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Capitolo IV Caso studio: lo slum di Kibera e il Toi Market a Nairobi “Wood fires, fried fish, excrement, rubbish - the rich stench of 800,000 people living in a ditch. Which is, basically, what the Kibera slum is. Six hundred acres of mud and filth, with a brown stream dribbling through the middle. You won't find it on your tourist map - or any other map. It's a squatters camp - an illegal, forgotten city - and at least one third of Nairobi lives here. 297 1. L'urbanizzazione in Kenya e l'influenza inglese L'urbanizzazione in Kenya ha una lunga storia che si perde già nel IX secolo avanti Cristo, con la fondazione di piccoli insediamenti più o meno stabili delle varie etnie esistenti 298 . Il Paese non ha avuto uno sviluppo omogeneo sotto questo punto di vista, riscontrandosi a seconda del periodo storico preso in considerazione tendenze e velocità diverse rispetto alla regione costiera e all'hinterland. La prima, fra l'XI e il XII si presentava costellata di piccoli centri commerciali, creati dai traffici delle popolazioni arabe, che col tempo iniziarono a stabilirsi in forma sempre più permanente lungo la costa stessa, portando con sé oltre ad affari ed economia anche la nuova religione islamica. I contatti e l'assimilazione dei coloni arabi da parte della popolazione africana diedero origine ad una cultura distinta ed originale, chiamata swahili dal termine arabo sahil che significa “costa” 299 . Per poter parlare di vero e proprio processo di urbanizzazione diffuso bisogna attendere fino all'inizio del XX secolo, quando ormai i coloni inglesi, la cui penetrazione in Africa orientale era iniziata dopo il 1860 a seguito delle spedizioni di esplorazione e della formazione di alcuni insediamenti di missioni anglicane, avevano reso il Kenya la colonia africana più ricca del Regno Unito. Il territorio keniano, protettorato inglese a 297 Harding A., “Nairobi Slum life”, articolo uscito su “The Guardian”, 4-8-10-15 ottobre 2002. 298 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/ , p. 1. 299 Siravo F., “Recupero edilizio e riqualificazione urbana di Lamu, Kenya”, in “La città degli altri. La riqualificazione urbana nei Paesi in via di sviluppo”, a cura di Balbo M., Cluva Editrice, Venezia, 1989, p. 156. 102

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Capitolo IV

Caso studio: lo slum di Kibera e il Toi Market a Nairobi

“Wood fires, fried fish, excrement, rubbish - the rich stench of 800,000 people living in a ditch.

Which is, basically, what the Kibera slum is. Six hundred acres of mud and filth, with a

brown stream dribbling through the middle. You won't find it on your tourist map - or any other map.

It's a squatters camp - an illegal, forgotten city - and at least one third of Nairobi lives here. ”297

1. L'urbanizzazione in Kenya e l'influenza inglese

L'urbanizzazione in Kenya ha una lunga storia che si perde già nel IX secolo avanti

Cristo, con la fondazione di piccoli insediamenti più o meno stabili delle varie etnie

esistenti298. Il Paese non ha avuto uno sviluppo omogeneo sotto questo punto di vista,

riscontrandosi a seconda del periodo storico preso in considerazione tendenze e velocità

diverse rispetto alla regione costiera e all'hinterland. La prima, fra l'XI e il XII si

presentava costellata di piccoli centri commerciali, creati dai traffici delle popolazioni

arabe, che col tempo iniziarono a stabilirsi in forma sempre più permanente lungo la

costa stessa, portando con sé oltre ad affari ed economia anche la nuova religione

islamica. I contatti e l'assimilazione dei coloni arabi da parte della popolazione africana

diedero origine ad una cultura distinta ed originale, chiamata swahili dal termine arabo

sahil che significa “costa”299.

Per poter parlare di vero e proprio processo di urbanizzazione diffuso bisogna attendere

fino all'inizio del XX secolo, quando ormai i coloni inglesi, la cui penetrazione in Africa

orientale era iniziata dopo il 1860 a seguito delle spedizioni di esplorazione e della

formazione di alcuni insediamenti di missioni anglicane, avevano reso il Kenya la

colonia africana più ricca del Regno Unito. Il territorio keniano, protettorato inglese a

297 Harding A., “Nairobi Slum life”, articolo uscito su “The Guardian”, 4-8-10-15 ottobre 2002.298 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global

Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 1.299 Siravo F., “Recupero edilizio e riqualificazione urbana di Lamu, Kenya”, in “La città degli altri. La

riqualificazione urbana nei Paesi in via di sviluppo”, a cura di Balbo M., Cluva Editrice, Venezia, 1989, p. 156.

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partire dal 1886300, assieme a quello degli Stati attuali di Uganda e Tanganica, fu riunito

nel 1917 nell'Africa Orientale Britannica (British East Africa), amministrata sotto un

unico sistema di governo. Solo nel 1920 il Kenya venne costituito come Stato vero e

proprio, prendendo il nome dal monte di quella regione.

Prima dell'arrivo degli europei, gli altopiani centrali erano abitati prevalentemente dai

pastori nomadi maasai e da contadini bantu kikuyu, in continua lotta per il controllo

delle terre migliori, ma in assenza di capi veri e propri, in quanto esisteva solo la figura

di un esperto religioso cui gli inglesi successivamente dettero il titolo di Paramount

Chief. Perciò col nuovo sistema coloniale vennero create delle figure di riferimento

uniche, per la necessità di trasmettere decreti ed imporre tasse301, utilizzando gli inglesi

il metodo della indirect rule, ideato da lord Lugard alla fine del secolo. Questo,

consisteva nell'interferire al minimo nell'organizzazione socio-politica degli indigeni,

controllando direttamente solo i capi ed impedendo che la massa di popolazione si

organizzasse o istruisse302.

Nel 1902 la Crown Lands Ordinance pose sotto controllo diretto del governo britannico

tutti gli altopiani, considerati come colonie di popolamento e iniziò un programma di

insediamento di coloni bianchi, cui venivano date in concessione superfici non inferiori

ai 640 acri, e di progressivo allontanamento dei pastori e dei contadini africani, che

potevano dimorare solamente in alcune aree circoscritte, dichiarate riserve indigene, la

cui delimitazione venne terminata nel 1926. A partire dall'inizio del secolo quindi,

ebbero inizio massicce requisizioni di terre, così come avveniva negli altri Paesi

dell'area, Sudafrica, Rhodesia del Sud e Namibia303, che negavano alle popolazioni il

diritto di proprietà di terreno urbano e di residenza permanente304. I kikuyu potevano

risiedere e coltivare per loro conto solo in queste aree sovraffollate che in conseguenza

300 Barbina G., “ I diversi colonialismi europei. Regole dello sfruttamento”, in “Colonialismi europei: radici ed effetti”, Barbina G., Bernardi B., Ercolessi M. C., Gentili A., Meyr G., Pirevec J. E Rossi G. L, Istituto Regionale Studi Europei del Friuli Venezia Giulia, Edizioni Concordia Sette, 1997, p. 34.

301 Bernardi B., “Radici ed effetti culturali del colonialismo”, ibidem, p. 22.302 Barbina G., “ I diversi colonialismi europei. Regole dello sfruttamento”, ibidem, p. 35-36.303 Gentili A., “Le caratteristiche del colonialismo europeo in Africa e il problema dello sviluppo

politico”, ibidem, p. 71.304 Gli inglesi facevano riferimento a precise norme regolative, le cosiddette Pass Laws. Le prime

furono introdotte nel 1760 per regolare il movimento degli schiavi a Capo. In anni più recenti, l'Urban Areas Consolidation Act del 1945 assieme al Natives Act del 1952 devono essere considerati documenti chiave. Con essi venivano richieste ai nativi africani delle specifiche “qualifiche” per risiedere legalmente nelle aree metropolitane bianche: essere nati e cresciuti nella stessa area in questione; aver lavorato o vissuto continuativamente per 10 anni nell'area; essere figli sotto i 18 anni di un africano che rientrava nei due precedenti parametri; essere in possesso di uno specifico permesso concesso da un ufficio per il lavoro. www.wikipedia.org.

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dell'uso intensivo, erano soggette a degrado accelerato, mentre potevano abitare nei

territori riservati ai bianchi (White Highlands) solo se al servizio di qualche fattoria

europea. I pastori maasai vennero allontanati dagli altopiani e sistemati nelle aree

savaniche a sud di Nairobi o in piccola parte a nord305.

Nel 1952 i kikuyu, che già da tempo protestavano per l'intollerabile regime delle riserve

indigene306, dove l'aumento della popolazione aveva reso drammatiche le condizioni di

vita e che reclamavano l'assegnazione di nuove terre, diedero inizio ad una guerriglia

contro i coloni bianchi, i quali nello stesso anno proclamarono lo stato d'Emergenza che

permise l'adozione di provvedimenti legislativi speciali, l'impiego delle forze militari e

la creazione di una complessa struttura di organi e commissioni finalizzata al controllo

del territorio e dei kykuyu stessi. La rivolta violenta fu condotta dalla società segreta dei

Mau Mau307 e durò fino al 1956. Il Kenya fu l'ultimo Paese dell'area ad ottenere

l'indipendenza, il 12 dicembre 1963 ed il suo primo presidente Jomo Kenyatta

appartenente all'etnia kikuyu, adottò una politica di tipo liberistico per non alienarsi

l'appoggio della comunità europea presente nel Paese ed intraprese una lenta riforma

agraria. Tuttavia l'assegnazione delle nuove proprietà fu condotta con grande imperizia

e lo stesso fu accusato, come i suoi successori, di adottare politiche favorevoli solo per

la propria etnia di appartenenza308.

Tornando al processo di urbanizzazione del Paese nel suo complesso, la nascita della

maggior parte dei centri urbani si colloca nel periodo subito precedente l'indipendenza,

quando gli stessi venivano utilizzati come centri di controllo politico-amministrativi da

parte delle autorità coloniali, soprattutto dopo la creazione di nuovi insediamenti in

corrispondenza della linea ferroviaria309 che collega il porto di Mombasa al Lago

Vittoria. Il processo è stato particolarmente rapido nel decennio 1979-89 ed attualmente 305 Barbina G., “Il piatto vuoto. Geografia del sottosviluppo”, Carocci, Roma, 1998, p. 143-146.306 I confini delle riserve vennero definitivamente ridimensionati sulla base del rapporto della Kenya

Land Commission, istituita nel 1932 per indagare sulle proteste degli africani relativamente alle terre espropriate a favore degli europei. Santoru M. E., “Politica coloniale e nazionalismo in Kenya. Le donne e il movimento Mau Mau”, L'Harmattan Italia, Torino, 1996, p. 41.

307 Molti studi individuano nella protesta politica degli squatters, cioè dei kykuyu che confinati nelle riserve si spostavano sulle terre “europee” in cerca di nuove opportunità, l'origine del movimento Mau Mau. L'organizzazione vera e propria si costituì nei primi anni '50 quando nella Central Province le autorità coloniali segnalarono la presenza di un'organizzazione “sovversiva e anti-governativa nota con il nome di associazione Mau Mau”e si sviluppò partendo dalla comunità politica kykuyu, cioè l'etnia più numerosa sul territorio. L'appartenenza etnica costituì l'elemento aggregante fondamentale, in funzione anti-europea, come necessità di affermare il proprio nazionalismo, contro l'imposizione di modelli economici, sociali e culturali estranei. L'azione di rivendicazione violenta era in realtà esercitata prevalentemente contro i kykuyu che collaboravano con il governo, tanto da far parlare di guerra civile. Ibidem, p. 22, 29 e 59.

308 Barbina G., “Il piatto vuoto. Geografia del sottosviluppo”, Carocci, Roma, 1998, p. 152-154.309 La sua costruzione durò dal 1897 al 1901. Ibidem, p. 98.

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si calcolano 194 centri urbani, intesi come città con una popolazione media di 2000 o

più abitanti. La popolazione residente in questi centri, aumentata dal 18,3% del 1989 al

30% del 1999, è di circa 10 milioni, che rappresentano il 34,8% sul totale nazionale310,

con la sola capitale Nairobi che ne ospita il 45%311.

Fino al 1967 la pianificazione dello sviluppo urbano ha preso scarsamente in

considerazione la questione della dimensione e della funzione stessa delle città in

relazione alle esigenze nazionali e regionali così come alla creazione di reti di centri di

servizi più piccoli a supporto delle popolazioni rurali, nonostante il governo abbia

istituito il Physical Planning Department all'interno del Ministero delle terre e degli

insediamenti (Ministry of Lands and Settlemet) per ovviare ai problemi di

un'urbanizzazione equilibrata, di una migrazione massiccia campagna/città e

dell'elaborazione di standard per le infrastrutture urbane e le reti di comunicazione312.

Infatti, lo stesso piano di sviluppo 1974/78 voleva favorire la nascita di centri urbani

intermedi da affiancare alle città di Nairobi e Mombasa, in un'ottica di distribuzione

spaziale più equilibrata e gerarchizzata sul modello delle località centrali di

Christaller313. Questo processo di sviluppo equilibrato anche a livello territoriale non è

avvenuto o quantomeno non ha arginato la “primazialità” della capitale, dal momento

che i cambiamenti territoriali sono dirette conseguenze delle forze politiche ed

economiche interne ed esterne al Paese.

Ad un livello di analisi più ristretto, le città dal punto di vista spaziale si sono sviluppate

sia sulla base di zone distrettuali ben definite per l'uso delle terre a favore di specifiche

classi sociali, che in modo spontaneo dando vita a insediamenti informali, soprattutto in

310 Olima W. H.A., “The dynamics and implications of sustaining urban spatial segregation in Kenya. Experiences from Nairobi metropolis”, testo prodotto in occasione del seminario internazionale “Segregation in the city” presso il Lincoln Institute of Land Policy a Cambridge, MA, USA, July 25-28, 2001, p. 1.

311 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 1.

312 Kobiah S. M., “Origins of squatting and community organization in Nairobi”, tesi di Master in City Planning al Massachusetts Institute of Technology, Department of urban studies and planning 1978, p. 19-28.

