Cap 5 Turbine a Vapore

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Politecnico di Torino – Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica Fondamenti di Macchine e di Oleodinamica, 1° Corso (A-L), a.a. 2012-13 Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 1 5. TURBINE (a vapore) 5.1 INTRODUZIONE E RIFERIMENTI BIBILOGRAFICI La turbina è una turbomacchina motrice costituita da una successione di condotti fissi e mobili (rotanti) attraversati da un fluido (che compie lavoro sulle pareti dei condotti rotanti). Il fluido può essere aeriforme (gas o vapore), nel caso delle turbine a gas o vapore, o può essere liquido (acqua), nel caso delle turbine idrauliche. Le turbine, come tutte le turbomacchine, possono essere assiali o radiali. Nel primo caso la direzione prevalente del flusso all’interno della macchina coincide con la direzione di rotazione degli organi mobili (direzione assiale, appunto) ed il diametro medio della macchina (ovvero il diametro in corrispondenza del quale si calcolano le velocità medie) può essere ritenuto costante (lungo l’asse della macchina). Nell’ambito del Corso di Fondamenti di Macchine, lo studio del funzionamento delle turbine sarà condotto facendo quasi esclusivamente riferimento alle turbine a vapore, ed in particolare alla tipologia (turbina assiale ad azione o reazione) più utilizzata all’interno degli impianti per la produzione di potenza (nei quali la turbina è l’elemento che “raccoglie” il lavoro utile). Non sarà affrontato in modo esplicito lo studio delle turbine a gas, ma ad esse sono estendibili in larga parte le considerazioni che saranno svolte per le turbine a vapore. Questa impostazione, da considerarsi come “tradizionale” nei Corsi di Fondamenti di Macchine, si affianca alla consuetudine di inserire lo studio delle turbine a gas in Corsi successivi (Macchine o Sistemi Energetici), nei quali tali macchine sono analizzate come componenti fondamentali degli impianti turbo- gas.

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 1

5. TURBINE (a vapore)

5.1 INTRODUZIONE E RIFERIMENTI BIBILOGRAFICI

La turbina è una turbomacchina motrice costituita da una successione di condotti fissi e mobili (rotanti) attraversati da un fluido (che compie lavoro sulle pareti dei condotti rotanti). Il fluido può essere aeriforme (gas o vapore), nel caso delle turbine a gas o vapore, o può essere liquido (acqua), nel caso delle turbine idrauliche. Le turbine, come tutte le turbomacchine, possono essere assiali o radiali. Nel primo caso la direzione prevalente del flusso all’interno della macchina coincide con la direzione di rotazione degli organi mobili (direzione assiale, appunto) ed il diametro medio della macchina (ovvero il diametro in corrispondenza del quale si calcolano le velocità medie) può essere ritenuto costante (lungo l’asse della macchina).

Nell’ambito del Corso di Fondamenti di Macchine, lo studio del funzionamento delle turbine sarà condotto facendo quasi esclusivamente riferimento alle turbine a vapore, ed in particolare alla tipologia (turbina assiale ad azione o reazione) più utilizzata all’interno degli impianti per la produzione di potenza (nei quali la turbina è l’elemento che “raccoglie” il lavoro utile).

Non sarà affrontato in modo esplicito lo studio delle turbine a gas, ma ad esse sono estendibili in larga parte le considerazioni che saranno svolte per le turbine a vapore. Questa impostazione, da considerarsi come “tradizionale” nei Corsi di Fondamenti di Macchine, si affianca alla consuetudine di inserire lo studio delle turbine a gas in Corsi successivi (Macchine o Sistemi Energetici), nei quali tali macchine sono analizzate come componenti fondamentali degli impianti turbo-gas.

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Per quanto riguarda le turbine idrauliche, un cenno sarà fornito all’interno del capitolo dedicato alle turbomacchine idrauliche.

