloUccello, Brunelleschi e Leon Battista Alberti parla-no della prospettiva, la metafora che appare è quel-la di uno spazio per pensare, uno spazio abitato daqualcosa che si muove, l’emozione dell’artista che,come diceva Leonardo, pensa con la sua mano.E qui arriviamo, anche se mai le avevamo scordate,all’arte e all’arte terapia.In arte terapia, quelle che nella terapia verbale sonometafore spaziali, diventano disegni, quadri, sculture,oggetti. L’arte, occupandosi delle forme e dei limiti, deiconfini fra un oggetto e un altro, offre uno spazio con-

creto per il Sé. Potremmo chiamarlo, rifacendoci a Ba-chelard (1972) (Per sognare profondamente bisognasognare con la materia... Il modellatore si avvicina piùdi ogni altro al sogno intimo, al sogno vegetante), il so-gno fatto con le mani, il sogno che si vede e si tocca.Ogni oggetto, nella scena che si va formando sul foglioo nella terza dimensione, è anzitutto una parte dellapsiche che assume un carattere di concretezza.La forma, generata come un corpo vivente, alla fine diun percorso dentro le regioni sotterranee, emerge dauno stato di pura materia. Tiziano stendeva sulla teladensi strati di colore per preparare l’accoglimento delleimmagini. Chiamava questo: fare il letto della pittura -il letto che accoglie il corpo nei momenti più abbando-nati: sonno, amore, morte.Il linguaggio dell’arte è verità incarnata: mantiene ilpeso corporeo, l’oscurità della nascita, la fatica delcammino.Anche Virginia Woolf (1998) coglie l’attimo in cui l’e-mozione appare tramite le cose:“L’anima non si può scrivere direttamente. Guar-dala e svanisce; ma guarda il soffitto, guarda glianimali più umili dello zoo... e l’anima scivola

dentro.”È un movimento diincarnazione che, co-me nelle culture co-siddette “primitive”,trova un legame reci-proco tra i mortali e ilmondo invisibile, ri-chiama sulla terra le

potenze misteriose che regolano il cosmo. L’oggettoartistico non è soltanto una rappresentazione, è unaforza che si manifesta, una forza che si fa sostanziale,palpabile, materiale, una concentrazione di energia.L’attitudine della psiche a personificare trova nell’arteterapia una facilitazione. Il passaggio alla personifica-zione può essere visto come un processo metabolico:da dinamica pulsionale vissuta a livello corporeo at-traverso la manipolazione della materia, l’emozionediventa affetto condivisibile, prima per immagini e so-lo successivamente in parole.

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IN ARTE TERAPIA, QUELLE CHE NELLA TERAPIA VERBALESONO METAFORE SPAZIALI, DIVENTANO DISEGNI, QUADRI,SCULTURE, OGGETTI

L’OGGETTO ARTISTICO NON È SOLTANTOUNA RAPPRESENTAZIONE, È UNA FORZA CHE SI MANIFESTA,UNA FORZA CHE SI FA SOSTANZIALE, PALPABILE, MATERIALE,UNA CONCENTRAZIONE DI ENERGIA

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impostare il lavoro che si svilupperà nell’arco di parec-chi mesi, cercando di darsi come limite l’inizio dell’e-state. Questo ritmo si è andato definendo attraversouna serie di osservazioni su quello che nei primi annisuccedeva spontaneamente, discriminando poi le mo-dalità più funzionali rispetto ai bisogni del gruppo. Al-lo stesso modo si è sperimentato l’uso di vari materialie tecniche, dal murales al collage, dalla esplorazioneplurisensoriale di materiali artistici e non, alla costru-zione di oggetti simbolici, dall’uso del video all’inven-zione di fiabe, riflettendo ogni volta su ciò che era suc-cesso e come l’esperienza era stata vissuta dai singoli edal gruppo. Quando ci siamo incontrati, per metterea fuoco quali sono stati nel corso di questi anni gli ele-menti più importanti di questo percorso, è emerso chedare forma alle immagini attraverso l’arteterapia ci hapermesso di:• rendere visibile e dare significato al lavoro quotidia-no e poterne poi mostrare un prodotto tangibile allefamiglie e ai colleghi;• rappresentare ciò che la relazione con gli utentievoca in noi e ciò che sappiamo della loro storia;• evidenziare similitudini e differenze fra ognuno deipartecipanti valorizzandoli come persone al di là deilimiti individuali;• poter creare un clima improntato il più possibile alnon giudizio e all’autenticità;• mantenere una situazione dinamica in cui ogninuovo ingresso modifica e arricchisce il gruppo;Spesso nel corso di questi anni abbiamo avuto la sen-sazione di muoverci in un terreno “ai confini dellarealtà”: per ritrovare il senso del lavoro ci siamo spes-so ripetuti che, anche se alcuni momenti fossero stati

semplicemente l’occasione per stare a fianco del no-stro utente, per tenere insieme in mano un pennello,per manipolare insieme la creta o un altro materiale,per tracciare insieme un segno sul foglio, questo di persé aveva un valore, perché permetteva una vicinanzaspesso così difficile, se non per i momenti legati ai bi-sogni primari.Anche quando gli utenti sono stati solamente osserva-tori del nostro “fare”, per poco più di un’ora, ognimartedì mattina, la stanza diventava un atelier, e noipotevamo esprimerci e nutrirci attraverso questo lavo-ro insieme, che risultava come incastonato nel restodelle attività riabilitative quotidiane.È stato spesso necessario ritrovare un significato al la-voro e nuove energie per poter continuare, I’obiettivoogni volta è stato quello che ognuno entrasse ancorapiù in contatto con il proprio personale modo di esse-re creativo, per poterlo mettere a disposizione delgruppo, per non essere sopraffatti dalla fatica quoti-diana del lavoro con persone così limitate dalle lorodisabilità. Ognuna delle immagini, qualsiasi formaabbia preso, racconta la relazione che, attraverso glistrumenti e il tempo-spazio dell’atelier di arteterapia,si è creata fra educatore e utente, nella quale i conte-nuti e i modi dell’uno e dell’altro si sono reciproca-mente arricchiti.Il contributo dell’arteterapista durante tutto il lavoro èstato quello di mantenere, anche nei momenti più dif-ficili, la fiducia nel senso di quello che stavamo facen-do insieme, inoltre la condivisione del progetto, contutta l’équipe del Centro, è stato un elemento fonda-mentale, che possiamo definire come la cornice indi-spensabile di un percorso come questo. ■

Dieci anni di martedì mattina con l’arteterapiaIl processo creativo come strumento per contrastare il burn out

Centro Diurno Riabilitativo Arcipelago - coop. S.A.B.A.L’Arcipelago è un Centro Diurno Riabilitativo accre-ditato che ospita venti disabili gravi con minorazionifisiche, psichiche e sensoriali. Gli utenti e di conse-guenza i loro operatori sono divisi in due sottogruppiper poter meglio svolgere le attività quotidiane; anchese ci sono parecchi momenti di scambio fra i duegruppi, ciascuno di essi ha però una precisa e distintaidentità, determinata dai bisogni degli utenti e dallecaratteristiche personali degli operatori. Sono ormaidieci anni che, per uno di questi sottogruppi, tutti imartedì mattina sono caratterizzati dall’incontro diarteterapia.Nel momento in cui l’uscita di questa nuova rivista ciha offerto la possibilità di presentare una nostra espe-rienza, quella del martedì c’è sembrata particolar-mente significativa, per alcune sue peculiarità, legatealle limitate autonomie residue dell’utenza e alla suadurata nel tempo. C’è sembrato altresì utile coglierequest’occasione per condividere una rif lessione sulmomento attuale e su quali sono stati gli aspetti por-tanti che hanno delineato il percorso di questi anni:perciò abbiamo elaborato questo scritto come gruppoperché ne potesse ri-sultare un’immaginepiù articolata e signi-f icativa di questaesperienza. Entria-mo allora nel vivodel lavoro: l’arteterapia utilizza le immagini come op-portunità e tramite per sviluppare le relazioni, a livellosia intrapsichico che intersoggettivo, all’interno di unsetting e alla presenza di un conduttore. L’utilizzo delprocesso creativo, quella sintesi magica fra processo

primario e processo secondario, (come scrive Arieti,1979,: “Il processo primario, per Freud, è un mododi funzionamento della psiche, specialmente dellanostra parte inconscia... funziona in modo moltodiverso da quello secondario, che è il modo di fun-zionamento della mente quando è sveglia e si servedella logica comune.”) permette di offrire un suppor-to ad un gruppo di lavoro che, operando quotidiana-mente con un’utenza che richiede un accudimentopressoché totale, è sottoposto ad un rischio di burnout elevato. Settimana dopo settimana, anno dopoanno all’interno di questo spazio del martedì mattinaè stato possibile compiere come gruppo un percorsoche è proseguito nonostante si siano avvicendati moltioperatori (dall’inizio, uno alla volta, sono cambiatitutti) ed anche alcuni utenti. Si è riusciti a mantenene-re e stratificare una storia che è del gruppo, all’internodella quale ogni partecipante ha potuto accedere alleproprie risorse interne, vederle riconosciute e metterlea disposizione del gruppo.Il martedì mattina è diventato perciò un appuntamen-to fisso: dopo aver accolto gli utenti, attualmente sette,

dopo che i loro quattroeducatori li hanno ac-cuditi nei loro bisogniprimari, verso le 10,30arriva l’arterapista e si èpronti per iniziare; fino

alle 11,45 si riesce a proteggere questo spazio, salvotutte le improrogabili ed impreviste urgenze di unastruttura socio-sanitaria.Ogni anno al rientro dalle ferie estive ci si riunisce perfare il bilancio dell’anno passato e per decidere come

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L’ARTETERAPIA UTILIZZA LE IMMAGINI COME OPPORTUNITÀE TRAMITE PER SVILUPPARE LE RELAZIONI, A LIVELLOSIA INTRAPSICHICO CHE INTERSOGGETTIVO, ALL’INTERNODI UN SETTING E ALLA PRESENZA DI UN CONDUTTORE

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movimento possa facilitare nel paziente una relazionecon sé e con l’altro e quando invece il movimento rap-presenti per lo stesso una modalità di difesa, una fugarispetto alla relazione e una barriera rispetto alla pos-sibilità di integrare parti scisse di sé.L’osservazione di quando e come la relazione terapeu-ta-paziente divenga realmente terapeutica, cogliendocosa questo significhi e comporti in situazioni differen-ti, continua ad essere uno dei centri della mia ricercae del mio lavoro.In questo senso il titolo di questo scritto “Verso la rela-zione terapeutica” vuole proprio mettere in rilievo lefasi iniziali della terapia in tre situazioni differenti, sot-tolineando come proprio questi momenti iniziali sianoassai delicati poiché determinano l’avvio del processoterapeutico e mettono il terapeuta a confronto con lapropria disposizione interna a contenere situazionidavvero diverse tra loro e spesso anche, come vedre-mo, opposte.Chiara è una ragazzina con la Sindrome di Down di11 anni. Due grandi occhi, i capelli castani, frequentala 5° elementare. Ha un linguaggio spigliato, contraria-mente alla maggioranza dei bambini Down, presentaalcune espressioni del volto contratte e un tono di vocecontrollato, quasi dal tim-bro un po’ maschile eadulto.La sua famiglia e special-mente il padre hannogrande difficoltà nell’ac-cettare la sua diversità etendono a sovraccaricar-la di impegni e compiti aldi sopra delle sue realipossibilità.Chiara appare nella postura corporea “raccorciata” eirrigidita come se trattenesse qualcosa dentro; il Flus-so di Tensione visibilmente Controllato (soprattuttonella zona del collo, delle spalle e del torace) insiemead un uso del Peso esageratamente Forte caratterizza-no fin dall’inizio il suo movimento.Mi rendo conto che Chiara è in grado di coinvolger-mi immediatamente con queste Qualità di movimen-

to che inizialmente appaiono come le uniche modalitàa lei disponibili per esprimere una rabbia spesso in-contenibile e totalizzante.A causa dell’insufficienza mentale, i bambini affetti daSindrome di Down, vivono infatti intensamente leemozioni e gli impulsi direttamente nel corpo, comesenza filtri. È dunque impossibile esimersi dal “met-tersi in gioco” e muoversi insieme a loro spesso signifi-ca entrare velocemente in contatto con emozioni chenon possono essere espresse diversamente.Il lancio del pallone caratterizzato da un gesto conSpazio Diretto e Peso Forte e l’immagine di un missilepronto ad esplodere compaiono nelle sue espressionifin dal primo incontro.Laura è una giovane donna intelligente, alta, esile av-volta da un malessere profondo che affiora attraversocomportamenti di tipo fobico e grosse difficoltà rela-zionali e sessuali. Tanto terrorizzata quanto attrattadall’idea di muoversi ed esprimere se stessa attraversoil corpo ed il movimento, per molti mesi rimane sedu-ta intessendo un tipo di comunicazione difensiva so-prattutto verbale e di tipo quotidiano. Non compaio-no sogni, non immagini, i suoi movimenti visibili sonominimi; tutto sembra rarefatto, leggero, sfumato, dif-

f icilmente nominabile edelaborabile.Marina è una donna conalterni periodi depressivi eun legame matrimonialeinsoddisfacente, da cui leituttavia è fortemente di-pendente. Al contrario diLaura, Marina f in dalleprime sedute appare desi-derosa di muoversi e dan-

zare. Ripetutamente dopo le sue danze si ritrova a di-segnare dei volti e dei corpi perfetti e f iabeschi;immagini tanto belle quanto ideali e staccate dalla suarealtà.Chiara, Laura, Marina (i nomi sono cambiati per mo-tivi di privacy) quando entrano nella stanza dellaDMT creano con la loro persona e con le Qualità delloro movimento delle atmosfere, delle coreografie

