Carmelo Bruno, Chimicapisce
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Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata (occor-re l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - Scuola NormaleSuperiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà pubbli-cata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione con-traria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
NaturaleSulla prima pagina del Sole-24 Ore del 22 agosto trovia-
mo un’interessante inserzione pubblicitaria. L’azienda
Aboca scrive: «Naturale: un termine da difendere. — Per
il consumatore, naturale è sinonimo di qualità e affida-
bilità, ma questo termine oggi è sfruttato come mero
strumento di comunicazione, per aumentare le vendite
di prodotti che in realtà naturali non sono. Ma cos’è
naturale? Un prodotto è naturale, quando deriva dalla
natura senza essere alterato e modificato con sostanze
artificiali create dall’uomo per sintesi chimica o manipo-
lazione genetica. Definire o far intendere come naturali
prodotti che tali non sono, inganna il consumatore e
falsa la concorrenza».
Ci sentiamo di concordare in pieno su quest’ultima
idea: nella propaganda il termine naturale è molto
spesso abusato; lo s’incontra anche per prodotti che
hanno subìto trasformazioni chimiche sostanziali, tanto
il consumatore non è assolutamente in grado di ren-
dersene conto.
Rimane però il nostro dissenso sul concetto di fondo,
cioè che naturale sia per forza meglio di sintetico: gli
esempi di sostanze naturali tossiche, cancerogene o
comunque nocive sono infiniti. Rimproveriamo dunque
all’Aboca il cavalcare la tigre dell’ignoranza popolare: il
fatto che, per il consumatore, naturale sia sinonimo di
qualità richiederebbe semmai anzitutto un chiarimento.
Dopo (e solo dopo) ci sarebbe lo spazio per decantare
in piena onestà certi particolari prodotti, di cui nessuno
— nemmeno noi — negherebbe mai i pregi.
Troppa chimicaDal quotidiano Il Mattino di Padova Taino Gusella
(Istituto statale d’arte “Pietro Selvatico” di quella città) ci
manda la pagina 4 del 14 settembre. “Il WWF avverte —
Troppa chimica sui grembiuli” sentenzia un titolo. Nel
testo leggiamo: «Troppe sostanze chimiche sono pre-
senti nei grembiuli e negli abiti usati dai bambini a scuo-
la. È l’allarme lanciato dal WWF, che consiglia ai genito-
ri di controllare le etichette sui capi di abbigliamento per
evitare di far indossare ai propri bambini abiti che con-
tengono sostanze tossiche come il teflon». «Il teflon è
molto adoperato come materiale biocompatibile per
sostituire vasi sanguigni e valvole cardiache!» commen-
ta esterrefatto Gusella. Ha ragione: se il giornalista ha
riferito bene, il WWF ha detto una baggianata.
Potremmo aggiungere che quel polimero fluorurato
riveste le padelle antiaderenti: se càpita di mangiarne
un po’ inavvertitamente, viene poi espulso intatto.
Soprattutto, però, vorremmo chiedere al redattore di
quel giornale se ci ha pensato bene prima di scrivere
«troppe sostanze chimiche nei grembiuli e negli abiti
usati dai bambini». Quel genitore fanatico, che volesse
levarle di mezzo, come manderebbe i suoi figli a scuola?
Coperti, almeno nel punto più “critico”, da una foglia di
fico? O neanche da quella, perché di sostanze chimi-
che ne contiene parecchie? Forse per il classico strata-
gemma iconografico salvapudore anche un fanatico
farebbe eccezione?
AutocontenutoLa giornalista scientifica Anna Buoncristiani (Pisa) ci
porta la pagina 100 del settimanale Oggi del 18 agosto.
Vi troviamo un articolo d’Edoardo Rosati sui sistemi per
sbiancare i denti e dare quindi un sorriso smagliante a
tutta chiostra. Il giornalista interroga «il dottor Giuseppe
Aronna, odontoiatra e specialista nell’estetica denta-
ria». Egli cita il perossido d’idrogeno: «La sostanza in que-
stione» dice subito dopo «nient’affatto tossica e comu-
nemente presente nell’acqua ossigenata […]». Beh... è
vero che “acqua ossigenata” è anche il nome com-
merciale d’una soluzione diluita di perossido d’idrogeno,
ma nella nomenclatura chimica italiana non ufficiale
quell’espressione indica proprio il perossido stesso. Quel
passo, insomma, rischia di confondere i lettori, che già
non ne hanno bisogno. Ancor maggiore è il rischio insito
nel dire che il perossido non è affatto tossico: usato dal
dentista e poi eliminato per risciacquo, va senz’altro
bene; ma chi esclude che i lettori d’Oggi non siano
indotti a pensare che la soluzione contenuta nelle botti-
gliette di disinfettante possa essere ingerita? Di fronte
all’ignoranza scientifica la prudenza non è mai troppa.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
112 La Chimica e l’Industria - Ottobre ‘04 n. 8 - ANNO 86
a cura di Gianni Fochi
RICHMAC Magazine - Novembre 200390 - La Chimica e l’Industria - 85
Specchio DeformanteSpecchio Deformante
Tutto fa brodo...
... anche per il bebè. Almeno verrebbe da pensar-lo leggendo una pagina pubblicitaria del quotidia-no Metro del 12 giugno, speditaci da Alberto Gi-relli di Milano, sempre vispissimo (e mordace)sebbene abbia «superato da tempo» come dice«lo stato di neonato», sicché il problema che oravedremo non tocca direttamente lui né i suoi figlie neppure i suoi nipoti, ormai cresciutelli. Toccaperò la serietà di quel messaggio e di tanti altriche ci bombardano da giornali, radio e televisio-ne. Girelli fa notare che in quella pagina vengonoconsiderate adatte ai neonati due diverse marched’acqua minerale: in un litro una ha 1,1 milligram-mi di sodio e 39 milligrammi di residuo fisso, l’altrarispettivamente 19,67 e 899. Possibile che sianotutte e due indicate per i neonati? Se davvero losono, non significa che s’esagera per scopi com-merciali l’importanza di certe caratteristiche, lequali in realtà ne hanno assai meno? Ai signorimedici dietologi l’ardua sentenza, mentre noi con-tinuiamo a sorbirci il tormentone di quell’altra ac-qua «ricca di piacere, povera di sodio». Probabil-mente faremmo bene a dar retta alle voci chesempre di più si levano a consigliare piuttostol’acqua del rubinetto, come l’ottimo articolo di Pie-ro Bianucci nell’inserto TuttoScienzeTecnologiadella Stampa (pagina 3 del 20 agosto).
Clonazione
«Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato ieripomeriggio ad Assago, alle porte di Milano, nellostabilimento della Nuova Tecnosol, che si occupadella produzione di presidi medico-chirurgici» scri-ve l’Avvenire del 17 giugno (pagina 11). «La zonaè stata evacuata per un raggio di un chilometro emezzo […] ed è stata interrotta la circolazione sul-la vicina tangenziale ovest di Milano. Il gas propa-gatosi insieme alle fiamme per l’esplosione dibombolette già riempite, è il toluolo, un derivatodegli idrocarburi». Non sottilizziamo su quel gas,anche se il toluolo (o toluene), una volta tornato atemperatura ambiente è liquido, a meno che nonsia in dose tanto bassa da render poco giustifica-bile il tirarlo in ballo. L’ignoranza chimica del cro-nista si rivela piuttosto nel chiamarlo «un derivatodegli idrocarburi». Essendo esso stesso un idro-carburo, possiamo pensare che sia derivato... perclonazione? Certo, qualcuno potrà obiettarci chenei processi petrolchimici il toluene si forma da al-tri idrocarburi, ma non crediamo che l’Avvenireavesse in mente un’idea così sofisticata.
La chimica usura chi non ce l’ha
Dal dipartimento di chimica e ingegneria chimi-ca dell’università dell’Aquila, Pietro Mazzeo cimanda la pagina 9 del Messaggero del 20 lu-glio, che contiene un servizio d’Elena Castagnisu certe creme cosmetiche. In un riquadro c’èl’intervista al professor «Leonardo Celleno, co-smetologo all’Università Cattolica» di Roma.Ecco una battuta che costui sembrerebbe averdetto o scritto, sempre che non sia stata pastic-ciata dalla giornalista o dalla redazione: «Per ri-pristinare la funzione di barriera della pelle siusano molecole di lipidi epidermici, quali le ce-ramidi e gli acidi grassi usurati».Forse la versione corretta di quest’ultima parolaè insaturi: se qualche esperto in materia di pelleè in grado di confermare o precisare, ci scriva eapprezzeremo. Una cosa comunque è certa:l’usura non centra per nulla.A quanto pare la chimica assomiglia al potere:parafrasando il ben noto aforisma andreottiano,potremmo dire che essa logora — o appuntousura — chi non ce l’ha, ovvero chi non ne pos-siede almeno i concetti basilari.
