Cassandra - Maggio 2014

32
cassandra

description

i negri sono belli e ci hanno i piselli

Transcript of Cassandra - Maggio 2014

Page 1: Cassandra - Maggio 2014

cassandra

Page 2: Cassandra - Maggio 2014

l’ed

itor

iale

2

Nessuno legge mai gli editoriali

di Giulia Testa, 3BPrepara un editoriale. Biblioteca. Aveva con sé la sua verità e la sua condanna. Dialoghi con Leukó. E’ il mio sogno da quando sono quartina, ma… Samsung bianco. Ciao Bonnie, anche tu qui? Sorriso sotto riccioli d’oro. È per Cassandra? Mmm mmm. Niente. …nessuno legge gli editoriali. “Si chiama...”. Grazie mille, Wally. Il suo destino era scritto in mezzo a uomini, non a dei. Ma non fu gloria la sua scelta, o il fulgore degli eroi. Bello il paraspifferi alla finestra. Ildegarda di Bingen? <<L’ineluttabile dissidio fra necessario e im-possibile>>. Prova ad assaggiare asparagi e cioccolato. Nessuno legge Cassandra, leggono solo gli ipse dixit. Credo che cucineró un riso fred-do. Uno solo? Beh non si può mica andare avanti così, no? Una teglia. Non sarà mai la morte la sua fine, non il silenzio, non la sconfitta. Venne amata da chi non poteva averla, venne punita da chi non sapeva accontentarsi. La teglia è di pizza. Con i carciofi. Preferirei i peperoni. Sul suo cammino la guidava una luce buia. Già, come a Versailles. Lanciamo un sasso nello stagno e vediamo cosa succede. Non posso pensare di passare la mia vita lì...ho altri... as-solutamente no, lunghe vacanze. Lo hanno accusato di stregoneria, ma era solo dentifricio. Una provocazione? Sia Apuleio sia Camus sono nati in Algeria. Portava la sua voce fra gli uomini con la forza della verità. Camminava, inascoltata, fiera, forse, o forse inconsapevole della propria maledizione. E se poi la gente non la capisse? Darwin, certo. Porca miseria, ma sono ingrassata di colpo. Cosa fai? È andata, eh sì. Gli interessati capiranno, gli altri non leggeranno. Le strade di Trento sono strette e quel pullman... Uno stream of counsciousness: di cosa stiamo parlando?... <<Ogni gene-razione si crede votata a rifare il mondo>>. Queste sono le tovaglie della mamma di Masse. …chi è Cassandra? Viene al ballo delle terze? Sì, sto aspettando. Sembra la vispa Teresa che parla a vanvera. Non hanno il senso della misura. In modo eclatante. Una serie di cose a caso e ve-diamo chi legge fino alla fine. Connessione in corso. Lo avevo intuito: è un po’ così. Ascolta Wally, ho visto questa mostra: ‘Persi nel paesaggio’. <<Le erbacce costituiscono la materia prima per la sopravvivenza degli insetti>>. E quale sarà il filo rosso? Anni: 96 e mezzo. Sto ancora aspet-tando le campane. Aspetti, aspetti. Sei tremenda. Toutο oudeν mhdepotε egenhtο, estι dε aeι. Con la forza del mito il suo nome rimase nei secoli. <<Immortale è chi accetta l'istante. Ma i mortali? Chi direbbe che nella loro miseria hanno tanta ric-chezza?>> Fulmen in clausola: wow, almeno tu hai letto l’editoriale. Il suo nome è: Cassandra.

Page 3: Cassandra - Maggio 2014

IL SOMM

ARIO

3

SarpiSe qualcuno sente puzza di bruciato Fuso Orario Finlandia

Attualità’L’angelo di Carditello _ Mai mangiare salmone scaduto, figa _ Nuove prospettive internazionaliste anali _ Romanzi di vita vera

CulturaNon solo orologi di stocazzo _ Sull’utilità e il danno della filosofia per la vita: ovve-ro il primo storico articolo di Giulia Zaccaro _ Lady Ubuntu _ MAi troppo grandi

NArrativaLucy _ Niciani contrasti non so come si scrive ma leggetelo che è bello ciao _ Ombre nella notte _ Se non parlo sopravvivo _ Wretched Town

3^ PaginaRoma Ladrona _ Ipse Dixit _ Vignette del Palu _ Sbatti zero

Page 4: Cassandra - Maggio 2014

Sarp

i

4

Se qualcuno sente puzza di bruciato…

…è qualche coda di paglia

di Giulia Testa IIIbPremessa: invito i lettori ad accogliere le mie parole e a ribattere, magari con un altro articolo, sul prossimo numero di Cas-sandra – con tutta la responsabilità, la co-erenza e, soprattutto, il rispetto di e da en-trambe le parti coinvolte in tali questioni. Ed ora comincia l’articolo. Volevo sof-fermarmi a riflettere sul valore, sulle mo-dalità e sul contenuto di insegnamento e apprendimento perché, dopo cinque anni, un bel po’ di esperienza alle spalle, sogni nel cassetto e disillusioni tra le mani, alcune domande sorgono spontanee. Da sempre ripeto e per sempre ripe-terò che la scuola è la seconda casa dello studente – se non altro, perché ci passa metà della propria giornata – e come tale dovrebbe essere vissuta nel concreto. Ma, ahimè, quando si prova a parlare con i professori di questo argo-mento, si viene presto bollati come “fan-cazzisti”, perché a scuola si viene per studiare, mica per stare sereni. Oppure, peggio ancora, spesso veniamo definiti “bambini” per come ci comportiamo. Bambini perché in una settimana di so-vraccarico di verifiche chiediamo una distribuzione più equa; bambini perché di fronte a palesi ingiustizie vorremmo capire le motivazioni di alcuni atteggia-menti; bambini perché di fronte a nostre aperture al dialogo sbattiamo sempre contro a un muro. Ammetto che siamo bambini nelle nostre illusioni. Un professo-re dovrebbe domandarsi perché i propri studenti arrivano al punto di odiare quel-lo che fanno, mentre nei fatti risponde, forte della sua unilateralità e parzialità, per tutelarsi. Nessuno mai vuole offen-dere o attaccare: qui spesso ci si è solo fermati a chiedere e sforzarsi di capire. Ma ormai sembra che vada molto di moda un rapporto lesivo fra studenti e docente, che porta a malintesi, ramma-

rico, delusioni e tensioni davvero inutili. Nessuno qui ha scelto di studiare per cin-que anni per arrivare alla fine e dire: “se tornassi indietro, non lo rifarei”. Noi siamo qui per imparare e si può imparare an-che condividendo umanità, comprensio-ne, idee, opinioni. Forse in questo modo lo studente sarebbe anche più motiva-to a studiare: nessun obbligo, nessuna costrizione, zero terrorismo psicologico; rigore nei limiti della sanità mentale, quello necessario per indirizzare verso un metodo e non per spaventare; libertà e indipendenza rapportati all’età; rispetto e un po’ di passione. L’insegnamento e l’apprendimento hanno senso se riesco-no a trasmettere qualcosa che resti non perché si studia ma perché entra nell’a-nima. Così io, in quanto studens, riuscirò ad assorbire qualcosa perché l’ho sentito veramente mio. Quello che gli studenti vi chiedono, prof, non è meno fatica, ma meno tormento. Non ci spaventa la fa-tica, dopo cinque anni passati in salita. Ci interessa arrivare alla fine con il sorriso. Credo che essere un bravo professore si-gnifichi chiedere tanto ai propri studenti, ma dare anche tanto - e non è vero che dare in umanità sia segno di debolezza. Credo che essere un bravo insegnante si-gnifichi fidarsi dei propri alunni e dare loro la possibilità di misurarsi soltanto con sé stessi. Credo, infine, che un bravo mae-stro parlerebbe così ai suoi allievi, quan-do sono stanchi: “saprete di essere stati all’altezza del vostro Infinito non perché lo avrete raggiunto, ma perché avrete fatto di tutto per non togliervi da quel-la salita” (perché è inutile fare tanti bei discorsi sull’elevatezza dell’uomo “così come ci è testimoniata dagli autori clas-sici” e poi non farcela vedere nella pra-tica).

Page 5: Cassandra - Maggio 2014

Sarpi

Välkommen till Finland!

Silvia Crespi, IIESaper descrivere in poche parole quel-lo che sto vivendo è difficile, se non im-possibile. Vorrei riuscire a portarvi qui a sentire, vedere, provare, ascoltare ”la Finlandia”, anche solo per un momento. Una terra di gente silenziosa, di mangia caramelle fino alla nausea, di persone che non sentono freddo a -20° e che si buttano nel lago ghiacciato, dopo es-sere stati a 110°C nella sauna. Sono tut-ti matti? No, sono solo finlandesi. Vivere in Finlandia non è facile, per numerosi ed immaginabili motivi. A partire dalla freddezza dei nordici, a cui non è affat-to facile abituarsi, se come me siete dei vulcani estroversi. Proseguendo poi con il freddo, il buio, ma soprattutto con la lin-gua, di cui non si capisce niente. Quello che però questa terra ti lascia è davve-ro qualcosa di indescrivibile e speciale. É necessario imparare ad apprezzarla all’inizio, ed è appunto questa la parte complessa: trasformare lo sbagliato in diverso e il diverso in normalità. Il silenzio per esempio, un suono fantastico, che non avevo mai sperimentato prima di venire qui. Ho inoltre assaggiato il sapore della vera conquista, che per me è sta-ta imparare lo svedese, una delle due lingue ufficiali. Quante volte ho perso le speranze di impararlo, ma ora, quando

intrattengo una conversazione in lingua con i miei amici, mi sento davvero rea-lizzata. La pazienza inoltre, un grande insegnamento. In questo paese essa sta alla base di tutto. Si aspetta il Natale du-rante il buio Novembre, si aspetta che la neve si sciolga, che il lungo inverno passi, si aspettano il pullman o il treno (in ritar-do) quando fuori ci sono -20°, si aspetta senza fretta in coda nel traffico o negli uffici. I finlandesi aspettano, senz’ansia. C’è anche la parte della crescita e del cambiamento che un ”exchange year”, in Finlandia come in ogni posto in cui ci si ferma a vivere per un po’, porta con sé. É stata una rivoluzione che ha cambiato il modo in cui guardo ciò che mi circon-da. In particolare, quando incontro nuo-ve persone, mi accorgo di interpretarle, non di giudicarle a priori, come a volte prima capitava. Ho capito che ogni per-sona che ho incontrato mi ha dato un pezzettino di sé, che per sempre rimarrà con me, nel bene o nel male. La chiave è l’opportunità secondo me. Questa è perciò la filosofia che più di tutte ho fatto mia: dare l’opportunità a tutte le perso-ne che incrocerò sulla mia strada di fare parte della mia vita, anche solo un sorriso. Hejdå!

Page 6: Cassandra - Maggio 2014

attu

alit

à

6

Prima di passare per Caserta, prendi il bi-vio a destra dell’A1, uscita Santa Maria.

Percorrendo la statale, arriverai a San Tammaro.

Poco più che un paesino di cinquemila anime campane che occupano una stri-scia di terra tra Capua e l’Agro Aversano, ospita una delle meraviglie più trascurate del meridione italiano:

la Reale Tenuta di Carditello, il complesso architettonico e agrario firmato Collecini e Vanvitelli che rimane ancora oggi uno dei più importanti tra i ventidue siti reali dei Borboni nella cosiddetta Terra del La-voro, nei quali si esprimevano le più rile-vanti forme d’imprenditoria ispirate alle idee illuministe in voga di quei tempi.

Non voglio annoiare il lettore nel discor-rere del più e del meno su un sito che, probabilmente, non visiterà mai.

