Capitolo Secondo. La domanda alimentare: trend e ... · cittadinanza, delle infrastrutture e...

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12 Capitolo Secondo. La domanda alimentare: trend e caratteristiche delle scelte dei consumatori. 2.1. Nuova società, nuovi utenti, nuovi consumi... Il sistema agro-alimentare ha conosciuto una lunga fase di espansione, per quanto riguarda lo sviluppo della propria domanda, dai primi anni ’50 alla fine degli anni ’70, periodo in cui, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, si è assistito inizialmente al ritorno alla normalità della cittadinanza, delle infrastrutture e dell’economia in genere, e in seguito, all’esplosione della produzione e degli scambi del settore industriale, alimentare e non, che, anche grazie alla continua internazionalizzazione, ha portato la popolazione ad una sempre maggior richiesta di beni e merci. Nel settore alimentare questa espansione della domanda, fino agli anni ’70, si intende come crescita quantitativa, ovvero si assiste ad un continuo aumento dei consumi di tipo standardizzato, dove l’obiettivo dei cittadini è quello di avere di più, di tutto. Cresce quindi la voglia di poter consumare più carne, di mangiare più volte al giorno “la minestra”, di poter usufruire più spesso di tutti quei prodotti che la stragrande maggioranza della popolazione, fino a prima della guerra, vedeva comparire sulle proprie tavole molto raramente (l’esempio dello zucchero, del caffè, del cioccolato, ecc).

Transcript of Capitolo Secondo. La domanda alimentare: trend e ... · cittadinanza, delle infrastrutture e...

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Capitolo Secondo. La domanda alimentare: trend e caratteristiche

delle scelte dei consumatori.

2.1. Nuova società, nuovi utenti, nuovi consumi...

Il sistema agro-alimentare ha conosciuto una lunga fase di espansione, per

quanto riguarda lo sviluppo della propria domanda, dai primi anni ’50 alla

fine degli anni ’70, periodo in cui, dopo la fine del secondo conflitto

mondiale, si è assistito inizialmente al ritorno alla normalità della

cittadinanza, delle infrastrutture e dell’economia in genere, e in seguito,

all’esplosione della produzione e degli scambi del settore industriale,

alimentare e non, che, anche grazie alla continua internazionalizzazione, ha

portato la popolazione ad una sempre maggior richiesta di beni e merci.

Nel settore alimentare questa espansione della domanda, fino agli anni ’70,

si intende come crescita quantitativa, ovvero si assiste ad un continuo

aumento dei consumi di tipo standardizzato, dove l’obiettivo dei cittadini è

quello di avere di più, di tutto.

Cresce quindi la voglia di poter consumare più carne, di mangiare più volte

al giorno “la minestra”, di poter usufruire più spesso di tutti quei prodotti

che la stragrande maggioranza della popolazione, fino a prima della guerra,

vedeva comparire sulle proprie tavole molto raramente (l’esempio dello

zucchero, del caffè, del cioccolato, ecc).

13

Si sviluppa, in altri termini, il consumatore di massa, che esce dalla semi

povertà e si pone l’obiettivo di condurre uno stile di vita che ne elevi lo

status sociale, quasi a voler cancellare quelle condizioni che nel passato

tanto avevano creato dolore e sofferenza.

Questo tipo di espansione dei consumi è divenuto maturo proprio sul finire

degli anni ’70, inizio degli anni ’80, dove si assiste ad “...un’accentuazione

dell’attenzione dei consumatori verso dimensioni qualitative come varietà,

sanità, domanda di servizi incorporati negli alimenti ed innovazione di

prodotto in un quadro di globalizzazione dei gusti e delle preferenze”12.

Ciò mostra, quindi, che anche se il settore alimentare apparentemente

risulta stabile e maturo, in realtà, grazie al continuo sviluppo della domanda

dei consumatori, nonché alle persistenti modifiche e riassetti a livello

aziendale, si rivela estremamente dinamico e movimentato, dove la

continua innovazione di prodotto e di processo è la strategia vincente per

aumentare la customer satifaction ed i profitti d’impresa.

Analizzando, infatti, a livello quantitativo la struttura settoriale della

domanda nel comparto alimentare, risalta immediato il dinamismo generato

dalle scelte dei consumatori (vedi Tab.1 a pagina seguente).

12 R. Pieri, L. Venturini (1995), “Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare”, Franco

Angeli.

14

Tab.1- Analisi della domanda per settori del comparto alimentare.

Settore Consumi pro-capite 2004 (in kg o litri)

Var. 1994/2004 (in %)

Spesa media delle famiglie (in milioni di €)

Peso dei settori sulla spesa totale (in %)

Carni 90 +5% 26.000 23% Ortofrutta 285 -20% 21.600 17% Pesce 27 +80% 8.500 8% Grassi (vegetali ed animali) 34 +10% 5.800 4% Lattiero-caseario 80 +14% 16.360 18% Acqua minerale 189 +65% 3.000 3% Altre bevande 105 +11% 8.500 8,5% Pasta 28 +7% 1.500 4,5% Pane e simili 70 -25% 19.000 11% Zucchero, sale, caffè, tè

40 +8% 9.500 3% Fonte: Nielsen, Istat, elaborazione Federalimentare su dati Istat, Inn-ca, Fao, Ismea, elaborazione Ciaa su dati Istat, Agrostat.

Infatti, nell’ultimo decennio sono aumentati i consumi in tutti i settori

alimentari, ad eccezione del comparto del pane (il cui consumo è sceso

soprattutto a causa dello stile di vita sedentario, che non costringe più le

persone ad assumere energia in grandi quantità per affrontare le dure

giornate lavorative nei campi13) e di quello ortofrutticolo (la cui

diminuzione è, molto probabilmente, conseguenza sia del progressivo

13 Basti pensare che trent’anni fa i consumi dei farinacei legati al pane erano più che doppi

rispetto ad oggi, e rappresentavano l’80% dell’energia assunta dai lavoratori.

15

allontanamento dei consumatori italiani dai canoni della dieta mediterranea,

sia del notevole ed ingiustificato aumento dei prezzi al dettaglio in seguito

all’introduzione dell’euro).

Inoltre, è interessante sottolineare che, all’interno dei diversi settori, le

modifiche nei consumi avutesi negli anni derivano anche da spostamenti

delle preferenze verso l’uno o l’altro prodotto.

Così, ad esempio, l’aumento dei consumi di zucchero non deriva dal

maggior acquisto dello zucchero semolato, ma dalla scelta dei consumatori

di utilizzare zuccheri dietetici (aspartame e simili); nella sezione altre

bevande, si è assistito ad uno spostamento delle preferenze dal vino, verso

la birra e le bibite, gassate e non (infatti oggi l’incidenza dei succhi di frutta

e delle cole è di circa il 25%, mentre 10 anni fa rappresentavano solo il 10-

15%; al contrario il vino, ha visto negli anni diminuire consistentemente i

propri consumi, passando dai 110 litri pro-capite annui degli anni ’70, ai 90

degli anni ’80, agli scarsi 60 litri annui degli anni ’90, fino ad arrivare ai 52

litri annui pro-capite consumati al giorno d’oggi).

E’ comunque difficile attribuire valore certo ed indiscutibile ai dati relativi

ai consumi pro-capite dei vari generi alimentari; riferendosi al 1994, è

infatti possibile trovare stime assai diverse a seconda della fonte statistica di

riferimento.

16

Così, secondo le indagini condotte dalla INN-CA, in quell’anno si

sarebbero bevuti 28,4 litri pro-capite di vino, mentre fonti ISTAT relative ai

consumi delle famiglie, indicano 41,6 i litri consumati, e, riferendosi ai

bilanci alimentari nazionali, sempre da dati ISTAT, risulterebbero 57,7 i

litri di vino bevuti nel ’94.

Queste diverse valutazioni, anche se con differenze meno accentuate, sono

riscontrabili in tutti i comparti alimentari.

Per questo motivo non è facile dare un’interpretazione univoca

dell’andamento della domanda alimentare: è possibile però stabilire come

questa venga modificata e quali sono i fattori che la determinano.

Ad esempio, l’aumento dei single è la conseguenza della maggiore richiesta

di prodotti in confezioni più piccole e, insieme alle sempre più numerose

famiglie composte da due o tre elementi, dell’accresciuto numero di pasti

che vengono consumati fuori casa.

L’aumento della partecipazione femminile alla forza-lavoro, insieme con la

maggior disponibilità di reddito che queste hanno, genera una crescente

domanda di servizi incorporati nei prodotti alimentari, che risulta il fattore

fondamentale dell’affermarsi dei convenience food14.

14 “L'evoluzione dei consumi alimentari muove verso qualità e praticità di impiego. Il ruolo

dell'imballaggio è determinante: il confezionamento realizza le prime condizioni per la praticità di

impiego. Prodotti con elevata convenienza sono i semilavorati che consentono risparmi nelle

17

L’imporsi di questo nuovo stile di vita, non fa altro che mostrare come la

famiglia moderna si stia trasformando da unità di produzione e consumo, in

semplice unità di consumo.

Se invece rivolgiamo l’attenzione all’aumento della domanda di qualità,

fattori cruciali che influenzano questa caratteristica sono, oltre alla crescita

esponenziale del reddito e all’avanzamento del livello d’istruzione, anche

una maggiore attenzione verso il grado di sicurezza alimentare15.

Quello della sicurezza è un problema assai gravoso che interessa moltissime

aziende che, per salvaguardare i profitti, alterano i valori dei vari cibi: basti

preparazioni domestiche, i piatti pronti surgelati con cui si prepara un intero pranzo in tempi brevi,

specie se si effettua scongelamento e riscaldamento in forni a microonde.

Appartengono alla categoria i prodotti in polvere di rapida ricostituzione con acqua calda o fredda;

gli alimenti "miniaturizzati", liofilizzati e poi compressi in modo che, oltre pesare meno, occupino

un volume minimo.

Se il processo è condotto correttamente, questi prodotti alla reidratazione riprendono peso e forma

originarie e presentano un'ottima ritenzione di principi nutritivi. Allargando il concetto di

convenienza a tutti i prodotti che consentono di risparmiare tempo nella preparazione e di potere

consumare in condizioni di emergenza, possono essere inserite in questa categoria tutte le

conserve, industriali, artigianali e casalinghe”. Dal sito internet: www.iperserv.com/alimentazione/

ministero/libro_1/CAP_1b.HTM. 15 “Il concetto di ‘qualità’ si estende dalla sicurezza degli alimenti dal punto di vista

microbiologico e chimico, alle proprietà nutrizionali, fino alla facoltà di prevenire alcune malattie,

alla durata commerciale o alla comodità d'uso. È però sbagliato considerare ‘di qualità’ soltanto

quel prodotto che possieda tutte queste caratteristiche. Vari prodotti nascono con lo scopo di

soddisfare solamente alcuni requisiti, ad esempio bevande ed alimenti edonistici, cui non si devono

attribuire necessariamente anche valenze nutrizionali; prodotti freschi che per natura hanno

limitata durata commerciale; prodotti di emergenza, il cui compito è fornire la quantità e la qualità

di nutrienti essenziali, anche a scapito di alcune caratteristiche organolettiche”. Dal sito internet:

www.iperserv.com/alimentazione/ministero/libro_1/CAP_1b.HTM.

18

pensare che ogni anno l’attività ispettiva dei Nas (nuclei anti sofisticazione)

registra sequestri per oltre 103 milioni di euro in tutti i settori alimentari16.

Non solo si registrano violazioni all’igiene, ma anche veri e propri esercizi

da alchimisti per contraffare olio e latte17; per questo motivo “...entro l’anno

sarà istituito un segretariato per la sicurezza alimentare presso la Presidenza

del Consiglio che coordinerà tutti gli enti di certificazione e di controllo

oggi esistenti e sarà l’interlocutore diretto dell’Authorithy europea. Lo ha

annunciato il ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno, durante la

presentazione di ‘Apertamente – Gusto sicuro’, un’iniziativa di

Federalimentare che si è svolta a Roma dall’11 al 16 novembre 2004, dove

più di cinquanta stabilimenti hanno aperto le porte al consumatore per fargli

conoscere come sono prodotti i cibi che arrivano sulla tavola”18.