Il gusto dell’orrido
Ogni tanto non è male ribadire — e lo facciamovolentieri in chiusura di questo numero — che ilnostro scopo non è divertirci mettendo alla ber-lina l’ignoranza: non possediamo affatto il gustodell’orrido. Se spesso il nostro tono è pungentee scherzoso, l’intenzione è semmai quella distemperare la tristezza e l’arrabbiatura.Un pensiero molto simile l’esprime Sergio Pa-lazzi nella sua interessantissima rubrica “Sicu-rezza” all’interno del sito http://www.farm.it/in-dex.html. In una pagina messa in rete in agosto(«Ancora su bottiglie, etichette ed “acidi”») il no-stro bravo collega chimico scrive: «Il commentopiù comune, sentito per radio o in televisione, è:“crede sia acqua minerale, ustionato dall’acido”.Nel testo, si precisa che si tratta di un prodottoper lavastoviglie […] oppure di soda caustica(che naturalmente il giornalista non sa cosa sia,però almeno il nome se lo ricorda). Recente-mente ho sentito riferire le parole di un medico,secondo il quale “dall’odore sembrava una so-stanza caustica”… va da sé che la maggior par-te delle sostanze più caustiche sono assoluta-mente inodori. Questo ci aiuta a riempire i cata-loghi di sciocchezze […], ma è una soddisfazio-ne alla quale sarebbe bello rinunciare».
Questa rubricaè aperta allacollaborazione divoi lettori: basta cheinviate per posta lapagina incriminata(occorre l’originale,con indicazioni chiaredella testata e delladata di pubblicazione)a Gianni Fochi -Scuola NormaleSuperiore - Piazza deiCavalieri, 7 - 56126Pisa. Se la direzionelo riterrà opportuno,la segnalazione saràpubblicata; verràanche scritto il nomedel lettore che hacollaborato, salvoche questi ci diaespressa istruzionecontraria. In qualchecaso potrannoessere riportati vostricommenti brevi.
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata (occor-re l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi — Scuola NormaleSuperiore — Piazza dei Cavalieri, 7 — 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà pubbli-cata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione con-traria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
La benzina dei muscoliIl 15 luglio c’è capitato di sentire nel TG 5 delle venti, in
tema di doping nello sport (robaccia: un’arma pur-
troppo in mano ai denigratori della chimica), la frase
seguente: «L’ossigeno, che è la benzina dei muscoli...».
Non è la prima volta: per esempio, anni fa un errore
del genere fu detto su Rai Uno, durante una trasmis-
sione di Piero Angela. Dal punto di vista divulgativo (e
anche da quello didattico) il paragone fra lo sviluppo
d’energia in un motore a scoppio e nel nostro organi-
smo è pienamente accettabile. Quello che invece
non va è lo scambio dei ruoli. In entrambi i casi l’ossi-
geno è il comburente e non il combustibile; la benzina
dei nostri muscoli è piuttosto il glucosio, e l’ossigeno
provvede a ossidarlo, così come nel motore esso ossi-
da la benzina vera e propria. Più semplice di così...!
Ci sentiremmo d’arrivare a dire che l’errore in questio-
ne ci preoccupa forse assai di più d’altri che coinvol-
gono conoscenze chimiche precise. Infatti qui direm-
mo che si tratta di logica molto debole (non riuscire
neppure a fare un banale paragone nel modo corret-
to) più che d’ignoranza scientifica. Stando così le
cose, il pessimismo sulle sorti intellettuali della nazione
non può che appesantirsi. Scienza? Discipline umani-
stiche? Tutto fa brodo, o meglio: una brodaglia per
nulla invitante.
A tutto gasVietato ragionare: molto spesso verrebbe fatto di pen-
sare che cartelli del genere (almeno per ciò che
riguarda la scienza) si trovino appesi alle pareti d’al-
cune redazioni. Stavolta la biologa e giornalista scien-
tifica Anna Buoncristiani ci passa la pagina 53 di
Scoprire di luglio. Questo periodico è un mensile divul-
gativo nato da poco e rivolto in particolare ai ragazzi-
ni. Nell’insieme ci sentiamo d’apprezzarlo, ma c’è una
balordaggine: «Il grande circuito del sangue — […]
altri capillari si incaricano dei rifiuti, come il gas carbo-
nio». Che ragionare sia davvero vietato? Il carbonio è
un gas? Andiamo!... Forse molti ignorano (purtroppo)
che di carbonio è fatto il diamante, il quale non è
certo gassoso. Però, che tante persone ignorino che il
carbone è (in gran parte) carbonio non vogliamo cre-
derlo. Fra l’altro il nome in questo caso porta sulla stra-
da giusta: o forse dovremmo essere ancora più pessi-
misti di quanto già siamo? Il gas in questione è ovvia-
mente il biossido di carbonio. Ehi, gente! Chiamatelo
pure anidride carbonica, alla vecchia maniera italia-
na, se vi torna meglio. Noi ci sentiremmo di tollerarlo
come male minore: i puristi della nomenclatura chimi-
ca dovranno avere un po’ di pazienza. Ma il «gas car-
bonio» può esistere semmai nell’arco voltaico, non
certo nei nostri capillari.
Una resina non resinaDa Milano Alberto Girelli ci spedisce la pag. 25 (quella
della scienza) del Corriere della Sera del 4 luglio. Vi si
parla di polistirolo espanso, e a margine d’un riquadro
c’è scritto: «Chi lo inventò?». Leggiamo: «Quante volte
è accaduto che un inventore, cercando di arrivare a
una certa soluzione, arrivi in corso d’opera [a] scoprire
una cosa diversa? La cosa accadde al chimico Usa
Ray McIntire (1918-1996). Fu combinando sotto pres-
sione una resina chiamata stirene e un liquido volatile
(isobutilene) che nel 1943 il chimico ottenne una schiu-
ma 30 volte più leggera e flessibile dei materiali utiliz-
zati come isolanti fino a quel momento». La «resina
chiamata stirene» balza subito agli occhi: lo stirene
non è una resina, ma un idrocarburo a molecola rela-
tivamente piccina (vinilbenzene).
In realtà McIntire stava cercando di fare un isolante
elettrico simile al polistirene (o polistirolo), che aveva
ottime proprietà dal punto di vista elettrico, ma era
troppo fragile. Sicché il chimico americano, fra i vari
tentativi, provò anche a copolimerizzare lo stirene e l’i-
sobutilene (2-metil-propene). Quest’ultimo, però, che
è in effetti molto volatile (alla pressione atmosferica
bolle a quasi sette gradi centigradi sotto zero), agì da
espandente invece che da comonomero.
Ecco dunque la schiuma. Purtroppo fra i lettori di quel-
la pagina del Corriere non si sarà espansa la cultura
chimica: anzi...
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
104 La Chimica e l’Industria - Settembre ‘04 n. 7 - ANNO 86
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - ScuolaNormale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione saràpubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzionecontraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
La chimica: che puzzo!Una decina d’anni fa la rivista americana ChemTech
rappresentò la “chemiofobia” con una vignetta: due
ragazzetti litigano, ma non si scambiano gl’immagina-
bili «Figlio di...! Pezzo di...!» dell’educazione moderna (o
gli «Scemo! Imbecille! Cretino!» d’altri tempi). Uno dei
due — il più piccolo di corporatura — urla all’altro: «Ah
sì? Ma tua sorella puzza di sostanze chimiche tossi-
che!». Qualcosa del genere, ma senza intenti apologe-
tici, troviamo nella pagina III della cronaca di
Macerata del Resto del Carlino dell’11 aprile: «“Puzze
chimiche” ammorbano l’aria a Piediripa» strombazza
un titolo a tutta pagina. Nel testo leggiamo: «Puzze di
origine chimica che ammorbavano l’aria. […] Gli
accertamenti per individuare le cause del fenomeno
[…] sono ancora in corso; tuttavia è certo che siano da
ricercare nelle attività presenti nella zona e che si trat-
ta di puzze di origine chimica (benzene o solventi o
gasolio o altro). In questo caso, insomma, non c’entra-
no le auto, né sostanze di natura organica».
Ringraziamo Fabio Marchetti (università di Camerino),
che ci ha fatto la segnalazione. Egli commenta: «Puzze
di altra origine (economiche? filosofiche? giuridiche?)
non sembra siano ancora state individuate e anche
quelle cosiddette biologiche e naturali derivano pur
sempre da sostanze chimiche». Poi critica giustamente
l’ignoranza di chi usa l’aggettivo organico nel senso che
gli dava Berzelius un paio di secoli fa. Il benzene, secon-
do il lessico moderno, è una sostanza organica, e così
anche il gasolio è una miscela di sostanze organiche.
Marchetti infine lamenta come l’anonimo redattore
(potrebbe forse trattarsi di Francesco Veroli, autore del-
l’articolo principale di quella pagina, che è dedicata
all’ambiente) nella foga d’incolpare la chimica dimen-
tica che non poche auto funzionano proprio a gasolio,
e quindi una certa responsabilità, almeno indiretta,
nella faccenda potrebbero anche avercela.
Inganni diffusiLa giornalista scientifica Anna Buoncristiani ci manda
la pagina 104 del settimanale Oggi del 4 febbraio e la
pagina 14 del mensile Detto tra noi dello stesso mese.
Nella prima ci segnala un riquadro di Barbara
Favaron, dedicato ai detersivi biologici, nei quali
«anche i tensioattivi, indispensabili per lavare bene,
hanno origine vegetale». Vorrà forse dire che sono
estratti belli e pronti da qualche pianta, magari con
trattamenti di natura soltanto meccanica? Non cre-
diamo proprio: immaginiamo, al contrario, che dalla
pianta alla formulazione la chimica abbia avuto un
suo ruolo, e non da poco. Ma allora che differenza fa
se le materie prime vengono da vegetali anziché da
miniere o pozzi di petrolio?
