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CARATTERIZZAZIONE DI SCORIE DI ACCIAIERIA E STUDIO DEL RILASCIO DI CROMO M. Gelfi , G. Cornacchia, S. Conforti e R. Roberti Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale Università degli Studi di Brescia SOMMARIO Fin da tempi remoti le emissioni e gli scarti dell'industria siderurgica venivano recuperati per differenti applicazioni come, ad esempio, l’utilizzo delle scorie da altoforno per la costruzione di strade. Obbiettivo di questo lavoro di ricerca è lo studio delle scorie prodotte al forno elettrico che, tuttora, pongono alcuni problemi di smaltimento e difficoltà iniziali di riutilizzo, nonostante le loro caratteristiche si prestino per gli stessi campi delle applicazioni proposte per le scorie da altoforno. Il riciclaggio delle scorie nelle costruzioni stradali è sicuramente l’utilizzo più interessante; a questo scopo le scorie devono possedere specifiche proprietà meccaniche, ambientali e di stabilità. La sperimentazione si è dedicata allo studio del rilascio di cromo nelle scorie ottenute da due diversi forni elettrici e raffreddate in diverse condizioni, in particolare si è cercato di trovare una correlazione tra i risultati di rilascio delle prove di lisciviazione, la composizione e la microstruttura delle scorie, accuratamente analizzate mediante diffrazione di raggi X e analisi SEM-EDS. Le analisi sono state effettuate su campioni inglobati in resina e preparati metallograficamente, prima e dopo l’immersione nella soluzione liscivante per 24 ore. I risultati hanno mostrato che la fase Ca 2 SiO 3 (larnite) è l’unico costituente ad essere stato fortemente disciolto. Il suo contenuto è molto elevato nelle scorie raffreddate lentamente, le quali hanno anche prodotto il maggior rilascio di Cr. KEYWORDS Scoria, forno elettrico, rilascio di Cr, SEM-EDS, XRD. INTRODUZIONE L’acciaio fabbricato in Italia e in Europa ogni anno è prodotto in larga misura al forno elettrico ad arco (EAF) che, insieme all’altoforno, rappresenta il sistema di produzione prevalentemente utilizzato dalle acciaierie. La produzione annuale europea (dati 2008) al forno elettrico ad arco è stata approssimativamente di 210 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, accompagnate da poco più del 10% di scorie da EAF e da minori quantità di altri rifiuti fra i quali, principalmente, polveri da abbattimento fumi, scorie di metallurgia secondaria, refrattari. Una parte delle scorie prodotte all’EAF viene smaltita nelle discariche, mentre solo una piccola percentuale di questo materiale viene trattata, in rispetto delle normative ambientali in vigore, in modo che possegga le caratteristiche ambientali, fisiche e meccaniche per un possibile utilizzo nell’ambito delle infrastrutture [1]. La politica degli ultimi anni si spinge sempre più verso la conservazione delle risorse e la prevenzione degli scarti, obiettivi comuni che possono non solo minimizzare l’inquinamento ambientale, ma anche generare occasioni e profitti. Nella maggior parte dei paesi industrializzati le scorie derivanti dalla produzione di ghisa ed acciaio è considerata un sottoprodotto potenzialmente riutilizzabile, non un rifiuto. In particolare, la scoria proveniente dall’altoforno viene utilizzata nella produzione del cemento e nei conglomerati cementizi, mentre le scorie che derivano dal forno elettrico ad arco posseggono caratteristiche tali da essere particolarmente adatte nella costruzione dei sottofondi e del manto stradali.