D’altro canto, intendo riportare una sto-ria non comune, a tratti eroica, relegata in fondo ai quotidiani nazionali, ma de-gna dell’intervento dell’ormai ex ministro Bray.

Tommaso Cestrone non era un semplice imprenditore agricolo, ma l’uomo che per anni e anni ha, a titolo completa-mente gratuito, custodito e curato la Reggia, abbandonata dagli anni Venti e spogliata di ogni suo arredo.

Purtroppo, quando si cita il meridione, si deve nominare pure la criminalità orga-nizzata e in questo caso la Camorra, che nel dopoguerra ha depredato marmi, camini, stucchi e impianti elettrici della Reggia.

Fu proprio un volontario della Protezio-

L’angelo di CarditelloJacopo Signorelli, IVC

ne Civile, Tommaso, chiamato appunto “l’angelo di Carditello”, a occuparsi di ciò che rimaneva, a lanciare appelli, a lottare senza farsi scoraggiare da minac-ce, intimidazioni, una roulotte bruciata e l’uccisione del suo gregge, fondamen-tale per la sua attività. Sapeva, quindi, a cosa andava incontro, ma si sentiva re-sponsabile come cittadino di proteggere ciò che era anche suo, della sua terra, della sua storia e della sua Nazione.

Non importava che lo Stato se ne infi-schiasse, che fosse solo, lui ci ha creduto. Fino alla morte.

E’ deceduto, infatti, a dicembre dello scorso anno, ma l’odio della Camorra nei suoi confronti sembra non finire: qualche giorno fa la notizia del rogo ai danni del fienile della sua azienda, che ha rimar-cato ancora di più la debolezza delle istituzioni contro la criminalità. Le indagi-ni, ovviamente, continuano, così come le dimostrazioni di uno Stato assente nei confronti dei suoi beni, simboli della sua storia, delle sue radici e tradizioni.

E’ una storia silenziosa, che non cambia la nostra quotidianità, che ci dimentiche-remo fra pochi minuti, quando saremo interrogati in latino, forse.

Chissà quanti Tommaso ci sono in Italia, che dopo il lavoro, anziché tornare a casa, se ne vanno a curare i beni di tutti (e non dobbiamo per forza andare a San Tammaro per trovarli, ci basta l’esempio dei nostri bibliotecari).

Una volta, i Nomadi cantavano “Chico, salvaci tu”, ora dovremmo cantare TOM-MASO, SALVACI TU!

Mai mangiare il salmone scaduto

Page 7: Cassandra - Maggio 2014

Attualità

7

Capelli biondi come il grano, occhi azzur-ri che sembrano pezzi del cielo d’Irlanda, espressione sicura dell’uomo che non deve chiedere mai. No, non sto parlando di quel gran pezzo d’attore di Di Caprio, ma di uno che, al contrario del povero Leo, quest’anno rischia di vincere un premio alquanto importante: è Vladimir Putin, candidato al Nobel per la pace. PUTIN-PACE, non so se mi spiego. Il merito del Presidente russo sarebbe quello di aver collaborato a una risolu-zione diplomatica della guerra in Siria, decidendo insieme agli USA la distruzio-ne delle armi chimiche del Governo di Damasco. Mentre Vlad si prepara a battere niente popò di meno che “il papa dei poveri “ (per citare mia nonna), io sono qui, al cal-duccio del mio letto, che mi strappo le vesti e i capelli manco fossi una prefica: come è possibile? Non si può insignire di tale riconoscimento un energumeno che limita i diritti civili del suo popolo. Da poco, infatti, Putin ha firma-to una legge contro la propagan-da omosessuale che vieta ai gay di manifestare il loro orientamento. Se molti sono arrabbiati, indignati e nau-seati, altri, tra i quali alcuni omosessuali russi, ritengono che questi provvedimenti non vadano concretamente a toccare la vita dei cittadini, perché, in fondo, basta non gridare ai quattro venti i le proprie pre-ferenze amorose e non succede niente. Personalmente, credo che questa tesi sia insostenibile: prima di tutto, una leg-ge deve garantire la libertà del popo-lo, non calpestarne i diritti e, in secon-do luogo, mettendo alle strette una parte della società, un Governo legit-tima, di fatto, la sua emarginazione. Nei mesi successivi alla promulgazione, gli episodi di omofobia sono aumentati in maniera esponenziale: molti omoses-

Mai mangiare il salmone scaduto

Sara Latorre, 1Dsuali sono stati aggrediti per strada e massacrati di botte, poiché, ora, l’intol-leranza e l’ignoranza sono coperte e, anzi, incentivate dalla legalità stessa. Quello che sta accadendo in Russia è solo il culmine di un problema diffuso da sempre in tutto il mondo: l’omofo-bia. Come il razzismo e ogni altra forma di discriminazione, essa non ha alcun senso ed è solo una declinazione della stupidità e della cattiveria umana, ma rovina tutt’oggi la vita di coloro che sono ritenuti “diversi”. Arriveremo mai a capire che al mondo esistono sempli-cemente tanti tipi di etnie, di lingue, di religioni e di amori e che non c’è nul-la di pericoloso o di sbagliato in loro? Date tutte le cose che stanno capitan-do alla comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) in Russia, credo proprio che la giuria di Oslo abbia can-didato Putin a premio Nobel per la pace in seguito a una grande abbuffata di salmone scaduto da tanto tanto tanto tempo.

Page 8: Cassandra - Maggio 2014

attu

alit

à

8

Ogni anno nell’Unione Europea viene stimato uno spreco di circa 89 milioni di tonnellate di alimenti, quasi 179 kg a persona e secondo la FAO un terzo del cibo finisce nella spazzatura, a fronte di 842.000.000 milioni di persone che soffro-no la fame. Similmente i dati riguardanti le malattie sono a dir poco sconcertanti. Nel 2010 sono morti nel mondo 7.600.000 bambini a causa di patologie curabili con antibiotici da pochi euro.1.400.000 sono stati i decessi registrati provocati dalla polmonite. L’Eurostat ha affermato che il 10% della popolazione mondiale più ricca possiede il 24% della ricchezza, mentre il 10% della popolazione più po-vera il 2,4%. Il Financial Times ha stimato che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono una ricchezza pari a quel-la di tre miliardi e mezzo di persone. La domanda che sorge spontanea dal-la lettura di questi dati è una soltanto: perché? Noi vogliamo sapere perché in questa società fabbriche e aziende sono costrette a chiudere a causa della sre-golatezza dei mercati, lasciando inattivi lavoratori, tecnici e non, il cui operato, se messo al servizio della collettività, potreb-be risolvere gran parte dei nostri proble-mi. Bisogna chiedersi a questo punto se un’organizzazione sociale di questo tipo ha ancora un senso. Io dico di no, per-ché se questo fosse il migliore dei mondi possibili, beh, ci sarebbe di che dolersi. Noi siamo nati in un paese libero e ricco, in una parte del mondo dove si consu-ma gran parte della ricchezza prodotta. Questo però è stato un caso. Ricordia-moci che saremmo potuti nascere in un villaggio sperduto nella savana africana o in una favelas sudamericana. Dovrem-mo sentirci, in qualche modo, moralmen-te debitori di questa nostra fortuna, per-ché tante altre persone hanno avuto un destino meno felice. Dare voce a chi non

ce l’ha dovrebbe essere il nostro obbietti-vo. Come? È molto semplice: studiando, organizzandoci e soprattutto mettendoci tutta la passione che abbiamo, perché “alla fine si imporrà chi avrà più passio-ne”. Siamo consapevoli che le idee più giuste e più vere quasi mai si affermano e proprio consci di questa ingiustizia potre-mo rivolgere le nostre menti contro tutti coloro che non vogliono rinunciare ad uno stato di cose che mantiene intatti i privilegi di pochi e la miseria di molti. La costruzione di una società diversa è pos-sibile; abbiamo gli strumenti per orientare la società verso i bisogni dell’uomo. Alla fine si tratta di mettere al centro dell’at-tenzione l’uomo con le sue problemati-che e cercare di migliorare le sue condi-zioni terrene. I poteri borghesi e reazionari hanno in ogni epoca osteggiato questo obbiettivo, utilizzando armi come il nazio-nalismo, la religione e la diversità etnica. La strumentalizzazione della paura del diverso ha fatto si che le nostre menti si chiudessero e ha lasciato che il razzismo usasse il pregiudizio come metro di giudi-zio. Ci sono centinaia di fattori che ren-dono diversi gli uomini tra di loro, ma due elementi possono fare da collante: il la-voro e lo studio. Ricordiamoci che in tutte le parti del mondo sono presenti persone che lavorano e ragazzi che studiano. Le diversità tra uno studente cinese e uno italiano sono squisitamente culturali. Anzi, proprio perchè la nostra società è globa-lizzata siamo in grado di conoscere ed apprezzare le culture che non ci appar-tengono. Guardiamo ad un mondo dove tutte le false distinzioni saranno spazzate via dall’Internazionalismo, perché nulla potrà contrastare la grande forza della solidarietà di classe.

Nuove prospettive internazionaliste

Paolo Sottocasa, 3Astralci di storie raccolte tra i muri di casa amadei

Page 9: Cassandra - Maggio 2014

Attualità

9

Una sera di febbraio ho partecipato a un incontro sul tema della povertà or-ganizzato dalla diocesi del mio paese grazie al quale sono venuta a cono-scenza dell’esistenza di Casa Amadei. Casa Amadei venne fondata da Mons. Roberto Amadei e inaugurata solo nel 2010 da Mons. Francesco Beschi. È un centro di accoglienza per migranti (e non solo) resosi necessario dall’amplia-mento di Ruah, cooperativa fondata nel lontano 1990 che inizialmente consisteva solo in un dormitorio con qualche posto letto, ma che nel corso del tempo si è ampliata fino a comprendere anche una scuola di italiano e negozietti che vendo-no oggetti di seconda mano (Triciclo e Rivestiti, a Seriate).

Casa Amadei è stata fondata con lo scopo di accogliere gli immigrati e per-mettere la loro “integrazione sociale”, però offre anche un letto comodo e un pasto caldo a chi ne ha bisogno, oltre che un orecchio amico e disponibile ad ascoltare il bagaglio di storie che le per-sone accolte in questa struttura portano con sé.

Una di queste è la storia di Giblin, un giovane sfuggito alla guerra in Guinea e con il desiderio di andare in Francia a studiare, ma che si è ritrovato in Italia, pri-ma a Foggia dove è rimasto per quasi un anno e poi a Bergamo dove per tre mesi ha soggiornato al Galgario (dormitorio gestito dalla Caritas, vicino alla questura) e altri quattro mesi proprio a Casa Ama-dei. Durante questo periodo ha seguito corsi di contabilità, pur essendo laureato in matematica dal 2006, e ha imparato l’italiano nonostante conoscesse molto bene il francese (la Guinea è un ex-co-lonia francese); Giblin, con umile sempli-

Romanzi di vita verastralci di storie raccolte tra i muri di casa amadei

Elena Giozani, IAcità, quella sera ha rivelato che a breve avrebbe fatto un “tiroscinio”.

E’ stato proprio questo modo di porsi e di raccontare la sua storia che mi ha col-pito molto, oltre al fatto che, nonostan-te le numerose difficoltà incontrate e i tanti ostacoli che si è visto costretto a superare, è riuscito a trarre insegnamenti positivi da questa sua esperienza senza rimpianti. Un’altra storia, completamente diversa, è quella di Nun-zio, un uomo che ha perso il suo lavoro di custode e la casa, e che grazie all’ope-rato di uno dei volontari, Alex, è riuscito a risollevarsi.