Uno dei fattori fondamentali per quanto riguarda l’evoluzione dei consumi

alimentari è, inoltre, il calo della dinamica della popolazione, che ha

16 “La maggior parte delle frodi non è pericolosa per la salute, ma reca un danno alle tasche del

consumatore ed un danno per il palato. I sofisticatori approfittano del fatto che i gusti dei

consumatori si sono appiattiti fino al punto che molti oli di qualità non sono graditi perché troppo

forti o fruttati”. A. Ritieni, “Ma lo sai cosa mangi (veramente)?”, a pag. 99-100 di “Explora”,

n°6/2005. 17 “Si vende come olio extravergine un olio di oliva di bassissima qualità, addirittura di semi,

semplicemente correggendolo con un po’ di clorofilla che conferisce il colore verde ai vegetali,

con un margine per il produttore disonesto fino al 5-600 per cento del valore”. A. Ritieni, “Ma lo

sai cosa mangi (veramente)?”, a pag. 100 di “Explora”, n° 6/2005. 18 Dal sito internet: www.sicurweb.it/professional/news/dettaglio.asp?id=3307

19

attestato sullo zero l’incremento demografico in Italia, facendo divenire

sempre più rilevante il peso delle classi di età più avanzata.

Ciò spiega soprattutto la stazionarietà dei consumi alimentari e la maturità

tipica dei paesi più avanzati.

L’invecchiamento poi, dal canto suo, comporta una maggiore attenzione per

le caratteristiche dietetico-salutistiche dei prodotti ricercate anche da tutti

quei consumatori che, se pur non anziani, cercano lo stesso di mantenere

uno stile di vita corretto dal punto di vista alimentare.

Aumentano per questo motivo le richieste di quei prodotti in cui i grassi

saturi19, dannosi per l’organismo, siano nulli o presenti in piccole quantità

(diminuisce quindi il consumo di burro a favore di quello dell’olio d’oliva

che, anche se molto calorico, ha un’utilissima funzione: tiene basso il

colesterolo cattivo ed alto quello buono, le Hdl); diminuisce anche il

consumo di bevande alcoliche (ad esempio, negli anni ’50 l’italiano medio

bevevo 104 litri di vino pro-capite l’anno, mentre oggi ’solamente’ 52).

Sempre per lo stesso motivo, al contrario, vedono aumentarsi i consumi di

prodotti ad elevato contenuto di fibre, calcio e ferro (anche se questo ha

portato ad alcune conseguenze negative, come ad esempio all’elevato

consumo di carni rosse, passato dai 15-20 kg pro-capite annui degli anni

19 “I grassi da eliminare dalla dieta sono i grassi saturi che provengono prevalentemente da carni

rosse e burro”. Walter Willett, nutrizionista di Harvard, a pag.43 di “Focus”, n° 2/2204.

20

’50, ai circa 90 kg di oggi, che ha si aumentato l’assunzione di proteine e

ferro, ma allo stesso tempo ha visto crescere i grassi saturi); cresce inoltre il

consumo di yogurt e formaggi freschi che, se consumati con moderazione20,

offrono un ottimo apporto di proteine e calcio.

Aumenta anche l’attenzione di molti consumatori verso tutti quei prodotti

che, in apparenza, sembrano far dimagrire; “la risposta…che troverebbe

nella riduzione delle porzioni la soluzione più logica, è venuta dai prodotti

‘light’, oggi alleggeriti della componente considerata a rischio. Dal punto di

vista funzionale, sono necessari opportuni sostituti, talvolta ottenuti per

sintesi (dolcificanti invece di zuccheri, amidi modificati e proteine

gelificate invece di grassi). I primi alimenti alleggeriti sono stati i prodotti

lattiero-caseari (parzialmente o totalmente sgrassati), seguiti da maionese

alleggerita nella componente olio, e da bevande ipocaloriche”21.

Questi prodotti però non sono privi di pericolose e dannose conseguenze;

una ricerca italiana boccia infatti l’aspartame22: sarebbe cancerogeno.

20 “Non si tratta di gola o debolezza…è la biochimica che ci fa sentire la mancanza della dose

quotidiana di carne, formaggio o dolci”. Ad esempio il formaggio contiene caseina, una proteina

che durante la digestione produce caseomorfine, sostanze simili alla morfina, e quindi capaci di

creare una sorta di dipendenza. Neal Benard, docente di medicina alla George Washington

University, a pag.43 di “Focus”, n° 2/2004.. 21 Dal sito internet: www.iperserv.com/alimentazione/ministero/libro_1/CAP_1b.HTM. 22 Dolcificante che si trova solitamente nei prodotti “light” o “senza zucchero” perché

praticamente non apporta calorie (yogurt, bibite, gomme da masticare, caramelle, ecc) ed è

21

“A sostenerlo sono i ricercatori del Centro di ricerca sul cancro della

Fondazione europea di oncologia e scienze ambientali Ramazzini di

Bologna in seguito a uno studio condotto sui topi. Dagli esperimenti su

1800 ratti, gli studiosi hanno osservato come l’aspartame somministrato per

tutta la vita induca un aumento dell’incidenza di linfomi e leucemie”23.

Altra importante influenza sull’evoluzione dei consumi alimentari, è data

dall’accresciuta sensibilità e preoccupazione per l’ambiente; ciò fa si che si

sviluppi una domanda di prodotti meno elaborati, con confezioni semplici e

con un’attenzione particolare per i metodi di allevamento degli animali24.

Si evidenzia anche che le abitudini alimentari vanno modificandosi secondo

linee di tendenza presenti in tutti i paesi più avanzati: è per questo motivo

che, se pur con intensità differenti, vi è una crescente globalizzazione di

gusti e preferenze, che non vuol dire standardizzazione o appiattimento

delle abitudini alimentari, ma differenziazione. Si parla di “consumatore

globale”, accomunato da analoghi paradigmi bisogno alimentare-modalità

di soddisfazione-prodotto consumato, con la conseguenza che, nelle diete

alimentari, viene ad aumentare il consumo di prodotti che sono meno legati

l’ingrediente principale delle pillole che si usano per dolcificare il caffè. Si trova anche in alcuni

farmaci (antibiotici e sciroppi per bambini). 23 Dal sito internet: www.altroconsumo.it/map/show/40411/src/85871.htm. 24 E’ per questo motivo che ad esempio l’azienda Amadori, accanto alla vendita dei polli allevati in

batterie, ha lanciato nell’ultimo anno i “polli allevati all’aperto”.

22

alle abitudini nazionali e tende quindi a ridursi quello dei consumi più

tradizionali25.

“Gli esperti dicono che il mondo diventerà, nel XXI secolo, un villaggio

globale. Come potrebbe la sola alimentazione sfuggire al rullo compressore

della mondializzazione? Il problema è, come sempre, cercare di decifrare i

cambiamenti in atto per capire che direzione prenderanno.

La globalizzazione alimentare coinvolge ognuno di noi, perché non solo

decide cosa mangiamo adesso, ma anche cosa mangeremo. Perciò, è bene

chiedersi quali cibi stanno preparando sui propri fornelli le multinazionali

alimentari…”26. E questa omogeneità nel consumo dei prodotti alimentari,

per quanto paradossale, è strettamente legata al processo di segmentazione

dei mercati nazionali; infatti, la riduzione delle differenze di natura

economica e culturale sinora esistenti tra le diverse nazioni, fa si che si

affermino, negli stessi paesi, segmenti di consumatori con caratteristiche

simili nei comportamenti di acquisto.

I gusti nazionali divengono quindi omogenei e segmentati, così da

determinare la formazione di una domanda internazionale, specie per taluni

25 “… a livello di questi segmenti comuni, i gusti nazionali tendono pertanto a divenire omogenei e

standardizzati, tanto da determinare, specie per certi prodotti di marca, la formazione di una

domanda internazionale”. G. Galizzi (1990), “Innovazione di prodotto ed internazionalizzatone

dell’industria alimentare”, riv. Economia e politica industriale, n°65. 26 V. R. Spagnolo (2005), “Intervista a Paul Aries: la globalizzazione alimentare”, dal sito internet:

www.molilli.org/print.php?sid=299.

23

prodotti di marca27; basti pensare che, da una recente indagine

sull’alimentazione, ci sarebbero, oramai, otto tipi di pietanze presenti in

tutto il mondo: coca-cola, caffè, cous-cous, hamburger, pastasciutta, pizza,

chili con carne e sushi.

Appare quindi chiaro che il tentativo delle multinazionali di lavorare per

produrre “…cibi ‘senza identità’, che vadano bene negli Usa come in Cina,

in Africa oppure in Russia”28 non sia lungi dall’esser realizzato.

C’è chi pensa che in questo modo si possa riuscire a sfamare l’intera

umanità, soprattutto ricorrendo all’utilizzo di nuove tecnologie, ed in

particolare degli OGM (organismi geneticamente modificati), capaci di

consentire coltivazioni in luoghi dove generalmente sarebbe impossibile, e

con la possibilità di creare prodotti alimentari più resistenti e in maggiori

quantità rispetto al passato. Come si vedrà nel prossimo capitolo, il ricorso

a questo metodo di produzione è controverso e non adottato da tutti i paesi.

Tornando invece ai processi di segmentazione-globalizzazione del mercato,

c’è il bisogno di un rinnovamento del concetto di qualità, ovvero è

necessario ampliare il ventaglio dei possibili significati del termine.

27 “La Coca-Cola, gli hamburger di Mc Donald’s, gli yogurt di Gervais-Danone…sono tipici

esempi di una simile tendenza alla convergenza della domanda di diversi mercati nazionali”.

G.Galizzi, R. Pieri, da internet: 213.254.4.222/cataloghi/pdfires/385.pdf. 28 V. R. Spagnolo (2005), “Intervista a Paul Aries: la globalizzazione alimentare”, dal sito internet:

www.molilli.org/print.php?sid=299.

24

Nel mondo agricolo, si pensa al concetto di qualità di un prodotto come

valore assoluto, immutabile, risultante dalla combinazione di ben

determinate caratteristiche fisiche.

In realtà, nell’epoca attuale, in cui i consumatori esprimono gusti e

preferenze sempre più volatili e che vengono più volte modificati durante

l’arco della propria esistenza29, “...la qualità di un prodotto alimentare

appare oggi sempre più un valore relativo, soggetto a cambiamenti,

variabile da luogo a luogo, frutto di un processo nel quale le caratteristiche

fisiche del prodotto che sono di valore sembrano un elemento puramente

contingente”30.

Potendo quindi suddividere all’interno di ogni paese gruppi di consumatori

che percepiscono livelli di qualità differenti tra di loro, è possibile associare

questi segmenti di individui con altri identici segmenti presenti in altri

paesi, così da poter parlare di “globalizzazione differenziata” dei consumi.

29 Basti pensare alla crescente domanda di varietà, che ha elevato non solo la disponibilità dei

consumatori a pagare di più per prodotti nuovi, che modifichino le caratteristiche e la qualità dei

prodotti abitualmente consumati, ma ha anche modificato la struttura dei consumi di prodotti

stagionali, determinando, ad esempio, un aumento della domanda di articoli ortofrutticoli freschi al

di fuori dei periodi più consoni per la loro produzione; di conseguenza si genera un decadimento

della qualità. 30 G. Galizzi, R. Pieri, da internet: 213.254.4.222/cataloghi/pdfires/385.pdf.

25

2.2. Un problema della società del benessere: l’obesità.

La possibilità di decidere cosa, come e quando mangiare, i bisogni

soddisfatti di qualità e varietà, nonché la diminuzione del tempo dedicata

alla preparazione degli alimenti e la conseguente crescita dei “consumi

veloci”31, ha fatto sorgere, nella odierna società del benessere, un problema

che interessa una gran numero di popolazione: l’obesità.

Si calcola infatti che “...nell'ultimo decennio l'obesità è aumentata del 50%,

portando i 200 milioni di obesi del 1995 ai 300 milioni del 2003...A marzo

la Task force internazionale per la lotta all'obesità (Iotf) ha rivelato che su

una popolazione complessiva di sei miliardi, 1,7 miliardi di persone è

sovrappeso, con un indice di massa corporea di 25 (sovrappeso), oppure

obeso (con un tasso BMI pari a 30 o superiore)”32.

E’ inoltre sconcertante il fatto che anche in paesi da sempre colpiti dalla

mancanza di cibo (come ad esempio l’India33 o la Cina), si registrino nella

popolazione numerosi casi di persone sovrappeso.

Le cause dell’espandersi di questo fenomeno vanno ricercate nelle abitudini

tipiche del nostro periodo, che vanno dall’urbanizzazione delle masse,

31 Si intendono per “consumi veloci” tutti quei pasti pronti che possono essere preparati e

consumati velocemente, nonché tutti i luoghi di ristorazione dove il tempo che intercorre tra

l’ordinazione e la consumazione è di breve durata. 32 C. Power sul sito internet: www.repubblica.it. 33 “...paese che ospita circa la metà della popolazione sotto nutrita del mondo, il 55 per cento delle

donne comprese tra i 20 e i 69 anni è sovrappeso”. C. Power sul sito internet: www.repubblica.it.