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CARATTERIZZAZIONE DI SCORIE DI ACCIAIERIA E STUDIO DEL RILASCIO DI CROMO

M. Gelfi, G. Cornacchia, S. Conforti e R. Roberti

Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale

Università degli Studi di Brescia SOMMARIO Fin da tempi remoti le emissioni e gli scarti dell'industria siderurgica venivano recuperati per differenti applicazioni come, ad esempio, l’utilizzo delle scorie da altoforno per la costruzione di strade. Obbiettivo di questo lavoro di ricerca è lo studio delle scorie prodotte al forno elettrico che, tuttora, pongono alcuni problemi di smaltimento e difficoltà iniziali di riutilizzo, nonostante le loro caratteristiche si prestino per gli stessi campi delle applicazioni proposte per le scorie da altoforno. Il riciclaggio delle scorie nelle costruzioni stradali è sicuramente l’utilizzo più interessante; a questo scopo le scorie devono possedere specifiche proprietà meccaniche, ambientali e di stabilità. La sperimentazione si è dedicata allo studio del rilascio di cromo nelle scorie ottenute da due diversi forni elettrici e raffreddate in diverse condizioni, in particolare si è cercato di trovare una correlazione tra i risultati di rilascio delle prove di lisciviazione, la composizione e la microstruttura delle scorie, accuratamente analizzate mediante diffrazione di raggi X e analisi SEM-EDS. Le analisi sono state effettuate su campioni inglobati in resina e preparati metallograficamente, prima e dopo l’immersione nella soluzione liscivante per 24 ore. I risultati hanno mostrato che la fase Ca2SiO3 (larnite) è l’unico costituente ad essere stato fortemente disciolto. Il suo contenuto è molto elevato nelle scorie raffreddate lentamente, le quali hanno anche prodotto il maggior rilascio di Cr. KEYWORDS Scoria, forno elettrico, rilascio di Cr, SEM-EDS, XRD. INTRODUZIONE L’acciaio fabbricato in Italia e in Europa ogni anno è prodotto in larga misura al forno elettrico ad arco (EAF) che, insieme all’altoforno, rappresenta il sistema di produzione prevalentemente utilizzato dalle acciaierie. La produzione annuale europea (dati 2008) al forno elettrico ad arco è stata approssimativamente di 210 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, accompagnate da poco più del 10% di scorie da EAF e da minori quantità di altri rifiuti fra i quali, principalmente, polveri da abbattimento fumi, scorie di metallurgia secondaria, refrattari. Una parte delle scorie prodotte all’EAF viene smaltita nelle discariche, mentre solo una piccola percentuale di questo materiale viene trattata, in rispetto delle normative ambientali in vigore, in modo che possegga le caratteristiche ambientali, fisiche e meccaniche per un possibile utilizzo nell’ambito delle infrastrutture [1]. La politica degli ultimi anni si spinge sempre più verso la conservazione delle risorse e la prevenzione degli scarti, obiettivi comuni che possono non solo minimizzare l’inquinamento ambientale, ma anche generare occasioni e profitti. Nella maggior parte dei paesi industrializzati le scorie derivanti dalla produzione di ghisa ed acciaio è considerata un sottoprodotto potenzialmente riutilizzabile, non un rifiuto. In particolare, la scoria proveniente dall’altoforno viene utilizzata nella produzione del cemento e nei conglomerati cementizi, mentre le scorie che derivano dal forno elettrico ad arco posseggono caratteristiche tali da essere particolarmente adatte nella costruzione dei sottofondi e del manto stradali.

