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Cari lettori, in questo numero di Edizione Straordinaria vi porteremo in giro per il globo, sottorete nell’affascinante mondo della pallavolo, dietro le quinte di un teatro, dentro laboratori artigiani dove si modellano l’oro e l’argento, a contatto con le tradizioni popolari, a tu per tu con l’omeopatia, alla scoperta delle chiese piacentine e della torre civica di Pavia e infine nell’univer-so fantastico dei cartoni animati. La nostra speranza è quella di riuscire a soddisfare let- tori differenti ed esigenti. Ogni giornalista della re- dazione ha lavo-rato alacremente e con passione portando a casa un ottimo risultato. Anche stavolta abbiamo striz-zato l’occhio a notizie che fossero “buone notizie” intervistando persone che credono fortemente nel loro lavoro e lo svolgono con passione. In questo numero di Edizione Straordinaria diciamo un “arri- vederci!” ad Eloisa Bra-ghieri che ringraziamo per essere stata una colonna portante del gior-nalino. La salutiamo con una piccola intervista che rivela alcuni aspetti del suo carattere e ne lascia sotto traccia altri. A lei diciamo grazie per tutto il prezioso lavoro che ha portato avanti in questi anni e ci auguriamo che non smetta mai completamente di scrivere. Questo è anche l’ultimo numero di cui sarò caporedattrice. Come era stato tre anni fa, con il passaggio di testimone da Riccardo Delfanti a me, oggi succede lo stesso con il passaggio al collega Pietro Corvi. Con la consapevolezza di lasciare Edizione Straordinaria in buone mani, vi auguro una piacevole lettura!Nicoletta Novara

“E così, sono il nuovo custode di questa avventura eccezionale. Sono il nuovo caporedattore di dizione Straordinaria”, il giornale dell’Unità Operativa Centri Diurni del Dipartimento di

Salute Mentale, il nuovo coach di una squadra visionaria e sensibile, curiosa, appassionata,

CONTATTICentro Diurno di Castel San Giovanni, [email protected] Diurno di Piacenza, [email protected]@ausl.pc.it

IN REDAZIONEFabio Asinari, Eloisa Braghieri, Emilia ‘59Luca Gentile, Max ’78, Paolo Mombelli, Giovanni Terni

CAPOREDATTORENicoletta Novara

EDIZIONE STRAORDINARIA2

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una redazione di grandi umanità, fatta di personalità spiccate, capaci di redar-re e comporre un prodotto editoriale ori-ginale, interessante, personale e ricco, attraverso il quale comunicare, raccon-tare, informare, andare verso gli altri e trasmettere gioia a quelle persone che stanno loro accanto in questo percorso di vita, e anche di giornalismo.Scrivo da dodici anni sul nostro quoti-diano “Libertà”, occupandomi di cul-tura e spettacoli, di musica, teatro, arti e creatività, di gio-vani, costume e società. Orgoglioso di ereditare il ruolo prima sostenu-to da Nicoletta Nova-ra, collega e amica di grande valore, sono entrato nel team, nella “famiglia” che proprio in queste settimane si è allargata grazie a due preziose “new entry” con lo stesso interesse, devozio-ne ed entusiasmo che cerco di mettere a disposizione dei lettori ogni volta che mi approccio ad un nuovo evento, tema, situazione, alla scrittura di ogni articolo.Il mio apporto in questo primo numero del 2018 è stato minimo, ma sono con-tento di averci messo comunque uno zampino, per sigillare concretamente e idealmente il passaggio di conse-gne con Nicoletta. La prossima “Edizio-ne Straordinaria” del nostro giornale la troverete sotto l’albero di Natale. Sarà un numero monografico, o quasi, dedi-cato al 50° anniversario del 1968, con approfondimenti, interviste esclusive e una miriade di spunti sui quali riflettere, per provare a riempire di significato uno slancio celebrativo che non si riduca alla glorificazione fine a se stessa del

passato e dei tempi andati.Nel 2018 ricorre anche il 40° del-la “rivoluzione Basaglia”, ovvero l’approvazione della Legge 180 del 13 maggio 1978, con la suc-cessiva istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ma soprattutto col definitivo superamento della disu-mana logica manicomiale. Un tema decisamente pregnante rispetto alla nostra redazione, all’attività che porta

avanti da anni e di cui ora sono a capo insieme ad operato-

ri e coordinatori di grande valore - Elisabetta Rossi, Si-mona Merlini, Alberto Ba-sili - sotto la supervisione della responsabile Dott.ssa Annalaura Guacci e del Dott. Marco Martinel-li. Senza quel passaggio

storico oggi non stare-ste sicuramente leggendo

queste preziose pagine. E poi, proprio nel Sessantotto

Franco Basaglia, padre della mo-derna concezione della salute mentale, dava alle stampe “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, dove raccontava al grande pubblico la sua coraggiosa “esperienza pilota” di Gorizia, trasformata nella fucina di un esperimento assolutamente inedito e dalle conseguenze uniche nel mondo: la legge sulla chiusura dei manicomi italiana fu infatti la prima.Basta, non voglio farla troppo lunga, dunque: arrivederci a dicembre!Vi auguro ora e sempre buona lettu-ra, un’estate luminosa e un dolcissi-mo autunno.Pietro Corvi

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EDIZIONE STRAORDINARIA

INTERVISTA.......................................................................................A cura di tutta la redazione

• Intervista a Claudio Pelizzeni, viaggiatore piacentino che ha girato il mondo…….............pag. 5 - 9• Intervista ad Eloisa Braghieri, firma storica di Edizione Straordinaria, da quest’anno in pensione.......pag. 10 - 11

MODA E COSTUME.............................................................A cura di Emilia ’59

• Intervista a Gianni Riva, gioielliere artigianale di Borgonovo…..………………...............pag. 12 - 13• Intervista a Camilla Pozzoli nella gioielleria di famiglia a Castel San Giovanni………..pag. 14 - 15• Le perle della regina Maria Antonietta…………………………………………………….......pag. 16

SPORT………………………………..………………………………….A cura di Max’78

• Intervista ad Alessandro Russo, fisioterapista del Copra Volley…………………………....pag. 17 - 19• Intervista a Hristo Zlatanov………………………………….……………………….…………….pag. 20 - 23

URBANISTICA…………..…………………………………………...A cura di Luca Gentile

• “Chi deve capire capisce”, ricostruzione della Torre Civica di Pavia……………............pag. 24

FOLKLORE E TRADIZIONI……………………………............A cura di Giovanni Terni

• Cose di una volta: i giochi infantili.......………………………………..…………………….....pag. 25 i giochi popolari.......………………………………………..…..................pag. 26 i passatempi……………………………………………...……............. pag. 27 storia delle carte piacentine...........................…………………………….................pag. 28 • Omaggio a Nanni Svampa……………………………………………………..…....... pag. 29

CHIESE, OPERE SACRE E MIRACOLI…………………...A cura di Paolo Mombelli

• Intervista a Don Ezio, parroco di S.Donnino, Piacenza…………………………….............pag. 30 - 31

FUMETTI & ANIMAZIONE………………………………………A cura di Fabio Asinari

• Black Rock Shooter………………………….………………………………………..............pag. 32 - 33• Zorro la leggenda…………………………...……………………………………........pag. 34 - 35• Valerian…………………………………………...…………………………………….....pag. 36 - 37• Miracolous, le storie di Lady Bug e Chat Noi…..…………………………...................pag. 38 - 39

VITA PIACENTINA………………………………………...A cura di Eloisa Braghieri

• Andiamo tutti da Vittorio: intervista al ristoratore Vittorio Ferrari.………………..pag. 40 - 41• Intervista al Dottor Botti, Omeopata………………………………………………...pag. 42 - 43• Diurni e Notturni, dietro le quinte…………………………………………………….pag. 44 - 45• Poesie…………………………………………………………………….........................pag. 46 - 47

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Intervista a Claudio Pelizzeni

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Claudio Pelizzeni è un giovane piacentino diventato famoso grazie al suo giro del mondo senza aerei. Un viaggio di 1000 giorni che ha affrontato in solitaria se non fosse per la presenza di un insolito compagno: il diabete. Claudio ha voluto dimostrare che il diabete va tenuto sotto controllo, ma

non limita la vita delle persone. L’obiettivo principale del suo viaggio, come ci ha spiegato lui stesso, era la ricerca della felicità. Una felicità che non riusciva

più a trovare in un lavoro d’ufficio che lo portava a pendolare tra Piacenza e Milano ogni giorno. Claudio ha accettato di farsi intervistare dalla redazione di Edizione Straordinaria in merito al suo viaggio, alla sua avventura e alla sua crescita personale. Ecco qui cosa abbiamo scoperto, buona lettura!

Dove hai trovato il coraggio per viaggiare?Dipende se è coraggio, io cercavo di provare a realizzare un sogno. Non ero felice a stare a casa, con il lavoro che facevo, la vita che facevo, quindi è stato qualcosa che veniva da dentro; qualcosa di molto forte, per cui è stato abbastanza facile scegliere.

Sei sposato o hai un sogno nel tuo cassetto da realizzare con una donna?Non sono sposato e si, mi piacerebbe mettere su famiglia.

Che tipo di persone hai incontrato durante i tuoi viaggi? Persone pacifiche o “ selvatiche”?Selvatiche, intese come selvagge, nel senso di popolazioni antiche, ne ho incontrate molto poche, è difficile incontrarne. Ho incontrato storie molto particolari di persone e di perso-naggi.

Qual è stato il regalo più bello che hai ricevuto nei tuoi viaggi? Il regalo più bello è stata sempre l’ospitalità delle persone, mi hanno sempre aperto casa loro. Poi mi è capitato un pittore indiano, poverissimo , che mi ha regalato un suo quadro; un amico marocchino mi ha regalato questo anello, una ragazza colombiana questo braccialetto, un ragazzo mi ha tatuato…anzi due ragazzi!

Abbiamo letto nel tuo libro di quello sposalizio indiano; hai assistito ad altre cerimonie?Non ho assistito alla cerimonia, però ho visto le foto. Cerimonie sì, ne ho viste tante, soprat-tutto la puja, che è l’offerta quotidiana al tramonto, fatta con degli incensi, dei campanel-lini, è molto particolare. Ho visto cerimonie animiste in Senegal, ho visto tante cerimonie indigene anche in Sud America.

Quale Stato ti è piaciuto di più?La Patagonia, che non è uno stato ma è un’area, comprendente Cile e Argentina.

Hai mai litigato facendo a botte con qualche uomo straniero?No, sono una persona non violenta.

Saresti capace di fare una bevanda indiana o un’altra di dove sei stato?Si! Qui mancano gli ingredienti o comunque non è sempre facile recuperali, però ne sarei capace!

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IL GIRO DEL MONDO6

Quale religione hai incontrato che ti è piaciuta di più ?Ne ho incontrate tante, ma diciamo che quella a cui mi sono avvicinato di più è il buddi-smo, però non sono buddista. Sono alla ricerca. Ci sono tante cose della religione cristiana che non mi convincono, così come ce ne sono in altre religioni, buddismo compreso. In questo momento mi sento devoto a Madre Natura.

Com’è la religione Buddista che tu hai conosciuto molto bene?Nella religione buddista la differenza più grande rispetto alle altre religioni è che le altre pongono al centro Dio, nel buddismo invece al centro c’è l’uomo. Chiunque si può illu-minare e diventare Budda. Dio è considerato una condizione, uno stato di liberazione dai desideri, dall’infelicità e quindi saggezza. Quando preghi Budda, preghi di prendere rifugio in questa saggezza. Questo aspetto che pone al centro l’uomo e non un Dio fantomatico è quello che mi ha colpito maggiormente.

Dove cucinavi i tuoi pranzi e le tue cene?Dipende: quando ero in tenda cucinavo con il fornelletto, quindi nella natura, oppure ac-cendevo un fuoco e quindi direttamente sul fuoco. Quando ero in ostello cucinavo nelle loro cucine; quando ero in caught surfin, cioè ospitato dalle persone locali, ero io a cuci-nare loro qualcosa di italiano.

Com’era il tuo menù giornaliero?Cambiavo tutti i giorni. Cercavo di fare una colazione abbondante, un pranzo leggero e per cena cercavo qualcosa in più.

Se l’alimentazione era diversa dalla nostra, cosa ti piaceva di più?Mi sono piaciuti molto in Asia i noodles, che somigliano a tagliatelle di riso che loro fanno saltare in padella con le verdure, molto molto buono. Mi sono piaciuti molto i vari curry, indiani e thailandesi; le zupper erano buonissime e poi tutta la griglia sudamericana, sia peruviana, argentina, brasiliana…è molto buona!

Hai mangiato gli insetti?Si ma non in questo giro del mondo. Ho assaggiato gli scarafaggi.

La carne di cane l’hai assaggiata? Era buona?La carne di cane è stata un’esperienza spiacevole, perché quando ho scoperto che era cane mi è venuta voglia di vomitare! Però devo ammettere che senza sapere che fosse carne di cane era buona, mi è piaciuta.