26

all’espansione delle tante macchine che, facendoci risparmiare tempo ed

energia, ci costringono ad una vita sedentaria, fino a giungere ai fast food,

“…commercializzati quasi fossero indici di ricchezza, segni di benessere e

di appartenenza al jet set internazionale”, spiega Philip James, presidente

dello Iotf. E non solo il problema è stato denunciato dall'Organizzazione

Mondiale della Sanità34, ma recentemente anche il cinema si è interessato al

fenomeno: nel documentario Super Size Me, che significa più o meno

“straingrassami” (ma il titolo fa anche riferimento a un tipo di menu extra

abbondante offerto da Mc Donald’s) il regista e attore Morgan Spurlock ha

voluto fare da cavia e per un mese intero ha consumato colazione, pranzo e

cena da Mc Donald’s.

Il risultato è stato quello di veder aumentare il proprio peso di ben 13 chili,

con un conseguente deterioramento del fegato e valori di trigliceridi e

colesterolo elevatissimi. Anche se nella realtà non si giunge ad

estremizzazioni di questo tipo, resta confermata la tesi secondo la quale,

un’assidua frequentazione dei fast food aumenterebbe il rischio di

ingrassare e di sviluppare altre malattie.

34 che “…ha dichiarato l'obesità un'epidemia globale e sta approntando un decalogo riguardante

l'alimentazione che ambisce ad evitare le patologie indotte da una cattiva alimentazione”. C.

Power sul sito internet: www.repubblica.it.

27

In molti paesi, il problema dell’obesità è riscontrato soprattutto tra i

bambini e gli adolescenti: sono infatti molti i cibi e le bevande di cui i

ragazzi vanno ghiotti, ma che, per le loro qualità e caratteristiche

nutrizionali dovrebbero esser tenuti ben lontani soprattutto in quegli anni in

cui i giovani costruiscono e formano il proprio organismo35 (vedi Tab.2 a

pagina seguente).

L’insorgere di questo problema è il risultato soprattutto della poca vigilanza

che si effettua sulle pubblicità rivolte ai ragazzi36 e del proliferare dei

supermarket37.

35 “Patatine fritte, cioccolato e dolciumi, torte, biscotti e brioches, fast food, bevande gassate

zuccherate, snack salati come noccioline, salatini e popcorn. E’ lungo l’elenco dei cibi non salutari

che piacciono tanto ai bambini, ma che contribuiscono enormemente a farli ingrassare.... gli esperti

dimostrano che bambini obesi oggi saranno, domani, adulti con problemi di salute”. Dal sito

internet: www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=254794. 36 “In fatto di consumi alimentari i bambini hanno le idee precise: l’81% di loro tra i 6 e i 13 anni

chiede ai genitori acquisti precisi, mentre il 69% consuma prodotti di cui ricorda lo spot. Lo rivela

una ricerca su marketing alimentare e malattie cardiovascolari, promossa dall’Associazione per la

Lotta alla Trombosi-Onlus, nell’ambito del progetto europeo ‘Bambini e Obesità’…Nel nostro

Paese, in particolare in televisione viene concentrato l’ 82% della pubblicità alimentare: secondo

una ricerca di Altroconsumo il 70% degli spot alimentari per bambini è dominato da merendine,

bevande zuccherate e cibi ricchi di grassi, il doppio rispetto le pubblicità per cereali, mentre solo il

2% della pianificazione riguarda frutta e verdura”. Dal sito internet:

www.mymarketing.net/agora/editoriali/contributi/dettaglio_articolo.asp?a=21&s=87&i=952. 37 Quest'ultimo elemento, in particolare, ha drasticamente modificato le abitudini alimentari dei

giovani e giovanissimi: negli anni '90 in America Latina soltanto il 16 per cento del cibo

consumato era acquistato in un supermarket. Oggi, dieci anni dopo, la percentuale è salita al 60 per

cento.

28

Tab.2- Alimenti considerati poco salutari in Europa.

Fonte: Altroconsumo 2004.

Alcuni paesi stanno pensando di intraprendere disposizioni restrittive che

abbiano impatto sui produttori alimentari; vengono varati, inoltre, progetti

di educazione alimentare che mirano ad esaltare le proprietà benefiche ed i

sapori di determinate tipologie di prodotti salubri e salutari (come ad

esempio la frutta e verdura da consumare almeno 5 volte al giorno).

2.3. Quale la dieta migliore per risolvere il problema?

Una delle conseguenze dell’aumento di popolazione in sovrappeso è stata

quella di dar vita ad un lungo dibattito su quale fosse la migliore dieta

alimentare per combattere l’obesità.

BAMBINI E OBESITÀ I risultati del progetto europeo “Children, obesity and associated avoidable

chronic diseases”. Alimenti considerati poco salutari in Europa

Categorie di alimenti Apporto energetico (bambini dai 7 ai 14 anni)

N. paesi (n. 17)

Patatine 5/7% 17 Cioccolato e dolciumi 5/6% 17 Merendine 10/12% 15 Fast food 8/9% 13 Bibite gassate e zuccherate 4% 13 Snack salati 5/6% 13

Cereali zuccherati 5/7% 11

29

Naturalmente una soluzione miracolosa per risolvere tutti i problemi non è

stata trovata, anche se, con i suoi pro ed i suoi contro, pare che la dieta

mediterranea38 sia il miglior stile di vita nell’approccio al cibo.

E di vero e proprio stile di vita si parla, dato che questa dieta non nasce da

studi a tavolino su come meglio comportarsi a tavola, ma nasce dalla vita

quotidiana di coloro che, vivendo appunto in paesi Mediterranei, nello

specifico l’Italia, vedono la propria alimentazione condizionata dai prodotti

locali che, prima dell’avvento dell’era delle contaminazioni artificiali sugli

alimenti, erano completamente naturali, coltivati senza additivi o

conservanti chimici e soprattutto venivano consumati freschi.

Alla base di questa dieta troviamo l’olio di oliva estratto dal frutto di una

pianta delle Oleaceae che, per il suo contenuto di acidi grassi monoinsaturi,

per le sue dosi di vitamina E dalle conosciute capacità antiossidanti e per la

presenza di olocantale39, è senza dubbio uno dei prodotti che rendono la

dieta mediterranea cosi valida.

La presenza, inoltre, di alimenti come i cereali e i suoi derivati, le verdure,

la frutta e in particolar modo il pesce per il suo contenuto in acidi grassi

38 “A scoprire questa dieta era stato Ancel Jeys, medico dell’University of Minnesota, che,

sbarcato a Salerno nel 1945 con le truppe americane, si accorse che molte malattie (arteriosclerosi,

ipertensione, diabete, malattie digestive, obesità) erano poco presenti nel Belpaese, e

particolarmente basse tra la popolazione del Cilento”. Dal n° 2/2004, pag.41 della rivista “Focus”. 39 Composto molto simile all’ibuprofene, e quindi dalle proprietà antidolorifiche.

30

omega3, fa sì che quest’alimentazione prevenga l’insorgere di malattie

cardiovascolari. Quindi la dieta mediterranea non è abbondanza di pane e

pasta, ma anzi è caratterizzata da una grande varietà di prodotti, con la

possibilità di abbinare un’infinita varietà di gusti e sapori; non vanno

dimenticati, infine, il movimento e l’attività fisica dato che “...il contadino e

l'operaio dei decenni passati lavoravano manualmente tutto il giorno e si

spostavano per lo più a piedi o con mezzi di locomozione non motorizzati.

Pertanto un sufficiente e costante apporto energetico, soprattutto glicidico,

diventava indispensabile”40.

Negli ultimi anni, però, si è assistito ad una de-mediterraneizzazione della

dieta soprattutto in Italia, con un notevole spostamento verso stili di vita più

sedentari e soprattutto verso un’alimentazione non più povera e regolare,

basata sul piatto unico e sul consumo di frutta e verdura fresca e naturale41.

Il paese con forse il miglior stile di vita alimentare del mondo ha pian piano

“modernizzato in negativo” le proprie abitudini, abbandonando quel tipo di

dieta in favore di un’alimentazione a base di cibi che prima erano rari

(liquori, dolci, carni) o addirittura sconosciuti (yogurt, cibi pronti, bibite).

40 Dal sito internet: www.sportmedicina.com/dieta_mediterranea.htm. 41 “Nell'ultimo mezzo secolo le verdure avrebbero il 6 per cento in meno di proteine e il 38 per

cento in meno di riboflavine, rispetto a quelle coltivate negli anni Cinquanta…a determinare il

cambiamento sarebbe in particolare l'uso intensivo del terreno, cui si aggiunge l'uso di pesticidi”.

Dal sito internet: www.dietamediterranea.it.

31

“Risulta da una indagine condotta dalla Cia-Confederazione italiana

agricoltori- che nel corso del 2004 negli acquisti agroalimentari c'è stata

una flessione del 2,5 per cento. E' l'ortofrutta il settore che più di altri

risente della crisi dei consumi…La dieta mediterranea non è più di casa in

Italia. Nei piatti dei nostri connazionali ci sono sempre meno pane (i

consumi durante lo scorso anno sono scesi del 5 per cento), frutta e verdura

(meno 10-12 per cento), mentre per pasta, vino e pesce si riscontra una certa

stabilità. Sono invece in crescita carne (in particolare quelle bovine), latte

(più 1,7 per cento) e yogurt (più 3 per cento). Per le uova un calo dello 0,9

per cento, mentre un'accentuata diminuzione (oltre il 5 per cento) si è

registrata nel consumo di riso”42.

Risulta quindi chiaro che avendo “sostituito le brioche al pane e

marmellata, il panino della pausa pranzo alla pasta col pomodoro e l’happy

hour alla ribollita toscana, al minestrone o all’acquacotta laziale”43, non è

stato difficile per gli italiani divenire il secondo popolo obeso d’Europa.

Questo eccessivo sovrappeso della popolazione del Belpaese ha fatto

sorgere dubbi sulle effettive proprietà salutistiche della dieta mediterranea,

e ci si chiede se non sia proprio quest’ultima la causa dell’obesità nel nostro

paese.

42 Dal sito internet: www.helpconsumatori.it/index.php 43 Articolo a pag.41 di “Focus”, n° 2/2004.

32

Se da un lato è vero che frutta e verdura restano giustamente alimenti di

base di qualsiasi dieta, altrettanto non può dirsi per i carboidrati, che danno

sì un importante apporto energetico per affrontare le fatiche della giornata,

ma allo stesso tempo non viene posto su di essi la giusta attenzione per

quanto riguarda il senso di sazietà.

Bisognerebbe quindi “dare più spazio alle proteine (come quelle fornite

dalla carne magra, dal pesce, dal latte e yogurt scremati, dai legumi) che

nell’alimentazione quotidiana potrebbero aiutare a ridurre, con minor fatica,

le calorie introdotte. E questo grazie al potere saziante delle proteine, che

potrebbe, quindi, risultare utile non solo a chi deve perdere peso, ma anche

a chi, per colpa della sedentarietà, ha un ridotto dispendio energetico,

ovvero consuma poco e supera con facilità le calorie necessarie”44.

Quindi bisognerebbe sostituire ai carboidrati le proteine che aiuterebbero,

durante il giorno, a sentir meno la fame (vedi Fig.1 a pagina seguente).

Naturalmente, oltre ai lati positivi di quella che è definita dieta

all’americana, occorrerebbe considerare anche tutto ciò che in realtà è

negativo; “…non bisogna dimenticare, infatti, che un eccesso di proteine

comporta un lavoro extra per il fegato e il rene, che devono smaltire le

scorie azotate derivanti dal metabolismo delle proteine, e che, secondo

44 C. Favaro, “Più proteine nel piatto”, da “Corriere della Sera- Salute” del 04/09/2005.

33

alcuni studi, le diete ad alto contenuto proteico possono portare a perdita di

calcio dalle ossa e ad un maggiore rischio di formazione di calcoli renali”45.

Rimane quindi difficile trovare un’unica soluzione.

Fig.1- Esempio di due diversi schemi alimentari: il primo a base di proteine, il secondo con una maggior incidenza di carboidrati.

Fonte: Institute of Medicine of The National Academies.

Dieta mediterranea, dieta americana, giuste o errate che siano, restano due

diversi stili di vita alimentare, influenzati, non solo dalle rispettive proprietà

benefiche e dai presunti problemi che da essi derivano, ma anche e

soprattutto dalle preferenze dei consumatori verso le qualità proprie di

determinati prodotti; è ciò, quindi, che farebbe la vera differenza.

Infatti, ad esempio, i benefici sazianti delle proteine sarebbero

accompagnati da un immediato aumento di peso allorquando le proteine

45 C. Favaro, “Più proteine nel piatto”, da “Corriere della Sara- Salute” del 04/09/2005.

Dieta americana

proteine; 25%

carboidrati; 50%

grassi; 25%

Dieta mediterranea

proteine; 15%

carboidrati ; 60%

grassi; 25%

34

assunte derivassero da alimenti qualitativamente scadenti, come ad esempio

gli hamburger dei fast food; restano perciò i consumatori, con le loro scelte

a vanificare o glorificare gli effetti di un determinato stile alimentare46.