Il mensile pubblica invece un articolo d’Arianna De
Nittis, da cui rimbalza un errore già finito varie volte su
questa rubrica nel corso degli anni (l’erba mala è
dura a morire): «Per avere un appartamento “a
impatto 0”, cioè davvero amico dell’ambiente (e
della tua salute), leggi qui» promette il sottotitolo.
Sotto possiamo leggere: «Occhio alla formaldeide
[…]. La soluzione migliore […] è scegliere mobili realiz-
zati da aziende che utilizzano colle a basso contenu-
to di formaldeide. […] E tenere in salotto alcune pian-
te da appartamento, come il ficus beniamino e la
dracena, che assorbono questa sostanza». Il primo
consiglio è ovviamente serio, il secondo no: si tratta
d’un effetto trascurabile, a meno che i vasi da fiori
siano costruiti con tecnologie degne delle astronavi.
La scienza agli scienziatiRosario Nicoletti (La Sapienza, Roma) ci spedisce la
pagina 23 del mensile Altroconsumo di marzo. A pro-
posito di pentole a pressione scrive l’esperto
(Nicoletti dopo questa parola mette fra parentesi un
punto interrogativo): «Mai riempire la pentola fino
all’orlo: in questo modo si limita troppo la formazione
di vapore e si raddoppia il tempo di cottura». Ahimè,
quanto è giusto il punto interrogativo di Nicoletti! È
vero che la pentola a pressione non va riempita fino
all’orlo, ma la ragione è tutt’altra: in quel caso il
vapore, che si forma comunque, spinge fuori dalla
valvola il liquido surriscaldato, con rischi di scottature
per chi si trova in cucina. Le spiegazioni scientifiche
vanno lasciate ai competenti.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
114 La Chimica e l’Industria - Lug./Ago.‘04 n.6 - ANNO 86
104 La Chimica e l’Industria - Maggio ‘04 ANNO 86
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
di Gianni Fochi
Chimico, non potabileQuindici studenti della classe quinta a indirizzo classico
del liceo salesiano polivalente “Astori” di Mogliano
Veneto (TV) ci mandano la foto che pubblichiamo in
questa pagina. Ci spiegano che essa mostra la fonta-
na della piazzetta interna di via Giacomo Matteotti di
Mogliano. Giustamente quei giovani vogliono criticare
il cartello, perché tutte le sostanze materiali sono chimi-
che, e perché nel contesto l’aggettivo chimico è impli-
citamente (mal)inteso come sinonimo di tossico o
nocivo. Li ringraziamo e ci complimentiamo anche col
loro insegnante di scienze, professor Luca Casagrande.
Strana serraCome funziona una serra? Lasciando entrare energia
che poi non ce la fa a uscire. Di qui l’espressione ben
nota effetto serra, tanto tirata in ballo — a ragione o a
torto: gli scienziati non sono affatto concordi — in tema
di riscaldamento globale. Ora Carlo Stagnaro, direttore
del dipartimento ecologia di mercato dell’Istituto
“Bruno Leoni” di Torino, ci segnala un curioso fraintedi-
mento da parte di Paolo Pietrogrande e Andrea
Masullo, autori del libro Energia verde per un Paese “rin-
novabile” (Franco Muzzio Editore,2003). Il primo dei due
è un dirigente dell’Enel, già amministratore delegato
della società Enel GreenPower; il secondo insegna teo-
ria dello sviluppo sostenibile all’università di Camerino,
ed è responsabile dell’unità clima ed energia del WWF
Italia. Non si tratta, insomma, degli ultimi venuti; sicché
alle pagine 17 e 18 dell’opera suddetta leggiamo
quanto segue con non poca meraviglia: «La comunità
scientifica internazionale ritiene che l’emissione di gas
prodotti dalla combustione associata alle attività pro-
duttive, agli usi domestici, ai trasporti stia influenzando
la composizione dell’atmosfera, rendendola meno per-
meabile al passaggio dell’energia irraggiata dal Sole,e
di conseguenza modificando gli equilibri termici».
Se le cose stessero davvero così, dovremmo temere
una nuova glaciazione: altro che riscaldamento!
Pietrogrande e Masullo hanno le idee poco chiare. Fra
l’altro è scorretto attribuire la previsione alla «comunità
scientifica internazionale», visto che sono notevoli il
numero e la qualità di chi la pensa in modo opposto a
ciò che comunemente ci vien fatto credere.
Noi inquinatoriIn tema d’effetto serra dobbiamo citare quanto scrive
Giovanni Bensi sull’Avvenire del 15 aprile (pagina 17). In
una corrispondenza da Mosca egli riferisce le forti criti-
che d’Andrej Illarionov, consigliere economico del presi-
dente Vladimir Putin, al protocollo di Kyoto. Verso la fine
leggiamo: «L’obiettivo del protocollo, cioè la riduzione
delle emissioni di ossido di carbonio, sempre a detta di
Illarionov, sarebbe irrealizzabile, poiché “ogni essere
umano è produttore di ossido di carbonio”.Se ogni esse-
re umano dovesse osservarlo, ha concluso Illarionov,
“dovremmo cessare di respirare”». La battuta del perso-
naggio russo è un po’ sciocca, almeno com’è stata rife-
rita: la tecnologia produce molto più biossido di carbo-
nio che non la respirazione. Ci sono argomenti ben più
forti per respingere il protocollo di Kyoto: lo stesso artico-
lo vi fa cenno. Sono questioni che interessano i lettori
della nostra rivista, la quale infatti è già intervenuta varie
volte sul tema. In questa rubrica, però, interessa anche
— forse di più — insistere sull’ignoranza chimica d’Il-
larionov (o più probabilmente di Bensi), che confonde
l’innocuo biossido col tossico monossido. Permetteteci
un commento con una venuzza nostalgica: quando in
Italia il biossido si chiamava anidride carbonica e il
monossido semplicemente ossido di carbonio, scam-
biare i due nomi era meno facile. Vogliamo adeguarci
alle convenzioni internazionali? Benissimo: non ci si può
isolare. Del resto i due nomi moderni sono perfettamen-
te distinti per chi vi fa la debita attenzione. Ma alle volte
le medaglie hanno un rovescio sgradevole che c’impo-
ne d’aprire fronti nuovi su cui combattere.
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - ScuolaNormale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione saràpubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzionecontraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
CHI_mag_specchio_XP 14-06-2004 09:52 Pagina 1
98 La Chimica e l’Industria - Aprile ‘04 n. 3 - ANNO 86
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata
(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - Scuola
Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà
pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione
contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
Chimica banditaUn enologo laureato di fresco, collaboratore di varie
testate su temi collegati al vino e alla viticoltura, è Ranieri
Fochi di Pisa (non vi ci vorrà molto per capire che egli ha
una qualche parentela con l’autore di questa rubrica).
Trovando in casa l’inserto Domenica del Sole-24 Ore del
14 marzo, è andato a leggere a pagina 45 un interessan-
te articolo in cui Davide Paolini mostra saggiamente dis-
tacco e ironia nei confronti di certe fisime dei viticoltori
biologici. Quando però viene a riferire il loro rifiuto della
chimica, anche Paolini dimostra che questa nostra bistrat-
tata disciplina meriterebbe d’essere conosciuta meglio.
Li descrive infatti come viticoltori «che hanno bandito la
chimica». È scettico sulle motivazioni, ma crede che quel
bando sia vero. Il giovane enologo ci spiega che in real-
tà la viticoltura biologica può dirsi tale anche se contro le
malattie fungine ricorre ai ben noti composti di rame (per
combattere la peronospora) e allo zolfo (per l’oìdio): se lo
zolfo viene in gran parte ricavato da giacimenti in cui si
trova come sostanza semplice (ma ha comunque biso-
gno di purificazione), la poltiglia bordolese, che è ottenu-
ta mescolando solfato rameico e idrossido di calcio, non
viene certo estratta bell’e pronta dalle miniere.
Quindi la chimica c’entra eccome, anche come attività
trasformatrice umana: non occorre insistere sul fatto che
tutte le sostanze materiali sono chimiche (considerazione
che, insomma, non permetterebbe neppure allo zolfo di
sfuggire). Il discorso s’applica anche dove Paolini scrive
che quei signori dicono no ai «prodotti di chimica di sinte-
si»: l’affermazione è smentita appunto dal ricorso ai com-
posti di rame. Per capire quanto sia impropria anche in
questo caso la contrapposizione fra chimica e natura, si
può approfittare del seguito della spiegazione che c’è
stata data. La legge stabilisce per i composti di rame un
tempo di carenza (cioè un intervallo minimo fra l’applica-
zione e il raccolto) pari a venti giorni. Quello per i fitofar-
maci sistemici adatti alla vite (vietati per la viticoltura bio-
logica) è la metà. Domanda: quale delle due categorie
è dunque considerata dal legislatore meno rischiosa? C’è
poi un’aggiunta importante per l’ambiente. Se piove, i
cosiddetti prodotti di copertura (tra cui appunto quelli
contenenti rame) vengono dilavati e bisogna applicarli di
nuovo, con un carico ambientale maggiore. Gli ioni
rameici finiscono nel terreno, sia perché trascinati dall’ac-
qua piovana, sia perché v’arrivano insieme con le foglie
che cadono. Ebbene: essi sono fitotossici, perché contri-
buiscono a rendere meno disponibile per le piante il ferro,
micronutriente indispensabile.
