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_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
CAPITOLO SECONDO
I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
2.1 Le pratiche riconducibili al mobbing dopo l'evoluzionegiurisprudenziale.
L'approccio tradizionale delle corti, fatte salve rare eccezioni1, è stato
quello di sanzionare, tramite i meccanismi della responsabilità civile,
non già il fenomeno del mobbing, peraltro sconosciuto fino a tempi
recenti quale categoria, bensì solo particolari degenerazioni della
condotta del mobber o solo alcuni degli strumenti adoperati da
quest'ultimo, quali forme "surrettizie" di dequalificazione professionale o
demansionamento. In non pochi casi tale impostazione ha spesso finito
con l'impedire ai giudici di apprezzare nella sua interezza la gravità delle
persecuzioni subite dai mobbizzati e se, vogliamo, la "perversione" delle
condotte perpetrate dai mobbizzanti: ciò con notevoli conseguenze o sul
quantum dei danni o, talvolta, direttamente sull'an debeatur.
1 Ad es. Pret. Roma, 17/4/1992, in FI, 1992, 1321. Nel caso di specie un brillante direttore di banca, che in occasione dell'avviamento di un piano di ristrutturazione aziendale aveva manifestato serieperplessità ai vertici direttivi, era stato dapprima rimosso, senza alcuna motivazione, dalla direzionedell'area commerciale dell'istituto, poi ignorato nella attribuzione di di nuovi incarichi, infine, totalmente emarginato. La vittima aveva invano domandato di potersi incontrare con i vertici aziendaliper ottenere chiarimenti, ma le sue richieste erano rimaste prive di riscontro. In conseguenza di ciò, lostesso aveva riportato un grave stato di disagio e delusione. La Pret. Di Roma, dando evidentementerilievo alla grave condotta persecutoria, liquidò alla vittima la cospicua somma di 500 milioni.
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Taluni fatti, di per sé non illegittimi o illeciti, in sé giuridicamente
"neutri", se ricondotti entro un'unica strategia possono assumere rilievo
ai fini della responsabilità. E questo forse spiega anche come le clausole
generali di responsabilità delineate dal legislatore a tutela del lavoratore,
quali soprattutto l'art.2087c.c. e l'art.2103c.c, non abbiano trovato, nella
pratica, un grande riscontro nel campo della tutela della personalità
morale del lavoratore, fatti salvi i casi più eclatanti. In questa ottica le
sentenze del tribunale di Torino sul mobbing costituiscono una svolta
che costituisce comunque un momento di rottura rispetto all'approccio
tradizionale. Infatti, tale nuovo orientamento giurisprudenziale apre le
porte del diritto al mobbing come fenomeno unitario, come categoria di
responsabilità idonea a rendere più efficace la tutela integrale della
personalità morale dei lavoratori. Innanzitutto, si riscontra la rilevanza
sistematica di un riconoscimento giurisprudenziale del mobbing, quale
fattispecie specifica, seppur, almeno finora, non definita e tipizzata dal
legislatore. Il giudice ha ritenuto necessario, prima ancora di entrare
nell'esame della causa, dedicare un apposito paragrafo al mobbing, in
quanto "doverosa premessa, assolutamente indispensabile al fine di
inquadrare correttamente le problematiche di causa nel contesto
lavorativo e nel sistema di relazioni endo-aziendali attualmente
esistenti," che "conoscono e registrano con una certa frequenza pratiche
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di violenza morale e terrorismo nei posti di lavoro2". Il mobbing, è
proprio questa l'impostazione delle sentenze, diventa così, un "legal
framework", una cornice, che permette di apprezzare la condotta illecita
nella sua interezza. In altri termini, con l'ingresso del mobbing nelle corti
i vari tasselli, che prima rimanevano disgiunti e costituivano fattispecie
autonome di responsabilità, possono confluire in un unico mosaico, in
cui tutto il circolo vizioso del fenomeno in esame viene ad assumere
rilievo, con la conseguenza di permettere un salto qualitativo nella tutela
risarcitoria della persona del mobbizzato.
Ciò premesso, con la sentenza del 16 novembre 19993, il Tribunale di
Torino è stato chiamato a decidere della responsabilità risarcitoria del
datore di lavoro per il caso in cui un lavoratore subisca un danno
biologico, nella fattispecie psicologico, in seguito ai trattamenti incivili e
arroganti posti in essere nei suoi riguardi da parte di un preposto del
datore di lavoro stesso. In particolare, la lavoratrice in questione
lamentava, da un lato, di essere stata stabilmente, costantemente e
ingiustificatamente sacrificata e costretta a svolgere la sua prestazione
adibita al funzionamento di un macchinario posto in uno spazio angusto,
ristretto e isolato dai compagni di lavoro, del tutto circondata da altre
2 Il riferimento al fenomeno in questione non risulta affatto ad colorandum, come taluni commentatorihanno rilevato, esso è chiaramente indirizzato a fornire l'ossatura per la decisione circa l'an debeatur.
3 Testo della sentenza in, Inserto di Diritto & Pratica del Lavoro, n.18, 2000.
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macchine e da cassoni di lavorazione ivi in deposito; dall'altro oltre a
questo, la lavoratrice si doleva di essere stata fatta oggetto di continui
atteggiamenti ingiuriosi e insultanti da parte del capo reparto, soprattutto
nei casi in cui, doverosamente, segnalava i guasti del macchinario cui era
adibita o quando si lamentava delle condizioni di lavoro eccessivamente
onerose. D'altro canto nessun ascolto avevano avuto le ripetute
rimostranze, formulate personalmente dalla dipendente, nonché dai
rappresentanti sindacali, al capo reparto. In seguito alle suddette
condotte, la lavoratrice si assentò lungamente per malattia, contrasse
quindi una grave forma di crisi depressiva (ingenerata secondo il
giudice da "una autentica catastrofe emotiva") e si dimise infine dal
posto di lavoro. Nonostante il datore di lavoro negasse in giudizio che la
lavoratrice fosse stata mai vittima di comportamenti persecutori
addebitati al capo reparto, comunque respingendo ogni sua diretta
responsabilità, il giudice ha accolto le istanze della lavoratrice e ha
liquidato il danno biologico da questa sofferto in via equitativa. Nella
seconda decisione4 il mobber era invece il datore di lavoro stesso, che, al
chiaro scopo di costringere la dipendente alle dimissioni, aveva messo in
atto una serie di comportamenti del c.d bossing: terrorismo psicologico
con pressioni a rassegnare le dimissioni; assunzione di un'altra
4 Trib. Torino, 30 dicembre 1999, in Lav.giu., n.4, 2000, 361.
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dipendente durante il periodo di malattia della vittima, che al ritorno sul
posto di lavoro si trovò di fatto sostituita e quindi messa da parte;
trasferimento dagli uffici amministrativi al magazzino, con conseguente
demansionamento e impoverimento del bagaglio professionale. Anche in
questo caso la mobbizzata aveva sviluppato una sia pure temporanea
sindrome ansioso-depressiva attiva.
Nelle decisioni in esame il comportamento dei mobbers è stato
ritenuto fonte di responsabilità in base al combinato disposto degli
articoli 32Cost. e 20875c.c, norme che, come detto, tutelano la
personalità morale e la salute, fisica e psichica, dei lavoratori.
Significativo è il richiamo fatto all'art.32Cost., allorquando il tribunale
precisa che "la Costituzione, nel suo art.32 e la legge, nell'art.2087c.c.,
tutelano infatti tutti indistintamente i cittadini, siano essi forti e capaci di
resistere alle prevaricazioni siano viceversa più deboli e quindi destinati
anzitempo a soccombere". In questo senso, le sentenze torinesi segnano
una svolta6 rispetto al tradizionale sistema di responsabilità posto a tutela
5 Per il dispositivo: "Ai sensi dell'art.2087c.c il datore di lavoro, essendo tenuto a garantire l'integritàpsicofisica dei propri dipendenti e, quindi, a impedire e scoraggiare con efficacia contegni aggressivi e vessatori da parte dei preposti e responsabili nei confronti dei rispettivi sottoposti, è responsabile del danno biologico derivato a lavoratrice da molestie sessuali e morali di un capoturno e dallaadibizione della stessa da parte di quest'ultimo a luogo di lavoro di ridotte dimensioni ed isolato. Il danno biologico derivante da sindrome ansiosa depressiva reattiva, protrattasi per numerosi mesi edimputabile al datore di lavoro, va liquidato equitativamente nell'importo di dieci milioni".6 Miscione M., I fastidi morali sul lavoro e il mobbing, in www.labourlawjournal.it. Scettica contro questa impostazione è Pizzoferrato, per cui " entrambi i casi oggetto delle pronunce del Tribunaletorinese, si muovono sul terreno abituale del demansionamento e della dequalificazione professionale, dal momento che riguardano ipotesi di prolungata permanenza nelle stesse mansioni monotone,ripetitive e banali, senza alcuna rotazione o manutenzione del dipendente, ovvero di trasferimento da un reparto ad un altro della stessa unità produttiva, con effetti dequalificanti, avuto riguardo alla storia
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dei lavoratori vittime di persecuzioni: la condotta del mobber viene
infatti collocata in uno schema ben più ampio di quello disciplinato
dall'art.2103c.c. Si assiste cioè ad un passaggio certamente degno di
rilievo: dall'orientamento precedente delle corti, che, pur in presenza di
strategie persecutorie, si concentravano sul demansionamento e
applicavano, pressoché in via esclusiva, lo schema più ristretto, di cui al
2103 c.c., si perviene ad una prospettiva più ampia di responsabilità, in
cui al centro viene posto l'intento persecutorio, che sta alla base della
modificazione peggiorativa delle mansioni. Addirittura, per taluni
autori7, il richiamo operato dal giudice nella più recente sentenza
all'art.21038 sia stato effettuato ad abbundantiam, risultando la
prospettiva sull'an debeatur già chiusa con il riferimento agli articoli
32Cost. e 2087c.c. Non già quindi una lettura dell'art.2103c.c in
combinazione con l'art.2087, bensì quest'ultima norma come cardine di
responsabilità, in un sistema in cui la violazione delle altre norme poste a
tutela dei particolari aspetti, che completano il lavoratore (quali ad
esempio il suo bagaglio professionale, la sua professionalità), risulta
lavorativa, alla professionalità acquisita nel corso del tempo. Tali casi, dunque, avrebbero potuto essere risolti facendo riferimento alla consolidata giurisprudenza in materia di danno alla professionalità in base al combinato disposto degli artt.2,3,41Cost. e 2103c.c., secondo una riuscita trasposizione sul versante della dequalificazione dello schema del danno biologico quale danno-evento, insito nella stessa lesione della norma giuridica primaria". Pizzoferrato, op. cit., 252. 7 Matto V., Il mobbing nella prima ricostruzione giurisprudenziale, in DRI, 2000, n.3, 385. 8 "Il datore di lavoro è tenuto ex art.32Cost. e art.2087c.c, nonché ex art.2103c.c, al risarcimento deldanno psichico e del danno da dequalificazione subiti dal dipendente rimasto vittima di pratiche di mobbing"
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complementare. Si assiste dunque nelle sentenze torinesi ad un'ulteriore
importante tappa del processo di rivitalizzazione9 dell'art.2087c.c., che si
è avviato sul finire degli anni ottanta successivamente all'ingresso
dirompente del danno biologico nel sistema risarcitorio.