Verso la relazione terapeuticanella Danza Movimento Terapia

Anna Lagomaggiore Psicologa, Danza Movimento Terapeuta

La Danza Movimento Terapia (DMT) si collega alleorigini lontane della danza in quanto linguaggio cheda sempre ha permesso all’uomo di esprimere e dareforma ad emozioni, impulsi, tensioni fisiche e psichi-che; sancire e contenere eventi e passaggi fondamen-tali dell’esistenza dell’individuo e del gruppo e cele-brare l’incontro con il divino.Nella DMT il “movimento" non comprende solo gliaspetti del movimento visibili all’esterno, ma anche i“non movimenti” e tutto quel più interno e invisibilemovimento psichico e intrapsichico che continuamen-te agisce nel paziente e nel terapeuta e che porta fin dasubito all’instaurarsi di determinate modalità “coreo-grafiche” e relazionali. Modalità che vanno guardate,comprese e gestite sempre in maniera differente affin-ché la relazione possa realmente divenire terapeutica.Nella DMT il movimento corporeo inteso come lin-guaggio non verbale e che attinge a fenomeni pre-verbali (Siegel, 1984) costituisce lo strumento princi-pale di espressione e di comunicazione nellarelazione tra paziente e terapeuta. Attraverso un’a-deguata formazione e competenza il terapeuta puòleggere e comprendere posture, gesti, qualità e ritmicorporei nei termini delle relazioni oggettuali basatesulle fasi evolutive (Bernstein, 1982; Mahler, 1975;Kestenberg, 1975) facendo sì che i movimenti diven-tino realmente significativi e simbolici di stati più in-terni e spesso inconsci.Conseguentemente complesso è il lavoro di ascolto edelaborazione del terapeuta (Robbins, 1984, 1998).Questi deve essere disponibile a contenere qualsiasimovimento fisico e psichico si verifichi, deve esserepreparato a tollerare anche le dinamiche più scomodee difficili da gestire perché necessarie - come vedremoin seguito - a promuovere un’alleanza terapeutica(Dosamantes Alperson, 1992; Chodorow, 1998).Non solo il terapeuta deve avere un ampio repertoriodi movimenti espressivi, non solo deve essere consape-vole delle proprie reazioni e dei messaggi che trasmet-te attraverso i propri gesti ma è il suo corpo stesso adivenire lo strumento principale, in quanto luogo,“camera di risonanza” (Govoni, 1998) dove immedia-tamente passano e riecheggiano tutti gli elementi in-

consci che il paziente invia, tutte le reazioni difensivetransferali (Bollas, 1987).Concetti fondamentali della DMT sono l’empatia,specificatamente intesa come empatia cinestesica (Pal-laro, 1994) e il controtransfert, in senso generale e insenso più specif ico di “controtransfert somatico”(Bernstein, 1984). In questo senso la pratica del Movi-mento Autentico (Adler, 1987; Chodorow, 1998;Stromsted, 1994), metodo di esplorazione dell’incon-scio attraverso il movimento, può costituire per il tera-peuta una tecnica importante per lavorare ad appro-fondire la propria comprensione del controtransfertsomatico, per sviluppare - col tempo - dentro di sé lapresenza radicata e sensibile del proprio testimone in-teriore cioè di quella parte di noi capace di “contem-plare” il proprio vissuto ed i propri movimenti più in-terni (Adler, 1987); imparare dunque a differenziare idiversi livelli di risposta al paziente comprendendo co-sa restituire e come; se ad esempio attraverso un im-magine, una parola, o con la presenza, o con un movi-mento con una precisa qualità, un gioco o con unastruttura specifica, dando confini ecc. Altrettanto importante per il danza movimento tera-peuta è la Laban Movement Analysis (LAM), (Laban,1950), che permette di osservare la relazione terapeu-ta-paziente in termini di movimenti molto sottili equesta osservazione - per occhi esperti - svela anche laposizione inconscia, sia del paziente, sia del terapeuta,che verrà appunto poi da quest’ultimo letta e resaconscia (Govoni, 1998).Altro strumento fondamentale è il lavoro della dott. J.Kestenberg, psicoanalista che ha utilizzato la LAMper leggere e studiare lo sviluppo evolutivo del bambi-no e dell’adolescente e la relazione madre bambino efornisce strumenti utili rispetto al rispecchiamento(Chace, 1975), alla sintonizzazione (Loman, 1994;Kestenberg, 1974), aiutandoci a leggere le difese psi-cologiche così come si mostrano nel corpo (Freud,1967; Horner, 1993).Nel corso degli anni attraverso l’esperienza del lavoroin diversi contesti e con differenti pazienti ho potutoosservare e rif lettere sul valore delle diverse funzionidel movimento e nello specifico su quando davvero il

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CONCETTI FONDAMENTALI DELLA DMT SONOL’EMPATIA, SPECIFICATAMENTE INTESACOME EMPATIA CINESTESICAE IL CONTROTRANSFERT, IN SENSO GENERALEE IN SENSO PIÙ SPECIFICODI “CONTROTRANSFERT SOMATICO”

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Sento nel mio corpo rabbia controtransferale. Ritrovospesso il mio corpo teso, rigido e mi accorgo che facil-mente tendo a perdere la centralità; sento l’ansia dentrodi me che mi fa salire il peso verso l’alto, avanzare con ilbusto nella direzione sagittale o viceversa ritrarmi.Ricerco la connessione con il mio centro e la possibili-tà di fare fluire il respiro per non rischiare di controi-dentificarmi o di allearmi con la sua parte distruttiva.Il mio sforzo così in questo periodo è quello di entrarein empatia con la parte di lei che si sente non ricono-sciuta e maltrattata e accogliere e restituire la sua rab-bia e usarla appena sarà possibile per fare giochi sim-bolici. Senza tuttavia subirla ed essere distrutta.È importante permettere e contenere in questo mo-mento questo tipo di relazione che in questo contestoassume così una valenza terapeutica. Ciò infatti per-metterà in seguito alla bambina di passare ad altre fasidi sviluppo più evolute, esplorare nuovi modi di starenella relazione, potere trasformare i suoi vissuti, primacosì agiti sulla mia figura, in “danze” vere e proprie,potere dunque iniziare realmente a creare dentro di sée tra noi uno spazio per “giocare” (Winnicott, 1969)modificando nel tempo anche posture, qualità di movi-mento e alcune modalità di porsi in relazione.

Laura ■Nel secondo caso la situazione è quasi opposta.Laura, studentessa all’università, per molti mesi pre-ferisce rimanere seduta per terra a parlare. Le “dan-ze” sono costituitecosì soprattutto dallesue parole, continuee misurate, quanto ilsilenzio è temuto,dai piccoli aggiusta-menti del respiro,dai piccoli cambia-menti di postura edalle minime modu-lazioni del Flusso diTensione muscolare quasi sempre Controllato.Le sue mani e le sue braccia spesso accompagnano leparole con gesti periferici e lontani da sé, poco con-

nessi con il centro del suo corpo. Non compaiono ap-parentemente emozioni.Tuttavia dai suoi racconti posso dedurre la drammati-cità della sua storia (che per motivi di privacy trala-scio) di cui è il corpo a farsi ben presto carico. Lamente simbolica può esserci quando c’è stata una ma-dre sufficientemente buona. E lei che ha vissuto comepriva di una figura materna costante e stabile non sacosa significhi realmente uno scambio emozionale.Nel suo vocabolario non solo non compaiono emozio-ni ma neppure immagini simboliche, così come i con-tenuti onirici dei suoi sogni sembrano a lei impossibilida ricordare o menzionare. Tutto è estremamenteconcreto e intellettualizzato.La grande villa, dove lei vive e che minuziosamentedescrive, appare come uno scenario significativo di al-tri scenari più interni e profondi da cui lei si tiene benalla larga. Domina la mancanza di confini e di pri-vacy, il dovere sottostare ad una continua invasione dispazi, ed il terrore per tutto ciò che possa “infettare” esporcare. Intenso è il vissuto di essere continuamentecontrollata e giudicata.Di fronte alla scarsità di movimenti percepisco la ten-denza del mio corpo ad attivarsi e tendersi con SpazioDiretto come per provocare o riempire qualcosa. Vi-ceversa proprio attraverso i racconti di Laura che misuscitano reazioni interne che posso ascoltare, possocomprendere la delicatezza di questi primi momenti. Internamente infatti ho la sensazione di poter cadere

da un momento all’al-tro e rompermi in millepezzi. Ho l’immagine diun funambolo che cam-mina su di una sottilissi-ma fune appesa nelvuoto ad una altezza in-verosimile.A tratti perdo comple-tamente la percezionedel mio corpo e dei suoi

messaggi e mi ritrovo pensierosa e sconnessa comeper difendermi da qualcosa che mi spaventa.Posso sentire chiaramente l’importanza di rispettare i

Anna Lagomaggiorespaziali e relazionali specifiche e comunicative delleloro differenti personalità e problematiche.

Chiara ■Chiara, la bambina con la Sindrome di Down, esprimeil suo disagio con la tendenza a trattenere spesso il re-spiro e a mantenere il Flusso di Tensione muscolareestremamente Controllato, come abbiamo visto. IlFlusso di Tensione trattenuto ha proprio la funzione dinon fare scorrere e bloccare nella muscolatura le emo-zioni insopportabili alla coscienza (Kestenberg, 1975).Chiara quando entra nella stanza comincia a prendereil pallone o altri og-getti o a fare doman-de con toni decisi.Nel secondo incon-tro Chiara dopo ave-re lanciato il pallonecon molta forza contro il muro improvvisamente deci-de di prendere i cubi e costruisce una ”torre”. Si dispo-ne velocemente al suo interno e rimane così seduta perqualche tempo. Dall’altra parte della stanza anch’io ri-mango seduta. Noto che è come se per lei non ci fossi,avverto l’esclusione; proprio attraverso il mio vissutoprendo contatto con la sofferenza di non “essere vista”e considerata dal mondo esterno.Attraverso il rispecchiamento dello stato d’animo pos-so mettermi al livello più profondo in cui inconscia-mente la bambina comunica e si esprime e, senzachiederle di essere diversa da come è, l’accolgo.Lei può percepire così che non le vengono fatte richie-ste e che le è permesso di essere lì dove lei è (Chace,1975). Questo è fondamentale per permettere che sicrei un inizio di alleanza.La relazione terapeutica è in continuo cambiamento edeve accogliere dentro anche violenti attacchi per po-tere evolvere.In un altro incontro iniziale infatti Chiara vuole asso-lutamente insegnarmi il walzer. Lei deve essere il“maschio” che conduce mentre io sono la “femmi-nuccia” come lei stessa mi definisce con disprezzo. Misento letteralmente presa e tenuta con forza e tensionedalle sue braccia, costretta a muovermi come dice lei,

guai se faccio qualcosa di diverso o provo a cambiare iruoli. Alla fine del walzer Chiara fa dei gesti nervosicon le mani che lei definisce ‘sputacchiosi’.Questo sarà l’inizio di una lunga fase nella terapia incui Chiara in ogni situazione cercherà di dimostrareche lei è la più forte. Lei vince, è brava, e non può sop-portare di perdere; viceversa io non so fare niente,perdo, sbaglio, non capisco, sono da prendere in giro.Uno dei significati che possiamo dare è che stia met-tendo alla prova il contenitore per saggiare fino a chepunto tiene e fino a che punto può avere fiducia. Larelazione è infatti terapeutica quando rimane stabile

nei cambiamenti, so-stiene gli “attacchi” nondivenendo rigida o reat-tiva ma permettendo alpaziente, in questo casoalla bambina, di andare

là dove lei deve andare. La relazione terapeutica devedunque essere un contenitore sufficientemente capacedi accogliere, tollerare e trasformare.Il “movimento” delle identificazioni proiettive (Klein,1948; Bion, 1962; Ogden, 1991) è intenso e in certimomenti particolarmente difficile da sostenere.Ho dovuto essere infatti in grado di tollerare tutta lagrande rabbia di Chiara. Proprio attraverso la letturadel mio controtransfert posso non rispondere reattiva-mente ma capire che lei - così come è chiaramenteespresso nelle Qualità dei suoi movimenti - si mettenella posizione dell’aggressore. Qui, infatti, J. Kesten-berg (1975) ci insegna che la difesa dell’identificazionecon l’aggressore è collegata alla “Prequalità della Vee-menza”. Potendo dunque riconoscere tale difesa neisuoi movimenti e nelle sue modalità posso compren-dere e vedere come in tale modo Chiara stia cercandodi riversare su di me e di farmi provare ciò che lei vivequotidianamente e che rifiuta e scinde da sé o attri-buisce a un personaggio immaginario maschile. Essendo molto provocatoria faccio fatica in certi mo-menti a non controidentificarmi, non separando cosìquello che sono io come persona da quello che in que-sto momento per Chiara posso rappresentare come fi-gura transferale.

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HO DOVUTO ESSERE IN GRADODI TOLLERARE TUTTA LA GRANDE RABBIA DI CHIARA

LE SUE MANI E LE SUE BRACCIA SPESSO ACCOMPAGNANOLE PAROLE CON GESTI PERIFERICI E LONTANI DA SÉ,POCO CONNESSI CON IL CENTRO DEL SUO CORPO, NON COMPAIONOAPPARENTEMENTE EMOZIONI

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rosa di muoversi e subito comincia a danzare. Le suedanze sono f luide, leggere ricche di movimenti, vol-teggi, ancheggiamenti. Nonostante la quantità dimovimento e la tentazione di lasciarmi coinvolgeredalle sue danze, attraverso sentimenti controtransfe-rali entro in contatto con il bisogno di essere moltocauta, attenta.Posso infatti percepire nelle sue danze un elemento“ridicolo” - lei che non era mai in nessun modo ridi-cola - un elemento di disturbo e di rottura che mi met-te a disagio. Noto poi che il centro del corpo in realtànon è mai attivo, le sue danze sono caratterizzate so-prattutto da movimenti periferici come se Laura nonpotesse in alcun modo entrare davvero in contatto conparti autentiche di sé.C’è qualcosa che mi lascia come sospesa, con una sen-sazione di amaro. Ho l’immagine di una figura burle-sca tra la marionetta e il clown. Percepisco attraversoil controtransfert in realtà una grande stanchezza, ildesiderio di fermarmi e stare ferma.Se provo a relazionarmi con Marina a quel livello - ri-specchiando la Qualità della sua Leggerezza ad esem-pio - vengo immediatamente pervasa da una sensazio-ne stucchevole di finto, così come il sorriso stampatosul volto, che mi crea ansia, mi sento spezzata nonconnessa, una sensazione di vuoto e di galleggiarestaccata da terra. Confusa.Tutti questi sono messaggi a cui devo prestare atten-zione. In realtà ledanze di Marina so-no tanto ricche dimovimenti quantoappaiono prive diuna reale connessio-ne interna, come selei dovesse fuggirevia da questi collega-menti più profondi,come se il suo io facesse di tutto per difendersi da undolore insostenibile.Le sue danze appaiono spesso piuttosto come delle sca-riche con movimenti di cui lei sembra compiacersi, mo-vimenti attraverso cui subito riempie tutta la stanza.