Un bel focherello pulitoIn un servizio di Nello Scalvo sul quotidiano Avvenire del 28
gennaio (pagina 12), sono contenute affermazioni e idee
discutibili. Il giornalista è innocente: riferisce correttamente
pensieri altrui. L’assoluzione però non può estendersi a un
riquadro: «Grazie ai biocombustibili - come la legna da
ardere - si produce energia scarsamente inquinante». Non
ci vuole molta scienza per rendersi conto che al contrario il
legno è un combustibile poco ecologico: basta ricevere
una volta il proverbiale fumo negli occhi. Forse s’è scritto
inquinante pensando al bilancio del biossido di carbonio.
Abbiamo già criticato più volte l’uso del termine inquinan-
te per questo composto, che abbonda anche nei nostri
fluidi corporei senza farci male. Se ci si riferisce ai presunti
effetti climatici che quel gas avrebbe in quanto prodotto
dalle attività umane, bisogna fra l’altro levarci dalla testa
l’idea che la biomassa coltivata a scopi energetici non
aumenti il famoso effetto serra. La coltivazione richiede
energia sotto varie forme (produzione di fertilizzanti e fito-
farmaci, carburanti per muovere i trattori e le macchine
agricole ecc.): se non entrano in gioco reattori nucleari, nel
bilancio del biossido di carbonio prevale la produzione.
Non si speri nell’energia eolica, così criticata dai più ragio-
nevoli fra gli stessi ambientalisti, o in quella solare, ottima
per il rifugio alpino, per l’isoletta o (almeno in parte) per la
fattoria sperduta nel cuore dell’Africa. Quanto al fuoco di
legna, lasciamolo a certe applicazioni che sono effettiva-
mente apprezzabili se occasionali e limitate. La carne e il
pesce cotti ai ferri su di esso, effettivamente molto più
buoni che se preparati in una padella antiaderente, man-
giamoli solo ogni tanto, perché altrimenti si rischiano tumo-
ri all’apparato digerente. Un bel fuoco nel camino, poi, è il
sogno di tanti che cercano una casa nuova: è uno spetta-
colo gradevole e dà calore non solo al fisico. Ma ve l’im-
maginate se la maggioranza degli europei scaldasse le
proprie abitazioni in quel modo? Quanti alberi avremmo
dopo qualche anno? E il cielo sarebbe ancora azzurro?
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
CHI_apr_specchio_XP 11-05-2004 10:49 Pagina 98
104 La Chimica e l’Industria - Marzo‘04 ANNO 86
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
CautelaFrancesco De Angelis, presidente eletto della SCI, di fron-
te a un articolo a firma “Mariarosa Colonetti”, uscito sul
numero di dicembre 2003 di questa rivista, è rimasto
alquanto contrariato. Seguendo il suo invito a leggere le
pagine 65 e 66, non abbiamo potuto che dargli ragione:
giudicate voi. «Una sostanza cancerogena utilizzata in
sostanze svernicianti»: in miscele (o formulati) svernicianti.
«Il cloruro di metilene […] può essere sostituito con degli
alcalini meno tossici»: cosa s’intende con quell’alcalini?
Sarà un pasticcio grossolano? Sembrerebbe di sì, almeno
leggendo sotto che «se la sostanza è sostituita da esteri
alcalini o bibasici, i rischi per la salute risultano drastica-
mente ridotti»: ne dedurremmo che forse va inteso esteri
alchilici d’acidi mono- o bibasici, ma chissà!
E ancora: «Il cromo VI è un noto allergene presente nel
cemento che può essere neutralizzato […] aggiungendo
lo 0,35% di solfato di ferro. Questa sostanza trasforma il cro-
mato solubile in acqua, in un cromato insolubile, eliminan-
do di fatto l’effetto della sostanza quando si maneggia il
cemento umido». L’italiano è confuso: la stessa parola
sostanza, per esempio, indica nello stesso periodo due
entità diverse e anzi contrapposte. Eppoi il linguaggio non
è proprio adeguato alla rivista della Società Chimica: il
verbo neutralizzare in chimica ha un significato preciso e
ben diverso.Un concetto,tuttavia,dall’articolo ci sentiamo
d’accettarlo. Il titolo dice: «[…] maneggiare con cautela».
Ecco: cautela, almeno in casa nostra.
InvenzioniDa Milano Alberto Girelli ci passa copia d’una sua lettera
all’assessore all’ambiente e all’economia di quel comune.
Egli si riferisce a un articolo uscito il 5 febbraio nella pagina
44 (edizione milanese) del Giornale, dove si racconta ai
lettori un’invenzione meravigliosa. Scrive Girelli: «Mi stupi-
sce che in Comune nessuno si sia accorto della impossibi-
lità di togliere “il 98% della CO2” dai gas di qualsivoglia
combustione, e abbia invitato per conseguenza il citato
inventore a togliere il disturbo. […] La faccenda potrebbe
costare quattrini — oltre che prestigio — al Comune».
Beninteso: in chimica si possono fare tante cose.Per esem-
pio, che il biossido di carbonio può essere estratto da un
gas tramite gorgogliamento attraverso una soluzione alcali-
na lo sanno anche le matricole universitarie (o almeno lo
sapevano fino a qualche anno fa). Ma si può pensar d’at-
tuare questo metodo (o uno simile in fase solida) nelle mar-
mitte dei veicoli o nelle caldaie dei termosifoni? E poi con
quale scopo? Contrastare l’effetto serra antropogenico?
Uh, che bel guadagno sarebbe avere tonnellate e tonnel-
late di carbonati da trasportare e smaltire!
Mistero svelatoNell’aprile 2003 a pagina 106 avevamo chiesto aiuto ai
lettori per interpretare una battuta strampalata di Beppe
Grillo, riferita dal Corriere della Sera: «I rivestimenti di ossi-
do di carbonio, diffusi in Giappone per rendere l’aria più
respirabile, da noi non si usano perché l’Italcementi tiene
il brevetto chiuso in un cassetto».Finalmente è arrivato un
barlume; da Vittuone (MI) Matteo Magistri c’informa
infatti che sull’Eco di Bergamo del 24 settembre 2002,
pagina 31, il direttore della ricerca all’Italcementi (Luigi
Cassar, che con l’occasione salutiamo dopo molti anni)
descriveva il cemento Tx Millennium al biossido di titanio.
Cassar si lanciava nella previsione che le proprietà cata-
litiche di questo composto sarebbero servite sempre più
a produrre cementi capaci di depurare l’aria dagl’inqui-
nanti, monossido di carbonio compreso. Ringraziamo
Magistri per la collaborazione preziosa, e confidiamo in
una partecipazione ancor più attiva del pubblico.
A quando il sale fisico?Dal dipartimento di scienze chimiche dell’università di
Trieste Gian Maria Bonora ci manda una pagina del
Gazzettino del 1° febbraio. Vi si parla del gran freddo in
Umbria: «Alle polemiche si aggiungono poi i problemi
pratici: scarseggia il sale chimico per le strade e la circo-
lazione è ancora difficoltosa a causa del ghiaccio».Molto
fluida, invece, continua la circolazione di castronerie: «A
quando» chiede Bonora «il sale fisico e il biosale?». Per
quest’ultimo non escludiamo che qualcuno, sfruttando a
scopi commerciali la grande popolarità del “bio”, ci
abbia già pensato. Più che d’errori in senso stretto si trat-
ta comunque della solita idea balorda che vede la chi-
mica solo come frutto degli antri degli stregoni (cioè dei
laboratori e degl’impianti industriali) e lì vorrebbe confi-
narla con rigore assoluto (oggi si dice “tolleranza zero”).