313 Elaborata nel 1933 relativamente alla Germania meridionale degli anni '30, la teoria delle “località centrali” ha verificato la sua validità in ogni regione fornita di una rete insediativa. Viene utilizzata per spiegare il rapporto esistente tra la popolazione distribuita su un dato territorio ed i punti in cui i servizi vengono erogati. Il ragionamento è basato sul principio che ogni persona è disposta a spostarsi solo per una determinata distanza, la cui lunghezza dipende dall'importanza del servizio che intende utilizzare. Il territorio viene coperto da una maglia regolare di punti di servizio, ciascuno con un'area di sua competenza. Le città ospitano i servizi più cari e più complessi, attorno ad esse prospera una serie di centri minori, cioè cittadine e ancora attorno ci sono centri più piccoli, quali paesi, villaggi e centri rurali, in una gerarchia di funzioni che appare in genere ben definita. Barbina G., “La geografia umana nel mondo contemporaneo”, Carocci, Roma, 2000, p. 217

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prossimità di aree industriali e non dei maggiori centri urbani314. La pianificazione

coincise spesso con processi sociali veri e propri, perciò il fenomeno dello squatting,

cioè dell'occupazione non autorizzata di territori, non può essere interpretato come mero

prodotto “naturale” o incidentale dell'urbanizzazione e della modernizzazione del Paese

nel suo complesso, né tanto meno come una conseguenza della migrazione rurale verso

le città, dal momento che furono gli stessi inglesi a porne le basi, da un lato segregando

la popolazione autoctona in riserve e dall'altro trasformando questa particolare forma di

insediamento anche in mezzo principale per il reclutamento di manodopera a basso

costo da impiegare nelle zone europee. La definizione dei confini fisici, era perciò una

diretta conseguenza delle disuguaglianze etniche, sociali ed economiche, che non è

venuta meno neanche con l'ottenimento dell'indipendenza315: “Kenya is developing in a

classic capitalist pattern, a pattern characterized by unequal development, in which a

surplus is extracted from the workers at the bottom and funnelled up to those at the top,

in part even to metropolitan centres elsewhere. The national planning strategy gives

spatial expression to this kind of development”316.

2. Da insediamento maasai a moderna metropoli: evoluzione di Nairobi

Nairobi si presenta come una città-arcipelago dove la baracca ed il grattacielo

convivono. Nel testo “The African City” del 1983, O'Connor la menziona come tipico

esempio della città europea nel continente africano, una sotto-categoria della città

coloniale in quanto centro di insediamento europeo permanente che prevedendo

l'esclusione dei residenti africani fino all'indipendenza, si è dimostrata in epoca post-

indipendenza particolarmente vulnerabile di fronte ai flussi massicci di migranti dalle

campagne, così come è avvenuto anche ad Harare o Lusaka317. Le varie island cities che

314 Olima W. H.A. , “The dynamics and implications of sustaining urban spatial segregation in Kenya. Experiences from Nairobi metropolis”, testo prodotto in occasione del seminario internazionale “Segregation in the city” presso il Lincoln Institute of Land Policy a Cambridge, MA, USA, July 25-28, 2001, p. 1.

315 Kobiah S. M., “Origins of squatting and community organization in Nairobi”, tesi di Master of City Planning al Massachusetts Institute of Technology, Department of urban studies and planning 1978, p. ii.

316 Ibidem, p. 1.317 O'Connor in totale identifica sei tipologie di città esistenti nel continente africano: città indigena

(Addis Abeba); città islamica (Njamey); città coloniale; città europea; città duplice, come combinazione delle due precedenti tipologie (Khartoum); città ibrida, che presenta convergenze fra diversi settori culturali (Lagos). A queste altri autori aggiungono anche quella che negli anni '60 è stata definita città autosufficiente e negli anni '90 città informale, trasversale a tutte le realtà urbane.

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compongono il suo tessuto urbano vivono vite parallele. Quelle ricche sono legate

economicamente con il resto del mondo e riescono a instaurare comunicazioni più

efficienti e scambi con altre città di pari grado, mentre quelle più povere sono

fortemente attaccate alla terra, impegnate a costruire e plasmare ogni giorno la propria

sussistenza e la propria identità, essendo il risultato di auto-costruzione ed auto-

progettazione318.

“Comunemente Nairobi viene descritta dai keniani come il luogo per chi sogna

ricchezza e opportunità”319 e concretamente lo è in termini assoluti, dal momento che

rappresenta un punto di snodo fondamentale per il commercio internazionale, nazionale,

regionale e locale, che connette i Paesi africani orientali, centrali e del sud, dando

impiego al 25% dei keniani e al 43% dei lavoratori urbani e generando oltre il 45% del

PIL nazionale320. Tutto il potere della nazione è concentrato nella capitale del Kenya e la

stessa continua ad evolversi riproducendo costantemente il modello del “primato

urbano”, cioè della supremazia della città stessa sia in relazione al contesto limitrofo

che in termini numerici assoluti di costruzioni, salari, servizi vari321 e di abitanti, con un

tasso di crescita annuo del 5% che in base alle stime effettuate dovrebbe portare nel

2010 ad una popolazione urbana tra i 2.8 e i 4 milioni322.

Dove oggi sorge la città di Nairobi, nella regione agricola interna a sud del Paese, c'era

originariamente un piccolo insediamento maasai. La sua nascita è dovuta alla

costruzione della ferrovia Kenya-Uganda (KUR), che raggiunse la stessa nel maggio

1899, in qualità di principale punto di snodo per gli scambi commerciali e la gestione

amministrativa. La presenza di un adeguato rifornimento d'acqua, con i fiumi Nairobi e

Mbagathi, di grandi distese di terra necessarie per la costruzione di binari e strutture

residenziali e l'assenza di malattie tropicali, sopratutto la malaria, costituirono le ragioni

principali per la scelta del luogo. Il nuovo insediamento prendeva il nome iniziale di

Moschetti D., “Aspetti sociali e culturali dell'urbanizzazione in Africa”, in “Città o baraccopoli? Gli insediamenti informali in Africa: il caso di Nairobi (Kenya)”, a cura di Floris F., L'Harmattan Italia, Torino, 1998, p. 11 e 14.

318 Floris F. “Baracche e burattini? La città-slum di Korogocho in Kenya”, L'Harmattan, Torino, 2003, p. 23.

319 Consonni P., “Nairobi tra modernità e tradizione”, in “ Città o Baraccopoli? Gli insediamenti informali in Africa: il caso di Nairobi (Kenya)”, L'Harmattan, Torino, 1998, p. 38.

320 Un-Habitat, Regional office for Africa and Arab States, Rapid urban sector profiling for sustainability (RUSPS), “Nairobi urban sector profile”, 2006, p. 4.

321 Consonni P., “Nairobi tra modernità e tradizione”, in “ Città o Baraccopoli? Gli insediamenti informali in Africa: il caso di Nairobi (Kenya)”, L'Harmattan, Torino, 1998, p. 38-39.

322 Obudho R. A., “Nairobi: National capital and regional hub”, in “The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities”, a cura di C. Rakodi, The United Nation University Press, Tokyo, New York, Paris, 1997, p. 63.

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“Enkare Nyorobi”, che letteralmente significa “un luogo dalle acque fredde”323 e che ai

giorni nostri è meglio conosciuta come “città verde nel sole”324. Il capo ingegnere

George Whitehouse decise di muovere la sede principale da Mombasa a Nairobi,

determinando così il conseguente sviluppo di quest'ultima come principale centro

economico-commerciale del protettorato inglese dell'Africa orientale. Sulla base del

Land Acquisition Act vigente in India dal 1894 fu concessa ad uso della KUR l'intera

area tra i due fiumi, assieme ad una striscia di terra su entrambi i lati della ferrovia

stessa, che si estendeva per 3,2 km325.

Nel 1900, quando le strutture originarie furono distrutte come conseguenza dello

scoppio di un'epidemia di peste, la città ormai totalmente ricostruita326, era già divenuta

un grande e fiorente centro oltre che meta di turismo, composto da insediamenti

principalmente costituiti dalle strutture legate alla ferrovia, da edifici amministrativi e

da aree separate per europei, nativi e asiatici, i quali erano principalmente impiegati per

la costruzione della stessa ferrovia. In pratica, non c'erano insediamenti previsti per gli

africani e l'esistenza di politiche e leggi apposite che negavano lo spostamento degli

stessi verso Nairobi, soprattutto se provenienti dalle zone rurali limitrofe, consentivano

l'insediamento solo in presenza di specifici permessi di lavoro. Nello stesso anno

Nairobi assunse confini ben definiti e pochi anni dopo nel 1907 divenne la capitale del

Kenya. Nel 1950 divenne una città vera e propria, registrando un sorprendente

incremento demografico.

Sin dalla sua nascita si può dire che la città si è sviluppata seguendo un modello di

segregazione spaziale tra il centro d'affari interno (Central Business District) e le aree

residenziali europee, africane ed asiatiche. Nel 1909 gran parte delle strutture interne,

soprattutto la rete stradale, iniziarono ad essere realizzate. I confini della città furono

estesi nel 1927 fino a coprire 77 km2 come risultato principale della rapida crescita del

centro urbano sia in termini di popolazione che di infrastrutture. Fino al 1963, anno

dell'indipendenza del Paese, Nairobi non ha subito modifiche nell'estensione, ma

successivamente assunse le dimensioni di 686 km2. A questa data, pur costituendo gli

africani la maggior parte della popolazione, vivevano nelle zone orientali, mentre gli

323 Ibidem, p. 62.324 “Green city in the Sun”, www.nairobicity.org.325 Olima W. H.A. , “The dynamics and implications of sustaining urban spatial segregation in Kenya.

Experiences from Nairobi metropolis”, testo prodotto in occasione del seminario internazionale “Segregation in the city” presso il Lincoln Institute of Land Policy a Cambridge, MA, USA, July 25-28, 2001, p. 4.

326 www.nairobicity.org .

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asiatici erano stanziati sia a nord che in una piccola enclave a sud e gli europei nelle

periferie occidentali, fornite di servizi migliori327. Questa distribuzione della

popolazione si riscontra ancora oggi non tanto in termini di razza, ma di diversa densità

abitativa e di introiti economici, essendo le periferie orientali le più povere ma più

densamente popolate.

Figura 5: Pianta schematica della città di Nairobi nel 1906328.

Nairobi presenta una complessa superficie strutturale che rende difficile comprendere le

esatte divisioni nell'uso del territorio. Obudho evidenzia come la struttura spaziale della

città abbia sempre seguito il modello coloniale britannico, piuttosto che le reali

327 “The segregation/division along racial lines divided the city into four distinct sectors: North and East defined as the Asian Sector (Parklands, Pangani and Eastleigh); East and South East defined the African Sector (Pumwani, Kariokor, Donholm); South East to South marked another small Asian enclave before it was bounded by the Game Park (Nairobi South, Nairobi West). Finally, the line North and West marked the European area”. Olima W. H.A. , “The dynamics and implications of sustaining urban spatial segregation in Kenya. Experiences from Nairobi metropolis”, testo prodotto in occasione del seminario internazionale “Segregation in the city” presso il Lincoln Institute of Land Policy a Cambridge, MA, USA, July 25-28, 2001, p. 10.

328 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 3.

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necessità della popolazione africana, la quale tuttavia già ai primi del '900 rappresentava

il 60% della popolazione insediata e nel 1989 ben il 95%, contro l'1,2% degli europei ed

il 3,7% degli asiatici329.

La stessa struttura amministrativa della città-provincia, piuttosto centralizzata

nonostante le riforme e la volontà di dar vita ad una governance basata sui principi del

decentramento e la persistenza di un elevato grado di corruzione interna e di

burocratizzazione del sistema stesso, ha reso difficile nei decenni successivi

all'indipendenza fornire risposte nuove ed efficienti alle richieste degli stessi abitanti, se

non riproducendo appunto schemi vecchi a favore delle minoritarie classi sociali

dominanti, giungendo nell'anno finanziario 2003/04 a destinare un magro 4% del budget

totale della città alla fornitura dei servizi, contro il 21% per gestione e mantenimento e

ben il 78% ai soli stipendi nel settore pubblico330. L'organo decisionale principale sciolto

nel 1983 e ricostituito nel 1992, ovvero il Nairobi City Council (NCC) presieduto dal

segretario comunale (Town Clerk) e composto da consiglieri nominati ed eletti, decide

in base al Local Government Act l'allocazione delle risorse cittadine331 rispetto alla

fornitura di servizi di base (approvvigionamento d'acqua potabile, sistema sanitario e

scolastico, fornitura energetica, sistema dei trasporti, raccolta rifiuti, sistema di

drenaggio, ecc.) ed altri servizi sociali, il mantenimento di strade ed infrastrutture e la

regolamentazione dei mercati, ma è controllato direttamente dal Ministero del governo

locale (Ministry of Local Government), che dispone al riguardo del diritto di veto sulle

decisioni prese332. Inoltre, pur essendo lo stesso NCC organizzato in 15 dipartimenti,

ciascuno dei quali responsabile per specifici settori e a loro volta suddivisi in altre sotto-

sezioni, adottano un'unica struttura amministrativa che mantiene lo stesso procedimento

decisionale alquanto centralizzato333.

Tornando alla struttura fisica della città odierna, ancora basata sull'ultimo Master Plan

329 “The pattern that exists today predominantly reflects the development of British colonization rather than traditional African settlement patterns”. Obudho R. A., “Nairobi: National capital and regional hub”, in “The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities”, a cura di C. Rakodi, The United Nation University Press, Tokyo, New York, Paris, 1997, p. 62 e 68.

330 Un-Habitat, Regional office for Africa and Arab States, Rapid urban sector profiling for sustainability (RUSPS), “Nairobi urban sector profile”, 2006, p. 8.

331 Le principali voci di entrata delle risorse del NCC sono costituite da: Local Authorities Transfer Fund (LATF), imposte sulla proprietà, tariffe per i parcheggi, licenze commerciali e rendite fondiarie. Con il recente trasferimento della distribuzione dell'acqua ad un ente commerciale le entrate si sono ridotte della metà. Ibidem, p. 9.

332 Obudho R. A., “Nairobi: National capital and regional hub”, in “The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities”, a cura di C. Rakodi, The United Nation University Press, Tokyo, New York, Paris, 1997, p. 75.

333 www.nairobicity.org .

