Catalogo della Mostra - I CAPOLAVORI NAPOLETANI DEL 700

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Comune diPalazzo San Gervasio

Pinacoteca e Biblioteca Camillo d’Errico

DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DELLA BASILICATASOPRINTENDENZA PER I BENI STORICI ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI DELLA BASILICATA

Capolavori delSettecento Napoletanodella Collezione Camillo d’Errico di Palazzo San Gervasio

Palazzo d’Errico, Palazzo San Gervasio 18 luglio – 20 ottobre 2013

Mostra a cura della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata

Marta RagozzinoSoprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata

Ideazione del progetto e coordinamento scientificoSilvia Padula e Teresa Garaguso

Coordinamento organizzativoMario Saluzzi

Referenze fotografiche - Archivio fotografico Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicatafotografie diFerdinando Ottaviano QuintavalleBeatrice Carriero e Giuseppe Maino

Ricerche iconograficheLuciana Castellano, Pietro Valluzzi eCaterina Viggiani

Ricerche bibliograficheCristina Salomone

Manutenzione conservativa delle opere - Laborato-rio di Restauro della Soprintendenza per i Beni Sto-rici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata diretto da Apollonia Basile Lucialba Barbalinardo e Damiana Robertie Eufemia Maria Rosaria D’Ambrosio, Anna Maria Leone con Mario De Giacomo e Antonio Stigliano

AllestimentoPietro Paolo Tarasco con Domenico Bia, Giovanni Di Trani e Tobia Loglisci

Ufficio Stampa Michele Saponaro

Consiglio di Amministrazione dell’Ente Morale Biblioteca Pinacoteca Camillo d’Errico di Palazzo San GervasioPresidente Michele Mastro Sindaco di Palazzo San GervasioComponenti Marta Ragozzino Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della BasilicataConservatore Mario SaluzziRappresentante del popolo Mario RomanelliRappresentante della famiglia Eugenia d’Errico

Capolavori del Settecento Napoletano della Collezione Camillo d’Errico di Palazzo San Gervasio

Partner

Palazzo San Gervasio Palazzo d’Errico18 luglio – 20 ottobre 2013

Ingresso liberoOrari 10.00 - 13.00 / 17.00 - 20.00Info 338.76723380972.44479 - 0972.44268 [email protected]

Regione Basilicata

Provincia di Potenza

Macchine agricole dal 1927www.cicoria.it

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Dalla mia elezione a Sindaco di Palazzo San Gervasio, ho sempre creduto nelle poten-zialità di sviluppo della Biblioteca e Pinacoteca Camillo d’Errico, tanto che la inserii tra le priorità nel programma che presentai agli elettori durante la campagna elettorale. I progetti in cantiere sono tanti, e sono sicuro che con il sostegno del c.d.a. dell’Ente Morale Camillo d’Errico, della Soprintendenza ai Beni Storici Artistici di Matera e la Regione Basilicata, riuscirò durante tutto il mio mandato, a concretizzarli e conclu-derli. Sono sicuro che la Pinacoteca e Biblioteca Camillo d’Errico, insieme al castello, al bosco, e alla gastronomia, siano i volani giusti per un’offerta integrata di turismo sostenibile, facendo ritornare Palazzo San Gervasio il baricentro naturale tra Matera, Melfi e Metaponto.

Geom. Michele Mastro Presidente C.d.a. ente morale Camillo d’Errico

Questo, è un anno importante per la Pinacoteca e Biblioteca d’Errico e la città di Pa-lazzo San Gervasio, difatti ci stiamo preparando a festeggiare nel 2014, i 100 anni dalla fondazione dell’ente morale Camillo d’Errico. Abbiamo iniziato il programma culturale 2013/2014, con tantissime attività, riportando palazzo d’Errico, al suo ruolo centrale di protagonista nel mondo delle arti e della cultura, avviando anche numerosi inve-stimenti importanti, come l’acquisto della cappella del Purgatorio, tutto ciò, per far fruire al meglio le numerose ricchezze che Camillo d’Errico ha voluto consegnare a fu-tura memoria ai numerosi visitatori nazionali e stranieri. Questa mostra, e i concerti di musica che saranno organizzati al suo interno, saranno un nuovo biglietto da visita per la Basilicata tutta, facendo si, che la città di Matera, (candidata a diventare capitale europea della cultura per il 2019) assieme a Palazzo San Gervasio, siano protagonisti sulla scena culturale internazionale.