Questa tesi sembra esser confermata anche da un recente studio americano,

secondo il quale non sono le diete restrittive a far dimagrire, perché a lungo

andare i chili si riprendono tutti; “…mangiare con raziocinio, con porzioni

ridotte, ma senza gravose rinunce è un sistema molto più efficace sul piano

della forma e del benessere generale. Colesterolo cattivo e pressione ne

traggono giovamento in modo duraturo. Si afferma il principio del ‘mangia

quello che vuoi’ non dimenticando però di dare adeguato spazio quotidiano

all’esercizio fisico…l’attenzione morbosa al cibo è controproducente. Tanto

maggiori sono gli obblighi tanto meno vengono rispettati. Le costrizioni

non ripagano. Il segreto è assimilare informazioni corrette che aiutano a

scegliere e non riducono in schiavitù”47.

46 Ad esempio, il decadimento della dieta mediterranea, dovuto al mancato riscontro di effetti

benefici nella popolazione italiana (visto il fantomatico aumento di obesità e sovrappeso che

avrebbe creato), molto probabilmente è dovuto all’internazionalizzazione dei consumi, che non ha

fatto altro che sostituire l’hamburger alla bistecca, le patatine fritte (tanto adorate dai bambini, i

più colpiti dai problemi di peso) alla verdura, i dolci alla frutta o la coca cola all’acqua. 47 Dal sito: www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2005/07_Luglio/11/diete.shtml.

44

Questo non fa altro che confermare che, con l’espansione del reddito, in Italia sono

aumentati i consumi generali di carne, trascinati soprattutto dalla maggiore preferenza

per la carne suina, e volendo scendere nel particolare, sono aumentati anche i

consumi degli insaccati derivati dal maiale (quindi i prosciutti, i salami60, ecc), ed

anche tutti quei salumi “non tradizionali” tipici di altri paesi (l’esempio più

importante è quello del wurstel).

4. L’acqua minerale.

Tecnicamente possiamo definire l’acqua minerale come “...acqua batteriologicamente

pura, la quale abbia per origine una falda o un giacimento sotterranei e provenga da

una sorgente con una o più emergenze naturali o perforate…quindi è lo Stato che

concede la concessione allo sfruttamento…le imprese del settore si limitano [quindi]

ad aggiungere servizi, in termini di confezionamento e distribuzione del prodotto”61.

Quello delle acque minerali è un settore molto importante e prolifico in Italia: basti

pensare che sul territorio nazionale le sorgenti sono circa 700, le imprese 177 e le

marche 265.

Questo elevata differenziazione dell’offerta fa si che gli italiani siano poco fedeli alla

marca, e propensi a cambiare etichetta qualora ce ne sia un’altra a minor prezzo.

60 “…La produzione di salumi nel 2004 è stata pari a 1,15 milioni di tonnellate (+0,4% sul 2003)..

ottime le tendenze dell’export, in un anno cresciute del 10,2%... in particolare l’export dei

prosciutti (+9,6%) e appena meno quello delle salsicce e salami (+8,6%)”. L. Pelliccia, “Il food &

drink si mostra al mondo”, Largo Consumo, n° 7-8/2005. 61 D. Moro, A. Valla (1995), Cap. 17 di “Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare”,

Franco Angeli.

45

Per quanto riguarda la produzione, nonostante la qualità dell’acqua di rubinetto,

l’Italia si colloca al primo posto nel mondo, avendo raggiunto nel 2004 la

ragguardevole cifra di oltre 11 miliardi di litri di acqua minerale, che, anche se

leggermente inferiore alla produzione del 2003, conferma il trend costantemente

positivo degli ultimi 20 anni.

Il popolo italiano è quindi quello che più al mondo consuma acqua minerale in

bottiglia, circa 189 litri pro-capite annui, quasi il triplo degli americani (69).

“La preferenza dei consumi (il 64% del totale) va alle acque lisce o piatte con quasi 7

miliardi di litri…crescono anche i consumi delle effervescenti naturali (il 10,5% del

totale) e delle leggermente frizzanti (10,5%); in calo invece le acque frizzanti, con un

quota del 14% sul totale”62 (vedi Tab.6).

Tab.6- Consumi di acqua minerale per tipologia e per formato: 2004 (in %).

Tipologia:

-Piatta 64,4

-Effervescente naturale 10,5

-Mediamente gassata 10,6

-Gassata 14,5

Formato:

-0,50 litri 2,7

-1 litro 1,0

-1,5 litri 72,5

-2 litri 23,5

-altri formati 0,3 Fonte: Nielsen - canale food.

62 P. Pagani, “Bollicine stanche”, Largo Consumo, n° 3/2005.

46

Anche per le acque si riscontra una differenza nei consumi tra il nord ed il sud, con il

primo che sembra esser più assetato del centro-sud, anche se quest’ultimo registra un

incremento notevole in termini percentuali.

In generale, la crescita così pronunciata nei consumi di acqua in bottiglia, è dovuta

soprattutto alla banalizzazione del prodotto che, agli occhi del cliente, non è più

presentato per le valenze terapeutiche; ha assunto ormai la valenza di bevanda, da

contrapporre alle altre, e, verso le quali, presenta una posizione privilegiata, dovuta

all’evoluzione salutistica della società ed alla preferenza per la “tradizione a tavola”63.

63 “Se ci siamo americanizzati e un po’ involgariti, quando si tratta di vicende di corpo, di

mangiare e bere, l’italiano tiene alla tradizione, alla tavola, alla famiglia, alla ritualità sociale del

masticare (e del deglutire), alle buone maniere. Non quella manducazione perpetua ed esibita en

plein air, panini e snack triturati da bocche senz’anima. Una pasta al sugo e un bicchiere d’acqua

per noi sono una questione privata, una preghiera persino”. Articolo a pag. 27 de “La Repubblica”

del 24/05/05.

47

Capitolo terzo. L’offerta alimentare: sviluppi e reazioni delle

imprese.

3.1. …Nuovi consumi, nuovi mercati, nuove imprese.

Osservato dal punto di vista delle imprese, il sistema agro-alimentare è, nel

complesso, un settore che presenta un trend positivo, visto che in alcuni

comparti la congiuntura economica negativa sembra non aver influito più di

tanto (vedi Tab.7).

Tab.7- Analisi per settori dell’industria del comparto alimentare. Settore Fatturato

2003 (in milioni di €)

Var. 2002/2003 (in %)

Numero di imprese

Export alimentare (milioni di €)

Carni 19.500 +5% 3.670 760 Ortofrutta 13.700 -10% 1.930 1.850 Pesce 840 +6,5% 9.400 170 Grassi (vegetali ed animali) 3.100 +6% 4.416 1.100 Lattiero-caseario 13.500 +2,5% 3.970 1.200 Acqua minerale 3.000 +3,5% 177 350 Altre bevande 11.500 +2% 2.050 3.200 Pasta 4.000 -2% 152 1.550 Pane e simili 13.100 +4,5% 10.800 1.800 Zucchero, sale, caffè, tè 3.200 -6% 100 550 Fonte: Elaborazioni Federalimentare e Assitol su dati Istat, stime Unipi su dati Istat e Nielsen Retail, Ismea, Beverfood, Mineracqua, Associazioni di categoria aderenti a Federalimentare e Istat.

48

Così, i fatturati dei vari settori, si presentano per lo più in crescita, con un

forte aumento dei ricavi per quanto riguarda i grassi, trainati

dall’incremento delle vendite dell’olio di oliva extravergine, che ha visto

aumentare anche le proprie esportazioni di oltre il 15%.

Il comparto ortofrutticolo, invece, è il settore che appare più in crisi; non

solo diminuiscono i consumi pro-capite (come già visto nel capitolo

precedente), ma anche il fatturato, e quindi la produzione sono in flessione.

Il rapporto dell’Ismea sui consumi degli italiani, mostra come, negli ultimi

cinque anni, il tonfo dell’ortofrutticolo sia stato quantificato in un -17%.

Tutta colpa del caro prezzi che ha colpito questa branca dell’agro

alimentare più di ogni altra; e di certo le imprese ci mettono del proprio

poiché non si sono minimamente preoccupate di abbattere i prezzi.

Inoltre, per quanto riguarda i dati relativi all’esportazione, risalta

notevolmente il valore del settore altre bevande. Naturalmente, questo

elemento, data la tradizione vitivinicola italiana, è influenzato dalla voce

vini, che da sola rappresenta quasi il 90% dell’export.

Anche se il 2003, data una vendemmia particolarmente avara, non è apparso

un ottimo anno per i vini, il 2004 ha registrato una notevole ripresa del

settore, sia in produzione, che in esportazione.

E’ inoltre interessante notare come, in alcuni settori, nello specifico quello

vinicolo ne è un esempio peculiare, sussiste un’enorme frammentazione

49

produttiva; se infatti a livello industriale, la platea di imprese raggiunge le

1.900 unità, a livello delle aziende agrarie specializzate, che producono in

proprio, il numero sale a 770.000 unità.

Quindi, come verificatosi per l’analisi quantitativa della domanda, anche a

livello industriale si riscontrano molteplici difficoltà nel ricercare e

sintetizzare dati ed eventi che siano univoci e globali.

E’ comunque possibile osservare come le imprese, soprattutto negli ultimi

anni, per l’evoluzione delle preferenze dei consumatori, abbiano dovuto

attuare una frenetica rincorsa al prodotto vincente, alla più coinvolgente

campagna pubblicitaria o al miglior prezzo per veder aumentare i profitti.

Questa ricerca, che ha come obiettivo il raggiungimento della migliore

soddisfazione possibile per tutti i tipi di clienti, comporta notevoli

implicazioni per quanto riguarda le caratteristiche proprie dei prodotti

alimentari; per questo motivo, un minor contenuto di grassi saturi,

colesterolo, sodio, conservanti64, coloranti e zucchero, cercando allo stesso

64 Nel caso dei conservanti, i consumatori prestano maggiore attenzione soprattutto quando questi

recano problemi nei bambini, essendo oltretutto non necessari nella preparazione: un esempio

viene dal “E282, propionato di calcio. Un conservante usato per il pane e nell’industria dolciaria,

prevalentemente in Australia e in Nuova Zelanda…[la cui assunzione] potrebbe essere correlata ad

alterazioni comportamentali in alcuni bambini…Ma è proprio così necessario il suo impiego?

Contrariamente a ciò che l’industria vuol far credere, questo additivo non serve a tenere più a

lungo il pane fresco. Viene aggiunto per inibire la crescita delle muffe. I fornai che lavorano con

cura e tengono puliti e in ordine i loro macchinari non hanno bisogno di aggiungere conservanti

per inibire la crescita delle muffe. Ma chi lavora in grandi aziende preferisce risparmiare sui tempi

50

tempo di salvaguardare il gusto e le altre proprietà organolettiche, diventano

caratteristiche molto apprezzate da un numero sempre maggiore di

consumatori.

Nel sistema agro-alimentare assumono una rilevante importanza due aspetti

tra loro concatenati: il primo riguarda la crescente interdipendenza dei

mercati e l’internazionalizzazione delle imprese. Infatti, grazie alla

globalizzazione dei gusti e delle preferenze, all’aumento della domanda di

varietà ed alle scelte strategiche delle imprese, si riscontra una crescente

apertura dei sistemi nazionali ed internazionali. Per questo motivo, le

maggiori opportunità di esportazione e la crescente competitività delle

importazioni, definiscono scenari in cui le politiche e le strategie di acquisto

e di vendita divengono sempre più centrali ed elaborate.

Un secondo aspetto scaturisce, invece, dalla maggiore articolazione interna

del sistema e dall’evoluzione della domanda, e riguarda la necessità di

cooperazione e coordinazione verticale tra imprese collocate in fasi

differenti del sistema65.

e dare una bella spruzzata di igienizzanti sulle superfici dei macchinari e fare uso di conservanti

chimici”. Dal sito internet: www.trashfood.com/archivio/003/pane003.php. 65 “Profondi mutamenti intervengono anche nelle relazioni verticali tra imprese alimentari ed

imprese della distribuzione. Nella misura in cui aumenta la concentrazione del settore distributivo,

aumenta la dimensione ed il potere contrattuale delle imprese della distribuzione”. R. Pieri, L.

Venturini (1995), “Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare”, Franco Angeli.

51

Il cambiamento delle relazioni verticali genera profonde conseguenze nelle

strategie delle imprese; le incentiva ad intensificare le politiche di non

prezzo, e a lanciare quindi nuovi prodotti, rafforzando al contempo le

politiche di marca.