Uno studio più approfondito, rispetto alla sintetica trattazione che caratterizza le presenti dispense, può essere svolto sui seguenti testi:

1. A.E. CATANIA, “COMPLEMENTI DI MACCHINE”, Editrice Levrotto & Bella, Torino;

2. A. BECCARI, “MACCHINE (Turbine a vapore, Compressori di Gas, Macchine Idrauliche)”, Edizioni CLUT, Torino.

5.2 GENERALITA’

5.2.1 Costituzione della macchina

Come già accennato, le turbine possono presentarsi in forme molto diverse dal punto di vista costruttivo, ma elemento comune a tutte è l’essere costituite da elementi in serie.

Le turbine assiali, in particolare, sono in genere costituite da più stadi. Per stadio di turbina si intende l’insieme dello statore (distributore/effusore o raddrizzatore, a seconda dei casi), ovvero le palettature fisse, e della girante, ovvero le palettature mobili (che raccolgono il lavoro). Gli stadi possono essere raggruppati tutti in una stessa cassa (turbina monocorpo) o in più casse (turbina a più corpi).

Lo statore è costituito da una serie di palettaggi fissi racchiusi tra pareti, in modo da formare dei canali. Questi– a seconda dei casi – svolgono la funzione di effusori, in cui il fluido si espande acquistando una elevata energia cinetica (distributore), oppure possono rappresentare dei vani in cui il flusso è semplicemente deflesso per essere presentato nel modo più opportuno all’ingresso della successiva girante (raddrizzatore).

5.2.2 Funzionamento di uno stadio

Uno stadio può funzionare

ad azione, se l’espansione del fluido ha luogo solo nello statore (distributore);

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a reazione, se l’espansione del fluido avviene sia nel distributore sia nella girante.

5.3 TURBINA ASSIALE AD AZIONE MONOSTADIO (turbina di De

Laval)

Lo stadio di turbina assiale ad azione è l'elemento base nello studio delle turbine, e può trovare impiego sia nelle turbine a vapore sia nelle turbine a gas, anche se le sue peculiarità lo rendono particolarmente adatto alla zona di alta pressione delle turbine a vapore.

Esso è costituito come tutti gli stadi di turbina, da una palettatura fissa (distributore o effusore) seguita da una girante, ed è caratterizzato dal fatto che tutta la caduta di entalpia disponibile avviene attraverso il distributore; ciò equivale a dire che l'espansione ha luogo solo nel distributore, mentre la pressione a monte e a valle della girante assume lo stesso valore.

La girante dunque subisce l'azione del fluido che si è espanso completamente attraverso il distributore (si vedrà in seguito come nelle turbine a reazione l’espansione avvenga anche nella girante).

5.3.1 Studio del funzionamento ideale

Nello studio del funzionamento ideale si considerano nulle le perdite fluidodinamiche sia nel distributore sia nella girante. Analizzando il triangolo delle velocità caratteristico dello stadio, si avrà pertanto |w2|=|w1| (come conseguenza del fatto che nella girante non c'è espansione e allo stesso tempo non sono presenti perdite di natura fluidodinamica).

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Nella trattazione seguente, anziché far riferimento ad un triangolo delle velocità generico (pur con |w2|=|w1|), si considererà per semplicità, ed anche perché è la situazione più comune, un triangolo nel quale w1 e w2 sono vettori simmetrici rispetto alla direzione assiale del flusso (e quindi anche la paletta della girante è simmetrica rispetto alla sua mezzeria).

Stadio di turbina ad azione (turbina di tipo De Laval): A – schema dello stadio; B – dettaglio distributore/girante; C – disposizione dei distributori.

Applicando il I Principio della termodinamica in forma locale (o euleriana) – equazione (2.20) – ai capi del distributore, si ottiene:

0 cEi i1 – i0 + c12/2 – c0

2/2 = 0 ,

essendo fissi i condotti tra le palettature (Li = 0) e considerando la macchina adiabatica (Qe = 0), ipotesi quest’ultima ben verificata nel caso delle turbomacchine. Sono state inoltre assunte nulle, come sempre sarà fatto nel seguito, le variazioni di energia potenziale gravitazionale e dell’energia associata ad eventuali campi di forze centrifughe. Si ottiene in definitiva:

)(2 1

0

01 iic .

Nell’espressione precedente con il simbolo i00 è stata indicata l’entalpia totale

all’ingresso del distributore (condizioni contrassegnate dal pedice “0”):

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2

2

00

0

0

cii .