Ed è stato proprio Alex a descrivere il progetto “Terre di Mezzo”: un gruppo di volontari che durante la notte fa la spola tra la stazione di Bergamo e i vari dormi-tori per procurare un letto caldo a chi è costretto a dormire al freddo, sul nudo e duro asfalto.

Alex ha spiegato che ognuno di loro ha storie diverse alle spalle e che non ci sono più solo i tipici ubriaconi e tossico-dipendenti, ma nell’ultimo periodo sono nate anche nuove “categorie di poveri”, sicuramente a causa della crisi economi-ca che ha colpito l’Italia.

Sono rimasta davvero impressionata dai numeri che ha fornito: nel 2013 su circa 600 persone incontrate durante queste “visite notturne” circa il 40% erano sco-nosciuti ai servizi e facevano parte dei cosiddetti “invisibili”, e non si trattava solamente di stranieri (infatti il 40% erano italiani).

I tempi stanno cambiando: se nel 2007-2008 anche per un migrante era possibile trovare un impiego nel giro di un mese

Page 10: Cassandra - Maggio 2014

attu

alit

à

10

o due, ora è assai più difficile e ci sono sempre più persone che perdono il la-voro e sono costrette a cercare aiuto e rifugio nelle case di accoglienza.

Fortunatamente ci sono i volontari (120 solo nella scuola di italiano), che con passione, dedizione, coraggio e pazien-

za sono disposti ad aiutare chi ne ha bi-sogno senza avere nulla in cambio e ad ascoltare le storie che hanno portato quelle persone dove ora si trovano e che sono, come ha detto il coordinatore di Casa Amadei, Andrea, “romanzi di vita vera”.

Non solo orologi a cucù

Marianna Tentori, 2B

Che la Svizzera di buono non sforni solo i suddetti marchingegni, avremmo già potuto intuirlo mangiando cioccolato; ma poi, a fugare ogni dubbio, è arrivato Friedrich Dürrenmatt.

Cos’ha fatto Dürrenmatt di così specia-le? Ha scritto, in una maniera incredi-bilmente bella, e ha scritto così diverse tra loro che è difficilmente inquadrabile in un genere specifico; Wikipedia e le retrocopertina dei suoi libri, ad esempio lo definiscono “narratore e drammatur-go” (e anche pittore, scopro ora). Dire che qualcosa è al contempo parecchio inquietante e parecchio divertente è un po’ contraddittorio, eppure sono queste le caratteristiche salienti dello stile di Dürrenmatt. Inquietante per via di tutta una sua serie di opere piene di elementi macabri ed angoscianti (uno dei suoi racconti di intitola “Il torturatore”, per in-tenderci; per non parlare di uno dei suoi più famosi e bei romanzi “Il sospetto” ) e, più in generale, per le conclusioni, non proprio ottimistiche, che trae riguardo ad alcuni dei temi a lui più cari: la verità, la giustizia, il fato. Divertente perché la sua produzione letteraria è caratterizza-ta da una satira pungente nei confronti della società, e soprattutto perché è il suo stile ad essere ironico, umoristico, a tratti buffonesco e addirittura grottesco, spiritoso e brillante.

Attenendoci alla mirabile sintesi delle retrocopertine, effettivamente gli scritti di Dürrenmatt si possono suddividere in tre categorie: romanzi, racconti e ope-re teatrali o radiodrammi. Per quanto riguarda i romanzi, Dürrenmatt, volendo dimostrare l’inaffidabilità del romanzo giallo come specchio della realtà in quanto segue schemi prestabiliti e alla fine il colpevole si scova sempre, ha sfornato una serie di romanzi polizieschi, o comunque con trame investigative (il più bello in assoluto per me è “La Panne – una storia ancora possibile”), che in realtà di poliziesco non hanno molto se non il finale che lascia a bocca aperta, e che in compenso sono ricchi di rifles-sioni sulle grandi domande della vita (quelle che, se non siamo troppo stan-chi, ci vengono in mente ogni tanto la sera prima di andare a letto, per inten-derci), riflessioni con cui si è invogliati al confronto appunto perché vengono offerte quasi con leggerezza, tra una battuta e l’altra, e non dall’alto di non si sa bene cosa con toni cattedratici. I racconti per certi versi colpiscono di più dei romanzi, un po’ perché sono surreali, un po’ perché sono struggenti, e l’ope-ra teatrale è importantissima, perché Dürrenmatt fu un protagonista del rinno-vamento del teatro in lingua tedesca, con la sua denuncia in chiave grottesca della società perbenista svizzera, e più in

Page 11: Cassandra - Maggio 2014

Attualità

11

generale di certi tratti dell’umanità. Basti pensare all’incredibile scandalo che provocò anche fuori dalla Svizzera nel 1947, con la sua prima opera teatrale “E’ scritto”: il dramma (la cui vicenda di svolge in una città cinta d’assedio), tutto incentrato intorno alla battaglia tra un cinico assetato di emozioni ed un fanati-co religioso che interpreta la Bibbia alla lettera, la sera in cui debuttò provocò una rissa e proteste tra il pubblico, pro-babilmente sia per i temi trattati sia per il modo impiegato nel trattarli. Davvero speciale, però, è per me la capacità di Dürrenmatt non solo di affascinare, coinvolgere o far riflettere il lettore, ma anche di turbarlo, e turbarlo non solo nel senso di generare quell’angoscia che

scuote l’animo e la coscienza, ma an-che di provocare, di dire “ecco, questo, che ti piaccia o meno, è il mio messag-gio; prova un po’ a capirlo, interpretalo e poi fanne ciò che vuoi”. Proprio così ha fatto Sean Penn, che nel 2001 ha diretto il film “La promessa”, con Jack Ni-cholson, tratto dall’omonimo romanzo di Dürrenmatt, dimostrando secondo me di aver capito appieno il senso dell’opera, nonostante una modifica sul finale. Al-berto Sordi invece nel 1972 è stato diret-to da Ettore Scola in “La peggiore serata della mia vita”, film liberamente tratto da “La Panne”, che è decisamente un elemento della lista delle mie visioni ci-nematografiche future.

ì“Perché vi siete iscritti a questa facol-tà?”, chiede ogni anno alle sue matrico-le il professor Nuccio Ordine, professore di letteratura italiana presso l’Università della Calabria e autore del libro “L’Utilità dell’Inutile”, uscito quest’inverno per le edizioni Bompiani.

Evitiamo i cliché sul fatto che questa sia l’età della tecnica e che ormai ogni cosa priva di utilità immediata sia anche priva di senso. Questa domanda non è scon-tata ed esige una risposta che vada a fondo del problema.

Da matricola in potenza, appassionata di filosofia in atto, rispondo così, con una citazione di Nietzsche: “Io ho sempre mes-so nelle mie opere tutto il mio corpo e la mia vita. Non so cosa siano i problemi puramente intellettuali”.

Filosofia non è evadere dal mondo, non è ascesi. E’ corpo. La tentazione è forte e

il rischio considerevole. In una realtà fatta solo di libri posso frequentare le lezioni di Immanuel Kant (per quanto Köenisberg debba essere un posto assai noioso), essere tra le poche alunne di Schopen-hauer e sentirlo insultare Hegel, oppure farmi importunare da quel fastidioso ta-fano di nome Socrate. E’ semplice: Sezio-ne Filosofia, terzo piano a destra, Bibliote-ca Tiraboschi, Bergamo.

Ma la prospettiva non è e non deve es-sere questa: io voglio parlare di Kant, Socrate o Schopenhauer perché credo che questi uomini abbiano ancora qual-cosa da dire per questa realtà. Classico è davvero ciò che ancora ha da essere.

Senza questo mondo, concreto, la filoso-fia non avrebbe senso.

Kierkegaard, prima di Nietzsche, diceva che la verità è soggettiva. E con questo non intendeva dire che non c’è verità, o

Sull’utilità e il danno della filosofia per la vita

Giulia Zaccaro, 3C

Page 12: Cassandra - Maggio 2014

Sarp

i

12

che ogni verità si equivalga, affatto. La verità c’è, ma è una verità che esige la prima persona singolare: Io. “La verità è verità per me”, ed è appassionata e pa-radossale.

Qualche parola su questo bizzarro per-sonaggio. La storia di Kierkegaard è la storia di un fallimento. Søren non si è mai sentito all’altezza del padre, figura che lo ha sempre oppresso. Non è mai riuscito a diventare il marito che sognava (rompe infatti il fidanzamento con Regina, don-na che invece amerà tutta la vita). Ep-pure quest’uomo, che quasi non si è mai allontanato da Copenaghen, sua città natale, è considerato il padre fondatore dell’Esistenzialismo. Senza di lui la filoso-fia del secolo successivo avrebbe preso una piega diversa.

Filosofia è ciò con cui tento di dare un senso al mondo, un senso a ciò che sono e a ciò che voglio essere. Non è un caso che Kierkegaard abbia usato la tecnica della pseudonimia, o meglio, dell’etero-nomia. Non è soltanto un capriccio o un vezzo letterario, è una scelta che ha un preciso significato e che orienta la filo-sofia in una direzione inedita. I suoi per-sonaggi sono individualità gettate nel mondo e tutte hanno il coraggio di dire “Io”. Le opere di Kierkegaard, che a que-sto punto si dovrebbero dire di Climacus, Anticlimacus, Victor Eremita (per citare solo alcuni dei suoi più famosi pseudoni-mi) sono narrazioni di vita con cui il letto-re si pone in dialogo e grazie alle quali si mette in discussione. Kierkegaard non è un autore che si possa capire a livello esclusivamente intellettuale, tant’è che il fatto stesso di inserire il suo nome nei ma-nuali di filosofia è una necessaria forza-tura. Egli non l’avrebbe mai permesso. Il pensiero di Kierkegaard si vive. Nasce da un dolore concreto ed è dedicato a let-tori concreti. Lettori che hanno un corpo.

Uno degli interpreti più illuminati di Kier-kegaard, Lev Sestov, amico di Edmund Husserl, disse che non è vero che la filo-sofia nasce dalla meraviglia, come si è creduto da Aristotele in poi. Il filosofare nasce dalla disperazione, sentimento in-timamente legato alla percezione dell’i-

dentità.

Mi sono dilungata su Søren Kierkegaard, è una mia debolezza. Prego chi non mi conosce, di scusarmi. Chi invece mi conosce non mi prenda troppo in giro. Torniamo alla citazione iniziale. Nietzsche non metterà mai a sistema il suo pensie-ro, a guisa di pensatori come Spinoza o Hegel. La realtà non può essere ingab-biata in modo definitivo in nome di un principio che ne mostri l’intima essenza. Essere al mondo significa porsi come soggetto che eternamente interpreta e ricerca. Jaspers, esistenzialista tedesco e lettore di Nietzsche, dirà parecchi de-cenni dopo che pretendere di possede-re l’essere è tradire l’essere.

La stessa forma stilistica che Nietzsche adotta, l’aforisma, richiede la parteci-pazione attiva e interpretativa del letto-re. Io, studente o professore, esperto o alle prime armi, sono chiamato in causa dall’autore stesso e con il mio patrimonio di esperienze vissute mi è chiesto di com-piere una vera e propria esegesi. “Vero è soltanto ciò che per mezzo di Nietzsche nasce da noi stessi”, dirà sempre Jaspers. Io sono chiamata a dare un senso al mondo, laddove un senso non vi è già. Albert Camus, nel “Mito di Sisifo”, saggio sull’assurdo scritto in piena guerra nel 1942, direbbe che questa è una risposta al silenzio desolante del mondo, mondo che di ragionevole non ha proprio nulla.