dott. Mario Saluzzi Conservatore pinacoteca d’Errico

Continua il ciclo di mostre che, come asseriva qualche tempo fa il Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Basilicata, Attilio Maurano, unisce le opere della raccolta, al luogo in cui esse sono state originariamente collocate, ovvero nella casa museo che Camillo d’Errico aveva pensato ed allestito, per poi farne dono alla collettività di Palazzo San Gervasio.Prosegue, come si diceva, quel percorso virtuoso che vede legato il territorio e la sua gente alla “collezione d’Errico” rapporto mai sopito e men che meno dimenticato, ben-ché compresso da vicende che ormai fanno parte della storia della collezione.

La nuova mostra allestita in Palazzo d’Errico, grazie alla preziosa attività della Soprin-tendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata, eccellente-mente rappresentata dalla Dott.sa Marta Ragozzino, oltre che dei suoi bravi collabo-ratori, pone al centro dell’attenzione opere pittoriche di rara bellezza, sapientemente scelte ed organizzate in un percorso che emoziona e sorprende.Ci si auspica, dunque, che correlativamente alle emozioni suscitate da questa “vetri-na”, venga valorizzato quel “marchio di qualità” della Basilicata, capace di esportare il messaggio di forza culturale che questa terra esprime.

avv. Mario Romanelli Rappresentante del popolo c.d.a ente morale C. d’Errico

….....quando si aprono le sale del palazzo d’Errico, ritorna per tutti noi l’abitudine a percorrerle una dopo l’altra, a seguire il bisogno di scoprire quale “segreto” possano regalare, realizzando così il desiderio di Camillo d’Errico di poter gioire della bellezza dell’arte!Siamo grati perciò, a tutti coloro i quali con grande passione ed entusiasmo fanno in modo di donarci nuovamente momenti indimenticabili.

Famiglia d’Errico

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Questo progetto nasce dalla profonda sintonia e dalla proficua collaborazione che caratte-rizzano i rinnovati rapporti tra Soprintendenza, Ente Morale “Pinacoteca e Biblioteca Camillo d’Errico” e Comune di Palazzo San Gervasio. Volontà comune dei nostri Enti è quella di con-servare, studiare e promuovere, come già si è visto nell’estate del 2010 con la mostra “Tra mito e storia”, il magnifico patrimonio che Camillo d’Errico ha deciso di lasciare alle genera-zioni successive perchè ne potessero trarre diletto ma anche insegnamento e, dunque, giova-mento e crescita, personale e collettiva, come singoli e in quanto comunità. Perchè la cultura e l’arte non solo ci aprono gli occhi e il cuore e ci permettono di vedere e apprezzare la bellezza (e in questo caso i capolavori della Pinacoteca d’Errico scelti da un colto collezionista come fu il munifico Camillo, che aveva chiarissimo quale fosse il valore educativo della cultura) ma, soprattutto, aprono la testa e ci aiutano a conoscere e comprendere meglio noi stessi ed il mondo: ad acquisire senso critico e autonomia di giudizio, fondamentali in questo momento tanto critico, in cui speranze concrete devono essere date alle nuove generazioni. Per questo motivo sono veramente lieta di presentare una mostra che mette al centro la bel-lezza in quanto conoscenza e riporta a Palazzo San Gervasio un compatto nucleo di splendide opere del Settecento napoletano, scelte appositamente per illuminare i principali generi che sono rappresentatati nella ricchissima raccolta d’Errico. Opere note e importanti, (tra le quali spiccano senza dubbio i capolavori di Gaspare Traversi), che permettono di dar vita ad un nuovo necessario e più approfondito ragionamento sulle presenze settecentesche nella Pinacoteca, corroborato dalla proposta attributiva che si avanza (Josef Rosa/Joseph Roos), da verificarsi nel corso degli studi che coinvolgeranno giovani e porteranno alla grande mostra prevista per l’anno prossimo e che certamente sarà un ulteriore esempio di fervida collaborazione interi-stituzionale e si inserirà, come ogni passaggio condiviso tra le nostre Amministrazioni -fatto in sostegno di un territorio non più defilato, che sta riscuotendosi con coraggio ed energia e che deve dare spazio ai suoi giovani- nel viaggio corale verso Matera Capitale Europea della Cultura nel 2019, straordinaria occasione per tutta la nostra regione e per ognuno di noi.