Che tipo di frutta mangiavi?Ho mangiato prevalentemente frutta tropicale ed è buonissima! La frutta in giro per il mon-do è molto meglio di quella dell’Europa. Mango, papaia, banane, ananas, maracuja (frut-to della passione) e il lulo che è un frutto colombiano buonissimo.

Preferisci abitare in Italia o all’estero?L’Italia è il Paese più bello del mondo, ma come qualità di vita oggi in Italia non è un granché, forse è meglio vivere all’estero.

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Intervista a Claudio Pelizzeni7

Preferisci lavorare o viaggiare? Lavorare viaggiando.

Preferisci la colomba o l’uovo di cioccolato?Ecco questa domanda è dura però dico la colomba

Sei abituato ad essere intervistato, ti piace?Sì, ormai sono abituato, mi piace perché poter raccontare la propria esperienza è un pri-vilegio grandissimo e una fortuna immensa. Posso dire che in questo periodo le interviste sono anche qualcosa di più pesante perché capita di dover ripetere le stesse cose, ma resta comunque una grande opportunità per me.

E’ difficile trovare fumetti in alcuni Stati? Quali?I fumetti si trovano dappertutto credo, io non sono un grande appassionato di fumetti per cui li ho visti, ma non li ho mai comprati. Con me avevo pochi soldi non potevo spenderli per i fumetti.

Che computer hai utilizzato durante il viaggio? E quale smartphone?Ho utilizzato un Mac Book Air e come smartphone un Iphone

Hai guidato automobili? Come sono le strade negli altri Stati?Ho guidato spesso automobili direi che sono nella maggior parte dei casi peggiori delle nostre. Negli Usa, per esempio, le strade sono più curate, ma quando piove l’asfalto non è in condizioni di dare sicurezza alla guida, le auto si trascinano, l’acqua e la visibilità diven-ta pessima. Direi che in Europa ci sono le strade migliori del mondo.

Hai portato con te libri? Se si quali? Anche fumetti?Libri con me no, avevo l’e-rider quindi i libri li scaricavo e ne ho letti tanti, è un privilegio poter leggere.

Quando salivi su di un taxi cosa notavi attorno a te? Notavo un po’ tutto in particolare guardavo dal finestrino dei treni per i lunghi percorsi.

Che carte di credito hai usato? O il bitcoin? Non contanti ma carte sì.

Quali sono i giochi dei bambini nel mondo?Interessante, sono quelli basici, la palla c’è sempre, poi usano molto il bastone con un copertone di una ruota che fanno rotolare spingendola col bastone. Poi hanno dei gio-chi molto semplici, come scatole con le ruote che usano da macchinine; giocano con le carte, con le biglie…Non hanno molti giochi se non in paesi come l’Europa, il Nord America e l’Australia.

Hai mai visitato castelli infestati da fantasmi?Che io sappia no, però magari c’erano. Castelli ne ho visitati ma non so se erano infestati dai fantasmi.

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Intervista a Claudio Pelizzeni8

Sei stato in Stati dove vi erano lavori che noi consideriamo arretrati?Si! In India se tu cammini per strada trovi ancora le persone con la mac-china da scrivere per fare i documenti, quando vuoi scrivere una lettera scendi in strada, paghi il tizio e lui te la batte a macchina.

Sei stato in montagna, che differenze ci sono con quelle che abbiamo in Italia?A livello estetico le Alpi sono le più belle, però sono fra le più basse. Ho fatto l’ Himalaya, sono stato all’Everest Base Camp a 5600 metri. Di fron-te avevo l’Everest che è 9000 metri. Poi ho visto l’Annapurna, che sono 8000 metri, sempre in Himalaya; poi ho visto gli Urali andando in Transiberiana, ho visto tut-te le Ande, in Sudamerica, che arrivano oltre i 6000 metri, per cui le Alpi sono piccole ma esteticamente sono le più belle, da fotografare sono le più belle in assoluto.

Quali sono le curiosità particolari che hai trovato rispetto a noi e che usi e costumi hai trovato nei paesi che hai visitato?Molti sono diversi dai nostri, è come dividere il mondo in due parti, da una parte c’è il mondo “occidentale, cioè Stati Uniti, Europa, Sud Africa, Australia, che hanno dei costumi molto comuni, che non cambiano passando da stato a stato, da regione a regione. In tutto il resto del mondo cambiano radicalmente: le culture sono diversissime, ci sono stati dove qualunque cosa viene vissuta in maniera diversa da qua. Forse la cultura più opposta alla nostra è quella cinese, che è una cultura antica che ha 4000 anni di vita.

Hai visitato gli stadi nei posti dove sei stato? Qual’ è lo stadio più bello?Si, ne ho visitati quello che mi è piaciuto di più è la Bombonera di Buenos Aires dove gioca il Boca. Molto bello e particolare, l’ho visitato in inverno, c’ era la Coppa America quindi non c’ erano partite e mi hanno portato sopra la curva “ la Doze”, il dodici che vuol dire il dodi-cesimo uomo in campo. Sotto la curva ci sono gli spogliatoi della squadra ospite, per cui i tifosi si trovano due ore prima della partita a saltare e a fare cori per intimorire la squadra ospite che non riesce assolutamente a fare nessuna riunione pre-partita.

Hai assistito a gare sportive? Se si quali? Sei stato a Rio 2016?Ero in Brasile durante le Olimpiadi, però era troppo cara Rio De Janeiro, però le ho viste a Sao Paulo in televisione. Ho visto sport dal vivo, ho visto per esempio una partita di polo, in Manipur, la regione indiana dove è stato inventato il polo; ho visto delle partite di Basket , qualche partita di calcio ma poca roba, cose locali non famose.

Quali sono i tuoi campioni preferiti nei vari sport?Io ho seguito il calcio e per me resta un esempio Paolo Maldini, nonostante abbia smesso di giocare, sono di fede rossonera e perciò il capitano resta lui. Mi piace molto Valentino Rossi, gran personaggio. Io sono stato giocatore di basket e per me il più grande giocatore di basket è Carlton Myers, anche come persona.

Hai assistito alla proclamazione di campione del mondo di qualche sportivo?No, non mi è mai capitato, in televisione ma non dal vivo.

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IL GIRO DEL MONDO

Quali tra gli Stati attraversati sono più appassionati di sport?Tutti! Lo sport è parte integrante della vita di tutte le persone, come la religione, c’ è ad ogni angolo. In Nepal e India per esempio sono appassionati di Cricket, che noi non sap-piamo neanche cos’è praticamente. In America di Baseball molto più che di Basket e Football America- no, nonostante a noi arrivino più questi due, gli ameri- cani sono pazzi per il baseball, in Sudamerica per il calcio, in Africa il calcio e la corsa, in Europa se- guono tutti gli sport ma soprattutto il calcio, in Australia per il rugby, quindi lo sport è presente in maniera forte dappertutto, è un fenomeno aggregante…e in Cina? Anche in Cina lo sport è molto seguito, adesso sta tirando molto il calcio, quando ero lì c’ erano Lippi, Gilardino, Lavezzi e un po’ di italiani…an-che i cinesi stanno andando pazzi per il calcio.

In quale Paese vivresti? Quale Paese per poterci vivere consiglieresti a tutti?Vivrei in Patagonia, Nepal e Australia; quest’ ultima è il posto che consiglio a tutti. E’ un pae-se dove ci sono tantissime opportunità, di lavoro, di vita, la qualità della vita è a livello molto buono, posti spettacolari, clima eccezionale. E’ molto cara quindi ci vuole uno stipendio adeguato ma ci sono le possibilità.

Quali lavori hai svolto? E’ stato facile trovarli?Ho fatto un po’ di tutto: il cameriere, il barista, il receptionist, l’ agricoltore, il cuoco, il mari-naio, il videomaker. Tutto questo è stato abbastanza facile da trovare, o via internet oppure arrivando nei posti, parlavo con le persone, chiedevo a loro indicazioni su cosa avrei potu-to fare. Spesso facevo dei video: andavo nelle agenzie viaggio o negli ostelli e in cambio dell’ alloggio gratis gli facevo il video. Quando ho fatto il cuoco ho fatto anche il marinaio e il videomaker, in una barca; quando ero receptionist lavoravo anche negli ostelli dove magari mi fermavo anche un mese o un mese e mezzo.

Durante il viaggio hai conosciuto delle persone che ti hanno aiutato?Tutte, non c’ è nessuno che mi abbia negato un aiuto; tutti quelli che ho conosciuto mi hanno aiutato.

Ti sei innamorato di un’altra persona? Si, c’è stato una persona speciale inquesto viaggio.

Ancora qualche curiosità su cerimonie e sposalizi…Ho visto un matrimonio in spiaggiain Thailandia, molto bello..

…e ti piacerebbe per il tuo matrimonio?Si…perchè no….comunque lo vorrei nella natura, non in chiesa.

...e cosa faresti da mangiare?Dipende da in che Stato si è…un bel piatto di anolini comunque ci sta sempre dentro!

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Intervista ad Eloisa Braghieri

Eloisa Braghieri, per sempre giornalista

Intervista a una firma storica di Edizione Straordinaria, da quest’anno in pensione a cura di Nicoletta Novara e della redazione di Edizione Straordinaria

Eloisa, quando è iniziata la tua passione per la scrittura?Ho iniziato a scrivere nel 2000 grazie al giornalino del Centro di salute mentale, mi piace scrivere, è una cosa gradevole, mi vengono in mente tante cose da dire

Ti piace leggere libri e quotidiani? Chi è la tua “penna” preferita?Leggere mi piace molto, ma ultimamente ho battuto la fiacca… Leggo il Corriere Pada-no e Libertà, Patrizia Soffientini è la mia firma preferi- ta. Ho sempre letto anche romanzi e libri di poesie.

A proposito di poesie, anche tu sei un’eccellentecompositrice. Da dove trai ispirazione?Sono le cose belle ad ispirare le mie poe-sie

Hai altre passioni oltre alla scrittura?Il teatro è la mia grande passione. Preferisco gli attori comici anche se gli altri non mi sono sgraditi. Quando ero in collegio, a Milano, andavo alla Scala

Qual è il mare più bello in cui hainuotato?Il mare più bello è quello della Toscana, mi sono tro- vata bene a Lido di Camaiore, ciandavo da ragazzina con mia mammae mio fratello, ho molti bei ricordi di quel periodo

Sei mai andata in vacanza fuori dall’Italia?Sì, in Francia, Svizzera, Jugoslavia e Spagna. In Spagna vorrei tornarci ancora, ci ero andata da ragazzina con la mamma e il fratello. E’ il mio ricordo più bello, il sole, il mare, il clima…

Hai un portafortuna?Ho tenuto la sciarpa della Soresini come portafortuna e la metto la sera prima dello spettacolo

Se dovessi scegliere tra sigarette, cioccolato e vestiti, cosa sceglieresti?Non rinuncerei a niente.

Quali sono i tuoi buoni propositi per il 2018?Continuare con il teatro e il giornalino

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Che cos’è per te la malattia mentale?

E’ una brutta cosa perché ti prende tutta e devi stare sempre attenta a tante cose. importante riuscire a tenersi il lavoro perché aiuta nella malattia.

Eloisa hai un compagno?Sì, Giorgio. Io spero sempre che stia bene perché è impegnato con la sua malattia. Ci siamo conosciuti nel 2000. E’ gentile, buono, mi fa sempre dei regalini e mi ama.

Qual è stata la tua più grande soddisfazione?Il mio primo spettacolo di teatro è quello che mi è rimasto nel cuore. Ogni volta che salgo sul palcoscenico è una gioia immensa, cerco di fare le cose per bene e spero di avere fortuna. La malattia non mi deve togliere la gioia dello spettacolo

Hai mai letto qualche fumetto?Sì, andavo matta per Tex Willer, Paperino e Topolino. Mi piaceva anche Mandrake.

Hai mai fatto sport?Non ci vado molto d’accordo con lo sport… però ho fatto tennis quando ero in collegio a Milano.

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Com’è cominciata la tua passione per i gioielli artigianali?E’ iniziata tanto tempo fa, quando avevo sette anni; ho sempre visto le prime televendite in tv.Quando ho visto per la prima volta un gioiello ho pensato: devo riuscire a realizzarlo anch’io!

Che materiali usi? Il materiale che utilizzi dove lotrovi? E’ ecologico?Il materiale che usiamo noi sono preziosi, tipo ambra, argento, platino, oro in tutti i suoi colori e in tutte le sue carature.Normalmente l’estrazione non è ecologica, dipende dal tipo di estrazione; negli ultimi anni si è convertita anche questa sensibilità; non si utilizzano altri metalli pesanti per l’estrazione dell’oro, si cerca di salvaguardare quanto possibile l’ambiente circostante dove viene estratto.