Come la storia - e qui cito chiaramente una delle prime opere di Nietzsche an-cora in forma di saggio, “Sull’Utilità e il danno della storia per la vita”, del 1874 - la filosofia non deve essere fine a stessa, ma trascendersi e porsi al servizio della vita, perché non è altra cosa rispetto a essa.

Vorrei concludere ricordando cosa fosse questa disciplina per Ludwig Wittgen-stein, uomo problematico, tormentato dall’insoddisfazione personale e intellet-tuale. Per Wittgenstein, la filosofia non era una professione. Era una passione. E non solamente una passione divorante, ma la sola forma possibile della sua esi-stenza.

Page 13: Cassandra - Maggio 2014

cultura

13

CI sono album, cantanti, che lasciano un segno indelebile nella storia, forse non della musica, ma almeno in quella del cinema. Partendo da questo para-dosso storico, si può cominciare con la recensione di quel capolavoro metafi-sico-socialdemocratico che è Piuttosto Che Incontrarvi Farei Bungee Jumping, che già dalle maiuscole a inizio di paro-la lascia intravedere spiragli di genialità preventiva. I cantanti in questione sono “I Lady Ubuntu”, vengono da Alessandria, non importa quale, basta sapere che sono italiani e sono in tre. Le tracce del disco sono 9, loro sono in tre, tre per tre nove, miracolo. Ma tornando alle cose serie, il terzet-to sopracitato è in grado di mischiare atmosfere Punk non filosovietiche con architetture di stampo filosofico, e un sottofondo elettronico dirompente, as-sordante e addirittura scassamaroni, alla lunga. Ma sta proprio in questo la loro genialità, in quei ritornelli che non ti fanno dormire la notte, che diventano Jingle intermina-bili in giungle torbide e ossessive, in spirali di emozioni contrastanti. Ed è forse Il singolo “è la maledetta so-litudine” Il vero capolavoro, la migliore opera musicale composta da 400 anni a questa parte. E’ in grado di proiettarti in un universo sconfinato, in cui ci si sente solo dei puntini, che sognano di essere imperatori di un regno che non si possie-derà mai. Per non parlare di quella canzone di Un minuto e Cinquantuno chiamata “Co-raggio”, il cui complesso e problema-tico testo ti entra in testa con la stessa dolcezza del canto delle muse, che in realtà nessuno ha mai sentito. Una traumaticità esistenziale che attra-

versa le corde del basso, più che mai ossessivo e ossessionante, accompa-gnato da un pizzichino di elettricità, che carica e porta in endovena le arterie più superficiali. Un sound senza eguali, una voce impres-sionifica, perché “La stufa è stupida, la sento ronzare di notte”, e le “persone non hanno gli interruttori”, e “non si può smettere e basta, non si è padroni di tut-to, no, ci si sente nulla, in questa frenesia che è la vita”. Frammenti di vita quotidiana si unisco-no consenzientemente con panorami surreali , che portano a una subcom-prensione e ad un’analisi sociologica di quello che siamo noi, noi studenti, noi liceali, noi nostra generazione, perché lo zio del cantante ce lo dice senza fronzoli “Voi, giovani, siete rincoglioniti”, e non si può discutere, è così e basta, siamo dei rincoglioniti cronici, e non possiamo che “tremare di fronte all’ira funesta dello zio”, dell’autorità precostituita, del mon-do che pare opprimerci. Nulla sembra avere più senso, e l’ascolto diventa un viaggio nell’infinito, nell’infi-nito nulla, una sorta di ricerca di senso che inevitabilmente sconcerta anche i più temerari, scioglie gli animi più solidi, e diluisce le certezze dei cattocomunisti. Tutto questo inserito in un contesto ex-traparlamentare che accresce l’ironia negativa e la distruzione omodiegetica della perenne indecisione umana. Questi tre capelloni riescono a frantuma-re la musica in mille pezzi per poi ricom-porne il senso allegoricamente in pochi secondi, in una paranoia vitale, che rispecchia appieno questi anni ’10. Non vi resta che andare ad ascoltarli per capire che quello che avete letto prima era sostanzialmente inutile, se non una “cazzata” e ricordatevi che questa

Lady Ubuntu: Memorie di un fan al di

sopra di ogni preconcettoPaolo Bontempo, 2D

Page 14: Cassandra - Maggio 2014

cult

ura

14

è la “Stagione delle Albicocche”, e nessun altro cantante vi potrà piacere, dopo aver sentito questa Summa Teolo-gicomatematicomusicale.

“Prendiamo adesso sono le dieci dove vado?

Chi vedo? Io vi vorrei tutti qui pronti a disposizione Come pupazzetti, peluche qui dentro, nel silenzio del mio letto”

L’autore ci tiene a precisare di non aver scritto l’articolo.

Stai tornando da scuola dopo una gior-nata pesante e orribile. Sommando gli ultimi due voti presi forse arrivi al 7…per rilassarsi non c’è nulla di meglio che spa-rarsi la musica nella orecchie, per TUTTO il tragitto fino a casa. Stai già pensando alla playlist adatta, quando ti accorgi di aver preso l’mp3 di tuo fratello e ora ti trovi a dover ascoltare le sue canzo-ni, per cui tu ormai sei troppo grande. Pazienza, troppo tardi. Parte la prima canzone: ”in fondo al maaaar…”. La tua faccia è alquanto sorpresa, ma allo stesso tempo seccata: non ci voleva nul-la di meglio che un granchio canterino per migliorare la tua giornata!!! Senza accorgertene però inizi a canticchiarla: “le alghe del tuo vicino ti sembran più verdi sai. Vorresti andar sulla terra non sai che gran sbaglio fai. Se poi ti guardassi intorno vedresti che il nostro mar è pie-no di meraviglie...”Inizi a pensare e ad immedesimarti. Beh non è poi cosi male stare in fondo al mare, chissà perche aveva questa gran voglia di andarsene? Evidentemente non si era accorta di ciò che la circondava; capita alle volte di non saper aprire gli occhi di fronte alle cose di tutti i giorni che ci sembrano ba-nali, ma ci rendono invece più fortunati di altri. Quelle cose di cui capiamo l’im-portanza solo quando non le abbiamo più. Oddio, ma dovevi rilassarti e invece hai iniziato a fare il filosofo???!! Ok, for-se meglio cambiare canzone. “D’ora in poi lascerò che il cuore mi guidi un po’/a volte è un bene poter scappare un po’/

nessun ostacolo per me, perché d’ora in poi troverò la mia vera identità/da oggi il destino appartiene a me” . Di nuovo inizi a pensare che la stupida canzone abbia ragione. Bisognerebbe ascoltare di più se stessi ed essere un po’ più irrazionali, buttarsi nelle cose e vivere come se fosse il tuo ultimo giorno. Ci blocchiamo trop-po a causa della paura di rimetterci la faccia, ma cosi rischiamo solo di perdere l’occasione perfetta per divertirci, parla-re con quello/a che ci piace, colleziona-re figure epiche che colorano solo le no-stre giornate… improvvisamente l’mp3 cambia canzone e ti trovi catapultato nel Re Leone:”guarderai in avanti senza avere mai rimpianti, noi saremo al tuo fianco lo sai”. Ti vengono subito in mente le parole dei tuoi genitori il primo giorno di scuola, quando spaventato ti aveva-no accompagnato all’ingresso anche se tu te ne vergognavi. Bello, ora vi parlate a stento perché avete appena litigato, forse andare a quella festa sabato sera non era poi così importante. Alla fine è un rapporto strano, ti criticano sempre qualunque cosa faccia ma forse han-no ragione e sei tu che ti chiudi troppo nel tuo mondo non dando loro spazio. Sono oppressivi ma lo fanno perché non vogliono vederti cadere e stare male, in fondo ti vogliono bene. Di nuovo cam-bia canzone, ora tocca a Toy Story:”hai un amico in me, più di un amico in me! I tuoi problemi sono anche i miei, e non c’è nulla che non farei per te!” ahahah non puoi fare a meno di pensare a quel-

Mai troppo grandiGiorgia Scotini VC con la consulenza speciuale di GGGGiulia Vitale ID

Page 15: Cassandra - Maggio 2014

Narrativa

15

Era una ragazza unica, ne era convinta.

Perché allora doveva nascondersi dietro ai sorrisi e alle risate? Non era ferita dalla solitudine, anzi, discostarsi dagli altri la faceva sentire meglio: era molto più tri-ste l’ipocrisia quotidiana che era ormai parte della sua vita. Si era chiesta molto spesso perché la sua mente la portasse in un mondo diverso rispetto ai soliti di-scorsi dei suoi compagni; forse proprio per colpa della sua diversità era sola.

Mentre la gente ragionava su cose futili, lei rifletteva domandandosi come sa-rebbe stata la sua vita se fosse nata in un posto diverso, con un viso e un corpo differenti, in una famiglia meno com-prensiva.

Cercava di integrarsi, credendo di esse-re sbagliata in qualche modo, ma non riusciva. Più di ogni parola offensiva feri-vano gli sguardi biechi, ma mascherava il dolore con un sorriso. Aveva sempre pensato che una finta felicità assomi-gliasse a una reale; bastava distendere i muscoli della bocca, alzare gli zigomi, assottigliare gli occhi e quello che in ve-rità era uno squarcio nel cuore poteva sembrare il gesto più bello e semplice del mondo.

Ed era certa che questo metodo funzio-nasse, perché le persone si tranquillizza-vano alla vista di un sorriso. Non capiva

però, malgrado la sua perspicacia, che anche gli altri sapevano mentire na-scondendosi dietro a un sorriso, proprio come lei. Convinta di essere l’unica in grado di farlo, un po’ per innocenza e per inesperienza, spesso si scontrava con gente più scaltra. Ogni giorno per-ciò imparava a leggere gli occhi delle persone molto più che le espressioni del viso.

Più si specializzava in questa arte, con-vinta di riuscire a farsi accettare, più si allontanava dagli altri e si sentiva sola. La solitudine poi la costringeva a fingere di essere felice nella ricerca spasmodica dell’integrazione.

Un circolo vizioso , insomma, che non aveva fine e non ne avrebbe mai avu-ta.

Era colpa della sua unicità, lo sapeva.

Perché lei era speciale agli occhi delle persone buone, “un segno mandato da Dio per provare la bontà degli uomini”. A loro non importava se avesse un cro-mosoma in più: le volevano bene.

La sindrome di Down era la sua unicità.

la banda di sgangherati che ogni giorno ti travolge sul pullman e riesce sempre a farti spuntare un sorriso. Con loro non si può mai essere giù, è impossibile, per non parlare poi delle innumerevoli gaffes che ti fanno ridere per un’eternità. Senza di loro non avresti nemmeno un motivo per alzarti ogni giorno e prendere il solito pul-lman, non ti saresti mai sollevato dai voti più deprimenti e non avresti mai passato

i momenti più belli della tua vita. Senza accorgertene sei arrivato al capolinea e devi scendere. Non sei più tanto arrab-biato per avere preso l’mp3 sbagliato, anzi forse quelle canzoni che non ascol-tavi da una vita ti hanno insegnato molto più del tuo solito rap. Evidentemente ti sei solo sbagliato, non sei poi tanto grande come pensavi.

LucyRoberta Silva, 1A

Page 16: Cassandra - Maggio 2014

narr

ativ

a

16

Il greco è apollineo.