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Tuttavia, non tutte le scorie prodotte all’EAF possono essere riutilizzate e vi sono notevoli differenze fra le percentuali di riciclaggio dichiarate da differenti tipi di acciaierie [2]. Ciò è dovuto fondamentalmente alla mancanza di normative comuni e di guide di riferimento per quanto riguarda i test, le valutazioni, gli utilizzi e le verifiche nei settori di impiego delle scorie in Europa e, soprattutto, al timore generale che l'uso di alcune scorie potrebbe essere potenzialmente pericoloso per l’ambiente, per il rilascio nell’ambiente di elementi nocivi [3]. La composizione chimica delle scorie ottenute dalla produzione dell'acciaio all’EAF è costituita da ossidi di vari metalli che per una percentuale di circa il 90% del peso della scoria sono ossidi di calcio, ferro, alluminio, magnesio e silicio. In particolare, alcuni ossidi come quelli di calcio, silicio ed alluminio derivano dalle materie prime aggiunte al bagno (additivi), l’ossido di ferro deriva principalmente dalla ossidazione del bagno metallico, mentre la magnesia può essere sia intenzionalmente aggiunta ma può anche provenire dall'erosione dei mattoni refrattari del forno da parte della scoria liquida ed infine, i rimanenti sono impurità connesse alla qualità dello rottame ferroso (Cr, Mo, Ti, V, Cu, ecc.). Le scorie di acciaieria possono essere considerate come rocce provenienti dalle eruzioni vulcaniche; infatti, da un punto di vista mineralogico, esse sono principalmente costituite da larnite (2CaO·SiO2), brownmillerite, una soluzione solida corrispondente a 2CaO·Fe2O3 o a 2CaO·2Al2O3·Fe2O3, di wustite (soluzione solida con composizione variabile basata su FeO, CaO, MgO, MnO). Altri composti presenti sono silicati anidri di calcio, silico-alluminati (gehlenite e bredigite, magnetite, magnesio-ferrite) e ossidi di manganese [1]. Un aspetto interessante da considerare nell'ottica della riduzione del rilascio ambientale di elementi nocivi presenti nelle scorie EAF può essere rappresentato dal raffreddamento veloce, come ad esempio si effettua per le scorie da AF mediante granulazione in acqua, che porta alla produzione di scorie vetrose amorfe, che, isolando metalli ed ossidi, produce un abbassamento della solubilità dei metalli pesanti rendendola confrontabile con quella dei materiali naturali inerti utilizzati per la fabbricazione delle strade [4]. Scorie con fattore di basicità (CaO+MgO)/(SiO2+Al2O3) > 1, in funzione della loro analisi chimica, possono formare fasi vetrose quando vengono raffreddate velocemente. Tuttavia, la formazione di queste ultime non è sempre sufficiente per isolare i metalli pesanti e per impedire la loro lisciviazione [3]. Oltre alla formazione di fase vetrosa, le condizioni di controllo del raffreddamento, possono essere un mezzo per influenzare la trasformazione del minerale e conseguentemente la solubilità degli elementi come il cromo; il raffreddamento veloce, dovrebbe provocare la prevenzione della lisciviazione del cromo. La velocità di raffreddamento è infatti un parametro molto importante nella formazione di Cr6+ perché, questo catione, si forma a temperature più basse (inferiori a 1228°C) di quelle del processo all’EAF [5,6]. I componenti chimici che contengono cromo esavalente (Cr6+) sono generalmente considerati molto più tossici di quelli che contengono la forma trivalente (Cr3+) [7,8]. In accordo con Lee e Nassaralla [4], il catione Cr6+ si forma solitamente a basse temperature e un raffreddamento veloce, limitando la cinetica di reazione, riduce la sua formazione. Tossavainen ed altri [3] hanno studiato l'effetto della velocità di raffreddamento sul comportamento di lisciviazione di differenti tipologie di scorie; i risultati ottenuti dalla prova di lisciviazione mostrano che la solubilità degli elementi quali cromo, molibdeno e vanadio per le differenti scorie esaminate è generalmente molto bassa. Per le scorie da EAF sono stati ottenuti risultati controversi per la lisciviazione del cromo, che non sempre viene impedita dal rapido raffreddamento e che apparentemente non sembrerebbe essere molto influenzata dalla composizione chimica della scoria. In questo panorama, questo lavoro vuole avere lo scopo di dare un contributo ad una maggiore comprensione delle relazioni intercorrenti fra composizione, microstruttura, condizioni di raffreddamento e di lisciviazione del cromo delle scorie da EAF.