Una modalità - quella del riempire - che dentro di mepoi collego a quella più solitaria e ripetitiva di quandolei - così come poi mi racconterà - si ritrova a riempirese stessa di cibo per non sentire e non affrontare unarealtà problematica.Marina così, attraverso le sue danze che riempionosubito la stanza, porta nelle sedute degli elementi vita-li e leggeri un po’ caricati che sono proprio all’oppostodi come realmente è e si sente nel profondo; tende atrasformare la stanza della DMT in un isola felicecompletamente staccata da una realtà sua interna cheinvece è statica, pesante ed opprimente.Capisco dunque che con questa paziente è importantenon lasciarmi sedurre da ciò che appare, compren-dendo che dietro alla giocosità e gioiosità dei suoi gestic’è disagio, solitudine ed una depressione latente. Ciò che appare è infatti una copertura, una modalitàdifensiva.Il lavoro attraverso la DMT dovrà aiutarla a mettersigradualmente in contatto con i contenuti sottostantiper poterli poi trasformare.Dunque, pur accogliendo le sue modalità, in quantoespressioni attraverso cui lei mi sta comunicandoqualcosa, capisco che è importante non sosteneretroppo quel livello per non rischiare una collusionema aiutarla piano piano, con delicatezza, attraverso letecniche appropriate, a creare collegamenti e a diven-tare più consapevole dei suoi meccanismi.

In questo senso l’utiliz-zo e l’elaborazione delcontro transfert mi aiu-ta a riportare la relazio-ne là dove è davvero te-rapeutica ed attivarladunque ad un livellopiù profondo.Infatti fin dall’inizio c’e-ra una buona relazione

con questa paziente attraverso il movimento ma nonera di fatto terapeutica in sé, quanto piuttosto difensi-va verso cui non colludere, non allearsi ma consape-volmente giocare con la sua difesa in maniera rispetto-sa e costruttiva.

Anna Lagomaggiore“confini” non solo come qualcosa di assolutamentenecessario, ma anche come una tematica del suo lavo-ro terapeutico.Posso comprendere che in questo momento fonda-mentale è “stare” con tutto questo piuttosto che atti-varmi concretamente, per esempio, chiedendole dimuoversi o altro. So che devo essere “nel mio corpotridimensionale”, contenitiva e ben radicata e rispec-chiare Laura con molta delicatezza. Capisco infattiche devo offrirle una struttura solida in cui avere lapossibilità di sentirsivista ma non intrusa,uno spazio che nonvenga invaso ma cherimanga con stabili-tà e continuità nelcorso del tempo.E questo sarà un lungo lavoro necessario affinché Lau-ra possa acquisire nella e attraverso la relazione con laterapeuta una fiducia di base che forse non ha mai spe-rimentato.Devo stare continuamente attenta a non agire la parteoggettuale che di fatto tutta quella inattività mi “mettedentro” ma comprendere la situazione e non agire.Un lavoro dunque di equilibrio che muove in me pro-fonde paure e la necessità di andare cauta. Come seLaura in quel momento fosse una bimba molto picco-la - questa è la mia immagine - che deve essere tenutacon molta attenzione nel vero senso di “holding”(Winnicott, 1970).Dove “holding” - nel linguaggio psicoanalitico - si ri-ferisce a quando la mamma tiene in braccio il bam-bino e con questa azione lo sostiene non solo fisica-mente ma anche psicologicamente con le sue tensionie le sue angosce. Quando, infatti, la madre abbrac-cia, accarezza e tiene in braccio il bambino, inconsa-pevolmente, svolge un’importante funzione di conte-nimento e così nella relazione terapeutica questotipo di presenza svolge una funzione simile, che per-mette a livello psicologico di contenere parti scissedella personalità.È infatti attraverso il contenimento che nel bambinopuò attivarsi un sano sviluppo psichico. Ed è proprio

il costruirsi di questo contenitore a permettere, con lapaziente, l’attivarsi della relazione terapeutica.Apparentemente, dunque in questo caso, il movimen-to iniziale così scarso non sembrava creare o facilitareuna relazione, di fatto l’accettare di lavorare con deimovimenti minimi e prendere in considerazione glielementi transferali e la storia della paziente hannopermesso di attivare una relazione terapeutica in cuifossero possibili dei cambiamenti.Dopo un anno circa di incontri settimanali Laura ha

potuto iniziare ad inve-stire di più lo spazio at-torno a sé, alzarsi gra-dualmente in piedi ecompiere delle cammi-nate per lo spazio dellastanza sperimentando

alcune Qualità del movimento. Successivamente trac-ciare dei piccoli e cauti movimenti nello spazio intor-no a sé (Cinesfera) esplorandone i confini.Solo dopo quasi due anni Laura ha potuto poi rima-nere sdraiata in silenzio, lasciare f luire e “sentire” ilproprio respiro scorrere dentro di sé: stare con questovissuto senza parlare ma in ascolto. E piano piano ini-ziare a riconoscere e nominare alcune emozioni.Ha potuto iniziare a sognare e a ricordare i suoi sogni.In uno di questi compare l’immagine di una nuovastanza tutta per lei, vuota con al centro un tavolo. Equesta stanza diviene progressivamente simbolica diuno spazio più interno che attraverso il respiro è possi-bile iniziare ad avvertire e contattare. Un luogo cheesiste dentro di sé, a cui è possibile tornare.In seguito Laura può vivere l’esperienza di sentirsi perla prima volta piacevolmente appoggiata al pavimen-to con una sensazione positiva di non dover sempre“tenere” e controllare. Nasce così la possibilità di con-siderare il tavolo del sogno al centro della stanza comeuna base “buona” su cui iniziare a scrivere una pro-pria più autentica storia.

Marina ■Il terzo caso è ancora differente dai precedenti.Marina nelle prime sedute entra nella stanza deside-

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SI TRATTA DUNQUE DI UN LAVORO DI EQUILIBRIOCHE MUOVE IN ME PROFONDE PAURE E LA NECESSITÀDI ANDARE CAUTA

FIN DALL’INIZIO C’ERA UNA BUONA RELAZIONECON QUESTA PAZIENTE ATTRAVERSO IL MOVIMENTOMA NON ERA DI FATTO TERAPEUTICA IN SÉ,QUANTO PIUTTOSTO DIFENSIVA

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co e attraverso l’esperienza del Movimento Autenticoè stato quindi possibile individuare tre modalità diffe-renti e specifiche per avviare una relazione terapeuti-camente e clinicamente corretta con queste pazienti.Così nel primo caso, con la bambina Down, caricofin dall’inizio di dinamiche relazionali intense, è statoimportante tollerare gli attacchi, i “bombardamenti”rabbiosi, costruendo un contenitore terapeutico soli-do ma non rigido; nel secondo caso con la giovanedonna è stato di aiuto entrare in contatto nel contro-transfert con stati di rêverie (Bion, 1962; Ogden,1997) o con la “madre sufficientemente buona” (Win-nicott, 1970) e comprendere che ogni mio movimen-to, se non calibrato e pensato in termini di relazione,avrebbe potuto essere per lei come un bombarda-mento e spazzarla via; e nel terzo caso attraverso ilcontro transfert ho potuto capire che elementi di mo-vimento che apparentemente avevano a che fare conil benessere e la gioia in realtà non erano che sovra-strutture difensive che impedivano una relazione pro-fonda e che terapeutico viceversa sarebbe stato scen-dere all’apice opposto, là dove potere affrontare e

sostenere la capacità e la forza di incontrare la pro-pria sofferenza e quindi Qualità di movimento moltodifferenti.La relazione dunque può divenire realmente terapeu-tica quando il terapeuta è pronto ad accogliere leidentificazioni inconsce del paziente.In tutti i tre casi l’utilizzo e l’elaborazione del contro-transfert somatico è stato essenziale per raggiungere lapaziente - li dove lei è - , comprendendone i bisogniprofondi e sottostanti e identificando le sempre diffe-renti modalità di risposta e di restituzione. Ciò ha per-messo di costruire il contenitore e l’alleanza terapeuti-ca ed attivare un processo trasformativo. ■

Anna LagomaggioreIl mio ruolo come danzamovimentoterapeuta è dun-que quello di comprendere quanto frustrare il senti-mento di gioia, che lei manifesta rispetto ad un luogodove ritrovare parti leggere che le fanno tanto benema che non avreb-bero dato nessun ri-sultato, per mettersiinvece in contattocon delle parti di sépiù profonde. Potereincontrare - primaattraverso gli ele-menti stessi del movimento - ciò che è opposto allaLeggerezza e alle Qualità che lei porta con tanto en-tusiasmo per permettere una relazione dunque piùampia e terapeutica.Lentamente può iniziare così a vivere il suo movimentopiù dall’interno e a potere parlare dei suoi vissuti colle-gati alle “danze”. Lentamente scopre il contatto deisuoi piedi sulla terra e scende dal Livello alto (in piedi)al Livello basso, così come allo stesso tempo può real-mente discendere dentro sé ed iniziare un viaggio pro-

fondo e doloroso di riconoscimento e trasformazione.Progressivamente dalla periferia del corpo i suoi mo-vimenti coinvolgono di più il centro, dal muoversi su-bito per riempire la stanza inizia ad attendere di esse-

re mossa da impulsi eimmagini più interne,gradualmente e coltempo comincia a per-cepire alcune connes-sioni profonde e a dise-gnarle.Le immagini ideali dei

suoi disegni si trasformano in immagini di rappresen-tazioni della sua colonna vertebrale o dei suoi piedi edelle sue mani e in immagini sempre più simbolichecome quella di una bambina sola seduta su di unoscoglio con i piedi nell’acqua e lo sguardo verso l’im-mensità del mare.La verbalizzazione, inoltre, diviene un elemento sem-pre più importante connesso alle esperienze di movi-mento, alle immagini ed alla sua vita.Attraverso l’elaborazione del controtransfert somati-

Verso la relazione terapeuticanella Danza Movimento Terapia

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LA RELAZIONE DUNQUE PUÒ DIVENIREREALMENTE TERAPEUTICA QUANDO IL TERAPEUTA È PRONTOAD ACCOGLIERE LE IDENTIFICAZIONI INCONSCE DEL PAZIENTE

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I frames costituiscono, cioè, degli elementi attrattori stabili nel sistema delle relazioni: benché siano parte dellosfondo del processo comunicativo influenzano (cambiano, trasformano) il significato dei processi in primo piano(processi emergenti).Riportiamo, di seguito, un’analisi longitudinale delle videoregistrazioni di una diade oggetto del nostro studioprendendo come esempio uno dei frames che ha caratterizzato le sette sedute di musicoterapia di questa coppia:osserviamo quanto emerso a partire dalla “canzone di Filiberto” presentando e commentando seduta per sedu-ta l’evoluzione dei processi comunicativi specifici. Abbiamo scelto di illustrare questo frame per la sua rilevanzanello specifico processo di musicoterapia.

Metodo di analisi ■L’analisi delle videoregistrazioni di ogni ciclo di sedute è realizzata da una coppia di decodificatori che compilaun’apposita griglia di trascrizione di decodifica, guardando in tempo reale la video registrazione e analizzandoil materiale, fino ad arrivare ad un accordo sulla scelta dei frames e di ogni successione di categorie d’interazio-ne. Il cambiamento di categoria viene annotato insieme ai frames: l’indicazione temporale di queste variazioni èrilevata attraverso un counter, inciso in fase di registrazione, che precisa i minuti e i secondi trascorsi. La grigliad’osservazione prevede una annotazione:1) dei tempi di inizio di ogni categoria di comunicazione;2) dei tempi d’inizio di ogni frame;3) della descrizione dei processi specifici in atto.Per effettuare questo studio sono state, quindi, raccolte le descrizioni inerenti ai processi specifici in atto duranteil frame della “canzone di Filiberto”. Successivamente sono stati messi in evidenza e analizzati, seduta dopo se-duta, i cambiamenti salienti del sistema comunicativo e individuati i processi storico relazionali a partire dall’or-ganizzazione delle innovazioni e delle elaborazioni sul tema di sfondo.