Alexander Anatolakis ha quasi finito il suo turno, l’ultimo della sua vita. Non che domani sarà in pensione -ha passato appena la cinquantina, e ad Atene a quell’età la pensione è un miraggio in un lontano orizzonte- ma le risorse umane gli hanno riferito che il direttore ha fatto sa-pere che il sovraintendente ha informato che il ministro ha deciso di ridimensionare l’organico, in seguito alle pressanti richie-ste dell’Unione. Grazie a dei burocrati te-deschi e ai loro freddi calcoli da domani i suoi tre figli non sapranno più cosa mette-re sotto i denti, ma questo probabilmente non interessa a tutti quei funzionari incra-vattati. Alexander vuole salutare un’ulti-ma volta il motivo per cui ha scelto quel lavoro al Museo Archeologico Nazionale: il Diadumeno lo aspetta come ogni gior-no, impassibile in quella posa un po’ fiera che tanto ad Alexander ricorda il fratel-lo Giorgos, fatto sparire sotto i colonnelli. Stasera non riesce a contemplare il chia-smo equilibrato, la tensione nella gamba destra e nella spalla sinistra a cui con naturalezza ideale si oppongono l’altra gamba e l’altra spalla. Stasera l’armonia della membra muscolose non incanta più Alexander. Stasera i suoi occhi sono vuoti come gli occhi del suo Diadumeno.

Il greco è dionisiaco.

Anna supera i tornelli dei Musei Vaticani, come ogni ultima domenica del mese, fingendo di rincorrere la mamma, scel-ta ogni volta fra le signore che meno al ricordo di sua madre assomigliano. Per-ché l’ingresso sarà anche gratuito, ma una bambina di dieci anni che ne dimo-stra almeno un paio in meno da sola in un museo attira un po’ sempre l’attenzione degli impiegati annoiati, e Anna non cer-ca attenzione. Sfila veloce fra le sale or-mai familiari, diretta decisa a quella scul-

tura che ancora certe notti abita i suoi incubi ma che fatalmente ogni volta la chiama. I piedi nelle scarpe troppo pic-cole e ormai a pezzi le fanno male quan-do arriva davanti al Gruppo del Laoco-onte (ormai sa leggere e ha imparato il nome dalla targhetta appesa sul muro). La folla di visitatori si accalca in massa intorno a quell’uomo sofferente che a sfilare i portafogli ci riuscirebbero pure i suoi fratelli, che nemmeno camminano. Anna ha imparato a prendere i soldi e a lasciare il resto in qualche scalone senza telecamere: i turisti non denunciano la loro disattenzione, dice suo padre. L’urlo dell’uomo di marmo barbuto le risuona anche oggi angosciante nelle orecchie mentre scivola vicino a una signora con la figlia per mano e con la borsa che pende aperta dal braccio. Mentre allun-ga le dita furtive Anna vede le scarpette della bambina, di vernice rossa. Più dei soldi di tutti quei portafogli, sudici pezzi di carta, che il babbo ogni volta si beve, vorrebbe quelle scarpette. Non sa il Lao-coonte chi sta peggio in quella sala, se lui stesso dilaniato dagli squamosi serpenti o la bambina che piange in silenzio.

Il greco è apollineo.

Il dottor Wess rincasa che è già buio, rara tiepida serata della primavera polacca. La giovane moglie gli toglie la giacca e lo segue in cucina, dove la tavola è già apparecchiata e nel piatto lo aspetta uno sfornato di maiale con patate al for-no, insieme a un bicchiere di vino scuro e a una tortina alle mele come dolce.

“Thomas sta dormendo, oggi ha gioca-to fuori tutto il giorno. Voleva aspettare il suo papà ma è crollato”, le parole che concludono la cena. Il signor Wess sale le scale per un bacio alla tenera fronte del figlio, una carezza ai capelli dorati: è pro-prio un angioletto mentre dorme. Prima

Nietzschiani contrastiFederico Crippa, 3B

Page 17: Cassandra - Maggio 2014

Narrativa

17

di coricarsi si siede nel suo studio a leg-gere qualche verso, amore rimasto dai tempi del ginnasio, per la poesia greca e soprattutto per la lirica corale. Stasera prende in mano un epinicio di Simonide, si compiace dalla sua ancora fresca ca-pacità di leggere il greco e terminato il secondo epodo raggiunge soddisfatto la moglie a letto. Poche stanche parole e la luce si spegne: domani sarà un’al-tra giornata piena di lavoro per il dottor Wess. Ce n’è sempre di lavoro, per un brillante giovane medico come lui, lì ad Auschwitz.

Il greco è dionisiaco.

Surse, e spogliossi de’ suoi cenci Ulisse, E sul gran limitare andò d’un salto, l’arco tenendo, e la faretra. Mentre la signorina Craight legge i versi di Omero, dal suo banco nell’angolo della piccola aula dalle pareti perlacee Ronald Moore si alza abbozzando un sorriso. L’insegnan-te non lo vede, intenta com’è nella let-tura. Davante ai piedi, e ai Proci disse: A fine questa difficil prova è già condotta. Ronald infila la mano nella tasca interna del giubbotto, che tanto col freddo che fa là dentro a nessuno è sembrato strano lo tenesse, estrae la pistola semiautoma-

tica di suo nonno, regolarmente registra-ta, che con questi tempi non sai mai chi ti viene in casa, e per un momento lascia ridistendere il braccio lungo il fianco. Così dicendo, ei dirigea l’amaro strale in An-tinoo. La signorina Craight prova un’ap-passionata riverenza per l’Odissea, e ogni volta che la rilegge si sente il rapso-do di un improbabile simposio. Chi avria creduto, che fra cotanti a lieta mensa assisi un sol, Non vede l’alunno in piedi, non vede il suo braccio armato levar-si, non lo vede prendere la mira. il nero fabbricar gli dovesse ultimo fato? Non sente lo sparo. Nella gola il trovò col... il verso resta sospeso, mentre anche il col-lo delicato della signorina Craight viene squarciato, attraversato da un pezzetto di metallo di 9 millimetri.

Fra poco i telegiornali di tutto il paese parleranno della sua scuola nella sper-duta provincia dell’Arkansas, del suo di-sagio e della sua emarginazione, pensa Ronald, ma sa che ha ancora cinque colpi nel caricatore, cinque colpi e 21 compagni tra cui scegliere.

Il greco è insieme apollineo e dionisiaco, ma nell’umana miseria sono un’opposi-zione solo apparente.

Federico Crippa, 3B

Ombre. Ombre grigie che vagano sole nella tenebra. Non tastano intorno a sé, non cercano la luce. No. Hanno dimenticato lo splendore delle stelle, e nemmeno ricordano il calore del sole. Eppure, se le interrogaste, saprebbero tutto del sole e degli astri, potrebbero descriverli analiticamente elemento per elemento, senza tralasciare alcunché. Eppure nulla conoscono del tepore dei suoi raggi, nulla della poesia di una stel-la lontana... Sanno tutto, eppure nulla.

Tra loro non si incontrano mai, gli esseri della tenebra, vivono, anzi, esistono, ognuno per sé stesso. Possiedono sensi immensamente sviluppati: esse posso-no udire qualsiasi cosa a chilometri e chilometri di distanza, vedere tutto, e vedere lontano, toccare tutto ciò su cui inciampano, e prenderlo per sé, nella maggior quantità possibile. Non esiste misura, per le Ombre. Eppure... in verità non sentono nulla, nemmeno il lamento appena sussurrato di un’anima che più non è; non vedono nulla, nemmeno il

Ombre nella notteNicolò Nobile, 1A

Page 18: Cassandra - Maggio 2014

narr

ativ

a

18

terreno che frana loro sotto i piedi. Com-prendono tutto, ogni meccanismo di quell’immenso miracolo che è il Mondo, ne conoscono ogni minimo dettaglio. Eppure non conoscono nulla di sé stessi, di ciò che muove il mondo, di quei senti-menti, di quelle emozioni, di quel sentire che davvero muovono il mondo. La loro immensa sapienza non è che il fondo di quel precipizio buio e profondo che è la loro ignoranza, la loro incoscienza. Ed è vero il burrone, un burrone immenso, quasi senza fine, a cui si dirigono imper-territe, certe, assuefatte da un richiamo indefinibile, le Ombre della notte dei tempi, ognuna per sé, tutte nella stessa, unica direzione. In realtà le ombre di per sé sono quasi inerti, solo i piedi agiscono, si governano da soli, cercano il terreno che implica meno sforzo, ma con movi-menti appena minimi, quasi impercetti-bili. Poi scoprono la via del precipizio. E da allora la discesa è vertiginosa, irrever-sibile.

La strada per il precipizio, direbbe una buona guida, non è accidentata. Anzi. Il terreno è ben battuto, per nulla ripi-do. Man mano che si prende il sentiero ecco che una forza misteriosa le attrae, le attrae, le attrae... Le vene tornano a pulsare il sangue come un tempo, come quando v’era ancora luce, ma solo per gettarsi a capo fitto nella tenebra. Ora le Ombre si muovono a passo svelto, de-cise, la velocità aumenta assieme alla pendenza. Eppure, per loro, non appe-na avanzano guardando fisse un punto che nemmeno scorgono, attratte da un magnifico quanto vacuo canto delle Sirene/ma la principale?/. Tutto è molto semplice, ogni energia ritrovata è con-centrata sulla discesa. Non si accorgono che l’oscurità aumenta sempre più, che, se è vero che siamo nati per correre, questa corsa rischia di portare laddove mai avrebbero creduto, mai avrebbero osato, di perdersi per sempre? No, non se ne accorgono. Marciano festanti, fie-re, celebrando la caduta infinita.

Non si accorgno che v’è un’altra strada, un sentiero opposto alla spensierata di-scesa nelle tenebra. Un sentiero in salita, su per un pendio scosceso, un sentiero

più difficile che prevede difficoltà e sofferenze, che prevede prove e molto dolore. Incamminarsi su per questa stra-da sarebbe più faticoso, bisognerebbe farsi largo tra rocce acuminate e rovi come lame d’acciaio. Cento, mille volte si desidera, al limite dello sforzo, tornare indietro, correre giù veloci, guardando con invidia chi avesse scelto la sempli-ce via del precipizio. Qualcuno desiste, qualcuno no. Altri restano e, con co-raggio, si fanno forza e continuano, tra altre mille difficoltà, mille tentazioni... Ma ecco che, infine, sarebbe apparsa loro una luce. Una luce lontana, fioca. Una luce lontana, quasi ineffabile, ma una luce. Pian piano raicquistano le forze, riprendono il loro vero colore, non più grigie ombre, le palpebre degli occhi si schiudono del tutto schiuse/credo che l’ultima parola non c’entri/, illuminate dai primi raggi. La cima di quel monte diviene sempre più vicina, sempre di più... E poi... e poi... la luce lontana si fa immensa, una gioia vera conquista que-gli uomini, non più ombre solitarie perdu-te nella notte.

Ma tutto questo non è. Quelle ombre grigie, sono piombate nella tenebra pro-fonda. Esse amano e odiano la tenebra, ma senza dubbio la venerano. Diven-gono ombre, si illudono di sapere e non conoscono misura, convinti d’essere loro stessi misura d’ogni cosa, che il mondo sia stato fatto a loro misura, e che non si debba tendere a nulla, a nulla di su-periore. Anzi, amano la degradazione cui vanno incontro, attratti da chissà quale miraggio. E’ semplice scegliere la discesa. La discesa è puro piacere, il piacere di sfidare, sfidare ogni freno. Per le ombre solitarie, per noi uomini alienati del 2000, ogni cosa si riduce a mero piacere, a mero sfogo, a mera azione, a quell’unico istante in cui si concentra tutto. Piacere per il piacere, dall’amore che non è più tale al più semplice atto quotidiano.