Marta RagozzinoSoprintendente Beni Storici Artistici

Etnoantropologici della Basilicata

La mostra Capolavori del Settecento Napoletano della Collezione Camillo d’Errico di Palazzo San Gervasio è nata dall’idea della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici Etnoantropologici della Basilicata di arricchire, attraverso una selezione di bellissime opere d’arte, la conoscenza della complessità e ricchezza della pittura del Settecento napoletano, riconosciute dagli studi solo nell’ultimo quarto del secolo scorso, a partire dalla grande rassegna napoletana del 1979. Il percorso espositivo della mostra, che ha come immagine guida la regale Giovane contadina di Gaspare Traversi, si snoda sulle pareti degli ambienti di rappresentanza di Palazzo d’Errico con quarantuno dipinti che illustrano i principali temi e generi che hanno caratterizzato la pittura del secolo dei lumi e della dominazione borbonica. Opere di importanti artisti, la cui attività è narrata dal grande pittore e storiografo Bernardo De Dominici nel terzo volume de Le Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, pubblica-to a Napoli nel 1742, strumento fondamentale per la comprensione della cultura artistica me-ridionale. De Dominici, protagonista della vita sociale e culturale del suo tempo, nell’ultimo volume della sua grande opera, che è storica ma anche critica -nella migliore tradizione mo-derna inaugurata da Vasari e seguita da Bellori-, si occupa proprio degli artisti a lui contem-poranei, attivi fino all’inizio degli anni quaranta, pochi anni prima della morte di Francesco Solimena, che fu suo maestro, e dell’arrivo a Napoli di Luigi Vanvitelli e poi di Ferdinando Fuga e Sebastiano Conca. La sua testimonianza, basata su dati biografici acquisiti direttamente ed indicazioni di prima mano sui dipinti, è particolarmente importante non solo per la descrizio-

ne delle opere bensì anche per ricostruire il contesto e le relazioni tra gli artisti.Tra i pittori ricordati da De Dominici sono esposte in mostra opere di Leonardo Coccorante (Napoli 1680 – 1750), Baldassarre De Caro (Napoli 1689 - 1750), Domenico Brandi (Napoli 1684 – 1736), Elena Recco (notizie 1695 – prima metà XVIII secolo), Aniello Ascione (notizie 1680 – 1708), Gaetano Martoriello (Napoli 1673 – 1733), Pietro Graziani (attivo a Napoli tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo), mentre non compaiono le biografie -perché appartenenti alla generazione successiva- di Gaspare Traversi (Napoli 1722/24 - Roma 1770) e Pietro Bardellino (Napoli 1731-1810). Infine si è scelto di presentare l’interessante paesaggio, firmato sul retro ‘Josef Rosa’, in cui si può riconoscere Joseph Roos (Vienna 1726-1805), autore nel Castello di Schonbrunn a Vienna dei grandi Paesaggi che decorano la sala nota come ‘Stanza di Rosa’.I nuovi elementi e l’ipotesi attributiva, che qui si avanza, saranno verificati ed approfonditi da opportune ricerche scientifiche da svolgersi anche in collaborazione con l’Università di Basili-cata in prospettiva della prossima grande mostra sul Paesaggio del Settecento da realizzare a Palazzo San Gervasio nell’estate 2014.Aprono il percorso della mostra quattro magnifici dipinti di Leonardo Coccorante, pittore di prospettive specializzato in modernissime vedute, qui raffiguranti antiche rovine in riva al mare che, sospese in un’atmosfera rarefatta e definita dalla luce tagliente del crepuscolo, lasciano intravedere la sensibilità preromantica del pittore.A seguire, due coppie di dipinti gemelli di Pietro Graziani, con scene di battaglia caratterizzate dal movimento vorticoso dell’azione. Queste opere restituiscono perfettamente, o meglio il-luminano, la citazione di Bernardo de Dominici, il quale ricorda che Pietro ‘dipingeva battaglie, nelle quali si vedeva gran furia, e maestria di pennello nell’adoperare il colore con gran pratica e bizzaria’.A queste si accostano le due pacate battaglie di Gaetano Martoriello, in cui la raffigurazione di un paesaggio ameno predomina sulla furia dell’azione, e i sei dipinti Micco Brandi, ispirati al tema letterario dell’Arcadia, che invoca il ritorno alla vita semplice dei pastori-poeti della mitica regione del Peloponneso in risposta al turbinio e alle ‘esagerazioni’ formali della cul-tura barocca. Seguono le splendide nature morte, due composizioni di frutta di Aniello Ascione e due di pesci di Elena Recco, esempi di un genere pittorico che, nel XVIII secolo, diventa sempre più differenziato e specialistico, all’interno di atelier che si dedicano esclusivamente, come in questi casi, ad un determinato tema o soggetto, botteghe che vengono ereditate da padre in figlio (o figlia), passandosi pennello e clientela.Nelle sei tele di Baldassarre De Caro raffiguranti Cacciagioni, i volatili e gli animali selvatici, prede delle battute di caccia, sono rappresentati come ‘trofei’ insieme a cani, fucili, carnieri e ceste, immagini della piacevole occupazione delle classi aristocratiche.A far da contrappunto i magnifici ritratti dal vero di Gaspare Traversi, capolavori assoluti della pittura napoletana del Settecento, in cui il grande maestro, attraverso la minuziosa descrizio-ne delle caratteristiche fisiognomiche e la forzatura della gestualità dei personaggi ne rivela il carattere e la psicologia. Traversi, con i suoi ben riconoscibili ritratti che individuano dei tipi, tanto amati dalla critica del tempo, crea il luogo comune di Napoli e dei suoi ‘personaggi’ -il bevitore, il suonatore di mandolino, la vecchia, il gobbo- e anche attraverso la rappresenta-zione di una Giovane contadina, con il portamento elegante e lo sguardo fiero di una regina.Completano l’esposizione tre composizioni di piatti in porcellana dipinta, realizzati nella cele-berrima Real Fabbrica di Capodimonte e sei piccole ‘scene di genere’, dette ‘Bambocciate’, una novità assoluta in campo pittorico, fortemente gradita alla nuova committenza borghese.