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PROCEDURE SPERIMENTALI Per studiare gli effetti della composizione della scoria sul rilascio di Cr, si sono considerati i seguenti campioni provenienti da due doversi impianti per la produzione di acciai al carbonio: - “scoria 1”: scoria prelevata da un forno elettrico UHP (ultra high power); - “scoria 2”: scoria prelevata da un forno elettrico MP (medium power). Allo scopo di valutare gli effetti delle diverse velocità di raffreddamento sulle proprietà della scoria è stato prelevato anche un terzo campione dal forno UHP. Tale campione è stato raccolto dalla porta di scorifica e versato su una lamiera fredda di acciaio in modo da raffreddarlo in modo estremamente rapido. Il campione è stato chiamato “scoria 3” per distinguerlo dagli altri due campioni che, al contrario, sono stati prelevati dalla fossa posta al di sotto del forno elettrico, dove la scoria viene raccolta e impiega diverse ore per giungere a temperatura ambiente. La composizione chimica delle scorie è stata determinata mediante la tecnica di fluorescenza a raggi X (XRF), e le fasi cristallografiche sono state identificate mediante misure di diffrazione dei raggi X effettuate con un diffrattometro per polveri Philips X-Pert Pro impostato con un tensione di 40 kV e una corrente di 40 mA. I tre campioni, macinati fino a una dimensione granulometrica inferiore a 4 mm, sono stati sottoposti a prove di rilascio della durata di 24 ore, in accordo alla normativa prEN 12457-2 [9]. Alcune particelle di scoria a granulometria controllata sono state inglobate in resina a freddo e sottoposte alla normale preparativa metallografia che consiste in un’operazione di levigatura su carte abrasive, seguita da una lucidatura su panno diamantato da 1 micron. I provini così ottenuti sono stati metallizzati con oro per poter essere osservati al microscopio elettronico a scansione modello LEO EVO 40, che, accoppiato alla microsonda EDXS Link Pentafet Oxford mod 7060, ha permesso di studiare la microstruttura delle scorie e confermare la presenza delle le principali fasi mineralogiche individuate anche dalle misure di diffrazione. In particolare, le misure EDXS sono state effettuate sia sui campioni metallografici tal quali, sia sugli stessi campioni dopo averli sottoposti alla prova di immersione di 24 ore nella soluzione prevista dalla normativa prEN 12457-2. Ciò è stato fatto allo scopo di valutare se alcune delle fasi presenti nelle scorie sono più inclini a dissolversi rispetto alle altre durante il test di lisciviazione. Su uno di questi campioni è stata effettuata anche una misura di diffrazione dei raggi X allo scopo di confermare i risultati emersi dalle analisi SEM-EDXS, identificando con precisione le fasi cristalline presenti. Considerando la dimensione ridotta delle particelle inglobate nella resina (< 4 mm), si è reso necessario utilizzare un microdiffrattometro a raggi X modello D/max-RAPID Rigaku, che è dotato di un detector bidimensionale del tipo image plate (IP) cilindrico. L’area che viene interessata dalla misura può essere scelta variando il diametro del collimatore tra 800 a 10 micron. In questo esperimento è stato utilizzato un collimatore da 300 micron, la corrente è stata fissata a 30 mA e la tensione a 40 KV. RISULTATI E DISCUSSIONE La composizione chimica delle scorie e i risultati dei test di cessione, riferiti al rilascio di cromo, sono stati riportati in tabella 1. Nonostante le scorie presentino composizioni chimiche e indici di basicità simili (espressi come IB2 = CaO/SiO2), i risultati del test di lisciviazione sono completamente differenti. La scoria 1 raffreddata lentamente rilascia un’elevata quantità di Cr (721 ppb), ben al di sopra del limite di 50 ppb stabilito dalla normativa italiana per il recupero delle scorie d’acciaieria. Il rilascio è significativamente minore nella scoria 2 raffreddata lentamente (46 ppb) e praticamente zero (< 5 ppb) per la scoria 3 raffreddata velocemente.

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Ad una prima semplice analisi, il maggior rilascio della scoria 1 rispetto alla scoria 2 potrebbe essere attribuito al suo maggior contenuto di Cr2O3. Tuttavia, la stessa ipotesi perde di validità per la scoria 3, che presenta il più alto contenuto di ossido di cromo, ma registra anche il minor rilascio. Appare quindi evidente che la velocità di raffreddamento influisce in modo significativo sulla cessione di Cr, modificando le fasi presenti e la loro solubilità, a prescindere dal contenuto di Cr2O3 nella scoria.

