Cavalli, cavaliere e tempietto (Dioscuro) (1932 circa) · Cavalli, cavaliere e tempietto (Dioscuro)...

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Cavalli, cavaliere e tempietto (Dioscuro) (1932 circa)

Olio su cartone, cm 31,8x39,3 Firmato in basso a destra: G. de Chirico Dichiarazione di vendita con garanzia di autenticità di Paolo Baldacci, datata Milano, gennaio 1996 Esposizioni Giorgio de Chirico. Miti, enigmi, inquietudini, mostra a cura di Maurizio Calvesi, catalogo a cura di Gaetano Bordonaro, testi critici di Maurizio Calvesi, Marilena Pasquali, Eugenio Riccomini, commenti e schede delle opere a cura di Gaetano Bordonaro, Palazzo Ziino, Città di Palermo, 25 ottobre 2002-6 gennaio 2003, prolungata fino al 9 gennaio 2003, riprodotto in cat. p. 71 Aste Farsetti, Prato, 27 maggio 1995, riprodotto in cat. a colori n. 323

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Parte I. L’esposto Picozza / De Sanna

Per entrare nello specifico del contenzioso dobbiamo risalire alla lettera-esposto della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico del 20 gennaio 2003, indirizzata alla Guardia di Finanza, firmata Paolo Picozza e Jole de Sanna. Si legge, p. 9: «Tra l’altro si segnala un dipinto pressoché identico come soggetto, dalle dimensioni di cm 45,5x55 che in data 1/10/1982 Claudio Bruni ha riconosciuto come autentico e databile al 1933/34.»

Già Paolo Baldacci, nelle sue controdeduzioni (in atti) avverso le affermazioni di Picozza e de Sanna, ha rilevato: «In persone non preparate l’esistenza di un dipinto autentico, identico o quasi identico, suscita istintivamente l’idea che l’altro sia una copia o un falso […]. Invece non è così per de Chirico che proprio in questo periodo (inizio anni ’30) porta al massimo sviluppo una pratica per lui abbastanza usuale, cioè quella della ripetizione della stessa immagine con minime varianti e della combinazione degli stessi gruppi di figure in composizioni diverse».

Prosegue la lettera-esposto della Fondazione: «Il dipinto in oggetto, esaminato in data 8/1/2003 a Palermo dal sottoscritto e dalla prof.ssa Jole de Sanna, sia pure a parete e con protezione del vetro, quindi con tutti i limiti di questo esame, richiama per materiale e scansione cromatica le nature morte oggetto di indagine. Sembra infatti costruito con gli stessi materiali delle nature morte in oggetto. Sembra costruito con gli stessi materiali, nel senso che sembra avere la stessa preparazione e lo stesso effetto retinico che altro non è [che] il riflesso sulla retina dei colori dati in un certo determinato modo. Il riflesso sulla retina è di tipo chimico. Questo riflesso di tipo chimico può essere generato unicamente da certi colori che riteniamo che siano chimici come i blu e i gialli. Ove fosse esaminato il quadro potrebbe emergere che lo stesso è stato realizzato con colori che non esistevano nel 1932.»

Diffusamente e partitamente Paolo Baldacci ha già replicato a queste considerazioni; il rimando per similitudine di materia alle due nature morte, quadri qui in causa, non è possibile poiché esse nature morte sono eseguite a tempera e Cavalli, cavaliere e tempietto è eseguito a olio, e ciò determina cospicue differenze nella resa della superficie pittorica e nel processo di polimerizzazione, cioè di invecchiamento della pellicola dipinta.

La preparazione del supporto, a colla mescolata con gesso, è invece comune nelle opere di de Chirico. Ci sfugge il significato di quello che viene chiamato «effetto retinico», ancor meno comprensibile cosa sia «il riflesso sulla retina di tipo chimico».

Essenziale invece l’analisi dei colori per verificare l’affermazione, che ci pare impropria, senza prova, che il quadro sia realizzato «con colori che non esistevano nel 1932».

Si tenga comunque presente che all’inizio degli anni ’30 – epoca alla quale è stato attribuito il quadro – i colori in uso erano da tempo prodotti dall’industria chimica.