Silvia PadulaStorico dell’arte Soprintendenza

Bsae della Basilicata

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Leonardo Coccorante (Napoli 1680 circa – 1750)

Ruderi con marina olio su tela, terzo decennio del XVIII secolo

Nelle Vite de’ pittori scultori e architetti napoletani del 1742 Bernardo De Dominici trac-cia il primo profilo di Leonardo Coccorante, allievo del palermitano Angelo Maria Costa, definendolo, tra gli ar-tisti viventi, ‘virtuoso pittore di architetture e vedute’ e citando, tra i lavori più prestigiosi dell’artista, la realizza-zione su incarico diret-to di Carlo di Borbone delle ‘due stanze di quadri parte di Archi-tetture e Prospettive, e parte di belle vedute con porti di mare città e paesi’ in Palazzo Re-ale a Napoli, oggi pur-troppo perdute.Leonardo Coccorante esprime con raffinata sensibilità nelle sue modernissime vedu-te reali o di fantasia, una propensione e uno spiccato interessa-mento per le antiche rovine di templi e mo-numenti della classici-tà, protagonisti, sulla scia delle importanti scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei, nelle opere di molti pit-tori scultori e architetti del tempo.La sua attività fu mol-to apprezzata dalla colta committenza ari-

stocratica napoletana nei grandi cantieri per la realizzazione delle decorazioni di volte e soffitti, anche in trompe l’oeil, grazie al suo talento nell’inquadrare lo spazio impo-stando le prospettive architettoniche. I quattro magnifici ‘Ruderi’, che possono essere considerati parte di una serie omoge-nea, evidenziano la straordinaria sensibilità preromantica del pittore, capace di me-diare tra una luminosità atmosferica rarefatta, ‘a luce diffusa’, che pervade gli spazi e li costruisce e fasci di luce dell’alba, che segnano le architetture con ombre ritmate e taglienti.

Coccorante conce-pisce le sue vedute come fondali sceno-grafici nei quali le ro-vine sono protagoni-ste. I personaggi che animano lo spazio, spesso eseguiti da altri pittori ed estre-mamente piccoli rispetto alle archi-tetture, aggiungono alla composizione elementi di gusto ro-cocò, facendo intuire la predilezione del pittore per il capriccio e la licenza creativa e fantastica, più che rivelare una compo-nente intimistica e drammatica che po-trebbe essere sotte-sa alla teatralità del-la scena.