All’ingresso nella girante la velocità assoluta possiede un’inclinazione 1 rispetto alla direzione di rotazione della girante (direzione periferica o tangenziale), imposta dal distributore; tuttavia la girante “vede” un’inclinazione

pari a 1 a causa della velocità u di rotazione, come rappresentato in Figura 5.1.

L’angolo 1 è un angolo costruttivo, cioè definito (in sede di progetto) dalla

geometria del distributore, mentre l’angolo 1 è un angolo “di funzionamento”, cioè il suo valore dipende dalle condizioni (velocità) alle quali la girante sta

operando. Il discorso si inverte all’uscita della girante, dove l’angolo relativo 2 dipende solo dalla geometria della palettatura mobile, mentre l’angolo assoluto

2 dipende dalle velocità. Questo discorso motiva la scelta di esprimere, mediante opportune relazioni geometriche deducibili dai triangoli delle velocità, il lavoro scambiato nella macchina in funzione degli angoli costruttivi (di progetto) piuttosto che di quelli di funzionamento (che possono variare).

Figura 5.1: Triangoli di velocità di uno stadio ideale di turbina assiale ad azione.

Il I Principio applicato tra l’ingresso e l’uscita dell’intero stadio (ovvero tra la sezione di ingresso nel distributore e la sezione di uscita dalla girante) fornisce

222

2

22

0

0

2

22

2

00

cii

ci

ciLi

.

Si noti come il lavoro ottenuto sia massimo quando la c2, e dunque l’energia cinetica allo scarico dello stadio, è minima. Il termine c2

2/2 può dunque essere considerato a tutti gli effetti una perdita (si parla a tale proposito di perdita per energia cinetica di scarico).

Vale inoltre la seguente relazione (si veda l’equazione (3.8)):

αcoscαcoscuccucucuL uuuui 2211212211 ,

nella quale si è posto u1 = u2 = u, presupponendo che il diametro medio della palettatura mobile si mantenga costante (turbina assiale). Volendo svincolare

l’espressione del lavoro ottenuto dall’angolo 2 di funzionamento, è utile osservare che vale la relazione seguente:

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ucuucuwuwc uuuuu 2)( 11122 .

Risulta pertanto

)ucosc(u)uc(uL ui 111 222 . (5.1)

Ricordando la definizione di rendimento isentropico di espansione (2.38), si può scrivere

22

11

0

0 /c

L

ii

L

L

L

L

Lηη i

is

i

lim,i

i

ideale,i

iiθstadio,is

,

e dunque

1

1

1

2

1

11 42

2

c

uαcos

c

u

c

uαcoscu

L

lim,i

iiθ . (5.2)

Nella (5.2) i è detto rendimento interno (o termofluidodinamico interno) dello stadio, mentre Li,lim (lavoro limite) rappresenta il massimo lavoro ottenibile dallo stadio. Esso è ottenibile solo qualora si riesca a sfruttare l’intero salto entalpico a disposizione, pari a c1

2/2. Si noti come tale salto entalpico, anche nel caso di espansione isentropica, non è comunque “sfruttato”, a meno che non sia nulla l’energia cinetica di scarico. Dunque, anche nel caso isentropico (ideale), il rendimento interno è in generale inferiore all’unità.

E' interessante notare come il rendimento interno, per un fissato valore di 1, risulti funzione solo di u/c1, rapporto al quale si da il nome di rapporto caratteristico di funzionamento.

Si osserva che il diagramma del rendimento in funzione di u/c1 è una parabola (Figura 5.2); risulta inoltre che il valore di u/c1 ottimo, per il quale cioè il rendimento è massimo, vale

2

cos 11

optcu ,

ed il rendimento massimo corrispondente è

1

2

max, cos i .

Il triangolo delle velocità nella condizione di massimo rendimento è riportato in Figura 5.3.

Alla condizione di massimo rendimento corrisponde la minima c2 (velocità di scarico), che assume direzione assiale, e quindi la minima perdita per energia cinetica di scarico, che è l'unica perdita messa in conto nel ragionamento finora svolto, relativo al funzionamento ideale.

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Figura 5.2: Rendimento interno di uno stadio di turbina ad azione ideale.