L'estensore, come messo già in luce, ha utilizzato il mobbing come
cornice, in cui tutta una serie di particolari connotazioni illecite o,
comunque, non decisivi sotto il profilo dell'inadempimento, sono venuti,
una volta messo a nudo l'intento persecutorio, ad assumere il giusto
rilievo ai fini dell'accertamento della responsabilità dei datori di lavoro
evocati nei rispettivi giudizi. Si noti peraltro che al fenomeno del
mobbing è stata attribuita valenza giuridica ai sensi del 2°comma
dell'art.115c.p.c.: dunque il mobbing come legal framework10 in quanto
"fatto notorio". Nel caso di specie, quindi, pur nel silenzio della
lavoratrice ricorrente che non ha ricondotto il caso concreto al mobbing,
il giudice, utilizzando i poteri istruttori che la legge gli conferisce, ha
fatto ricorso ad un dato di comune esperienza, rispetto al quale l'art.115,
9 Così come sostenuto da Pedrazzoli, op. cit., 2: " con la rivitalizzazione dell'art.2087c.c, norma a lungo collocata in una assorbente prospettiva prevenzionistica, e poi di coefficiente di una tutelacollettiva, a cui aveva dato frattanto impulso l'art.9 delle Statuto, si è affermato il fondamento di un diritto soggettivo all'integrità fisio-psichica del lavoratore operante nella correlazione negoziale". Matto rileva che il profilo di maggior rilievo della sentenza non sembra risiedere tanto nell'aspettomeramente formale del riconoscimento giurisprudenziale dell'esistenza del fenomeno del mobbing neirapporti endoaziendali, quanto, soprattutto, in una nuova forma di attenzione giuridica per la quale,qualora anche il caso non fosse stato esplicitamente ricondotto nell'ambito del mobbing, sarebbero inogni modo rimaste invariate le possibilità di vederlo inquadrato come rientrante nella fattispecie descritta nell'art.2087 e di veder pertanto sanzionate le condotte antigiuridiche sanzionate. Matto, Il mobbing nella prima ricostruzione giurisprudenziale, DRL, n.3, 2000, 387. 10 Monateri P.G., Bona M., Il mobbing come "legal framework": una categoria unitaria per lepersecuzioni morali sul lavoro, in Guida al lavoro, 2000, n.3, 547.
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2°co.c.p.c., enuncia che può essere posto a fondamento della decisione
senza bisogno di prova11.
Naturalmente, si deve trattare non già di fatti accidentalmente
conosciuti dal giudice, ma di fatti che il giudice conosce perché sono noti
alla generalità delle persone alla quale appartiene anche il giudice, in
quel determinato ambiente e momento12, come nozioni comuni e
generali,13 e sempre in quanto siano stati allegati14. Con riferimento a
quest'ultima ipotesi, la dottrina ha elaborato, come esplicazione del
principio della domanda, quello dell'allegazione, in virtù del quale
l'attore ed il convenuto devono allegare rispettivamente i fatti costitutivi,
impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto dedotto in giudizio15. Nel
caso di specie, pertanto, il giudice intanto ha potuto far ricorso al "fatto
notorio" e, quindi al mobbing, in quanto la lavoratrice aveva allegato
nell'atto introduttivo del giudizio i fatti costitutivi del mobbing
medesimo16. La sentenza considera necessarie, al fine di poter
individuare la fattispecie del mobbing, la ripetitività della condotta e la
11 Balletti C., La prova nelle cause di lavoro e previdenza, Cedam, 1998, 38ss. 12 Carnelutti, Massime d'esperienza e fatti notori, in Riv.Dir.Proc., 1959, II, 639. 13 Cass.13 marzo 1992, n.3087; Cass.20 giugno 1985, n.3883. 14 Mandrioli C., Corso di diritto processuale civile, II, Giappichelli, 1993.Cass. 10 luglio 1999, n.3258.15 Luiso F.P., Il processo del lavoro, UTET, 1992, 186. 16 E così, il Tribunale ha fatto riferimento al "fenomeno ormai internazionalmente noto comemobbing", riconducendolo all'interno degli studi effettuati in campo medico, psicologico e sociologicosul sistema gerarchico esistente in fabbrica o negli uffici che hanno denotato gravi e reiteratedistorsioni in grad di incidere pesantemente sulla salute individuale.
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finalità che essa persegue, e cioè l'isolamento o l'espulsione del
lavoratore. Solo la ripetitività esasperata consente agli atti "atipici" di
assurgere al superiore rango di attività di natura persecutoria; atti che
denunciano in maniera obbiettiva l'intento illecito volto a colpire e
destabilizzare psicologicamente il destinatario di quelle forme di
aggressione.
Sostanzialmente, entrambe le sentenze si reggono su uno schema
ricostruttivo così strutturato: 1)dato di partenza: il mobbing come fatto
notorio; 2)accertamento della sussistenza dei comportamenti datoriali
riconducibili entro tale fenomeno; 3)liquidazione del danno.
2.2 Il mobbing nella giurisprudenza italiana.
Per altre scienze il mobbing può essere identificato come una forma di
aggressione psicologica, in sé anche omogenea, che produce malessere e
scompiglio nella vita del malcapitato, con ripercussioni anche gravi sulla
sua salute psicofisica. Dal punto di vista giuridico è, invece, necessario
concentrarsi non tanto sugli effetti, quanto sui fatti che, nella fattispecie
concreta, possono caratterizzare la vicenda in questione, al fine di
ricondurli all'interno di quelle categorie giuridiche tipiche che rendono
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una situazione degna di tutela per il nostro ordinamento17. In sostanza, il
giudice deve riuscire a dare un nomen juris ad ogni singola "ingiustizia"
che il lavoratore mobbizzato denuncia di aver subito in ambito
lavorativo, provarla e cercare, poi, di addebitare tutti gli elementi
d'illegittimità riscontrata ad un unico comportamento, doloso o colposo,
del datore di lavoro18. La giurisprudenza riconducibile, latamente, ai
comportamenti di mobbing è alquanto eterogenea, ma significativa. È
stata ravvisata la responsabilità del datore di lavoro in fattispecie
illegittime e vessatorie quali: il trasferimento ingiustificato19 del
lavoratore "scomodo" in altre sedi aziendali; il graduale svuotamento
delle mansioni affidate, nonché il confinamento in uffici studi; la
minaccia di licenziamento; la delittuosa macchinazione da parte del capo
del personale ai danni del lavoratore, consistente in una simulazione di
furto e nella simulazione della sorpresa del lavoratore in quasi flagranza
di reato; la comminazione reiterata e immotivata di sanzioni disciplinari;
il sistematico storno e apertura della posta indirizzata alla vittima20:
17 Alpa G., La giurisprudenza ed il fenomeno del mobbing, relazione al Convegno del Centro Studi diDiritto del Lavoro D. Napoletano, sul tema "Mobbing: dalla molestia alla persecuzione sul luogo di lavoro", Genova 3 dicembre 1999, in Http://www.izan.simplenet.com/napoletano/relaz_pa.htm.18 Alpa G., op. cit. 19 Il trasferimento del lavoratore deve necessariamente essere giustificato, a salvaguardia anche di eventuali finalità persecutorie, da comprovate ragioni tecniche, organizzative e aziendali. È pertanto necessario che il provvedimento sanzionatorio, dal datore adottato nei confronti del lavoratore, siasempre giustificato da motivazioni organizzative aziendali, non essendo legittimo un trsferimento del dipendente solo quale sanzione conservativa per la condotta per mancanze addebitategli. Cfr Cass.n.10333/1997.20 Ricostruzione operata dal Prof. Spagnuolo Vigorita nella relazione " Il quadro normativo attualedella dignità del lavoratore ed i profili di illegittimità della condotta del mobbing", in http:// www.guidaallavoro.it/lavoro/redazione/ mobbing_Relazione.html.