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Pietro Graziani (Napoli -attivo tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo)

Battaglia olio su tela, inizi del XVIII secolo

Pietro Graziani, pro-babilmente figlio di Francesco, pittore della seconda metà del XVII secolo at-tivo tra Napoli e Roma e anch’egli specializzato in battaglie, viene ci-tato da Bernardo De Dominici come l’ar-tista che ‘dipinge-va battaglie, nelle quali si vedeva gran furia, e maestria di pennello nell’ado-perare il colore con gran pratica e biz-zaria’.Le due scene di bat-taglia qui esposte, costruite sul mo-vimento vorticoso dell’azione si adat-tano perfettamen-te alla descrizione dello storiografo napoletano. La pit-tura di Graziani mo-stra, infatti, un brio ed una scioltezza di

tocco che è caratteristica già del Settecento. Si può ricondurre alla sua mano un grup-po di opere di piccolo formato, dai caratteri ‘più moderni e alla moda’, in cui il pittore costruisce, su sfondi paesaggistici abbozzati, l’azione in primo piano: affollate scene di cavalleria con combattenti appena accennati nei tratti somatici, delineati con una pennellata secca e nervosa. Inestricabili grovigli di cavalieri vengono illuminati da sa-pienti tocchi di colore senza che si possano riconoscere volti e fisionomie.La grande quantità di opere realizzate testimonia il grande favore riscosso da questo genere presso la nuova committenza borghese.

Gaetano Martoriello (Napoli 1673 – 1723)

Scena di corsariolio su tela, inizi del XVIII secolo

Nelle due Scene di cor-sari dipinte da Gaetano Martoriello, il tema della battaglia è inserito in un paesaggio, un ambiente ameno che nell’opera ap-pare preminente rispetto all’azione.Allievo di Giacomo del Po, Martoriello viene descrit-to come pittore di vedute marine e paesaggi da de Dominici, che non fu solo il noto biografo e storio-grafo autore delle Vite, bensì anch’egli pittore paesaggista. Coetaneo di Martoriello, de Dominici militò nella stessa botte-ga e, in diverse occasioni, si contese con il pittore i favori dei committenti. De Dominici tratteggia il carattere gioviale, allegro e ‘burlesco’ di Martoriello e racconta della sua vita dissoluta e sconclusio-nata, sempre in cerca di danaro per assecondare il vizio del gioco e delle donne, atteggiamento che lo aveva reso, secondo lo storiografo, avido e invidioso e che gli aveva fatto perdere credibilità presso la nobiltà napoletana.Nonostante queste considerazioni, lo elogia in diversi passaggi riconoscendogli il gran talento, ‘assai fantasia, e la bizzarria de’ componimenti col bel colore’. Non solo, par-lando di Michele Pagano, che gli fu allievo, scrive che ‘prese a imitare i belli sassi e’l vago color del Martoriello’, ed infine racconta l’incredibile aneddoto sulla morte del pit-tore, il quale ‘abusò de’ gelati che gli cagionarono una dissenteria, per la quale dovette soccombere’.

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Domenico Brandi – detto Micco Brandi (Napoli 1684 – 1736)

Pastori e armenti olio su tela, terzo decennio del XVIII secolo

Il piccolo ciclo è ispirato al tema letterario dell’Arcadia, risco-perto in quegli anni in risposta al caos e alle esagerazioni del barocco, che invita al ritorno alla vita amena e semplice dei pastori-poeti della mitica re-gione del Peloponneso.Delle sei tele qui esposte, quattro appartengono ad una unica serie per le identiche mi-sure, la medesima gamma cro-matica e la stessa impagina-zione mentre le altre due sono accostabili per analogia nella composizione, nel complesso dunque costituiscono un insie-me stilisticamente omogeneo. Bernardo De Dominici, primo biografo di Micco Brandi, rac-conta delle sue esperienze in Abruzzo nei pascoli del Mar-chese di Vasto, suo mecenate e scrive che egli dipinge ‘accor-dando con mezze tinte e pochi lumi gli animali’.I primi dipinti sono immersi in una chiara e limpida luce diur-na, gli altri due sono ambienta-ti in una suggestiva atmosfera vespertina, ma tutti presenta-no una composizione ampia, caratterizzata da un orizzonte lungo con il cielo basso e resti-tuito con una gamma cromati-ca squillante e pastosa, anche grazie al chiaroscuro.