Figura 5.3: Triangoli di velocità di uno stadio di turbina ad azione ideale in condizioni di rendimento massimo.

5.3.2 Studio del funzionamento reale

Per passare all'analisi del funzionamento reale occorre tener conto delle perdite fluidodinamiche, sia nel distributore sia nella girante.

Per fare questo si è soliti introdurre due coefficienti di perdita, relativi alle palettature fisse e mobili rispettivamente, che esprimano il rapporto tra le velocità nel caso reale e quelle nel caso ideale (o isentropico). La tabella seguente riporta le definizioni di tali coefficienti di perdita.

E’ immediato osservare come, nel caso di una turbina ad azione, sia w2is = w1 e

quindi w2 = w1. I diagrammi delle Figure 5.4 e 5.5 mostrano un andamento qualitativo dei due coefficienti in funzione dei parametri più influenti su di essi.

In Figura 5.6 sono evidenziate, sul diagramma di Mollier, le trasformazioni non isentropiche che il fluido subisce tra le condizioni “0” e le condizioni “2”.

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COEFFICIENTE DEFINIZIONE PARAMETRI CHE LO INFLUENZANO

Coefficiente di perdita nei palettaggi fissi

isc

c

,1

1

iscc ,11

Scabrezza superficie interna

Numero di Reynolds Re

Lunghezza assiale delle palette

Deflessione 1

Rapporto di espansione 0

01 pp

Coefficiente di perdita nei palettaggi mobili

isw

w

2

2

isww 22

Scabrezza superficie interna

Numero di Reynolds Re

Deflessione = 1 – 2

Lunghezza assiale delle palette

Figura 5.4: Coefficiente in funzione dell’inverso del rapporto di espansione.

Figura 5.5: Coefficiente in funzione di

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Sono inoltre evidenziate le “perdite di salto entalpico” dovute alle evoluzioni non isentropiche nel distributore e nella girante (perdite fluidodinamiche).

I triangoli delle velocità consentono inoltre di mettere in evidenza le perdite

nella girante, quantificate dal coefficiente , essendo nella realtà il vettore della velocità w2 inferiore in modulo a quello della w1 (Figura 5.7).

Figura 5.6: Evoluzione del fluido sul diagramma di Mollier per uno stadio di turbina ad azione nel funzionamento reale.

Figura 5.7: Triangoli di velocità di uno stadio di turbina ad azione nel funzionamento reale.

Il lavoro massico può essere calcolato come nel caso ideale dalla seguente espressione:

21 uui ccuL .

In questo caso, la cu2 può essere così calcolata:

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uucuwuwc uuuu )( 1122 .

Si ottiene pertanto:

uαcoscuψuuαcoscψαcoscuccuL uui 11111121 1 .

Confrontando questa espressione con quella valida nel caso ideale,

uαcoscuL is,i 112 ,

è possibile valutare e “giustificare” la perdita di lavoro se si considerano le due seguenti disuguaglianze:

2 > (1+),

c1,is > c1.

Il rendimento isentropico (interno) è pari a

1

1

1

2

22

1

11

2

1

122

1

2 c

ucos

c

u

c

ucoscu

c

L

is,

ii

,

il cui andamento (Figura 5.8) coincide con quello del rendimento del caso ideale, a meno di un fattore di scala,

4)1(2 2 .

Figura 5.8: Rendimento ideale e reale di uno stadio di turbina assiale ad azione.

Si osserva come il massimo valore del rendimento isentropico si verifichi ancora una volta in corrispondenza del rapporto caratteristico di funzionamento pari a

2

cos 1

1

c

u.

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In condizioni di massimo rendimento, in questo caso, la velocità in uscita c2 non è più assiale e, dunque, minima.