Analisi longitudinale del frame ■Nel primo incontro mentre la coppia è impegnata a intonare canzoncine, provenienti dal proprio repertorio, lamusicoterapeuta introduce la “Canzone di Filiberto” e la bambina la osserva attentamente:

L’approccio storico-relazionale in musicoterapia:analisi di un frame

Giovanna Artale, Fabio Albano, Cristian GrassilliIl seguente studio è parte di un più ampio progetto diricerca che utilizza il sistema di decodifica relazionaledi Alan Fogel come strumento di osservazione e dianalisi dello sviluppo della comunicazione nella rela-zione in musicoterapia (Albano, Artale, Berdondini,2002). Il sistema di decodifica relazionale è stato crea-to per catturare le differenti caratteristiche, a livelloqualitativo, del processo di comunicazione interperso-nale (Fogel, 1993, 2000).La ricerca ha come approccio di riferimento quellostorico-relazionale dello stesso Autore (ibid.) e si fon-da su un concetto di comunicazione intesa come unprocesso che va oltre il contributo individuale nelloscambio interpersonale. I partner sono continuamen-te attivi e coinvolti nel processo di comunicazione e labidirezionalità non è il “prodotto” a posteriori delloscambio tra i partner ma è immanente ad ogni com-portamento che si manifesta nel corso dell’interazio-ne: l’azione individuale è pensata come continua e re-lazionale, collegata al partner e al contesto.L’approccio è quindi caratterizzato dall’analisi dellosviluppo di sistemi continuamente attivi e coinvoltinella comunicazione. Tale impostazione risulta esserecoerente con la teoriadei sistemi dinamicinon lineari recente-mente sviluppata inambito psicologico.Un sistema è “un in-sieme di unità intera-genti che sono in rela-zione tra loro. Lo statodi ciascuna unità èvincolato, coordinato o dipendente dallo stato dellealtre unità” (Miller, Galanter, Pribram, 1960).L’aspetto Dinamico riguarda il cambiamento, che av-viene nel tempo e nello spazio, delle proprietà, deicomportamenti, delle interrelazioni di un sistema(Guastello, 1997).La non-linearità è, invece, universalmente definita co-me la non proporzionalità tra causa ed effetto, ovverotra la variazione introdotta in un sistema ed il cambia-mento indotto nel sistema: un piccolo evento può ave-

re un impatto imprevedibile su di un sistema. Nel no-stro caso musicoterapeuta e paziente sono osservaticome un unico sistema comunicativo che si evolve neltempo. L’analisi del processo comunicativo diadico èeffettuata mediante diverse dimensioni ciascuna dellequali è una descrizione alternativa dello stesso com-plesso sistema di comunicazione.Le dimensioni considerate sono:- le dinamiche (l’azione coordinata in modo conti-

nuo vs segnali discreti);- l’innovazione (creatività vs rigidità);- la storia (l’osservazione del movimento dal passato

al futuro);- il co-orientamento (il diverso impegno dei partner

nel partecipare al processo comunicativo);- l’adesione (consenso sul processo comunicativo vs

disaccordo sul processo comunicativo);- segmentazione (opportunità vs mancanza di op-

portunità di partecipare al processo comunicativo);- messa in evidenza (primo piano vs sfondo).Quest’ultima dimensione della comunicazione indivi-dua pattern di azioni più “lenti” di altri: i frames. Fogelnelle sue ricerche sull’interazione madre bambino li de-

scrive in questo modo:“una comunicazione ‘evi-denziata’ madre-bambi-no come il sorridersi o ilfocalizzarsi reciproco, ri-chiede un frame di sfon-do di holding materno edi sostenimento del cor-po del bambino per man-tenere la posizione en-fa-

ce”. Quindi l’orientamento posturale e visivo, definisceun frame di fondo ai processi più veloci che costituisco-no il tema del dialogo madre-bambino. Alla luce di taliconsiderazioni possiamo dire che i frames:1) descrivono il comportamento del sistema diadico

per un periodo di tempo piuttosto lungo;2) fanno da sfondo ai processi comunicativi in un de-

terminato luogo, e ambiente;3) organizzano le co-azioni dei partner, ne limitano la

gamma e ne caratterizzano i processi.

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IL SISTEMA DI DECODIFICA RELAZIONALEÈ STATO CREATO PER CATTURARE LE DIFFERENTICARATTERISTICHE, A LIVELLO QUALITATIVO, DEL PROCESSODI COMUNICAZIONE INTERPERSONALE

Giovanna Artale - Musicoterapeuta, Counselor Professionale; Fabio Albano - Musicoterapeuta, Psicologo; Cristian Grassilli - Psicologo, Musicoterapeuta

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dendo spunto dalla canzoncina intonata dalla musico-terapeuta, integra il testo, intonando “con le note bal-la”, e i gesti musicali, suonando il metallofono, nellacanzoncina di Filiberto. La parte conclusiva vienerealizzata attraverso un netto contrasto tra la primaparte sussurrata e l’esclamazione forte ed esplosiva.La bambina riprende, inoltre, il canto a bocca chiusa.La canzoncina è cantata su un movimento allegro –moderato, una marcetta ricca di oscillazioni di anda-tura nel tempo (accelerando e ritardando). La coppiautilizza sempre più agilmente la melodia del canto eintroduce una serrata coordinazione tra la scansioneritmica della melodia (la musicoterapeuta camminanella stanza, canta e si accompagna con il tamburello)e i movimenti di par-ti del corpo in rela-zione al testo dellacanzone (la bambinamuove le parti delcorpo nominate dal-la musicoterapeuta).Insieme creano, inmodo estempora-neo, dialoghi e/ocommenti a ciò cheaccade, per mezzo della melodia (dialogar cantando).L’atmosfera emotiva che sostiene la maggior parte delframe si differenzia dall’incontro precedente. Questavolta l’intensità affettiva e il grado di intimità si defini-scono in un clima allegro, vivace e giocoso.Nel sesto incontro la canzone è presentata dalla bam-bina e viene citata diverse volte durante l’incontro. Lacoppia la utilizza, reintrodotta prevalentemente dallabambina, in momenti di passaggio da un’attività adun’altra o durante il loro svolgimento. L’aspetto ritmi-co-melodico della canzoncina è utilizzato inizialmentein modo episodico: parti della canzoncina sono utiliz-zate dalla coppia per accompagnare co-azioni e dialo-ghi o per intramezzare altre sequenze di azioni sono-ro-musicali.Nel settimo incontro la canzoncina viene introdotta dallabambina. La coppia improvvisa, in misura maggiore e a par-tire dalle proprie esigenze comunicative, il testo della canzon-

cina in forma dialogica (Dialogar Cantando). Relativamenteall’aspetto armonico la coppia introduce variazioni tonali suldialogar cantando.Nel complesso la coppia esprime una familiarità taleda evidenziare il dialogar cantando come nuova for-ma di comunicazione e alcune variazioni tonali.

Riflessioni conclusive ■Seguire lo sviluppo di un frame significa individuare,in un processo di musicoterapia, ampi segmenti di co-azione storicamente disponibili che hanno uno sfon-do, un tema coerente e che implicano forme partico-lari di co-orientamento specifico tra i partecipanti.Questo ci permette, quindi, di mettere in evidenza,

contro tale sfondo, gliaspetti salienti del fra-me in una seduta e diconfrontarli con quelliappartenenti allo stessoframe nelle sedute pre-cedenti.Nella storia di questadiade abbiamo potutoriscontrare che la can-zone di Filiberto ha

svolto una importante funzione organizzatrice dellacomunicazione, co-orientando i partner nel loro agiredurante il processo di musicoterapia: la canzone è di-ventata uno “stato attrattore” del sistema di comuni-cazione.A questo punto, ci siamo chiesti quali elementi la cop-pia ha utilizzato nelle molteplici rielaborazioni dellacanzoncina e quali sono rimasti costanti. Per effettuarequesta valutazione ripercorriamo brevemente, sedutadopo seduta, l’evoluzione storica del frame in oggetto.Nella prima seduta la musicoterapeuta introduce lacanzone di Filiberto.Nella seconda seduta la canzoncina resta stabile nellasua struttura musicale. Le innovazioni riguardano iltesto che co-orienta i partner verso l’esplorazione e lanominalizzazione degli strumenti a disposizione. Labambina, inoltre, inizia a coordinare l’esclamazioneconclusiva alla spinta degli strumenti.

Giovanna Artale, Fabio Albano, Cristian GrassilliIl brano fa parte del repertorio di canti infantili. Sitratta di un canto che sincronizza gesti e parole riferi-te a diverse parti del corpo in modo da poterle distin-guere nel nominarle e nel muoverle.È una canzoncina di otto battute composta da:1) una parte introduttiva costituita da una frase me-

lodica, in tonalità maggiore, composta da due mi-sure. Il testo rende nota la parte del corpo damuovere. Il tutto viene ripetuto una volta;

2) una parte espositiva costituita da una frase melodi-ca, in tonalità minore, di una misura. Il testo eviden-zia le parti del corpo coinvolte. Il tutto si ripete unavolta;

3) una parte conclusiva costituita da una frase melodi-ca, in tonalità maggiore, di una misura e una chiu-sura esclamativa di una misura.

La canzoncina è eseguita su un ritmo da marcetta di4/4 di 60 bxm. Ogni volta che la struttura melodica siripete per intero, il testo e l’azione motorio-espressivacorrelata cambia nelle parti introduttive e espositive, te-nendo la stessa ritmica e metrica mentre la parte con-clusiva resta sempre uguale. Nel secondo incontro lacanzoncina è, di nuovo, introdotta nella coppia dallamusicoterapeuta. Labambina introducegli strumenti nel te-sto della canzoncinae amplia, in questomodo, le possibilitàofferte dalla f ila-strocca. L’introdu-zione nel testo delle maracas, a forma d’uovo, diventaun’ occasione per avviare un’ esplorazione sonora de-gli strumenti e per nominarli.Nel terzo incontro la canzone di Filiberto è nuova-mente introdotta dalla musicoterapeuta. La diadecontinua a esplorare nuovi strumenti ad ogni ripeti-zione della canzoncina. La bambina e la musicotera-peuta iniziano a cantare insieme parti più lunghe. Laloro comunicazione sonoro-musicale è più articolatanell’accompagnamento ritmico. La parte conclusivaassume una specifica proprietà connessa all’attesa del-l’esclamazione finale, alla sua espressione e alla condi-

visione di stati affettivi. Per quanto riguarda il testo,invece, la bambina introduce variazioni relative anuove parti del corpo (la pancia) che diventano patri-monio della coppia e preludio a nuove e più intenseattività coordinate. Nella parte conclusiva della can-zoncina, inoltre, la coppia matura un orientamentoreciproco verso momenti di comunicazione più coor-dinati e sincronici: nei momenti del lancio degli stru-menti e nel salto associati all’esclamazione f inaleemergono precise forme di coordinazione che si rile-vano in campo motorio e sonoro e che fanno raggiun-gere alla coppia importanti momenti di intensità affet-tiva (sorrisi, sguardi, salti e lanci).Nel quarto incontro a differenza dalle altre volte, lacanzoncina è introdotta nella coppia dalla bambina.La canzoncina viene cantata più lentamente. La mu-sicoterapeuta articola una maggiore complessità dellaritmica sul tamburello e la bambina interviene più in-cisivamente sul finale delle frasi e sull’esclamazione.La canzone è prevalentemente intonata tra il piano edil pianissimo, il colore delle due voci assume tonalitàmorbide e affettuose. La musicoterapeuta inizia a fartransitare, attraverso il testo, informazioni strettamen-

te connesse al “qui edora” vissuto dalla cop-pia (un dir-cantando) eintroduce la variazionedel canto a bocca chiu-sa accompagnandosi altamburello, lasciandoche la melodia del can-

to faccia da sfondo alle loro interazioni. La bambinainizia a cantare da sola la parte introduttiva.Nel suo complesso la coppia interpreta e innova lamodalità espressiva. L’ atmosfera emotiva che sostienel’intero svolgersi del frame, in questa seduta, si diffe-renzia dai precedenti incontri. Un’intensità affettiva eun alto grado di intimità affiorano, questa volta, in unclima quieto, calmante, tenero e dolce.Nel quinto incontro la bambina introduce l’esclama-zione della canzoncina di Filiberto, inserendola su unaltro canto intonato dalla musicoterapeuta che musi-calmente la ricorda. Subito dopo la bambina, pren-

L’approccio storico-relazionale in musicoterapia:analisi di un frame

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LA MUSICOTERAPEUTA INIZIA A FAR TRANSITARE,ATTRAVERSO IL TESTO, INFORMAZIONI STRETTAMENTE CONNESSEAL “QUI ED ORA” VISSUTO DALLA COPPIA (UN DIR-CANTANDO)

NELLA STORIA DI QUESTA DIADEABBIAMO POTUTO RISCONTRARE CHE LA CANZONE DI FILIBERTOHA SVOLTO UNA IMPORTANTE FUNZIONE ORGANIZZATRICEDELLA COMUNICAZIONE,CO-ORIENTANDO I PARTNER NEL LORO AGIREDURANTE IL PROCESSO DI MUSICOTERAPIA

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permettendo la condivisione di diversi stati emotivi etemi specifici.Il passaggio dalla “Canzone di Filiberto” al “dialogar-cantando” ha delineato l’evoluzione del frame. La suastruttura melodico-energetica è stata, per lunghi pe-riodi, lo sfondo sul quale la coppia ha preferito co-re-golarsi con azioni continuamente coordinate e ricchedi reciproche innovazioni:1) sul piano musicale-espressivo - della forma, tonale,

dinamico, temporale, dell’incremento della produ-zione musicale;

2) sul piano dei contenuti lirici;3) sul piano extramusicale - della coordinazione mo-

torio-gestuale, dell’attenzione, dell’organizzazionedello spazio.

Quindi, la struttura melodico-energetica della canzo-ne ha definito un frame musicale di fondo ai processi,verbali e non verbali più veloci che hanno costituito itemi del dialogo musicoterapeuta-bambina.L’analisi storico-relazionale del sistema di comunica-zione ci ha permesso di osservare come la coppia creae stabilizza pattern sociali consensuali emergenti dalprocesso di auto-organizzazione. Da un punto di vistaclinico, in ogni momento c’è la possibilità di organiz-

zare le aspettative di reciprocità, intimità, fiducia e didisconfermare le aspettative rigide appartenenti alpassato; in ogni momento musicoterapista e pazientecontribuiscono a questa organizzazione. Il processo dimusicoterapia concorre, in questo modo, all’organiz-zazione/riorganizzazione interattiva (Beebe, Lach-mann, 2003) dell’esperienza del paziente. ■

Giovanna Artale, Fabio Albano, Cristian GrassilliNella terza seduta si conferma il co-orientamento sul-l’esplorazione degli strumenti. Nuove parti del corposono coinvolte attraverso variazioni nel testo e si evi-denziano importanti momenti di intensità affettivanella parte conclusiva in cui emerge una comunica-zione fortemente coordinata e sincronica.Nella quarta seduta le innovazioni riguardano preva-lentemente le moda-lità espressive attra-verso cui la coppiainterpreta la canzon-cina. I parametri so-no pertinenti ad unadimensione affettivadi accresciuta intimi-tà: la vicinanza, gli sguardi, la postura, il colore dellavoce, l’aspetto energetico e temporale emergono sulsottofondo melodico in un clima di tenera confidenza.È importante ricordare che la musicoterapeuta utiliz-za la melodia per comunicare del qui ed ora (dir-can-tando).Nella quinta seduta le innovazioni della comunicazio-ne riguardano un’altra caratteristica espressiva. Iparametri, questa volta, sono pertinenti ad una di-

mensione affettiva che suggerisce allegria, giocosità evivacità: i movimenti, l’uso dello spazio, la velocitàd’esecuzione e l’aspetto energetico mettono in eviden-za gli aspetti ritmici e di coordinazione motoria. Il“dir-cantando” emerso nella precedente seduta divie-ne ora un “dialogar-cantando”. Nella parte conclusi-va della canzoncina emerge, sul piano energetico,

un’associazione di con-trasti (sussurrato/fortis-simo).Nella sesta seduta l’in-novazione è relativa al-l’uso episodico e ripetu-to che la coppia fa dellacanzoncina. Essa svolge

una funzione di riferimento: un elemento della familia-rità, della confidenza e della sicurezza raggiunta comeun appoggio sull’esperienza condivisa.Nella settima seduta l’innovazione della comunicazio-ne riguarda i contenuti del testo e la funzione dellacanzoncina: la coppia utilizza la melodia per dialoga-re. Spiccano, inoltre, le modulazioni tonali.L’infant song così come introdotta nella relazione haassunto caratteristiche legate alla storia della coppia

L’approccio storico-relazionale in musicoterapia:analisi di un frame

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mergersi nei fondali originari”. Un collezionismo par-ticolare, che si intreccia alla sua personale ricerca sumateriali e linguaggi, confermando quel legame pro-fondo, ricco di sorprendenti coincidenze e di insidiosistereotipi, tra arte e storia della psichiatria in Europa.Su questi temi ho intervistato Gillo Dorfles, acuto os-servatore sulle frontiere dell’arte e della cultura con-temporanea, che in diversi suoi scritti si è occupato diarte, psicopatologia e psicoanalisi.Devo alla sua gentilezza e pazienza questa conversa-zione che riporta i delicati e talvolta controversi rap-porti tra “arte e psichiatria” nello spazio della ricercatransdisciplinare.