Come crei i tuoi gioielli? Con i tuoi gusti personali o guardi la moda del momento?Allora, dipende; negli ultimi anni sto seguendo un po’ tutto quello che è il gioiello contemporaneo, oltre a sperimentare i nuovi materiali non propriamente preziosi e realizzo tutto quello che sento nel gioiello. Poi dal punto di vista commerciale dobbiamo guardare sempre alla moda e anche tendere l’orecchio alle richieste del cliente.

Sei andato a scuola per creare questi gioielli? Se si, è stato difficile?Si, sono andato a scuola, ci sono stato quando avevo 14 anni. Ho fatto un percorso di studi superiori a Valenza Po; in Alessandria ho studiato all’istituto statale d’arte Benvenuto Cellini. Il ciclo di studi durava 5 anni divisi in triennio e biennio; nel triennio raggiungevi il titolo di maestro d’arte e con l’ultimo biennio analista stimatore perito orafo. Il percorso non è stato semplicissimo, soprattutto perché a 14 anni dovevi abitare da solo, lontano da casa, quindi è stato terapeutico e formativo.

Qual è la materia prima che non deve mancare per questi gioielli?La materia prima non è tanto il materiale in sé, ma è la voglia di fare qualcosa di nuovo e di scoprire qualcosa di nuovo. Quello non deve mai mancare! Fantasia, estro, abilità, sono tutte sfide che non possono essere imbrigliate nell’utilizzo di una sola materia.

Chi compra i gioielli lo fa per il prezzo basso, per l’estetica o per l’originalità?Dipende, perché negli ultimi anni la componente del prezzo è stata fondamentale per i tipi di vendita. Diversi clienti amano l’originalità, quindi la cosa strana, non tanto fine a sé stessa ma in quanto cosa “insolita”. La maggior parte dei clienti cerca le cose classiche, il gioiello bello ma normale, l’anello con la pietra importante, colorata, con diamanti, sennò oro, però una cosa normale.

E’ facile o difficile vendere gioielli artigianali?In questo momento, negli ultimi anni, è diventato abbastanza difficile in Italia perché è un periodo storico abbastanza particolare, ma nel resto dell’Europa, all’estero, è più semplice che in Italia, perché c’è una cultura del gioiello, sia contemporaneo che artigianale, molto molto forte. Loro riescono non solo ad apprezzare il gioiello artigianale, ma riescono a quantificare economicamente anche l’impegno e lo studio che c’è voluto dietro. Riescono

Intervista a Gianni Riva

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“L’arte del gioielliere”

proprio a diversificare e riconoscere il gioiello artigianale da quello industriale.

Vengono i fidanzati a chiederti per una creazione di gioielli artigianali per le promesse di fidanzamento?Si, spesso! Tante fidanzate e future mogli mi vengono a commissionare i loro anelli per il giorno delle nozze o addirittura vengono a consigliare il regalo che dovrà fare il futuro marito o fidanzato.

Hai inventato una firma per i tuoi gioielli? Se si, la utilizzi nelle tue creazioni su vari gio-ielli che produci, come vuole la moda 2018?La mia firma l’ho sempre avuta fin da quando ho aperto il laboratorio ed è il mio logo. Lo utilizzo nei miei gioielli sì e no, dipende un po’ dalla fase creativa. Stiamo pensando, nel prossimo futuro breve, di fare una linea di gioielli che sia legata a me

Ho visto sui giornali e nei negozi che vanno di moda le nappine di lana. Le utilizzi anche tu nelle creazioni?No, io personalmente non le utilizzo. Le ho viste utilizzare, sono molto intriganti, molto in-teressanti accostate anche a tanti altri materiali insoliti; ci sono progetti che nell’insieme creano stupore, una cosa diversa da vedere.

Emilia ‘59

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Intervista a Camilla Pozzoli

Camilla Pozzoli ha imparato a camminare nella gioielleria dei suoi genitori. Passo dopo passo, quel luogo, è diventato la sua casa e il suo lavoro. Oggi Camilla ha 57 anni, porta avanti l’attività di famiglia assieme al fratello Mauro sul Corso a Castel San Giovanni, e ha acconsentito a farsi intervistare dalla nostra redazione.

Valenza è ancora la capitale dell’oro?Sì e no. Diciamo che Valenza è decaduta molto negli anni. Prima era un polo notevole, ma il mancato aggiornamento le ha fatto perdere le proprie caratteristiche. Diciamo che si è adagiata sugli allori e sta vivendo ancora nel passato. Il rinnovamento è essenziale per andare avanti in questo settore.

Qual è il gioiello che va più di moda? E il tuo preferito?I gioielli grandi e appariscenti purché non siano troppo costosi. Non c’è un prodotto spe-cifico che va per la maggiore, diciamo che il bracciale è il gioiello più “facile”. Il mio prefe-rito è l’anello.

Che stile prediligono i clienti? L’oro bianco è il più desiderato, ma spesso e volentieri vanno di più argento e metallo

Come mai hai deciso di aprire la Gioielleria Pozzoli?Io la sto semplicemente portando avanti, la gioielleria è stata aperta da mio padre Deliso Pozzoli sessant’anni fa

Senti la concorrenza degli artigiani?Se devo essere sincera, no

Ci sono fiere importanti e dove?Sicuramente la Fiera di Vicenza, di Arezzo, di Roma e di Marcianise. Solitamente non mi lascio scappare quella di Vicenza.

E’ mai entrata una persona sospetta in negozio?Purtroppo sì e ho dovuto chiamare i Carabinieri. Solitamente è bene non fidarsi di chi cerca di farti tirare fuori tanti gioielli senza avere mai una richiesta precisa. Noi gioiellieri dobbiamo stare molto attenti ai cosiddetti furti per destrezza.

Qual è la pietra più preziosa?Il diamante. Poi ci sono lo smeraldo, il rubino e lo zaffiro blu.

E’ importante la disposizione dei gioielli?Sicuramente sì, come tutta la vetrinistica in generale.

Qual è l’anello da sposa più gettonato?Il solitario con diamante.

Che differenza c’è tra oro bianco e oro giallo?In natura esistono l’oro giallo e il platino. Per ottenere l’oro bianco è necessario eseguire uno speciale trattamento che si chiama rodiatura. La quotazione dell’oro è sempre riferita all’oro giallo.

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Gioielleria POZZOLI

La clientela è composta più da donne o più da uomini?In linea di massima più da donne. I mariti o i fidanzati cercano bracciali, orecchini e collane da regalare. Per se stessi cercano collane o bracciali dato che gli anelli da uomo in Italia vanno ancora poco. In più, prima, si tendeva a richiedere gioielli su misura e fare ricerche particolari, oggi meno. Credo sia dovuto ad una questione economica.

Emilia ‘59

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LE PERLE DELLA REGINA MARIA ANTONIETTA , UNA STORIA MISTERIOSA

La futura regina Maria Antonietta di Francia arriva a Versailles con un importante dote di monili preziosi . Prima della rivoluzione francese, decide di spedire segretamente tutti i suoi gioielli alla sua unica figlia superstite, Maria Teresa. Rimane però un sacchetto contenente perle e diamanti che la regina decide di affidare segretamente alla sua amica contessa di Sutherland.Quando Maria Antonietta viene decapitata, la sua amica si tiene perle e diamanti dimentican- dosi di consegnarle alla legitti-ma erede che invece è viva e vegeta .Alla morte dell’ amica della regina, gli eredi aspettano ancora una decina di anni prima di montare le perle sul collier che verrà venduta all’ asta londinese Christie ‘s per un valore di 600.000euro.

Emilia ‘59

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Intervista ad Alessandro Russo

Quando entrò nello staff di Piacenza la squadra si chiamava Copra Berni, l’allenatore era Pupo Dall’Olio e in squadra giocavano Nikola Grbic, Vetceslav Simeonov e Vigor Bovolenta. Undici anni e tante emozioni; dopo, nel giugno 2017, se n’è andato un pezzo di storia biancorossa: lo storico fisioterapista dell’LPR Copra Volley Alessandro Russo si è infatti trasferito e ora prosegue la sua avventura nella pallavolo a Trento. L’abbiamo incontrato, intervistandolo a tutto tondo per tracciare un bilancio di un’esperienza unica.

Qual è l’infortunio più facile e quello più difficile da trattare per un fisioterapista?Dipende dalla situazione e da quanto tempo hai a disposizione per trattarlo. Quello più dif-ficile è quello che avviene durante la partita, quando bisogna cercare di mettere in campo il giocatore immediatamente. Quello più facile è quello che avviene nel periodo più calmo, senza partite.

Cosa dici agli infortunati più gravi per incitarli nella riabilitazione? Com’e festeggiata la fine di una cura?Bisogna cercare di stimolarli a lavorare come quando lavorano per la preparazione di una partita. Sono atleti e quindi abitua- ti ad un obiettivo sportivo, in quel caso devono abituarsi ad un obietti- vo terapeutico. E’ una sfida quotidiana per cercare di superare dei piccoli traguardi che ci si pone ad ogni seduta di terapia.

Qual è stato l’infortunio più grave che hai curato? Cosa si prova ad assistere ai momenti positivi e negativi dell’infortunato?Ricordo in particolare tre infortuni gravi capitati in questi 11 anni che ho lavorato con la pallavolo. L’ultimo un paio di anni fa quando Loris Mania si è lussato una spalla durante una partita, quello è un infortunio abbastanza traumatico perché bisogna cercare di rea-gire immediatamente. Il medico e il fisioterapista collaborano per recuperare la posizione naturale della spalla. Quando la spalla si lussa rimane fuori posizione e provoca tantissimo dolore. Bisogna agire rapidamente perché altrimenti la posizione si instaura, bisogna fare delle anestesie se non addirittura degli interventi immediati. Un altro infortunio brutto sul quale siamo dovuti intervenire è stato un quarto di finale di Coppa Italia a Mantova. Bravo, un giocatore brasiliano, durante una ricezione si è girato un ginocchio lesionandosi un legamento. Siamo dovuti intervenire sul campo perché non riusciva più a camminare. Un altro è successo a Luca Durante che si è rotto un legamento del polso durante una difesa.

Tra fisioterapista e infortunato si instaurano rapporti di fiducia? Sono mai nate amicizie?Sì, è importantissima la fiducia tra il paziente e il fisioterapista, se un paziente non si fida di chi lo cura molto probabilmente la cura non avrà un effetto positivo perciò bisogna cercare di instaurare rapporti di fiducia. Quando un atleta arriva in una società, dove il fisioterapista è già conosciuto da altri giocatori, è più portato a fidarsi del fisioterapista, se invece è il fisiotera-pista che va in una società nuova dove non conosce i giocatori, risulta un po’ più complicato perché in poco tempo deve cercare di ottenere dei risultati visibili ai giocatori. Fortunatamente ho sempre avuto dei rapporti positivi con i giocatori con i quali ho avuto a che fare, ho avuto la fortuna di conoscere giocatori di tutte le parti del mondo, con teste e abitudini diverse, ma con tutti ho stabilito un ottimo rapporto e ho tantissimi amici in giro per il mondo.

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“MITICO” ALESSANDRO RUSSOIL FISIOTERAPISTA DELLA COPRA VOLLEY

Qual è stato il tuo percorso scolastico? Come sei diventato fisioterapista sportivo? E come sei arrivato al Copra Volley?Ho fatto il Colombini a Piacenza, dopo ho provato il test di ingresso a Fisiotera-pia e Medicina; a Fisioterapia sono rimasto fuori per pochi posti, è un test molto dif-ficile perché ci sono pochi posti e tanti che provano, mentre a medicina sono entra-to più agevolmente. Per cui ne ho approfittato e ho fatto un anno di medicina che non è stato per nulla buttato, anzi, mi è servito moltissimo. L’anno dopo ho riprovato il test per fisioterapia e sono entrato. Quando ho finito l’università ho trovato lavoro velocemente. Non so ora ma all’epoca come uscivi dall’università c’era subito una richiesta importante. Dopo 6-7 mesi che lavoravo mi ha chiamato il medico del Copra Volley perché cercavano un fisioterapista, avevano avuto le mie referenze da pazienti in contatto con la squadra, chiesero le mie referenze anche all’università. Sono rimasto al Copra 11 anni, prima del mio arrivo avevano cambiato fisioterapista ogni anno. E’ stata una bellissima esperienza.

Consiglieresti ad uno studente la carriera del fisioterapista sportivo e perché?Il fisioterapista sportivo è un lavoro particolare, sei legato a delle tempistiche preci-se e determinate dalla stagione sportiva, dalla vita di squadra, però è un lavoro molto bello che ti permette di entrare in contatto con tante gente, di provenienza e mentalità diverse, e questo ti fa crescere tanto a livello culturale. Lo sport ti permette di lavorare in ambienti positivi, pieni di giovani e di di- vertimento. Anche se non sono direttamente parteci- pe al gesto atletico, mi sento comunque vicino a chi sta giocando la parti-ta.