Nella lettera-esposto si afferma inoltre, riguardo al colore: «Vi è un tipo di inchiostrazione (blu inchiostro) che non è né bleu di Prussia, né cobalto né oltremare che sono i tre colori con cui de Chirico costruisce tutti i suoi bleu. Non usa questo blu che finisce per dare un aspetto cianotico sia al cielo sia al mare.»

Chi ha potuto osservare tecnicamente queste dizioni, «inchiostrazione», «blu inchiostro», la dottoressa Castellano dell’Istituto centrale del Restauro (sua lettera, allegato 1), dice di non aver mai sentito nominare il «blu inchiostro».

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Fra mancanza di chiarezza e riferimenti alle nature morte che col quadro qui in esame nulla hanno da spartire, per materia, composizione, andamento di pennellata e insieme della resa plastica, nella lettera-esposto si prosegue: «Altra cosa in comune con le nature morte è il vedere come il dipinto sembra costruito con il computer: un pezzo avvicinato ad un altro pezzo. Cioè le fotografie tratte da uno o più originali messe insieme hanno una costruzione da graphic-computer come delle sagome messe una vicino all’altra, in una disposizione comunque piatta, bidimensionale; non c’è tridimensionalità. Questo è in comune con le due nature morte in esame. La scelta ottica-retinica del blu in relazione agli altri colori costituisce la costruzione. Ad esempio si veda la coperta sul cavallo di sinistra. La coperta sul cavallo a sinistra è identica, come disposizione frontale alla tovaglia su cui sono appoggiati i pesci di cui al dipinto Marina […; quadro questo, del resto, di comprovata autenticità]. È identica, diventa frontale, si alza di fronte come se fosse un francobollo ritagliato ed applicato sopra.»

Se la tecnica da graphic-computer vogliamo intenderla come montaggio di forme determinate e che vengono ripetute magari con diverse impaginazioni, è proprio questo uno dei metodi di de Chirico, come può vedersi nei vari soggetti che riproduciamo. Il cavallo pezzato in primo piano con gualdrappa fissata da una cinghia è pressoché identico al dipinto autenticato in Fondazione de Chirico, il 19 ottobre 1994 (fig. 32, tav. IV, p. 30).

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Parte II. Concordanze

Le illustrazioni a tav. IV, pp. 30-31, riproducono insieme con il dipinto in esame tutti i quadri di de Chirico simili o quasi uguali, oltre a quelli in cui si trova una scena analoga sia pure collocata sul fondo.

E questo smentisce le osservazioni di Jole de Sanna e Paolo Picozza riguardo al metodo di unione e assemblaggio delle immagini usato dal presunto falsario (da loro chiamata tecnica da computer graphic). Questo, come detto, era il metodo di de Chirico.

De Sanna e Picozza, a indizio della falsità, hanno suggerito che il quadro in esame sia stato copiato dal n. 31, dipinto molto simile (autenticato da Claudio Bruni nel 1982). Ma quest’ultimo quadro è stato riprodotto, per la prima volta, in bianco e nero, in piccola tavola (cm 8,2x10,4) solo alla fine del 1991 da M. Fagiolo dell’Arco, nel libro I Bagni Misteriosi (ed. Berenice, Milano), libro stampato nell’ottobre 1991, in libreria a dicembre (nel colophon: «Stampato a Milano, dalle Grafiche Milani, nell’ottobre 1991»; significa che il libro fu rilegato in novembre e distribuito in libreria a dicembre; una seconda edizione ampliata, con titolo De Chirico. Gli Anni Trenta, uscita per le edizioni Skira, Milano, 1995).

Il quadro autenticato da Bruni poteva essere noto, prima di tale data, solo a chi aveva accesso all’archivio della Fondazione (non a Paolo Baldacci, entrato in Fondazione alla fine del 1992).

Non è ipotizzabile che un falsario possa essersi inventato composizione e figure identiche a quelle di un quadro che non conosceva; altrettanto impossibile che abbia attinto all’archivio della Fondazione. Resta come unica possibilità che abbia usato come modello la foto in bianco e nero pubblicata da Fagiolo. Se il quadro è falso deve essere stato eseguito tra il dicembre 1991 (uscita in libreria del volume di Fagiolo) e il dicembre 1994 (data in cui la fotografia dell’opera giunse per la prima volta in Fondazione inviata dalla Casa d’Aste Villa Griesbach di Berlino).