Eppure l’attimo finisce e dopo non c’è più nulla. Ci troviamo a desiderarne an-cora, e poi ancora. Viviamo in funzione della felicità di pochi istanti, dimenti-cando l’immensa luce. Tutto e subito

Page 19: Cassandra - Maggio 2014

Narrativa

19

è il nostro motto. Tutto e subito e nella quantità maggiore. La misura, per noi ombre, non esiste. Non esistono vincoli, né scrupoli di sorta, abbiamo un’immen-sa, assoluta libertà. Una libertà che su-pera sé stessa fino a divenire prigioniera di sé. Preferiamo la quantità alla qualità, in ogni campo. Non sappiamo più cosa è il Bello e cosa è il Brutto, cosa è Male e cosa Bene, nulla ha più un suo intrinseco valore. Non conosciamo limiti, abbiamo perso la concezione del tempo e dello spazio, stiamo perdendo noi stessi in un mondo fittizio, finiremo per perdere ogni sensibilità. Totalmente alienati, dimenti-cheremo il vento tra le fronde, il rombo

dei cavalloni che si infrangono sul ba-gnasciuga, il canto degli uccelli, i sapori più dolci, le cose più semplici, quelle che non ci appartengono ma ci hanno dato gioia fin da sempre. Eppure, ciechi e sordi, non vedremo né sentiremo più nulla se non noi stessi. Abbiamo già di-menticato Dio e le sue leggi, abbiamo dimenticato ogni differenza elevando il particolare a norma, presto dimenti-cheremo anche d’essere uomini. Ma non saremo dei, no, e nemmeno scim-mie, dalle quali tanto ci lusinghiamo di discendere, no. Saremo ombre, ombre solitarie in marcia verso il precipizio.

Se non parlo, sopravvivoGiovanni Testa, IVC

Sono le sei e quarantacinque e su Mila-no il sole non intende sorgere. E’ una mattina oscura, ma le tenebre non osta-colano l’irrequietezza dell’uomo, che si sveglia ruggendo. I grattacieli si imperla-no di puntini luminosi, le insegne pubbli-citarie iniziano a parlare e nelle strade si riversano centinaia di veicoli i cui motori addormentati emettono un fragore di fondo che sa di idrocarburo. Nel cielo tetro la luna lancia grida di terrore con-tro l’avanzare del dominio solare. L’o-scurità collassa e lascia spazio a striature rosacee sulla volta celeste alla stessa velocità con cui si prepara un caffè. Seduta a un tavolino di un bar in piazza Duomo, Louise sorseggia una bevanda amarognola, ammirando la facciata marmorea del celebre capolavoro mila-nese, che assume una gradazione sem-pre più brillante per via dei raggi solari riflessi nelle più intime cavità della strut-tura. L’alba procede nella sua conqui-sta e con essa si presenta l’inevitabile ora di recarsi al lavoro. Milano è una cit-tà che vive e Louise è stata contagiata da questo frenetico via vai che, come un tornado, l’ha risucchiata. Ma, nono-stante la sua giornata da donna eman-

cipata stia per cominciare, nessuno le può vietare di gustarsi il caffè bollente di fronte ai colori sublimi del Duomo che muta. Si passa accuratamente le dita fra i capelli e raccoglie la chioma bionda in una coda con l’elastico nero. Con estre-ma grazia si alza, fa un passo all’indie-tro, rimuove delle briciole dalla camicia bianca e regola l’orlo della gonna nera che le sfiora il ginocchio. Recupera la borsetta di vernice nera, poggiata sulla sedia di fronte a sé, e dopo aver paga-to la colazione, si dirige in Galleria Vitto-rio Emanuele II dove, sfidando ogni ten-tazione, riesce a tenersi alla larga dalle lussuose vetrine. In Provenza, la sua terra natia, queste architetture da sogno le aveva studiate e ambite nei libri di scuola ed entrare a contatto con esse è la realizzazione dei suoi desideri. Imparato l’italiano lavoran-do part-time come cameriera, non ci ha messo molto a conquistare i romanticoni del capoluogo lombardo con il suo raffi-nato accento francese e l’intelletto acuto. È single da qualche settimana e non pensa ad altro che prendersi cura del suo ego, distrutto da mesi ango-

Page 20: Cassandra - Maggio 2014

narr

ativ

a

20

scianti. Dopo aver scoperto quale mo-stro si celasse nel suo ragazzo, non ha esitato un istante a sbattergli la porta in faccia. La gelosia e possessività dell’uo-mo l’hanno reso incosciente del modo in cui agisse fino a manifestare segni di ag-gressività. La ragazza, assorta nei pensieri di un passato travagliato, si scontra frontal-mente con un uomo cadendo a terra. Il signore in giacca e cravatta l’aiuta a ri-alzarsi sbraitando alcune raccomanda-zioni ‘’Ma dove ha la testa?! Bada a dove cammina’’ Ella si scusa mortificata, precipita dalle nuvole e rimuove dalla mente la frustra-zione per Lorenzo, riprendendo a cam-minare. Alle nove l’aspetta un colloquio di lavo-ro in una compagnia turistica, deve mantenere il suo assetto formale per non far fiasco. Finalmente inizierà a vivere nella metropoli da cittadina europea e non da clandestina francese. E’ l’occasione della sua vita. Venti minuti di dialogo sono sufficienti. Era scontato che all’ora del brunch Loui-se fosse già assunta, i suoi occhi verdi e l’erre moscia non possono fallire. Nella hall dell’azienda, Louise si mostra a testa alta e con un atteggiamento fiero mentre stringe fra le mani un prezioso contratto di lavoro, silenziosa ma ele-gante come una perfetta dama di cor-te. Quando, all’uscita, le porte automati-che si chiudono dietro di lei, Louise si tra-sforma, esplode in un urlo di gioia, balza in aria e grida soddisfatta, attirando l’at-tenzione di qualche passante. Dopo essersi sfogata, si ricompone im-barazzata e guardandosi intorno secca-ta si ricorda che il tempo milanese è ca-pace di rovesciarsi senza preavviso. Con un lieve sorrisino, compiaciuta della sua conquista, si dirige alla fermata della metropolitana da cui tornerà a casa, fa-cendo attenzione a non lasciarsi ingan-nare dalla scarsa visibilità. La nebbia pervade le strade e i palazzi neoclassici, i campi di grano sono avvolti da una soffocante foschia. Dai camini della periferia industriale sbuffano l’ani-

dride carbonica e tutta una serie di ve-leni che si scagliano contro l’ozono. Po-chi strati più sopra, i raggi solari premono contro le nuvole rifrangendosi ovunque. Sotto, il Duomo pare irriconoscibile. Le rotaie producono uno stridio di ferra-glia che non dà fastidio a Louise, le pia-ce sentirsi cullata dall’oscillazione dei bi-nari, è come se stesse fluttuando nelle profondità dell’oceano. Quando il treno si inoltra nella galleria, la ragazza riesce a intravedere il suo riflesso nel finestrino; sistema la coda voluminosa e si sorride. Est magnifique. ‘’Prossima fermata: Lambrate FS’’ an-nuncia l’altoparlante all’interno del con-voglio. Louise stringe a sé la borsetta e, cercan-do di evitare l’inevitabile, scende dal va-gone quasi inciampando. Chiede scusa a vuoto, consapevole che la metropoli-tana, come qualsiasi mezzo pubblico, è fatta così: o accetti il fatto di stare in pie-di a contatto fisico con gli altri passeg-geri oppure ti compri un mezzo privato. Riemersa in superficie, s’incammina per la via di casa seppur distingua a fatica strada e marciapiede. Dopo qualche metro, la pervade un presentimento ne-gativo. Non riesce a ignorare la sensazio-ne di essere seguita, nonostante nei pa-raggi non ci sia anima viva. Si volta ripetutamente ma non vede nulla, la nebbia gioca brutti scherzi. Freme strin-gendo i pugni, il suo timore si trasforma in ossessione. Sente un passo, in lonta-nanza. Louise reagisce, si gira e in preda al panico grida al muro di vapore ac-queo: ‘’Chi c’è?!’’ Tutto ciò che aveva ottenuto, i progressi che aveva fatto, la passione per l’arte, la soddisfazione per aver tro-vato un lavoro, i suoi sogni e la sua sere-nità si frantumano con una sola frase: ‘’Lou, sono io, non mi riconosci?’’ Una sagoma umana si fa strada nella nebbia e un’inconfondibile andatura sfi-lante parla prima che gli abiti possano prendere colore. Nella mano destra, qualcosa di affilato ondeggia a vuoto nell’aria. ‘’Stammi lontano, Lorenzo! Devi ca-pire che la nostra relazione è finita’’ spa-ventata, Louise cerca di

Page 21: Cassandra - Maggio 2014

Narrativa

21

respingerlo. ‘’Noi siamo fatti per stare insieme, io non posso vivere senza di te, e nemme-no tu ’’ la convinzione accompagna queste terrificanti parole mentre l’uomo aumenta il passo. Louise è scioccata, e il suo istinto le impone di mettersi a cor-rere. Correre, non ha altra possibilità. Fugge lontano, il più distante possibile dalla persona che vuole farle del male, privarle di vivere, vederla perire. Lacrime di sofferenza le rigano il volto e, dispera-ta, urla a pieni polmoni. Nessuno la sen-te, nessuno la vede. Le sue gambe a contatto con il suolo si fanno sempre più doloranti e, come se si trovasse in una palude, ogni passo si trasforma in soffe-renza, oppressione, si sente sprofondare nella melma. Stroncata dalla fuga, si ri-fugia dietro il tronco di un pino, abba-stanza largo da coprirla. In un turbine di pensieri e rancori, chiude gli occhi e

prega che non le accada nulla di male. Appoggia la schiena contro l’albero e si siede a terra, tramortita e angosciata. Non bada al fatto che la borsetta e la gonna siano infangate, quello che ora le interessa è sopravvivere. L’attimo dura l’eternità, e in questo si originano i rimorsi: se non fosse mai ve-nuta in Italia, se non avesse mai deside-rato di conoscere a fondo l’arte, se non fosse mai nata… Probabilmente non sa-rebbe mai stata vittima della passione delirante, dell’amore criminale. Dopo alcuni interminabili secondi, dal-la borsetta il cellulare squilla con un so-noro avviso. Louise evade dal suo inconscio scuotendo il capo e, ad occhi socchiusi, come se volesse filtrare solo la luce e respingere la polvere, legge il contenuto del messaggio: ‘’Se non torni da me ti uccido’’

Era domenica se non sbaglio, o un gio-vedì, o comunque un giorno in cui la gente non si fa mai i cazzi suoi.

Il postino, era lui che bussava alla porta, e io mi chiedevo perché mai non aves-se lasciato il messaggio nella cassetta, quel dannato; sì, aveva una faccia che era più un muso, come quello di un la-brador, anche se un po’ più bastardo; mi fissava e voleva farmi pesare ancora di più la sua presenza.

“C’è un pacco per lei, signore.”- mi fece con un po’ di superiorità- “Una firma qua”.

Guardai Kelsie che intanto non aveva cambiato la sua posizione sul divano, poi diedi una sbirciata all’orologio del

corridoio e sì, firmai con una X. Non che fossi analfabeta, anzi, solo che mi rosi-cava il fatto che quello spilorcio poteva scorgere una parte di me osservando la mia scrittura, cosa che comunque non sarebbe successa, siccome non guardò minimamente il foglio, ma approfittò della pausa e si pulì gli occhiali; mi consegnò il pacco, che pesava come la sua camminata quando se ne andò qualche attimo dopo.