Tabella 1 – Composizione chimica dei campioni di scoria (peso percentuale) e risultati del test di lisciviazione

I diffrattogrammi ricavati dai tre campioni di scoria sono riportati in figura 1 e mostrano, in tutti i casi, un elevato grado di cristallinità, nonostante la velocità di raffreddamento sia notevole nel caso della scoria 3. Ciò è spiegabile considerando l’elevata basicità delle scorie, in accordo con quanto affermato da Daugherty et al.[10]. L’identificazione delle fasi è stata complicata dal loro numero e dal fatto che alcune di esse spesso contengono ioni metallici sostitutivi che ne allontanano la composizione da quella teorica, modificando leggermente la posizione dei picchi di diffrazione. Gli ossidi che sono stati identificati sono i seguenti: - FeO, wustite (W); - Ca2SiO4, larnite (L); - Ca12Al14O33, mayenite (M); - FeCr2O4, cromite (C); - (Mg ,Fe)(Cr,Al)2O4: magnesiocromite (O); - Ca2Al2SiO7, gehlenite (G). I diffrattogrammi sono piuttosto simili tra loro e mostrano in tutti i casi la presenza preponderante di due fasi: wustite e larnite. Tuttavia, mentre nei campioni 2 e 3 i riflessi della wustite sono più intensi di quelli della larnite, nel campione 1 vale il discorso opposto, indicando che la scoria 1 ha bassi contenuti di wustite ed elevati di larnite. Questo fatto può essere spiegato considerando che la scoria 1 ha un contenuto di ossido di ferro (32.77%) inferiore rispetto a quello degli altri due campioni (41.53% - scoria 2 e 37.66% - scoria 3) e viceversa ha il maggior contenuto di CaO e SiO2 A questa differenza si aggiunge il fatto che nella scoria 1 ci sono anche notevoli quantità di cromite e magnesiocromite, mentre negli altri due campioni la cromite è assente e la magnesiocromite è presente ma i suoi riflessi sono di modesta intensità. Un’altra differenza è la presenza di gehlenite nei campioni raffreddati lentamente.

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15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 752Theta

15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 752Theta (

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Fig. 1 – Spettri di diffrazione ricavati da i tre campioni di scoria

Per studiare la morfologia e la distribuzione di queste fasi all’interno delle diverse scorie, i campioni sono stati preparati metallograficamente e analizzati mediante l’impiego del microscopio elettronico a scansione (SEM), operante in modalità back-scattering, in modo da rendere più evidenti la zone del campione con diversa composizione chimica. Le analisi confermano che le scorie sono costituite principalmente da ossidi, ma con in alcuni casi una presenza significativa di particelle metalliche, come si può osservare ad un basso ingrandimento nella Fig. 2. Le particelle metalliche sono quasi sferiche, con diametro di circa 200 µm. La loro forma indica che si sono solidificate quando la scoria circostante era ancora liquida. Dall’analisi emerge che tali goccioline sono composte principalmente da ferro, senza elementi di lega, che, quindi, dovrebbe corrispondere alla composizione chimica dell’acciaio alla fine del processo di fusione, quando quasi tutto il carbonio e gli elementi di lega sono stati ossidati. Tornando a considerare gli ossidi, per quanto riguarda la scoria 1 (vedi Fig. 3), essa è costituita principalmente da due fasi che sono presenti in forma di grandi particelle e che in accordo con le analisi di diffrazione risultano essere larnite (Ca2SiO4) e una soluzione solida tipo wustite ((Fe, Mg, Mn)O) contenente anche piccole percentuali di Cr, che in seguito verrà genericamente indicata “wustite”. Tra le fasi minori si osservano alcune particelle molto grandi ricche di ossido di Cr e contenenti percentuali inferiori di Fe, Mg, Mn e Al, corrispondenti alle fasi identificate con la diffrazione come