Le tele sono state asse-gnate a Domenico Bran-di per il confronto di-retto con due coppie di dipinti di egual sogget-to, firmati e datati, una conservata alla Staats-galerie di Stoccarda e l’altra alla Galleria Bor-ghese di Roma. Il gruppo di opere qui esposte, insieme a quel-le di Roma e Stoccarda ed anche ai due dipinti à pendant della colle-zione Naschi di Caserta, risultano accomunati dalla stessa sensibilità per la resa dal vero del-le cose: dal vello degli animali, alle fronde, alle vesti e all’acqua; non-ché dell’analogo modo di costruire i corpi, pla-smando il chiaroscuro pastoso in una tavoloz-za ricca e brillante. In-fine, gli animali ripresi fedelmente da una tela all’altra, non sono mai una sorda replica ma il riuso di una invenzione propria.

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Piero Bardellino (Napoli 1731 – 1810)

Scena campestreolio su tela, inizi del XVIII secolo

Le tele compongono, insieme alle due esposte a Matera nel Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata, un piccolo nucleo di repliche di dipinti dello stes-so soggetto realizzati da Francesco De Mura, omogenee per soggetto e dimensioni e soprattutto per caratteristiche stilistiche.Pietro Bardellino, infatti, tra gli allievi più dotati e prolifici della bottega demuriana, avviò la propria attività con repliche e opere di stretta derivazione dal maestro, tradot-te con una caratterizzazione dei personaggi e delle figure ‘più vernacolare’.Attribuiti al Bardellino da Mauro Fontana, nel-la mostra Splendori del Barocco defilato, i dipinti denotano il buon livello qualitativo dell’artista che con vigore formale, un raffinato cromatismo, la stesura brillante e lu-minosa del chiaroscuro, associa agli iniziali mo-delli del caposcuola l’at-tenzione verso un pitto-ricismo più intenso, una sensibilità briosa e squi-sitamente rococò.

Joseph Roos (Vienna 1726-1805)

Paesaggio con cacciatoriolio su tela, seconda metà del XVIII secolo

Il dipinto, firmato sul retro della tela Josef Rosa, è riferibile a Joseph Roos, ultimo espo-nente di una dinastia di pittori tedeschi. Il capostipite Johann Heinrich, attivo in Olan-da nella metà del XVII secolo, dipinge idilli pastorali con greggi e pastori, suo figlio Peter, specialista in paesaggi con animali, si stabilisce in Italia nel 1677 e diviene noto col nome di Rosa da Tivoli. I due figli di Peter, i pittori Jacob, detto Rosa da Napoli e Cajetan che si firma Gaetano Rosa, sono particolarmente attivi in Italia nella prima metà del XVIII secolo.Cajetan Roos è il padre di Joseph noto anche come Giuseppe.Joseph lavora a Vienna per Maria Teresa d’Austria, realizzando tra il 1765 e il 1780, l’intero apparato decorativo di tre stanze del Castello di Schonbrunn, tra cui la più im-portante prende il nome ‘Stanza di Rosa’, dal nome italianizzato del suo esecutore. Nel museo civico di Siena sono esposte quattro grandi tele raffiguranti Scene di caccia attribuite a Joseph Roos, a cui si accostano i due dipinti, Caccia al toro e Caccia al cervo individuati dalla critica recente nella collezione salentina Galluccio Mezio e segnalate come opere di Giuseppe RosaL’ipotesi che qui si avanza sarà oggetto di ulteriori ricerche e approfondimenti.

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Elena Recco (Napoli notizie 1695 - prima metà XVIII secolo)

Natura morta di pesci e crostaceiNatura morta di pesci e fainaolio su tela, inizi del XVIII secolo

Figlia di Giuseppe Recco, celebre specialista di natura morta, Elena raggiunge il padre in Spagna nel 1695, su specifica richiesta di Re Carlo, con l’incarico di lavorare per la Corte. Riscuote un apprezzamento e un successo tale che, al suo ritorno in Italia, le sa-ranno conferiti grandi onori che, come riferisce De Dominici, ‘può desiderare qualsisia qualificato personaggio’.A differenza del padre, nei cui dipinti compaio-no tutti i soggetti della natura morta -fiori e frutta, animali vivi e morti, interni di cucina, i banchi del pescatore- Elena predilige dipinge-re nelle sue opere i pe-sci. Rappresenta, come in queste due tele, ardi-te composizioni di varie specie di pesci, mollu-schi e crostacei appe-na pescati, trasudanti l’umido e l’odore del mare, definiti da una pennellata densa e una particolare gamma cro-matica, che mettono in risalto il colore rosato e le sfumature grigio-az-zurre delle squame dei pesci, caratteri distinti-vi delle opere della pit-trice, quasi la sua firma.