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condotte che, come già rilevava Montuschi21, sono manifestazione di un
esercizio arbitrario di poteri e sistematicamente indirizzate a
perseguitare, emarginare, isolare un lavoratore, che possono poi
ulteriormente consistere in comportamenti penalmente illeciti quali il
sabotare l'attività altrui o nel far circolare voci denigratorie.
Recentemente la Cassazione, con la sentenza22 n.491/2000, ha affermato
il risarcimento del danno biologico derivante da una serie di
provvedimenti disciplinari ingiusti, ed oltretutto è stato anche ritenuto
che il licenziamento disciplinare può in casi gravi, ed in generale in tutti
i casi di comportamenti "lesivi dell'interesse dell'impresa e
manifestamente contrari all'etica comune o contraddistinti da rilevanza
penale", essere fondato direttamente sulla legge, senza che sia necessaria
la previsione nel codice disciplinare di tali condotte. Tali comportamenti,
infatti, violano i doveri fondamentali del lavoratore ed i principi della
convivenza civile, e sono tali da manifestare "consapevole ribellione o
trascuratezza dell'autore del fatto nei confronti dell'assetto organizzativo
in cui è inserito23". L'esercizio del potere disciplinare da parte del datore
di lavoro nei confronti del lavoratore, può travalicare i limiti della
legittimità, laddove, ferma rimanendo la necessità di comprovare il
21 Montuschi, op. cit., 322. 22 In Notiziario e pratica del lavoro, 2000, n.24. 23 Cass. 28 aprile 1995, n.4735, in Mass. 1995, 341.
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fondamento dei fatti contestati, sia espressione di una volontà
persecutoria ai danni del dipendente sino ad ottenerne le dimissioni o
l'applicazione della sanzione espulsiva o, comunque, di sanzioni non
proporzionate alla gravità del fatto commesso. Il datore di lavoro potrà
essere, dunque, esposto alla tutela risarcitoria aquiliana e contrattuale per
aver, da un lato, eventualmente posto in essere un comportamento di per
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l'atteggiamento del datore finalizzato a persecuzioni o vessazioni ai
danni del lavoratore. E' questa l'ipotesi dell'abuso manifesto del potere
disciplinare, nell'utilizzo, in sede di contestazione di addebito, di
espressioni offensive alla dignità e del decoro della persona, essendo
consentito al datore, in ragione del potere di sovraordinazione, di
richiamare disciplinarmente ed in maniera anche dura il dipendente, ma
pur sempre nel rispetto dei principi di correttezza e tutela della
personalità morale del lavoratore.24 Tuttavia, la prova dell'intento doloso
della condotta, non è sempre di agevole accertamento per il lavoratore. Il
potere del datore di sanzionare disciplinarmene i lavoratori che mettono
in atto comportamenti molesti verso altri può valere non solo nei casi in
cui le condotte lesive siano compiute ad opera dei superiori nei confronti
dei soggetti sottoposti al loro potere gerarchico, ma anche nell'ipotesi
opposta: il datore di lavoro può sanzionare, specificamente recedendo
dal rapporto di lavoro, le condotte gravemente offensive, gli insulti,
ingiurie e minacce dei lavoratori di livello inferiore nei confronti dei
superiori.25
24 Il potere gerarchico e disciplinare consente a chi lo esercita di richiamare il dipendente lavoratore,tuttavia, affinchè ciò avvenga entro i limiti di un comportamento legittimo, è necessario il rispetto del principio di correttezza e della dignità umana "Esula da ogni potestà disciplinare, astrattamenteconfigurabile anche nei rapporti di lavoro come ius corrigendi, l'uso di espressioni che, per la formaunivocamente e manifestamente offensiva o per la valenza mortificatrice del contenuto, travalichinoogni finalità correttiva e disciplinare": Cass.pen. 18aprile 1997, in Riv.pen.1997, 923. 25 In tali condotte sono state spesso riscontrate lesioni del prestigio del datore di lavoro per il buon andamento dell'azienda, negazione del potere gerarchico e rifiuto di obbedienza all'ordine di lavorolegittimamente dato. Ad es. Cass. 25 ottobre 1990, n.10344, Ngl, 847; Cass. 3 febbraio 1986, n.644, inMass.1986; Cass. 25novembre 1986 n.6945, in Mass. 1986.
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È stato anche ritenuto licenziabile il lavoratore risultato essere il
responsabile di diverbi ripetuti, tali da determinare un ambiente
lavorativo insopportabile26.
Un'altra area riconducibile ai comportamenti di mobbing concerne le
pretese sproporzionate poste nei confronti del lavoratore, ed infatti la
giurisprudenza ha anche già considerato le scelte organizzative del
lavoro, considerando un inadempimento dell'art.2087c.c la richiesta di
un impegno eccessivo del lavoratore, cui sia assegnato o non sia
impedita la distribuzione di un carico troppo esteso di lavoro, tale da
eccedere la normale tollerabilità secondo le regole di comune esperienza,
oppure un carico sproporzionato di lavoro usurante27. Da ultimo, la Corte
di cassazione, con sentenza 5 febbraio 2000, n.130728, ha confermato la
responsabilità del datore di lavoro ex art.2087c.c. per aver sottoposto il
lavoratore per un lungo periodo ad un'attività lavorativa estenuante,
dovuta alla sproporzione tra la quantità di lavoro prevista ed il personale
addetto al suo compimento. La Corte, richiamando la sua precedente
giurisprudenza, ha ribadito che tale responsabilità contrattuale nasce
dalla combinazione dell'art.2087c.c. e dell'art.32Cost. con l'inosservanza
26 Pret. Fermo, 6 ottobre 1990, in Dir.lav.marche, 1991, 56. 27 Cass.1 settembre 1997, n.8267, in D&L, 1997, n.4. Pret.Pisa 17 ottobre 1994, in Toscana lav.giur.,1994, 561, che afferma che l'art.2087 comporta che "l'autonomia organizzativa dell'aziendanell'assegnazione delle mansioni trova un limite nella necessità di non pregiudicare le residuecondizioni di salute del dipendente".28 In G.Law, n.11, 2000.
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dell'obbligo preesistente del datore di lavoro ex art.41cost., e che tra le
misure che il datore di lavoro deve porre in essere in base a quest'ultimo
precetto costituzionale sono anche ricomprese quelle (quali
l'adeguamento dell'organico) intese ad evitare eccessività di impegno
(c.d. surmanage lavorativo) da parte di un soggetto che è in condizioni di
subordinazione socio-economica, al fine di impedire l'insorgere o
l'ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche. Tutti i casi di mobbing
in cui, anche solo indirettamente come conseguenza della "presa di mira"
del dipendente, gli fossero attribuiti compiti troppo gravosi,
rientrerebbero in questa fattispecie. 29
Significativo è rilevare come nel caso in cui vengano poste in essere
nei confronti del lavoratore delle condotte ingiuriose ed offensive, la
giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro, ed
ha ritenuto risarcibili il danno morale ex art.2059c.c. nel caso in cui sia
integrato il reato di ingiuria (art.594 c.p.), il danno patrimoniale e anche
quello biologico30. Particolarmente, nel caso in cui il lavoratore aveva
subito ripetute ingiurie e mortificazioni, integranti un comportamento
delittuoso, che avevano, quale conseguenza diretta, recato danni alla sua
29 Per l'integrazione della quale non è neppure richiesto un preciso fine persecutorio (elemento invece del mobbing), bensì è sufficiente il risultato di un'assegnazione squilibrata del lavoro in danno alla salute del lavoratore.30 Cfr.Cass. 12 gennaio 1995, n. 317, in Mass., 1995.
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integrità fisica e morale, è stata riconosciuta31 la responsabilità del datore
di lavoro ex art.2087c.c. Ad ogni modo, l'estensione e l'ampiezza del
fenomeno è peraltro testimoniata dai recenti sviluppi giurisprudenziali,
alla luce dei quali sembrano potersi far rientrare nella fattispecie
finanche molestie esercitate dal dipendente (c.d mobbing orizzontale) nei
confronti del collega di lavoro e per le quali in precedenza si è inteso
attribuire all'autore l'esclusiva responsabilità, a nulla rilevando in tali
circostanze la "neutralità" del datore di lavoro32. La Corte, difatti, ha da
ultimo affermato l'obbligo del datore di lavoro di garantire l'incolumità e
l'integrità dei propri dipendenti sul posto di lavoro in ogni forma e con
ogni mezzo, anche adottando le indispensabili misure organizzative
idonee a conseguire lo scopo che costituiscono uno degli aspetti più
significativi della nuova normativa dettata dal d.lgs. n.626/199433. La
considerazione dell'inadempimento dell'obbligo del datore di lavoro di
31 Pret.Milano 22 novembre 1993, in D&L, 1994, 596. In altri casi è stata ravvisata la responsabilità extracontrattuale ex art.2043c.c., ad es. Cass. 22 luglio 1987, n.6375, che riconosce il risarcimento deldanno "in base al combinato disposto degli art.41Cost. e 2043 c.c., essendo ravvisabile un danno evento derivante dalla semplice violazione della dignità umana e direttamente risarcibile prescindendoda un'effettiva diminuizione patrimoniale del soggetto leso o dall'esistenza di un danno morale,rilevante solo nell'ipotesi di reato".32 Cfr. P. Modena 29 luglio 1998, in LG, 1999, n.6 33 Cass 18 aprile 2000 n.5049, ined. Rilevano qui la generale disposizione dell’art. 5, comma 1, chestabilisce che "ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro" (obbligo che è ragionevole ipotizzare che possa essere disatteso dal lavoratore che si trovi in stato di tensione emotiva e di disagio psicologico) e quella dell'art. 5, comma 2, lettera h), secondo la quale i lavoratori sono chiamati a contribuire "insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti,all'adempimento di tutti gli obblighi imposti dall'autorità competente o comunque necessari pertutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro", sanzionata penalmente in caso di omissione.