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cromite e magnesiocromite e che in seguito saranno genericamente indicate con il nome di “spinello”. Tali particelle hanno una forma spigolosa e sono raggruppate a formare grandi cluster.. Sono frequenti anche particelle più piccole contenenti elevati tenori di Ca e Al, la cui composizione chimica è molto vicina a quella della mayanite, identificata dalla diffrazione dei raggi X. Appaiono solo poche tracce delle gehlenite. Nella scoria 2 appare evidente che la fase principale è la wustite, come già ipotizzato in precedenza (Fig. 4). Tale fase è presente non solo in forma di grandi grani isolati, ma anche come componente di una struttura eutettica estremamente fine, che può essere risolta chiaramente solo ad alti ingrandimenti. Il secondo componente di tale eutettico è un ossido Ca-Al, la cui composizione è difficile da identificare con precisione considerato il fatto che tali particelle hanno una dimensione di pochi micron, inferiore alla risoluzione spaziale della microsonda EDXS. Tuttavia, in alcuni punti del campione l’ossido Ca-Al è presente anche come particella isolata di dimensioni maggiori. L’analisi effettuata in tali punti ha permesso di stabilire con una miglior precisione che si tratta ancora di mayanite. A differenza del campione di scoria 1, nella scoria 2 le particelle di larnite sono molto meno frequenti e generalmente compaiono come particelle isolate, racchiuse all’interno della matrice eutettica appena descritta, che probabilmente ha solidificato ad una temperatura inferiore, andando a riempire gli interstizi tra le particelle solide di silicato bicalcico. Riguardo le fasi minori, si osserva qualche grano isolato di spinello ricco di Cr, mentre non si distinguono chiaramente le particelle di gehlenite. Nella scoria 3, la microstruttura è fine e uniforme (Fig. 5). La wustite è ancora abbondante, sia come particella di forma arrotondata, sia come componente estremamente fine dell’eutettico wustite/mayanite. Le particelle di larnite sono piccole ed isolate, circondate dal composto eutettico. Si osservano anche numerosi grani di spinello di piccole dimensioni.

Fig. 2 - Micrografia delle particelle metalliche all’interno della scoria.

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Fig. 3 - Micrografia della scoria 1 e risultati delle analisi EDXS (peso %).

Fig. 4 - Micrografia della scoria 2 e risultati delle analisi EDXS (peso %).

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Fig. 5 - Micrografia della scoria 3 e risultati delle analisi EDXS (peso %). Per capire se la differente tipologia e distribuzione delle fasi nelle scorie è la causa dei differenti rilasci di Cr dei test di cessione, è stato condotto un esperimento appositamente ideato e messo a punto. Sui campioni di scoria lucidati si sono selezionate alcune aree e su queste si sono effettuate alcune analisi SEM-EDXS. Successivamente gli stessi campioni sono stati immersi nella soluzione usata per le prove di lisciviazione per 24 ore. Al termine, i campioni sono stati nuovamente osservati al SEM e rianalizzati negli stessi punti per studiare i cambiamenti prodotti dall’immersione nella soluzione di prova. I risultati ottenuti per le tre scorie sono riportati nelle figure da 6 a 8. Ogni figura si riferisce ad una diversa scoria mostrando in alto l'immagine SEM e la composizione chimica dell'area selezionata prima della prova di immersione e in basso l'immagine e la composizione chimica della stessa area dopo l’immersione. Per quanto riguarda la scoria 1, è evidente che la soluzione lisciviante ha fortemente attaccato la larnite (Fig. 6). Le aree occupate dalla larnite, dopo l'immersione, si sono completamente disciolte, lasciando buchi molto profondi, da cui, a volte, il segnale EDXS non riesce nemmeno a fuoriuscire. Al contrario, la wustite, lo spinello e la mayanite non sembrano essere stati attaccate in modo significativo dalla soluzione lisciviante. Nel caso della scoria 2, l’attacco sembra essere meno esteso. Le aree occupate dalla larnite sono corrose solo superficialmente, mostrando sotto di esse, la presenza di una fase più resistente, con composizione chimica vicina a quella del FeSiO3, che contiene anche piccole quantità di Al2O3, P2O5 e CaO. Stranamente questa fase non è stata rilevata durante l’analisi preliminare della scoria 2; forse si tratta di una sorta di sottile intrusione nei grani di larnite, che diventa evidente soltanto dopo la dissoluzione degli strati più esterni.