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - ScuolaNormale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione saràpubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzio-ne contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
di Gianni Fochi
CHI_mar_specchio_XP 7-04-2004 16:34 Pagina 104
a cura di Gianni Fochi
Anno 86 - Gennaio/Febbraio 200487 - La Chimica e l’Industria
Specchio DeformanteSpecchio Deformante
Fatica sprecata
Fra gl’insegnanti delle scuole medie superiorinon pochi almeno una volta hanno pensatosconsolati all’inutilità dei loro sforzi: varie ragionili avranno spinti al pessimismo, per lo più legateproprio al mondo della scuola (dagli studenti insu), ai suoi difetti e alle sue contraddizioni. Quivogliamo riprenderne una che invece è esternaalle aule e ai programmi scolastici. Spesso quel-lo che noi riusciamo a fare per istruire i giovaniviene cancellato da un’alluvione d’errori chestraripa da quelle che, piaccia o no, sono le vieprincipali attraverso cui le idee penetrano nelleteste della gente: giornali e televisione.Un esempio è tanto più grave in quanto viene dauna fonte che, per servizio lungo e — tutto som-mato — meritorio, ha consolidato una famad’autorevolezza in larghi strati popolari: il pro-gramma SuperQuark della rete televisiva RaiUno. In queste righe si cita di regola la cartastampata, perché dobbiamo verificare coi nostriocchi ciò che ci viene segnalato. Radio e televi-sione, invece, trovano spazio qui solo se noistessi abbiamo ascoltato e annotato fedelmenteo addirittura registrato.Ecco uno di questi casi. Nello Speciale Super-Quark d’argomento storico del 17 dicembre, ver-so le 22,30 Piero Angela e Paco Lanciano sta-vano parlando della polvere pirica. Intanto, inambito storico stonava un’affermazione del pri-mo dei due, secondo il quale quell’esplosivo fuapplicato dai suoi inventori, i cinesi, solo perscopi pacifici: fuochi artificiali, fatti dunque perpuro spettacolo e divertimento. Fummo noi eu-ropei, dopo averlo importato — diceva il noto di-vulgatore —, a usarlo in guerra. Qui non c’entrale cultura chimica di livello scolastico, ma cisembra comunque doveroso precisare. Chi di-sprezza il modo occidentale di pensare e agire,e crede che l’oriente sia un paradiso di saggez-za, sappia che almeno nell’uso della polvere pi-rica non sono stati i nostri antenati a comportarsiper primi da guerrafondai. La notizia più anticad’applicazioni militari si trova in un testo cinesedel 1044, cioè precedente di qualche secolo ri-spetto alla comparsa delle armi da fuoco suicampi di battaglia dell’Europa.E ora le cose più terra terra. Paco Lanciano,parlando degl’ingredienti della polvere pirica, liha chiamati «elementi», termine che si può ap-plicare a zolfo e carbone, ma non al salnitro. Ilrisultato del metterli insieme l’ha definito «com-posto», quando fra le prime cose che s’insegna-no (o si cerca d’insegnare...) agli scolari adole-
scenti c’è proprio la distinzione, fondamentaleper l’insegnamento della chimica, tra compostoe miscuglio. Ci dispiace l’uso di gergo da pro-gramma culinario nella più rinomata trasmissio-ne scientifica nazionale, particolarmente perchél’argomento aveva appunto carattere chimico.
Acquabomber
Da Giacomo Guilizzoni di Bologna, di cui fra l’al-tro abbiamo apprezzato un articolo divulgativouscito nel numero 4/2003 della rivista Fertiliz-zanti, riceviamo una pagina tratta dalle cronacheitaliane del Corriere della Sera del 6 dicembre.C’è uno schemino che dovrebbe chiarire ai letto-ri le idee sulle sostanze usate dal misterioso av-velenatore delle acque minerali. Poiché, comedicevano i latini, nemo dat quod non habet, il re-dattore del Corriere non può comunicare unachiarezza che, a quanto pare, non ha in testaneppure lui in fatto di chimica.Scrive: «Ammonio quaternario: ammoniaca di-luita normalmente presente nel detersivo per ipiatti». Avrà inteso riferirsi a detergenti cationici,a base di ioni ammonio quaternari. L’esempioconferma quanto sia dannoso che circoli ancoraper l’ammoniaca il vecchio nome d’idrossido (oidrato) d’ammonio. Sarebbe utile pretendere da-gli studenti agli esami del prim’anno universitariola dimostrazione per assurdo dell’inesistenzad’una sostanza corrispondente a quel nome:NH4OH non esiste, perché non può essere nécovalente (l’azoto supererebbe l’ottetto) né ioni-ca (altrimenti, contenendo ioni idrossido, che ov-viamente in soluzione sarebbero liberi, si com-porterebbe da base forte). Per concludere la ci-tazione del Corriere, vi riferiamo che la «varechi-na» v’è definita così: «soluzione a base di ipo-clorito di sodio, presente nella candeggina». Inun buon vocabolario si trova l’equivalenza fravarechina (o varichina) e candeggina.
Oro svalutato
Ringraziamo infine Alberto Girelli (Milano), che cispedisce la pagina 22 del Giornale del 23 dicem-bre, nella quale un titolo recita: «L’oro oltre 410dollari al barile». Chi ha investito nel metallo gial-lo può tuttavia tranquillizzarsi: il prezzo è all’on-cia, come poi dice chiaramente l’articoletto: cioèin rialzo, non in caduta precipitosa. La confusio-ne, alquanto grossolana, del titolista deriva dalfatto che nel testo si parla anche di quotazioni delpetrolio. Ridiamoci sopra, tanto più che in questocaso non è la chimica a essere stata offesa.
Questa rubricaè aperta allacollaborazione divoi lettori: basta cheinviate per posta lapagina incriminata(occorre l’originale,con indicazioni chiaredella testata e delladata di pubblicazione)a Gianni Fochi -Scuola NormaleSuperiore - Piazza deiCavalieri, 7 - 56126Pisa. Se la direzionelo riterrà opportuno,la segnalazione saràpubblicata; verràanche scritto il nomedel lettore che hacollaborato, salvoche questi ci diaespressa istruzionecontraria. In qualchecaso potrannoessere riportati vostricommenti brevi.
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
106 La Chimica e l’Industria - Dicembre ‘05 n.10 - ANNO 87
Masticare acidoDalla capitale ci scrive Lucio Pellacani (dipartimento di
chimica, università La Sapienza), allegando la pagina
53 del libro “SPQX — Misteri romani — 22 racconti ine-
diti”, distribuito nel 2004 come supplemento al quoti-
diano la Repubblica. L’occhio gli s’è soffermato su un
brano del racconto intitolato “Acid lemon” di Vincenzo
Cerami; ecco il testo: «Infilando due dita nel taschino
della giacca, con una certa fatica sono riuscito a tirare
fuori la bustina di gomme americane ridotta a uno
straccetto. L’ho portata sotto il naso ed è stato come
annusare l’ammoniaca tanto era forte l’acidità». È forse
questo uno dei misteri romani promessi dal titolo del
volume? Per qualche strano sortilegio nella città eterna
l’ammoniaca, che è basica, può diventare acida (cioè il
contrario di basica)?
Noialtri, scettici incalliti su questo genere di trasforma-
zioni impossibili, purtroppo non vediamo nella faccen-
da nulla di misterioso. Secondo noi si tratta della solita
ignoranza di molte persone che vengono ritenute rap-
presentanti della cultura, anche se hanno lacune cla-
morose in campo scientifico: il fatto che queste stesse
persone vengano celebrate per fasti letterari senza
tener conto del resto, non sminuisce certi loro meriti,
ma fa capire ancor più quanto sia trascurata la cultura
scientifica. Se un giorno la scuola italiana tornerà a
essere una cosa seria (o almeno sensibilmente più
seria di quanto lo sia ora), bisognerà lottare strenua-
mente per difendere la cultura nel suo insieme: scien-
ze umane e scienze “scienze” dovranno avere pari
dignità. Per ora qualcuno “mastica acido”: noialtri
mastichiamo amaro.
Ah, l’inglese!Su Media World Magazine di settembre abbiamo tro-
vato un interessante articolo di Massimo Monti sulle
novità nella tecnologia delle pile. Purtroppo vi leggiamo
che il metanolo è un gas, mentre in realtà bolle solo a
circa 65 gradi centigradi. Il “meglio” però è costituito da
alcune espressioni tecniche mal tradotte in italiano: a
pagina 23 Monti ha scritto: «all’Idrato di Nichel (NiMH)»
e «batterie ai polimeri di litio». Sorvolando sulle due
maiuscole prive di senso (Idrato e Nichel, quasi si trat-
tasse di nome e cognome), informiamo chi non lo
sapesse che la sigla inglese sta per nickel metal hydri-
de: idruro, non idrato. Quanto all’espressione lithium
polymer battery, non allude a fantomatici polimeri di
litio, ma a batterie al litio a polimeri, cioè a elettrolita
polimerico.
Nella pagina seguente ritroviamo quest’ultimo errore
ben due volte: «Sono però le batterie ai Polimeri di Litio
(Li-Polymer) l’ultimo ritrovato» (e dagli con le maiusco-
le che almeno in italiano non ci vogliono!) e, in una
didascalia, «In alto, una batteria ai polimeri di litio».
Compare due volte anche una nuova traduzione mac-
cheronica: «batterie a cella di combustibile», che
dovrebbe corrispondere all’inglese fuel cell batteries
(batterie di celle a combustibile).
È l’ennesima dimostrazione che, senza un minimo di
formazione scientifica (di cui la chimica dovrebbe ben
far parte), neanche altre branche della cultura possono
sussistere. Certo: se non ci si sa esprimere in buon ita-
liano, non si arriva neppure a padroneggiare corretta-
mente un concetto scientifico; se non si mastica un po’
d’inglese, oggi si è tagliati fuori. Ma, gira e rigira, se per
esempio non si sa che cos’è un polimero (e che parla-
re di polimeri di litio non ha senso), si finisce con l’es-
sere comunque tagliati fuori da molte espressioni del-
l’inglese d’oggi. E qui potremmo citare il corrisponden-
te da Nuova York d’uno dei più importanti quotidiani
d’Italia: riuscì a compiere tutti e due gli errori possibili
nel tradurre i due termini inglesi silicon e silicone: una
volta scrisse che un computer era a base di silicone (in
inglese era silicon), l’altra che le finte maggiorate erano
zeppe di silicio (in inglese era silicone). Ma ci ripete-
remmo, e non è il caso.
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
Riceviamo dall’editore Apogeo un libro molto interes-
sante, “Einstein al suo cuoco la raccontava così”, che
purtroppo ha alcune pecche scientifiche: eppure l’au-
tore, Robert Wolke, è professore emerito di chimica
all’università di Pittsburgh. La traduzione ha la sua
parte di responsabilità: anche questo ci meraviglia, dal
momento che è di Folco Claudi e Adriana Giannini;
quest’ultima è stata a lungo (e con pieno merito) capo-
redattrice del mensile Le Scienze.