51
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porre in essere tutte le misure necessarie al fine di proteggere l'integrità
psicofisica del lavoratore acquista particolare rilievo laddove si consideri
che il datore venuto al corrente di condotte illegittime perpetrate dai suoi
dipendenti ha a disposizione strumenti per intervenire a tutela dei
lavoratori vessati. E significativo è l'orientamento espresso di recente
dalla Suprema corte34 riguardo alla riconducibilità al concetto di
"occasione di lavoro" di tutto quanto attiene alle "condizioni ambientali"
di lavoro.
Questa analisi giurisprudenziale dei comportamenti ampiamente
riconducibili alla fattispecie mobbing risulta necessariamente sommaria
per la natura "bivalente" del fenomeno, in quanto, se le persecuzioni
perpetrate ai danni di un lavoratore trovano la loro scaturigine diretta o
indiretta nella volontà del datore di discriminarlo o isolarlo, allora è
sufficiente costruire la fattispecie sulla base di una serie di atti tipici
elaborati da dottrina e già sanzionati dalla legge o dalla giurisprudenza.
Altrettanto non può farsi nel caso di una pluralità di singoli atti atipici
non di per sé significativi o giuridicamente rilevanti (ad es. i colleghi
evitano di parlare con la vittima, fanno circolare pettegolezzi, quando
questi non sfocino in vere e proprie forme di diffamazione perseguibili
34 Cass.n.9801/1998.
52
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
penalmente, sono soliti ridicolizzarla, ecc.). Ciò in quanto con
riferimento a questi ultimi casi:
Á Non ci si trova solitamente di fronte ad atti tipicamente contralegem;
Á Proprio in considerazione della loro atipicità ed al loro carattere per così dire neutro, non è semplice distinguere quelli che sono effettivamente diretti ad arrecare danno al lavoratore rispetto a quelli che invece rientrano nella normale gestione dei rapporti sociali;
Á Appare problematico consentire al giudice di intervenire nella gestione di rapporti sociali, autorizzandolo ad emettere giudizi di natura essenzialmente morale, a fronte di comportamenti che non abbiano una propria rilevanza giuridica intrinseca.
Ma non v'è, perciò, chi non veda che tutti questi atti in sé considerati e
singolarmente esaminati sembrano assolutamente neutri: nel senso che
su di essi non può seriamente pensarsi di fondare un giudizio di
responsabilità civile se non nel caso forse in cui si dimostri (ma con
qualche immaginabile difficoltà di carattere processuale) che essi
siano tutti legati da un filo teso ad arte da parte di qualcuno che abbia
come obiettivo proprio l'emarginazione del lavoratore e la sua
espulsione dal posto di lavoro o nel caso che comunque ad essi si
accompagnino poi altri comportamenti che invece abbiano autonoma
rilevanza giuridica.
53
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
2.3 Demansionamento e forzosa inattività
Spesso, come già evidenziato dagli studi psicologici, medici e
sociologici richiamati, le pratiche di mobbing colpiscono la
professionalità del lavoratore: ciò accade in tutti i casi in cui ad esso
venga impedito il normale e completo svolgimento delle mansioni di
competenza, oppure il dipendente sia in altro modo mortificato nelle sue
capacità ed aspettative professionali. I casi illegittimi di
dequalificazione, demansionamento ovvero svuotamento di mansioni e
riduzione all'inattività, nonché quelli di mancato riconoscimento dei
diritti derivanti dalla qualifica del lavoratore, operati dal datore di lavoro,
violano l'art.2103c.c., e, oltre a poter causare danno alla salute, fanno
sorgere per il datore l'obbligo di reintegrare35 il dipendente nelle
35 A fronte dell'illegittimo demansionamento, il giudice può ordinare la reintegrazione del lavoratore nelle mansioni precedentemente svolte o in altre equivalenti. Tale possibilità è affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti sulla base del principio di rimozione degli effetti dell'atto illegittimoe di conseguente obbligatorio ripristino dello stato quo ante. Per Scognamiglio, op cit., le conseguenze dell'illegittima assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori a quelle precedenti svolte ecorrispondenti al bagaglio professionale acquisito non può svolgersi in un ordine di reintegra nellaprecedente posizione lavorativa per l'ineseguibilità in forma specifica dell'ordine di reintegra stesso. Secondo altri autori, invece, essendo l'atto datoriale nullo, ne consegue che la decisione deve considerarsi inesistente e pertanto il lavoratore potrà ottenere la riassegnazione delle mansioniprecedenti.: Gragnoli, Considerazioni sul diritto alla qualifica, in Riv it.dir.lav., 1991, I, 244; Tullini, La c.d tutela reale di diritto comune, DRL, 1990, 8, 103. Per la giurisprudenza cfr.: P.Milano 19/2/1999, in Riv.it.dir.lav., 1999, II, 37; Pret. Milano 9/12/1997, ivi, 1998, 421. Recentemente la Cassazione con sentenza n.539/1998, in Mass.giu.lav., 1998, 290 ha statuito che " la reintegrazionenel posto di lavoro è provvedimento eccezionalmente consentito nei soli casi previsti dall'art.18 della legge n.300/1970 e, pertanto, non può essere adottato a carico del datore di lavoro che, in violazionedell'art,2103c.c., abbia assegnato il lavoratore a mansioni inferiori, contrastando, oltretutto lacondanna al ripristino della assegnazione alle precedenti mansioni con la facoltà del datore di lavorodi adibire il lavoratore a compiti diversi nei limiti previsti dal citato art.2103c.c.". Per la SupremaCorte, allora, l'unico rimedio possibile rimane quello del ripristino della posizione di lavoro deldipendente mediante assegnazione a mansioni corrispondenti alla qualifica: Cass. n.13187/1991, inRiv.it.dir.lav.,1992, II, 947; Cass. n.9584/1990.
54
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mansioni spettantigli e di risarcirgli, nel caso si sia verificato, il danno
patrimoniale alla professionalità globalmente intesa. Il relativo danno da
demansionamento ha, in verità, una struttura complessa36, in cui
l'elemento principale è proprio il danno alla professionalità, a cui deve
aggiungersi il danno alla personalità, il danno alla vita di relazione, il
danno biologico alla salute e, in alcuni casi, anche quello morale.
Invero, "il danno da dequalificazione non ha ancora assunto una
definizione contenutistica sufficientemente precisa, tale da garantire
l'inesistenza di inutili e ingiustificati sovrapposizioni con altre voci di
danno alla persona"37.
Nel "sistema pre-mobbing" l'art.2103c.c. ha giocato un ruolo centrale
e decisamente ampia risulta, pertanto, la casistica sui danni da
dequalificazione e da demansionamento professionale; in particolare,
sotto questo profilo, la responsabilità del datore di lavoro è stata
riconosciuta soprattutto sulla base del combinato disposto degli
artt.32Cost. 2043c.c. e 2103c.c. nelle seguenti fattispecie: emarginazione
del dipendente tramite la progressiva dequalificazione della sua attività38,
variazione in pejus delle mansioni lavorative39, impoverimento del
36 Pedrazzoli, op. cit., 125. 37 Lanotte, op. cit., 230; concorda sulla mancanza di vere e proprie guidlines in questo campo Raffi,op cit., 63. 38 Pret. Roma 17 aprile 1992, cit.39 Da ultimo Cass. sez. lav. 18 ottobre 1999 n.11727, in Guida al lavoro, 2000, 244.
55
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bagaglio professionale a causa di costrizione del lavoratore
all'inattività40coatta, affiancamento di uno o più soggetti al fine di
controllare e svilire l'attività della vittima41, reintegrazione del lavoratore
illegittimamente licenziato in mansioni non corrispondenti alla sua
qualifica42. È opportuno rilevare qui che il sistema previsto dalla norma
in questione, pur novellato in favore dei lavoratori dalla l.300/1970, non
ha eliminato, come recentemente ribadito dalla Suprema corte43, lo ius
variandi del datore di lavoro, ma ne ha eliminato rigorosamente
l'esercizio. Sempre la Cassazione44 ha statuito che il requisito
dell'equivalenza, che, a norma dell'art.13 dello statuto dei lavoratori,
legittima il mutamento di mansioni, implica: 1) che le mansioni
appartengano alla stessa sfera di professionalità, intesa come il
complesso delle capacità e delle attitudini del lavoratore da questi già
acquisite o che sia in grado, per la sua preparazione ed il suo livello, di
acquisire; 2) che il mutamento non comporti una diversa collocazione
del lavoratore nella gerarchia dell'impresa, né una modificazione della
categoria, qualifica ed eventuale grado di appartenenza. Così,
l'assegnazione a mansioni non corrispondenti all'inquadramento
40 Pret.Milano 29 agosto 1990, in Orient.giur.lav., 1991, 14. 41 Cass. 11gennaio 1995, n. 276, in Riv.crit.dir.lav., 1995, 961. 42 Pret.Milano 8 aprile 1992, in Riv.crit.dir.lav., 1993, 658. 43 Cass.sez.lav., 17 maggio 1999, n. 2428, in Giust.civ.Mass., 1999, 587. 44 Cass.sez.lav. n. 7040/1998, in Dir. e Prat. Lav., 1999, n.2, 113.