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del 1973 ormai ampiamente superato dall'impressionante crescita demografica e che

impedisce alla stessa amministrazione locale di dar vita ad una visione comune per

guidare lo sviluppo del tessuto urbano nel suo complesso334, sono state evidenziate sei

diverse tipologie di insediamento spaziale: Central business District (CBD), area

industriale, spazi aperti pubblici e privati, terre di demanio pubblico, aree residenziali e

terre incolte.

Figura 6: La segregazione delle aree residenziali a Nairobi, 1909335.

A parte le prime due che registrano bassa densità di popolazione e di abitazioni, sono

state individuate cinque aree residenziali che variano in densità e composizione degli

abitanti:

Upper Nairobi, distribuita a nord ed ovest del CBD. Presenta una bassa densità

ed è abitata da individui con elevati redditi;

Parklands, Eastleigh e Nairobi South. Si tratta di un'area che presenta valori 334 Un-Habitat, Regional office for Africa and Arab States, Rapid urban sector profiling for

sustainability (RUSPS), “Nairobi urban sector profile”, 2006, p. 8.335 Ibidem, p. 66.

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medi sia rispetto alla densità che agli introiti economici. La maggior parte delle

abitazioni è di proprietà di asiatici;

Karen e Langata nelle zone sud e sud-est della città. Pur presentando bassi

profili di densità ed elevati livelli economici queste aree stanno vivendo una fase

di transizione, assorbendo la popolazione fuoriuscita da altre;

Eastlands, nella zona est distante dal CBD, presenta bassi livelli di densità,

ospitando anche il cuore delle vecchie aree residenziali del NCC;

Mathare Valley a est e Kibera ad ovest costituiscono invece i più famosi, grandi

ed incontrollati insediamenti informali della città, raggiungendo densità di 1.250

persone per ettaro nel solo 1980. Tra le altre aree che presentano le stesse

caratteristiche si ricordano anche Korogocho e Kawangware. Si alimentano

costantemente di nuove ondate di singoli individui e gruppi che vengono espulsi

dalle zone a ridosso della CBD a causa degli elevati costi336.

Gli slums esistenti sono circa 168 sparsi su tutto il territorio della città ma hanno

segnato soprattutto la crescita della zona peri-urbana. Costituiscono da soli i principali

luoghi di residenza di oltre il 60% della popolazione totale di Nairobi, occupando però

solo il 5% della superficie urbana337 e le caratteristiche degli stessi, accanto alle già

citate elevata densità e sovraffollamento338, possono essere riassunte ancora una volta

nel modo seguente: unità abitative composte da una singola stanza, quando lo standard

minimo fissato dal governo keniano, già a partire dal 1963, è di due stanze abitabili, un

bagno e una cucina separati e con un massimo di 5 occupanti339; situazione sanitaria

estremamente povera e mancanza di altri servizi pubblici; mancanza di un adeguato

supporto infrastrutturale; costruzioni realizzate con materiali scadenti e precarie; elevata

insicurezza dal punto di vista dei diritti di proprietà della terra.

336 Olima H.A., “The dynamics and implications of sustaining urban spatial segregation in Kenya: Experiences from Nairobi Metropolis, testo prodotto in occasione del seminario internazionale “Segregation in the city” presso il Lincoln Institute of Land Policy a Cambridge, MA, USA, July 25-28, 2001, p. 6-7.

337 Ibidem, p. 8.338 In media si registrano 250 unità abitative per ettaro, a differenza delle 25 unità nelle aree ad introiti

medi e alle 15 nei quartieri ricchi. Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 8.

339 Alam A., Baliga N., Deji G., Lenton A., Sugeno F., Witriol J, “Enabling a community-led process: Pamoja Trust’s approach to slum-upgrading in Nairobi, Kenya”, School of International and Public Affairs, Columbia University, 2005, p. 7.

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3. Gli slums di Nairobi

La maggior parte degli insediamenti informali esistenti oggi a Nairobi nacquero subito

dopo l'indipendenza e continuano a crescere sia in termini fisici che di popolazione,

senza che esistano veri e propri censimenti o ricerche, se non condotte da ONG o enti

internazionali, che possano indicare il numero esatto degli stessi. Non esiste un unico

modo di definirli, potendosi ricorrere a varie espressioni, quali principalmente muddy

areas, ghetto, poverty stricken settlements, filthy settlements, kijiji, mud city, dumping

site e beggars' zone, ma la maggior parte degli stessi slums dwellers identifica nelle

misere condizioni o totale assenza di servizi igienico-sanitari ed infrastrutture la

caratteristica chiave degli slums, mentre la maggior parte degli operatori sociali e delle

ONG attive negli stessi parlano in termini di stato di privazione costante dei diritti

fondamentali degli individui340.

Dal 1963 fino ai tardi anni '70 la principale politica adottata dal governo per far fronte al

problema, è stata come nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, il ricorso alle

evizioni forzate e alle demolizioni vere e proprie per far posto a nuovi quartieri nel

rispetto degli standard abitativi fissati, comportando ingenti spostamenti di popolazioni

che si volevano nuovamente insediate nelle realtà rurali, ma che in realtà si

trasformarono in masse di fluttuanti che si insediavano in altre aree della città. Tuttavia,

si affiancava a questa politica un generale atteggiamento conciliante che attraverso

l'adesione a programmi e progetti portati avanti dalle agenzie internazionali341 e gli

investimenti nell’edilizia pubblica, riconosceva tacitamente gli stessi insediamenti, in

un'ottica di laissez faire342 e favoriva concretamente solo gli interessi delle classi medie,

340 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 8-9.

341 Il progetto più importante intrapreso in questi anni e terminato nel 1977 a Nairobi è stato il Dandora Community Development Project, un intervento di sites and services il cui scopo era quello di creare 6.000 lotti forniti si servizi a vantaggio delle famiglie povere. A causa dei costi elevati delle abitazioni gli stessi beneficiari hanno abbandonato le costruzioni, ci sono state difficoltà nel recupero degli investimenti, a cui aveva partecipato la Banca Mondiale e la stessa pianificazione del progetto era stata gestita dal solo Housing Development Department, senza il coinvolgimento delle comunità interessate. Nel periodo dell'enabling approach invece, cioè negli anni '90, si ricorda il progetto Mathare 4A sempre a Nairobi. Il suo obiettivo era quello di migliorare le condizioni di vita di 22.000 persone insediate in questo slum a nord-est della città, attraverso interventi di riqualificazione e ammodernamento infrastrutturale e fornitura di servizi. Nonostante non abbia comportato spostamenti ed evizioni, i maggiori problemi si sono riscontrati nella difficoltà di trovare compromessi tra proprietari ed affittuari, non essendo chiaro il regime fondiario. Alam A., Baliga N., Deji G., Lenton A., Sugeno F., Witriol J, “Enabling a community-led process: Pamoja Trust’s approach to slum-upgrading in Nairobi, Kenya”, School of International and Public Affairs, Columbia University, 2005, p. 7.

342 Olima H.A., “The dynamics and implications of sustaining urban spatial segregation in Kenya:

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in grado di sopportare economicamente i costi delle nuove strutture realizzate. Casi di

sgomberi forzati interni agli slums continuano a registrarsi anche in tempi recenti e

soprattutto lo stesso governo fornisce giustificazioni prevalentemente legate a motivi di

sicurezza sia per gli abitanti degli stessi che per altre zone residenziali della città. Ciò si

è verificato ad esempio nel 2004 quando paventando la possibilità di effettuare

sgomberi su tutto il territorio nazionale, il governo riconosceva ufficialmente la

pericolosità dell'invasione illegale di territori sprovvisti di servizi ed infrastrutture, che

tuttavia deterioravano quelli circostanti già esistenti, ma ufficiosamente si era diffusa la

motivazione che le autorità fossero interessate ad attrarre investimenti diretti esteri

(IDE) per la ferrovia e perciò era necessario rafforzare il settore delle costruzioni

stradali e realizzare bonifiche negli insediamenti informali343. Nello stesso anno però, il

Parlamento prendeva una decisione storica relativa al miglioramento delle condizioni di

vita della maggior parte della popolazione keniana, con attenzione specifica ai bisogni

degli abitanti degli slums e al ruolo dei programmi di slum upgrading, approvando la

National Housing Policy, che per la prima volta riconosceva: il diritto alla casa,

facilitando la progressiva realizzazione del diritto ad un alloggio adeguato per tutti che

comporti anche la salubrità dell'ambiente per tutte le classi sociali esistenti; la

previsione della sicurezza legale della proprietà rispetto alle sezioni più povere della

società, comprese le donne ed altri gruppi vulnerabili; coinvolgimento di tutti gli

stakeholders rilevanti, favorendo attraverso un coordinamento istituzionale la

partecipazione attiva del settore privato, di quello pubblico, delle organizzazioni di base,

delle ONG e più in generale degli abitanti degli insediamenti informali ai processi di

pianificazione, costruzione e di upgrading344.

Localizzati su tutto il territorio urbano, ma principalmente in prossimità di aree dove la

popolazione può più facilmente avere accesso al mondo del lavoro, si individuano due

Experiences from Nairobi Metropolis”, testo prodotto in occasione del seminario internazionale “Segregation in the city” presso il Lincoln Institute of Land Policy a Cambridge, MA, USA, July 25-28, 2001, p. 11.

343 “Nairobi Inventory Publication”, a cura di Pamoja Trust e slum dwellers, 2009, www.sdinet.co.za/static/pdf/nairobi.pdf. Si tratta di una raccolta dati portata avanti con la collaborazione volontaria dei residenti degli slums. I dati raccolti sono prevalentemente narrazioni fatte dai soggetti più anziani, circa la storia degli stessi insediamenti.

344 Il riconoscimento della validità dell'approccio partecipativo e del partenariato pubblico/privato ha dei precedenti nei seguenti documenti: Physical Planning Act e il Physical Planners Act del 1996. La stessa linea politica è stata poi ribadita in altri documenti, come il Local Government Reform Program. Inoltre, il Code '95 ha revisionato il Regolamento edilizio della città per dare maggiore flessibilità ai costruttori nella scelta dei materiali e dei metodi costruttivi, con lo scopo di ridurre i costi di costruzione per l’housing per le classi a basso reddito, sebbene non sia esplicitamente formulato per gli insediamenti informali. Mulcahy M. e Chu M., “Kibera Soweto East. A case study in slum upgrading”, www.design.upenn.edu/new/cplan/02b_KiberaMulcahy.pdf, 2007, p. 12.

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tipologie principali di slums: gli insediamenti abusivi (squatter settlements) su terre di

proprietà demaniale e quelli sorti dalla suddivisione illegale di terre appartenenti sia al

governo che a privati. Quest'ultima forma, esplosa negli anni '70 con ricchi guadagni

per classi medio-alte e politici che hanno dato inizio al crescente fenomeno speculativo

nel mercato fondiario, ma portando anche gli stessi poveri a lucrare sugli affittuari

ancora più poveri attraverso il piccolo sfruttamento345, è quella più complessa in quanto

basata sulla frammentazione dei precari titoli di proprietà e sulla frequente protezione

dei proprietari originari stessi da parte delle autorità politiche346, elementi che troppo

spesso possono vanificare i risultati ottenuti con progetti di riqualificazione e sviluppo.

Inoltre, alcuni sorgono anche in territori inadatti alla costruzione, soprattutto per scopi

abitativo-residenziali e la maggior parte dei residenti sono esposti a diverse forme di

inquinamento, compreso quello industriale347. La maggior parte delle terre su cui si

sviluppa la città di Nairobi, compresi ovviamente gli slums e il CBD, sono di proprietà

dello Stato il quale le cede in locazione a privati per un periodo che generalmente arriva

fino ad un massimo di 99 anni348. All'interno degli insediamenti informali, la

maggioranza dei proprietari di case dispongono così di proprietà “quasi legali”, ma la

libertà e la spontaneità delle costruzioni sono in realtà limitate, dal momento che i

permessi per l'occupazione temporanea (Temporary Occupation Licenses) vengono

concessi ai residenti dietro pagamento e con possibilità di revoca in qualsiasi momento,

dal responsabile del governo di quartiere (Chief) o dal District Office349.

Il proliferare degli insediamenti informali sul tessuto di Nairobi rappresenta il risultato

della combinazione di più fattori tra loro interconnessi. Innanzitutto come già

argomentato, il sistema imposto dal colonialismo di segregazione etnico-spaziale non ha

subito modifiche con la nascita dello Stato indipendente, essendosi sostituite ai vecchi

quadri inglesi le nuove classi dirigenti keniane e avendo relegato la maggior parte della

popolazione povera in aree malsane e periferiche, così come un tempo erano le riserve.

Tuttavia, pur non essendo cambiato l'atteggiamento di fondo ma solo gli attori, a partire

345 Davis M., “Il pianeta degli slum”, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 45.346 Molto diffuso è infatti il fenomeno del land grabbing, ovvero della concessione di terre in cambio di

appoggio politico ed elettorale.347 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global

Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 8 e 15.348 Obudho R. A., “Nairobi: National capital and regional hub”, in “The urban challenge in Africa:

Growth and management of its large cities”, a cura di C. Rakodi, The United Nation University Press, Tokyo, New York, Paris, 1997, p. 70.

349 Floris F. “La baraccopoli di Korogocho”, in “Città o baraccopoli? Gli insediamenti informali in Africa: il caso di Nairobi (Kenya)”, a cura di Floris F., L'Harmattan Italia, Torino, 1998, p. 64.

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dal 1963 sono state abolite le restrizioni e le leggi in materia di uso ed insediamento

sulle terre, soprattutto rispetto ai flussi migratori provenienti dalle campagne, attirati dai

differenziali nei redditi cittadini ed espulsi dalle proprie realtà per gli elevati tassi di

disoccupazione. La mancanza di programmi politici, di regolamentazioni sostitutive e

soprattutto di adeguate pianificazioni urbanistico-abitative che potessero fornire

alloggio anche all'incremento demografico naturale, hanno però contribuito ad

aumentare le dimensioni del problema, vedendo masse di individui sempre più

numerose ammassarsi negli slums, dove in qualche modo riuscivano ad ammortizzare

gli elevati costi della metropoli.

Figura 7: Insediamenti informali di Nairobi, 1992350.