Il dipinto in esame e quello analogo pubblicato da Fagiolo presentano due tipologie di cavalli visti di tre quarti da dietro: a sinistra un cavallo stante, pezzato, con una sella a gualdrappa svolazzante blu bordata di giallo, fissata col sottopancia, tipica dell’esercito francese napoleonico e post-napoleonico. A destra un cavallo bianco, montato da un efebo nudo e diretto al trotto verso il mare. Il gruppo «cavallo più efebo» (come si vede alla tavola IV, pp. 30-31, figure 31, 34, 35, 36, 37, 38, 39), ricorre spesso nella pittura di de Chirico degli anni ’30, pittura che si avvale di procedimenti di costruzione dell’immagine di tipo collagistico con accostamento di particolari provenienti da quadri diversi.

Il cavallo stante a sinistra con sella a gualdrappa napoleonica è invece molto raro. Esso si trova, identico, oltre che nel quadro in esame e nel dipinto pubblicato da Fagiolo, solo in un piccolo quadro databile ai primi anni ’50 (rappresentante un solo cavallo), autenticato in Fondazione il 19 ottobre 1994 (fig. 32, tav. IV, p. 30), da scartare come possibile modello per motivi cronologici.

Infine, un cavallo con gualdrappa – uguale nella parte posteriore, diverso per la posizione del collo e della testa – lo troviamo nel quadro Cavalli dell’Ellesponto, pubblicato nel citato volume di Fagiolo del 1991 (fig. 33, tav. IV), immagine ripresa

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dalla rivista americana Art News del 1936. Anche questo dipinto non può considerarsi come modello poiché raffigura il cavallo a sinistra in posizione troppo diversa e quello a destra parzialmente coperto.

Innegabile quindi che l’eventuale falsario può avere usato come modello solo il quadro autenticato da Bruni e pubblicato da Fagiolo alla fine del 1991.

L’esistenza di tre dipinti in cui compare, in anni diversi, il cavallo con gualdrappa nella stessa positura (quello in esame e figg. 31 e 32), e di uno (fig. 33) in cui la posizione appare parzialmente modificata, dimostra che doveva esistere un modello comune al quale si è ispirato de Chirico. Il pittore ha spesso utilizzato figure e modelli di artisti del passato variandoli in modo più o meno vistoso (nelle pubblicazioni sull’artista vi è ampia documentazione).

La copertina bordata di giallo rimanda, come detto, all’epoca napoleonica, quindi a un grande pittore specialista di cavalli come Théodore Géricault, molto amato e saccheggiato da de Chirico.

Nelle figure 40 e 41 (tav. IV, p. 32) riproduciamo un disegno e una litografia di Géricault, modelli di riferimento per la positura del nostro cavallo fermo visto da dietro con piccola gualdrappa svolazzante (unico elemento, questo, che de Chirico sembra abbia aggiunto di suo).

A questo punto l’autenticità del quadro è, a nostro avviso, sufficientemente provata dalle considerazioni e dai confronti proposti. Tuttavia se anche venisse dimostrato che:

1) il quadro esisteva prima del 1991,

oppure

2) esso, per motivi risultanti da un’analisi tecnica, non è stato dipinto tra il 1991 e il

1994,

si dovrebbe per forza concludere che il quadro non può essere falso ed è quindi

autentico.