Cominciamo con la pag. 12: nella produzione dello
zucchero di canna, il succo «viene chiarificato con
lime». Il termine inglese lime ricorre molte altre volte
nel libro, indicando chiaramente un noto agrume aro-
matico. Qui però nell’edizione italiana è fuori luogo, in
quanto, se c’è nell’originale inglese, è l’omonimo che
vuol dire calce: innalzando il pH, essa facilita la
coagulazione — e quindi la separazione — di mucil-
lagini proteiche, che trascinano via con sé altri mate-
riali intorbidanti.
Avevamo già segnalato lo stesso errore («i fumi — d’un
inceneritore, n.d.r. — vengono […] purificati da un
curioso cocktail di acqua e “lime”, saporito frutto eso-
tico»), ma allora (aprile 1997) il responsabile era un
povero giornalista d’un quotidiano di provincia.
Nel libro di Wolke a pag. 60 si dice inoltre che l’ossi-
dazione e l’irrancidimento dei grassi sono catalizzati
dal calore e dalla luce: i catalizzatori in realtà sono spe-
cie chimiche; il testo avrebbe dovuto usare i verbi favo-
rire o accelerare. Nella stessa pagina: «Il grasso diven-
ta così più denso, ossia meno liquido e più solido».
Peccato: altrove l’autore spiega che il contrario di flui-
do è viscoso. L’improprietà è però ripetuta a pag. 66.
A pag. 62 Wolke, in tema d’acidi grassi idrogenati, fa
poi confusione tra l’isomerizzazione cis-trans dei doppi
legami e le conformazioni “cissoide” e “transoide”.
«Tutti i cibi sono composti chimici» (pag. 75): no, in
genere sono miscele di composti chimici.
La corrosione d’un foglio d’alluminio, che ricopre un
tegame d’acciaio contenente salsa, viene interpretata
male a pag. 89: la salsa mette «a disposizione un sen-
tiero attraverso il quale gli elettroni possono viaggiare
dall’alluminio al ferro». Invece gli elettroni vanno fra i due
metalli per contatto diretto; la salsa chiude il circuito.
A pag. 202 leggiamo che lo sportello d’un forno a
microonde «è ricoperto con un pannello metallico tra-
forato che […] non lascia uscire le microonde, poiché
hanno una lunghezza d’onda troppo ampia (10-11
centimetri) per penetrare nei fori». Ohé! Quei fori sono
macroscopici: 10-11 centimetri sono troppo ingom-
branti per passarci? Ma poi che c’entra la lunghezza
d’onda? Se qualche nostro lettore vuole chiarire la fac-
cenda, ben venga.
«I detergenti molto alcalini possono far scolorire il
rame» (pag. 229): probabilmente in inglese il verbo
sarà discolour, che si riferisce a un cambiamento di
colore piuttosto che allo scolorimento.
A pag. 232 si dice: «Anche se aumentate l’intensità
della fiamma e vedete che l’ebollizione si fa più inten-
sa, non otterrete neppure un pizzico di calore in più»: il
calore in più c’è eccome (lo fornisce la fiamma più
intensa); è la temperatura a rimanere costante.
A pag. 233 troviamo infine che in una pentola a pres-
sione «non appena l’acqua comincia a bollire genera
vapore […]. La valvola lascia passare aria fino a quan-
do l’acqua comincia a bollire e si forma il vapore»: vallo
un po’ a dire poi agli studenti che invece il vapore si
forma a qualunque temperatura! Ma davvero Einstein,
sia pure al suo cuoco, la raccontava così?
Origine naturalePietro Diversi (chimica e chimica industriale, Pisa) ci
passa la pagina 103 del Venerdì della Repubblica del
22 luglio, con un articolo sugli stampi per dolci. In esso
Eva Grippa dice: «Sono essenziali gli strumenti giusti
[…]. Come quelli realizzati in silicone, materiale di origi-
ne naturale (deriva dal silicato, un componente della
crosta terrestre)». Sorvoliamo sulla genericità di quel
silicato preceduto dall’articolo determinativo (fra l’altro
la materia prima è in realtà la silice), per soffermarci
invece sull’ossessione del naturale: solo il Padreterno
può produrre qualcosa senza partire da qualcos’altro
che già esiste in natura.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
96 La Chimica e l’Industria - Ottobre ‘05 n. 8 - ANNO 87
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
Svelenarsi?Anna Buoncristiani (Pisa), a proposito della campagna
“Svelénati” lanciata dal WWF, ci passa alcune pagine di
due settimanali. Su Oggi del 16 febbraio (pagina 81, arti-
colo d’Emanuela Dini) troviamo i "policlorinati bifenili",
che nella costruzione ricordano la parodia della lingua
inglese delle parole messe in bocca ai britanni in un film
d’Asterix («Una romana pattuglia!»); insieme coi «ritar-
danti di fiamma brominati», essi ci offrono inoltre tradu-
zioni maccheroniche al posto dei corretti policlorurati e
bromurati. Nel testo le virgolette attribuiscono il bromi-
nati al "professor Silvano Focardi, preside della Facoltà
di Scienze all’Università di Siena".
Sempre in fatto di lingua maltrattata, leggiamo poi che
«ciucci e giochini in gomma morbida per neonati posso-
no contenere i flatati»: potrebbe essere semplicemente
un refuso, così come il successivo «bifenolo» al posto di
bisfenolo, anche se noi pensiamo piuttosto a un proce-
dere abborracciato (l’articolo i davanti a flatati sembra
confermare l’intenzionalità della grafia, perché forse fta-
lati sarebbe stato preceduto da gli).
Errore concettuale è l’uso del termine elemento nei tre
brani seguenti: «un conto è un elemento tossico assor-
bito da un uomo di 80 chili […]»; «I bimbi (9 anni) pre-
sentavano ben 75 elementi tossici nel sangue»; «59 ele-
menti di provata tossicità». È chiaro che si tratta invece
di composti; del resto, se si vogliono trovare nella tavo-
la periodica settantacinque elementi tossici, diventa
obbligatorio specificare le dosi: perfino l’indispensabile
carbonio può probabilmente diventare molto pericoloso
(come elemento) se in un solo giorno se ne assumono
— poniamo — trenta chili. Non ci si può giustificare con
l’uso del termine elemento nel linguaggio comune: qui
siamo in un contesto chimico.
Inoltre, secondo la Dini, «l’indagine ha rivelato che le
percentuali di veleni nel sangue dei bambini erano più
concentrate»: cioè, a parità di volume, il segno % era
più abbondante?
Sostanzialmente corretto nella terminologia è invece l’al-
tro articolo fornitoci dalla Buoncristiani, uscito a pagina
12 di ViverSani&Belli del 1° aprile: si tratta d’un servizio
redatto da Adelaide Barigozzi «con la consulenza della
professoressa Donatella Caserta». Anche qui c’è da
precisare qualcosa, ma poco. L’imprecisione più signi-
ficativa è dove si definisce «un meccanismo chiamato
“bioaccumulo”», a causa del quale gl’inquinanti «tendo-
no a depositarsi in dosi sempre maggiori nel nostro
organismo, per cui più inquinanti abbiamo in corpo e
più ne assorbiamo». No, non è così: bioaccumulo signi-
fica semplicemente che le dosi si sommano col tempo,
perché certe sostanze tendono a restare nel nostro
organismo a lungo.
Troviamo poi gl’idrocarburi, che «legandosi ai lipidi (i
grassi del corpo) penetrano con facilità»: si sciolgono nei
lipidi (legarsi è pericoloso, perché fa pensare alla forma-
zione di nuovi composti). C’è poi anche un’imprecisione
normativa: nei giocattoli per bambini sotto i tre anni «una
legge dell’Unione europea […] proibisce definitivamente
l’uso degli ftalati». Probabilmente ci si arriverà, ma il
divieto è per ora solo fino al 20 settembre 2005, secon-
do un inopportuno stillicidio di proroghe relativamente
brevi, cominciato nell’ormai lontano dicembre 1999.
Al di là delle puntualizzazioni, sia l’articolo d’Oggi sia il
servizio di ViverSani&Belli meritano un’osservazione
generale. Il primo, dopo aver detto «Non pensavano che
i risultati sarebbero stati così allarmanti», afferma tran-
quillamente che i cosiddetti elementi tossici sono stati
trovati nel sangue dei “vip” «in quantità non allarmanti».
Il secondo riferisce che «le concentrazioni di inquinanti
trovate nel sangue dei 18 volontari è modesta e non
comporta un danno immediato per la salute: i vip
“cavie”, infatti, erano e restano in ottime condizioni».