Aumenta così l’ostilità ambientale per le piccole imprese, dato che i

maggiori costi fissi per l’implementazione delle nuove strategie e le

capacità, soprattutto di marketing, richieste per operare in ambienti così

competitivi, favoriscono le maggiori imprese e comportano una tendenza

all’aumento della concentrazione.

Una importante risposta alle esigenze alimentari dei consumatori viene

certamente dall’innovazione di processo e di prodotto riguardante l’intero

sistema agro-alimentare.

L’evoluzione della domanda mostra come il consumatore sia disposto a

pagare di più per prodotti innovativi, soprattutto se il grado di innovazione

sia di tipo incrementale66 (vedi Fig.3 a pagina seguente).

Ultrafiltrazione, estrusione, processi di lavorazione in continuo, atmosfera

controllata, packaging, fermentazione controllata, sono solo alcuni esempi

del notevole flusso di innovazione di prodotto e processo che hanno

interessato l’industria alimentare.

66 L’innovazione è incrementale quando il grado innovativo contenuto in un nuovo prodotto non

comporta rotture radicali con le precedenti abitudini.

52

Fig.3- Gli obiettivi per l’innovazione verso il consumatore.

Fonte: Nostre elaborazioni su Largo Consumo (1/2005) e R. Pieri, L. Venturini (1995).

Per questo motivo, nonostante il settore alimentare tenda ad assumere

sempre più le caratteristiche di un settore maturo, le richieste dei

consumatori, alla ricerca di personalizzazione e diversificazione dei propri

consumi, costringono le imprese a continue analisi strategiche e di

marketing, alla ricerca di prodotti o segmenti di mercato in espansione e a

nicchie67 dove la domanda cresce a tassi decisamente superiori alla media.

67 Un esempio di questo tipo è rappresentata dal crescente gradimento dei consumatori per i cibi

etnici: “Lo sviluppo dei cibi etnici si inserisce in uno scenario che vede l’aumento del consumo di

cibi atipici: prodotti elaborati, aromatizzati, cibi originali ed esotici…L’enorme aumento della

L’innovazione deve essere

incrementale

L’innovazione

deve trascinare

valore aggiunto

L’innovazione deve estendere

occasioni

L’innovazione deve generare

contenuto

L’innovazione deve ridurre costi e prezzi

L’innovazione deve essere

reale

CONSUMATORE

53

3.2. Il marketing mix nell’industria alimentare.

3.2.1. Le politiche di prodotto68.

Dal punto di vista produttivo, possiamo distinguere tutte le imprese

moderne in due grandi insiemi: l’insieme delle grandi imprese

pluriprodotto, e quello delle imprese specializzate monoprodotto.

Nella società dell’abbondanza, la contemporanea presenza di industrie

diversificate e specializzate è possibile grazie alle caratteristiche del nuovo

consumatore, che è alla ricerca sia di novità e varietà nei consumi e nella

disponibilità dei prodotti, sia di una personalizzazione dei consumi stessi

attraverso specifiche proprietà dei prodotti.

Ampiezza e profondità delle linee di prodotto sono oggi accentuate dai

maggiori e sempre più disparati desideri dei clienti: c’è il consumatore che

predilige l’uovo con una pezzatura piccola, chi lo vuole grande e chi

preferisce la via di mezzo; c’è poi il cliente che vuole spendere poco e si

circolazione di informazione, il turismo esotico, le mode che sbocciano soprattutto nel fuoricasa

rappresentano in particolare il substrato su cui cresce l’etnico”. C. Troiani, “Specialità ad alto

gradimento”, Largo Consumo, n° 6/2005. 68 “Nel mettere a punto un programma di marketing…il primo problema da affrontare, per

un’azienda, è quello di definire e realizzare il prodotto o servizio idoneo a soddisfare le esigenze di

quel mercato. Le maggiori imprese danno vita ad una funzione di pianificazione e sviluppo dei

prodotti…[esiste però una] situazione di vulnerabilità dei prodotti, per fattori esterni (progresso

tecnologico, mutevolezza dei bisogni dei consumatori, ecc) che spingono le imprese alla continua

introduzione di nuovi prodotti accentuando le possibilità di obsolescenza dei prodotti già esistenti,

con un continuo accorciamento della loro vita”. W.J.Stanton, R.Varaldo (1989), “Marketing”, Il

Mulino, Bologna.

54

accontenta dell’uovo di galline allevate in batterie, e quello più esigente che

ricerca l’uovo biologico o che si rivolge ai piccoli contadini per avere

“l’uovo nostrano”; infine c’è addirittura chi vuole soltanto l’albume, chi

necessita del solo tuorlo o chi, “per combattere il colesterolo e gli aumenti

di prezzo delle uova vere dovuti all’influenza aviaria...[acquista] simil-uova

a base di soia”69. E questo solo per fare un esempio delle lunghe catene che

caratterizzano i prodotti nell’era moderna.

Le politiche di marketing all’interno delle imprese, possono indirizzare un

nuovo prodotto verso diverse strategie di posizionamento; per questo

motivo si hanno prodotti che vengono lanciati per il confronto o lo scontro

diretto con articoli della concorrenza (ad esempio il lancio del marchio

Powerade da parte della Coca-Cola ha avuto sostanzialmente il compito di

contrastare la posizione dominante della Gatorade nel segmento degli

energy drink); invece alcuni prodotti vengono posizionati in funzione del

prezzo e della qualità (l’esempio classico è quello dei vini: infatti possono

derivare dalla medesima azienda vinicola, nonché dagli stessi vigneti, vini

che vengono venduti a prezzi modici, come ad esempio il ‘normale’

Montepulciano d’Abruzzo dell’azienda Masciarelli, oppure vini venduti a

69 ”Già disponibile in Gran Bretagna ‘Allegra’, così si chiama il nuovo prodotto a base di proteine

di soia e siero di latte, albume e olio vegetale…Secondo la società del gruppo Unilever che lo

produce, il surrogato contiene il 70% di grassi saturi in meno rispetto alle uova, e il 10% in più di

proteine”. P. E. Cicerone, da pag. 150 de “L’espresso” del 07/07/05.

55

prezzi cinque, sei o più volte superiori, come il Villa Gemma, pur essendo

anch’esso un Montepulciano della stessa terra e famiglia).

Sempre a riguardo delle strategie di marketing intraprese dalle imprese, è

possibile distinguere tra strategie di differenziazione del prodotto e di

segmentazione del mercato.

Per quanto riguarda la prima tipologia, l’azienda, per sottrarsi alla

competizione di prezzo, cerca di rendere il proprio prodotto unico; per

questo motivo, si assiste spesso alla nascita di prodotti tra loro del tutto

identici, che però sono modificati solo nel design, e quindi nella marca o nel

confezionamento. Ad esempio, per cercare di conquistare più clienti nei

periodi festivi, molte imprese dolciarie propongono i loro prodotti

modificati nel packaging ed abbinati alla festività in corso.

Succede invece in altre occasioni che la diversificazione conduca a prodotti

veramente nuovi e diversi: è il caso della pasta snack e dell’ovetto Kinder.

I Kinder Sorpresa sono ovetti di cioccolato, lanciati in Italia nel 1972, al cui

interno la Ferrero ha avuto la brillante idea di inserire un giochino per

bambini. Nella sottocategoria delle barrette al cioccolato, questi ovetti

hanno proposto un concetto innovativo ed allo stesso tempo rispondente

alle esigenze dei genitori (acquirenti) e dei loro figli (consumatori).

La pasta snack è stata lanciata dalla Kraft nel ’98 in America come alimento

pratico e veloce (è infatti sufficiente aggiungere acqua e metter il contenuto

56

nel microonde per avere la pasta pronta in tre minuti), che sta subendo un

riposizionamento: infatti sia la Kraft con il suo “Easy Mac”, che la Unilever

(entrata da appena un anno in questo segmento) con “Ragù Express”,

stanno rilanciando questi prodotti come merende per bambini70.

La strategia di segmentazione permette di penetrare in profondità in un

mercato più limitato rispetto allo scenario cui si rivolge la differenziazione.

Succede spesso che, ad una primaria segmentazione del mercato (ad

esempio nel settore degli yogurt, può esserci una suddivisione per classi di

età: avremo quindi lo yogurt per il bambino, quello più leggero per la donna

attenta alla linea e quello più energico per l’uomo sportivo o che ha bisogno

di vigore per affrontare la giornata lavorativa), segua una modifica delle

strategie dell’impresa dovuta all’entrata in quei segmenti di aziende

concorrenti che combinino la segmentazione con la diversificazione (così,

riprendendo l’esempio degli yogurt, viene lanciato lo yogurt da bere, quello

nei più svariati formati, quello abbinato con cereali, confetture di frutta o

creme da mescolare prima della consumazione, o quelli che fanno bene

70 “E' una scommessa che sarebbe un peccato perdere visto che, secondo gli studi condotti dalla

Kraft, negli Stati Uniti i ragazzi tra i 12 e 19 anni sono circa 31,6 milioni e cresceranno dell'8 per

cento nei prossimi cinque anni. Un mercato che la Unilever stima del valore di 2,2 miliardi di

dollari (2.5 miliardi di euro)”. A. Retico, “Arriva la pasta snack per le merende made in Usa” , dal

sito internet: www.repubblica.it.

57

all’organismo71, il tutto nei più svariati gusti che si conoscano).

Merita un cenno, tra le politiche di prodotto, l’innovazione ed il successo

che hanno avuto i piatti pronti, “visto che i consumatori, che dispongono di

un elevato potere d’acquisto ma di poco tempo per cucinare, stanno

diventando sempre più esigenti; la praticità non è più l’unico criterio di

scelta. Sia che i pasti vengano consumati a casa o al ristorante, la qualità ed

il gusto sono la chiave del successo”72. Ed è proprio questo connubio

praticità d’uso-velocità-gusto la chiave di volta del successo dei prodotti

pronti (siano essi “pronti da consumare”, “pronti da cuocere”, “pronti da

preparare” o “pronti da scaldare”). Se poi si aggiunge l’enorme varietà

dell’offerta che i consumatori si trovano di fronte, a partire dalla possibilità

di avere, nel comparto dei surgelati, i primi, i secondi, contorni, e persino

spuntini, in mille e più gusti che coprono la totalità delle preferenze dei

clienti, è presto fatto il dilagare nei consumi di questi piatti.

Dopo l’iniziale successo dei piatti pronti surgelati nel settore dei primi, “a

detta dei produttori, l’offerta è destinata ad aumentare in futuro, soprattutto

71 “Un passo in avanti in questa direzione si è fatto con i probiotici, yogurt che hanno una missione

specifica (pro bios significa per la vita), i cui microrganismi arrivano vivi alla fine del processo

digestivo, mostrandosi quindi estremamente utili per gli intestini più affaticati… Danone è, a oggi,

il principale attore all’interno del segmento probiotico…grazie ai suoi Actimel e Activia ha, infatti,

raggiunto il 34% delle famiglie italiane (+8% rispetto all’anno scorso)”. V. Viganò, “Lo yogurt si

riposiziona”, Largo Consumo, n° 1/2005. 72 Dal sito internet: www.pubit.it/sunti/euc0405v.html.

58

per quanto riguarda i secondi piatti: tutti stanno infatti orientando la

produzione verso questo segmento di mercato, che secondo gli esperti

presenta i maggiori margini di sviluppo”73.

Il principale produttore nel comparto dei piatti pronti surgelati è la Findus,

che con i marchi “4 Salti in Padella” e “That’s Amore”, detiene il 64% della

quota di mercato, seguito a grande distanza dalla Buitoni, con il 16,7%, e

dalla Barilla, con il 4,3% (vedi Tab.8).

Tab.8- I principali produttori di piatti pronti surgelati.

Aziende e quote di mercato

Fatturato Marchio/prodotti Referenze

FINDUS 64%

696 milioni euro (surgelati); incidenza dei piatti pronti: 31%

4 Salti in Padella e That’s Amore

41 (28 di 4 Salti in Padella e 13 di That’s Amore

BUITONI 16,7%

1.657 milioni euro; incidenza surgelati:15%

Cucina creativa; Mio Gusto in cucina monoporzione e Sveltesse (leggeri ed equilibrati)

Mio Gusto: Primi piatti 6 Contorni 8 Secondi 3; Sveltesse 3

BARILLA 4,3%

2.507 milioni euro; incidenza dei piatti pronto: 12,8%

Barilla 6 primi sul mercato di una gamma di 9 in fase di lancio

ARENA 3,4%

106 milioni euro (divisione surgelati); incidenza dei piatti pronti: 6%

Tu in cucina 18: 11 primi e 7 secondi e 4 lanciate nel 2004 in monoporzione

OROGEL 4,7%

228 milioni euro; incidenza dei piatti pronti: 6%

La cucina italiana di Orogel

3 referenze Verdurì

Fonte: Iri e dati aziendali.