56
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
contrattuale del lavoratore e non aderenti alla sua specifica competenza,
che non gli consentano la piena utilizzazione o l'arricchimento della
professionalità45 acquisita nella fase pregressa del rapporto, comporta
una dequalificazione professionale. Si noti inoltre come la
giurisprudenza sia incline ad affermare che la norma dell'art.2103c.c., nel
consentire che il lavoratore sia adibito a mansioni diverse da quelle
svolte precedentemente (purché ad esse equivalenti), ha inteso
assicurare, in via primaria ed essenziale, il diritto del lavoratore a
mantenere in ogni caso il livello qualitativo della propria attività. Ciò
comporta che quando non venga in discussione l'aspetto qualitativo della
prestazione, la norma non vieta al datore di lavoro di disporre un
mutamento che porti a una riduzione quantitativa delle mansioni: la
dequalificazione della posizione del lavoratore non deriva pertanto
automaticamente dalla riduzione quantitativa delle mansioni, ma deve
essere accertata in concreto, in relazione alle specifiche mansioni svolte.
Il che dimostra come l'art.2103 non sempre possa funzionare nei casi di
mobbing, avendosi spesso comportamenti, che, per eludere la
disposizione in questione, non variano la qualità delle mansioni, ma ne
45 In materia di interpetrazione del 2103c.c. la dottrina propende per una lettura rigorosamentegarantista, desumendo l'equivalenza delle mansioni da una serie di indici, quali la professionalità, la posizione gerarchica nell'organizzazione dell'impresa, il prestigio connesso alle precedenti mansioni,le aspettative di carriera. Si vuole in tal modo assicurare al lavoratore che le nuove mansioni gliconsentono di utilizzare il bagaglio di nozioni tecniche sviluppato nella fase pregressa del rapporto. Cfr. Dell'Olio M., Le mansioni, la qualifica, il trasferimento, in Tratt. di dir. priv., diretto da Rescigno,Utet, 1986, vol.15, 1, Torino, 502.
57
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
riducono la quantità, fino a fare sentire inutile la vittima46. Per converso
in un caso47, che oggi verrebbe classificato come mobbing, è stato
ritenuto che l'assegnazione del lavoratore a mansioni non corrispondenti
alla categoria di appartenenza, che non consentano alcun arricchimento
del patrimonio professionale, né avanzamenti di carriera, e che al
contrario determino uno stato di inoperosità ed emarginazione, viola
l'art.2103c.c e comporta la condotta del datore di lavoro al risarcimento
del danno alla professionalità. Ad ogni modo, tale giurisprudenza risulta
essere attualissima dato che, come evidenziato48, il mobbing oltre non
costituire una novità assoluta è espressione di questa stessa
giurisprudenza e continuerà ad attingere ad essa.
Difatti, molte condotte persecutorie o vessatorie (appunto mobbing)
hanno un notevole ed immediato impatto sulle concrete possibilità del
lavoratore di svolgere le sue mansioni e si manifestano per lo più in
forme, per così dire, "surrettizie" di dequalificazione o di lesione del
bagaglio professionale posseduto ed utilizzato, senza avere le sembianze
formali di un fatto o atto giuridico finalisticamente indirizzato a questi
scopi. Secondariamente, dall'applicazione in campo lavoristico del
generale principio civilistico del neminem laedere, che assume la
46 Matto, op. cit. 495. 47 Trib. Milano, 30 maggio 1997, in D&L, 1997, 789. 48 Matto V., Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio, in DRL, 1999, n.4, 491.
58
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
particolare veste giuridica di una vera e propria obbligazione contrattuale
nell'art.2087c.c., emergono univoche indicazioni verso una lettura ed un
utilizzo comparato di quest'ultimo e dell'art.2103c.c. I continui
comportamenti vessatori di mobbing ledono primariamente la personalità
morale del lavoratore, ed è interessante rilevare come secondo una
ricostruzione dottrinale49 la tutela della dimensione professionale va
ricondotta proprio all'art.2087c.c. Punto di collegamento delle due
suddette norme sono fattispecie50 nelle quali viene intaccata più o meno
gravemente l'attitudine e la capacità professionale di un soggetto, in
misura tale da indurlo in condizioni psicofisiche profondamente prostrate
e disturbate, soprattutto a causa della frequenza e della ripetitività delle
condotte illegittime in questione. Se da un lato quanto disposto
dall'art.2103c.c. in materia di dequalificazione potrebbe essere
genericamente esteso a qualsiasi episodio lesivo della professionalità in
senso lato del lavoratore, una lettura combinata con l'art.2087c.c.
permetterebbe di ampliare la protezione della personalità e dignità del
lavoratore51. Il demansionamento o la persistente inattività, attuati con la
persecuzione da mobbing, realizzano una offesa alla personalità morale
49 Pera, Sul diritto del lavoratore a lavorare, in RIDL, 1991, II, 388.Il quale rileva che come non v'èdubbio sul fatto "che lasciare senza lavoro il dipendente ne mortifica ed umilia la personalità morale".50 Meucci, Risarcimento per dequalificazione e danno biologico, in LPO, 1992, 1172ss. 51 Boscati, Danno alla professionalità: lesione di un interesse morale di natura contrattuale, in Lav.giu., 1998, 140.
59
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
in termini di sofferenza e mortificazione la cui risarcibilità va appunto
affermata anche con riferimento alla disposizione contenuta nel 2087c.c.
Se così non fosse quest'ultima norma potrebbe non essere stata scritta:
infatti una norma del genere o è stata scritta o tamquam non esset52. Si
entra in un campo in cui l'ampia e generica disposizione dell'art.2087c.c.
dovrebbe estendere la sua forza precettiva al di là del semplice rispetto
della legislazione tipica della prevenzione antinfortunistica, per dare
effettiva efficacia "alla dimensione personale del lavoratore" e per
vedere concretamente riconosciuta una doverosa attività di
collaborazione del datore di lavoro, da un lato nell'adozione di tutte le
misure, ambientali e personali (e quindi anche nei confronti dei suoi
preposti), che si rilevino idonee a tutelare l'integrità psicofisica del
lavoratore, e dall'altro nel non compimento di attività che rappresentano
abusi dei suoi poteri, o addirittura esulano completamente da questi;
campo in cui, inoltre, si sovrappongono e si intrecciano il danno
professionale, la cui individuazione e valutazione è tendenzialmente
pacifica, trattandosi di lesione ad un bene (professionalità)
economicamente valutabile, posto che rappresenta uno dei principali
parametri per la determinazione del valore economico di una persona nel
mercato del lavoro, e il danno alla persona in quanto tale. In particolare,
52 Pret. Milano 28 dicembre 1990, in Riv.it.dir.lav., 1991, II, 388.
60
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
l'art.2103c.c., limitando l'esercizio dello ius variandi del datore,
stabilisce il principio di equivalenza delle mansioni, al fine di tutelare la
corrispondenza tra il patrimonio professionale del lavoratore e la sua
collocazione nella struttura organizzativa. L'inderogabilità della norma
implica, di conseguenza, l'illegittimità sia delle modifiche in pejus delle
mansioni del lavoratore, quanto della sua forzosa inattività (tattica
mobbizzante, specie a fini ritorsivi) dal momento che sono vietate tutte
le "prassi dirette a sacrificare la professionalità del lavoratore e non c'è
dubbio che il non utilizzo del lavoratore nell'ambito delle mansioni a lui
spettanti costituisce la lesione più profonda di questo bene53". Orbene, la
mancata esecuzione della prestazione lavorativa, soprattutto se come nel
mobbing scientemente prolungata nel tempo54, il sostanziale
svuotamento dei compiti da ultimo assolti ovvero l'assegnazione a nuovi
incarichi che, formalmente equivalenti o addirittura superiori rispetto ai
precedenti, siano nei fatti privi di contenuti55, riducono le capacità
professionali comportando una dequalificazione sostanziale del
lavoratore. Dalla dequalificazione, intesa anche come inattività forzosa,
53 Romagnoli, Per una rilettura dell'art.2087, in Riv.trim.dir.proc.civ., 1977, 1052. 54 La giurisprudenza ha escluso l'esistenza di un danno alla professionalità sul rilievo che non solo il livello professionale delle mansioni precedenti non era elevatissimo, ma anche perché la dequalificazione era di breve durata. 55 Ancorchè l'art.2103 non faccia menzione dell'ipotesi di svuotamento di mansioni, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che anche tale eventualità dia luogo ad una violazione della norma codicistica, e ciò in considerazione del fatto che l'effettivo esercizio dell'attività lavorativa non esaurisce la sua funzione consentendo al lavoratore di poter disporre di una fonte di guadagno, ma rappresenta anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del soggetto.
61
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
discende la nullità dell'atto, lesivo del bene giuridico protetto
dall'art.2103c.c., a cui segue l'obbligo di reintegrare il lavoratore nelle
precedenti mansioni o in altre equivalenti, sempre che lo tesso, non più
interessato alla conservazione del rapporto, non intenda recedere
adducendo una giusta causa di dimissioni ai sensi dell'art.2119c.c.
Tenuto conto, tuttavia, dell'incoercibilità dell'obbligo gravante sul datore
di ripristinare la situazione antecedente al comportamento vietato, "in
questo contesto è il rimedio risarcitorio a garantire un minimo di
effettività alla tutela giurisdizionale"56.