Un po’ meno sensazionalismo sarebbe stato dunque
doveroso. Eppoi, signori miei, cosa avrebbero trova-
to le analisi nel sangue dei volontari, se avessero
potuto esser fatte prima degli sviluppi della chimica
industriale? Certo, non i bifenili policlorurati, ma vi
avrebbero trovato molte altre sostanze nocive, maga-
ri perfettamente naturali, che ora l’uomo, almeno qua
da noi, non assume più.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
98 La Chimica e l’Industria - Maggio ‘05 n. 4 - ANNO 87
101ANNO 87 - n. 2 La Chimica e l’Industria - Marzo ‘05
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Confusioni sull’idrogenoDa Bologna lo studente di chimica industriale
Alessandro (a quanto pare non ha voluto indicarci il
suo cognome) ci manda la pagina 16 dell’inserto Affari
& Finanza del quotidiano la Repubblica del 15 novem-
bre. Egli critica il verbo isolare in un articolo di Luca
Vaglio sull’idrogeno come carburante. Leggiamo il
brano incriminato: «Il punto è la produzione dell’idro-
geno, che non esiste in natura allo stato libero: diversi
sono i modi per isolarlo». Noi preciseremmo: meglio
dire in vicinanza della superficie terrestre che in natura,
perché nello spazio qua e là un po’ d’idrogeno c’è.
Riconosciamo però che questa è probabilmente una
pedanteria. Forse lo è anche l’osservazione dello stu-
dente; il verbo isolare può in effetti indurre lo sprovve-
duto (cioè il lettore medio) a pensare che H2 in realtà
esista anche sulla terra e vada appunto isolato da una
miscela. A discolpa del giornalista bisogna tuttavia
ricordare che nella storia degli elementi chimici si dice
proprio, per esempio, che il sodio fu isolato per la
prima volta da Humphry Davy per elettrolisi nel 1807.
Eppure nessun chimico penserà che il sodio esista
sulla terra allo stato libero.
Vogliamo invitare comunque il signor Alessandro e i
suoi colleghi di tutt’Italia a collaborare con questa rubri-
ca. L’età giovanile porta a qualche esagerazione, che
può essere moderata da chi ha i capelli bianchi, ma
porta di sicuro anche tanta, tanta energia.
Da Milano una persona, che per quanto possiamo rico-
struire dalla firma manoscritta sembra chiamarsi Carlo
Monti (o forse Menti), ci spedisce qualcosa di sicura-
mente sostanzioso. Un altro articolo dedicato alle auto
a idrogeno (L’Automobile, mensile dell’A.C.I., novem-
bre, pagina 54, autore Alessandro Marchetti) reca in
bell’evidenza il periodo seguente: «Ci vorranno più di
dieci anni per veder circolare le prime vetture alimenta-
te da CO2. Nel frattempo ci sono altre soluzioni per
ridurre l’impatto ambientale e aggirare il blocco della
circolazione». Eh sì, ben più di dieci anni... Magari si
riuscisse a far andare le auto a CO2! Sarebbe il moto
perpetuo, un motore che s’alimenta col suo gas di sca-
rico. Via, sarà stata una svista! Vogliamo proprio spe-
rarlo, ma in ogni caso non è roba da poco. Nel frat-
tempo — per riprendere il testo dell’Automobile — c’è
una soluzione sola: che la gente, o per lo meno i gior-
nalisti, imparino un po’ di chimica.
Pietra dolce«In molti punti, per colpa delle incrostazioni di carbonio,
la pietra si era trasformata in zucchero». C’è sotto qual-
cosa di diabolico? Leggendo le tentazioni a cui Satana
sottopone Gesù (Matteo 4, 3: «comanda che queste
pietre diventino pane») verrebbe da pensarlo? No, tran-
quilli: è solo una perla infilata da Brunella Schisa in un
suo articolo sul restauro del duomo d’Orvieto, pubbli-
cato dal Venerdì della Repubblica il 17 dicembre a pagi-
na 102. Non riusciamo proprio ad addolcirci la bocca
con quello zucchero (forse la Schisa avrà sentito o letto
che la superficie aveva preso un aspetto granulare,
simile appunto allo zucchero, o il suo informatore aveva
usato scherzosamente un’espressione del genere).
Ringraziamo comunque Giacomo Guilizzoni, che da
Bologna ci ha spedito la pagina balorda, e aggiungiamo
una critica su altra parte del testo: «in grado di resiste-
re ai raggi solari velenosi non solo per gli uomini».
Velenosi? Dei raggi del sole non l’avevamo ancora tro-
vato. Non si finisce mai d’imparare... Ora, prima d’usci-
re all’aperto in una bella giornata, ingurgiteremo un anti-
doto. Non si trova in farmacia? Ci rivolgeremo a uno dei
tanti maghi che imperano sui rotocalchi e in televisione:
loro sì che possono aiutarci, mica l’astrusa scienza che
s’impara all’università.
Per concludere, un aiuto ai molti lettori poco pratici di
restauro. Le incrostazioni di carbonio sono forse un’e-
spressione poco felice, ma corrispondono alla realtà:
nelle cosiddette croste nere che deturpano molti monu-
menti sono inglobate particelle carboniose del partico-
lato che affligge anche i nostri polmoni, e contro cui sin-
daci e assessori (furbastri o inconsapevoli) indicono le
retoriche e inutili domeniche a piedi nei centri storici.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
101ANNO 88 - n. 10 La Chimica e l’Industria - Dicembre ‘06
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
Dopo la quarantenaForse i lettori, in particolare coloro che nel corso degli anni
ci hanno gentilmente manifestato stima e apprezzamento,
avranno notato l’assenza di questa rubrica dai numeri pre-
cedenti. Questa sorta di quarantena è stata imposta dalla
scarsezza di segnalazioni, che, come spesso accade, può
essere letta in due chiavi ben diverse. Una ottimistica: la
stampa ha ospitato molte meno sciocchezze in fatto di chi-
mica. Una disincantata: i nostri lettori hanno perso entusia-
smo, vedendo che la loro collaborazione a “Specchio
deformante” non fa il miracolo di promuovere la serietà
scientifica dei giornali, e quindi si sono un po’ stufati di
segnalarci le perle che continuano a fioccare. Pessimista
per natura, il curatore di questa pagina propende per la
seconda ipotesi. Rispettando in pieno le scelte e i gusti di
chi legge, pensiamo di comportarci come segue. Se qual-
che segnalazione continuerà ad arrivare, la rubrica uscirà
quando il materiale sarà sufficiente; se invece le vostre
segnalazioni tenderanno a rarefarsi ancora, vorrà dire che la
rubrica ha fatto il suo tempo e non ci sarà da rammaricar-
sene più che tanto. Staremo a vedere.
A Bocca chiusaDa Bari (dipartimento farmaco-chimico) Giovanni Lentini ci
manda la pagina 13 del settimanale L’espresso del 16
novembre con l’editoriale di Giorgio Bocca intitolato
“Benvenuti alla fine del mondo”. Da una firma di quel livello
ci saremmo aspettati una prestazione migliore; concordia-
mo infatti con Lentini, quando parla di contradditorietà per
un articolo «che, volendo attaccare le esagerazioni del cata-
strofismo mediatico, finisce poi con l’alimentarlo». Ci rimane
fra l’altro il dubbio che contraddittorie non siano le intenzio-
ni del giornalista; forse egli ha sull’argomento idee non del
tutto chiare e quindi ha qualche difficoltà nell’esprimersi. A
parte questo (e già non sarebbe poco), Lentini rileva che
Bocca commette un errore vero e proprio. Ecco il testo
dell’Espresso: «i pianeti raggiungibili sono invivibili da masse
umane […]. L’unico gas che vi abbondi è il fetido metano».
In realtà il metano, poverino, non puzza affatto. Quand’è
puro ha un odore leggero leggero, tanto che, per renderne
evidenti le fughe, nella rete di distribuzione gli viene aggiun-
to un qualche composto solforato (un mercaptano o un
tioetere) capace d’offendere il nostro olfatto e di farci tap-
pare il naso (a dire il vero, nel caso dell’editoriale segnalato-
ci da Lentini sarebbe bene, se ci si permette un banale
gioco di parole, che chiusa fosse la Bocca).
Plastica nel corpo umanoIl lettore penserà a protesi di vario tipo: ormai ci siamo abi-
tuati. Invece no: l’articolo anonimo segnalatoci da Alberto
Girelli di Milano, e apparso a pagina 16 del quotidiano il
Giornale del 23 agosto, s’intitola «Trovate tracce di plastica
anche nel nostro corpo» e si riferisce a inquinamento. Il
testo rende però discutibile quel «tracce di plastica» perché
non intende corpuscoli di plastica, ma piuttosto «particelle
nocive che vengono liberate nelle acque […] entrando in
questo modo nella catena alimentare dell’uomo». E vediamo
un po’ di che si tratta: per esempio, «policarbonatoplastico
(Pcb)». Mah!... A parte il nome assurdo (che c’entra la terza
lettera — una b — con plastico?), l’uso dei policlorobifenili (di
cui in realtà PCB è la sigla) come plastificanti del PVC non è
stato quello più rilevante; dunque essi non possono essere
considerati tracce della plastica neppure in questo senso.
Poi nell’articolo per ben due volte gl’inquinanti vengono chia-
mati «elementi»: in un contesto chimico si dovrebbe invece
dire sostanze, perché elemento ha un significato diverso e
ben preciso. Infine riecco una sigla, quella del notissimo PVC
(polivininilcloruro), interpretata — diciamo — con fantasia:
«Polivinilepolidrato». Che faccia tosta!
OrganostaticiAnna Buoncristiani di Pisa ci passa le pagine 8-10 del
settimanale Viversani&belli del 27 ottobre, che recano
un servizio di Stefania Parisotto «con la consulenza di
Elena Venditti, Unione nazionale consumatori, Roma».