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Fig. 6 - Analisi SEM-EDXS (peso %) della scoria 1, prima e dopo il test di lisciviazione.

Fig. 7 - Analisi SEM-EDXS (peso %) della scoria 2, prima e dopo il test di lisciviazione.

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Fig. 8 - Analisi SEM-EDXS (peso %) della scoria 3, prima e dopo il test di lisciviazione. Attacchi più profondi interessano invece il bordo dei grani di larnite e delle particelle di wustite. Le più piccole spesso sembrano essere state scalzate dalla loro posizione originale, a seguito della dissoluzione della larnite intorno ad esse. La mayanite sembra essere immune all’aggressione e anche le particelle di wustite e lo spinello non sembrano essere stati attaccati dalla soluzione lisciviante, come già osservato per la scoria 1. Infine, si può osservare che la scoria 3 resiste molto bene all’attacco della soluzione del test. La dissoluzione interessa solo le poche e piccole isole di larnite, circondate dall’eutettico. L’eutettico wustite/mayanite forma una struttura compatta e continua, non facilmente solubile nella soluzione di acqua acidificata. Per avere un’ulteriore conferma di queste osservazioni, i tre campioni di scoria che erano stati immersi in acqua acidificata per 24 h sono stati sezionati e preparati metallograficamente per essere analizzati con il microscopio elettronico a scansione anche nello spessore. Le immagini, raccolte in modalità backscattering sono riportate in figura 9. Nel caso del campione di scoria 1, lo strato superficiale è stato uniformemente aggredito dall’acqua fino ad una profondità di almeno 60-70 micron, a seguito della dissoluzione dei grani di larnite, portando alla formazione di buchi e cavità. Al contrario, nel caso dei campioni 2 e 3 l’attacco è rimasto estremamente superficiale. Come dimostrato da studi recenti [11], il rilascio dei principali elementi presenti nelle scorie durante le prove di lisciviazione dipende fortemente dai fenomeni di diffusione attraverso lo strato superficiale della scoria.

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E’ dunque chiaro che nel caso del campione 1 la formazione di uno strato superficiale poroso facilita fortemente il rilascio degli elementi, Cr compreso, anche dagli strati più interni del materiale.

SCORIA 1 SCORIA 2

SCORIA 3

SCORIA 1 SCORIA 2

SCORIA 3

Fig. 9 - Micrografie dei campioni di scoria visti in sezione dopo 24 ore in acqua acidificata. Per completare questo studio, sono state eseguite anche alcune misure di microdiffrazione sul campione lucidato di scoria 1, prima e dopo la prova di immersione. La figura 10 mostra le immagini di diffrazione raccolte dal rivelatore bidimensionale di raggi X e i relativi diffrattogrammi ottenuti eseguendo un’integrazione in direzione 2θ lungo gli anelli di Debye per ciascuna condizione. L’identificazione delle fasi è complicata dal fatto che la quantità di materiale irraggiato è estremamente ridotta, tuttavia conferma che la scoria 1 prima dell’immersione contiene una grande quantità di wustite e di larnite. Si osserva anche la presenza di alcune delle fasi minori già identificate in precedenza: spinello, mayenite e gehlenite. Dopo la prova di immersione nell’acqua, i picchi di diffrazione della larnite e della gehlenite scompaiono, mentre quelli della wustite, dello spinello e della mayenite rimangono pressoché inalterati.

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Ciò è un’ulteriore conferma del fatto che wustite, spinello e mayanite sono piuttosto resistenti all’aggressione della soluzione, mentre le fasi contenenti ossido di Ca e Si, si sciolgono quasi completamente nell’acqua.