All'interno degli insediamenti informali le condizioni di vita dei residenti non sono

omogenee, riscontrandosi grandi diversità in termini fisici, sociali ed etnici, confermate

dalla vastità di micro villaggi interni agli stessi slums che prendono il nome del gruppo

dominante, almeno originariamente, e sotto il profilo economico. Si assiste infatti ad

una stratificazione della povertà, registrandosi nel solo 1997 un incremento drammatico

350 Obudho R. A., “Nairobi: National capital and regional hub”, in “The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities”, a cura di C. Rakodi, The United Nation University Press, Tokyo, New York, Paris, 1997, p.72.

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fino al 50% della popolazione totale al di sotto della linea di povertà, concentrata

ovviamente in gran parte in queste aree351.

Gli slum dwellers, i cui guadagni medi sono compresi in un range che va dagli 88 (poco

più di 1 dollaro) ai 28.000 scellini, ma con la maggior parte degli stessi che possono

contare su introiti pari a 5.000 o 7.500 scellini (65/95 dollari) al mese, si ritrovano a

ripartire le spese quotidiane sulla base di priorità legate innanzitutto alla sopravvivenza.

Mediamente, anche se i valori cambiano da insediamento a insediamento, il cibo,

l'affitto per la casa (tra i 600 e i 3.500 scellini), il vestiario ed i trasporti prendono la

maggior parte del budget di un nucleo familiare, composto mediamente da 5 individui,

ma che può anche variare tra 9 e 1. Quest'ultima spesa soprattutto è imprescindibile

anche se estremamente costosa, dal momento che molti abitanti sono costretti a

muoversi per recarsi a lavoro, sia a piedi o con mezzi propri, sia ricorrendo al trasporto

pubblico oppure servendosi prevalentemente dei matatus, ovvero minibus “informali”

organizzati da singoli, più veloci ed economici, il cui biglietto di andata e ritorno costa

circa 12 scellini, contro i 40 degli autobus veri e propri. Si cerca di spendere poco

invece per educazione e cure sanitarie, poiché nel primo caso i bambini non possono

accedere ai regolari programmi educativi nazionali dovendosi accontentare di un livello

minimo di alfabetizzazione. Riguardo al secondo aspetto invece, nonostante le

condizioni igienico sanitarie siano estremamente malsane con elevati tassi di decessi e

malati di colera, tubercolosi, tifo e AIDS, gli slum dwellers sono costretti a ricorrere a

costose cliniche private o piccoli presidi medici, poco efficienti e distanti352.

Si paga anche per usufruire di forniture prevalentemente abusive di energia elettrica,

anche se la città di Nairobi consuma il 50% dell'energia nazionale annuale, per utilizzare

i servizi sanitari, quali poche latrine e toilette sia pubbliche che private dato che la

maggior parte delle case sono sprovviste di bagno, e per l'acqua. Essendo la fornitura di

acqua potabile tramite impianti e tubature pubbliche scarsa o del tutto inesistente in

queste aree e sottoposta a serie pressioni dovute all'incremento demografico

complessivo, il 75% delle famiglie ricorre a chioschi autorizzati dallo stesso NCC,

pagando però un prezzo che è almeno quattro o cinque volte più alto di quello vigente in

altre aree residenziali, mentre solo il 22% dispone di connessioni, che spesso però sono

351 Un-Habitat, Regional office for Africa and Arab States, Rapid urban sector profiling for sustainability (RUSPS), “Nairobi urban sector profile”, 2006, p. 9.

352 Mitullah W., “The case of Nairobi, Kenya”, in "Understanding Slums - Case Studies for the Global Report on Human Settlements 2003", http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/, p. 14.

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inquinanti ed il 3% ha acqua corrente in casa353. Secondo l'Athi Water Services Board

(AWSB), cioè l'ente governativo che gestisce la fornitura dell’acqua a Nairobi e nelle

aree circostanti, la domanda di acqua è attualmente di 337.487 metri cubi al giorno,

anche se i consumatori usufruiscono di una quantità ridotta, ma la stessa arriverà entro il

2020 a 728.229 metri cubi. I venditori privati dei chioschi rappresentano poi una vera e

propria categoria commerciale a volte riuniti in associazioni, come la Maji Bora Kibera

(acqua pulita a Kibera) formata da 500 persone che vendono acqua ai residenti ad un

costo di 3 centesimi ogni 20 litri. Su questa attività si basa l'economia di molte famiglie

e ciò determina il fatto che spesso a salvaguardia della propria attività, ostacolano le

stesse politiche di fornitura pubblica dell'acqua354.

Rispetto alla composizione demografica, si riscontra che la maggior parte della

popolazione è giovane in media sui trent'anni, anche se elevatissimo è il numero di

bambini orfani di genitori affetti da AIDS, che oltre all'alloggio trovano in strada forme

di sfruttamento e prostituzione. Le donne sono l'altra categoria estremamente

discriminata. Pur essendo responsabili di importanti mansioni domestiche, quali la cura

dei bambini e la raccolta giornaliera dell'acqua, subiscono violenza e sono escluse dai

diritti di proprietà su abitazioni e terreni e dall'accesso al credito per aprire attività

economiche, dovendo ricorrere come gli uomini a forme di mutuo soccorso. L'economia

informale, strettamente incorporata nel sociale e costituita da rapporti tra persona e

persona, permette alla maggior parte degli slum dwellers di trovare lavoro, dedicandosi

ad attività commerciali ed imprenditoriali principalmente al dettaglio, con la vendita di

abiti e scarpe usati (mitumba) tra le più praticate e redditizie355.

3.1 Kibera

Lo slum di Kibera, situato nella zona centro-occidentale della città a circa 7 km dal

CBD, si estende su 225 ettari (2,5 km2) di proprietà statale e costituisce l'insediamento

informale più grande di Nairobi ed il secondo in termini di popolazione dell'intero

continente africano, ospitando 700.000 abitanti, anche se non essendo mai stato

353 Un-Habitat, Regional office for Africa and Arab States, Rapid urban sector profiling for sustainability (RUSPS), “Nairobi urban sector profile”, 2006, p. 10.

354 www .ip snotizie.it/nota.php?idnews=882 .355 Nairobi ospita in centro il gigantesco mercato di Gikomba, che rappresenta il più importante snodo

di mitumba di tutta l'Africa. Neuwirth R., “Città ombra: viaggio nelle periferie del mondo”, Fusi Orari, 2007, p. 79.

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realizzato un censimento vero e proprio, alcune stime calcolano persino un milione di

slum dwellers356, di cui l'80% è composto da affittuari di strutture illegali357.

I villaggi di cui si compone358 si distribuiscono nell'area compresa tra i fiumi Nairobi e

Ngong verso sud e verso est, lungo il confine dell'area industriale della città, oltre la

gigantesca discarica nelle sue dirette prossimità fino ad arrivare quasi a ridosso

dell'aeroporto internazionale. È in gran parte fatto di capanne di fango, circa l'88% delle

strutture esistenti, presentandosi così come una baraccopoli vecchio stile, essendo le più

recenti costruite con lamiere di acciaio ondulato su esili fondamenta di cemento. Ogni

struttura è divisa in stanze singole delle dimensioni medie di 9 m2, all'interno delle quali

si stipano mediamente almeno 5 persone.. L'elevata densità abitativa, come in tutti gli

altri insediamenti informali di Nairobi, contraddistingue Kibera, con oltre 200.000

persone per km2. Tutti i residenti sono consapevoli della scarsa qualità delle abitazioni e

delle condizioni di vita estremamente povere in cui versa la maggior parte degli stessi,

con il 33% che vive al di sotto della linea della povertà359.

L'insediamento pur non disponendo di stazioni ferroviarie vere e proprie, è attraversato

da un unico binario, sul quale giornalmente passano due treni di pendolari diretti in

centro e frequenti treni merci. Lo stesso binario è costeggiato da centinaia di chioschi

più o meno fissi, dove fino alle nove di sera si svolgono gran parte della attività

economiche360. Oltre questo orario l'insediamento diviene un luogo particolarmente

rischioso in cui frequenti sono gli episodi di aggressione e violenza, tanto che per

evitare di avventurarsi nelle ore notturne si dà vita a due usanze tipiche di Kibera: da un

lato mancando i bagni all'interno delle abitazioni ed essendo rischioso utilizzare le

latrine pubbliche tra l'altro non accessibili ad oltre il 50% degli abitanti per via dei costi

elevati361, soprattutto per le donne, si ricorre alle flying toilet, ovvero semplici buste

usate come gabinetto, che poi il mattino seguente vengono gettate via; dall'altro invece

l'organizzazione di piccoli gruppi di vigilanti, pagati mediamente 10 o 20 scellini al

356 www.un h abitat.org/content.asp?typeid=19&catid=548&cid=4962 . 357 Huchzermeyer M., “Slum upgrading initiatives in Kenya within the basic services and wider

housing market: a housing concern”, Discussion Paper No. 1/2006, Kenya Housing Rights project, Centre on Housing Rights and Evictions (COHRE), 2006, p. 8.

358 Non esistendo dati oggettivi al riguardo, i vari studi e le analisi effettuate all'interno dell'insediamento calcolano l'esistenza di 11,13 o 14 villaggi.

359 Un-Habitat e Research International, “Kibera social and economic mapping: household survey report”, GOK/Un-Habitat RI/4733, 2004, p. 5 e 7.

360 Neuwirth R., “Città ombra: viaggio nelle periferie del mondo”, Fusi Orari, 2007, p. 72.361 In media si calcola poi che oltre 75 persone utilizzano la stessa latrina. Un-Habitat e Research

International, “Kibera social and economic mapping: household survey report”, GOK/Un-Habitat RI/4733, 2004, p. 8.

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giorno dai commercianti stessi e composti da pastori maasai, per lo più con lo scopo di

controllare le aree commerciali ed impedire eventuali furti. Quest'ultimo

comportamento si spiega con l'elevata diffidenza nutrita nei confronti della polizia,

spesso corrotta e responsabile di una grande quantità di sfratti, in accordo con la

compagnia ferroviaria, quella elettrica e gli stessi chief dei vari villaggi, ai quali è

necessario chiedere l'autorizzazione per costruire un'abitazione o per apportare

modifiche a quelle già esistenti, pagando dai 2.000 ai 3.000 scellini, cioè l'equivalente di

uno stipendio medio a Kibera362.

Figura 8: slum di Kibera e area del Toi Market

La nascita di Kibera risale ai primi del '900, quando l'area si trovava ancora al di fuori

dei confini della città di Nairobi, non ancora esistente in quanto tale, ed era considerata

semplicemente come boscaglia inutilizzata. Nel 1904 il sovrano inglese Edoardo VII

assegnò quest'area alle forze armate perché la usassero come campo di addestramento.

Tra le unità addestrate e residenti in loco c'erano i King's African Rifles (KAR), un

corpo dell'esercito formato da africani provenienti in maggior parte dal Sudan e da altri

Stati confinanti col Kenya, fondato nel 1891 e spedito a Nairobi per fare la guardia alla

nuova ferrovia. Alcuni dei primi soldati del KAR, chiamati nubiani per la loro origine

362 Neuwirth R., “Città ombra: viaggio nelle periferie del mondo”, Fusi Orari, 2007, p. 232.

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straniera, ormai divenuti troppo anziani per combattere, si insediarono sui confini

dell'originario campo di addestramento, presentando istanza ai superiori di poterci

rimanere. Nel 1912 gli ufficiali militari britannici concessero a 219 di loro il diritto di

abitare e coltivare la terra adiacente al campo di addestramento. Gli ex KAR

chiamarono la propria comunità Kibera, dal termine kibra che nella loro lingua d'origine

significa fattoria o terreno incolto e vi rimasero anche quando nel 1928 i KAR vennero

impiegati in altre parti del Paese. Un buon numero di nubiani sono divenuti proprietari

terrieri, grazie agli stessi permessi di occupazione militare dei britannici, che comunque

erano stati revocati negli anni '20. Tuttavia già nel 1948 un censimento attestava come

ormai solo il 55% della popolazione dell'insediamento fosse composta ancora da

nubiani, mentre il resto arrivava da quasi ogni altra tribù del Paese363, tanto che oggi

convivono anche in uno stesso micro-villaggio di Kibera diversi gruppi etnici, legati da

un forte senso comunitario.

Attualmente, la maggior parte dei residenti di Kibera è costituita da migranti che dalle

tribù rurali si sono spostate verso la capitale in cerca di lavoro, “like most people in

Kibera, they came from the countryside, not far from Lake Victoria, hoping to find

jobs”364.

Quanto già detto rispetto alla mancanza di dati certi riguardo alla numerazione esatta dei

villaggi di cui l'insediamento è composto, vale anche per l'analisi complessiva delle

caratteristiche fisiche e demografiche dello stesso. Trattandosi di un ambiente

estremamente dinamico, frammentato e stratificato, periodicamente vengono effettuate

delle raccolte dati parziali e settorializzate, in base all'aspetto che si vuole prendere in

considerazione per predisporre interventi e gli stessi soggetti che le conducono hanno

natura diversa, dalle organizzazioni internazionali su proposta e con la collaborazione

del governo, alle CBOs. Stando ad un'indagine completata nel 2004 condotta dalla

Research International su richiesta del Governo del Kenya come intervento preliminare

nel quadro del programma KENSUP concordato con Un-Habitat365, è emerso un quadro

estremamente variegato. Partendo dall'identificazione degli attori chiave nelle attività

giornaliere all'interno di Kibera, dalla raccolta di dati rilevanti riguardo gli stili e le

condizioni di vita dei residenti e dal coinvolgimento degli stessi residenti nella raccolta

delle informazioni, l'obiettivo fondamentale della ricerca è stato la presentazione sia di

363 Ibidem, p. 86.364 Harding A., “Nairobi Slum life”, articolo uscito su “The Guardian”, 4-8-10-15 ottobre 2002.365 Il Programma verrà descritto nel paragrafo successivo del presente capitolo.

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Page 21: Capitolo IV - WordPress.comcosta stessa, portando con sé oltre ad affari ed economia anche la nuova religione islamica. I contatti e l'assimilazione dei coloni arabi da parte della

un rapporto esaustivo che evidenziasse le questioni più spinose, ma soprattutto di

raccomandazioni da seguire nelle iniziative di upgrading366.