In realtà l’esigenza di minimizzare la velocità in uscita c2 dipende dall’utilizzo che del fluido si fa a valle dello stadio; qualora questo faccia parte di un sistema a più stadi, l’energia cinetica in uscita non deve considerarsi una perdita, in quanto utilizzata dagli stadi successivi. E’ allora conveniente fornire una definizione alternativa del rendimento isentropico dello stadio, da applicarsi nel caso in cui l’energia cinetica in uscita sia recuperata:

0

2

0

0 is

iiθ

ii

Energia cinetica recuperata;

is,

iiθ

ii

2

0

0 Energia cinetica persa.

5.3.3 Portata smaltita

La portata in massa che attraversa la macchina può essere così espressa:

,

con dm: diametro medio della palettatura,

l1: altezza della paletta all’ingresso della girante,

ca1: componente assiale della velocità assoluta c1,

1: densità del fluido all’ingresso della girante,

coefficiente di ingombro delle palette.

Noto il valore della portata in massa, la potenza interna dello stadio può essere così calcolata:

ii LmP .

5.3.4 Salto entalpico elaborabile

Solitamente la portata elaborata è vincolata dal circuito nel quale la macchina è inserita; a volte, dunque, è possibile incrementare la potenza prodotta solo

aumentando il lavoro massico, e quindi il salto entalpico elaborabile iis . Il salto entalpico in condizioni ideali di massimo rendimento è dato dalla seguente espressione:

2211

uLii

i

i

is

,

2ui is .

111 am cldm

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E’ dunque possibile incrementare il salto entalpico elaborabile facendo aumentare la velocità periferica u, che vale

ndu m .

Negli impianti destinati alla produzione di energia elettrica, che sono la grande maggioranza, la frequenza di rete F è pari a 50 Hz in Europa (60 Hz negli USA). Ciò vincola il numero di giri al valore massimo di 3000 al minuto, o a un sottomultiplo in base alla relazione

60

minuto

p

HzFgirin

che lega la frequenza F al numero di coppie polari p dell’alternatore ed al numero di giri n.

Per questi impianti, pertanto, rimane soltanto la possibilità di aumentare il diametro dm. Anche questo provvedimento è però “vincolato”, perché comporta la riduzione di altezza delle palette, secondo quanto risulta dalla espressione della portata:

ln

u

u

cu

u

cldcdlvm aa

mam

2

.

Palette troppo corte non sono accettabili: i giochi (comunque necessari) tra l'estremità delle palette stesse e la carcassa verrebbero ad assumere un’importanza eccessiva, fatto negativo poiché attraverso essi il vapore può passare senza compiere lavoro. Poiché i giochi necessari dipendono anche dal diametro medio caratteristico della palettatura, i limiti inferiori all’altezza delle

palette si presentano sia come valore assoluto (l 10 mm) sia come valore

relativo (l/d 0,01 - 0,02). In secondo luogo, un’altezza troppo ridotta delle palette fa crescere il peso relativo delle perdite fluidodinamiche (perdite di strato limite).

Una soluzione al problema è offerta dalla pratica della cosiddetta parzializzazione: mediante opportuni dispositivi si alimenta solo un arco della girante con il fluido, interdicendo il rimanente all’attraversamento. Si definisce

il grado di parzializzazione in modo che il valore angolare dell’arco non

attraversato dal fluido sia 2. L’espressione della portata in massa diventa allora

)(cldm am 111 ,

dalla quale si deduce come, aumentando il grado di parzializzazione, per mantenere la portata costante sia necessario avere una maggiore altezza l delle palette (a parità di diametro medio). La pratica della parzializzazione è inoltre utile perché, una volta costruita la turbina, se necessario, rende possibile la riduzione della portata (può essere necessario “regolare” la turbina se l’utilizzatore richiede una potenza minore). La parzializzazione peraltro introduce delle perdite per effetto ventilante, dovute al fatto che la palettatura girante attraversa in alcune zone vapore stagnante, che viene messo in movimento assorbendo potenza. Introdotto un

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opportuno coefficiente di perdita kv, la potenza dissipata per effetto ventilante vale

3

1 uldkP mvv,w ,

dove è la densità del fluido all’interno della cassa. Considerando le unità di misura del S.I., si ha:

1)8.06.0( lkv .

La perdita, in termini di caduta di entalpia, vale

2,u

m

Pi

vw

v

.