Lasciai il pacco appena dietro la porta, vicino al portaombrelli. Faceva un caldo in quella casa, atroce, devastante.. Io e Kelsie ci eravamo trasferiti qua un paio di settimane prima, un appartamento che papà dava in affitto a una mezza famiglia di origini non bene definite. Svaligiarono in poco tempo, a dire la

Storie di Wretched Town: Parte 5

Jacopo Signorelli, IVC

Page 22: Cassandra - Maggio 2014

narr

ativ

a

22

verità, li incitammo noi a farlo, siccome non ne potevamo più di girovagare di motel in motel visto che dormire nel sa-lotto della casa di mio padre e ora dei miei fratelli non c’andava affatto, o me-glio ci sarebbe pure andato, ma il cane di mio fratello più grande aveva un alito così schifoso e terribile, e i bambini, cioè i miei nipotini, facevano un gran bacca-no, sì perché io ho il sonno leggero, di solito mi sveglio due volte la notte, la pri-ma per lavarmi i denti e togliermi quella secchezza in gola che le sigarette mi davano, e l’altra per fumarne un’altra, e non avevo voglia di essere svegliato per altri motivi. Comunque, sta di fatto che il 14 febbraio di quell’anno ce ne stavamo a guardare un film scadente sul canale locale, l’unico che prendeva in quella parte di città, mentre il pacco, che non avevo voglia di aprire, stava ancora lì.

Uscii a fare due passi, non c’erano più le vecchie vie, il pub di Jimmy, l’ospedale di Harvey, la ditta del mio ex capo. Era-vamo vicini ad un quartiere benestante, e lì passeggiavano delle gran donne, non di quelle che s’ubriacavano nel cor-tile del mio vecchio alloggio, no, queste erano donne vere, e una di queste ave-va un abitino, che di rado avevo visto nella vita, o meglio solo in televisione, che aveva disegnate delle margherite che Dio se le risaltavano i fianchi, e poi le cosce, sì le cosce, non quelle che si lasciavano andare sotto alle minigonne delle caffettiere delle nostre parti, no, cosce che mi facevano uscire dal mio corpo.

Loro non mi notavano affatto, comun-que, e avevo fame, ma non potevo pranzare qua, costava troppo, dovevo tornare vicino a casa a farmi un san-dwich e sì, accontentarmi delle minigon-ne delle caffettiere.

Dopo tornai a casa, Kelsie aveva cam-biato posizione, questo sì, ma per il resto, nessun mutamento, il pacco era lì.

Lo aprii, sì, c’erano dentro dei libri. Fami-liari, molto, dannatamente familiari. Kel-sie s’era addormentata, e c’era silenzio

in quella casa, o meglio, un urlo silenzio-so, come se questi (CHI?) fosse rimasto sporcato, danneggiato, a tratti ferito dalla nostra apatia. Li riconobbi quei libri, e risi, o comunque accennai alla risata; erano le copie rimaste invendute dei miei racconti sul Nazariantz Week, un giornalino che stampava un armeno che aspirava a diventare un grande edi-tore, finendo per lavorare in un centro di consulenze chiamato. D.A.F., anche se non mi ricordo bene il significato.

Sta di fatto che anch’io un tempo scri-vevo, tiravo fuori le viscere e ci ridevo sopra, o almeno speravo di riuscirci. Non andò come previsto, e il resto è stato un vaga-bondare tra la mediocrità e le topaie. Comunque ripensavo ad una vita che credevo persa, quasi mai esistita, a quel-la recensione di un importante critico, che figurava sul dietro del libro, inventa-ta, ma ora ritrovavo le forze per andare in bagno e fumare alla finestra e dire ai passanti che ora sì: mi ricordavo cosa significasse D.A.F. ,Diritto alla Felicità, sí quell’armeno aveva una bella fantasia, e io allora per scherzare gli dissi che suo-nava meglio F.D.A.F, Fottutissimo Diritto alla Felicità.

Page 23: Cassandra - Maggio 2014

Terza paggina

23

Uansanaponataime in small villaggius in Lazius, ‘na lupa qua stava cagando. Sed, a un certus puntus, uscit qualcosa qua cacca non erat: shit, these are two pueri! “Who siete?” she ask “Romulus et Remolus” risposerunt. They are multo affamati, so begannero tu be allattaty by the Lupa(called Lucia, wife of LupoLucio). Dopus 9 anni they erano annoiati dalla monotonia of their life, so deciserunt to andare a caccia(real caccia, non Strocchia’s caccia). They meeterunt un cervo, but when Ro-mulus sparò(Fonte non attendibile), the animal became Francesco Totti, who said “Ao, ao, c’è solo un capitano, un capitaaaaano, c’è solo un capitaaa-no” Romulus risparò(fonte non attendibile)Totti, who was dead, infelices. At this point they Meeterunt another Francescus, Papa Francescus. Papa Francescus, when videt the fucile of Romulus si spaventò mucho. So, look in the occhi i due gemellini, et cum summo gaudio et divina calma, after e segnus of crocem, said: “Pax” But Remulus et Romuls testae di cazzum erant, and their conoscentia of Latino was scarserrima(like Sarpina scientia), ed they crederunt that “Pax” signifi-cabant “Pazzo”. So, Romulus, incazzatus negrus, shouted: “Pax a chi? EEE? Je t’uccido” so caricò er fucilozzo, et lo puntò against Papa Francescus who started to bestemmi-are(fonte non attendibile). But, a certain point, Remulus, fortasse

per volontà divina, stopped his brother and disset: “Romulus, ce siamo capiti sur fatto che sta’ noiata qua è ‘na strunza-ta ppe’ terza paggina, però adesso non è che ce potemo mettece’ a uccide’ Papa Francesco, eccheccavolo, qua ce fanno fori, lascia stà’, che è pure un brav’omo, er Papa Buono 2”. So Romulus non premmettes il grillettus, but Papa Francescus costrettus fuit a dimeettersi for his scandalistic bestem-mie like “Zio perino” or “Maduna me”. Remulus divennet Papa, with the name of Papa Francescus Due. TOBIA CONTINUA (TO BE CONTINUED) ( TO BE CONTINUDE)(TO BE CONTINDUE) SENSAZIONALE POSTFAZIONE DI ARISTIDE MASSACCESI La chiesa cattolica ha deciso di cen-surare questo scritto perché lesivo nei confronti della figura di Francesco, Totti. Detto ciò, parlando con l’autore sono riuscito a capire che la sua satira\merdata era volta esclusivamente a ridicolizzare Papà Francesco, papà di Papa Francesco, che fa di nome Papà, appunto. Mi chiedo se sia possibile, ancora oggi, che la libertà di Stampa venga osteg-giata con tanta sfrontatezza. Invito, pertanto, tutta la popolazione Berga-masca e dintorni a non andare in Chie-sa domenica mattina, per dimostrare quanto questi atti, che limitano il nostro essere, debbano essere condannati. Tutti i cinema quel giorno saranno aperti per proiettare l’ultimo dei miei capo-lavori, alle 10.30, il costo del biglietto è ridotto se rinunciate alla casa del Signo-re. Accorrete numerosi.

History of Rome Antica Parte 1Ovvero l’Italia è una repubblica

fondata sul Meridione

Paolo Bontempo, 2D (Con postfazione di Aristide Massaccesi)

Page 24: Cassandra - Maggio 2014

terz

a pa

gina

24

– MILLE MILA COSE CHE POTREBBERO AN-CHE FARVI RIDERE PREMESSA: questa premessa non è un ipse dixit. A questo punto metà di voi non sarà an-data avanti a leggere per la delusione, l’altra metà invece ha continuato illudendosi che effettivamente fosse un ipse dixit(B.P) PREMESSA 2: per motivi di grafica abbiamo dovuto fare economia di alcune vostre mi-rabolanti battutone, ce ne scusiamo.(B.P) In realtà le ho tagliate perché non mi piacevano.(l’inconscio di B.P). Stai zitto.(la ratio di B.P). Rissa, rissa, rissa(l’egocentrismo di B.P) PREMESSA 3(DELL’ESIMIO DOTTOR PRESI-DENTE): l’estasi misticisticamente portentosa nel rigorismo kantiano dell’esegesi Bruniana- Copernicana in guisa di onomatopeiche mas-sime sentenziosamente riunite a genuflettere la corrispettività dell’anaciclosi stoicoepicurea spaziotemporalmente indefinita. Inconfondi-bilmente sarpinevole la germanica scelta lessi-cale nella latinizzazione grecista della superfi-cialità mascheroniana. -Dottor Presidente

VDMessi: “E se ne interrogassi un altro? Mhm... L’anaconda ha ancora fame!” Messi: “Nel sermo gravis si dice cortigia-na, nel sermo mediocris etera, nel sermo humilis.. beh... la moglie dello zoccolo!” Cuccoro: “Interroghiamo la signorina S. e la signorina D... E ora un cavaliere...

Non vale cambiare sesso!” Messi: “Attilio è easy nel suo modo di vivere” Messi: “Primo della schiera romana delle anime che si reincarnano è Silvio... Silvio è ovunque” Messi: “L’anno prossimo potrei prendere una quarta Francesca: “Per forza profe, la vedono all’open day e la trovano così simpatico che la vogliono tutti” Messi: “Certo, poi sono pure figo, vesto nero che snellisce, ho un po’ di pancia, ma si sa che nell’uomo fa sostanza... Non vi siete mai chiesti perché agli open day mettono sempre me e Cubelli?” Messi: “A san Valentino potete inviare alla vostra ragazza delle ginestre con scritto ‘sii la mia ginestra!!’”

IIA Raffaelli: Nessuno degli insegnanti pre-cedenti ha avuto problemi con il regi-stro? Classe: Si Mangini, ma... Raffaelli: Ma? Se l’è cavata con filoso-fia?! Strocchia: (spiegando Tasso) Rinaldo è

IPSE DIXIT

Page 25: Cassandra - Maggio 2014

Terza paggina

25

un toy boy nelle mani di Armida. Invito i maschietti qui presenti a fuggire sempre da queste situazioni Mazzoleni tossisce Mangini: Alessandra, vedo che nono-stante il piede rotto continui ad andare in giro di notte (spiegando Michelangelo) Buonincontri: Ragazzi, guardate questa immagine come è spigolosa, cioè se prendiamo una gomitata dalla madonna la sentia-mo, eccome se la sentiamo. Cuccoro: Vincenzo di Benedetto è re-centemente scomparso... Beatrice: Dove è andato? Camilla: Prof volevamo chiederle un’ora per fare l’assemblea di classe... Strocchia: Ah ragazzi, va bene, ma sono 60 gocce del mio sangue.

IIB(dopo un’ora e mezza) Ravi: Ah ma non c’è Bailo! Pusi: sì Ravina è malato da due giorni… Sempre sul pezzo, eh Ravina!

Milesi: Di Vita, vieni! (Divvi si alza urtando tavoli e ribaltando sedie) Milesi: sì… Con un aplomb degno di Oscar Wilde…

Zappoli: devo mettere delle note? Mi volete LOGORARE PSICOLOGICAMEN-TE?!

Marianna: mah sì, come dice… Ehm, non è Umberto Eco… Non è Benedetto Croce… Non è Kant… (era Spinoza)

Elzi: correggiamo il numero 609, che ha creato non pochi problemi! Argi: ma era una ca**ta! Pusi: Argenziano, che prin-cipessa…

Frattini: cosa c’è in un qualunque locus amoenus? Che sia Kos, Siracusa o Brusa-porto…

Gentilini: c’è poco da dire, quando ve-dete cosa ci hanno lasciato i Micenei… Sembra proprio che dicano: “poche palle. Siamo Micenei”.

Milesi: Tiziano era un boss per la commit-tenza

Zappoli: la persona colta, in Europa, parlava francese… Elzi: Oui.

Pusi: quindi, Maxwell ipotizza l’esistenza di un diavoletto che apre e chiude la finestrella in un senso solo… Elzi: profe, ma lei sa il nome dello spacciatore di Maxwell?

Elzi: vado a cercare il prof. Giaconia Pusi: ma perché pover’uomo?

IIIBZAPPOLI, guardando una foto di Musso-lini: “Guardate qui, è a torso nudo! Ma quella è pancia o sono addominali? Graaande dilemma.”