La qualità delle abitazioni e delle strutture, quali strade, punti di approvvigionamento

per l'acqua, negozi, scuole, presidi medici, uffici ma soprattutto sistemi di raccolta dei

rifiuti e di drenaggio che il Nairobi City Council non fornisce agli insediamenti

informali in genere, è scarsa e rispetto ai servizi di base e sociali di difficile accesso per

la maggior parte dei residenti, sia per motivi di distanza fisica che per ragioni

economiche. La situazione relativa alla raccolta dei rifiuti solidi e organici è ancora più

drammatica se si considera che anche laddove gli interventi in tal senso sono stati

realizzati da organizzazioni non governative per ovviare appunto all'assenza delle

autorità locali, la stessa popolazione ha trascurato del tutto la manutenzione ed ha

utilizzato le strutture o i sistemi forniti per scopi completamente diversi, portando i

progetti stessi al fallimento367.

La popolazione campione selezionata per l'indagine, ha messo in luce come l'80% degli

slum dwellers viva a Kibera non per libera scelta, dal momento che gli affitti

relativamente bassi rispetto ad altre zone della città compresi tra i 500 e i 1000 scellini

al mese, rappresentano il motivo principale della residenza, anche se nonostante ciò è

forte il senso comunitario di appartenenza allo stesso slum368. Oltre tre quarti dei nuclei

familiari, composti in media da 5 individui, guadagnano meno di 10.000 scellini al

mese, ovvero un dollaro a persona al giorno369. Le principali voci di spesa mensili e

giornaliere che vengono sostenute riguardano in ordine di importanza il cibo compresa

l'acqua, l'abitazione, la salute, il vestiario, l'educazione ed i trasporti ed in minima

percentuale anche le spese per il tempo libero. Tutte queste categorie di beni non sono

tuttavia sufficienti, vivendo infatti il 41% con un'alimentazione estremamente 366 La mappatura socio-economica è stata suddivisa in tre componenti: 1) indagine di 2.400 nuclei

familiari selezionati casualmente da tutti i 12 villaggi dello slum di Kibera; 2) indagine commerciale di 80 piccoli commercianti ed imprenditori operanti nello slum; 3) valutazione urbana partecipativa (Participatory Urban Appraisal PUA) effettuata con il supporto di un esperto, da 60 individui scelti da ognuno dei villaggi, con lo scopo di valutare i risultati e gli ostacoli delle iniziative di sviluppo nei rispettivi villaggi. Le prime due indagini sono state condotte servendosi di dati raccolti con un questionario standardizzato e altri quantitativi derivanti da interviste faccia a faccia con persone selezionate a caso. Un-Habitat e Research International, “Kibera social and economic mapping: household survey report”, GOK/Un-Habitat RI/4733, 2004, p. 1.

367 Come esempio si può citare il progetto a gestione locale COBREMI condotto dall'organizzazione AMREF a Kibera nel 2000. Era stato previsto l'acquisto di bidoni di plastica per la raccolta dei rifiuti, ma gli stessi residenti li utilizzarono per la raccolta di acqua e la pulizia individuale e dei vestiti, comportando così il fallimento del progetto. Ibidem, p. 54.

368 Ibidem, p. 4-5.369 Mulcahy M. e Chu M., “Kibera Soweto East. A case study in slum upgrading”, in “Panorama”,

Journal of the depatment of City & Regional Planning, University of Pennsylvania, Spring 2008, p. 11.

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inadeguata e avendo estreme difficoltà ad accedere a presidi medici pubblici piuttosto

che a cliniche o strutture private, ma ricorrendo a queste ultime solo in casi estremi per

via dei costi. Le malattie più diffuse e che causano il maggior numero di vittime

soprattutto tra i bambini in età inferiore ai 12 anni, sono la malaria, le malattie

respiratorie, l'AIDS e le malattie della pelle370.

Le principali fonti di reddito e guadagno per i residenti provengono da salari veri e

propri, seguiti dalle attività commerciali e da quelle portate avanti in qualità di liberi

professionisti. Questo non è sorprendente poiché data la posizione dell'insediamento,

gran parte della popolazione trova impiego nell'area industriale di Nairobi, anche se

come lavoratori occasionali. Rispetto alle tipologie di commerci portate avanti in

proprio, è estremamente diffusa la vendita di vegetali e cibo in generale, seguita da

quella di abiti di seconda mano e dalla gestione di piccoli saloni di bellezza e chioschi

di ogni genere371. I chioschi soprattutto, così come i mercati informali aperti, sono le

principali fonti di approvvigionamento per circa l'80% dei residenti per acqua e cibo in

primo luogo, essendo questi strutturati in modo più flessibile, sia rispetto alla prossimità

delle abitazioni che alla modalità di vendita di beni e prodotti, suddivisibili in unità

estremamente piccole, oltre che al rapporto di fiducia-credito che si instaura tra gestori e

clienti abituali372.

Un discorso diverso va fatto rispetto alle fonti di credito, dal momento che quasi tutti i

residenti di Kibera, così come la popolazione povera in ogni Paese in via di sviluppo,

non ha possibilità di accesso al sistema bancario istituzionale, non essendo in grado di

fornire adeguate garanzie. L'economia informale si basa infatti prevalentemente su

sistemi autonomi, che vedono l'organizzazione della stessa comunità in piccoli gruppi

per facilitare la circolazione del denaro e la predisposizione di fondi di risparmio a

rotazione. Ciò che prevale è la fiducia e non il guadagno, chiedendosi denaro

principalmente a familiari, amici e conoscenti. Le reti di mutuo aiuto sono poi distinte

anche in base all'appartenenza di genere. Ad esempio le donne si organizzano in piccoli

gruppi chiamati “giostre”, il cui funzionamento però vale anche per quelli che

raggruppano uomini: tutti i membri contribuiscono periodicamente a una cassa comune,

che ogni settimana o due viene gestita da un singolo finché tutti non vi hanno avuto

accesso; dopodiché si ricomincia il giro. Lo scopo principale di questo modo di operare

370 Un-Habitat e Research International, “Kibera social and economic mapping: household survey report”, GOK/Un-Habitat RI/4733, 2004, p. 6 e 44.

371 Ibidem, p. 26.372 Ibidem, p. 32.

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è quello di incoraggiare soprattutto la spesa, per l'apertura di un'attività o l'acquisto di

beni più costosi, piuttosto che il risparmio in quanto tale373.

3.1.1 Interventi a Kibera: KENSUP e Map Kibera Project

La maggior parte degli interventi di sites and services e di slum upgrading realizzati in

Kenya ha riguardato principalmente la regione meridionale del Paese, che tra il Lago

Vittoria e l'area circostante Nairobi, ospita la maggior parte degli insediamenti urbani di

medie e grandi dimensioni. Gli attori coinvolti sono molteplici, dal governo keniota con

i vari ministeri competenti alle associazioni degli slum dwellers aiutate sia da agenzie

internazionali che da ONG soprattutto locali. Concentrando l'attenzione sulla situazione

di Nairobi e nel caso specifico sullo slum di Kibera, si è scelto di prendere in

considerazione due diverse modalità d'intervento, tra loro però complementari, una

stabilita dall'alto e l'altra nata dai bisogni diretti delle comunità insediate nello stesso: il

KENSUP ed il Map Kibera Project.

Il Kenya Slum Upgrading Project, comunemente identificato col suo acronimo

KENSUP, è un programma che nasce come risultato di un incontro tenutosi a novembre

2000 tra l'allora presidente keniano Moi e il direttore esecutivo di Un-Habitat. L'accordo

di sovvenzione, firmato a due anni di distanza a giugno 2002, coinvolge oltre al

Governo keniano e a Un-Habitat anche la Banca Mondiale e Cities Alliance. L'inizio

effettivo della fase preparatoria è segnato dalla firma di un Memorandum d'intesa tra il

Ministero delle strade, lavori pubblici e Housing e Un-Habitat, dal momento che anche

il nuovo Governo eletto presieduto da Kibaki ha rinnovato e confermato l'adesione allo

stesso nel gennaio 2003. Di fronte alla constatazione che la maggior parte dei poveri

urbani e della popolazione nazionale è stanziata negli insediamenti informali, il

programma ha come scopo il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti degli

slums, attraverso forme di garanzia della proprietà della terra e il miglioramento di

infrastrutture, servizi e case. La sicurezza fondiaria è considerata una condizione

necessaria per la partecipazione diretta di tutti i residenti all’upgrading degli

insediamenti. Una volta definita la strategia complessiva che avrebbe da quel momento

in poi costituito la base di ogni intervento di slum upgrading, si è voluto compiere un

373 Neuwirth R., “Città ombra: viaggio nelle periferie del mondo”, Fusi Orari, 2007, p. 81.

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ulteriore passo comprendendo all'interno dello stesso KENSUP tutte le attività correlate,

quali principalmente i programmi sanitari, di fornitura dell'acqua e di supporto ai

giovani.

Dopo una prima analisi a livello nazionale, sulla base di un'indagine già realizzata nel

2001 dal Collaborative Slum Upgrading Programme relativa appunto alla storia e allo

status degli slums esistenti a Nairobi374, si è optato per avviare due progetti pilota, uno

nella città di Kisumu sul Lago Vittoria e l'altro nel villaggio di Soweto East all'interno di

Kibera, con l'intenzione di poter poi estendere l’esperienza ad altri contesti urbani, quali

principalmente Mombasa e Mavoko, per affrontare la sfida della rapidissima

urbanizzazione375. Le attività preparatorie predisposte per la realizzazione pratica degli

interventi stabiliti, sono state raggruppate in quattro grandi categorie: creazione di

apposite strutture istituzionali interne ad alcuni ministeri già esistenti oppure con base

negli stessi insediamenti informali per il monitoraggio e l'implementazione, anche sulla

base del principio del decentramento amministrativo e della delega alle autorità locali376;

realizzazione di un'analisi approfondita socio economica, di cui si è già parlato;

realizzazione di mappature fisiche riportanti le caratteristiche di base dei vari villaggi di

cui si compone Kibera, dal punto di vista delle infrastrutture e dei servizi esistenti ma

anche da quello dei diritti di proprietà e del regime fondiario vigente, che ha messo in

evidenza come la maggior parte dei residenti paghi un affitto mensile e sia soggetta ad

abusi in tal senso, essendo il mercato immobiliare negli insediamenti informali

estremamente più redditizio che in quello formale per la mancanza di garanzie, controlli

e diritti individuali e collettivi; previsione da parte del Governo di un luogo per

l'insediamento provvisorio dei residenti spostati nei pressi del carcere di Langata, in

374 Si tratta della “Nairobi situation analysis”, prodotta dalla collaborazione di un certo numero di gruppi di lavoro composti da rappresentanti del settore pubblico, di quello privato, delle organizzazioni di base, delle ONG e dei donatori. www.unhabitat.org/content.asp?cid=3032&catid=5&typeid=6&subMenuId=0&year=2003.

375 I progetti ancora in corso d'opera sono oggi i seguenti: Cities without Slums a Kisumu; Sustainable Neighbourhood Programme a Mavoko; Kibera Slum Upgrading, Kibera Integrated water, Sanitation and Waste Management Projetc, Kahawa Soweto e Korogocho Slum Upgrading a Nairobi; Kiandutu Slum Yout Project a Thika; Mombasa Slum Upgrading Programme; Youth Empowerment Programme a Kibera e Mavoko. Un-Habitat, “Un-Habitat and the Kenya slum upgrading programme”, Strategy Document, 2008.

376 Ne sono state create cinque: Inter-Agency coordination Committe (IACC) composta da membri del Ministero di strade, lavori pubblici e housing, il Ministero delle terre, il Ministero del Governo locale, il Ministero dell'acqua e il Nairobi City Council (NCC); Segretariato nazionale KENSUP, interno al Ministero di strade, lavori pubblici e housing; Programme Implementation Unit (PIU) presso il Dipartimento di sviluppo abitativo del NCC; Settlement Programme Implementation Unit (SPIU) presente in ogni insediamento; Settlement Executive Committe (SEC) formata dai membri della comunità in ogni insediamento. www.unhabitat.org.

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vista della realizzazione nel villaggio di provenienza di infrastrutture e servizi377.

I finanziamenti per la fase preparatoria hanno visto la seguente ripartizione: 240.000

dollari stanziati da Cities Alliance, 60.000 dollari dal Governo del Kenya per la fase

preparatoria, seguita dallo stanziamento di oltre 110.000 dollari da parte di Un-

Habitat378. All'interno del primo ente finanziatore, le varie agenzie nazionali di sviluppo

che ne fanno parte, quali principalmente quella norvegese e la SIDA (Swedish

International Development Agency) svedese, hanno dato il loro consenso per aumentare

lo stanziamento per il supporto tecnico funzionale ad uno studio di fattibilità sulla

riforma fondiaria. Accanto alle attività preparatorie precedentemente elencate, la Cities

Alliance in base ai principi ispiratori che ne hanno segnato la nascita, si fa promotrice di

altre da far rientrare nella più generale strategia del KENSUP, da mantenere e ripetere in

tutti i vari progetti di upgrading. È stato ritenuto necessario infatti, costruire campagne

informative e promozionali per permettere una mobilitazione delle risorse disponibili,

soprattutto umane, che sia più efficace e consapevole, anche attraverso la facilitazione

del capacity building a livello istituzionale e di enti locali, la promozione di scambi,

corsi di formazione e seminari per appartenenti alle CBOs e a funzionari delle autorità

locali per la diffusione di buone pratiche su metodi di gestione ed implementazione di

progetti e fondi. Pressioni politiche con l'intento di facilitare processi di riforme

specifiche e l'approvazione di leggi, si pongono come corollario delle precedenti

azioni379.

Il villaggio prescelto all'interno di Kibera è stato Soweto East, all'estremo orientale

dell'insediamento con una popolazione di 70.000 abitanti. Il lancio del progetto è

avvenuto durante il World Habitat Day del 2004 tenutosi proprio a Nairobi, con una

presentazione grafica del progetto pilota di riqualificazione e sviluppo dell'area, i cui

obiettivi principali richiamandosi a quelli generali alla base del KENSUP, si

focalizzavano sulla necessità di garantire la sicurezza della proprietà, sul miglioramento

delle condizioni abitative, sulla creazione di attività economiche produttrici di reddito e

sul miglioramento di strutture ed infrastrutture fisiche e sociali380.