Diamo atto che esso si distingue per equilibrio dall’allar-
me lanciato dal WWF a proposito di sostanze indebite
nei cibi. Purtroppo però vi troviamo i «composti organo-
statici» (anziché organostannici) e due volte l’aggettivo
chimiche al posto del corretto sintetiche.
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
Mal di dentiRingraziamo Paolo Cuzzato (Solvay Fluor, Porto
Marghera) che ci dà un’informazione preziosa: nel
numero di giugno la nostra rivista ha commesso un
errore di traduzione. La chimica non c’entra, ma rite-
niamo comunque doveroso chiedere scusa ai lettori.
L’errore è a pagina 100, nel riassunto italiano d’un arti-
colo in inglese, intitolato «The Bremen cog project —
The conservation of a big medieval ship». Cuzzato fa
giustamente notare che, se il termine inglese cog indi-
ca in genere il dente d’un ingranaggio, tradurre «Dente
di Brema» è fuori luogo: nella marineria cog è un tipo di
nave mercantile antica dell’Europa settentrionale e si
traduce con cocca*.
Scientifico ma non troppoIl Pensiero Scientifico Editore svolge un ruolo benemeri-
to nel divulgare scienza in italiano nell’Internet (www.pen-
siero.it). Purtroppo ogni tanto divulga anche degli sbagli,
come ci fa sapere la biologa Anna Buoncristiani di Pisa.
Il 3 aprile, per tradurre organochlorines che compariva
sul Journal of Nutritional & Environmental Medicine, il
suddetto editore ha scritto nel titolo — e ripetutamente
nel testo — «organoclorine», termine che in italiano non
esiste; alla lettera la parola inglese potrebbe essere tra-
dotta organoclòri, e indica propriamente i composti orga-
nici del cloro (in inglese cloro si dice chlorine, e qualun-
que dizionario lo spiega).
Il 7 giugno lo stesso sito web ha dedicato giustamente
una pagina ai nuovi risultati preoccupanti d’analisi fatte
sulle sigarette. Ma leggiamo: «... L’ammoniaca che
abbassando il pH delle sigarette fa sì che nella fase
gassosa (ossia quando si inspira) si liberi maggiore
quantità di nicotina». Interessante; però l’ammoniaca,
che è una base, il pH l’innalza: è proprio per questo che
rende più disponibile la nicotina, che è anch’essa una
base (più basso è il pH, più essa è protonata, cioè si
trova in forma ionica e quindi meno volatile).
Nella stessa pagina troviamo anche altre stranezze:
«Glicerolo: provoca irritazione di occhi, pelle, apparato
respiratorio». Irrita la pelle? Ma se il glicerolo (o glicerina
che dir si voglia) è presente in molti cosmetici, proprio
come emolliente cutaneo! E ancora: «Cellulosa: provo-
ca irritazione di occhi, pelle, membrane mucose».
Attenti a non toccare la carta e il cotone idrofilo, allora!
Possibile che l’autore del testo incriminato non abbia
fatto questa semplice riflessione? Forse irritanti sono le
sostanze che derivano dalla combustione parziale della
cellulosa, ossia della carta delle sigarette.
Troppa grazia, sant’Antonio!Dall’università di Lecce ci trattengono a parlare d’errori
di riviste chimiche, e noi, che critichiamo chi la chimica
non la conosce, non possiamo esimerci, sia pure a
malincuore: speriamo che nel nostro ambiente le osser-
vazioni servano a stare più attenti. Ludovico Ronzini ci
manda la pagina 5 del Chimico Italiano dell’ultimo trime-
stre del 2005, parlando di svista tragicomica. Infatti si
tratta d’un errata corrige: volendo rimediare all’aver
scritto nel numero precedente la forma dell’acido tere-
ftalico come «HOOC—C6H6—COOH», il redattore del
periodico del Consiglio Nazionale dei Chimici ha corret-
to in 4 il numero d’atomi d’idrogeno dell’anello aromati-
co, ma — ahimè! — anche quello degli atomi di carbo-
nio: «HOOC—C4H4—COOH». La correzione esagerata
si ripete per altre due formule analoghe.
di Gianni Fochi
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
112 La Chimica e l’Industria - Settembre‘06 n.7- ANNO 88
* Anche la redazione ringrazia per la segnalazione e informa di aver provveduto alla correzione nella versione on line dell’articolo.
Parole vuoteDa Bologna Giacomo Guilizzoni ci ha segnalato la pubblicità
televisiva del detersivo Dixan Cenere Attiva, che abbiamo
riscontrato in rete. Guilizzoni, scrivendoci, commentava sfavo-
revolmente sia il sostantivo sia l’aggettivo: «Una trovata per
rendere felici i laudatores temporis acti. […] Nell’elenco degli
ingredienti non compare nessuna “cenere” e nemmeno il
potassio carbonato della cenere di legno. […] Perché attiva?».
Abbiamo scritto ai responsabili di quel sito web: «Vorremmo
sapere se l’espressione “Dixan cenere attiva” è solo — dicia-
mo — folcloristica o se davvero il detersivo contiene cenere
di legno o carbonati effettivamente ricavati da quella. Inoltre
quale significato reale ha l’aggettivo attiva?». Hanno risposto
un mese dopo, evitando... di rispondere: «Il prodotto Dixan
Cenere Attiva contiene effettivamente carbonati, e l’aggetti-
vo attiva è riferito al fatto che questi conferiscono al bagno
di lavaggio un’alcalinità in grado di attaccare e migliorare il
discioglimento dei grassi. Questo è proprio quanto avveniva
nel procedimento di lavaggio con la cenere utilizzato in pas-
sato, sciogliendo la cenere in acqua bollente e filtrandone via
il solido, in modo da utilizzare solo la “lisciva” alcalina».
Questo lo sapevamo, come pure sapevamo che di parole
vuote si trattava in quella pubblicità.
Sapere non serveSembra che sapere non serva per informare il pubblico. Ce lo
conferma, ancora da Bologna, Alberto Zanelli (I.S.O.F.-
C.N.R.), spedendoci pagine del settimanale Salute della
Repubblica, datato 22 febbraio. In un articolo sull’inquinamen-
to dell’aria, Anna Rita Cillis scrive infatti: «L’Unione Europea ha
messo un nuovo paletto: entro il 2012 le vetture prodotte dai
paesi membri dovranno essere dotate di gas di scarico in
grado di bruciare massimo 130 grammi di ossido di azoto
ogni chilometro percorso. […] Il bioetanolo — È un alcool eti-
lico ottenuto attraverso un processo di fermentazione».
«La giornalista dimostra di non capire nulla di ciò che scrive»
commenta Zanelli; il bioetanolo non è infatti un alcool etilico,
ma alcol (con due o o una sola) etilico e basta. Da oltre due
secoli la legge di Proust insegna che una sostanza pura ha
le stesse proprietà anche se preparata per vie diverse. Poi
c’è l’ossido d’azoto (quale ossido, visto che ne esistono
vari?) bruciato anziché prodotto, e fra l’altro la massa indica-
ta (130 grammi) è inverosimile. Vorrebbe dire che nei cilindri
reagirebbe con l’azoto dell’aria addirittura un quarto dell’os-
sigeno che reagisce col carburante: poveri noi! Comunque
c’è da obiettare anche sulla logica del periodo citato: i gas
di scarico sono forse una dotazione delle vetture?
AbbondanzaAnna Buoncristiani (Pisa) ci passa un paio d’articoli dal set-
timanale Viversani&belli del 2 marzo. A pagina 10 comincia il
servizio «Dura lotta allo smog», redatto da Stefania Parisotto
«con la consulenza di Serena Di Natali, Legambiente,
Roma». Vi leggiamo: «Ecco quali sono, in percentuale, gli
inquinanti dell’aria. Monossido di carbonio per il 59% […]
Ossidi di azoto per il 46 % […] Composti organici volatili per
il 33 % […] Polveri sottili per il 31 %». Siamo dunque al 169
per cento, e non si sa neppure di che cosa.
A pagina 36 Samantha Biale, a proposito d’alimenti biologi-
ci, cade invece nell’equivoco – purtroppo assai diffuso – di
dare all’aggettivo chimico un senso che non ha: «Niente
sostanze chimiche» recita un titoletto, ma potrebbe anche
essere redazionale. Poi però nel testo leggiamo: «A garanti-
re l’autenticità degli alimenti biologici c’è il metodo di produ-
zione che non deve impiegare sostanze chimiche». Solo in
seguito il concetto viene precisato: «Non si utilizza alcuna
sostanza chimica di sintesi»; ma qualche riga sotto troviamo
che «i fertilizzanti sono tutti naturali. In caso di necessità si
interviene con estratti di piante (per esempio il piretro
[…])[…], farina di roccia o minerali (come il rame e lo zolfo)
per correggere struttura e caratteristiche chimiche del terre-
no». Dunque ci risiamo: l’estratto di piretro, lo zolfo e i com-
posti di rame sono buoni se li fa la natura anziché i chimici.
Eppure, per poterli mettere a disposizione del contadino,
qualche processo pur sempre chimico bisogna applicarlo. Di
questo passo dovremmo concedere l’etichetta di naturale a
qualsiasi prodotto in commercio, visto che comunque le
materie prime non possono venire altro che dalla natura.
HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE
136 n. 3 - Aprile ‘07
Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.
di Gianni Fochi