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TAVOLA IV

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Dipinto in esame 31 Dipinto (cm 55x68) autenticato nel 1982 pubblicato la prima volta in Fagiolo 1991, n. 19,

p. 184 32 33 32 Dipinto autenticato in Fondazione nell’ottobre 1994 e attribuito ai primi anni ’50. 33 Dipinto pubblicato in Fagiolo 1991, n. 28, p. 187 (da Art News, 1936)

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TAVOLA IV

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34 (1934) - Catalogo Generale, VII, 2, n. 599 35 (1934) - Catalogo Generale, VIII, 2, n. 685 36 (1930) - Catalogo Generale, VI, 1, n. 378 37 (1929) - Catalogo Generale, VIII, 1, n. 529 38 (1936) - Catalogo Generale, VIII, 2, n. 706 39 Opera esposta alla Quadriennale Romana,

1935, cat. n. 19

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TAVOLA IV

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Il modello di de Chirico: Géricault Particolare del dipinto in esame

40 Géricault, disegno, da I cavalli di Géricault, 41 Géricault, Litografia (particolare) Paris, Bibliotheque de l’image, 2002 Catalogo Generale, n. 2613

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Parte II. La firma

Sulla firma di questo dipinto le contraddizioni nelle varie perizie sono notevoli.

Nella relazione di de Sanna e Picozza alla GdF del 12 maggio 2003 si legge: «Firma falsa, addirittura ripassata in due tempi (la g a sinistra e alla base delle lettere)».

Nella relazione della restauratrice Cecilia Bernardini (allegato n. 1 alla perizia delle CTU Coen e Dalla Chiesa) a p. 11 si afferma: «la firma in basso a destra del dipinto è stata stesa con un pigmento bruno molto diluito nel legante ed ha un aspetto compatto e senza lacune».

Evidente che le due affermazioni si contraddicono: la restauratrice non nota affatto che la firma sia «addirittura ripassata in due tempi», solo che essa è compatta (cioè non stentata, scritta di getto) e stesa con un pigmento molto diluito. Questo spiega il fenomeno (che ben si nota nel particolare del quadro in esame a tav. V, p. 34), del maggiore addensamento di colore nelle parti basse delle lettere, che risultano più scure poiché il pigmento liquido si è concentrato in basso prima di asciugare.

De Sanna e Picozza hanno scambiato questo naturale addensamento del colore verso il basso per un «ripasso» della firma. Lo stesso si può dire della lettera «g», eseguita in due tempi: prima l’anello in alto e la gamba verticale (come una «q»), poi l’anello in basso ottenuto accostando alla gamba verticale un segno curvo, come una «c». Procedimento tipico di de Chirico, che lo ha usato spesso, come si vede dagli esempi riportati alla tav. V, figura 43, alla figura 46 e alla figura 48/c.

Dagli esempi sopra riportati appare evidente che la firma è autentica.

Nella perizia delle due CTU, Coen e Dalla Chiesa, si legge invece (p. 10) che «colpisce subito la inequivocabile falsità della firma , così poco integrata al resto della pittura nella sua innaturalità, rigida e inerte, e nello stacco del colore troppo scuro, rispetto all’ocra della sabbia».

Se si afferma che una firma è falsa poiché poco integrata al resto della pittura, si deve dedurre che essa è estranea alla pittura, cioè apposta successivamente o da altra mano, e che non fa parte del quadro originale. Ma questo è contraddetto dalla restauratrice, la quale afferma (p. 11), che l’esame alla luce di Wood «non evidenzia reintegrazioni», quindi tutta la pittura, firma compresa, è stata eseguita nello stesso tempo.

La firma, perciò, fa parte integrante del quadro. Ma come si fa a dire che la firma è falsa perché non integrata al resto della pittura se poi si sostiene che anche la pittura è falsa? c’è evidente contraddizione logica: se chi ha firmato il quadro (falso) è il falsario, consegue che quadro falso e firma falsa devono essere integrati perché eseguiti dalla stessa mano. Sostenere che la firma non è integrata, che «stacca», ecc. è puro artificio retorico, smentito dalla semplice osservazione degli esempi da noi riportati alla tav. V.