Page 26: Cassandra - Maggio 2014

terz

a pa

gina

26

RONDI: “Gotti, tell me the difference between farm unit and factory unit!”

GOTTI: “Well, in the factory unit you don’t kill your chickens to feed your fa-mily: you buy a lot of chickens, then you sell half of the chickens and you use the other half of the chickens to make new chickens!”

RONDI: “Ehm.. Well.. Ok.” (se non avete capito un cazzo ci dispia-ce. ndr)

BONAZZI: “Masserini, dove abiti?”

MASSERINI: “A Presezzo.”

BONAZZI: “Beh, Presezzo non è Canicattì! Io il ritardo te lo metto.”

ZAPPOLI: “Se io vi dico: siete servi della gleba! voi ci rimanete male? Ora che ci penso, è anche un disco punk.. Ma di chi?”

MARIA: “Elio e le Storie Tese, profe!”

ZAPPOLI: “Ah, sì, ecco, quello là. Bravo, vero? Ma.. stiamo divagando?”

SIGNORELLI: “Io ve lo faccio l’esempio, però non mettetemi su Cassandra! Dun-que, se io fossi un piccione su un filo..”

SIGNORELLI: “Sai, stanotte ho sognato te, Crippa: mi perseguitavi! Una persona insospettabile, tra l’altro, perchè sei così bravo.. Non sei uno di quei rompiscatole, insomma!”

Dieci minuti dopo, a Maria: “E’ la terza volta che lo ripeto, ora basta! Ecco, te dovevo sognare..!”

BONAZZI: “Ma io vi picchio! Anzi, io me-taforicamente vi picchio!”

ZAPPOLI: “Gesù Cristo, quel povero cristo, cosa ha fatto nell’orto del Getse-mani?”

BONAZZI a Diego, in interrogazione: “Bada a come rispondi: guarda che la finestra è aperta! Mi vengono certi istin-ti..!”

ZAPPOLI: “Ma tu, Gotti, hai già ottenuto qualche risultato in questa scuola!”

GOTTI: “Sì, ho imparato a leggere.”

Viky bussa e chiede di fare un discorso alla classe; Zappoli lo caccia in malo modo.

GOTTI, pochi secondi dopo: “Ha fatto bene, profe! Quella barba era sospetta: secondo me era un testimone di Geo-va..”

ZAPPOLI: “Allora: non diamo la colpa a Hegel per i campi di sterminio: lui non c’entraaaa!”

RONDI: “Ma perchè io la conosco la psicologia dello studente: fate sempre altro rispetto a quello che si sta facendo! E quindi quando c’è inglese fate mate-matica, quanto c’è matematica fate latino, quando c’è latino fate.. fate.. no, ok, fate latino.”

MILESI: “E questi artisti non piacciono

Page 27: Cassandra - Maggio 2014

Terza paggina

27

molto alla critica. Non dico gatti morti lanciati sul palco, ma.. quasi.”

BONAZZI: “Dovrei raccogliere queste vostre versioni e conservarle come fàr-makon per la depressione.”

BONAZZI: “..e Isocrate ha insegnato fino all’età di 98 anni.. E io mi chiedo come abbia fatto a mantenere i nervi.”

ZAPPOLI, dopo una visita in aula della moglie: “Il matrimonio è una prigione.. Non la auguro a nessuno! Ahah!”

ZAPPOLI: “Quando io dico credenza non intendo il mobile della cucina.”

ZAPPOLI: “..e era già presente, ad esem-pio, anche nell’Impero Romano..”

GOTTI: “Quo vadis?”

ZAPPOLI: “Esatto. Ma anche Ben Hur.”

GOTTI: “Eh sì ma a mia nonna piace di più Quo vadis?.”

SILVIA, traducendo un epigramma di Nosside: “..Mitilene dalle belle piste da ballo..”

BONAZZI: “Ma come dalle belle piste da ballo?! Non stiamo mica parlando delle balere della Bassa Padana!” Poi, indi-cando se stessa: “Mai stata, eh!”.

BONAZZI: “E che disposizione è?”

MASSE: “A.. sandwich..?”

BONAZZI: “Si chiama chiasmo.”

MILESI: “E loro sono contro il capitalismo! Nel senso: se abbiamo un golfino non ci serve un golfino di un altro colore la stagione dopo, perchè quello vecchio scalda uguale!”

GOTTI mostrando le maniche mooolto corte del suo golfino: “Non se lo lava mia madre!”

STEFI interrogato: “Aspetti un attimo, che faccio mente locale!”

BONAZZI: “Che non ti saltino fuori di que-ste frasi durante il colloquio per uscire da questa galera..!”

BONAZZI, parlando della datazione dell’Edipo Re: “Tu dici nel ‘40. E se io ti dicessi nel ‘14?”

STEFI: “Beh, a me sembra un po’ tardi, però se lo dice lei vuol dire che è giu-sto..”

BONAZZI: “Questa situazione è a dir poco imbarazzante. -.- E se io ti dicessi nel ‘23?!”

STEFI: “Ma mi sta prendendo in giro?!?!”

MILESI: “...E questo nudo di Modigliani ebbe ancora il coraggio di fare scanda-lo nel 1917. E a Parigi, tra l’altro, mica a Bottanuco di Sopra!”

Page 28: Cassandra - Maggio 2014

terz

a pa

gina

28

IVB

L’innominato: “ Ragazzi denunciamo Achille al WWF per inquinamento del fiu-me Xanto?!”

Interrogazione di epica

Ari: “Clitemnestra andò con Egisto” Innominato: “ Andò?! Ma non è italiano, questo è bergamasco italianizzato: chel’ le’ ol và con chela le!”

Innominato: “Che lavoro svolgeva?”

Interrogato:” Ehm..insomma.. la..”

Innominato: “La donna pubblica, come esistono i cessi pubblici ci sono anche le donne pubbliche!”

S: “Aiuto, qualcuno che mi spieghi la ter-za guerra persiana?

Innominato: “Aspasia non era una don-na dal consumo rapido”

Innominato: “ Chi è Agesilao? Il gatto di Brunetta? “

Campanelli : “ X per favore fatti un ra-gazzo, sei sessualmente repressa e molto arrapata”

Innominato: “Questo tema è una Cher-nobyl sintattica!”

Innominato: “ D’Annunzio: alto 1,63, calvo, grassoccio, senza un occhio, contava 3000 donne, 3000! A confronto Berlusconi è un chierichetto.”

Cubelli post battuta pessima: “In Cina hanno molto riso.”

Danny: “ What is the name of your ted? Oh..his name is Teddy. Oh ye, of course… What is the name of your mum? Mum

V BBonazzi: Allora, Vailati, in Baudelaire ab-biamo la fuga del poeta dalla terra… Vailati: al mare? Bonazzi: No, se non è terra né mare, sarà… Vailati:…. Bonazzi: Vailati, conosciamo Modugno? A Carminati cade un Cracker per terra, sia lei sia la Picci lo fissano per qualche minuto: Carminati: Profe, lo mangio comunque? Piccirilli: beh claro Carminati! I miei figli da piccoli leccavano il pavimento Piccirilli: (spiegando il periodo ipotetico): Se mio nonno avesse tre gambe sareb-be una cariola Piccirilli: Ruch, emancipati dalla tua con-dizione di “Potapota” di Zogno. Scrivi: ”Sono facinoroso: ciò significa che sono il figlio del bocia e vado allo stadio ogni domenica” Piccirilli: Chi conosce Pingu conosce la vita Pusi: Mazzoleni finiscila, altrimenti domani vorrò vederti arrivare a scuola indossan-do i leggins galassia

Page 29: Cassandra - Maggio 2014

Terza paggina

29

Mazzoleni e Betelli si lanciano incante-simi a mo’ di Harry Potter, Picci li vede. Betelli lancia la bacchetta a terra, Maz-zoleni si nasconde dietro la schiena. Picci: Mazzoleni, che hai dietro la schie-na? Mazzoleni: Chi, io? Niente Gli cade la bacchetta, Picci la afferra e lo rimprovera agitando la bacchetta Piccirilli: qualcuno ha fatto una buona versione, qualcun altro ha fatto la pipì fuori dal vasino (Ci scusiamo per gli accenti ndr)Bonazzi a Mazzoleni: hai una τολμη che rivendi-ca νεμεσις, poiché stai al primo banco

e non ascolti. Sappi che sei sul filo della υβρις.

Picci a Mazzoleni che ha appena star-nutito: Ma io non lo so, sembri un triche-co in calore

Bonazzi: Ruch vieni fuori con i promessi sposi Ruch, ancora vestito da vigile con tanto di pistola nella cintura, esce interrogato: scusi, prof, mi tolgo questi, abbiamo appena fatto la foto di classe per l’an-nuario Bonaz: No, no, non mi dà fastidio. Mi sarei spaventata se ti fossi voluto levare qualcos’altro

Page 30: Cassandra - Maggio 2014

terz

a pa

gina

30

Page 31: Cassandra - Maggio 2014

Terza paggina

31

Cassandra è impaginata a merda?

Sapresti fare di meglio?

Che noia un giornale senza immagini per ben ventidue pagine?

C’hai tutta la suite di Adobe crackata che nemmeno i peggio hacker e non sai che farne?

Nella vita volevi fare il grafico ma i tuoi ti hanno obbligato a fare il Sarpi?

Sei un nerd mega di InDesign o sem-plicemente sai usare bene un qualsiasi programma di impaginazione?

Vuoi offrire alla collettività il tuo innato talento informatico?

Hai lo sbatti?

cassandraHA BISOGNO DI TE!

Cerchiamo giovini e volenterosi grafici già avviati all’utilizzo di software a cui sbolognare affidare il prezioso compito dell’impaginazione.

Se sei interessato vieni in redazione il Sabato in sesta ora o contatta la direttrice!

Page 32: Cassandra - Maggio 2014

LA REDAZIONEDIRETTRICE: Marta Cagnin, IIID

VICEDIRETTRICE: Micaela Brembilla, IIIC

SEGRETARIA: Marianna Tentori, IIB

CAPOREDATTORI:

Attualità: Sara Latorre, ID

Cultura: Andrea Sabetta, IIC

Narrativa: Pietro Raimondi, IID

Sarpi: Giulia Testa, IIIB

Sport: Federico Crippa, IIIB

Terza Pagina: Paolo Bontempo, IID

IMPAGINATORE: Pietro Raimondi IID

COPERTINA: Matteo Cereda, III I

ILLUSTRAZIONI: Silvia Caldi IIIB, Lucia Marchionne, Laura Gabellini e Clara Rigoletti, VE

REDATTORI: Giulia Argenziano IIB, Batman VE, Bianca Bona IVB, Silvia Caldi IIIB, Adele Car-raro VC, Selene Cavalleri IE, Martina Di Noto IE, Chiara Donadoni ID, Valentina Fastolini IVC, Camilla Finzi IVD, Riccardo Ghislotti IVE, Gaia Gualandris VF, Federico Lionetti IIC, Ro-berto Mauri IVD, Caterina Moioli VF, Pietro Micheletti VB, Elena Occhino IF, Alice Paludetti VF, Michele Paludetti IIC, Matilde Ravaschio VE, Elisa Salvi IE, Sofia Savoldi VB, Giorgia Scotini VC, Elena Seccia VE, Jacopo Signorelli IVC, Valeria Signori ID, Paolo Sottocasa IIIA, Giovanni Testa IVC, Sara Testa VF, Giorgio Trussardi IVC, Eleonora Valienti VE, Chiara Ma-ria Viscardi VC, Giulia Vitale ID, Sara Zanchi ID, Marcello Zanetti IIB