Hai sogni nel cassetto inerenti la tua professione?Come tutti quelli che lavorano nello sport penso che sia quella di partecipare ad un’Olimpiade. Per potervi partecipare devi essere nello staff della nazionale; ho avuto tanti atleti che hanno partecipato alle Olimpiadi, ho avuto la fortuna di andarli a vedere a Londra ed è stato molto bello.

Quali sono le patologie e gli infortuni più frequenti nella pallavolo?Nella pallavolo la maggior parte degli infortuni avviene per sovraccarico quindi le patolo-gie più frequenti sono tendiniti del ginocchio (esiste una patologia chiamata ginocchio del saltatore, ndr) che avvengono per i continui sforzi che il tendine ha nel cadere dai salti. In un allenamento, un pallavolista, può fare 150-200 salti, se li moltiplichiamo per vita intere è ovvio che il tendine soffre. L’infortunio traumatico più frequente sono le distorsioni di caviglia perché può capitare cadendo da un salto di cadere sopra il pallone o sopra il piede del compagno. Poi ci sono le pallonate sulle dita che provocano la distorsione delle articola-zioni, sono anch’esse molto frequenti. Infine ci sono problemi di sovraccarico alla schiena e alle spalle che sono le articolazioni che soffrono di più durante i salti. Da questo punto di vista bisogna dire che è uno sport completo: ci si infortuna spesso e di tutto!.

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Alessandro Russo

Cosa ne pensi del doping?Sinceramente nella pallavolo non ho mai avvertito presenza di doping, almeno qua a Piacenza. In generale non credo esistano sostanze per farti saltare più in alto, probabilmente esistono sostanze per farti allenare più duramente, ma tra tutte le persone che conosco non credo di aver mai incontrato nessuno che ha fatto uso di

doping, qualche birra di troppo forse… ma doping no.

Pratichi qualche attività sportiva?Sì ho giocato tutta la vita e ho smesso da poco perché non avevo più tempo

Come si svolge il tuo lavoro? Preferisci il lavoro manuale o le macchine?Hanno una componente importante entrambe. La tecnologia ci ha dotato di macchinari incredibili, ma non bisogna farsi sostituire completamente dalla macchina, il fisioterapista nasce come un lavoro manuale quindi bisogna essere capaci di collegare e rendere complementari i due lavori. Personalmente preferisco lavorare con le mani anche perché si stabilisce un contatto diretto con il paziente

Quali sono i tuoi campioni preferiti nella pallavolo e negli altri sport?Io sono juventino e purtroppo o per fortuna, i miei campioni preferiti sono quelli che hanno giocato nella Juve come Del Piero. Per quanto riguarda la pallavolo farei un torto a qualcuno a citarne solo alcuni, perciò tutti quelli che sono passati sotto le mie mani per me sono degli esempi, hanno sempre svolto il loro lavoro con una passione estrema. Devo dire, poi, che ammiro tantissimo le donne che praticano sport individuali e che hanno dovuto rinunciare a tante cose per migliorarsi e diventare delle campionesse, tutte le tenniste, le ginnaste, le nuotatrici. Una che ha fatto tantissimo nella sua carriera, secondo me, è Tania Cagnotto.

Max ‘78

Qual’ è il decalogo che deve seguire un buon fisioterapista?Credo che sia importante riuscire ad immedesimarsi nei panni del paziente, cerca-re di capire le sue esigenze. Quando uno va dal fisioterapista, si trova in una situazione

“Mitico” Fisioterapista del Grande Cpopra Volley

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Intervista a Hristo Zlatanov

L’anno scorso Hristo Zlatanov ha ufficializzato il ritiro dall’attività agonistica. Uno dei più grandi protagonisti delle ultime 20 stagioni di volley giocato ha deciso di appendere definitivamente le scarpette al chiodo, l’ha fatto al termine della passata stagione, non appena Piacenza aveva concluso il suo cammino nei playoff. L’azzurro ex leader di Piacenza si è ritirato a ridosso dei diecimila punti. Il giocatore perfetto? “La ricezione di Papi, il muro di Tencati, il palleggio di Gr-bic... e i miei attacchi”. Questo ed altro nella nostra intervista al miglior bomber di sempre in Italia, con la bellezza di 9688 palloni messi a terra.

• Dopo 25 anni di volley, cosa farai?Questa è una bella domanda, me la aspettavo alla fine! Sinceramente non lo so! Ho avuto la fortuna, la possibilità, l’intelligenza e l’opportunità di avviare e portare avanti da 10 anni un’attività parallela al volley, che è nel settore immobi-liare e sicuramente quella la porterò avanti. Ma attualmente non è la mia attività principale, nel senso che dopo 25 anni di serie A e 30 di volley, vorrei rimanere nel mondo dello sport, perché è il mondo che mi piace, che conosco, dove so di cosa sto parlando, so muovermi. Se sarà volley tanto meglio, ma comunque rimanere nel mondo dello sport mi piacerebbe molto

• Quali dei quasi 10000 punti in carriera ricordi più volentieri?Il primo e l’ultimo; il primo era nel (dirò una bugia) 93, quando ho esordito con il milan volley. Ai tempi in squadra c’era Lucchetta, Zorzi, Galli, Stork, un palleggiatore americano molto bra-vo. Se non sbaglio la prima partita fu contro la Centromatic di Firenze, fu il mio esordio in A1 e lo ricordo volentieri. L’ultimo, perché l’ultimo non si scorda, è stato a Modena.

• Quando hai capito che la pallavolo sarebbe stata importante per la tua vita?Hai praticato altri sport da bambino?Da piccolo ho fatto un po’ tutti gli sport, come tutti i maschietti ho praticato il calcio, poi nuoto, hockey su ghiaccio, poi mi sono dato fortemente al basket, che mi piaceva molto, poi per problemi di lavoro mio papà da Milano è andato ad allenare a Cuneo, dove non c’era una squadra di basket. Io ero in prima superiore, avevo 14-15 anni e mi annoiavo; andavo a raccogliere i palloni e quasi per sbaglio ho chiesto a mio papà se non ci fosse una giovanile e lui mi ha risposto che se volevo mi ci avrebbe portato. Non ha mai insistito per farmi fare pallavolo, nonostante ne fosse un allenatore. E così mi sono trovato nel volley. Poi pian piano le cose sono andate bene, sempre meglio, e ho capito che il volley sarebbe stata la mia vita ad Aprile,…quando ho smesso!

• Qual è stata la sconfitta più cocente della tua carriera?Ce ne sono state parecchie ma la più cocente, quella che mi dispiace veramente, è sicuramente la finale di Champions League a Lodz contro la Dynamo Kazan, perché ce l’avevamo in mano, l’avevamo vinta e alla fine non dire mai gatto se non ce l’hai nel sacco. Quella è stata proprio una delusione perché era fatta, era un sogno. Un percorso incredibile di squadra e di compagni e ad un certo punto ci è sfuggita di mano…quella è stata una brutta sconfitta, ma brutta a livello morale. Di sconfitte ce ne sono state, anche perché sono più le sconfitte delle vittorie, però ho imparato che è da quelle sconfitte che si impara anche a vincere; uno non vince mai se non perde.

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Intervista a Hristo Zlatanov

• Cosa ti mancherà dei 25 anni di volley?Mi manca tutto! Mi mancheranno i colori, gli odori, i sapori dello spogliatoio del palazzetto, mi mancherà il pre gara, le farfalle nel- lo stomaco, l’adre-nalina, i compagni di squadra, perché la pallavolo penso che sia l’unico vero sport di squadra perché noi da rego-lamento siamo obbligati a passare la palla, quindi da soli non facciamo quasi niente, se non la battuta. Nel calcio, nel basket e negli altri sport arriva Ma- radona, Jones, per fare delle citazioni, scarta tutti e fa ca- nestro. Siamo legati per forza, dobbiamo passarcela. Per quello che la squa-dra e il gruppo mi mancheranno tan- tissimo.

• Cosa pensi del doping? Ci sono stati casi di doping e biscotti nel volley?Ce ne sono stati, ma fortunatamente pochi, pochi e stupidi, nel senso che il doping avvi-cina difficilmente il volley, perché è difficile da utilizzare nel volley, nel senso che non c’è la pasticca del salto e che ti fa saltare di più. Il doping fondamentalmente è come una droga, è una brutta cosa perché ti fa competere non alla pari con gli altri, quindi barare. Se uno vuole ottenere delle prestazioni migliori lo può fare, però non deve gareggiare con nessuno, o farlo per spirito personale se vuole farlo. Il doping non mi è mai piaciuto e fortunatamente non ho avuto compagni coinvolti in vicende di doping. Nel volley c’è stato qualcosina ma poca roba, più che altro roba stupida.

• Ti sei infortunato nella tua carriera? Come recuperavi dall’infortunio e cosa ti hanno insegnato questi momenti così difficili?Mi sono infortunato non tantissimo, per fortuna ho avuto soltanto un intervento chirurgico, quindi me ne vanto abbastanza, altri ne hanno fatti più di 6 o 7. Quindi a me è andata mol-to bene.

• Al ginocchio?No, al mignolo del piede.Sonocaduto da una bat- tuta e invece di cadere dritto sono caduto un po’ di taglio. Mi hanno do- vuto ricucire e si-stemare, ma è stato l’unico infortunio e operazione grave che ho avuto. E’ stata il primo set di gara 1, finale scudetto contro il Tre- viso, una delle prime finali con Vela- sco. Come ho re-cuperato ho recupe- rato, all’inizio ero arrabbiatissimo e ab- bastanza demo-ralizzato, perché all’i- nizio non capisci molto, sei dispiaciu- to, ti prendono subito e ti portano in ospedale e pim pum pam ti operano. Dopo, in convalescenza, non stai tantissimo perché ti fanno subito la fisioterapia e quando entravi in questi centri di fisioterapia abbastanza famosi, vedi come te che c’erano tutti atleti di qualsiasi disciplina, chi il ginocchio, chi il gomito, chi la caviglia, di tutto. E come tutti stavano lì concentrati, cercando di recuperare il prima possibile. An-che lì si faceva squadra tra sport diversi. In fisioterapia la forza del gruppo mi ha aiutato

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Hristo Zlatanov

molto, perché ognuno aveva delle motivazioni diverse, però alla fine l’obiettivo primario era per tutti di recuperare il prima possibile, il meglio possibile e più in fretta possibile. Anche lì facevamo un sacco di chiacchiere, poi ci mettevamo dentro e ognuno faceva le proprie fisioterapie e alla fine ci confrontavamo su come fossero andate le loro discipline; facevamo un po’ di bar sport, era quasi piacevole.

• Come sei come papà? Vorresti vedere i tuoi figli battere dai nove metri o murare un avversario?Come è successo con me, l’ unica cosa che gli farò fare obbligatoriamente è sport, poi se faranno pallavolo, potrò dargli anche dei consigli, ma faranno quello di cui hanno voglia. L’ importante è che facciano sport, lo sport è vita, unisce, insegna il rispetto delle regole,dell’ avversario e degli arbitri. Io dallo sport ho imparato tanto, lo sport ti insegna tanto,l’ unica cosa che chiederei ai miei figli ( una di nove e uno di dieci anni, Mia e Manuel) è di fare sport, la disciplina la decideranno loro.

• Che caratteristiche dovrebbe avere un immaginario supercampione di volley prenden-do le caratteristiche dai vari atleti che hai conosciuto come compagni di squadra o avversa-ri?Ne deve avere tante, ma la fondamentale è la passione e l’ impegno. Poi uno può avere anche qualche carenza in qualche fonda- mentale, ma la può compensare con il carattere, l’ impegno e la dedizione. Quindi per essere un campione non biso- gna essere il super fenomeno, top in tutti i fondamen- tali, ci sono dei campioni che magari non lo sono al cento per cento. Esempio pratico: io non sono un fenomeno in ricezione, non sono il Papi della situa- zione, però ho il mio ruolo all’ interno della squadra, e sono arrivato dove sono arrivato, pur non essendo un su- per fenomeno in ricezione. Quindi le caratteristiche che deve avere un super campione sono umiltà , dedizione, lavoro e rispetto.

• Com’è il tuo rapporto con gli altri sport e quali sono i tuoi campioni preferiti?Lo sport mi piace in generale un po’ tutto, a parte quelli lunghi, che so, la partita di tennis di 4 ore, o baseball di 7 ore e mezzo, dove ti spari!...a parte che a baseball giocava anche mio cugino e quindi ne conosco le regole, mi piace, però….metà partita. Tornando seri, non ne ho uno in particolare, mi piacciono tutti, sono curioso, li guardo tutti. Mi interessa capirne le dinamiche, la tattica, la tecnica, quel che dovresti e non dovresti fare. Non c’è nemmeno un campione in particolare che ammiro e seguo, ce ne sono tanti, spesso e volentieri anche sconosciuti.