Aniello Ascione (Napoli notizie 1689 - 1750)

Natura morta con uva e pescheNatura morta con uva pesche e fichiolio su tela, inizi del XVIII secolo

Attribuite da Aurora Spinosa, nelle schede di catalogo della Soprintendenza del 1983, ad Aniello Ascione, tra i principali protagonisti della natura morta barocca a Napoli, le due splendide tele attestano il repertorio dall’artista, specialista nella rappresen-tazione di frutta e una particolare predilezione per l’uva. Un repertorio desunto dalle opere di Giovan Battista Ruoppolo di cui fu allievo, come racconta il De Dominici che di questo artista scrive: “… dipingendo con amenità di colore assai vago…….ha fatto molte opere di frutti e fiori, ma per lo più le frutte, e l’uva erano la sua applicazione……e da tutti son tenute in pregio l’opere sue”. In queste due composizioni, caratterizza-te da un cromatismo caldo e da una schietta vena decorativa, maturata sulla lezione dell’ultimo Giordano, il pittore dà vita a fantastiche scenografie, veri e propri ‘trionfi’ di frutta, perfettamente in sintonia con la sprizzante ed esuberante vitalità del barocco napoletano. Evidente in ambedue i dipinti la tecnica, densa di lumeggiatura, con la quale l’artista definisce ad uno ad uno gli acini di uva di qualità differente, aggrappati ai poderosi tralci, che a cascata costruiscono una composizione a piramide.

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Baldassarre de Caro (1689 – Napoli 1750)

Cacciagioneolio su tela, prima metà del XVIII secolo

Baldassarre de Caro fu speciali-sta nel genere della natura mor-ta di cacciagione, che al pari di quello della raffigurazione di animali vivi e scene di caccia, vide il suo massimo successo nell’arredamento delle sale da pranzo e degli ambienti di svago dei casini di campagna.De Caro appartenne ad una delle tante dinastie di pittori napole-tani, come i Recco, i Ruoppolo, i Nani, i Graziani che, specialmen-te nel campo della natura morta, ereditarono dai parenti botteghe e clienti.Fu allievo di Andrea Belvedere, nella cui bottega iniziò a dipin-gere fiori, con una pennellata leggera e colori cristallini. La sua attività fu presto caratterizza-ta dalla rappresentazione degli animali, con un forte richiamo al naturalismo seicentesco. Per il pittore è importante la resa mi-

nuziosa dei particolari ma anche un sistema cromatico variopinto e un gusto per le accen-sioni cromatiche nei piumaggi, di evidente derivazione dalla pit-tura dei maestri della generazione prece-dente, di cui asse-conda quei modi neo seicenteschi diffusisi a Napoli nei primi de-cenni del Settecento e

trasmessi grazie agli spunti offerti da nume-rosi pittori provenienti dalle Fiandre. Rilevante nella sua attività l’armonia con la quale costruisce le composizioni con vigore narrativo, animali morti e vivi inseriti in uno scenario campestre come ‘trofei’ volatili e fiere selvatiche prede delle battute di caccia, dipinte insieme a cani, fucili, carnieri e ceste, esemplare corredo della piacevole occupazio-ne delle classi aristocratiche. A partire dal terzo decennio, in ossequio al magistero di Francesco Solimena, che condi-ziona tutta la pittura napoletana, De Caro ca-ratterizza e definisce il suo stile, privilegiando connotanti tonalità scure e cupe e caricando i dipinti di ombre dense e forti contrasti chia-roscurali. Il corpus delle sue opere è stato ricostruito attraverso l’individuazione di una buo-na quantità di dipinti siglati ADC con le lettere intrec-ciate, e la critica recente ha tracciato l’evoluzione della sua pittura individuando, nelle ultime fasi della sua attività, per quanto carat-terizzate da una ripetitività dei soggetti ed una asfit-ticità dell’ispirazione, una sua omogeneità stilistica e una tecnica comunque di qualità, caratterizzata dal denso impasto di colore.Anche se De Dominici tesse le sue lodi, scrivendo che ‘egli è uno de Virtuosi Pro-fessori, che presentemen-te fanno onore alla Patria’, De Caro morì in miseria nel 1750.