73 M. V. Vendemmia, a pag. 26-29 de “Il nostro budget”, n° 3/2005.

59

3.2.2. Le politiche di prezzo74.

La decisione del prezzo di un determinato prodotto è divenuta assai

importante soprattutto negli ultimi anni, in cui a seguito dell’introduzione

dell’euro e della stagnazione economica, i consumatori sono più attenti non

solo al cibo, ma anche al portafoglio.

Succede quindi sempre più spesso che per contrastare l’aumento generale

dei prezzi, si risparmia sugli acquisti dei generi alimentari, soprattutto del

comparto ortofrutticolo75.

E’ evidente che esiste un problema di controlli e di speculazione in questo

settore, dato che è difficile giustificare aumenti di prezzo, anche di dieci

volte superiori a quelli cui gli agricoltori rivendono le loro merci.

Per questo motivo, “per limitare la lievitazione dei prezzi lungo la filiera

distributiva, Coldiretti ha creato il primo farmer’s market permanente

gestito da imprenditori agricoli…Il mercato degli agricoltori, situato nel

74 “Rispetto alle altre variabili del marketing mix, il prezzo si caratterizza per il fatto che nella sua

determinazione i fattori esogeni (struttura del mercato e condizioni della concorrenza) pesano in

misura molto più rilevante…la capacità della singola impresa non è illimitata, ma risulta di fatto

condizionata dalla situazione competitiva del mercato e dal comportamento delle altre imprese”.

W.J.Stanton, R.Varaldo (1989), “Marketing”, Il Mulino, Bologna. 75 “Se i soldi spesi per gli alimenti nel quinquennio 2000-2004 sono rimasti sostanzialmente gli

stessi…i consumi hanno subito invece un crollo: -10%. All’interno della slavina si individuano

punte depressive che riguardano prodotti fino all’altro ieri abbordabili come frutta e verdura… il

tonfo degli ortofrutticoli è stato quantificato in un -17% (6,5 milioni di tonnellate smaltite nel

2000, 5,4 nel 2004)…non se la passano meglio vini e spumanti [con una] contrazione dell’11%

contro aumenti di prezzo del 17”. Articolo a pag.16 de “Il Messaggero” del 27/07/05.

60

centro di Taranto, vuole offrire ai consumatori prodotti locali genuini a

prezzi competitivi, grazie all’abbattimento delle intermediazioni che

aumentano, secondo le rilevazioni di Coldiretti, fino a 5 volte i prezzi”76.

Esistono inoltre determinate politiche, adottate soprattutto dai grandi

ipermercati, che permettono ai consumatori di risparmiare, ed alle imprese

al dettaglio di ottenere maggiori ricavi, grazie ai maggiori volumi di

vendita, e soprattutto alla fidelizzazione del cliente.

Queste politiche riguardano ad esempio gli sconti, siano essi di quantità (ad

esempio acquistare, invece che una sola bottiglia d’acqua, una confezione

da sei con una in omaggio), stagionali (acquistare ad esempio panettoni o

colombe pasquali, a feste finite, con riduzioni di prezzo assai marcate), o

promozionali (lanciare un nuovo prodotto con un forte sconto iniziale, per

acquisire consensi tra i consumatori, e quindi quote di mercato).

Per combattere l’aumento dei prezzi, inoltre, sono state intraprese iniziative

a livello nazionale, come ad esempio, il patto per la pizza: “fino a fine anno

si potrà consumare una pizza e una birra (o un’altra bevanda) in 177

pizzerie ad un prezzo massimo di 7 euro”77.

Poco, pensando a quanto sono lievitati i prezzi delle pizze con

l’introduzione dell’euro, ma comunque qualcosa.

76 “I farmer’s market contro il caro prezzi”, Largo Consumo, n° 7-8/2005. 77 Articolo de “La Repubblica” del 06/07/05 (vedi anche sito internet: www.pattoperlapizza.it).

61

Accanto a queste azioni di contenimento o abbassamento dei prezzi, appare

sempre più cruciale il ruolo che le strategie non-price hanno nell’ambiente

competitivo che caratterizza l’industria alimentare.

Ciò vuol dire che spesso le imprese preferiscono darsi battaglia non a suon

di offerte e riduzione dei prezzi dei generi alimentari, ma scelgono di

spostare la loro attenzione su altri canali, che sono quello della pubblicità, e

quello della ricerca e sviluppo, al fine di innovare i prodotti e rendere più

visibile ed appetibile soprattutto il marchio, sinonimo spesso di qualità e

sicurezza, anche laddove ciò sia alquanto discutibile.

Ad esempio, l’aggressività della politica pubblicitaria condotta dai

principali gruppi alimentari presenti sul mercato italiano, è dimostrata dal

fatto che la quota di spesa in advertising di tali gruppi (Barilla, Nestlè, Kraft

General Food e Unilever), è superiore alla loro quota di mercato.

Ciò però è dovuto soprattutto “…all’aumento del potere contrattuale del

settore distributivo…che ha costretto le imprese ad elevare barriere

all’entrata nei confronti delle marche private, e ad enfatizzare le strategie di

pubblicità e differenziazione ed innovazione dei prodotti”78, al fine di

mantenere stabili i prezzi praticati, pur cercando di migliorare la loro

posizione sul mercato.

78R.Pieri, L.Venturini(1995),“Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare” Franco Angeli

62

3.2.3. Le politiche di comunicazione79.

“Non si può non comunicare”, diceva il sociologo Paul Watzlawick, e

questa affermazione non esenta di certo le imprese: “la comunicazione e

ancor di più la pubblicità sono…discipline essenziali per il buon andamento

di una società…e indispensabili per far conoscere offerte, servizi, e prodotti

che si rilasciano sul mercato”80.

Per questo motivo c’è stato un esponenziale aumento degli investimenti

pubblicitari, soprattutto nel settore alimentare, dove sono quasi raddoppiati

nell’ultimo quinquennio, passando dai 64,6 milioni di euro del 2000 ai

112,8 del 2004, con un incremento, solo nell’ultimo anno, del 21% rispetto

al 200381.

Ma non esiste solo la pubblicità; le imprese utilizzano anche molti altri

metodi (vedi Tab.9 a pagina seguente) per comunicare ai consumatori le

caratteristiche dei propri prodotti, analizzati nelle “…loro componenti

emozionali (forma, bellezza, attrazione immediata), nelle componenti

79 “…combinazione di vari mezzi (pubblicità, direct marketing, sales promotion, propaganda,

sponsorizzazioni, ecc) usati per raggiungere gli obiettivi del programma di marketing…

comunicazione vista come insieme di strumenti utilizzati per stimolare (in modo più o meno

diretto) le vendite”. W.J.Stanton, R.Varaldo (1989), “Marketing”, Il Mulino, Bologna. 80 M. Vavasso, “I compensi della comunicazione”, Largo Consumo, n° 7-8/2005. 81 “In particolare sono state le catene nazionali discount a mettere il turbo agli investimenti

pubblicitari. Nel 2004 le imprese del settore hanno speso oltre 40 milioni di euro (+ 80%), pari a

10 volte la spesa del 2000 e Lidl si è posizionata al primo posto assoluto”. Articolo a pag. 19 di

“Pianeta distribuzione”, supplemento al n° 6/2005 di Largo Consumo.

63

razionali (informazione, utilità, servizio) e infine, per una visione

veramente completa, anche nelle componenti etiche (cultura, moralità,

onestà, ricerca del senso del lavoro e della vita)”82.

Tab.9- Caratteristiche principali delle varie forme di comunicazione.

Forma di comunicazione

Contenuto del messaggio

Pubblico coinvolto Costo

Pubblicità Prodotti, servizi, idee, azienda stessa

Distribuzione, consumatori, collettività

Alto investimento iniziale

Promozioni vendita

Convenience goods, shopping goods

Forza vendita, distribuzione, consumatore

Basso

Merchandising

Beni ad acquisto ripetuto, soggetti ad acquisto d’impulso

Forza vendita, consumatore

Basso

Direct marketing

Vendite per corrispondenza, beni strumentali, beni industriali

Cliente potenziale e attuale

Bassi costi per l’iniziativa commerciale, alti costi di ricerca

Pubbliche relazioni

Corporate image dell’azienda

Opinione pubblica Alti costi di ricerca

Propaganda

Prodotti/servizi, attività dell’azienda

Collettività e particolari associazioni di categoria

Sponsorizzazione Corporate image, nuovi prodotti, prodotti in fase matura che necessitano di restyling

Audience primaria (partecipa all’evento spettacolo) + audience secondaria (viene a conoscenza attraverso i mass-media)

Costi contenuti per attività sportive stagionali; costi più elevati per singoli eventi e sponsorizzazioni televisive

Fonte: W. J. Stanton, R. Varaldo (1989)

82 M. Bonferroni, “Comunicazione, un fattore decisivo”, Largo Consumo, n° 4/2005.

64

La comunicazione in un’impresa, in tutte le sue forme, si propone, oltre che

di aumentare le vendite e differenziare il prodotto da quello dei concorrenti,

anche di informare i consumatori delle nuove opportunità di acquisto che

vengono a crearsi con il lancio di nuovi prodotti, e, per quanto possibile,

cerca di modificare i gusti e le preferenze dei consumatori, attraverso

“campagne di sensibilizzazione”83.

Tutto ciò viene realizzato dalle aziende mediante l’uso di specifici

strumenti che vanno dallo shop demostration (in cui l’impresa si avvale di

personale qualificato che effettui dimostrazioni direttamente nei punti

vendita84), al materiale P.O.P. (ovvero locandine ed indicatori specifici che

supportino la vendita direttamente nel luogo delle vendite), passando per i

più recenti numero verde (grazie al quale è possibile telefonare,

addebitando la chiamata all’azienda85, per ottenere informazioni o anche

83 Per “campagne di sensibilizzazione” si intendono tutte quelle modalità di comunicazione che

hanno l’obiettivo, oltre che di promuovere il prodotto, anche di convincere i consumatori che, sia il

marchio, che l’impresa, siano sinonimo di sicurezza, bontà e qualità, e meritino quindi fiducia. Un

esempio di questa strategia viene dalle campagne pubblicitarie della Mulino Bianco, che sì

promuovono i prodotti, ma attraverso musiche ed immagini benevole e quasi commoventi, cercano

di convincere i consumatori che l’azienda sia sinonimo di qualità nell’utilizzo delle materie prime,

che i metodi di produzione siano “come quelli di una volta”, e che, una volta provato, sarà difficile

abbandonare qualsiasi loro prodotto. 84 Ad esempio la Lavazza si propone di comunicare la bontà dei propri prodotti, attraverso

l’assaggio gratuito del caffè direttamente nei negozi al dettaglio. 85 Molte aziende ormai, per dare di loro stesse un’immagine positiva, di qualità e sicurezza,

adottano questa strategia comunicativa che mette in collegamento diretto consumatore ed impresa.

65

esporre reclami) o anche per la “scommessa” del soddisfatti o rimborsati

(infatti, alcune imprese, convinte dell’effettiva e riconosciuta bontà del loro

marchio, cercano, nel lancio di un nuovo prodotto, di convincere e

rassicurare i consumatori del mantenimento delle qualità e del prestigio di

cui l’azienda gode, garantendo un rimborso nell’eventualità in cui il cliente

non fosse soddisfatto di quel prodotto86).

Però accade spesso che nelle sue varie forme la comunicazione si riveli non

veritiera: sono molti i casi di pubblicità ingannevole, dove però, scoprire

che le caratteristiche di un determinato prodotto non sono quelle tanto

decantate, è possibile solo dopo il consumo.

Ciò non fa altro che generare un clima di sfiducia dei consumatori nei

confronti delle pubblicità tanto stucchevoli, ma anche tanto vuote87.

Comunicare è importante e necessario affinché le imprese (soprattutto

quelle alimentari dove è possibile riscontrare la qualità di un prodotto solo

dopo averlo consumato) riescano meglio a vendere e far conoscere i

86 Così la Barilla, entrando nel segmento dei primi surgelati, sfrutta la sua fama e la posizione di

leader del mercato della pasta, garantendo un rimborso nel caso in cui il proprio prodotto non

dovesse piacere al consumatore. 87 Un esempio di pubblicità ingannevole viene da due prodotti tra loro assai diversi: i succhi di

frutta Skipper Zuegg che nel ’96 promettevano “Energia che passa. Energia che resta…Skipper ha

qualcosa in più: la parte più ricca della frutta”. C’è poi, nel ’98, la pubblicità dell’olio Cuore,

secondo la quale, il proprio olio era preferibile a tutti gli altri (compreso l’extravergine d’oliva!!)

“... perché leggero, perché sano, perché dietetico”.