• Com’è la settimana tipo di un pallavolista?Come era!! Il giorno più particolare è lunedì, quando tutti iniziano a lavorare noi siamo a casa liberi, perché giocando la domenica…poi il martedì due allenamenti: la mattina pesi, il pomeriggio, anzi tutti i pomeriggi, palla. Le mattine alterni pesi ad allenamenti di tecnica, il resto è libero, il riposo fa parte del lavoro di un atleta. Mia moglie amava quella fase e adesso mi ricorda che non lo posso più dire!...e sinceramente manca anche a me. Certo, se uno nel suo riposo va in discoteca o zappa la terra non va bene poiché in palestra poi

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Hristo Zlatanovnon rendi. La giornata tipo era palestra, casa, palestra, casa…abbastanza monotono; anche le cose più belle, quando diventano lavoro, un po’ rompono. La quotidianità ammazza un pochino la bellezza

• Che sacrifici comporta la vita del pallavolista in termini di alimentazione e tempo libero?A livello di alimentazione per quanto mi riguarda tanti! Forse non si vede molto ma ho già messo su una bella pancetta, perché ho fatto 30 anni di dieta e non ne potevo più. L’atleta si deve tenere in quanto tale, deve essere sempre in tiro a livello fisico. Quando con gli amici si va a cena ti devi controllare, soprattutto io, che tendevo a buttar su peso, non è stato facile. E’ stata davvero una rottura infinita, infatti non vedevo l’ora di smettere per sentire in bocca dei sapori dei quali non conoscevo neppure l’esistenza. L’unica fortuna che ho è che non sono goloso di dolci; salato di tutto invece, mi piacciono i sapori forti, speziati.

• Hai mai visto mila e shiro, o mimi la campionessa della pallavolo? Li farai vedere ai tuoi figli? Cosa insegna la pallavolo e lo sport in generale?

Come detto prima, lo sport è vita, insegna le regole, insegna ad essere uomini, nel senso di aver rispetto dell’ altro che oggi sono valori che non ci sono più e che vanno ritirati fuori. Lo sport insegna a stare in un gruppo, in una squadra; anche negli sport singoli quando partono sono tutti insieme anche se gareggiano singolarmente. Soprattutto per i ragazzi di oggi, li tiene lontani dalla strada; una volta noi in strada a giocare ed era bello, adesso non è proprio così. Non mi stancherò mai di dirlo che lo sport è vita, è tutto.

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RICOSTRUZIONE DELLA TORRE CIVICA DI PAVIA“CHI DEVE CAPIRE CAPISCE”

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I GIOCHI INFANTILI

I giochi dei ragazzi e dei bambini rivistati da vari punti di vista, possono dare un notevole contributo etnografico per il fatto che rispecchiano, usi, riti e credenze popolari, dagli uomini maturi ai fanciulli sopravvissuti appunto nei giochi. Nel piacentino è raro che i ragazzi facciano giochi tradizionali, però rimane sicuramente una traccia tramandata da padri e madri essendo appunto buona parte dei giochi tipici della zona.Ecco alcuni esempi di giochi:

LE BIGLIE : per terra venivano praticati dei bu-chi in fila che dovevano essere centrati con delle biglie .In base alle regole vinceva chi riusciva a centrare più volte una certa buca o a fare più punti centrando le buche più lontane

I QUATTRO CANTONI :per terra veniva disegnato un quadrato e quattro giocatori dovevano occuparne gli angoli mentre un quinto stava al centro .Questo doveva cercare di occu-pare uno dei quattro angoli mentre gli altri si scambiavano di posto.

I BOTTONI: questo gioco era molto semplice e veniva praticato con i – vuessis- dei bot-toni d’osso . Venivano fatti rimbalzare su un muro, vinceva chi aveva il bottone più vicino a una data linea prestabilita.

MOSCA CIECA: un bambino veniva bendato e veniva girato su se stesso per fargli perder il senso dell’orientamento. Gli altri scappava-no mentre allo stesso tempo chiamavano il bambino bendato per ingannarlo nella di-rezione da prendere. Vinceva chi rimaneva per ultimo.

NASCONDINO: un bambino contava fino a dieci na-scondendo il viso vicino al muro senza guardare, mentre gli altri bambini si nascondevano dietro alla casa, il muro, i cespugli. La re-gola del gioco era quella di toccare per pri-mo la tana prima che il bambino che conta-va se ne accorgesse.

GIROTONDO: è un gioco molto semplice che si faceva nei cortili delle scuole. Vi partecipa-vano bambini e bambine che stringendosi la mano formavano un grosso cerchio girava-

no in tondo can-tando la seguen-te canzone. Giro

giro tondo casca il mondo casca la terre

tutti giù per terra .Perdeva chi alla fine della filastrocca era l’ultimo a sedersi per terra.

UN DUE TRE STELLA: una bambina teneva la testa appoggiata al muro e gli occhi coper-ti. Gli altri bambini distanti da lui gli stavano dietro . Il bambino, finito di conta- re se nel voltarsi vedeva qualcuno muoversi lo ri- mandava indietro di tre passi. Per vincere biso- gnava toc-care il muro sen- za essere sorpresi. Colui che ci riusciva obbligava il bambi- no che aveva appena contato a farlo di nuovo, cioè a “stare sotto”

STREGA COMANDA: la strega era impersonata da un partecipante, gli altri giocatori dove-vano toccare un oggetto o cercare colo-ri o trovare persone che avessero un certo nome, veniva catturato dalla strega chi non trovava la cosa richiesta perdeva e veniva sottoposto a una penitenza.

TIRA SASS: il gioco era molto famoso tra i maschi, consisteva nel costruire una fionda utilizzando un ramo biforcuto. Legati ai brac-ci della fionda c’erano due elastici ricavati dalle vecchie camere d’aria delle ruote di biciclette e al centro dell’ elastico un pez-zetto di pasta .Serviva per colpire gli uccelli in modo preciso.

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GIOCHI POPOLARI

Nei tempi antichi era consuetudine organizzare nei borghi, nelle città, nei paesi dei giochi popolari che coinvolgevano tutta la popolazione. Questo succedeva anche a Piacenza fino a pochi anni fa, dove nei quartieri come S. AGNESE e S. BARTOLOMEO si svolgevano delle sagre che attiravano l’attenzione di molte persone. Le associazioni PRO LOCO stanno tentando di rilanciare queste manifestazioni nel piacentino.

Ecco una panoramica di questi giochi in parte dimenticati e in parte ritornati: -Il gioco della padella dove i partecipanti con le mani legate dietro la schiena devono afferrare con la bocca dei soldi attaccati al fondo della padella sospesa in aria con uno spago;

-nella corsa delle uova i partecipan- ti dovevano giungere al traguardo tenendo in bocca un cucchiaio sul quale era posto un uovo;

-tipica del rione S. AGNESE era la gara della pastasciutta .Qui i con- correnti a mani legate dovevano mangia- re piatti colmi di pastasciutta. Il vincitore era colui che riusci-va per primo a svuotare il piatto;

-Il tiro alla fune consisteva nell’organizzare due gruppi di persone che met- tendosi ai due lati della fune dovevano trascinare dalla loro parte i loro avversari;

-Il gioco che nelle feste e nelle sagre entusiasmava più la popolazione e suscita-va sentimenti di passione e tifo era l’albero della cuccagna. Nel bel mezzo della piazza veniva installato un tronco leviga- to unto di olio, alla sua sommità era sistemata una ruo- ta, dove ai suoi raggi venivano legati i vari premi come salumi, polli, bottiglie e sagome di cartone rappresentan- ti capre, pecore, vitelli, che nelle stalle aspettavano di es- sere consegnate ai vin-citori. I partecipanti al gioco erano in genere dei giovani, dotati di senso dell’umorismo, i quali si cospargevano le mani con la cenere, per riuscire ad arrampicarsi sull’al-bero senza scivolare. Alla fine i par- tecipanti si ritrovavano alla sera al cenone in osteria per festeggiare;

-il braccio di ferro: un tavolo, due sedie, due mani tenute ben strette e muscoli erano gli in- gredienti per stabilire chi era il più forte. Seduti a un tavo- lo, vinceva chi riusciva a piegare l’avambraccio dell’altro fino a fargli toccare il tavolo.I giochi popolari di una volta, ripro- posti al giorno d’oggi, sono molto utili secondo me, per- ché insegnano a diver-tirsi tutti insieme; sono adatti a tut- te le fasce di età e sono un mezzo per divertire chi gioca. Gli spettatori sono mol-to numerosi nelle piazze, soprattutto durante le sagre popolari.

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I PASSATEMPI

Al giorno d’oggi le forme di svago per giovani e non sono talmente tante e svariate che c’è l’imbarazzo della scelta: cinema, televisione, internet, computer e chi più ne ha più ne metta. Ma in tempi più lonta- ni, dove il denaro non era sempre disponibile, specialmen- te in montagna e nelle zone depresse, giovani e vecchi si concedevano passatempi come:

-Il gioco delle carte è il primo, dove la briscola la fa da re-gina insieme a scopa e ai vari so- litari. Si giocava soprattutto nelle osterie dove si trascorreva- no pomeriggi interminabili;

-I giovanissimi di solito erano inte- ressati ai balli, al jukebox, al suono della fisarmonica. In mon- tagna si intonavano le tipi-che canzoni, tenendo la mano sull’orecchio per avere una migliore intonazione;

-Il gioco delle bocce, in edizione diurna e notturna per giovani e anziani. Questi sono i passatempi che andavano per la maggiore ma ce ne sono altri, in parte in disuso, ad esempio:

-lo schiaffo, ancora in uso in qualche gita studentesca. Un giocatore sta voltato verso il muro, con la mano sinistra sul viso per non vedere quello che succede e la destra passata sotto il braccio sinistro, con il palmo in alto. Un compagno, da dietro, gli dà una forte pacca sulla mano; egli si gira mentre gli altri giovani alzano la mano sinistra con disinvoltura. Chi è sotto deve indovinare chi è stato, se ci prende “si libera”, altrimenti il gioco continua.

Altri passatempi più antichi e del tutto scomparsi praticati dai piacentini, erano in uso in epoca romana, medievale e rinascimentale. In epoca romana, al campo del Ceravolo a Grazzano, si facevano giochi dove le persone erano avvolte in pelli di buoi e pecore. Un passatempo in voga nel medioevo era quello della Barattiera: consisteva nell’indovinare il numero dei punti neri segnati su un piccolo dado. Per concludere si può ricordare un altro passatempo detto “al Ciocc”, tipico della zona di Morfasso. Una squadra era in possesso del “Ciocc”, una monetina; i giocatori dell’altra squadra dovevano cercare di prenderlo

indovinando per esclusione il detentore.

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LA STORIA DELLE CARTE DA GIOCO PIACENTINE28

All’inizio del 1500 pare che in città cominciò a diffondersi un’usanza spagnola, il gioco del-le carte. Le carte erano disegnate su tavolette di legno di fattura grezza, principalmente usata nelle osterie e nelle caserme. Nei salotti, per il passatempo di nobili, ricchi, mercanti, banchieri e notai, le stesse erano finemente rifinite e decorate. Il significato delle figure sul-le carte indicava un’origine politico-sociale, dovuta alla libera interpretazione dei maestri cartai piacentini.

-Il simbolo di BASTONI sta a significare le bastonate che il popolo subiva dai governanti

-Il simbolo di COPPE sta ad indicare gli uffici religiosi del clero, che celebra le sue liturgie nelle Sante Coppe

-Il simbolo dei DENARI rappresenta la ricchezza di cui dispone la borghesia

-Il simbolo di SPADE sta per il comando che n tempo avevano i condottieri militari

-Il “mazzo” era costituito da 40 carte usate per i giochi più popolari, quali: briscola, briscolone, scopa, tresette, cotecchio, calabrache, bazzica, il tarocco, ciapanò e asso piglia tutto.Nel 1806, con l’arrivo dei francesi, molti di questi giochi furono legalizzati.

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OMAGGIO A NANNI SVAMPA :

29“LA ROEUDA LA GIRA”

Nanni Svampa nacque a Milano nel febbraio del 1938; è stato cantante scrittore, attore, storico fondatore del gruppo musicale “I Gufi”. Uomo semplice nonostante la sua popola-rità, molto legato alle proprie origini, alla quotidianità e alla milanesità. Soleva spesso affer-mare : “Sono nato sotto il segno dei pesci ascendente cavedano in carpione “. Si è spento a Varese a 79 anni. L’ultimo saluto al ”Nan- ni” è stato il 29 agosto 2017 alle 12. Al suo funerale, a Porto Valtravaglia, c’erano gli amici di una vita, artisti e tantissime persone comuni che trovavano nella sua elegante ironia un segno inde-lebile della sua musica e del suo cabaret, da un mondo che spaziava dalle vie di campagna ai tavolacci di oste-ria, dagli ambienti della mala a quelli delle fabbriche. Poche lacrime ai funerali di Svampa, invece avanti con le risate, la sua musica, il cabaret al quale ha dedicato una vita intera. Passano in tanti a salutare la sua bara tra cui Enzo Iachetti, Francesco Salvi e l’amico “ex gufo” Roberto Brivio. Tutti cantano le sue canzoni e addirittura sui bus, tram e metrò di Milano hanno trasmesso in contemporanea alla cerimo-nia funebre le sue canzoni, richiesta fatta dal quotidiano “La Repubblica” e appoggiata da un moto spontaneo passato anche attraverso i social. La cerimonia si è conclusa sul lun-golago tra le note di ”Porta Romana Bella” . Svampa era solito cominciare i suoi spettacoli dicendo “ Sono il chitarrista più incapace di tutta la Val Padana” . Era un personaggio colto laureato alla Bocconi ma allo stesso tempo solare di tanta simpatia cantore di una Milano autoironica, la sua era una vena creativa a cavallo tra folk e cabaret. Con lui abbiamo per-so una delle voci più autentiche della cultura popolare.Sino al 2017 Nanni Svampa si esibiva in concerti e spettacoli dal vivo nei teatri della Lom-bardia e del Canton Ticino tra canzoni e barzellette.Lo ricorderemo sempre così : un cappello a sghimbescio, baffo sottile , con la sua battuta graffiante e le sue canzoni folk.