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Gaspare Traversi (Napoli 1722 o 1724 – Roma 1770)

Giovane contadina Bambina che accarezza un gattoFanciullo con catinoolio su tela, prima metà del XVIII secolo

Gaspare Traversi, fin dai primi anni della sua atti-vità, predilige per le sue composizioni motivi e temi desunti dalla tra-dizione seicentesca di natura caravaggesca e riberiana di orientamen-to naturalista e verista. Motivi che l’artista, allie-vo di Francesco Solime-na, coniuga alle temati-che della realtà sociale del suo tempo, pervaso dagli stimoli e dalle nuo-ve idee che l’Illuminismo aveva fatto emergere.Protagonisti dei suoi quadri, accanto ai sog-getti sacri, sono i nuovi ricchi, mercanti e bor-ghesi di cui mette a nudo, con straordinario realismo e sottile iro-nia, modi e abitudini di vita rappresentati nella quotidianità e nei nuovi modi di trascorrere il tempo libero, ma sono anche popolani, vecchi e giovani, scugnizzi, mendicanti e storpi, gli emarginati, l’umanità multiforme e ignorata che affolla i vicoli e le osterie malfamate di Napoli che in maniera spesso caricaturale diventano emblema di vizi e virtù.I magnifici ritratti ‘dal vero’ di Gaspare Traversi, dipinti tra il 1748 e il 1750, sono capola-vori assoluti della pittura napoletana del Settecento. Traversi, con i suoi dipinti, tanto amati dalla critica del tempo, crea la tipizzazione e ‘il luogo comune’ di Napoli attra-verso personaggi caricaturali, ma anche attraverso la rappresentazione di una Giovane contadina, elegante e con il portamento e lo sguardo fiero di una regina.

Maniera di Gaspare Traversi

Sala da giocoConcertoolio su tela, prima metà del XVIII secolo

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Manifattura di Capodimonte

Scene di genere porcellana, seconda metà del XIX secolo

Carlo di Borbone e sua moglie Maria Amalia di Sassonia fondarono nel 1743, sulla colli-na di Capodimonte, la Real Fabrica della porcellana in competizione con le manifatture di Sèvres e di Meissen. Maria Amalia era figlia di Augusto il Forte, Re di Polonia, che era stato il fondatore di questa produzione, la prima in Europa ad affermarsi con enorme successo. La produzione napoletana si caratterizzò subito anche dal punto di vista tecnico, in-fatti i chimici Livio e Gaetano Schepers, utilizzando dei minerali trovati a Fuscaldo in Calabria, realizzarono una porcellana tenera, naturale, traslucida, delicata come nes-suna altra. La fabbrica aveva una sezione plastica per la produzione di piccoli gruppi scultorei e del vasellame per i servizi da tavola, ed una più specificamente pittorica per la decorazione, in questi anni fortemente caratterizzata da motivi orientali e rococòCon il trasferimento in Spagna di Carlo di Borbone nel 1759, si conclude la prima fase di produzione poiché il Re trasferisce al Buen Retiro di Madrid anche attrezzature e artisti. L’attività della Real Fabrica viene ripresa da Ferdinando IV nel 1771, con una produzione ormai aggiornata ai nuovi modi neoclassici fino all’avvento napoleonico, e prosegue per tutto il XIX secolo. Con la cacciata da Napoli dei Borboni, l’attività della fabbrica si orientò verso nuove fi-nalità commerciali, avviando una produzione più marcatamente seriale, caratterizzata da un partito ornamentale naturalistico con fiori e frutti, tipico del repertorio decorati-vo di vasellame e servizi da tavola. La decorazione dei piatti e vassoi con scene figurate richiama le composizioni di scene di genere e figurine con soggetto popolare. A questa fase produttiva, che giunge fino alla seconda metà dell’Ottocento, si deve la realizzazione di questi nove piatti che ripetono, nel tema scelto per la decorazione, scene della vita quotidiana napoletana, tradotte in maniera semplice e narrativa dalle opere dei pittori della scuola di Posillipo.

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Finito di stampare

nel mese di luglio 2013

da Grafica & Stampa di Altamura

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Palazzo d’Errico18 luglio – 20 ottobre 2013

Capolavori del Settecento Napoletano della Collezione Camillo d’Errico di Palazzo San Gervasio