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TAVOLA V

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Dipinto in esame 42 Cavallo e zebra, 1930 (Tokio, 2000, n. 32)

43 (1934) - Catalogo Generale, VII, 2, n. 599 44 (1933) - Catalogo Generale, VII, 2, n. 578

45 (1933) - Catalogo Generale, VII, 2, n. 544 ) 46 (1930) - Catalogo Generale, VI, 1, n. 380

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TAVOLA V

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48/a

48/b

48/c

47 e 48 a, b, c: quattro esempi di firme degli anni ’30 dalle tavole di comparazione delle firme pubblicate nel Catalogo Generale, Volume VII

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Parte III. Grumi e impasti di colore

Le CTU Coen e Dalla Chiesa a p. 10 del loro elaborato: «La pittura è gradevole, ma insolitamente liquida, sia negli impasti, di spessore inusuale, che nel ductus pittorico, poco sorvegliato e tenuto»; più avanti, p. 11, ritengono anomalo «il grumo di pittura sul posteriore del cavallo di destra».

Domandiamo come può una pittura essere «insolitamente liquida» e contempora-neamente presentare «impasti di spessore inusuale». O è liquida o è spessa. Oppure alterna parti liquide a parti spesse (che è caratteristica specifica di de Chirico). Non è possibile che siano insoliti e inusuali ambedue i caratteri.

Anche questa contraddizione denota superficialità di analisi: con frasi generiche e poco chiare (cosa significa, riferito al quadro in esame, confrontato con altri coevi e di medesimo soggetto, «ductus pittorico poco sorvegliato e tenuto»?) si cerca di evidenziare inesistenti diversità tra il dipinto in esame e i quadri autentici, quadri che riproduciamo a tav. VI.

Come detto, una caratteristica di de Chirico è alternare nel medesimo dipinto zone liquide e zone che spesseggiano di materia, con veri e propri grumi di colore, come appare nelle figure di tav. VI, soprattutto dai particolari del quadro fig. 51 conservato alla Cassa di Risparmio di Macerata.

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TAVOLA VI

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Dipinto in esame

49 Nudi, 1926 (FB 1982, n. 60)

50 (1933) - Catalogo Generale, VIII, 2, n. 671 51 (1934) - Catalogo Generale, VII, 2, n. 599 – Raccolta Cassa di Risparmio di Macerata

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TAVOLA VI

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Due dettagli del n. 51

51/a

51/b

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Parte IV. Il cielo e la “nuvolaglia”

Scrivono le CTU (pp. 10-11): «A partire dal cielo, quindi, si possono rilevare queste contraddizioni rispetto allo stile dell’artista: l’eccesso di colori lasciato ad un indistinto di nuvolaglia, dove non si rintracciano confini e forme certe». A questo proposito citano un passo di de Chirico su Arnold Böcklin: «In Böcklin la potenza metafisica scaturisce sempre dall’esattezza e dalla chiarezza di una determinata apparizione. Mai egli dipinse una nebbia, mai tracciò un contorno indeciso; in ciò sta il suo classicismo e la sua grandezza».

Si sarebbe così indotti a pensare che «nuvolaglia» e mancanza di «confini [contorni?] e forme certe» siano estranei al metodo di de Chirico, il quale, come pure Böcklin, mai avrebbe dipinto una nebbia o tracciato un contorno indeciso.

Induzioni del tutto prive di verità. Le affermazioni teoriche di de Chirico su Böcklin risalgono al 1920, epoca in cui egli perseguiva un classicismo lineare dai contorni netti, abbandonato già dal 1923 per una pittura molto più sensuale e impressionistica.

Gli esempi di tav. VII, p. 40, mostrano la perfetta somiglianza della tessitura di pennellate incrociate, bianche azzurre e rosa, nei cieli del dipinto in esame e di altri tre quadri dei primi anni ’30 (figg. 52, 53, 54). A tav. VII, p. 41, tre esempi di «nuvolaglia» in tre quadri famosi del 1923, 1924 e 1929 (figg. 55, 56, 57).

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TAVOLA VII

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Dipinto in esame

52 Cavallo e cavalieri in riva al mare, 1933, particolare (Catalogo Generale, VIII, 2, n. 671)

53 Cavallo e zebra, 1934 – Catalogo generale VIII, 2, n. 694

Sotto: 54 Nudo, cavalli e cavaliere in riva al mare, 1932, particolare (da Giorgio de Chirico dalla partenza degli Argonauti alla vita silente, Electa Milano 1988, p. 81)

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TAVOLA VII

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55 Natura morta con anguria e corazza, 1923, particolare (Cat. Verona Anni ’20, p. 201)

56 Natura morta con pesci e piroscafo, 1924, particolare (Cat. Verona Anni ’20, p. 191)

57 Natura morta con anitre e busto antico, 1929, particolare (Cat. Verona Anni ’20, p. 201)

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Parte V. Il mare e il promontorio.