Il piano strutturale-abitativo del progetto è stato identificato dal KENSUP come

377 Ibidem.378 www. unhabitat.org/downloads/docs/Press_SG_visit_Kibera07/SG%2016.pdf . 379 www.unhabitat.org .380 Mulcahy M. e Chu M., “Kibera Soweto East. A case study in slum upgrading”, in “Panorama”,

Journal of the depatment of City & Regional Planning, University of Pennsylvania, Spring 2008, p. 10.

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rientrante in un approccio di riqualificazione per zone ad elevata densità abitativa381,

attraverso il quale l'intero insediamento viene riorganizzato, pianificato e fornito di

nuove strutture. Oltre alla costruzione di una strada interna al villaggio e alla

predisposizione di alloggi temporanei per la popolazione, è stata prevista la

realizzazione di blocchi ordinati di appartamenti delle dimensioni di 50 m2, in base agli

standard abitativi precedentemente riconosciuti dallo stesso Governo, la cui proprietà

sarebbe stata affidata ad un privato. Questo approccio era piuttosto simile a quello

seguito in altri progetti di riqualificazione realizzati a Nairobi382 nei primi anni '90 e

gestiti dalla National Housing Corporation (NHC), risultati però fallimentari

nell'indirizzarsi alle fasce più povere della popolazione poiché i costi dell'affitto erano

estremamente proibitivi, favorendo ancora una volta la speculazione delle classi medie e

dei politici dietro la gestione della stessa NHC.

Tornando al progetto di Soweto East, la costruzione e la gestione di questi blocchi, in

cui inizialmente però non rientravano locali per le attività commerciali o negozi e che

furono previsti in un secondo momento, era considerata come garanzia sul piano del

possesso e come possibilità di creazione di nuove forme di supporto economico.

Restando la proprietà effettiva della terra al Governo del Kenya, i beneficiari infatti,

avrebbero potuto acquistarli, affittarli o semplicemente occuparli dietro autorizzazione e

garanzia dei gruppi di appartenenza, principalmente cooperative di residenti, la cui

creazione sarebbe stata facilitata proprio per garantire la gestione futura dello stabile. La

cooperativa inoltre, favorendo la partecipazione attiva di tutti i suoi membri, avrebbe

funzionato anche come mezzo per raccogliere risparmi da depositare nel proprio fondo

comune che, finanziato anche da donazioni esterne da parte del Governo, avrebbe

fornito credito ai singoli per permettere l'acquisto di un'unità abitativa383.

Facendo un bilancio di quanto finora realizzato nel quadro istituzionale del KENSUP e

principalmente in relazione al progetto pilota di Soweto East, si riscontrano sì interventi

positivi, ma anche molte carenze e punti deboli nell'implementazione pratica dei

principi alla base dell'approccio stesso. Effettivamente sono stati eletti i comitati

esecutivi (Settlement Executive Committee, SEC) nei villaggi di Soweto East e di Laini 381 “High-density redevelopment approach”, ibidem, p. 15.382 Si tratta del Kibera High Rise Project e del Pumwani-Majengo slum redevelopment. Huchzermeyer

M., “Slum upgrading initiatives in Kenya within the basic services and wider housing market: a housing concern”, Discussion Paper No. 1/2006, Kenya Housing Rights project, Centre on Housing Rights and Evictions (COHRE), 2006, p. 7.

383 Mulcahy M. e Chu M., “Kibera Soweto East. A case study in slum upgrading”, in “Panorama”, Journal of the depatment of City & Regional Planning, University of Pennsylvania, Spring 2008, p. 15 e 17.

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Saba in rappresentanza della comunità, ma si lamenta la mancanza di un effettivo

coinvolgimento degli slum dwellers dovuto essenzialmente alla mancanza di

un'informazione chiara, resa più complessa dalle barriere linguistiche della divulgazione

solo in inglese, di feedback sugli interventi stessi e spesso anche a causa della scarsa

competenza degli operatori pubblici, non del tutto consapevoli della natura delle azioni

del KENSUP384. La mappatura socio economica dell'intero insediamento di Kibera è

stata ultimata, mentre quella fisica intrapresa con la collaborazione col Ministero delle

terre e del suo Dipartimento di pianificazione fisica è tutt'ora in fase di realizzazione.

Sulla base dei dati precedenti è stato finalizzato un master plan per Kibera

comprendente anche l'approvazione di un piano stradale di cui la costruzione di 1,25 km

di strada è stata appaltata e finanziata congiuntamente da Governo e Un-Habitat, con la

previsione di realizzare un totale di 4 km nella fase finale del progetto. Delle costruzioni

temporanee accanto al carcere femminile di Langata è stato realizzato il 60%, il

Governo del Kenya ha istituito un fondo per i progetti di slum upgrading, il

KENSUF385, con uno stanziamento iniziale di 250.000 dollari e si è assistito alla

formazione di quattro cooperative legalmente registrate con l'assistenza del Ministero

delle cooperative e tutt'ora operanti nella zona di Soweto East386.

Sul piano delle riforme istituzionali c’è da segnalare che nell'estate del 2007 il Governo

ha sviluppato un nuovo codice abitativo, pensato appositamente per affrontare il

problema delle evizioni e mettere ordine nel settore abitativo privato. Sempre con lo

stesso spirito, è stata formulata anche una nuova politica nazionale della terra (National

Land Policy). Sono seguiti poi altri atti volti ad affrontare in modo più sistematico le

varie problematiche esistenti negli insediamenti informali, rispettando quanto stabilito

con la strategia del KENSUP sugli interventi integrati, il decentramento e la

complementarietà, dando vita al Ministero di genere, ad una Commissione parlamentare

per l'abitazione, la salute ed il welfare e ad una task force inter-agenzie e inter-

ministeriale per l’Housing, con rappresentanti del settore civile e di strutture come la

Commissione nazionale per i diritti umani (Kenya National Commission on Human

Rights)387.

384 Ibidem, p. 16.385 www.unhabitat.org .386 Un-Habitat, “Un-Habitat and the Kenya slum upgrading programme”, Strategy Document, 2008, p.

18.387 Mulcahy M. e Chu M., “Kibera Soweto East. A case study in slum upgrading”, in “Panorama”,

Journal of the depatment of City & Regional Planning, University of Pennsylvania, Spring 2008, p. 13.

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Un ulteriore passo decisivo, relativo alla sola realtà di Nairobi, è stata poi la creazione,

tramite decreto presidenziale nell'aprile del 2008, del Ministero dello sviluppo

metropolitano di Nairobi. L'obiettivo generale dietro a questa nuova entità risiede nel

perseguimento della Vision 2030, ovvero l'ultimo grandioso programma economico per

il Kenya. Con quest'ultimo il Governo identifica la necessità di migliorare le condizioni

di vita dei keniani come obiettivo fondamentale della stessa strategia, attraverso un'equa

distribuzione delle risorse ed uno sviluppo generalizzato di e su tutto il Paese, la

predisposizione di un piano per l'urbanizzazione sostenibile che migliori le capacità di

pianificazione a livello urbano e regionale, la fornitura di alloggi adeguati per tutti,

sostituendo gli slums con abitazioni abbordabili, il miglioramento e la fornitura di

infrastrutture e servizi adeguati. Oltre a Nairobi, il Governo ha creato altre 5 regioni

metropolitane, considerate come fiore all'occhiello della stessa Vision 2030388.

Il maggiore aspetto negativo è rappresentato invece dal fatto che per vari motivi tutti gli

interventi realizzati hanno avuto un impatto limitato, poiché nonostante i principi

generali sanciti nel documento strategico, i progetti sono stati pianificati ed

implementati in maniera isolata, l’allocazione delle risorse non è stata del tutto

trasparente, ci sono state carenze rispetto alla governance e senza che ci siano state poi

repliche o follow-up. I progetti nel loro complesso hanno risentito della mancanza di

chiari prototipi dimostrativi, in cui si sarebbe specificata meglio la natura degli stessi

interventi, portando spesso all'abbandono totale o all'interruzione dei lavori già

realizzati. Non sono stati creati buoni indicatori locali e la disponibilità di dati

disaggregati di natura qualitativa è scarsa. C'è stata poi poca attenzione nel rendere

visibile il collegamento tra creazione/miglioramento dei sistemi igienico-sanitari e

attività portatrici di reddito per i residenti di Kibera389. Per cercare di ovviare a

quest’ultimo aspetto, il nuovo progetto legato alla fornitura di acqua e di servizi

igienico-sanitari in fase di avanzamento sempre nei villaggi di Soweto East e Laini

Saba, va nella direzione opposta. Il Kibera Integrated Water, Sanitation and Waste

Management Project (WATSAN), lanciato da Un-Habitat nel 2007 e implementato con

la collaborazione dell'ONG locale Maji na Ufanisi390, supporta interventi di piccola

scala gestiti a livello di comunità di base, piuttosto che di ampio raggio per la copertura

388 Le regioni metropolitane sono: Nairobi, Mombasa, Kisumu-Kakamega, Nakuru-Eldoret, Wajir-Garissa-Mandera e Kitui-Mwingi-Meru. www.information.go.ke/index.php.

389 www. unhabitat.org/downloads/docs/Press_SG_visit_Kibera07/SG%2016.pdf .390 Mulcahy M. e Chu M., “Kibera Soweto East. A case study in slum upgrading”, in “Panorama”,

Journal of the depatment of City & Regional Planning, University of Pennsylvania, Spring 2008, p. 16.

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dell’intero insediamento. Infatti, oltre a realizzare simultaneamente impianti idrici e di

drenaggio, sistemi igienico-sanitari e di raccolta e smaltimento rifiuti, si è cercato di

creare maggiori livelli di integrazione anche culturale-educativa sia tra gli operatori

coinvolti che tra spazi ed infrastrutture realizzate, con un'attenzione particolare

all'aspetto della manutenzione e della creazione di attività portatrici di reddito391.

Il secondo progetto menzionato a inizio paragrafo, ovvero il Map Kibera Project, pur

rifacendosi a precedenti interventi realizzati anche nella fase iniziale dello stesso

KENSUP ed utilizzando metodologie simili, parte direttamente dal basso, vedendo una

collaborazione congiunta di un team internazionale prevalentemente italo-keniota e

degli stessi slum dwellers di Kibera. Alla base del progetto in quanto tale sta la

constatazione che nonostante i vari studi e ricerche compiuti sino ad oggi, non si

dispone ancora di dati affidabili circa le reali dimensioni dell’insediamento.

Iniziato a maggio 2008, si presenta come progetto indipendente estremamente

importante poiché si pone un duplice obiettivo: da un lato realizzare una mappatura

specifica non a livello aggregato, ma relativa ad ogni singolo villaggio, attraverso

un’indagine condotta principalmente porta a porta che rilevi le caratteristiche fisiche e

socio-demografiche; dall’altro si pone come progetto di sviluppo vero e proprio in

quanto avviene un trasferimento di know how alla popolazione giovane autoctona in

materia di mappatura geografica, analisi ed elaborazione di dati. Una volta terminato

l’intero progetto si intende poi rendere i dati accessibili a tutti attraverso la

pubblicazione sul sito internet di riferimento. Infatti, per rendere più agile e chiara

l’analisi multidimensionale, si è scelto di produrre mappe digitali che possano

evidenziare direttamente i principali problemi delle aree d’intervento. Il team si avvale

soprattutto di sistemi d’informazione geografica (GIS) e software specifici. Accanto a

quest’analisi tecnica però vengono condotte ricerche sul campo per mettere in evidenza

sia le caratteristiche fisico-strutturali che quelle socio-demografiche dei singoli villaggi.

Rispetto al primo punto si studia la conformazione del terreno, le tipologie e la qualità

di abitazioni e strutture esistenti, l’esistenza di sistemi di drenaggio, di fornitura elettrica

e sistemi igienico-sanitari, di scuole e di centri per le cure mediche. Sul piano socio-

demografico invece, si evidenzia la densità della popolazione, le percentuali di donne e

bambini al di sotto dei 18 anni esistenti, la distribuzione etnico-tribale e lo status

economico dei vari nuclei familiari.

391 www. unhabitat.org/downloads/docs/Press_SG_visit_Kibera07/SG%2016.pdf .

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Data la vastità e la complessità degli stessi, per il momento è stato possibile ultimare la

prima mappatura relativa al villaggio di Kianda, all’estremo opposto di Soweto East,

cioè nella zona occidentale dell’insediamento392.

Alla luce del principio partecipativo riconosciuto con forza a livello internazionale, che

vuole un crescente coinvolgimento dal basso nelle iniziative di sviluppo ed upgrading,

progetti del genere nati direttamente dalla comunità civile, mostrano ancora una volta

quanto siano gli stessi abitanti a fornire indicazioni precise circa reali bisogni e

necessità e quanto senza il loro coinvolgimento gli interventi siano assolutamente

inefficaci.

4. Il mercato informale di Toi Market

Il mercato di Toi Market oltre ad essere il luogo di lavoro di molti abitanti di Kibera, in

quanto situato a confine con la zona nord dell'insediamento e raggiungibile dal CBD

attraverso due delle più importanti strade della città, la Ngong road che si estende verso

ovest e la Kibera drive che attraversa lo stesso slum, rappresenta uno dei centri

economici informali più importanti dell'intera città e della regione. Operano al suo

interno circa 3.500 commercianti in modo stabile mentre vi orbitano altri 5.000

commercianti che acquistano nel mercato merci all'ingrosso per rivenderle altrove393.

Tutti sono classificabili tra la popolazione più povera in assoluto della città, priva di

qualsiasi diritto. La discrepanza tra le condizioni di povertà in cui versano i

commercianti e gli utenti orbitanti al suo interno e la sua importanza per l'economia

cittadina, hanno suscitato grande preoccupazione, tanto da portare ex segretario di Stato

USA e co-presidente della Commission on Legal Empowerment of the poor dell'UNDP

Madeleine Albright assieme all'allora Ministro della terra keniano, ad una visita

ufficiale per richiamare l'attenzione a livello soprattutto internazionale sui problemi del

mercato stesso394.