Bedoni:Professor Dorf les, Lei è noto per gli studi diestetica e per la sua personale ricerca sullefrontiere dell’arte, ma non tutti sanno che la suaformazione giovanile è medica e psichiatrica...

Dorfles:La mia formazione psichiatrica è abbastanzasemplice. Dopo aver fatto sei anni di medicinaho deciso di fare la specialità inneuropsichiatria. Mi ero dunque iscritto aGenova, dove allora insegnava Cerletti, personamolto affascinante e ben noto per l’usodell’elettroshock, ma già al primo anno hodovuto interrompere gli studi di psichiatria pervia della guerra.Dopo la guerra mi sono iscritto a Pavia, doveinsegnava il professor Riquier.A Pavia c’era una vecchia clinicaneuropsichiatrica con le sbarre alle finestre.Per due anni sono stato a Pavia. In quegli anniho potuto sperimentare le tecniche più in voga,che erano essenzialmente l’elettroshock e lasomministrazione del pentothal. Finita laspecialità vivevo a Milano e per due anni hofrequentato l’ospedale Maggiore dove ilprofessor Medea dirigeva un padiglione.Qui èterminata la mia attività psichiatrica, poiché nel

frattempo mi ero già occupato di critica d’artesu vari giornali e avevo scritto alcuni saggi.

Bedoni: Quanto ha inf luito la formazione psichiatricasulle sue ricerche?

Dorfles: Naturalmente ha inf luito. Ho sempre avutoverso l’arte, verso le forme creative un interesseunito a una base psicologica, diversamente daun approccio esclusivamente filosofico. Nellemie ricerche estetiche l’aspetto psicologico eantropologico è sempre stato dominante.

Bedoni: La sua città, Trieste, è stata luogo di incontrotra arte, letteratura e psicoanalisi in Italia: pensoal soggiorno di Freud, giovane studente dimedicina e al rapporto di Edoardo Weiss, allievodiretto di Freud, con Umberto Saba e con ilpittore Arturo Nathan

Dorfles: In Italia c’era a quel tempo un certo fermentoper la psicoanalisi: io avevo conosciuto Musattimolto bene e la psicoanalisi mi aveva interessatomolto, però non come pratica terapeutica.Non ho mai pensato di fare l’analista, tuttaviacontinuavo a interessarmi di psicoanalisi. Non solo: in quegli anni frequentavo allaCattolica i seminari di padre Gemelli. A questiincontri, ai quali ero stato invitato, c’era da unaparte Gemelli, che avversava la psicoanalisi,dall’altra Musatti e tanti altri studiosi: ricordoEnrico Castelli di Gattinara, professore diFilosofia, autore del saggio “Demoniacanell’Arte”, che organizzava seminari romani chefrequentavo assiduamente.Questi seminari, molto interessanti, eranofilosofici e nello stesso tempo teologici e

Arte e PsichiatriaConversazione con Gillo Dorfles

Giorgio Bedoni, Lucia Perfetti Giorgio Bedoni - Psichiatra, Psicoterapeuta; Lucia Perfetti - Arteterapeuta

Arte e Psichiatria: appunti per un percorsoGiorgio Bedoni, Lucia Perfetti

Un campo aperto e dai confini mobili: così si configu-ra, ad un primo sguardo, l’arte dei visionari e deglioutsiders, luogo assai frequentato dalla riflessione psi-chiatrica e psicoanalitica e dalle sperimentazioni delleavanguardie artistiche.L’argomento si presta a una serie di considerazioni dicarattere storico, culturale e terapeutico. Il Novecentoè, infatti, un secolo contrassegnato da fitte e non ca-suali relazioni tra il mondo dell’arte, soprattutto dellesue avanguardie e la psichiatria.Un’ampia letteratura e una ricca documentazione vi-siva sono la testimonianza di questi rapporti fecondi ecostituiscono materia per un discorso storico-criticopiù che mai attuale, presupposto per l’utilizzo dell’artenel campo della cura.Una rapida incursione in questo ambito disciplinare cipermette di incontrare parole chiave, umori e coinci-denze che già individuano una storia: stupore e fasci-nazione, come nelle parole di fine Ottocento dello psi-chiatra francese Emile Tardieu, ma anche ilpregiudizio di inizio secolo che anticipa gli orrori dell’“arte degenerata”, Entartete Kunst e del nazismo, cuinon sfuggono le opere della Collezione Prinzhorn diHeidelberg e gli stessi ospiti degli asili manicomiali.Oltre il pregiudizio, il riconoscimento: la svolta è se-gnata da psichiatri che inaugurano l’epoca della com-prensione, Hans Prinzhorn e Walter Morgenthaler,che pubblicherà nel 1921 la prima monografia dedi-cata a Adolf Wolfli, un malato consacrato come arti-sta. Infine l’apertura alla relazione attraverso l’operache, sin dagli anni Venti, individua nell’arte uno stru-mento terapeutico.Le opere dei visionari e degli outsiders susciterannosin dai primi del Novecento l’interesse degli artisti: diBreton e di Eluard, di Ernst e di Rilke, di Paul Klee e,nel secondo dopoguerra, di Jean Dubuffet e della na-scente Compagnie de l’Art Brut.In nome dell’ “automatismo psichico” per i surrealisti:nel Palais Ideal edificato dal postino francese Ferdi-nand Cheval, geniale autodidatta, Breton vide un ca-

so esemplare di surrealismo realizzato. Gli ingredientic’erano tutti e in grande abbondanza, tali da soddisfa-re ogni aspirante surrealista: sogno e discordanza, gio-co e deriva poetica, quel gioco valorizzato attraversola pratica collettiva del “cadavre exquis”, che genial-mente rimetteva in campo le energie e gli umori del-l’esperienza infantile.Già nel 1912 Paul Klee, in occasione della prima mo-stra del movimento artistico “Der Blaue Reiter” allaGalleria Thannauser di Monaco, aveva pubblicato unarticolo sulla rivista “Die Alpen”, individuando nelleculture “altre”, nei disegni dei bambini e in quelli deimalati mentali le sorgenti della creatività.In quel famoso scritto Klee accosta forme d’espressio-ne ritenute generalmente marginali, o quanto menoinusuali, all’arte nelle sue fonti originarie e individuanell’esperienza onirica, nel gioco e nello sguardo in-fantile i presupposti per orientare, come lui stesso scri-ve, “una riforma”. Per certi versi Klee in quel lucidosaggio intuisce che non sono in gioco i soli criteri for-mali, confermando così punti di vista attuali. Sarebbeinfatti un’ulteriore forma di riduzionismo pensare aqueste forme d’espressione semplicemente come unanuova o eccentrica categoria estetica. Quest’arte con-ferma invece la natura irriducibile dell’esperienzaumana ai processi sociali di normalizzazione e la ri-cerca di un dialogo attraverso la ripetizione, spessoestenuata, dei suoi mondi più segreti.Tutto questo era stato compreso da Jean Dubuffet chestabilirà a Losanna la sua irripetibile Collection del’Art Brut, richiamando nel termine Brut, lui che erastato in gioventù commerciante di vini, lo spumeggia-re dello champagne, frizzante come può essere quel-l’arte che scaturisce laddove nessuno la cerca o pensadi poterla riconoscere.In anni più recenti altri seguiranno questa strada: arti-sti come Arnulf Rainer, esponente storico di una sta-gione viennese che mostra il corpo e ne scopre i lin-guaggi. Rainer, l’artista e collezionista che dagli esordilavora con i visionari conservandone le opere: tele,carte, fotografie e scritture, lavori in gran parte inedi-ti, molti provenienti da archivi psichiatrici dell’Europadell’Est. Tutto quello che riteneva necessario per “im-

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Dorfles:Il grande valore attribuito all’inconscio, contutte le sue necessarie stratificazioni che sino aquel momento rimanevano celate, ha permessoa molti artisti di sviscerare i propri ricordisublimandoli e anche di sottoporsi a una praticapsicoanalitica e di indagare meglio le propriepulsioni più o meno nascoste.Quindi direi che la psicoanalisi per il secoloscorso è stata estremamente importante.Da un lato la pittura onirica, nelle sue varieforme, dall’altro l’onirismo letterario, ilsoliloquio di Molly nell’Ulysses di James Joyce.Poi, con le diverse correnti originate dalpensiero freudiano, dalla Klein a Lacan, sinoalla Daseinsanalyse di Binswanger, le cose sicomplicano, pur mantenendosi l’inf luenza sulleattività letterarie e artistiche.

Bedoni: Per certi versi quello che Freud chiameràUnheimlich e tutto il discorso di ciò che dovevarimanere segreto ma viene poi alla luce pervadel’arte e la letteratura del Novecento.

Dorfles: Questo stesso Unheimlich di Freud, in partescopre certi radici in opere letterarie prodottenell’Ottocento.Queste erano, in un certo senso, premonitrici diquelle ricerche diventate poi ufficiali con lapsicoanalisi.Nel panorama odierno penso, ad esempio, a unautore come Patrick Mc Grath, figlio di unopsichiatra, i cui libri rimandano a atmosferemanicomiali, ma penso anche a autori comePaul Auster e Ian Mc Ewans.

Bedoni: A proposito di questi temi, diversi suoi scrittihanno affrontato i rapporti tra arte e psichiatria.

Dorfles:Esistono numerosi casi parzialmente riportabilialla psicoanalisi; si pensi, ad esempio, allafamosa Collezione dell’Art Brut di Losanna.

Bedoni: Cosa pensa di quella Collezione?

Dorfles: Intanto io conoscevo bene Renè Bergè, uno deipromotori del museo insieme a Michel Thevoz.Dubuffet, artista molto interessante, ha coniatola nozione di art brut, che in parte è daricondurre a forme d’espressione“inconsapevoli” e in parte all’arte naïf.Infatti nel museo di Losanna sono presenti siaartisti naives (primitivi), sia artisti decisamente“folli”. C’è in quel museo un misto compositumdi ricerche naives, patologiche, borderlines.Il famoso artista di Berna, Adolf Wofli, adesempio rientrava nell’ambito della schizofrenia.Ricordo di aver parlato con la moglie deldirettore del museo di Zurigo, che mi haraccontato cose molte interessanti su questomalato.I suoi dipinti sono indubbiamente artistici, peròdi un tipo di arte che non esisterebbe se non cifosse stata la follia.Non si può dire “questo è un grande artista ebasta”, Wolf li era effettivamente un’artista,come ci sono molti malati che non sono artisti.Le cose vanno distinte: spesso si crede diindividuare una forma artistica che non è altroche patologica.Invece esistono delle forme d’espressione comequeste, che hanno a tutti gli effetti un valoreartistico.Ricordo ad esempio i famosi casi di CarloZinelli a Verona e del pittore di Volterra,Nannetti.Invece nel Museo dell’Art Brut di Losannaabbiamo anche opere di artisti naives.

Giorgio Bedoni, Lucia Perfettiantropologici; a questi incontri interdisciplinaripartecipavano Musatti, Lacan, ancora poco notoe Ricoeur, che già allora si interessava allapsicoanalisi.

Bedoni: Ha sempre avuto questo interesseinterdisciplinare...

Dorfles: Per molti anni ho continuato a interessarmi difilosofia e di psicoanalisi, sempre con moltautilità per i miei scritti di estetica, almeno cosìcredo!

Bedoni: A proposito di letteratura, lei conosceva beneItalo Svevo e poi lo stesso Saba che avevaintrapreso la cura con Edoardo Weiss.

Dorfles: Saba era un uomo molto singolare.Per lui la psicoanalisi era molto importante.Era stato anche in terapia.Trovo invece esagerata l’importanza che si daall’inf luenza esercitata dalla psicoanalisi sulleopere di Svevo.Svevo era indubbiamente un grandissimoscrittore e aveva un cognato che si erasottoposto alla terapia analitica; un cognatomolto curioso, che era stato a Vienna a farsianalizzare. Quindi Svevo era venuto aconoscenza della psicoanalisi attraverso ilcognato, ma non che fosse particolarmenteinformato. Invece, come lei ha già ricordato, inquegli anni a Trieste era presente EdoardoWeiss, allievo di Freud.Trieste è stata una delle prime città ainteressarsi di psicoanalisi, anche perché era unacittà con radici mitteleuropee e ancora conlegami con l’Austria.

Bedoni: Quanto ritiene sia stato importante per l’arte losguardo psicoanalitico?