Giovanni Terni

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La chiesetta di San Donnino30

Intervista a Don Ezio Molinari

Don Ezio Molinari è il parroco di San Fran-cesco e della vicina chiesetta di San Don-nino, sulla quale si è concentrato il nostro interesse: con la sua facciata poco visto-sa, in Largo Battisti, ci racconta infatti una vicenda molto particolare. E questo “pre-te di montagna”, arrivato in città quat-tro anni fa da Brugneto, ha saputo sod-disfare la nostra curiosità. Segue anche le parrocchie di San Pietro e Santa Maria di Gariverto, la sua agenda è fitta ma si è dimostrato generoso nel concedersi al nostro giornale, oltre che tecnologico. Non potendo raggiungere di persona la nostra redazione, si sarebbe fatto video-intervistare via Skype, ma quella mattina la connessione ha fatto le bizze. Allora abbiamo ripie-gato sul vivavoce, ma ce la siamo goduta lo stesso e nonostante gli argomenti alti, non sono mancate le risate. Buon segno!

D: Don Ezio, di quale epoca è la chiesa di San Donnino?

R: Le sue origini sono molto antiche, risalgono al 1236 sulle basi di un preesisten-te edificio del IX secolo. I suoi valori storici e artistici l’hanno salvata due volte, nel seco-lo scorso, dalla demolizione: dopo il 1922, data della soppressione della parrocchia, e nel 1951, anno in cui crollò parte di una navata in seguito a danni subiti nella 2° Guerra Mondiale, demolizione chiesta da coloro che auspicavano un ampliamento di Largo Battisti.

D: Sappiamo che l’associazione dei pa-nificatori di Piacenza donò un crocifisso al parroco della chiesa di San Donnino. Di che croce si tratta?

R: Sì, nel 1982 il PaneDio, l’associazione dei panificatori di Piacenza, ha donato un crocifisso in bronzo dello scultore Giorgio Groppi, in bella evidenza nell’abside. E’ un Cristo che non ha croce, è appoggiato

alla parete e si inserisce con un posto tutto suo nella serie di opere di questo genere firmate dallo scultore piacentino. Di fronte vi è l’altare, che dobbiamo vedere, duran-te le ore del giorno, collegato all’Ostenso-rio, che pone in primo piano l’Ostia con-sacrata, punto di riferimento per i fedeli in preghiera.

D: Le risulta che il Vescovo Scalabrini soppresse la chiesa come luogo di cul-to?

R: Non è esatto: San Donnino era una par-rocchia ma all’interno del riordino da lui previsto a fine ‘800, con cui rifor-mulò la mappa delle parrocchie del-la città, risultava tra quelle da chiu-dere. Non la chiesa in sé come luogo di culto: le sue porte rimasero sempre aperte. Diventò come una cappella, una succursale di San Francesco, cui venne accorpata. Il progetto di Scalabrini entrò in atto nel 1892 ma nonostante questo la parrocchia di San Donnino sopravvisse a lungo. Per trent’anni ancora, fino al 1922, quan-

do morì il suo parroco, l’arciprete Gaetano Tononi, che era molto famoso, amato e sti-mato: godeva di grande prestigio presso i vescovi, ben quattro che si succedettero e non vollero mai sopprimere la parrocchia nonostante gli specifici decreti, proprio per rispetto al sacerdote. D: Come si presenta dunque la chiesa oggi?

R: Il restauro degli anni ‘60 portò le struttu-re alle caratteristiche originarie, ci appare oggi autenticamente come doveva esse-re in antico. Un romanico molto semplice e lineare. Nei secoli cambiò faccia, spe-cialmente all’interno, il Seicento e il Sette-cento portarono stucchi, intonaci, affreschi, capitelli sbrecciati, un pavimento nuovo e più alto. Il restauro ha portato ad una situa-zione ripulita da tutto, sono rimasti solo i muri e i pilastri, con un solo

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Intervista a Don Ezio Molinari

altare centrale che è un solido paral le lepipedo di pietra. Sul lato destro una finestra antica nasconde una colonna che fece forse parte di un antichissimo chiostro e che sve-la su di sé una bel-lissima Madonna. In chiesa una targhetta rende omaggio al pittore: di epoca incerta, inizio ‘400, è attribuita a tale Antonio De Car-ro o forse un suo allievo. Interessanti anche alcune lapidi che ricordano la storia della chiesa delle sepolture che custodisce.

D: Sappiamo anche che davanti alla chie-sa si muovono madonnari, che dipingono opere religiose sul pavimento.

R: E’ vero, stiamo parlando di Pino. Un signo-re che fa il madonnaro da tanti anni ed è lì, all’ombra di San Donnino, che dipinge. In città è un personaggio conosciuto, una persona tranquilla affabile. La convivenza è ottima. Viene in chiesa, conosce tutte le suore, conosce me, facciamo quello che possiamo fare per lui. E’ un buon uomo. Non è mai una scelta quella di fare il clochard ma lui la vive con tranquillità, supportato da una cultura artistica davvero non scontata.

D: Si racconta che i parroci urbani dife-sero la chiesa in molte situazioni storiche. Chi sono questi parroci urbani? R: La Congregazione dei Parroci Urbani ha sede proprio in San Donnino, è una delle istituzioni più antiche di Piacenza, nata più di mille anni fa. Raggruppa tutti i parroci del tessuto urbano, ma di tanti anni sono stati integrati anche quelli posti fuori dalla cer-chia delle mura antiche, dal Corpus Domini a San Giuseppe a Nostra Signora di Lourdes.

I suoi componenti si ritrovano ogni set-timana in San Donnino per offrire lode a Dio e partecipare alla messa in suffragio di confratelli benefattori defunti.

D: Grazie, da parte di tutti (parte un bell’applauso collettivo della redazione in viva voce). Un’ultima cosa: non può darci una benedizione? R: Una benedizione?

D: Sì, a noi.

R: Così, per telefono? E’ un po’ inusuale... tecnologica, diciamo. Bene, allora faccia-mo il segno della croce insieme. Sarà come una benedizione. Effettivamente non mi era mai capitato. Ma c’è sempre una prima vol-ta.

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Black Rock Shooter32

Dramma su una scomparsa di una ragazza delle medie..L’ombra della follia sembra indugiare nella storia.Viene mostrata Mato Kuroi una ragazza delle medie che al mat-tino alzandosi in modo tranquillo si veste, si lava, e mangia per la scuola, che è relativamente vici-na.Non ci sono le corse per le scale, ne il cibo man-giato frettolosamente che rischia di soffocare la giovane, neppure anziane signore, ma nemmeno nonni e cani da pastore. In ef-fetti non è una opera dello Studio Pierrot o della Mad House, case che trattano com-medie scolastiche e fantascienza, anche storie ninja negli ultimi anni,, e nemmeno dello studio Nippon Animation, specializ-zato in trasposizioni di opere di ro-manzi per ragazzi dell’ottocento e del novecento.La casa è ben disegnata, quasi pic-cola, ma architettonicamente ben pensata.La giovane vive su una cittadina ar-roccata su una piccola montagna in una valle attorniata da più alte vette.Andando a scuola incontra alcune ragazze alcune tranquille, altre an-che di più, ma anche una ragazza che bloccata sulla carrozzella si ar-rabbia e provoca la sorella terribil-mente timida, sono Yomi Takanashi, Yu Koutari e Kagari Izuriha..In qualche modo però la maggior parte delle ragazzine non hanno problemi e le loro professoresse le capiscono e le tratta-no bene.Ma cercando di legare tra di loro vi è anche un’illustrazione sullo schermo di uno smar-tphone che richiama l’attenzione di Mato, e in effetti un’opera relativa ad un libro che quando legge prestato dall’amica la rende

un po’ insicura e timorosa.Nella parte diciamo reale della storia le ra-gazze trovano anche il tempo di andare a giocare in una palestra in un’altra scuola vi-cina ma raggiunta con un pullman, in viag-

gio in un torneo.Ma una delle giovani ad un certo punto scompare, e come scoprono le sue compagne ci sono i poliziotti che vanno a casa di queste giovani per cer-care di scoprire se sanno qual-cosa della sua scomparsa. Nel mondo chiamiamolo a metà tra quello di un incubo e una

lotta tra supereroine o streghe armate fino ai denti con fucili, cannoni, nonché code meccaniche, arti tipo quelli di scorpioni meccanici, queste ragazze o meglio le loro doppie combattono da un tempo impreci-sato tra loro, e la ragazza scomparsa do-vrà essere recuperata dalla doppia della

protagonista, la qualche sembra agire capendo i pensieri della sua corri-spondente nella realtàRiuscirà dopo scontri e peregrinazioni in questo mondo fantastico ma male illuminato e colo-rato con titnte monocro-matiche (da inferno si-derurgico ho provato a scrivere qualche tempo fa) tra castelli abbando-nati e costruzioni anche più grandi (in una ver-sione abbinata con una

rivista giapponese si scontravano anche dentro una chiesa, e prima sopra un’isola fortezza in mezzo ad un oceano), proietti-li a centinaia sparati a raffiche, e intrecci e clangori di spade e altre armi taglienti e nere.C’è da dire che un altro personaggio di queste ragazze di questo mondo che negli anni ottanta probabilmente sarebbe stato mostrato di un pianeta lontano dalla Terra

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Black Rock Shooter33

ma abitato e vivibile anche normalmente,mentre sembra adesso prevalere un inter-pretazione da esperienza per-sonale onirica più simile a so-gni agitati, ver-rà a vivere nel mondo e nel modo consue-to di queste ra-gazze.E anche gli screzi e le in-comprensioni con la ragazza che faticava a riprendersi vengono su-perati i dissidi interiori sciolti dal riportare nella realtà la giovane scomparsa, che Mato una mattina svegliandosi sente di poter ritrovare e uscendo riesce a rag-giungere un punto del parco dove riu-scirà a vederla rimaterializzare, suggeri-mento degli animatori che anche quel mondo quasi inaccessibile e pericoloso è vero in qualche modo.Disegnata bene questa serie è anche anche in una versione di 8 episodi, dove in effetti Disegnata bene questa serie è anche anche in una versione di 8 epi-sodi, dove in effetti lmato Kuroi entra in quel mondo e deve combattere di per-sona, mentre nella versione più breve, forse un’ora vi è meno angoscia e meno scontri tra le boss che potrebbero rima-nere colpire l’attenzione ma rimanere ef-fettivamente da film con effetti speciali, insomma di intensità un po’ oltre la portata delle vecchie serie, però un po’ stile Pierrot, Mad House e Nippon Animation miscelati insieme.La miniserie importata dalla Dynit è in Ita-liano, il mediometraggio di Hobby Japan è con un folto gruppo di sottotitoli, anche ita-liani seppure sia solo in Giapponese come lingua.