Le CTU, p. 11, indicano come segni di falsità del dipinto «le onde troppo naturalistiche del mare» e «le ombreggiature del promontorio», che «tutto fanno fuorché sintetizzarne la struttura e la plasticità» (del promontorio).

Senza bisogno di commenti si osservi un dettaglio del dipinto in esame a confronto con due particolari analoghi da due opere dei primi anni Trenta (Fagiolo, I Bagni Misteriosi, Berenice, Milano, 1991, p. 77, n. 34, e p. 78 n. 38). Nella tavola seguente si esaminano anche le ombreggiature del promontorio, che troviamo perfettamente uguali, cioè non plastiche in dipinti dei tardi anni Venti e degli anni Trenta.

Particolare della spiaggia e del mare dal dipinto in esame (a fianco).

Si notino nei tre quadri i caratteristici segni rosa e arancio in mezzo alle onde, tipici

della pittura dei primi anni Trenta. 58

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TAVOLA VIII

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60 Cavalli su una spiaggia, 1929-30 (FB 1982

p. 522 n. 149. Quadro in esame.

61 Bozzetto per Trilogia di Eschilo, 1939, particolare (da Omaggio a de Chirico, a cura di Gerd Roos, Studio Campaiola Roma – Rocca Albornoz Viterbo, 2002, n. 2/a p. 88).

L’andamento delle pennellate è perfettamente uguale nei tre dipinti.

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Parte VI. Pittoricismo e pennellate a mosaico.

Scrivono le CTU che l’insieme del quadro «è improntato ad un eccesso di pittoricismo, che tocca il culmine nel corpo dei cavalli con pennellate e svirgolature del colore – vedi il grumo di pittura sul posteriore del cavallo di destra, come i colpi spessi di colore, quasi a mosaico, su quello di sinistra – tutte esibite alla vista anziché a quel terzo occhio, della psiche o dello spirito, con cui de Chirico pretendeva di educare la percezione dello spettatore».

Del grumo di pittura già abbiamo detto; ci limitiamo quindi a mostrare esempi di analogo «pittoricismo» e di pennellate «a mosaico» (meglio sarebbe dire a martellature) in quadri dell’epoca (epoca in cui proprio la sensualità della pittura, e quindi il «pittoricismo» erano tra gli ingredienti dell’artista). A tavola IX, p. 46, sono messi a confronto con il quadro in esame particolari di due quadri degli anni Trenta (figg. 62, 63): nella prima fila tre particolari del dipinto in esame; nella seconda fila (fig. 62) tre particolari del dipinto Cavalli presso una fonte (o Cavalli dell’Ellesponto) esposto a New York nel 1936 alla Galleria Julien Levy (riprodotto in De Chirico and America, a cura di E. Braun, Allemandi, Torino, 1996).

Si noti, nelle immagini verticali a destra, evidenziate con circolatura, come sia identica la costruzione delle pennellate oblique «a mosaico» sulla gamba del primo e sulla spalla del secondo cavallo.

Nella terza fila (fig. 63) riprodotto in bianco e nero un particolare del manto del cavallo di un quadro esposto alla Exhibition of Contemporary Italian Painting, San Francisco, 1934-35 (dall’omonimo catalogo). Si notino le caratteristiche pezzature con i segni a Y che si trovano nei tre cavalli.

Vorremmo a questo punto far rilevare argomenti che riteniamo di grande importanza.

Il modello da cui l’eventuale falsario deve aver copiato il quadro (se falso) è riprodotto nel libro di Fagiolo della fine del 1991 (fig. 31), nel formato cm 8,2x10,4, in bianco e nero e con immagine non nitidissima. Immagine e formato che non avrebbero consentito al falsario di percepire e fare proprie in modo così pertinente le pennellate costruttive di de Chirico, cioè la sua grafia pittorica istintiva.