66

prodotti, l’azienda ed il marchio, ma è anche giusto che, se esistono regole,

per non alterare la corretta competizione è di fondamentale importanza che

esse vadano rispettate.

Infatti, ingannare i consumatori, non solo è nocivo per la collettività e per i

concorrenti, ma soprattutto lo è per le imprese stesse, che trasformano una

comunicazione incrementale, in una comunicazione distruttiva, che fa

perdere clienti e soprattutto fiducia.

3.2.4. Le politiche di distribuzione88.

Le imprese della distribuzione hanno raggiunto, negli ultimi anni,

dimensioni estremamente rilevanti89 (vedi anche Fig.4 a pagina seguente),

ma anche un grado di differenziazione molto elevato, dovuto ad una

competizione inter-tipo nel settore, ovvero ad una competizione tra tipi,

forme e formati di imprese diverse.

88 “Il valore di un prodotto è funzione oltre che delle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche,

anche dei tempi, dei luoghi e dei modi secondo cui viene reso disponibile ai consumatori…[per

questo motivo] fra i compiti più difficili che devono essere affrontati dai dirigenti di marketing di

un’azienda, vi è senza dubbio quello della scelta e gestione dei canali di distribuzione”.

W.J.Stanton, R.Varaldo (1989), “Marketing”, Il Mulino, Bologna. 89 “La possibilità di sfruttare rilevanti economie di scala e di scopo, in seguito all’introduzione di

una innovazione radicale come la tecnica del self-service ha avviato un generalizzato processo di

aumento delle dimensioni delle imprese e del livello della concentrazione nel settore.” R. Pieri, L.

Venturini (1995), “Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare”, Franco Angeli.

67

Fig.4- Ciclo della concentrazione.

(7) (1) Possibilità di ottenere sconti I minori prezzi al dettaglio ancora maggiori dei produttori creano aumento delle vendite (6) (2) Cresce il potere contrattuale dei Per l’aumento del fatturato distributori maggiori cresce la profittabilità (5) (3) Le catene minori e le imprese Generazione di risorse per indipendenti escono dal l’introduzione di innovazioni mercato o sono acquistate dalle tecnologiche ed organizzative catene più grandi (4) Aumenta la quota di mercato dei distributori più efficienti Fonte: McKinsey & Company, Euromonitor, 1987. L’aumentata concentrazione nel settore della distribuzione, non è solo

conseguenza di fattori operanti dal lato dell’offerta, ma è favorita anche

dall’evoluzione del comportamento dei consumatori, dai mutati stili di vita

e dai processi di urbanizzazione.

I dettaglianti tradizionali vengono tagliati fuori90; i consumatori

90 Basti pensare che nell’ultimo anno, solo il dettaglio tradizionale e le superette hanno perso quote

di mercato nella distribuzione; la prima è diminuita del 4%, mentre la seconda dell’1%.

68

preferiscono fare i propri acquisti nei grandi centri di distribuzione, dove è

possibile soddisfare tutte le richieste di varietà e differenziazione,

divertendosi e risparmiando denaro.

Anche se l’ipermercato sembra ormai aver raggiunto la propria fase di

maturità (a causa di tre importanti fattori: la difficoltà di reagire alle altre

formule, soprattutto all’aggressività dell’hard discount; la localizzazione

extraurbana in contrasto un po’ con la ricerca dei consumatori di maggiore

prossimità dei centri d’acquisto; la convenienza che, rispetto alle formule

concorrenti, non appare più così marcata), grazie a rinnovate strategie,

sembrano risollevarsi, trasformandosi91.

Per questo motivo, una citazione particolare meritano i discount che, in un

periodo di crisi dei consumi per la diminuzione del potere d’acquisto, hanno

rappresentato quasi un’ancora di salvezza per molte famiglie, che, sempre

più numerose, scelgono questi esercizi al dettaglio per i loro acquisti92.

91 “La più significativa [innovazione]…è la sperimentazione di format discount da parte di Auchan

e Carrefour in Francia: il primo è alla terza apertura del format Les Halles d’Auchan, e il numero

due mondiale ha aperto il suo primo iper-discount nei pressi della capitale”. D. Pederzoli, “L’età

matura dell’ipermercato”, Largo Consumo, n° 4/2005. 92 E’ sufficiente fare un esempio per capire l’enorme crescita dei discount in Italia, ma non solo:

“Con oltre 6 mila filiali in Europa, il gruppo Lidl rappresenta una delle principali realtà nel

segmento distributivo discount e si colloca tra i primi operatori mondiali nel settore della grande

distribuzione…Dopo la Francia, l’Italia è il secondo Paese in cui il gruppo, sorto negli anni trenta

in Germania, ha avviato nel 1991 la sua presenza internazionale e conta oggi oltre 370 filiali”. L.

Rota, articolo a pag.4 di “Corriere Lavoro”, supplemento al “Corriere della sera” del 01/07/05.

69

L’elevatissima competitività di prezzo93, nonché la complementarità nei

confronti delle formule con ampi assortimenti, è ciò che rende i discount

così appetibili.

Tornando alle grandi catene della distribuzione, l’evoluzione del settore, ha

reso necessario il ricorso sempre più a strategie non-price; terminata infatti

la competizione con i dettaglianti tradizionali, diventa dominante la quota di

mercato ed emerge un tipo di competizione orizzontale.

Le grandi catene possono ora guadagnare porzioni di mercato solo

sottraendole ai rivali, in un mercato la cui struttura è ormai di tipo

oligopolistico; le imprese accordano, dunque, un’importanza crescente ai

fattori che possono creare e mantenere la fedeltà del consumatore al punto

vendita (store loyalty).

Tale mutamento è all’origine del crescente fenomeno delle private label

(marche private) e delle fidelity card (carte fedeltà o carte vantaggio)94.

In generale, tra le imprese alimentari, l’esigenza di contrastare il crescente

93 “La politica di bassi prezzi praticata dai discount è possibile soltanto a condizione di

comprimere al massimo il servizio e di aumentare le rotazioni, concentrando le vendite sui beni

più essenziali e di uso universale”. R. Pieri, L. Venturini (1995), “Strategie e competitività nel

sistema agro-alimentare”, Franco Angeli. 94 Attraverso le marche private, le imprese della distribuzione creano fedeltà al proprio punto

vendita e differenziano così la loro insegna. Il distributore può quindi esercitare, nei confronti dei

produttori, un più elevato potere contrattuale, derivante dagli elevati livelli di profittabilità che le

etichette private generano. Le carte fedeltà, invece, generano store loyalty attraverso la

realizzazione di speciali sconti e/o raccolte punti, riservate solamente ai possessori.

70

potere contrattuale delle imprese della distribuzione, comporta una reazione

che passa attraverso una ulteriore accentuazione delle strategie di

differenziazione, sia orizzontale che verticale, e di innovazione.

La competizione è quindi destinata ad intensificarsi; ciò non farà altro che

favorire le grandi imprese, che saranno in grado di abbattere i costi fissi non

recuperabili necessari per implementare le strategie di rafforzamento della

fedeltà alla marca, e di innovazione dei processi e soprattutto di prodotto.

3.3. OGM: una sfida per il futuro?

Secondo alcuni, gli alimenti ogm (organismi geneticamente modificati),

sono la soluzione definitiva al problema della fame nel mondo; la

possibilità di questi tipi di cibi di poter esser coltivati in posti totalmente

inospitali (ad esempio le fragole coltivate con il gene di un pesce nordico

per resistere alle basse temperature, oppure grano coltivabile in terreno

pressoché desertico), uniti alla resistenza a pesticidi e malattie che,

attraverso modifiche genetiche, può essere “infiltrata” nelle piante, rende il

mercato degli alimenti modificati geneticamente assai appetibile, ma allo

stesso tempo molto discusso.

Secondo altri, infatti (ricercatori, studiosi, e soprattutto l’opinione pubblica

del vecchio continente), l’uso degli alimenti ogm è un gravissimo errore sia

perché va totalmente contro le leggi di natura, visto che crea veri e propri

71

“mostri” di laboratorio, sia soprattutto perché, è probabile che un uso

prolungato di cibi modificati possa provocare nell’uomo pericolosi danni

alla salute. Ad esempio, “…anni fa Arpad Pusztai, un ricercatore inglese,

aveva fatto un esperimento, nutrendo per alcuni mesi dei ratti con patate

ogm. Prima che i suoi dati fossero pubblicati, aveva annunciato in un

programma televisivo che i topi avevano sviluppato alterazioni al sistema

immunitario, al cervello, al fegato e ai reni. La conseguenza per questa

uscita pubblica fu drastica: la ricerca fu bloccata, il gruppo sciolto e i dati

sequestrati. Pusztai stesso è stato costretto alla pensione”95.

Questo mostra come il dibattito attorno agli ogm abbia una direzione

tutt’altro che univoca, con le lobby industriali (che appoggiano le industrie

biotech come Monsanto, Novartis, Bayer, Pioneer, solo per fare alcuni

esempi), l’attendibilità delle ricerche e le scelte politiche dei governi che si

scontrano tra di loro, ognuno per difendere le proprie ragioni.

Intanto, si assiste comunque ad una crescita delle superfici coltivate con

organismi modificati96, e, tra una sperimentazione e nuove adesioni

all’innovazione, continua a crescere l’attenzione generale verso gli ogm.

95 C.Palmerini, “Ogm: mangiarli non fa differenza? Non proprio”, p.160 di “Panorama” del

9/06/05. 96 “Nel 2004, la superficie totale mondiale coltivata con piante ogm è aumentata del 20% rispetto

al 2003, registrando un incremento di 13,3 milioni di ettari…I paesi con la maggiore superficie

ogm sono: Stati Uniti (59% della superficie totale mondiale coltivata con piante geneticamente

72

L’Unione Europea ha scelto la strada della tracciabilità: chi consuma

prodotti ogm deve saperlo. Attualmente solo in Germania, Spagna e

Romania si coltivano piante modificate geneticamente, mentre in Italia si

registrano, per lo più, sperimentazioni in alcune provincie.

Molti sono comunque i pregiudizi che ruotano intorno a questi alimenti97,

dettati sia dalla prudenza verso un cibo nuovo di cui si conoscono ancora

poco le eventuali conseguenze negative sulla salute umana, e sia da continui

risultati non molto confortanti di ricerche, siano esse autorizzate o meno.

Ultima in ordine cronologico è la vicenda del mais 863, “…esplosa

improvvisa a fine maggio, quando una delle più importanti testate

britanniche, ‘The Indipendent’, pubblica stralci di uno studio della

multinazionale biotech Monsanto, da cui emerge come il mais

geneticamente modificato Mon863 possa avere impatti negativi sulla salute.

I test di laboratorio avrebbero infatti evidenziato danni e anomalie tra i ratti

usati come cavie. Subito si è parlato di dati che la Monsanto avrebbe tenuto

nascosti…in realtà i dati facevano tutti parte del dossier presentato

modificate), Argentina (20%), Canada (6%), Brasile (6%), Cina (5%), Paraguay (2%), India (1%)

e Sudafrica (1%)”. Articolo a pag. 145, “Crescono le superfici agricole per gli ogm”, Largo

Consumo, n° 4/2005. 97 “In alcuni casi, le attività agrobiotecnologiche vengono scorporate da quelle biofarmaceutiche: è

soltanto un questione di immagine, che analisti finanziari e commentatori economici interpretano

come segnale di difficoltà associato alla crescente ostilità espressa dai consumatori nei confronti

degli alimenti transgenici”. Dal sito internet: www.lescienze.it/doc/tesi.pdf.

73

all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, l’EFSA, per ottenere la

doppia autorizzazione alla commercializzazione del mais…che, nonostante

i problemi emersi, ha deciso di esprimere parere positivo!”98.

L’innovazione degli ogm, non riguarda però solamente il settore alimentare;

importanti implicazioni derivano nel campo della medicina, con la

possibilità, ad esempio, di far produrre alle piante alcuni tipi di vaccini.

Resta comunque il problema, irrisolto, dell’utilizzo di questi alimenti

modificati: è importante, anzi fondamentale, salvaguardare la salute

pubblica, ma in un mondo che prevede, entro il 2030, un crescita della

popolazione continua, fino ad arrivare ai 9 miliardi di individui, è altresì

importante liberare il maggior numero possibile di persone dalla fame e

dalla sete. Forse, i pregiudizi e l’opinione pubblica negativa circa gli

organismi modificati geneticamente, sono conseguenza dell’arroganza delle

multinazionali biotech, che, alla ricerca di personali monopoli in questo

settore, vorrebbero imporre questi alimenti quasi come pozione magica per

risolvere tutti i problemi; sarebbe invece molto più prolifico instaurare

dialoghi e rapporti collaborativi con coloro che, alla fin fine, decidono se

consumare o meno un alimento transgenico.