Dorfles: Parlare di psicoanalisi significa fare un discorsoinfinito. Penso che la psicoanalisi, a prescinderedalle critiche o, viceversa, dall’enorme plausoche ha avuto come terapia, sia stataestremamente importante per la letteratura eper l’arte. Ad esempio per Breton, padre delsurrealismo, ha avuto un’importanza enorme, senon fosse stato interessato alla psicoanalisi forsemolte opere di Dalì, di Ernst e di molti altriartisti di quel periodo non si sarebberosviluppate in quel senso. A questo punto,tuttavia, si può ricordare l’episodio ben noto diBreton che va a Vienna, e viene trattatomalamente, (non dico cacciato!) da Freud, per lapoca comprensione e fiducia da parte di Freudnegli addentellati del surrealismo. Ma questiaddentellati c’erano e penso che a metà delventesimo secolo la psicoanalisi ebbe unagrande inf luenza sull’arte.

Bedoni: Breton, che era medico con interessi psichiatrici,fu molto interessato all’arte dei malati mentali.Negli anni Trenta con Marcel Duchamp ebbefrequenti contatti con lo psichiatra GastonFerdière, che sarà a Rodez il medico di AntoninArtaud. In quegli anni l’ospedale parigino diSainte-Anne diviene luogo di incontro tra isurrealisti e quegli psichiatri che incoraggiavanol’utilizzo del medium artistico. E poi c’è ilfamoso incontro A Londra tra Dalì e Freud.Potremmo insomma dire che in tema di arte,psichiatria e psicoanalisi il surrealismo si collocain una posizione centrale nel Novecento, è ilmovimento più vicino. Ma, in sintesi, qual è, asuo parere, l’intuizione freudiana più importanteper l’arte?

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considerato decisivo non solo per l’estetica, maanche per la psicologia.L’ho sempre considerato importante poiché è untipo di pensiero non logocentrico, dunquepermette di sviluppare concetti e pensiero senzabisogno di ricorrere al medium verbale.L’attività artistica, come ho scritto in un saggio,è provvista di una componente gnoseologica epuò dunque “servire” a un individuo normale;ma nei casi di patologia psichica, può assumeredelle caratteristiche del tutto paradossali.

Bedoni: In alcuni casi diviene la modalità privilegiataper esplorare la realtà, o per comunicare mondie visioni altrimenti segrete.

Dorfles: È un modo di avvicinarsi alla realtà attraversol’utilizzazione del pensiero per immaginipiuttosto che attraverso concetti formulati e giàsviluppati sul linguaggio verbale.

Bedoni: In questa prospettiva l’opera visionaria diFerdinand Cheval, il Palais Ideal di Hauterives,è indubbiamente esemplare.

Dorfles: Cheval è un altro caso veramente strepitoso. Miviene in mente anche Simon Rodia e le sueTorri Watts

Bedoni: L’opera di Cheval è veramente complessa,enciclopedica, ricca di figure apotropaiche chealludono all’esotico ma che in fondo ricordanol’appartenenza di Cheval al suo contesto e a unastoria.Per certi versi la Francia dell’immaginario

tardo-medioevale fa capolino nell’horror vacuidel Palais Ideal, è la Borgogna romanicadescritta da Henri Focillon, che vive “ delfantastico delle immagini e insieme della logicadell’architettura”.Oggi molti lo associano a Antoni Gaudì, sicelebrano le affinità.A mio parere è necessario ricordare ciò che lidistingue: Cheval era autodidatta e periferico,Gaudì, invece, grande architetto a Barcellona,portavoce di quello che lui stesso definirà“gotico mediterraneo”, e poi sostenuto nei suoiprogetti più visionari da un grande mecenate,Eusebi Guell.

Dorfles: Ricordiamoci che anche il grande Gaudì era untipo eccentrico che si ostinava a parlare solo incatalano.

Bedoni: Forse Gaudì e Cheval avevano in comune quellacapacità che solo pochi hanno di reinventare lavisione, di vedere come fosse “la prima volta”.

Dorfles: È grande il Palais Ideal?

Bedoni: È lungo ventisei metri per dodici di altezza.

Dorfles: Anche Wolf li è un grande, è straordinario nellesue invenzioni grafiche e pittoriche.

Bedoni: Autori come Cheval e Wolf li ci portano al temadel “troppo pieno” e del suo rapporto con ilvuoto, argomenti che lei affronta sovente neisuoi scritti.

Giorgio Bedoni, Lucia PerfettiRicordo un famoso artista serbo, un contadino,che creava bellissime immagini.Era un autodidatta, non aveva mai studiato maaveva un talento innato per la pittura, le sueimmagini erano inf luenzate dal primitivismo,come molte opere esposte nel museo diZagabria, dedicato all’arte primitiva di stampofolkloristico. Possiamo ricordare, ancora, ilfamoso caso Ligabue e il meno noto FilippoBentivegna, un caso tipico: un povero contadinosiciliano che dopo un trauma inizia a scolpiresolo teste, per tutto il resto della sua vita.Curava i suoi ulivi e tutto il suo tempo libero lotrascorreva a scolpire teste.Questa è, invece, un’opera di un mio carissimoamico, Oscar De Mejo, il marito di Alida Valli:intelligente e vivace, era andato a vivere inAmerica e produceva opere naives cheriscuotevano un certo successo.Era una persona colta, “normale”, tuttaviaaveva scelto questo genere artistico.Naturalmente vedendo questi disegni sidirebbero opere di un autore non colto, mavedendo la raffinatezza del lavoro si potrebbepensare a un “folle”: mentre invece era un“finto naïf” e tutt’altro che psicotico.

Bedoni: Queste scelte di genere hanno a che fare conragioni profonde, non riconducibili solamente aquestioni formali.

Dorfles: Credo proprio di si. Credo che alla base ci siauna ragione affettiva profonda. Attraverso quelloche producono si rivela quell’aspetto inconscioche non viene identificato dallo stesso autore.Proprio per questo Margaret Naumburg, cheebbi la fortuna di conoscere bene a New Yorknegli anni Sessanta e che era stata allieva diFreud faceva dipingere i suoi pazienti: attraversol’attività artistica aiutava il lavoro analitico.

Bedoni: Qual era la sua tecnica?

Dorfles: Vuol vedere un libro?

Bedoni: Si, certo, con piacere.

Dorfles: Questo è uno dei libri più noti della Naumburg,“Psychoneurotic Art: Its Function inPsychotherapy”.

Bedoni: Margaret Naumburg è generalmente ritenuta lafondatrice dell’arte terapia negli Stati Uniti, laprima, per certi versi, a utilizzare la disciplinacome una forma specifica di psicoterapia.

Dorfles: Ha avuto risultati straordinari.

Bedoni: Lei ha conosciuto direttamente la Naumburg?

Dorfles: Si, certo. Allora era già abbastanza anziana e laconobbi attraverso il grande psicologo dell’arte egestaltiste Rudolf Arnheim.

Bedoni: Mi piacerebbe ora chiederle qualcosa sul“pensiero visivo”, un concetto ricorrente neisuoi scritti.

Dorfles: Il pensiero visivo, ossia “Visual Thinking” oanche “Bildhaftes Denken” l’ho sempre

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occidentali, perché sin da bambini imparano gliideogrammi, sviluppando così aree silenti chenon appartengono al linguaggio verbale ma aquello figurato.

Bedoni: Cambiando argomento, cosa pensa dell’ingressonel mercato dell’arte di opere prodotte daoutsiders o, ancora, nel caso più specifico, damalati mentali?

Dorfles: Posso dire che oggi il mercato domina l’arte inmaniera assolutamente eccessiva, siimpadronisce sia di opere veramente eccelse, siadi opere niente affatto di valore ma chediventano di moda.Ricordiamo il famoso Cattelan, un’artistaintelligente, vivace, simpatico, e quindi anchecon evidenti qualità artistiche le cui opere nonmeritano un miliardo, due miliardi...Il mercato, purtroppo, riesce a travisare quelloche è il vero valore artistico.Il famoso carabiniere Terlizzi, Ligabue, sonoaltri casi analoghi... Tancredi era un artistainteressante ma era anche un malato psichico.Quando il mercato si impadronisce di unaforma artistica non c’è più scampo!

Bedoni: Fa parte del gioco...

Dorfles: Non è detto, tuttavia, che opere provenienti daun percorso di arte terapia non meritino diessere esposte.A volte sono opere veramente notevoli.Tra gli autori ormai noti, considero Wolf liun artista autentico nonostante fosse pazzo...l’errore è quello di far diventare pazzovan Gogh. Van Gogh era un grande artista,

la follia, in quel caso, non aggiunge e non toglieniente.L’errore è sempre quello di vedere elementipatologici laddove sussistono, invece, delle vere eproprie invenzioni creative.

Giorgio Bedoni, Lucia PerfettiDorfles: Riempire tutto il foglio è una caratteristicaanche di Nannetti, non lasciare uno spaziodipende dalla paura del vuoto; d’altronde è lastessa paura del vuoto dei primitivi, il cosiddetto“horror vacui”.

Bedoni: Certo. Ma alcuni autori sono capaci di silenziovisivo. Penso ai lavori di Oswald Tschirtner,autore dalla lunga storia psichiatrica che tracciafigure sintetiche su carte di piccole dimensioni ofigure allungate come totem sulla Haus derKunstler, la Casa Degli Artisti, che lo ospita neipressi di Vienna.

Dorfles: Nel mio libro “L’intervallo perduto” io parlo diquesta dialettica tra “pieno e vuoto”, chenaturalmente riguarda anche la psicologia.Questo discorso del pieno e del vuoto mi hasempre affascinato.In un certo senso riguarda non solo l’arte, ma lastessa esistenza umana dalle sue origini: iprimitivi che riempiono le grotte di segni e diimmagini, il famoso “orrore del vuoto”.Illustrare le pareti delle caverne era senzadubbio ascrivibile a temi religiosi, ma più diogni altra cosa rappresentava un‘azione contro ilvuoto, contro l’assenza del segno.È a partire da questo segno, da questa impronta,che l’uomo si sente protetto.Si continua così nella storia dell’umanità, sinoad arrivare ai nostri giorni, dove viviamo“l’orrore del pieno”; dunque l’abuso delleimmagini e dei suoni, l’abuso di tutto, deltraffico, etc. Qui il problema “vuoto-pieno”diventa patologico.

Bedoni: Diviene un problema di sopravvivenza psichica.

Dorfles: Allora bisogna lottare con questo “troppopieno”, altrimenti le nostre possibilità percettivevengono sopraffatte.

Bedoni: Diverso è il caso dell’arte giapponese.

Dorfles: Naturalmente. Qui, c’è un infinità di vietraverse: il “vuoto” dei giapponesi,Sumyie, il “pieno” dell’Occidente, l’asimmetriadell’Oriente, la simmetria dell’Occidente;è un campo enorme.Come mai il senso del vuoto e dell’asimmetricoè così vivo nella cultura orientale?

Bedoni: Lei ha una risposta?

Dorfles: Non ancora. Dobbiamo arrivare ai nostri giorni,agli ultimi cinquant’anni, per vedere l’Occidenteche si libera dalla simmetria, e accetta molteopere dell’arte nipponica e dell’indirizzo delbuddismo Zen.

Bedoni: L’arte contemporanea viaggia verso questadirezione...

Dorfles: Già ad iniziare dall’architettura di oggi chespesso è asimmetrica.Come mai prima era tutto il contrario? Per quanto riguarda l’arte giapponese sipotrebbe ipotizzare la presenza di un diversosviluppo delle aree corticali.Si dice, ad esempio, che i giapponesi abbianosviluppato più certe aree corticali rispetto agli

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anche se povera, anche se elementare o misera, è unapiccola vittoria sul caos e l’annientamento. Quandol’operazione espressiva dell’arte riesce, essa ha la ca-pacità di sottrarre al silenzio e alla notte movimenti edesperienze che altrimenti resterebbero mute, confina-te in un’interiorità informulabile o nei percorsi carsicied erosivi del corpo, con conseguenze devastanti e ne-gative. Oppure queste esperienze resterebbero confi-nate nelle strutture psichiatriche, nei manicomi dovemolta arte irregolare, anche se non tutta, si è potutasviluppare, soprattutto perché non spenta da massiccesedazioni psicofarmacologiche, che per parecchi de-cenni non erano ancora disponibili.La possibilità di formulare (dare forma rappresentati-va, Gestaltung), di trasformare in immagine, in gestoespressivo o in comunicazione visiva il dolore indici-bile, la catastrofe psichica che ha distrutto o stravoltoil paesaggio dell’anima: tutte proprietà metamorfichee sublimative che l’arte condivide con i sogni notturnio a occhi aperti. Con la differenza che questi ultimisono condannati alla transitorietà, all’evanescenza eall’effimero. L’opera invece resta, documento muto einsieme oggetto eloquente, perché con la sua presen-za e il suo mostrarsi interroga gli altri. E questi, rea-gendo, fanno finalmente risuonare o parlare l’opera.A quel punto il gioco è fatto, perché l’oggetto entra fi-nalmente in un circuito di interesse e di desiderio, diripulsa o di accettazione o addirittura di valorizzazio-ne idealizzante. Non è ammirevole che una rappre-sentazione, anche anomala, abbia sconfitto l’acceca-mento e la distruzione, la colpa e la derelizioneassoluta? Chi riesce a fare questo miracolo non appa-re infine come una sorta di santo o di mistico senzadio, che ha trovato dentro di sé la capacità e la forzadi un moto costruttivo in una marea di tenebre fer-mentanti e caotiche?L’arte di quelli che Bedoni chiama visionari (quasisempre malati cronici, ospiti abituali dei manicomieuropei in epoca prefarmacologica) mostra che è pos-sibile che questo miracolo accada, come è possibile re-perire oggi un pubblico sempre più numeroso, che siappassiona, e apprezza, con varie reazioni sentimen-tali, l’operazione che l’artista folle ha compiuto. Certo

può succedere, ed è veramente successo, anche il con-trario. Che l’opera “irregolare” disturbi, venga occul-tata, ne sia percepito in forma esclusiva il suo rappor-to col negativo, con l’orrore e con l’eversione, e quindisia distrutta o bruciata, come è accaduto per “l’artedegenerata” dei malati di mente nelle operazioni dipulizia etnica durante il nazismo, per esempio nel ma-nicomio di Heidelberg. I malati di mente coinvolti daquesto giudizio di condanna si trovarono in ogni casoin buona compagnia, con i Klee, i Kandinskij e iKirchner, tanto per fare dei nomi celebri.Il rapporto del bello con l’orribile - noto paradigmaossimorico carducciano, che il poeta riferiva ai pro-dotti della tecnica della sua epoca - sta nel centro te-matico ed emotivo di tanta arte contemporanea an-che recente o recentissima, ponendo problemirilevanti alla conoscenza e alla critica, oltre che alla ri-sposta dell’osservatore. Dobbiamo registrare comeuna novità del tempo presente, una diversa considera-zione di queste opere rispetto al passato. All’evitamen-to e all’emarginazione distruttiva, oggi si è sostituitasia una sorta di rassegnazione accettante o indifferen-te, sia un apprezzamento positivo che può essere an-che elevato: invece di sottolineare il nulla e la mortepsichica, o la degradazione del sé, che pure sono invaria misura spesso presenti o alluse nelle opere, tro-viamo l’ammirazione per la volontà di affermare erappresentare a ogni costo, per la straordinaria capa-cità di molti artisti/malati di esprimere questa negati-vità emergente dalla solitudine, dall’ira, dalla dereli-zione bisognosa e incapace di compromessi colmondo. Chi riesce a rappresentare questi aspetti dellacondizione umana, chi non li nega ma li dichiara, o lidenuncia formulandoli, può suscitare rispetto e talvol-ta un’autentica valorizzazione.Bedoni opta per una nuova denominazione per questiartisti toccati dalla follia; una follia che ai nostri giornimi sembra ormai irrimediabilmente trasformata inmalattia mentale, senza che con questo ne sia real-mente chiarito il fondo misterioso, che coincide conl’enigmaticità della condizione umana. Da qui il titolodell’opera: Visionari. Visionari sono stati molti grandifilosofi e artisti del passato remoto e prossimo. Visio-