Fig. 10 – Immagini e spettri di diffrazione della scoria 1 prima e dopo immersione. CONCLUSIONI Il nuovo approccio utilizzato in questo studio delle scorie di acciaieria ha permesso di dimostrare che le fasi contenenti ossido di Ca e Si, e in particolar modo la larnite, vengono facilmente disciolte dalla soluzione utilizzata nei test di lisciviazione. Al contrario wustite e spinello, che sono le due fasi contenenti Cr, e la mayanite sembrano essere molto più resistenti. La scoria 1, avendo un contenuto di calce e silice superiore a quello degli altri due campioni e un bassissimo contenuto di ossido di ferro è stata fortemente attaccata durante l'immersione, con la conseguente formazione di uno strato poroso sulla superficie delle particelle di scoria. La scoria 1 è anche quella che ha prodotto il maggior rilascio di Cr nel corso del test di cessione. Pur non potendo provare una relazione diretta tra rilascio di Cr e dissoluzione della larnite, poiché essa non sembra contenere Cr in quantità apprezzabili, resta da considerare il fatto che la maggior

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porosità e permeabilità superficiale della scoria 1 và ad aumentare fortemente l’interazione tra la soluzione e le fasi contenenti Cr, incoraggiandone il rilascio. Se questa considerazione può giustificare il maggior rilascio di Cr della scoria 1 rispetto alla scoria 2, tuttavia non spiega l’assenza di rilascio nel caso della scoria 3. La netta riduzione del rilascio di Cr della scoria 3, conseguente all’aumento della velocità di raffreddamento, appare in linea con i risultati di alcuni dei lavori richiamati nell’introduzione dell’articolo. Tuttavia, l’analisi SEM-EDXS non ha permesso di evidenziare particolari differenze nella composizione delle fasi mineralogiche che possano spiegare tale risultato. La microstruttura estremamente fine della scoria 3, conseguenza del raffreddamento veloce, potrebbe avere una qualche influenza nella riduzione del rilascio. Tuttavia tale dipendenza non è chiara e andrà approfondita in studi futuri. RINGRAZIAMENTI Gli autori desiderano ringraziare le ricercatrici M. Brisotto e A. Zacco del Laboratorio di Chimica per le Tecnologie dell’Università di Brescia per aver eseguito le misure di diffrazione dei raggi X sui campioni di scoria. BIBLIOGRAFIA 1) M. AGOSTINACCHIO and S. OLITA, Proceedings of 3rd International SIIV Congress, Bari (2005). 2) D.R. REINHART, Waste Manag. Res., 11 (1993) p. 257. 3) M. TOSSAVAINEN, F. ENGSTROM, Q. YANG, N. MENAD, M. LIDSTROM LARSSON, AND B. BJORKMAN, Waste Management, 27, n. 10 (2007), p. 1335. 4) M. TOSSAVAINEN AND E. FORSSBERG, Steel Research, 71 n. 11 (2000), p. 442. 5) Y. LEE AND C.L. NASSARELLA, Metallurgical and Materials Transactions B, 29B (1988), p. 405. 6) D. DURINCK ET AL., Resources, Conservation and Recycling, 52 (2008), p. 1121. 7) E.R. PLUNKETT, Handbook of Industrial Toxicology, Chemical Publishing Co., New York, NY (1976), p. 108. 8) M. WINDHOLZ (Ed.): The Merck Index. Merck, Rahway, NJ (1976), p. 976. 9) CEN, 2002a. Final draft prEN 12457-2. Characterization of waste-leaching-compliance test of leaching of granular waste material and sludges – Part 2: one-stage batch test at a liquid to solid ration of 10 l/kg for materials with particle size below 4 mm (with or without particle reduction). 10) K.E.DAUGHERTY, B. SAAD, C. WEIRICH, AND A. EBERENDU, Silicates Industriels, 4 n. 5 (1983), p. 107. 11) S. YOKOYAMA ET AL., ISIJ International, 50 n. 4 (2010), p. 630.