La storia del Toi Market comincia negli anni ‘80 con un numero esiguo di

commercianti. Nel 1995 si completa, su una parte dell’area, la costruzione del Kibera

Hawkers Market, mercato statale con l'obiettivo di sostituire il precedente mercato

392 www.mapkiberaproject.org . 393 COPA- Kenya members, “An update on the post election violence in Nairobi's informal

settlements”, 10 gennaio 2008, p. 4.394 Legal Empowerment Quarterly, edition one, January 2007, www.undp.org.

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informale. Delle 192 strutture realizzate solo cinque furono assegnate effettivamente a

questi commercianti, mentre tra i beneficiari esterni si contavano prevalentemente amici

degli amministratori provinciali. Dal 1996 al 1999 si susseguono tra la protesta dei

commercianti varie vicissitudini giudiziarie, che portarono all'incriminazione e

all'arresto di presidente, segretario e tesoriere del Toi Market poiché a causa della

carenza di fondi non erano stati effettuati adeguamenti igienico-sanitari a spese degli

stessi commercianti. Attualmente è ancora incerta la questione della proprietà e della

stessa competenza amministrativa, dal momento che nel 2005 una porzione di terra è

stata affidata ad un privato, così come in realtà l'effettiva localizzazione dello stesso, se

parte integrante di Kibera, esterno oppure appartenente a Dagoretti395.

Convenzionalmente però l'area è definita entro un perimetro di 3,5 ettari, delimitata a

nord dalla scuola superiore Toi Primary e da un campo sportivo del NCC, a ovest

dall’insediamento formale Fort Jesus, costituito da un complesso di abitazioni costruite

dal governo negli anni ‘80, ad est dalla struttura privata di accoglienza “New life home”

e dalla stazione di servizio “Kibera Petrol station” e a sud dalla Kibera drive.

I commercianti di Toi Market hanno affrontato nel corso degli anni innumerevoli

minacce, prime fra tutte quelle di sfratto e demolizione data l'assenza di titoli di

proprietà certi, fino ad arrivare alla totale distruzione causata da un incendio a gennaio

2008, durante i conflitti politici post-elettorali. L'evento ha portato grandi cambiamenti

nella Comunità del mercato, già precedentemente divisa dalle violenze etniche che

hanno allontanato dall’area molte famiglie provenienti dalle regioni centrali e orientali

del Kenya. Con il ritorno alla normalità alcuni commercianti hanno gradualmente

cominciato la ricostruzione e la ripresa delle attività, mentre nuovi sono giunti a

rimpiazzare quelli che, persa la loro postazione, si sono spostati nei pressi dell’area

Adam Arcade.

Dal punto di vista organizzativo e fisico, l'area su cui sorge il mercato è priva di

infrastrutture. È totalmente assente la pavimentazione stradale ed i percorsi pedonali,

tanto che durante la stagione delle piogge il terreno diventa un tappeto di fango, che

rende ancora più difficile l'accesso da parte di commercianti, utenti e veicoli. Stesso

discorso vale per l'elettrificazione, presente solo lungo la Kibera drive e le strutture

adiacenti, per i sistemi di approvvigionamento dell'acqua potabile, lo smaltimento dei

rifiuti e per i servizi igienico-sanitari, esistendo solo due gruppi di latrine: da un lato le 6

395 COPA-Kenya members, “An update on the post election violence in Nairobi's informal settlements”, 10 gennaio 2008, p. 4.

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pit-latrines in strutture fatiscenti, di proprietà privata ma carenti di qualsiasi

manutenzione e utilizzabili al costo di 5 scellini a persona per volta; dall'altro un

comprensorio di docce e 2 toilette con scarico costruito nel 2004, utilizzato anche dagli

esterni e sempre di proprietà di un uomo d'affari.

Nel mercato si svolgono attività miste, prevalentemente alimentari (circa il 40%) e di

vendita di vestiario usato (circa il 30%), ma è esercitata anche la vendita di prodotti ed

utensili domestici, attività artigianali, gestione di tavole calde e aree da gioco,

lavorazione dei metalli, saloni per acconciature, servizi di riparazione e officine per

veicoli. Delle 2.500 attività censite dalla comunità stessa, l’ 80-90% è ospitata in

strutture semi-permanenti, la restante percentuale è svolta da venditori ambulanti che si

spostano periodicamente, o giornalmente, e non hanno struttura di appoggio. Il mercato

è in funzione sei giorni a settimana, con la domenica come giorno di riposo, ed è

“aperto” dalle sei del mattino fino alle sei di sera, orario in cui alcuni commercianti si

dedicano ad altre attività esterne allo stesso.

Sul piano organizzativo la comunità è suddivisa in vari gruppi, a seconda degli interessi,

del genere, dell'età e dell'appartenenza etnica degli stessi membri, come ad esempio i

gruppi delle banane, dei cereali oppure delle donne, dei giovani e dell'etnia Luya, la cui

esistenza è legata alla collaborazione reciproca, alla predisposizione di piccoli fondi di

prestito e rotazione, essendo l'accesso ai crediti bancari veri e propri impossibile, alla

ricerca di soluzioni per svolgere al meglio le proprie attività. Il censimento più recente

di cui si dispone o enumeration and mapping, così come sono conosciuti questi

interventi negli insediamenti informali, risale al 2005, ma la comunità aiutata

prevalentemente dall'ONG keniana Pamoja Trust, sta provvedendo all'aggiornamento

dei dati, in un'atmosfera di riassetto dopo le violenze e l'incendio post-elettorali. Stando

ai dati disponibili si sa che la popolazione complessiva del mercato è composta per il

48% da donne e per il 52% da uomini, con questi ultimi che hanno una predominanza

nella gestione delle vendite sia all'ingrosso che al dettaglio, rispettivamente 58% e 52%.

Sono presenti tuttavia anche un centinaio di bambini, molti dei quali orfani di genitori

affetti da AIDS e ospitati da altre famiglie, con figli propri, che non possono permettersi

di mandarli a scuola o di nutrirli adeguatamente, lasciandoli di fatto abbandonati a se

stessi per tutto il giorno tra le strade del mercato.

Sono state poi individuate le fasce di reddito mensile, che spaziano in un range

compreso tra due fasce: fino ai 3.000 scellini (circa 30 euro) e poco più di 25.000 (circa

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250 euro). A differenza di quanto avviene nello slum di Kibera rispetto al regime di

proprietà, l'86% dei commercianti di Toi Market è proprietario della struttura in cui

opera, pur restando ovviamente il problema legato ai diritti fondiari. Sia i proprietari che

gli affittuari risiedono per la maggior parte nell'insediamento di Kibera, mentre

componenti meno cospicue provengono da insediamenti limitrofi, quali Dagoretti,

Riruta Satellite e Kawangare. Ciò spiega perché gli spostamenti avvengono

prevalentemente a piedi o in bicicletta e in minima parte servendosi di mezzi pubblici e

matatus, dal momento che pochissimi possiedono un mezzo proprio.

Quasi tutti i commercianti hanno iniziato la propria attività in concomitanza con la

nascita del mercato, essendo il 59% degli stessi di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Le

fonti di guadagno provengono principalmente da un solo business (77%), mentre pochi

gestiscono contemporaneamente più attività, sempre all'interno dello stesso mercato. Tra

le varie categorie commerciali si collocano anche i venditori privati d'acqua, che come

già menzionato hanno un'importanza fondamentale per l'approvvigionamento

giornaliero negli insediamenti informali di Nairobi. Questi, riescono a guadagnare dai

58 ai 72 dollari al mese, una cifra elevata se si tiene presente che la domanda d'acqua,

quasi 400 litri al giorno, proviene prevalentemente dai chioschi alimentari e di abiti a

servizio lavanderia che non possono prescindere dal suo utilizzo. Tuttavia, essendo la

tariffa estremamente costosa, 3 centesimi per una bottiglia da 70 ml, non tutti riescono a

permettersi l'acquisto di acqua potabile e si vedono costretti a ricorrere all'acqua

piovana, raccolta in grandi contenitori privi di qualsiasi sistema di filtro, drenaggio e

soprattutto protezione igienica396.

4.1 Progetto d'intervento: riqualificazione e sviluppo di Toi Market

Il Toi Market Redevelopment Project nasce dalla constatazione del ruolo vitale che

questo mercato informale rappresenta per l’insediamento di Kibera e per l’economia

cittadina in generale, essendo ormai chiaro quanto peso rivesta effettivamente il

contesto informale rispetto alla possibilità di fornire lavoro, servizi, commercio e

reddito alla maggior parte della popolazione del Kenya. Il progetto nel suo complesso,

rivolgendosi direttamente a circa 2.500 commercianti presenti nell’area ed

396 Enumeration and mapping 2005, condotta dai commercianti del Toi Market con il supporto di Pamoja Trust.

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indirettamente agli altri commercianti ed utenti che giornalmente lo frequentano,

intende garantire sia il proseguimento delle attività creandone di nuove che assicurino

reddito autonomo, sia il miglioramento delle condizioni fisico-strutturali, inquadrandosi

perfettamente nelle priorità di sviluppo sancite dalle Nazioni Unite e più precisamente

rispondendo all’MDG 7 col Target 11: conseguire entro il 2020 un miglioramento

significativo nell'esistenza di almeno 100 milioni di slum dwellers.

Si assiste ad una commistione di approcci ed interventi, di natura prevalentemente

architettonico-urbanistica e socio-economica, che ha lo scopo di migliorare le

condizioni di vita della popolazione, superando il modello classico di slum upgrading

attraverso la previsione di attività che portino ad una maggiore integrazione tra spazi ed

insediamenti limitrofi e all’interno della stessa comunità. Fondamentale in quest’ottica è

la facilitazione del processo di auto-determinazione già avviato grazie all’azione svolta

negli anni dall’ONG keniota Pamoja Trust397 e la partecipazione attiva dei commercianti

alla gestione dell’intero processo, dalla progettazione all’implementazione pratica,

partendo direttamente da bisogni ed esigenze reali. Sul piano socio-economico viene

sostenuto il potenziamento della struttura organizzativa già esistente della comunità e

delle sue capacità tecnico-progettuali, avendo un’attenzione particolare per il ruolo delle

donne, in un’ottica di uguaglianza di genere.

Contemporaneamente attraverso la realizzazione di infrastrutture di base, che siano

integrate con il resto della città, si favorisce il miglioramento delle condizioni igienico-

sanitarie ed ambientali dell’area, l’accesso diretto all’acqua potabile e per uso civico,

l’accessibilità alle sezioni commerciali anche durante la stagione delle piogge. Il

397 Fondata a Nairobi nel tra il 1999 ed il 2000 dopo una serie di incontri e workshops tra membri di organizzazioni già esistenti e tutt’ora membro attivo della Slum Dwellers International (SDI), è da sempre impegnata nel sostenere a vari livelli i movimenti dei poveri urbani. Nasce per sostenere e rafforzare una federazione di slum dwellers, la Muungano Wa Wanavijiji, con l’intento principale di contrastare la politica di non riconoscimento ufficiale, di demolizioni e di evizioni forzate portata avanti dal Governo soprattutto negli anni ’90, rispetto agli insediamenti informali sparsi su tutto il territorio nazionale. Il significato del nome è emblematico, “lavorare insieme”, essendo la collaborazione tra le due entità costituisce, e con altri soggetti, uno dei punti forti della strategia adottata dalla Pamoja Trust, in quanto si assiste ad un costante scambio di conoscenze e competenze tecniche in ogni progetto di sviluppo realizzato. Fondamentale è la sua azione di fronte al governo, chiedendo riforme rispetto al regime e al mercato fondiario, nella convinzione che sia dovere del potere pubblico assicurare condizioni di vita dignitose a tutti i cittadini compresi quelli poveri, fornendo sicurezza della terra, alloggi, servizi e possibilità di accedere a crediti e finanziamenti. Pamoja Trust è stata a sua volta supportata in numerosi progetti da importanti soggetti istituzionali e privati, quali Ford Foundation, Homeless International, e ha collaborato con ITDG, UN-Habitat, Banca Mondiale e Governo del Kenya. Nel 2004 Pamoja ha lanciato Akiba Mashinani Trust (AMT), entità che fornisce prestiti per attività commerciali e progetti comunitari. La stessa direttrice esecutiva, Jane Weru lavora per la Millennium Task Force delle NU per migliorare le condizioni di vita degli slum dwellers. Pamoja Trust, “Annual Report 2006”.

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problema spinoso della sicurezza della terra, sorgendo il mercato su terre demaniali il

cui titolo di proprietà a privati è ancora in fase di definizione, viene affrontato anche in

questo progetto, servendosi dell’esperienza e della consulenza della Pamoja Trust.

Ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno portato all’evoluzione dell’idea iniziale,

si arriva ad oggi con una maggiore definizione di priorità, obiettivi ed azioni così come

ad un partenariato più ricco, che vede oltre alle già menzionate Pamoja Trust e

comunità locale, il coinvolgimento di altri soggetti italiani e keniani in qualità di tecnici,

ONG, università ed autorità locali, il cui ruolo verrà successivamente specificato.

Il progetto per Toi Market inizia nel 2004 sotto l’input della comunità locale, il supporto

legale e sociale dell’ONG keniana Pamoja Trust ed il supporto organizzativo di

Muungano Wa Wanavijiji398. Lo stesso anno ha inizio una prima collaborazione tra la

comunità di Toi Market e uno degli architetti dell’Architecture Open Circuit (AOC),

l’associazione italiana che si farà in seguito promotrice sia dell’ elaborazione del

progetto architettonico-urbanistico che della ricerca di fondi e finanziamenti.