RECENSIONI AR-TÉ a cura di Luca Zoccolan

Visionari. Arte, sogno e follia in EuropaGiorgio Bedoni

Selene, Milano, 2004

Dalla prefazione al testo di Fausto Petrella:

“Visionari. Arte, sogno e follia in Europa si differenzianettamente dagli scritti psichiatrici sulle produzioniartistiche dei malati di mente. Giorgio Bedoni si pro-pone di accompagnare e guidare non solo lo speciali-sta, ma ogni lettore colto, nei complessi problemi deirapporti tra arte e follia. Nasce da questo propositouna sorta di lucido ed elegante Baedeker ragionato eillustrato dei principali luoghi dell’arte psicopatologi-ca europea. Karl Baedeker, che visse nella prima metàdell’Ottocento, fu forse il primo ideatore di libri perviaggiare, guide divenute celebri per la loro precisionee accuratezza. L’invenzione di simili guide fu possibileperché i tempi erano maturi per la nascita di un inte-resse diffuso per i viaggi, che sarebbe divenuto, nel-l’arco di più di un secolo, il grande fenomeno colletti-vo del turismo.Mi è venuto spontaneo associare a Bedoni questo re-moto libraio di Coblenza non solo per un’assonanzadi nomi. Anche Bedoni ha avuto un’idea nuova scri-vendo questa sua guida, molto meditata e ricca di sen-sibili e profonde osservazioni, volte a fornire all’artepsicopatologica, ai suoi autori e alle opere, un oriz-zonte di contestualizzazione e di integrazione storica,territoriale e spirituale.Con il suo libro, Bedoni ha portato a maturazione unlungo percorso, sviluppato per anni con tenacia e pas-sione, e iniziato, ormai molto tempo fa, con la sua tesidi specializzazione in psichiatria a Pavia. Il suo inte-resse per l’arte psicopatologica è proseguito con l’atti-vità in vari ateliers di significato riabilitativo.E si è espresso, in collaborazione con la storica dell’ar-te Bianca Tosatti, nell’allestimento di due grandi estraordinarie mostre, a Pavia e a Genova, e nell’otti-mo libro-catalogo “Figure dell’anima. Arte irregolarein Europa” (1998). Rilevanti sono anche i suoi contri-buti ad “Arte e psichiatria. Uno sguardo sottile”

(2000), sempre in collaborazione con Bianca Tosatti.La “guida” attuale non è dunque affatto il risultato diun’improvvisazione; raccoglie i frutti di quest’esperien-za, mostrando che i tempi sono maturi per una corre-lazione dell’arte psicopatologica con molto di quelloche ci circonda. E anche per un diffuso ed emergenteinteresse per essa, persino di tipo collezionistico.“Arte psicopatologica” è sicuramente una bruttaespressione, anche se è spesso usata. Altre ve ne sono,ma tutte per qualche aspetto non convincono, soprat-tutto perché sono o brutali (arte psicotica), oppure sot-tilmente eufemistiche: art brut, secondo la dizione diDubuffet, arte outsider, o irregolare... Al di là delle de-nominazioni, sarebbe importante intendersi di cosastiamo esattamente parlando. E allora potremmochiederci cosa caratterizza le opere di questo genere,posto che esse costituiscano un genere, o non piuttostoun antigenere, che si colloca radicalmente fuori del-l’ordinario e che quindi, correttamente, richiederebbeche le opere fossero considerate nella loro singolarità,indipendentemente da qualsiasi etichettamento.Conosciamo nel Novecento artisti le cui opere genialihanno mutato i nostri paradigmi del vedere. A fiancodi queste esperienze di punta, esiste certamente un’ar-te ordinaria, cioè normale, come esiste la “scienzanormale” di cui parla Thomas Kuhn. Ma è ben diffi-cile che quest’arte normale interessi o tocchi veramen-te e in profondità il fruitore, lo spettatore, l’acquirentesensibile o il collezionista avveduto.Il recinto delle arti ha sempre delimitato un’area spe-ciale della socialità, capace di tollerare - molto più del-le istituzioni sociali correnti - le stravaganze della sin-golarità, le diversità e le licenze comunementeinsopportabili perché perturbanti, i moti dell’animoinammissibili ed estremi. Respinto dal comune con-senso, il magma passionale e doloroso dell’esperienzaribollente e outrée, l’angoscia insopportabile che la-scia senza parole e la depressione più nera possonoprendere le vie tollerate e innocenti dell’espressioneartistica. L’oggetto artistico, una volta concepito, co-struito e fatto, compie il miracolo di una trasformazio-ne che raffredda il magma e lo incanala nella concre-zione espressiva di un’opera. Ogni forma dell’arte,

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Che cosa sono le arti-terapieRoberto Caterina

Carocci, Roma 2005

“Le arti-terapie non sono interventi magici, non sonoterapie alternative, non sono semplici tecniche di ri-lassamento, non sono esperienze ludiche o d’intratte-nimento in cui fare arte o musica insieme.”Talvolta, per far luce su un’idea, un concetto, unpensiero, diviene più efficace esporne in modo esau-riente e sistematico il suo contrario. Così RobertoCaterina, insegnante di psicologia della musicapresso il DAMS di Bologna, per aiutare il lettore adistricarsi con maggior sicurezza e consapevolezzanel mondo complesso delle arti-terapie, puntualizzacon un certo rigore critico tutto ciò che le arti-tera-pie non sono. L’abilità dell’autore sta nel saper valo-rizzare i due estremi che caratterizzano queste for-me di terapie: da una parte il materiale artisticoutilizzato, dall’altra i processi di comunicazione fraterapista e paziente. Oltre ad indicare definizioni,excursus storici, basi teoriche, modalità d’interven-to, campi applicativi relativi alle più importanti for-me di arti-terapie, R. Caterina offre notevoli spuntidi rif lessione rivolti a discipline “attuali” che in unfuturo non lontano potranno contribuire semprepiù al superamento di alcuni disagi psicologici e so-ciali. Da sottolineare l’accuratezza e la coerenza conle quali si cerca di delineare la figura professionaledell’arte-terapista. Anche la musicoterapia all’inter-no del libro gode di ampi spazi, inclusa un’appendi-ce, nella quale l’autore propone un elenco delle as-sociazioni e delle scuole più importanti diformazione. Nell’eterogeneo panorama delle arti-terapie, R. Caterina non si ferma al confronto fra lasituazione estera giuridicamente consolidata e quel-la italiana ancora da delineare ma getta uno sguar-do profetico ed ottimistico su ciò che le arti-terapiesono e significheranno per il nostro secolo.

Gli Immortali: Come comporreuna discoteca di musica classica.Giorgio Pestelli

Einaudi Tascabili, Torino 2004

“Nel nostro tempo la musica registrata ha esteso l’a-scolto ad ogni istante, in una disponibilità che dovreb-be consigliare non tanto di ascoltare musica di conti-nuo, quanto di ascoltarla ogni volta che se ne sente ilbisogno. Questa guida potrebbe quindi servire anchecome una specie di ‘Libro d’ore’, da consultare quan-do il desiderio di musica s’ingrana nella realtà quoti-diana d’impressioni momentanee, gravitazioni dell’u-more, ricorrenze annuali, influssi stagionali, o in altrecose o sentimenti in cui la musica si rivela una insosti-tuibile compagna di vita.”La prefazione, che dà voce all’opera di Pestelli, si ponedinanzi al lettore come una sorta di preludio, da cuierompe in un ritmo travolgente la raccolta “Gli im-mortali”, un crescendo di articoli, tratti dalla rubricasettimanale supplemento di cultura e tempo libero dela “Stampa”, selezionati con maestria dall’autore perdar vita ad una sinfonia di pensieri, emozioni, parole,immagini capaci di far riscoprire il gusto per la musi-ca classica. È un libro che va assaporato lentamente,un “Libro d’ore”, come lo definisce l’autore stesso, cheprende per mano sia il lettore digiuno di musica classi-ca sia il conoscitore esperto, desiderosi di sfogliare, pa-gina dopo pagina, le oltre duecento perle che racchiu-dono in modo essenziale le icone della musicaoccidentale: le opere, i compositori, gli interpreti e leregistrazioni discografiche esemplari. In un contestomusicoterapico, dove i criteri oggettivabili per indiriz-zare le modalità di scelta delle musiche sembranoorientarsi principalmente verso un’esplorazione per-cettiva e strutturale dei contenuti sonoro-musicali, illibro di Pestelli può divenire per il musicoterapistauno strumento molto utile da consultare di volta involta per condurre un’analisi musicale appropriata,supportata dal parere autorevole di uno studiosoesperto, coscienzioso e passionale.

a cura di Luca Zoccolan RECENSIONI AR-TÉRECENSIONI AR-TÉ a cura di Luca Zoccolan

narietà significa non aderire all’apparenza sensorialedel reale, ma riconoscere che il mondo si fa avanti at-traverso un’immaginazione che rende visibile e perce-pibile un’altra realtà, una visione affettiva del mondoaffrancata da uno sguardo puramente constatativo oimitativo. Visionari sono stati certi santi, certi misticio certi artisti, che hanno costretto il discorso conven-zionale dei segni e delle parole ad aprire altri spazipercettivi, a ricreare il mondo magicamente o a lan-ciare nelle loro opere i messaggi di un personale oltre-mondo, nella speranza di essere intesi e accolti. Mes-saggi di un oltremondo immaginario, corporalmenteaffettivo e ineffabile, dove l’urgenza espressiva inducea simbolizzarlo con un alfabeto privato di segni e unidioletto enigmatico e provocatorio, ma certamenteanche in cerca di un’intesa e di un patto col mondo.La gamma delle possibilità espressive della dimensio-ne visionaria è illimitata. Essa è un sottogenere dell’ar-te fantastica, che si è emancipata dall’imitazione delreale, per dare libero corso all’immaginazione. Che sitratti di un vero e proprio genere, che ha anche cono-sciuto specifiche marcature lessicali e formule condivi-se e di maniera, è stato ben documentato anche dastudi critici recenti, come quello di Victor Stoichitasull’arte visionaria del siglo de oro spagnolo.È molto diverso chiamare visionaria un’esperienza oparlare invece di allucinazioni. Le allucinazioni com-portano, quasi per definizione, un gioco di squalifica-zione: l’allucinato vede qualcosa che non c’è e che nondovrebbe pertanto vedere. Egli sarebbe quindi sogget-to a un errore dei sensi, proprio della pazzia.Le visioni sono invece proprie dei santi, dei profeti edegli sciamani. I nostri stessi sogni ci appaiono da sve-gli come esperienze visionarie effimere. Ma le vere vi-sioni sono esperienze che hanno a che fare con la vitaspirituale e religiosa, possono essere profetiche e co-munque prossime all’intuizione dell’essenziale o delvero; e al tempo stesso sono aperte alla comunicazio-ne. Proiezioni dell’interiorità, ci parlano anche delmondo così come può essere visto, aprono su mondipossibili entro i quali chi vuole potrebbe anche avven-turarsi e penetrare.Alcuni dei musei, che Bedoni fa visitare al lettore, so-

no luoghi in cui sono confluite e come concentrate leopere “irregolari”, raccolte spesso da psichiatri appas-sionati o da artisti affascinati da queste forme espressi-ve della marginalità. Opere nate dal fallimento esi-stenziale e nel quadro di una reclusione manicomialesenza sbocchi possibili. E tuttavia quasi sempre testi-monianze di rara sincerità espressiva e di modi insie-me autentici e complessi di vedere e di sentire, senzacompromessi con istanze imitative o di mercato.L’eroe-pittore che più di ogni altro rappresenta l’em-blema, insieme sublime e tragico, di un grande folleche ha conosciuto un successo postumo e addiritturauna fama assoluta, è stato certamente van Gogh; coluiche Artaud - un altro grande folle - considerava, conimpareggiabile acutezza e simpatia, un “suicidato dal-la società”. Ma van Gogh è ormai divenuto un artistaregolare, conteso dai musei di tutto il mondo. Oltre auna fama postuma, ha ottenuto anche un’amara gua-rigione postuma.Gli artisti - spesso grandi - che troviamo a Losanna e aHeidelberg, a Berna come a Vienna, sono invece “ri-coverati” in musei appartati a loro dedicati, o assaipiù raramente, come Wölfli, “inseriti” anche nei mu-sei normali. E non mancano anche rari folli sfuggitialla presa della psichiatria, come Ferdinand Cheval. A tutti Giorgio Bedoni ci avvicina con rispetto e sim-patia, e una inesauribile meraviglia per le grandi qua-lità umane e artistiche che qui si riscontrano. Semprecercando connessioni, aperture, risonanze con altriartisti meno infelici e più facilmente riconosciuti. L’o-perazione di avvicinamento e comprensione mobilitale conoscenze storico-critiche dell’arte, ma anche leattitudini di risonanza, e infine genuinamente tera-peutiche dell’autore. Lasciamoci dunque guidare dalui in un viaggio di avvicinamento, al termine del qua-le scopriremo forse di aver fatto una sorta di esperien-za iniziatica, che ci rende capaci di partecipare com-prensivamente senza giudicare frettolosamente. Unatteggiamento che finalmente contrasta due diffusipregiudizi, che sono anche luoghi comuni contraddit-tori: quelli della difformità radicale, o, all’opposto,della non discernibilità della malattia mentale rispettoall’esperienza cosiddetta normale e corrente.”