2.3.1 La professionalità del lavoratore mobbizzato.
Come detto, quando uno degli strumenti utilizzati dal mobber sia il
demansionamento della vittima, si potranno utilizzare, per la
quantificazione del danno corrispondente alla variazione in pejus delle
mansioni, i criteri delineati nei precedenti giurisprudenziali in questo
campo, fermo restando, ovviamente che nelle ipotesi di mobbing si va
ben al di là della semplice dequalificazione, rappresentando tali pratiche
un "vulnus" alla personalità del lavoratore57.
56 Montuschi, op. cit., 338. 57 Vitale C., Personalità del lavoratore, dequalificazione professionale e risarcimento, in LPO, n.4, 1996, 636.
62
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
La somma delle qualità professionali incide, infatti, nella sfera di
realizzazione della personalità dell'individuo, ed il complesso delle
cognizioni soggettive acquisite dal lavoratore attraverso lo svolgimento
delle mansioni, cioè il suo patrimonio professionale, è stato denominato
dalla dottrina (già Smuraglia,1967) come "status professionale". Questa
condizione costituisce un attributo qualificante della sua personalità, ma
resta da accertare come il livello professionale sia inquadrabile
giuridicamente, e come tale, sia tutelabile sul piano del diritto positivo. Il
problema, in sostanza, s'incentra nello stabilire se l'interesse del
lavoratore a vedersi riconosciuto il proprio livello professionale abbia,
oppur no, consistenza di diritto soggettivo. A tal fine, secondo una
pronuncia della Corte di Cassazione58 la norma di riferimento va
individuata nell'art.41, comma2°, della Costituzione, ritenuto
immediatamente precettivo.
A parere di taluni autori e della giurisprudenza59, la tutela del livello
professionale andrebbe ricondotta nel diritto all'identità, in quanto la
qualifica è elemento di identificazione della persona60 stessa. La
58 Cass. 10 marzo 1992, n.2889, in Giust.civ 1993, I, 199, con nota di Pilati A., Ius variandi e obbligodi adeguata motivazione.59 Ad.es. Pret. Milano 28 marzo 1997, in dir.crit.dir.lav., 1997, 791, secondo cui: "il danno allaprofessionalità è distinto dall'eventuale danno patrimoniale, biologico o morale che il fatto lesivo della dequalificazione può produrre, essendo il bene della professionalità una componente dell'identità professionale di ogni soggetto, ed è pertanto risarcibile di per sé, indipendentemente dalla risarcibilità degli ulteriori effetti lesivi che l'inadempimento può provocare sul piano patrimoniale, biologico o morale".60 U. Natoli, Diritti fondamentali e categorie generali, Milano, 1993, 426.
63
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
giurisprudenza, proprio al fine di superare queste difficoltà di
inquadramento sistematico, ha comunque tenuto a precisare che dalla
violazione dell'art.2103c.c. e dalla conseguente dequalificazione del
lavoratore può derivare un danno alla professionalità distinto
dall'eventuale danno patrimoniale, biologico e morale che il fatto lesivo
può produrre, essendo il bene della professionalità una componente
dell'identità professionale di ogni soggetto protetto dall'art.2Cost. anche
attraverso l'attribuzione di veri e propri diritti soggettivi. Il lavoratore
pertanto può chiedere l'eventuale danno prodotto dalla condotta
illegittima del datore anche se non è configurabile un danno
patrimoniale, dato che, anche se demansionato, egli continua a percepire
il trattamento retributivo corrispondente alla sua qualifica.
Con il mobbing ci si avventura in un terreno assai delicato, ove i
confini tra danno biologico (in specie psichico), lesione della
professionalità, lesione della personalità e mera sofferenza morale
sfumano pericolosamente e nel quale la logica conclusione della
immanenza del danno alla condotta, non potendosi avere mobbing senza
lesione, può innescare un meccanismo di elisione dell'onere della prova
del danno e quindi portare verso la sostituzione in via interpretativa del
sistema risarcitorio con un sistema sanzionatorio. D'altra parte, non è
questo un tema nuovo al diritto del lavoro: l'identica contrapposizione fra
64
_________________________________________________________I PROFILI TIPOLOGICI DEL MOBBING
sostenitori di una rigorosa applicazione dell'onere della prova del danno,
gravante sul lavoratore, e fautori di un risarcimento in via presuntiva del
diritto al risarcimento, in ragione della intrinseca lesività della condotta
datoriale, è nota alla giurisprudenza proprio in materia di danno alla
professionalità. Tra i giudici, alcuni ritengono che il danno sia in re ipsa
e pertanto debba essere risarcito, mentre altri ritengono che esso debba
essere dedotto e provato dal lavoratore ai fini di un risarcimento. Ad
esempio, si è affermato che, essendo la lesione del bene della
professionalità non facilmente rilevabile, la prova dell'esistenza di tale
danno può essere fornita anche in via presuntiva, secondo "l'id quod
plerumque accidit"; per contro, parte della giurisprudenza ritiene non
sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva del comportamento
datoriale. La Cassazione è intervenuta 61statuendo che, non ponendosi
tale danno quale conseguenza automatica di ogni comportamento
illegittimo rientrante nella categoria, non è sufficiente dimostrare la mera
potenzialità lesiva della condotta. Relativamente alle pratiche di
mobbing, persecutorie e surrettizie, attuate incedendo sulla
professionalità e sulla sfera personale, la posizione espressa da Meucci62
potrebbe essere confacente: l'autore sostiene che l'onere probatorio non
61 Cass., sez.lav., n.7905, 1998, in Giust. Civ. Mass., 1998, 1693. 62 Meucci, Ancora sul risarcimento del danno alla professionalità e del danno biologico, in LPO, 1999, 1745.
65
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debba ricorrere per quelle componenti del danno alla professionalità che
si sostanziano nelle lesioni inferte alla dignità, personalità, reputazione
ed immagine professionale. Del resto, il danno derivante da queste
prolungate pratiche di mobbing, può colpire in via immediata la
professionalità del lavoratore e solo a titolo di ulteriore conseguenza la
sua integrità psicofisica, infatti, come danno alla professionalità, esso si
traduce nello scadimento delle competenze ed esperienze e nelle
diminuite possibilità di una affermazione nell'attività lavorativa. Ciò
deriva dalla configurazione del lavoro come, non soltanto un mezzo di
guadagno, ma anche come mezzo attraverso cui si estrinseca la
personalità di ognuno: è conforme alla tutela della professionalità solo lo
spostamento del lavoratore operato in modo tale da consentire
l'utilizzazione e non la sottoutilizzazione del suo patrimonio
professionale. Il lavoratore, infatti, vede diminuire la propria posizione
all'interno dell'azienda, e ciò comporta che la mancata crescita
professionale provochi una riduzione o distruzione delle sue naturali
difese. Tale danno è considerato suscettibile di risarcimento da
determinarsi in via equitativa63 ex art.1226c.c. Circa l'autonoma
risarcibilità del danno alla professionalità discende la risarcibilità del
63 La giurisprudenza ha tuttavia fornito una serie di parametri cui fare riferimento: tra questi, inparticolare, la retribuzione mensile e la durata della dequalificazione, i riflessi del lavoratore sul mercato e sulla immagine professionale. Cfr Pera, op.ci., in RIDL, 1991, II, 388.
66
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danno cagionato e quella del danno biologico, nella cui categoria risulta
compreso il danno alla vita di relazione, quello alla personalità e quello
estetico. Infatti, dalla situazione di dequalificazione può derivare un
danno all'integrità psicofisica risultando menomato il valore della
persona nel suo complesso; per altri, il danno alla professionalità,
comprende quello alla vita di relazione e all'immagine, ma è esclusa la
risarcibilità di quello biologico in quanto l'inadempimento contrattuale
non determina lesione della salute.
2.3.2 L'insorgenza del danno biologico nelle pratiche di demansionamento ed i danni conseguenziali.
La dequalificazione da mobbing realizzata attraverso il deliberato
disconoscimento delle proprie capacità lavorative, l'assegnazione a
compiti di minore importanza ,la forzata inattività con conseguente
isolamento dall'intero contesto lavorativo , può far insorgere
nell'interessato difficoltà relazionali con i colleghi di lavoro, al punto da
dare origine ad un'alterazione dell'equilibrio psicologico traducibile in
una maggiore difficoltà di gestione dei rapporti sociali all'interno del
luogo: ciò può dare origine ad una effettiva lesione della salute, in
quanto, se il diritto costituzionale alla salute garantisce l'integrazione e la
partecipazione sociale dell'individuo, l'ambiente di lavoro è un luogo nel
67
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quale tale integrazione e partecipazione si realizzano64. In adesione,
perciò, ai più recenti sviluppi giurisprudenziali e dottrinali, si ritiene che
la lesione del patrimonio professionale del lavoratore sia potenzialmente
produttiva non solo del tradizionale danno patrimoniale, ma anche del
c.d danno biologico65. Nella pratica giudiziaria si registrano taluni casi
di comprovata afflizione del sistema nervoso, conseguenti a pratiche
dequalificatorie, che hanno occasionato una liquidazione del danno
biologico, sempre su base equitativa, in misura direttamente
proporzionale alla durata della sindrome psiconevrotica, all'età o
anzianità di servizio del danneggiato ed alla sua retribuzione. Tra i casi
più recenti66 e sintomaticamente riconducibili al mobbing, si ricorda
quello di un alto dirigente bancario rimosso, per una ritorsione alla sua
manifestata avversione ad un piano di ristrutturazione aziendale, con
l'assegnazione di incarichi di assoluta inconsistenza contenutistica e
qualitativa, fino ad uno stato di totale inattività causativo di un vero e
proprio danno biologico (comprovato da certificazione specialistica). Si
64 Franco M., op. cit., 200. Idem Scognamiglio, op. cit., 32. 65 Per l'approfondimento della figura del danno biologico si rinvia al capitolo successivo. Ora ci si limita a ricordare che la nozione attualmente accolta dalla giurisprudenza maggioritaria ricomprendenel danno biologico (inteso come menomazione all'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non siesaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza) non solo le forme di danno incidenti sulla capacità di produrre reddito, ma anche quelle forme di danno che si collegano alla somma delle funzioninaturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica maanche biologica, sociale e culturale. 66 Pret. Roma 17 aprile 1992, in LPO, 1992, 1172.