La foto nel libro di Fagiolo non consente neppure un ingrandimento dei particolari sufficiente per istituire un confronto come quello che abbiamo proposto.

Infine, nel presunto modello, i caratteristici segni scuri del manto sono molto meno definiti (appunto per la bassa qualità della riproduzione) e meno simili a quelli presenti nel quadro in esame di quanto non siano invece quelli degli altri due esempi qui presentati.

Possiamo argomentare quindi:

1 poiché non è equivocabile la precisa omogeneità stilistica che si coglie tra il quadro in esame e quello di fig. 62, proprio nel modo di costruire i volumi della gamba e della spalla con pennellate oblique e verticali accostate (attenzione: non copiate da un quadro all’altro, ma uguali per andamento, composizione e struttura), come è possibile che l’ipotetico falsario abbia colto elementi così importanti e caratteristici in un modello del tutto insufficiente (quello di fig. 31)?

Page 22: Cavalli, cavaliere e tempietto (Dioscuro) (1932 circa) · Cavalli, cavaliere e tempietto (Dioscuro) (1932 circa) Olio su cartone, cm 31,8x39,3 Firmato in basso a destra: G. de Chirico

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2 Dal momento che il manto pezzato nel dipinto in esame è molto più simile a quello dei due esempi riportati (figg. 62, 63) che a quello del presunto modello (fig. 31), dovremmo pensare che il falsario abbia fatto una sofisticata ricerca di abbinamenti stilistici (la composizione e il disegno da un modello e i particolari pittorici da altri modelli) su riproduzioni a colori non reperibili se non dopo il 1991: il dipinto di fig. 62 è noto a colori solo dall’estate 1991; quello di fig. 63 risulta pubblicato solo in bianco e nero.

Oppure dobbiamo concludere che vi sia prova chiarissima dell’autenticità del dipinto.

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TAVOLA IX

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Dipinto in esame

62 62/a

62/b

63 63/a

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Parte VII. La schiena dell’efebo.

Secondo le CTU «Il dorso del fanciullo è privo di quelle infossature caratteristiche che indicano la sommaria, mentale – nel senso che la evocano, non la descrivono – anatomia del corpo, e la testa col suo caschetto ricciuto caratteristico, non si accorda però stilisticamente, nella sua rigidità, al corpo disossato e privo di muscolatura dell’efebo. Ma poi dove e perché il fanciullo con la testa dritta dinanzi a sé si sta slanciando?»

Per la rigidità nell’attacco della testa al corpo si veda il particolare del dipinto Bagni misteriosi II, 1936 (fig. 65, tav. X, p. 48). Per il resto non paiono necessari commenti all’analisi delle CTU sulla presunta mancanza delle infossature che «evocano» ma non «descrivono» la sommaria e mentale anatomia del corpo.

Se ne deduce che nel dipinto in esame l’anatomia è descritta, mentre nei quadri autentici dovrebbe essere evocata.

Sono talmente eloquenti, nel confronto dei particolari a tav. X, le analogie che, possiamo dire, «le forme parlano».

Il quesito retorico delle CTU « Ma poi dove e perché il fanciullo con la testa dritta dinanzi a sé si sta slanciando?» può riguardare tutti i sette fanciulli a cavallo slanciati in una corsa improbabile verso l’orizzonte marino.

Lasciamo inevasa la domanda delle CTU.

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TAVOLA X

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64 Nuotatore misterioso (1934)

Quadro in esame 65 Bagni misteriosi II (1936)

66 67 68 69

70

66, 67, 68, 68, 70 Particolari di quadri riprodotti per intero a tav. IV

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Conclusioni

L’ampio spettro delle ricerche, i riscontri che abbiamo proposto, la presenza nel quadro in esame degli elementi che caratterizzano l’epoca, inizio anni Trenta, e l’andamento espressivo di de Chirico che in quel tempo esprimeva una pittura mossa e vibrante di luci, materia e colore, l’impianto plastico dei cavalli e dell’efebo, come pure il primo piano, le ombre e lo sfondo marino, non possono, a nostro parere, che portare a una conclusione: il dipinto in esame è opera originale e autentica del maestro Giorgio de

Chirico.