Il settore agro-alimentare si basa sì sull’innovazione, ma su di una

innovazione incrementale, e non di rottura, né tanto meno impositiva.

98 Articolo a pag. 19, “Ogm, chi autorizza chi?”, ‘Consumatori’, mensile soci Coop , n° 7-8/2005.

90

4. L’acqua minerale.

Il comparto delle acque minerali mostra una caratteristica peculiare relativa

all’imbottigliamento del prodotto, che obbligatoriamente deve avvenire in prossimità

della fonte. Ciò, quindi, pone una serie di vincoli sulle caratteristiche strutturali del

settore, che presenta un livello di concentrazione molto contenuto114; infatti, quasi il

40% del mercato è ancora detenuto da imprese locali.

Questa localizzazione del settore ha come conseguenza quella della proliferazione

delle marche; esistono infatti 160 imprese operanti con 265 marche (vedi Tab.14).

Tab.14- Il mercato italiano delle acque minerali: 2003.

Sorgenti (unità) 700

Imprese (unità) 177

Marche in commercio (unità) 265

Produzione (milioni di litri)) 11.500

Export (milioni di litri) 1.150

Distribuzione (milioni di litri) 10.428

Fatturato al consumo (milioni di euro) 3.000 Fonte: Mineracqua.

In questo settore, assume una rilevanza fondamentale l’aspetto logistico, e quindi le

varie fasi dell’imbottigliamento e dello stoccaggio della merce. Per questo motivo, le

politiche e le strategie di marketing relative alla distribuzione, devono tenere conto

sia della razionalizzazione degli spazi e delle confezioni, sia della gestione degli

ordini da parte dell’impresa; è di notevole importanza per il successo dell’azienda, la

114 “La mancata concentrazione è imputabile…anche alla [continua] espansione del mercato, che

ha consentito margini espansione e sopravvivenza per tutte le imprese”. D. Moro, A. Valla (1995),

Cap. 17 di “Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare”, Franco Angeli.

91

garanzia di un approvvigionamento costante ed adeguato del prodotto.

“Per quanto riguarda la canalizzazione delle vendite, è la grande distribuzione

organizzata a farla da padrona, con uno share del 38% sul totale, pari a 3.751 milioni

di litri commercializzati nel 2003. Un primato confermato anche per il 2004,

nonostante la vendita attraverso la GDO abbia fatto registrare una lieve flessione.

Secondi a pari merito, l’hard discount…e il canale horeca con una quota del

20%…una quota di mercato spetta poi al door-to-door (10%)”115.

Le aziende imbottigliatrici appaiono quindi vincolate alle strategie dei distributori e,

per questo, il grado di integrazione si presenta ancora fortemente limitato.

Un obiettivo cui le aziende dovrebbero mirare, potrebbe essere quello dell’adozione

della tecnica just-in-time, in cui però l’integrazione produttore/distributore dovrebbe

essere quasi completa.

Relativamente alle strategie di prezzo, queste sono declinate negli ultimi anni, dato

che di gran lunga, il prezzo medio del nostro mercato è il più basso a livello

comunitario, e appare ancora in discesa (vedi Tab.15).

Tab.15- I prezzi medi dell’acqua minerale al consumo: 2002-2004.

var. 02/01 2003

var. 03/02 2004

var. 03/04

Distribuzione moderna +0,9 0,2258 +0,3 0,2228 -1,4 Marche nazionali +0,7 0,2851 +0,1 0,2842 -0,1 Grandi formati famiglia +0,9 0,2173 -0,3 0,2125 -2,3

Fonte: elaborazione di Mineracqua su dati Iri Infoscan.

115 P. Pagani, “Bollicine stanche”, Largo Consumo, n° 3/2005.

92

Ciò è conseguenza sia dell’elevata competitività del settore, sia della banalizzazione

del prodotto che esercita pressioni sul contenimento dei prezzi, sia della struttura del

settore, in cui le fonti locali agiscono unicamente su questa leva, e sia della limitata

fidelizzazione al prodotto dei consumatori.

All’orizzonte appare come possibile scelta vincente una strategia di prezzi più elevati;

la differenziazione di prodotto e l’instaurarsi di una brand loyalty, potrebbero favorire

le marche più forti.

In generale, però, la competizione di prezzo potrà divenire meno strategica, qualora si

realizzi effettivamente un progressivo processo di concentrazione.

Analizzando invece le strategie delle imprese relative alla comunicazione, bisogna

premettere che esiste una normativa severa per quanto riguarda la pubblicità: “La

pubblicità delle acque minerali naturali è sottoposta alla preventiva approvazione del

Ministero della sanità limitatamente alle menzioni relative alle proprietà favorevoli

alla salute, alle indicazioni ed alle eventuali controindicazioni. Restano comunque

vietate le indicazioni che attribuiscono ad un’acqua minerale naturale proprietà per la

prevenzione, la cura o la guarigione di una malattia umana”116.

E’ quindi importante che l’azienda riesca a valorizzare le caratteristiche del proprio

prodotto, senza però allontanarsi dal sentiero della verità.

Un esempio di comunicazione indirizzata verso queste linee guida, viene dall’azienda

produttrice della “Acqua Santa Croce”, che ha saputo unire trasparenza ed

informazioni in un massiccio investimento pubblicitario, particolarmente indovinato

grazie anche alla credibilità del testimonial prescelto (Pippo Baudo).

116 Dal sito internet: www.acquafreddy.com/html/acqua_1b.htm.

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L’impresa ha saputo proporre correttamente una comparazione diretta con alcune

delle più note acque minerali, risultando la migliore in termini sia di basso residuo

fisso, che di sodio e nitrati contenuti.

Ed i risultati di questa strategica comunicativa sono stati più che soddisfacenti: nel

2004, infatti, le vendite sono aumentate del 23%, e ciò permette ad un’azienda che

meno di dieci anni fa era venduta solo in Abruzzo e Lazio, di poter posizionarsi oggi

tra le prime dieci aziende del settore.

Quello del messaggio comunicazionale, è inoltre uno dei pochi fattori di

differenziazione del prodotto che le imprese hanno la possibilità di adottare117.

L’altro è rappresentato dal packaging, il quale, negli ultimi anni, ha subito

un’evoluzione che non solo tende a razionalizzare gli spazi per ottimizzare il

trasporto, ma si è così evoluto, che la bottiglia d’acqua è divenuta vero e proprio

oggetto di moda; “negli Stati Uniti [ma non solo] la bottiglia di plastica che spunta

dalla borsa non è più una novità. Se prima era un vezzo solo di modelle o sportivi di

corsa in Central Park, oggi non c’è attore, cantante o starlette che non ostenti nel

borsone o nelle mani una bottiglietta da mezzo litro di acqua, se poi è di design è

anche meglio. Tanto basta per diventare una moda”118.

Così, la bottiglietta da borsetta può assumere la forma di una goccia (come proposta

dalla Evian), può divenire tonda e con il nuovo tappo a “ciuccio” (esempio ne è la

117 “L’acqua minerale, è [infatti] un prodotto difficilmente differenziabile; la prima rilevante

distinzione è ancora quella tra acqua piatta e acqua gassata. Le eccezioni riguardano le

‘terapeutiche’…sembra crescere anche un segmento intermedio, quello delle acque leggermente

gassate: questo rappresenta, se possibile, l’unica innovazione di prodotto”. D. Moro, A. Valla

(1995), Cap. 17 di “Strategie e competitività nel sistema agro-alimentare”, Franco Angeli. 118 C. Voltattorni, “Acqua mania, ora si beve camminando”, dal “Corriere della sera” del 24/05/05

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“Issima”, del marchio “Levissima”, lanciata dalla casa produttrice Garma), o può

assumere contorni sinuosi e di colore blu elettrico (gran parte del successo dell’acqua

gallese Ty Nant si deve proprio al suo design).

Addirittura, qualche tempo fa, un produttore fece disegnare ad alcuni stilisti una

bottiglia per acqua-à-porter da borsetta, proprio come le modelle.

In conclusione, nel settore delle acque minerali, i più importanti fattori che

determinano il successo di un’impresa sono: una distribuzione efficiente che copra

capillarmente tutte le aree di riferimento; il legame con la GDO; il rigoroso controllo

dei costi e la razionalizzazione delle operazioni; l’investimento pubblicitario;

l’innovazione del packaging.

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Considerazioni conclusive.

Analizzando in sintesi il lavoro fin qui svolto, emerge innanzitutto

l’estremo dinamismo che le scelte di consumo generano nel sistema agro-

alimentare.

Si assiste ad uno spostamento dei consumi verso prodotti convenience, il

che riflette la crescita della domanda di servizi incorporati negli alimenti

che da alcuni anni caratterizza le scelte dei consumatori.

Questa crescita non è più, però, quantitativa, ma diviene qualitativa; così, ai

classici servizi incorporati negli alimenti (conservabilità e praticità d’uso)

se ne aggiungono altri, quali la garanzia, l’informazione, la disponibilità

fuori stagione e la varietà.

Volendo sintetizzare, inoltre, la famiglia diventa sempre meno unità di

produzione e sempre più unità di consumo, fino ad assumere la

fondamentale caratteristica di unità di scelta.

Questa evoluzione, che si traduce in un aumento della quota dei pasti

consumati fuori casa, in una destagionalizzazione dei consumi e quindi

anche in una contrazione degli autoconsumi, sembra destinata a proseguire

o a rafforzarsi negli anni, visto che appare in piena sintonia con il più ampio

processo di globalizzazione dei consumi agro-alimentari.

Questo processo, fa sì che emergano quindi segmenti e prodotti globali,

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dato che i mutamenti dal lato della domanda finale assumono grande

rilevanza per le strategie delle imprese; in particolare, viene a rafforzarsi la

disponibilità dei consumatori a pagare di più per prodotti con contenuti

innovativi.

L’innovazione è essenzialmente di tipo incrementale, poiché le imprese

devono tener conto del fattore di inerzia costituito dalle abitudini

alimentari; i consumatori, pur domandando prodotti con contenuti

innovativi, allo stesso tempo non sono disposti ad accettare prodotti che si

discostino radicalmente dalle proprie abitudini.

I processi strategici che le imprese mettono in atto, creano situazioni per

cui, all’interno di ciascun mercato, cresce la domanda di prodotti sempre

più differenziati e personalizzati, in grado di tener conto degli specifici

bisogni e gusti del singolo cliente.

E’ quindi destinata ad aumentare negli anni l’eterogeneità dei prodotti, al

punto da metter in discussione la nozione di mass market e da indurre

alcuni osservatori a parlare di consumatore desincronizzato e di mercato

demassificato.

Il consumatore, esprimendo bisogni sempre più personalizzati e

comportamenti sempre più specifici e diversi, costringe le imprese ad

intraprendere politiche di marketing più adeguate a criteri di segmentazione

del mercato, passando da schemi di tipo tradizionale, basati su parametri

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demografici e socio-economici, a segmentazioni costruite su criteri più

soggettivi, psicologici e culturali, come i valori e gli atteggiamenti.

L’evoluzione della domanda sopra individuata, esercita influenze

profondamente diverse sulle prospettive dei vari comparti agro-alimentari;

già ora, infatti, accanto a comparti che registrano una domanda crescente (ci

riferiamo, ad esempio, al settore dell’acqua minerale, a quello del pesce o

anche a quello relativo ai grassi vegetali), altri comparti sono caratterizzati

da un sostanziale declino (così, ad esempio, perdono quote di mercato i

settori dell’ortofrutticolo e quello del pane).

E non solo. A livello disaggregato, esistono segmenti e nicchie dove la

domanda cresce (ad esempio, il fatturato dei succhi di frutta è aumentato

nell’ultimo anno dell’11,5%) o scende (è il caso del comparto dello

zucchero semolato che ha diminuito il proprio fatturato di circa il 25%) a

tassi decisamente superiori/inferiori alla media.

Per questo motivo diviene importante per le aziende riuscire ad individuare

i segmenti che garantiscono le più interessanti opportunità di crescita,

attuando strategie di micromarketing.

La domanda quindi, essendo più complessa, incerta ed instabile, tende ad

avere importanti conseguenze anche sulle strategie di

internazionalizzazione delle imprese.

La globalizzazione dei gusti e delle preferenze, nonché l’omogeneizzazione

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degli stili di vita e dei comportamenti di acquisto tra consumatori di

differenti paesi, determinano l’esistenza di veri e propri segmenti

internazionali, per cui i prodotti e le marche vengono commercializzati con

strategie di multicountry marketing.

Ciò crea, quindi, notevoli opportunità di crescita per le imprese in grado di

affrontare e risolvere i complessi problemi tecnologici e di marketing che

caratterizzano le strategie relative all’internazionalizzazione.