Coinvolgendo altri enti italiani, sia pubblici come la Regione Lazio che ha fornito i

finanziamenti per la fase di start-up che privati come la Zone Onlus, il progetto viene

presentato nel 2007 nell’ambito del World Social Forum di Nairobi, richiamando

l’attenzione internazionale e del Governo keniota sui problemi del mercato. Nel

frattempo la comunità principalmente tramite i propri rappresentanti eletti in un

Planning Team399 ed il Toi Market Saving Scheme (TMSS)400 provvedeva, sempre col

398 Si tratta di una federazione di abitanti degli slums in Kenya, costituita da gruppi di occupanti abusivi, che vivono su terre di proprietà privata, del Governo o del Comune, cui mancano un’ abitazione, servizi di base, lavoro o un reddito adeguato. E’ membro attivo della SDI. Nata nei primi anni ’90 come forum di abitanti degli insediamenti informali che si riunivano per lottare contro gli sfratti e le demolizioni, è poi diventata una base organizzativa sempre più ampia fino a contenere numerosi gruppi locali che hanno costituito un network attivo in tutta la città di Nairobi. L’organizzazione, che costituisce una vera coalizione tra gruppi è supportata da numerose altre organizzazioni di Nairobi, come la già citata Pamoja Trust che ne ha facilitato la formazione, e da altri organismi e istituzioni impegnati nel settore dei diritti, quali ad esempio Oxfam e Kenya Human Rights Commission. Tra le importanti pratiche operative emerse durante gli anni di attività vi sono i Saving Scheme e gli scambi a livello nazionale ed internazionale tra gruppi di abitanti degli slums, per facilitare integrazione e rafforzamento reciproco. Muungano wa Wanavijiji è ora presente con Saving Schemes in circa 168 quartieri informali sparsi in tredici aree urbane del Kenya: Langata, Huruma, Athi River, Dagoretti, Westlands, Citare, Nakuru, Madera, Timau, Ndiya, Mombasa, Kisumu, Kithare. Questi gruppi Muungano interagiscono a loro volta in quattro network principali che raggruppano le aree suddette in Sud, Est, Kitare e Nakuru. Attualmente ci sono circa 400 saving schemes in Kenya, con un totale di circa 25.000 membri. Alam A., Baliga N., Deji G., Lenton A., Sugeno F., Witriol J., “Enabling a community-led process: Pamoja Trust’s approach to slum-upgrading in Nairobi, Kenya”, School of International and Public Affairs, Columbia University, 2005, p. 9.

399 Essendo il mercato diviso in 9 sezioni , sono stati eletti 3 membri per ognuna, per un totale di 27 individui, comprese anche le donne.

400 Nato negli anni '90 grazie al supporto di Muungano Wa Wanavijiji, ha attraversato una graduale fase di disgregazione interna causata principalmente dagli impedimenti esterni di potersi riunire, per poi

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supporto della Pamoja Trust e dei tecnici italiani, all’aggiornamento dei dati raccolti nel

2005 con la prima enumeration and mapping, i cui lavori tuttavia hanno subito una

brusca battuta d’arresto in seguito ai disordini post-elettorali, che oltre ad aver

parzialmente distrutto il mercato, hanno comportato anche la perdita dei dati in possesso

della comunità. Questa situazione incerta avrà ripercussioni anche sul progetto

originario, vedendo gli architetti italiani tornare più volte a Nairobi per giungere alla

versione finale dello stesso, con obiettivi e strategie concordate tra tutti i vari soggetti

coinvolti, ora comprendenti in Kenya una società di progettazione, la Tecta Consultants,

la Jomo Kenyatta University of Agriculture and Technology (JKUAT) ed il supporto

dello stesso Nairobi City Council e del Ministero della terra (MOLAH).

4.1.1 Strategia ed azioni del progetto

Trattandosi di un progetto di sviluppo e di riqualificazione di un’area circoscritta che

presenta un elevato numero di problematiche, è stato possibile sino ad ora realizzare

alcuni piccoli interventi, ma principalmente si è investito nella ricerca di partenariato,

supporto tecnico e nello studio approfondito della situazione, per individuare in modo

più accurato le reali necessità della comunità nel suo complesso e di singoli gruppi

beneficiari di cui la stessa si compone. La partecipazione attiva e continuativa della

comunità costituisce la strategia principale del progetto, dal momento che la comunità è

stata e continuerà ad essere coinvolta in ogni singola fase dello stesso, dalla raccolta dati

alla costruzione vera e propria delle aree del mercato, tramite l’auto-costruzione.

Come già menzionato precedentemente rispetto alle azioni base dei progetti di slum

upgrading, l’enumeration and mapping rappresenta il punto iniziale ed imprescindibile

che oltre alla raccolta dei dati relativi ad un insediamento, favorisce la conoscenza e la

diffusione trasparente degli stessi tra i membri della comunità che sviluppano

contemporaneamente un senso di coesione in grado di superare gli interessi singoli e di

categoria, spesso di ostacolo ai cambiamenti, come ad esempio i venditori di acqua

riprendere forma nel 2002. Ha rappresentato uno dei gruppi più importanti nell'ambito del progetto ed è il principale responsabile della rete di relazioni della comunità fino al 2007. In seguito agli scontri conseguenti le elezioni presidenziali ha subito una divisione interna, ora in fase di risanamento. Attualmente conta circa 1000 membri, per un totale di 2.500 dollari di contributi mensili. La carica di leader del Sig. Ezekiel Rema rappresenta più che altro una figura che facilita i processi, dal momento che in fase decisionale si procede sempre per consenso. Per la sua composizione ed il funzionamento si rimanda al paragrafo successivo del presente capitolo.

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presenti su tutta l’area di Kibera. Il metodo utilizzato da Pamoja Trust costituisce un

esempio di buona pratica, trovandosi già solo in internet numerosi documenti e report al

riguardo. Innanzitutto, l’ONG ha favorito un elevato numero di incontri con la comunità

all’interno dei quali dopo aver ascoltato pareri e raccolto domande e necessità

specifiche, ha creato un formulario standard da distribuire ad ogni nucleo familiare

stanziato in loco per facilitare la raccolta dei dati, selezionando alcuni aspetti

fondamentali: titoli di proprietà della terra, organizzazione fisico-spaziale di alloggi ed

infrastrutture, reddito, condizioni ambientali ed igienico-sanitarie, educazione. Ciascuna

sezione in seguito è chiamata a nominare uno o più gruppi che conducono l’attività e

che vengono formati da Pamoja Trust o da membri di altre comunità già esperte.

L’enumeration è condotta per gruppi di circa 50 attività alla volta, da team in cui ci sia

almeno un addetto alla raccolta dati, un addetto alle misurazioni e un fotografo.

All’inizio del processo vengono numerate tutte le unità da rilevare. Ad ogni fase sono

presenti membri dello staff dell’ONG per garantire assistenza e dialogo tra le parti.

Quando la raccolta dati è completa si realizza un data-base che raccoglie tutte le

informazioni rilevate e le foto. I risultati vengono poi esposti pubblicamente in modo

che tutti i membri della comunità possano verificare l’esattezza delle informazioni, e

una volta accertata, lo stesso data-base resta a disposizione sia della comunità che lo usa

per le attività del progetto, che dei tecnici e del Nairobi City Council responsabili della

realizzazione di infrastrutture e servizi401.

Accanto a quest’attività, si mantiene costante il dialogo tra le parti, attraverso incontri

frequenti e la diffusione di informazioni sia in inglese che in swahili, il tutto volto alla

formazione di un consenso compatto e realmente condiviso sulle decisioni tecniche ed

organizzative e si continua a condurre una negoziazione con le autorità locali, per

sbloccare il problema della terra e dei diritti ad essa legati. In tal senso le scelte di

natura architettonica e urbanistica rappresentano il frutto, oltre che di specifiche

rilevazioni fisiche, comportanti anche studi sulla conformazione del territorio, la qualità

dell’acqua effettuata in collaborazione con la JKUAT e la rilevazione delle carenze

infrastrutturali, che nonostante l’importanza regionale del mercato ne impediscono un

accesso ordinato e sicuro, di scelte di natura prevalentemente sociali.

Lo spirito che anima la costruzione vera e propria è quello della gradualità degli

401 Alam A., Baliga N., Deji G., Lenton A., Sugeno F., Witriol J, “Enabling a community-led process: Pamoja Trust’s approach to slum-upgrading in Nairobi, Kenya”, School of International and Public Affairs, Columbia University, 2005, p. 16.

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interventi e della complementarietà degli stessi, che ha il duplice scopo di rendere

visibili e fattibili i risultati di breve-medio termine e di mantenere attiva la

partecipazione della comunità locale anche rispetto alla valutazione e al monitoraggio.

Le sezioni del mercato, comprensive oltre alle aree per i commerci, di un blocco di

servizi igienici che va a rafforzare le carenze di quello già esistente, di spazi verdi e

luoghi di socializzazione, come anche un piccolo presidio medico, una chiesa e una sala

per le riunioni, verranno realizzate dai tecnici italiani e kenioti e da gruppi della

comunità del Toi Market, selezionati direttamente dai partner kenioti, che riceveranno la

formazione necessaria sui principi dell’auto-costruzione402. Quest’ultima attività,

contribuirà a rafforzare così il senso di coesione e le capacità tecnico-progettuali della

comunità stessa, anche delle donne.

Per evitare il blocco totale delle attività del mercato e per valutare l'effettiva

rispondenza degli interventi ai bisogni dei commercianti, verrà realizzato un primo

gruppo-prototipo di 50 stall (bancarelle)403, funzionante poi come area di rotazione

all'interno della sezione commerciale, poi sostituito con strutture permanenti, mentre

contemporaneamente si procederà alla realizzazione di sistemi di infrastrutture tra loro

integrate, basandosi anche su studi effettuati in collaborazione con l'università sulle

strutture fisico-organizzative esistenti nei mercati formali di Nairobi. La costruzione

dell'assetto infrastrutturale sarà un'importante opportunità economica anche per altri

soggetti locali, dal momento che si procederà a predisporre gare d'appalto tra società e

cooperative keniote, incaricate di realizzare tratti stradali carrabili, per il trasporto merci

e pedonali, sistemi per la fornitura di acqua e la gestione dei rifiuti, impianti di

illuminazione, che influiranno sul problema della sicurezza.

L'altra componente del progetto, ovvero quella economico-sociale, può essere

considerata come il cuore della sostenibilità dello stesso, in quanto si punta sul rendere

stabili e duraturi i processi di mobilitazione e di rafforzamento della comunità nel suo

complesso, la negoziazione con le autorità e la creazione di nuove attività economiche

portatrici di reddito che prevedono anche la manutenzione delle strutture realizzate, in

un'ottica di sostenibilità ambientale per la gestione soprattutto del sistema di raccolta

rifiuti organici e la raccolta/distribuzione dell'acqua. Il finanziamento per 'auto-

402 Tra le attività di auto-costruzione si prevedono anche specializzazioni rispetto a: murature, lavorazioni di metalli, e componenti prefabbricati per la pavimentazione dei percorsi pedonali.

403 Lo stall standard già presente a Toi Market è costituito da una struttura in legno su base rettangolare, piantata direttamente su terra e fango, priva di basamento, scoperta o coperta da fogli in lamiera accostati e perimetrata su uno o più lati da lamiere, cartone o stoffe. Per la scarsa qualità e fragilità del legname le strutture hanno breve durata.

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costruzione proviene direttamente dalla comunità, attraverso la creazione di un apposito

fondo di risparmio, accanto al già esistente Toi Market Saving Scheme (TMSS)404. Il

sistema del saving scheme oltre a rappresentare il momento più importante di

condivisione e dibattito, un vero e proprio collante sociale basato sulla partecipazione

attiva di tutti i membri, consente di ovviare all'impossibilità da parte delle frange più

povere della popolazione di aver accesso al credito istituzionale, senza dover ricorrere a

sistemi di usura. In sostanza si tratta di un fondo di risparmio basato sulla gestione, il

controllo e la fiducia reciproca, che permette di attivare un meccanismo di crescita

economico-sociale interno allo slum. Si attua mediante due attività principali: raccolta

giornaliera dei risparmi e riunioni settimanali. La prima avviene porta a porta, durante la

quale si verifica anche lo scambio di informazioni riguardanti la comunità, i suoi

problemi ed eventuali proposte, che poi verranno nuovamente discusse in sede di

riunione settimanale. I fondi possono provenire anche dal supporto di altre

organizzazioni, CBOs, associazioni o privati. Altro elemento fondamentale nello

sviluppo del sistema del saving scheme sono gli scambi alla pari, ovvero incontri tra

gruppi di diverse comunità, in ambito locale o internazionale, entrambi sostenuti da

ONG come Pamoja Trust, che permettono lo scambio di esperienze e buone pratiche.

Rispetto al nuovo saving scheme per il Toi Market, questo sarà creato con la consulenza

del TMSS, di Pamoja Trust e Muungano Wa Wanavijiji e gestito da un apposito

comitato formato da un presidente, un tesoriere e un segretario.

Alla luce di quanto illustrato sino ad ora risulta evidente come il successo del progetto

nel suo complesso, rispetto alle finalità che si pone di miglioramento generale delle

condizioni di vita della comunità locale, sia strettamente dipendente da condizioni

interne ed esterne allo stesso Toi Market. Le prime risiedono appunto nella costante

mobilitazione e partecipazione attiva della comunità, che deve percepire l'intervento di

upgrading anche come una propria responsabilità, non stabilita dall'alto delle istituzioni.

Il secondo aspetto si concretizza nella necessità di fornire un sistema infrastrutturale

efficiente e sostenibile, che assicuri sia il funzionamento dell'area in questione sia

l'integrazione fisica con il resto della città. Quest'ultimo aspetto è imprescindibile e deve

404 Il TMSS è suddiviso al suo interno in quattro commissioni, le cui decisioni ed operato vengono sottoposte a controllo settimanale da parte degli altri membri: 1) Collectors team, responsabile della raccolta giornaliera dei risparmi dei membri e della loro gestione; 2) Loan team, controlla i requisiti dei membri che hanno fatto richiesta di prestiti e la restituzione degli stessi con gli interessi, regolati dagli stessi membri; 3) Auditing team, verifica la trasparenza delle operazioni e nei libri contabili; 4) Welfare team, vigila sul benessere generale dei membri, segnalando casi urgenti rispetto all'erogazione di prestiti.

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assolutamente prevedere il coinvolgimento delle autorità locali e comunali, che

dovrebbero poi inserire lo stesso mercato nell'ambito di un più ampio programma

istituzionale di azione sugli insediamenti informali, potenziando le carenze del già

esistente KENSUP e dando applicazione concreta a tutta quella serie di riforme e leggi

approvate negli anni passati.

Figura 9: pianta del progetto

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