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registra ancora il caso67 di un lavoratore, confinato per ben 11 anni
nell'inattività, a favore del quale il magistrato ha riconosciuto il danno
biologico tenuto conto che l'infermità in questione comportava una
riduzione della capacità lavorativa specifica in misura addirittura del
70%. Per la lesione del danno biologico, addizionale a quello per lesione
della professionalità, è pressoché concorde opinione dottrinale68 e
giurisprudenziale che debba essere assolto dal lavoratore ricorrente un
rigido onere probatorio circa la sussistenza di un nesso di causalità,
ovvero di concausa69 o concorrenza, dell'inadempimento derivante da
dequalificazione o forzosa inattività ai fini della compromissione dello
stato di salute o della serenità psicofisica. Inoltre, la stessa
giurisprudenza70 ha precisato che, all'infuori del caso, sempre possibile,
in cui la dequalificazione abbia cagionato al lavoratore la lesione della
sua integrità fisica e/o psicofisica, e dell'ipotesi in cui la stessa abbia
cagionato la lesione di un interesse stricto sensu patrimoniale del
lavoratore, la dequalificazione comporta comunque la lesione di un
interesse puramente morale del lavoratore. Tale interesse deve ritenersi
dedotto in contratto ai sensi degli artt.1374 e 2103c.c., ed è in quanto tale
67 Pret. Roma 3 ottobre 1991, in Riv.crit.dir.lav., 1992, 390. 68 Marucci, Rilievo del nesso eziologico nei danni correlati al demansionamento, Giur.Lav.Lazio,1998, 600. 69 Appare corretto affermare che il nesso di causalità non è escluso dalla presenza di eventuali concause naturali ed il danno alla persona risarcibile comprende anche quelle conseguenze pregiudizievoli determinate dal fatto lesivo in ragione delle preesistenti condizioni di salute.70 Pret.Bologna 8 aprile 1997, in Lav.Giu., n.2, 1998, 140.
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suscettibile, nell'ambito del medesimo contratto, di valutazione
patrimoniale ai sensi dell'art.1174c.c.71 La considerazione
dell'art.1374c.c. è inoltre utile per meglio definire il fondamento
contrattuale dell'interesse del lavoratore a svolgere la prestazione dedotta
in contratto: tra le conseguenze e gli obblighi strumentali ed accessori
che derivano dal contratto secondo la legge, rientrerebbe anche la
previsione dell'art.2103c.c., quantomeno interpretato nella sua accezione
positiva di riconoscimento di un diritto soggettivo del lavoratore a
svolgere le mansioni per le quali e stato assunto o quelle
successivamente acquisite72.Dunque il danno da dequalificazione anche
come danno morale73. Tuttavia, il danno morale, è soggetto ai limiti
risarcitori che discendono dall'art.2059c.c., per cui il suo riconoscimento,
anche incider tantum, della violazione di un interesse protetto da una
norma penale. Verosimilmente, ciò spiega perché la giurisprudenza in
materia faccia spesso ricorso, talvolta non senza ambiguità al più
generico "danno da dequalificazione": proprio al fine di evitare le
71 Il giudice a seguito dell' illegittimo mutamento delle mansioni, ha disposto oltre al risarcimento deldanno biologico e patrimoniale anche il risarcimento dell'interesse morale affermando che " mentrenell'ipotesi del danno biologico e del danno patrimoniale in senso stretto incombe sul lavoratore,secondo le regole generali, un rigoroso onere di provare le conseguenze dannose dell'inadempimentodel datore di lavoro, il danno derivante dalla lesione dell'interesse puramente morale è in re ipsa,consistendo nell'ipotetico valore, da liquidarsi in via equitativa, che il lavoratore, ove non vigesse ildivieto di reformatio in peius, avrebbe potuto lucrare sul mercato del lavoro in termini di maggioreretribuzione, accettando una previsione contrattuale di incondizionato ius variandi da parte datoriale". 72 Matto, op. cit., 494. 73 Meucci M., Le pratiche di mobbing sul posto di lavoro, in Not.Lav.Prev., 2000, 18, 1638.
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strettoie del 2059c.c74. Per Mannacio75, nella nozione di mobbing è insita
l'intenzionalità della condotta e dunque, una volta risolto il problema del
nesso causale fra mobbing e danno, questo comprende anche il danno
non prevedibile e quello morale se il mobbing ha le caratteristiche del
reato76. Negli ultimi tempi la giurisprudenza tende a sezionare il danno
occorso al lavoratore nelle sue componenti, tra cui si collocano le lesioni
ai valori, beni, della dignità umana, della reputazione e dell'immagine
professionale: "l'assegnazione di mansioni che riducano le attribuzioni
del lavoratore e ne svuotino qualitativamente la posizione professionale
complessiva , comporta un danno alla dignità e personalità del
dipendente, beni protetti a livello costituzionale, suscettibili di
valutazione equitativa con riferimento a una quota della retribuzione
mensile, crescente con il perdurare nel tempo della lesione della
professionalità, fino a raggiungere il 100% della retribuzione stessa"77.
In materia di danni patrimoniali, poi, assume particolare rilevanza la
lesione del diritto alla carriera, con conseguente risarcibilità dei mancati
74 Monateri rileva che" La patrimonializzazione del pregiudizio morale, tramite la categoria del danno da dequalificazione, costituisce certo un escamotage utile per sfuggire alla norma codicistica inquestione: tuttavia, tale via può condurre a problemi di tipo probatorio, oppure incidere sul quantum,sminuendo di fatto la gravità dell'offesa". Monateri, op. cit., 61. 75 Mannacio, Il demansionamento ed il fenomeno del mobbing, in Lav.Giu., 2000, 3, 250. 76 Il mobbing può sicuramente avere una rilevanza penale: aver provocato un danno alla salute dellavoratore, può comportare l'incriminazione per lesioni colpose personali(590c.p.); i richiami delsuperiore che superano il limite della proporzione con il fatto addebitato attraverso l'utilizzo diespressioni denigratorie non necessarie, potranno essere perseguti quali ingiuria o diffamazione(artt.594e595c.p.). Altre figure di reato ipotizzabili nel mobbing sono poi l'abuso di ufficio(art.323c.p.), la violenza privata(art.610c.p.), le molestie sessauli(l.n.66/1996).77 Pret. Milano 9 dicembre 1997, in Riv.crit.dir.lav., 1998, 421.
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guadagni causati dalla perdita di chances lavorative. La dequalificazione
professionale incide infatti non solo sulle attuali capacità reddituali del
lavoratore, ma anche sulle future e potenziali possibilità di sviluppo.
Trattandosi di un danno patrimoniale futuro, l'onere di provare la
sussistenza e l'entità dello stesso deve necessariamente essere meno
rigorosa rispetto a quella richiesta per pregiudizi attuali già verificatisi.
Al fine di ottenere il risarcimento del danno per perdita di chances è
tuttavia necessario fornire la prova della concreta esistenza di alcuni
presupposti necessari per il raggiungimento del risultato sperato e
impedito dall'illecità condotta datoriale, di cui il danno risarcibile deve
essere conseguenza immediata e diretta78.
2.4 Il mobbing sessuale e le accuse di mobbing non provate per la Cassazione.
La molestia sessuale può fungere da tramite, da fase preparatoria al
mobbing sessuale: il mobbing può essere la ritorsione, la vendetta del
molestatore respinto79. Le molestie sessuali non sono di per sé mobbing,
ma vi sono legate da una lunga serie di circostanze in quanto possono
entrare a far parte di una strategia di mobbing. 80 Del resto, come
78 Cass. n. 10748/1996, in Mass.giust.civ., 1996, 1656. 79 Lazzari A., Il mobbing sessuale, Bologna, 1999, ed. a cura dell'associazione PRIMA. 80 Così D'Aponte M., Molestie sessuali e licenziamento: è necessaria la prova del c..d. mobbing, in RIDL, n.4, 2000.
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evidenziato recentemente dalla dottrina81, le molestie sessuali
nell'ambiente di lavoro possono assumere la connotazione di "molestie
ambientali", cioè, consistenti nella creazione di un ambiente di lavoro
ostile ed umiliante, in cui la tolleranza genera esclusione e le condizioni
lavorative della vittima degradano sino a pregiudicare il rendimento.
Dunque, mentre nell'ipotesi del ricatto sessuale la molestia è intenzionale
ed esiste un nesso causale fra il rifiuto della profferta sessuale e la
perdita o la minaccia di perdita di un beneficio lavorativo, nella seconda
ipotesi l'intenzionalità diventa indifferente ai fini della sussistenza della
fattispecie illecita, imperniata intorno al dato "climatico" della reiterata
violazione della sfera sessuale intima della non consenziente.