Fabio Asinari

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Zorro la leggenda34

E’ una serie animata in computer graphic della Cyber Group Studios.Riprende il telefilm, quello in bianco e nero e quello a colori di tanto tempo fa, oltre a usare alcuni assunti del cartone della fine degli anni novanta che era su Rete 4, come la sciama-na indiana con l’aquila.Zorro è Diego Della Vega, figlio di un aristocratico di Los Angeles, rappresentata come una piccolissima cittadina, seppure la villa di famiglia sia su un promontorio sul mare.Sotto ad essa vi è una caverna dove Zorro ripone il suo equipaggiamento, compresa la stalla del cavallo nero che usa, Tornado.Suo complice in una rivolta solitaria o quasi contro le autorità della città che sono troppo in- tente a pensare ai loro piccoli interessi e a calpestare a volte i cit-tadini, altre anco- ra gli indiani che vivono vicino, un servito- re muto e dopo un po’ la sorella di Diego, Ines.Vi è un capo isti- tuito dal Re che si rivolge spesso al coman- dante Monastero, ironi-co e quasi avve- duto, ma anche troppo facile alla risata e alla derisione.In effetti se vi ri- cordate dei telefilm è facile sentirsi in un’atmosfera familiare, ma per quel che riguarda i cattivi, sono spesso facili e sempliciotti, come il ser-gente Garcia.Dopo qualche versione passata Zorro è tornata a usare il suo caratteristico segno, trac-ciandolo velocemente con la spada sul fondoschiena dei pantaloni dei soldati spagnoli, che sono nella Califor- nia, visto che l’autore dei romanzi ha scelto un’ambientazione paral- lela a quella degli Americani degli Stati Uniti, e quindi si è deci- so a usare gli Spagnoli.Forse anche per non incor- rere in critiche o avvisi di non essere sempre dalla parte delle autorità.Ad ogni modo, per quello che ricordo, dovrebbe essere un Irlandese, ma forse aveva tenuto in considerazio-ne il folto pubblico degli Stati Uniti, non solo dell’Inghil-terra.Le vicende sono semplici, ma è Zorro che le risolve, siano delle ingiustizie nei confron- ti degli indiani, siano complotti di una artistocratica che vor- rebbe primeggiare nella città, disegnata piccola (con pochi edifici) seppure siano in modelli tri-dimensionali fatti con CAD e Model- latori forse per motivi di semplicità e di senso pratico, visto che questo vendicatore in abiti neri esce spesso tra le terre vicine, che sono caratterizzate da un’ambientazione amena, con alberi e fili d’erba.Vi è anche il mare, e fiumi, gole e rocce, rare la viste sul deserto, salvo attorno al piccolo borgo.L’animazione è fluida e rapida, alcuni movimenti sono identici a quelli di persone vere, cosa ottenuta studiando questi movimenti con delle tute, si parla di motion capture, almeno ne-gli anni novanta, ma probabilmente rimane ancora usato insieme a smartphone e orologi per sorvegliare il fitness quando ci si muove oppure si fa ginnastica.

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Zorro la leggenda35

Una parte dei movimenti è più brusca, ma abbastanza accettabile.Diego è spiritoso e ironico, Monastero lo riprende dicendo che cita libri per senoritas, ma com’è facile immaginare, è il primo ad avere sempre la meglio.Ci sono anche delle comparse, che pure parlano, come l’albergatore che dopo che Gar-cia è scivolato su delle salsicce gli chiede il conto.E’ in televisione da due o tre anni, forse diciamo solo due, seppure vi siano le precedenti produzioni dal vivo che forse hanno preso più visibilità almeno nel passato.Le due serie degli anni settanta erano della Disney, e vi era un altro telefilm alla fine degli anni ottanta, che poi è stato rimpiazzato dalla serie a colori della casa di Mickey Mouse, cioè Topolino, insomma sempre la Disney.Un finale per il momento non si intravvede, quello delle serie di una volta francamente me lo ricordo appena appena, però era tutto per rimuovere il capo della cittadina e il suo co-mandnate, cosa cher riusciva dopo diversi episodi e diverse vicende.E’ per un pubblico per tutti, è bello ma dovendo convincere i bambini che gli adulti non sono intelligenti a volte tocca ascoltare i personaggi meno realistici di come potrebbero e di come era la seria giapponese dei primi anni novanta, che però non conosco in detta-glio, salvo come al solito essere il doppiaggio la carta vincente.Nei primi anni novanta sarebbe risaltata, adesso sembra quasi normale, eppure la Rai la trasmette, e con diverse repliche e varianti. Insomma una serie da far vedere ai nipotini o ai ragazzini che non sono a scuola il pomeriggio. Fabio Asinari

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Valerian (Francia 1967)36

Si tratta un fumetto francese la cui storia iniziale è stata pubblicata sulla rivista Pilote nel 1967, e che poi un po’ per volta hanno rilasciato altre storie che portavano avanti le vicende di Valerian, il protagonista un agente segreto della Galaxity, e Laureline la sua partner compagna spesso nelle sue avventure.

In “La città delle acque mobili” per recupe-rare un politico criminale che si è rifugiato nel passato prima del periodo in cui era sta-ta inventata la macchina del tempo, e che aveva portato ad una nuova era di pro-sperità, e per l ’esa t tez za in una New York dove per l’effetto delle bom-be nucleari esplose al Polo Nord era aumen-tato il livello dell’acqua, e la città e molte altre località era-no parzial-mente som-merse.Ma se all’ini-zio Valerian s’imbatte in alcuni ladruncoli, poi grazie all’aiuto di Sun Rae un negro che vive sulla Terra, riesce a trovare nella biblio-teca delle Nazioni Unite i robot di Xombul che stanno trafugando le informazioni sulla tecnologia dell’epoca prima della catastro-fe.Verranno catturati e Laureline sottoposta all’effetto di una macchine che riduce di dimensioni gli esseri viventi, ma riuscendo a liberarsi dai robot che sono comanda-ti mentalmente da Xombul, riusciranno a scappare nell’interno del continente ame-ricano, trovando anche persone in viaggio

in auto per allontnarsi dai luoghi pericolosi.Ma se il parco di Yellowstone sembra loro familiare, ad un certo punto per effetti del-

le esplosioni si innescheran-no dei vulcani che faranno loro rischiare di essere uc-cisi.Con loro dalla base di Xom-bul si è unito uno scien-ziato che ha aiutato i due agenti a libe-rarsi ed era in effetti tra colo-ro che stava-no lavorando sulla prima macchina del tempo, che però era stata cons iderata un fallimento e abbando-nata.

Dopo essersi salvati grazie a delle bolle pri-gione, dei campi di forza che li protegge-ranno dalle eruzioni, saranno di nuovo ripor-tati alla base di Xombul, dove lo scienziato con l’aiuto di Valerian riesce ad ottenere la macchina funzionante, ma non del tutto, il criminale sperando di tornare indietro e di conquistare il pianeta proverà a fuggire con essa, ma la macchina malfunzionante sarà la sua tomba.Valerian e Laureline che dopo alcune ore torna al suo stato fisico normale, possono così considerare conclusa la missione e tor-nare al loro tempo, dirigendosi ad un luogo

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Valerian (Francia 1967)37

dove possono trovare un mezzo di viag-gio spazio-temporale che li riporterà al loro credo XIII secolo.Se i disegni sono anco-ra molto belli, e la colo-razione semplice ma più ricca di 6-8 colori, dato che cambia quasi ogni pagina, resistita anch’es-sa all’incedere del tem-po la prima storia ricorda forse per via della tradu-zione le storie di Nathan Never, che però sono del 1991, e quindi sono ispi-rate a questa e altre. Se assomiglia un po’, però i riferimenti all’epoca in cui sono stati scritti, alcu-ne chiamiamole ingenui-tà perchè sono belle, un pochino di sciovinismo maschile e certe trovate simile a quelle dei Disne-iani fanno la differenza, e si capisce perché in questi giorni è uscito un film in computer graphic sui due personaggi, che dalla Libertà viene consi-derato bello e quasi intrigante, detto in sen-so buono.Lo scrittore è Pierre Christin, che è stato an-che giornalista, e il disegnatore Jean-Clau-de Mezieres, che era un musicista jazz. Sono in gamba e tutti e due sono dell’anno del 1938 e hanno ricevuto un giusto riconosci-mento delle loro opere.Nell’albo vi è anche la seconda storia “L’im-pero dei mille pianeti”, ambientato in una parte di universo senza viaggi spazio-tem-porali che consentano di superare la velo-cità della luce, e quindi permettere i viaggi rapidi tipo quelli di altre serie come quelle di Star Trek oppure Guerre stellari.I disegni sono interessanti e piacevoli, le sto-rie rispetto ai bonelliani sono costellate di diciamo didascalie contenenti parti scritte

come se fossero nate in romanzi o racconti, e la prima storia è di 56 pagine che conten-gono come già detto l’inizio della saga che

dura 22 storie.La seconda storia è ispirata almeno come ambientazione architettonica alla Repubblica Veneziana, eppure vi sono ri-ferimenti anche a un film russo di Eisenstein, Aleksandr Nevski, nonché a un romanzo di Julien Gracq, La riva delle Sirti, da cui prende il nome il pianeta ma-dre dell’impero dei mille soli, che è in declino, a causa di alcuni terrestri del passato arri-vati con una nave di un tempo e che forti delle scienze psico-logiche hanno assoggettato quei pianeti (un po’ come nel ciclo della Fondazione di Isaac Asimov) e sono vissuti per lun-go tempo grazie a una sorta di elisir che li mantiene vivi ma senza ringiovanirli. Finiranno per suicidarsi preferendolo ad essere sconfitti uno ad uno, e Elmir un mercante che ha aiu-tato Valerian e Larueline pro-mette che quando entreranno

in contatto con la Terra instaureranno buo-ni rapporti commerciali con Valerian che lo considera cinico ma tuttavia in gamba.

Fabio Asinari

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Miraculous Le storie di Lady Bug e Chat Noir

In tv c’è un cartone animato in computer graphic calcolata in sofisticato ray tracing, bello e divertente ispirato tanto a Spidergirl di Tom De Falco (la figlia di Spiderman cioè dell’Uo-mo Ragno, sebbene io abbia letto solo il fumetto) quanto a Sailormoon di Naoko Takeuchi. Come nomi degli studi d’animazione ci sono lo Zagtoon e la Method animation, france-si credo, una Samg Animation e la Toei Animation. Sembra però che il canale televisi-vo ricicli un blocco di meno di 10 episodi e per quanto pos- sano risultare freschi e piacevoli ci si chie- de quando diano gli altri.La protagonista è Marinette, una ragazza francese che grazie a Tikcy una creaturina che si trasforma nei suoi orecchini diventa Lady Bug una supe- reroina dalla tuta rossa con macchie nere come una coccinella. C’è anche un ra- gazzo, Adrian, che ha trovato Black un analogo esserino che lo trasforma in supe- reroe, dalla tuta nera e dall’aspetto felino (le orecchie e la coda del costume) dal nome insolito di Chat Noir.Come in altre serie ci sono i personaggi inseriti nelle scuole con alcuni dei compagni e del-le compagne di classe che vengono coinvolte da Papillon, il cattivo che agisce inviando una farfalla nera che trasforma i personaggi arrabbiati e irritati in supercattivi, con tanto di poteri unici per ognuno di loro, seppure al termine dell’episodio vengano ritrasformati in persone normali, dopo aver tentato di sconfiggere i due supereroi e sottrarre loro i Miracu-lous, che donano loro i poteri.Lady Bug si muove in modo simile a Spidergirl (come Tarzan se preferite) ma corre velocissi-ma seppure meno di Quicksilver, il corrispettivo Marvel di Flash in onda come telefilm; Chat noir è anche esso estremamente agile ma ha anche un bastone allungabile telescopico che usa per difendersi, e ha qualche colpo speciale come i personaggi dei videogiochi di lotta, come anche la sua amica di cui peraltro ignora l’identità segreta.Marinette ha il padre panettiere, la madre di origini orientali, che preparano il miglior pane di Parigi come dice il sindaco padre di Cloe una amica un po’ an- tipatica che vuole sottrar-gli il ragazzo, cioè Adrian che ha il padre ricco e della madre sembra sia morta anni prima.Amica del cuore di Marinette una ragazza dai capelli aran-cioni e dagli occhiali Alian, amici di Adrian diversi compagni di scuola.Hanno una trasformazione che fa comparire i loro costumi, un po’ come Actarus del celebre Goldrake, l’azione è veloce e il tutto trova spazio in soli 20 minuti comprese la sigle in italia-no, la prima cantata, la seconda il motivo musicale senza pa-roleVivono in una Parigi molto bella e gradevole da vedere, compaiono il museo del Louvre e la Piramide.I movimenti sono veloci e in genere sono simili a quelli che potrebbero esservi in cartoni con i disegni, ci sono citazioni di come potrebbe essere il fumetto o le versioni del fumetto se fosse giapponese, visto la Samg forse coreana a giudicare almeno a prima vista la so-miglianza con il nome Samsung, e la Toei è giapponese.Per sconfiggere il nemico Marinettte materializza un oggetto che di cui bisogna intuirne

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Miraculous Le storie di Lady Bug e Chat Noir

l’uso, ma che riesce sempre ad indovinare.Alla fine dell’episodio Lady Bug usa il Miraculous per ripristinare lo stato normale di persone, oggetti ed anche edifici danneggiati dai nemici.Lo Zagtoon ha anche un altro cartone dalla veste analoga comin-ciato un po’ dopo. “Zak Storm”; si ispira ai film di pirati sia pur in ver-sione fantascientifica, seb- bene sia ambientato in mare e nelle città delle coste e delle isole, con un ragazzino e una ciurma su una nave con il disegno del teschio (visto che la parte anteriore della nave è modellata su un te- schio aperto in alto come se fosse un con-tenitore) e nemici schele- trici e robotici. Un appunto, come corda al posto delle ragnatele di Spidergirl, la protagonista, Lady Bug usa uno yo-yo dei colori delle coccinelle e con una lunga corda.Il tutto è piacevole e sen- za drammi salvo quelli piccoli.Gli episodi sono privi delle angosce dei fumetti di supereroi, perchè è evidente che è nato come una serie animata, forse per il Disney Channel.Ma la recitazione è bella e come nei fumetti bonelliani al cattivo toccano diverse riflessioni e spiegazioni che sembrano sfuggire ai buoni, tuttavia Papillon non esce dalla sau casa e agisce percependo telepaticamente la frustrazione degli amici di Marinette e Adrian.Persino le sue farfalle nere, le piccole Akuma, vengono ‘purificate’ da Lady Bug e lasciate libere, senza nessuna ironia sugli animali presenti nei film dal vero.Il tutto forse per un pizzico leggero di filosofia Zen.Se Totem Comic aveva fatto nei primi anni novanta una satira sui supereroi francesi difensori del vino francese significa che potevano funzionare anche allora, solo forse per gli anima-tori i tempi non erano maturi.