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■ CENTRO DI TERAPIE ESPRESSIVE, cooperativa CiMAS

IL PROGETTO TERAPIE ESPRESSIVE DI LISSONEIl 25 e il 26 novembre 2005 si è svolto a Lissone (MI) il Convegno Arte in ascolto. Le Terapie Espressive nellarelazione d’aiuto. L’iniziativa, con accredito ECM per psicologi ed educatori, promossa e gestita dalla Coope-rativa Sociale CIMAS di Saronno (VA) con il patrocinio del Comune di Lissone e dell’ASL Mi3 di Monza, hariscosso grande successo di affluenza: più di 140 tra psicologi, educatori, operatori del settore e rappresen-tanti delle strutture del territorio brianzolo hanno riempito per due giorni la sala di Palazzo Terragni.Aperta dal saluto delle autorità locali e introdotta dal Dott. Giorgio Scivoletto, Direttore Sociale dell’ASL Mi3,e dal Dott. Ambrogio Bertoglio, Direttore dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, la mattinata di ve-nerdì 25 novembre ha visto succedersi gli interventi di Gerardo Manarolo, Mila Sanna (psicologa ed artetera-peuta) e Anna Gasco (psichiatra e danzaterapeuta), volti a fornire chiara e completa illustrazione di teoria eprassi delle Terapie Espressive. Il pomeriggio è stato animato dai laboratori esperienziali di Musicoterapia, Ar-teterapia, Danzaterapia e quindi concluso dagli interventi di alcuni rappresentanti delle strutture del territoriobrianzolo in cui si utilizzano le artiterapie. La giornata di sabato 26 novembre è stata dedicata al racconto di si-gnificativi percorsi educativi, riabilitativi, terapeutici condotti con l’ausilio delle terapie espressive in differentiambiti d’applicazione (prevenzione, disabilità, demenza, tossicodipendenza, disagio giovanile).L’evento ha costituito l’occasione per presentare al territorio l’attività del Centro Terapie Espressive di Lisso-ne, aperto dalla Cooperativa Sociale CIMAS grazie al contributo della Fondazione della Comunità di Monzae Brianza e alle donazioni di alcune associazioni e di numerosi privati ed in collaborazione con il Comune diLissone e la Cooperativa Sociale Solaris. L’attività del Centro si articola in tre progetti: l’Ambulatorio di Tera-pie Espressive (Progetto Asiya), in cui si realizzano interventi di Musicoterapia, Arteterapia, Danza Movimen-to Terapia, ai quale si affianca un servizio di psicoterapia per disabili; il Centro di Ricerca e Documentazionesulle Terapie Espressive, la cui prima fase consiste nella realizzazione di un portale di servizio per studenti, ri-cercatori e operatori del settore all’indirizzo www.terapie-espressive.it (e-mail [email protected]); ilcorso di formazione nelle Terapie Espressive, che partirà nel settembre 2006.

Per informazioni sulle attività del C.T.E., sito a Lissone in via Del Pioppo 9, si può telefonare al numero039 464620 oppure alla segreteria della Cooperativa Sociale CIMAS al numero 02 96342489.

■ CENTRO DI FORMAZIONE NELLE ARTITERAPIE, cooperativa Sociale La linea dell’Arco, Lecco

V GIORNATA DI STUDI DEL CENTRO DI FORMAZIONE NELLE ARTITERAPIE2/06/2006 - Il processo creativo nelle Artiterapie (Gruppi di Lavoro/Laboratori)presso Scuola Primaria “E: Toti” Maggianico - Lecco

Quattro “Gruppi di lavoro/laboratori“ per dare voce a chi partecipa, a chi conduce, a chi osserva:- Arteterapia (Rita Carnino - Alessia Maldera):

per gli allievi di Drammaterapia, Musicoterapia, Danzamovimento-terapia.- Danzamovimentoterapia (Silvia Cagliani - Renata Carnini):

per gli allievi di Musicoterapia, Drammaterapia, Arteterapia.- Drammaterapia (Manuela Binello - Glenda Pagnoncelli):

per gli allievi di Arteterapia, Musicoterapia, Danzamovimentoterapia.

a cura di Sabrina Borlengo NOTIZIARIO AR-TÉ 61NOTIZIARIO AR-TÉ a cura di Sabrina Borlengo60

- Musicoterapia (Ivan Sirtori):per gli allievi di Arteterapia, Danzamovimentoterapia, Drammaterapia.

3/06/2006 - Il processo creativo nelle Artiterapie (Tavola rotonda seminariale)presso Palazzo Beauharnais, Pusiano (CO)

Per informazioni sulle giornate di studio si può telefonare al n. 0341 350496, inviare un fax al n. 0341 285012oppure scrivere e-mail: [email protected]

■ Associazione LA CULLA MUSICALE

CORSO NAZIONALE DI SPECIALIZZAZIONE IN MUSICOTERAPIA PRE E POST NATALESecondo corso nazionale di Specializzazione in musicoterapia pre e post-natale. Genova, A.A. 2006/2007;con il patrocinio di: AIM, APIM, ANFFAS, Centro trentino di musicoterapia, ConfIAM, Fondazione G. Gas-lini, Provincia di Genova. Il corso si rivolge a tutti i musicoterapisti che siano iscritti al registro A.I.M. o stu-denti diplomandi provenienti dalle scuole ConfIAM o in possesso di titoli equivalenti che verranno valutati.La formazione comprende 10 fine settimana per complessive 140 ore durante le quali saranno proposti semi-nari, laboratori teorico-pratici, studio di testi, proiezioni video e analisi di casi clinici anche proposti dai par-tecipanti. È prevista una fase di valutazione intermedia a metà percorso attraverso un colloquio con i docentidella Scuola ed un esame finale, nell’autunno 2007, al quale potranno accedere gli studenti che avranno se-guito almeno 8 dei 10 incontri programmati.

Per informazioni: e-mail: [email protected] / sito: www.lacullamusicale.it

■ ConfIAM

VI CONGRESSO NAZIONALE - I CONVEGNO INTERNAZIONALEMUSICA & MUSICOTERAPIA A CONFRONTO CON I PAESI DELL’EST EUROPA

Centro Congressi Stazione Marittima - Trieste/Udine 22/24 settembre 2006Prima sessione “Psicologia della musica e musicoterapia”Seconda sessione “Modelli di riferimento”Terza sessione “Le applicazioni della musicoterapia in Europa: dal confronto all’integrazione”

Per informazioni: e-mail: [email protected] / sito: www.musicoterapia.fvg.it

■ Associazione MUSICA E TERAPIA

SEMINARI ESTIVI DI MUSICOTERAPIA

L’Associazione Musica e Terapia organizza nella prossima estate una serie di seminari dedicati alla musicote-rapia. Gli incontri vogliono coniugare l’opportunità formativa con l’occasione di trascorrere un momento dis-

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tensivo e di riposo. I seminari si svolgono presso il Centro Semi di Crescita che si trova in una splendida cor-nice paesaggistica a cinque minuti dal casello autostradale di Finale Ligure. Il Centro è visibile sul sito semidi-crescita.it. Per chi viaggia in treno è previsto un servizio navetta dalla stazione di Finale. Ciascun seminarioprevede un livello propedeutico (riservato a chi si accosta alla musicoterapia) ed un livello di perfezionamen-to (per chi si sta formando in tale ambito, o già opera professionalmente). I seminari si articoleranno fra giu-gno, luglio, settembre 2006.

Calendario:Voce e Vocalità in musicoterapia, 2-3-4 giugno 2006, Docente Antonella GrusovinLaboratorio di percussioni, 7-8-9 luglio 2006, Docente Paolo CerlatiImprovvisazione e creatività in musicoterapia, 8-9-10 settembre 2006, Docente Andrea MasottiCostruire strumenti in musicoterapia, 15-16-17 settembre 2006, Docente Mauro Peddis

Modalità d’iscrizioneGli interessati dovranno inviare la loro richiesta, specificando il seminario prescelto e l’ospitalitàdi cui intendono usufruire, al seguente indirizzo:Dott. Manarolo Gerardo, Vico Chiuso Curletto 5/6, 16121 Genovao tramite posta elettronica, e-mail: [email protected]

■ CENTRO TRENTINO DI MUSICOTERAPIA

LA VOCE IN MUSICOTERAPIA18/11/2006 - La voce in musicoterapia - Giornata di studio in memoria di Giovanni Maria RossiVilla Sant’Ignazio, Via Laste n. 22, Trento

Per informazioni: e-mail: [email protected]

■ UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMOFacoltà di Medicina e Chirurgia e Facoltà di Scienze della Formazionein collaborazione con Associazione MUSICALMENTE ONLUS di PALERMO

WORKSHOP INTERNAZIONALE SU: “LE TERAPIE ESPRESSIVE”Percorsi multisensoriali del Mediterraneo a confronto “Comunicare attraverso i sensi”Pantelleria dal 22 al 24 settembre 2006

Patrocinato dalla Presidenza della Regione Sicilia, dall’Assessorato Regionale al lavoro, alla Formazione, al-l’Emigrazione, Comune di Pantelleria, Ordine degli Psicologi della Regione Sicilia, A.I.M. ( Associazione Ita-liana Musicoterapia), Confiam - Sponsor: Assessorato regionale Agricoltura e Foresta, Assessorato Regionaleal Turismo, Banca Nuova.

Per informazioni: ASSOCIAZIONE MusicalMente ONLUS di PALERMOTel. 091 546937; e-mail: [email protected]

a cura di Sabrina Borlengo NOTIZIARIO AR-TÉ 63NOTIZIARIO AR-TÉ a cura di Sabrina Borlengo62

■ S.I.P. (SOCIETÀ ITALIANA DI PSICHIATRIA)

DAL PREGIUDIZIO ALLA CITTADINANZA 5Progetto Speciale “Folle-mente” - Follia, Linguaggi, Pregiudizio e Teatro

dal 24 marzo al 12 aprile 2006 - Mostra Fotografica “Il Pregiudizio Universale” Viaggio all’interno delledistorsioni del pregiudizio con la complicità dei cinque sensi a cura di Fabrizio DaffaraMuseo della Città, Sale esposizione Comune di Collegno, Piazzale AVIS 7, Collegno (TO)

24 marzo 2006 - “5° Festival nazionale delle Arti Espressive”Teatro Juvarra, Via Juvarra 15, Torino

29/30 marzo 2006 - “Umbral” una creazione di Cristina CastrilloTeatro Perempruner, Piazza Matteotti 39, Grugliasco (TO)

3 aprile 2006 - “Il Teatro dei fratelli Scomparso” di e con Andrea MeloniTeatro Perempruner, Piazza Matteotti 39, Grugliasco (TO)

11/12 aprile 2006 - “Il SOL Nero” da Beethoven a Satie: vite disarmoniche di grandi compositoriConcerto per pianoforte e voci recitantiAuditorium Orpheus, Corso Trento 13, Torino

10/11 maggio 2006 - “Il sogno di un uomo ridicolo” da Feodor DostoevskijTeatro Perempruner, Piazza Matteotti 39, Grugliasco (TO)

dal 24 al 26 novembre 2006 - “III Conferenza Internazionale Terapie Espressive: quando, perché, a chi?”Ruolo, prescrivibilità, opportunità, sussidiarietàDipartimento Universitario Salute Mentale 5B - ASL 5 - Tel. 011 4017413

■ APIM

CORSI TRIENNALI DI MUSICOTERAPIA SEDI DI GENOVA E DI TORINOAvvio ottobre 2006

Per informazioni: e-mail: [email protected] / sito: www.musicaterapia.it

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Norme Redazionali1) I colleghi interessati a pubblicare articoli origi-nali sulla presente pubblicazione sono pregati di in-viarne una copia redatta secondo il programmaWord per Windows (tipo RTF) al seguente indirizzoemail: [email protected]) L’accettazione dei lavori è subordinata alla revi-sione critica del comitato di redazione.3) La comunicazione di accettazione verrà inviatanon appena il comitato di redazione avrà espressoparere favorevole alla pubblicazione.4) Il testo degli articoli dovrà essere redatto in lin-gua italiana e accompagnato dal nome e cognomedell’autore (o degli autori) completo di qualif icaprofessionale, ente di appartenenza, recapito posta-le e telefonico.5) Per la stesura della bibliografia ci si dovrà atte-nere ai seguenti esempi:

a) LIBRO: Cordero G.F., Etologia della comu-nicazione, Omega edizioni, Torino, 1986.

b) ARTICOLO DI RIVISTA: Cima E., Psicosisecondarie e psicosi reattive nel ritardo men-tale, Abilitazione e Riabilitazione, II (1),1993.

c) CAPITOLO DI UN LIBRO: Moretti G.,Cannao M., Stati psicotici nell’infanzia. InM. Groppo, E. Confalonieri (a cura di), L’Au-tismo in età scolare, Marietti Scuola, CasaleM. (Al), 1990.

d) ATTI DI CONVEGNI: Neumayr A., Musi-ca ed humanitas. In A. Willeit (a cura di), At-ti del Convegno: Puer, Musica et Medicina,Merano, 1991.

6) Gli articoli pubblicati impegnano esclusiva-mente la responsabilità degli Autori. La pro-prietà letteraria spetta all’Editore, che puòautorizzare la riproduzione parziale o totaledei lavori pubblicati.

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