Nell'ambito della molestia ambientale da mobbing, rientrano pertanto,
tutte quelle condotte verbali, fisiche, anche gestuali, che nel complesso
rendono ostile, offensivo e degradante l'ambiente di lavoro in cui
operano stabilmente le vittime mobbizzate. Per come essa si manifesta,
lo shock emotivo o l'ansia patologica o qualunque altro postumo
duraturo o permanente sulla salute derivante dall'atto di violenza morale,
può scaricarsi sul rapporto pregiudicandone anche la progressione
professionale e di carriera della vittima.
81 Pizzoferrato, Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di tutela, Cedam, 2000.
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Orbene, le molestie sessuali compiute ai danni del lavoratore sono
causative di pregiudizi non patrimoniali ed una recente giurisprudenza ha
riconosciuto oltre la richiesta del risarcimento del danno morale
propriamente detto, in quanto la condotta integrava inadempimento
contrattuale e ipotesi delittuosa, anche il ristoro del danno biologico che
le aveva causato alterazioni a livello psico-emotivo. Infatti, la condotta
lesiva posta in essere da datore nei luoghi di lavoro sconvolgendo le
relazioni, i punti di riferimento e le pratiche inerenti la realizzazione
professionale, la stessa, fonte di autosostentamento su cui si fondavano
le precedenti e consolidate abitudini di vita, avrebbe comportato, come
prevedibile effetto dell'aggressione, una modificazione peggiorativa del
benessere fisico e psichico dell'individuo82. Su questa scia la
giurisprudenza riconosce alla lavoratrice, dimessasi per giusta causa a
seguito del reiterato ed assillante corteggiamento del proprio datore di
lavoro, il risarcimento del danno biologico e del danno morale subito per
la lesione della propria personalità e dignità, ovvero, il giudice ha
ritenuto di dover risarcire equamente a titolo di danno morale la
sofferenza di cui la ricorrente è rimasta vittima nel dover subire, contro
la sua volontà ed in violazione della sua libertà di autodeterminazione,
82 Pret. Milano 14/8/91, in Riv.it.dir.lav., 1992, II, 403, con nota di Poso, Dimissioni a causa dimolestie sessuali e risarcimento del danno.
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un atteggiamento persecutorio. Tale impianto argomentativo è
confermato dalla giurisprudenza successiva83: infatti a giudizio del
tribunale sussiste un nesso eziologico tra il danno biologico e la reiterata
molestia subita perché è ragionevolmente idonea a provocare delle
conseguenze traumatiche nella vittima di ordine psicologico. Alla
lavoratrice competerà inoltre il risarcimento del danno morale perché il
contesto in cui ha subito il mobbing deve essere stato particolarmente
doloroso quanto a durata, alla condizione di subordinazione, alla
pervicacia con cui è stato esercitato il ricatto di licenziamento. Pur nella
infelice formulazione per i riferimenti a due diversi tipi di danno, morale
e biologico, totalmente autonomi l'uno dall'altro, la sentenza è
apprezzabile in quanto nel riconoscere al danneggiato la risarcibilità del
pregiudizio non patrimoniale fa un giusto riferimento alla responsabilità
contrattuale del datore prevista dall'art.2087c.c., che impone di adottare
tutte le misure necessarie a tutelare la personalità morale dei prestatori,
ed il comportamento del datore è senza dubbio offensivo della dignità e
moralità della lavoratrice con grave lesione della sua personalità.
L'intreccio, non raro, tra la molestia sessuale strettamente intesa e una
più generale situazione di aggressione psicologica (mobbing) della
persona impegnata nell'attività lavorativa viene illustrato nella
83 Trib. Milano 19/6/96.
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recentissima sentenza della Corte di Cassazione n.143/2000 84, in cui, a
detta della difesa, la mancata accondiscendenza alle richieste di carattere
sessuale del superiore gerarchico sarebbe stata ripagata da una
insostenibile pressione psicologica e da una sistematica opera di
boicottaggio del lavoro svolto, con frequente irrogazione di sanzioni
disciplinari e conseguente arresto della carriera accompagnato da
demansionamento. Il collegamento instaurato dalla Corte fra la denuncia
di mobbing, di cui non sia stata dimostrata la fondatezza, ed il più grave
provvedimento disciplinare adottabile nei confronti dei lavoratori
subordinati, ha un peso non trascurabile85.
In primo luogo stigmatizza in maniera decisa sia la prassi delle
molestie sessuali sia quella del mobbing; osserva infatti che "le molestie
sessuali poste in essere dal datore di lavoro o dai suoi stretti collaboratori
nei confronti dei lavoratori soggetti al rispettivo potere gerarchico,
costituiscono uno dei comportamenti più detestabili fra quelli che
possono ledere la personalità morale e, come conseguenza, l'integrità
psicofisica dei dipendenti" e sono fonte di responsabilità contrattuale per
84 In RIDL, n.2, 2000, 769. 85 La controversia verteva intorno alla legittimità di un licenziamento "per giusta causa e comunqueper oggettiva incompatibilità ambientale" intimato ad una lavoratrice che aveva rivolto accuse diffamatorie non provate e quindi ritenute non rispondenti al vero nei confronti del capo ufficio dellostabilimento. Tali accuse, in seguito divulgate a mezzo stampa, si riferivano a comportamenti sgraditi e sconvenienti a sfondo sessuale accompagnati ad un atteggiamento vessatorio e talora persecutorio del capo ufficio per asseriti motivi di rancore personale, con conseguenze negative sullo svolgimentodel lavoro della dipendente in termini di deprezzamento professionale, annullamento delle prospettive di carriera e demansionamento (tutti quegli elementi vessatori costitutivi del mobbing).
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il datore di lavoro ai sensi dell'art.2087c.c.; inoltre possono generare
nella vittima sindromi depressive temporanee o permanenti, concorrendo
insieme ad altre forme di persecuzione morale, all'aggressione della sfera
psichica del soggetto passivo. Secondariamente sottolinea in modo
rigoroso che, laddove si prospetti un pregiudizio per il lavoratore,
implicante la lesione del bene primario della salute, evidente è la
responsabilità del datore di lavoro, purché sia accertata l'esistenza di un
nesso causale tra il suddetto comportamento, doloso o colposo, e il
pregiudizio che ne deriva. In sostanza si ribadisce che sebbene la prova
dell'esistenza empirica della condotta umiliante e mortificante per la
lavoratrice e il collegamento eziologico con la patologia riscontrata sia
"particolarmente difficoltosa a causa di eventuali sacche di omertà,
sempre presenti, o per altre ragioni, tuttavia non è chi non veda che la
mancata acquisizione della prova in questione, riguardo alle cause che
hanno determinato la lesione dedotta ed agli effetti asseritamente
derivati, impedisce al giudice l'accoglimento della domanda".
Nonostante l'esito negativo, la suprema Corte dimostra una nuova ed
accentuata sensibilità sia verso il fenomeno delle molestie sessuali sia
verso le "nuove" modalità di persecuzione e vessazione morali sui luoghi
di lavoro (mobbing), pur confermando giustamente le regole generali in
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materia di riparto del carico probatorio86. La Corte, infatti, definendo tali
comportamenti come quelli fra i più pregiudizievoli alla personalità
morale ed all'integrità psicofisica, non sembra aver eluso il problema ma
ha semplicemente riaffermato la necessità di una rigorosa verifica
probatoria delle circostanze dedotte e del danno subito dalla lavoratrice,
pur ammettendo, in via di principio le difficoltà di poterla raggiungere. Il
principio che se ne ricava e senza alcun dubbio da condividersi: non ogni
forma di pressione psicologica può considerarsi mobbing, ma soltanto
quella obiettivamente ed effettivamente in grado di ferire la dignità
morale e psicofisica del prestatore di lavoro, per la sua intrinseca
offensività87, per le modalità attraverso cui viene esercitata o per le
condizioni personali e la posizione rivestita. Solo la ripetitività
esasperata consente ai comportamenti di assurgere al superiore rango di
attività di natura persecutoria rivolta ad un soggetto. Sindacabile risulta
questa sentenza, salutata dalla dottrina come la prima della Cassazione
sul mobbing, allorquando respingendo le argomentazioni avanzate nel
ricorso della lavoratrice licenziata, afferma che le esternazioni di accuse
relative ad atteggiamenti persecutori da parte del capo del personale
(appunto di mobbing), poi non provate, "possono configurare un fatto di
86 Denari P., op. cit., 8. 87 Per la qualificazione in ogni caso del danno biologico subito in occasione di molestie sessuali comedanno evento che non richiederebbe ulteriore prova di esistenza oltre che nella stessa condotta che loha determinato, P. Roma 20 dicembre 1996, GLL, 1997, 92.
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gravità tale da minare il rapporto di fiducia esistente tra le parti e da
legittimare quindi il licenziamento per giusta causa ex art.2119c.c." Il
Supremo collegio avrebbe dovuto impiegare maggiore accuratezza
analitica ed argomentativa: onde evitare che, equivocando sul senso della
pronuncia, se ne desuma il principio per cui il lavoratore molestato che si
rivolge ai vertici dell'impresa per sollecitare un rimedio alla situazione
patita, qualora non sia in grado di fornire una compiuta dimostrazione
delle accuse formulate, mette seriamente a repentaglio la continuazione
della sua attività lavorativa88. Ha inoltre ignorato il grave rischio che
un'incauta interpretazione del principio affermato finisca per scoraggiare
qualunque tentativo (già di per sé problematico) di reagire al mobbing
con una formale denuncia.
88 Gottardi D., Mobbing non provato e licenziamento per giusta causa, in G.law, 2000, n.4, 25,auspica di escludere l'idoneità del caso in questione a costituire un significativo precedente.
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