Fabio Asinari

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Andiamo tutti da Vittorio Ferrari40

Andiamo tutti da Vittorio Ferrari, ecco qua Vittorio che assomiglia a Peppone. Il ristorante è posto al piano terra di Via Camicia 11.Costituita una compagnia di allegri avventori, andiamo sul posto a vedere come funzio-na la faccenda. Parliamo subito del menù tipicamente piacentino.Direi di cominciare con i tortelli burro e salvia, con la coda che per me che li ho assaggiati sono pro- prio una squisitez-za. Non dimentichia- mo gli altri piatti che si difendono an- ch’essi molto bene. Questo è il posto di grandi mangiate. Il cibo è abbondante e buono.L’abbigliamento è ideato da Vittorio sia per sé stesso che per il personale.Anni fa faceva anche la pizza ma Vittorio ci ha confidato che nel tempo risultava troppo impegnativo e si è concentrato sulla cucina tradizio- nale piacentina.All’esterno il ristorante è allestito con un gazebo con tavoli in legno e corredato di centri tavola con fiori, gradito soprattutto per l’estate e che permette di mangiare all’aperto..

Passiamo all’intervista.La signora che l’aiuta nel lavoro è sua moglie?Si

E come si chiama? Si chiama Oriella

Ci sono altri vani nel ristorante oltre a questi che possiamo vedere? No

Nel suo ristorante ci sono persone affezionate?Si, diverse. Ci sono persone che vengono sempre, probabilmente piacciamo come fami-glia e spero anche per come si mangia.

Usa un olio speciale per condire i piatti? Si uso solo olio extravergine. Quale piatto è più richiesto? Carbonara pastora, tortelloni coi porcini. Usa qualche rimedio particolare per assaporare i cibi? No qualche volta uso dei dadi e basta.

Avete aperto voi il ristorante o lo avete preso in gestione come attività già avviata?No questo era un ristorante anche prima ma tutto diverso da noi perché facevano altra tipologia. Il ristorante lo abbiamo trasportato da Cittadella a qua, ma è nostro. Vent’anni

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Andiamo tutti da Vittorio Ferrari41

fa lo avevamo aperto in Cittadella, ora sono dieci anni che siamo qua. Piacentino di nascita e difende i suoi piatti?Non sono piacentino di nascita ma mi ritengo quasi piacentino di nascita; sono di Mele-gnano ma sono venuto ad abitare qua che avevo 5 anni adesso ne ho sessanta.

Fa anche la polenta o la picula di cavallo?Su richiesta io faccio tutto: polenta, picula di cavallo… quello che richiedono i clienti io faccio tutto.Buon appetito!Eloisa Braghieri

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Intervista al Dott. Botti42

Il Dott. Maurizio Botti, omeopata svolge il suo lavoro in via Venturini n.6, è un medico sim-patico e disponibile e aperto al dialogo. Ne approfittiamo. Nell’ambulatorio lo aiutano un’infermiera di nome Silvia ed il fratello Giovanni anche lui medico. Sul lavoro è presente tutto l’anno o altrimenti viene aiutato da una Dottoressa molto gentile, Valeria Paloschi.

IntervistaD: Da dove è nata questa passione per l’omeopatia?La mia passione è nata dopo la laurea, perché ero insoddisfatto del lavoro come medi-co e delle medicine tradizionali come esclusive ‘tecniche mediche’ spesso poco umaniz-zate. Avevo fatto corsi psicologici che mi avevano avvicinato all’aspetto umano, cercavo di trovare una certa umanità anche nella medicina. Ho fatto ricerche nel campo delle tecniche di agopuntura e anche di medicina omeopatica. Ho letto il mio primo libro di omeopatia che si intitola proprio ‘Omeopatia’ di Ruggero Dujany ed è stato amore a pri-ma vista, da quel momento l’omeopatia non la ho più abbandonata.

D: Si riesce a conciliare bene la medicina tradizionale con l’omeopatia? Si, assolutamente è una strada che si sta cercando di percorrere come omeopati per una integrazione fra i due tipi di medicine e di approcci , che sono molto diversi e quindi com-patibili tra di loro per questo. Io sono medico di famiglia e applico entrambe, nella mia esperienza posso affermare che tra i due approcci non ci sono incompatibilità. Di fronte certamente ad una malattia grave come potrebbe essere una polmonite, nessun omeo-pata di buon senso si sognerebbe di non dare un buon antibiotico. L’omeopatia si può associare e di solito si hanno guarigioni più rapide e migliori.

D. Quale malattia è più semplice e facile da curare? Con l ’omeopatia s i può curare di tutto ed i l paziente può anche in alcuni casi arr ivare al la guarigione.

D: Dove ha fatto l’Università di medicina?Ho studiato a Parma e mi sono specializzato in emodialisi e in nefrologia.

D: Preferisce fare il medico di base o l’omeopata’ ?Preferisco l’omeopata perché è una mia passione.

D: L’omeopatia cura con fiori e piante o ha qualche risorsa in più? L’omeopatia cura con tutti gli elementi di tutti i regni, sia quello vegetale, sia animale, sia minerale. I più numerosi sono probabilmente quelli del regno vegetale ma comunque sono tantissimi quelli di origine animale e minerale. Caratteristica fondamentale di tutti è che son tutti principi che vengono diluiti e ed così utilizzati.. Qualcuno confonde l’omeopatia con l’erboristeria; in realtà non sono la stessa cosa, l’omeopatia utilizza rimedi tutti di origine naturale, elementi del regno animale minerale e vegetale.

D: L’omeopatia è consigliata ed utilizzata anche dai pediatri?I pediatri usano da poco l’omeopatia anche se per la mia esperienza ho potuto constatare che i bambini reagiscono meglio alle cure omeopatiche, sono veramente coloro che ne possono avere un maggiore giovamento, perchè sono molto ricettivi. Ci sono alcuni pe-diatri che hanno studiato i metodi omeopatici e li usano nella loro pratica quotidiana ma

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Intervista al Dott. Botti43

sono ancora un numero esiguo. Alcuni pediatri invece sono diventati esperti ed utilizzano regolarmente nel loro lavoro i rimedi omeopatici.

D: Cosa ne pensa del fatto che all’estero ci sono corsi riconosciuti dal ministero della salute e in Italia no? All’estero vengono rimborsate alcune cure paramediche; purtroppo alcuni paesi sono più avanti rispetto a noi come ad esempio la Francia o la Germania. L’omeopatia è nata in Germania a fine ottocento; forse è anche per questo che si è radicata di più. In Francia si dice che il 50% della popolazione si curi anche con l’omeopatia. In Italia purtroppo il Governo “non ci sente tanto” a riconoscere queste tipologie di cure ed è un peccato a mio parere. In America non so dire con precisione perché non sono informatissimo. Gli ameri-cani hanno assicurazioni per la salute, forse alcune rimborsano questi tipi di cure ed altre no, in America c’è comunque un buon movimento omeopatico. La chirurgia per esempio in America forse è più avanzata per i centri di ricerca, la medicina secondo me no, perchè è il posto dove forse è più disumanizzata rispetto all’Europa.D: Da quanti anni è omeopata oltre che medico? Eh… son tanti circa da trentacinque anni sono omeopata e medico poco di più. Mi sono laureato nel 1977, ben quarant’ anni fa.

D: Preferisce il mare o la montagna? Mah… attualmente preferisco il mare… da giovane però preferivo la montagna ma del resto si cambia, questa è proprio una domanda omeopatica da medico omeopata.D: Cosa consiglierebbe lei come rimedio omeopatico per la cura della pelle? Questa è una domanda piuttosto difficile, non esiste una cura specifica per la pelle o per il fegato ad esempio. L’omeopatia non si basa su di un principio causa-effetto quindi non ha rimedi specifici per una singola malattia o per un singolo tessuto o organo. L’omeopatia si basa sul principio della “similitudine”, e quindi cura somministrando alla persona sana quel rimedio che è in grado di sviluppare un miglioramento sintomatologico e in seguito anche portare a guarigione. Ci sono tantissimi rimedi omeopatiche: dall’ ‘arnica, ‘bryonia, meze-reum, psorinum… tantissimi possono avere effetto sui sintomi cutanei un determinato disturbo o sindrome

D: Siamo vicini alla prova costume: c’è un rimedio omeopatico per favorire la diminu-zione di peso?Non esiste un rimedio particolare: occorre sempre fare riferimento alla propria persona e se ad esempio vi sono ansiosi, possono essere placati attraverso il cibo per esempio.

Eloisa Braghieri

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Diurni e Notturni… dietro le quinte44

Anche quest’anno si è tenuto lo spettacolo della compagnia diurni e notturni presso il teatro Gioia di Piacenza. Dopo mesi di lavoro e di prove la compagnia ha riproposto lo spettacolo “Psico-tsirk”… gran circo nazionale del Kirghizistan esito del laboratorio teatrale a cura del progetto e della regia di Nicola Cavallari. Dietro le quinte ci sta Mycol che recita preghiere contro i malefici in modo scaramantico, di buon auspicio per tutti gli attori. Dietro le quinte ci sta anche Deborah… che tutti manda a quel paese… per poi rimanere da sola sul palco. Ecco il cast degli attori. Si presentano alla chiamata del regista : Deborah Migliavacca Bossi studentessa del liceo Gioia, Mycol Tampanella, Ferrari Pierangelo, Simone Schiavi, Aida Rettani, Emilia Maggi, Luca Mezzadri, Massimo Maffi, Andrea Pollini, Boselli Andrea, Rino Bertoni, Regondi Graziano, Chiara Diletti, Dadomo Maria Teresa, Ivo Pizzoni.

Gli accompagnatori sono: Alberto Basini, Giuliana Cortini, Monica Romanini, dott. Marco Martinelli, dott.ssa Teresa Tedesco , dott.ssa Annalaura Guacci. Gli attori sono in tutto quindici.Alle prove il look sfoggiato da Rino per l’occasione è un maglione grigio-verde, panta-loni marroni e sciarpa marrone. Da notare che il nostro Rino non ha messo neanche un chilo per le feste Natalizie, Ivo e Rino arrivano un po’ in ritardo… forse hanno la” mezz’ora” accademica?Il tema dello spettacolo è stato il mondo del circo con accompagnamenti musicali molto gradevoli.

Le scene meritano un cenno particolare, infatti si definiscono tecnicamente ‘figure’ in quanto rappresentazioni mimiche. Prima scena: ‘la piramide umana’…. e direi favolosa.Ci sono venuti a trovare amici cari alla compagnia, Francesca Angona educatrice che lavora come al teatro sociale e Michele Cafaggi attore e regista. Lo spettacolo intanto prosegue e si vedono sul palco le scene dei cavalli, poi dei piatti, dell’ombrellino, della sciatrice, della cuoca… e via così tra le risate e gli applausi del pubblico.

lo spettacolo va sul finire, ad un certo punto Rino, insieme poi al gruppo tutto, inizia ad intonare la canzone ‘Danze Sciamane’ che per noi rappresenta un rito perché lariproponiamo ad ogni spettacolo e ci accompagna sempre.

Alla fine Rino ci fa sorridere tutti quando dice che Carlo Conti potrebbe decidere di inserirlo nei cantanti se mai ci sarà un “Sanremo Nonni”insomma per concludere …è tutto un gioco.E’ tutto un gioco!Alla prossima. Eloisa Braghieri.

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POESIE 45

Il mio Leo

Il mio Leo era un cagnetto Bello simpatico e affettuoso Bianco nero marroneSempre in cerca di femmineMa un brutto mattino di settembreSe ne andato E non è più ritornato

Trattoria

C’era una volta un re Che non piaceva a nessuno Ma aveva comprato una trattoria C’era una volta un oste Che aveva molto da fareMa era preoccupato del suo lavoroC’era una volta un’osteria Segnata a ditoMa che era dispiaciuta. C’era una volta un cuoco Tutto dispiaciuto Per un piatto non riuscito

Il mio bimbo tace, il mio bimbo piange

Il mio bimbo piangeQuando gli tagliano i capelli. Il mio bimbo Tace Quando lo sgrido.Il mio bimbo piange.Il mio bimbo tace.

Eloisa Braghieri