Si osservi come l’effetto delle perdite sia tanto maggiore quanto più aumenta la velocità u; per tali ragioni, dunque, la pratica della parzializzazione ha delle limitazioni di impiego. La pratica della parzializzazione, ad ogni modo, è ovviamente realizzabile solo nel caso delle turbine ad azione, per le quali il salto di pressione a cavallo della girante è nullo (in caso contrario, il vapore tenderebbe comunque ad attraversare i settori della girante parzializzati, e ciò avverrebbe con velocità molto diverse, in modulo e direzione, da quelle ottimali, di progetto).

5.3.5 Perdite caratteristiche delle turbine ad azione

Risulta a questo punto conveniente ricapitolare tutte le cause di perdita nelle turbine ad azione.

Innanzitutto sono presenti perdite derivanti dall’attrito fluidodinamico nei condotti che si formano tra le pale del distributore e tra le pale della girante (perdite distribuite), e perdite derivanti dalla possibile non corretta direzione del fluido in ingresso alle palette (esiste una direzione ottimale che minimizza questo secondo tipo di perdite, concentrate all’imbocco delle palettature). Spesso le perdite concentrate vengono inglobate in quelle distribuite, mediante

un opportuno peggioramento del valore dei relativi coefficienti di perdita (, ).

Sono poi presenti altre fonti di perdita, quali le fughe di fluido, l’attrito tra il fluido e le superfici dei rotori che portano le palette, e, nelle turbine parzializzate, anche l’effetto ventilante.

Le perdite fin qui introdotte possono essere espresse in termini di cadute di entalpia secondo quanto riportato nel prospetto seguente.

a) Perdita per energia cinetica di scarico (a meno di eventuali recuperi). Tale perdita, espressa in termini di salto entalpico, vale:

2

2

2ciΔ c .

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b) Perdita per attrito fluidodinamico nelle palettature fisse.

Introdotto il coefficiente di perdita tale perdita, espressa in termini di salto entalpico, vale:

21

1

22

2

1

2

2

1

2

1 c

φ

cciΔ idφ

.

c) Perdite per attrito fluidodinamico nelle palettature mobili.

Introdotto il coefficiente tale perdita vale:

2

12

11

22

2

122

2

2

2

2

2

2 wψ

w

ψ

wwiΔ idψ

.

d) Perdite effetto ventilante.

3

11 uldkP mvv,w , 2,

, um

Pi

vw

vw

.

e) Perdite per attrito sui dischi. Le superfici non palettate della girante ruotano nel fluido inerte che riempie la cassa, incontrando una certa resistenza al moto. Le perdite dovute a tale resistenza sono quantificabili secondo l’espressione:

32

1, udkP mddw , 2,

, um

Pi

dw

dw

,

dove 310)42.106.1( dk (nel S.I., per vapore surriscaldato non saturo).

Come si può notare dalla rappresentazione sul diagramma di Mollier (Figura 5.9), le perdite sopra elencate hanno l’effetto di aumentare l’entalpia del fluido all’uscita dello stadio, con una conseguente riduzione del salto entalpico complessivo e dunque del lavoro utile elaborato tra monte e valle dello stadio.

f) Perdite per fughe, sia verso l'esterno sia all’interno della macchina tra le palette e le pareti che le confinano, attraverso i giochi che è indispensabile prevedere in sede di progetto.

Non è possibile esprimere tali perdite mediante un’espressione analitica; se ne può comunque tenere conto con un coefficiente di riduzione della portata (chiamato talvolta rendimento volumetrico):

ideale

realev

m

m

.

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Figura 5.9: Perdite caratteristiche di uno stadio di turbina ad azione.

Per tenere conto della potenza dissipata a causa dell’attrito all’albero (Pa), della potenza persa per effetto ventilante (Pw,v) e di quella per attrito sul disco (Pw,d), si introduce il rendimento meccanico, definito come segue:

i

dwvwai

mP

PPPP ,, .

5.4 TURBINA ASSIALE AD AZIONE PLURISTADIO

Viste le limitazioni sul salto entalpico elaborabile dal singolo stadio di una turbina, nasce l’esigenza di soluzioni costruttive diverse, che prevedano più stadi in serie.

Il singolo stadio di turbina ad azione non trova in effetti applicazione pratica a se stante. Esso è da considerarsi come l’elemento di base per la costituzione di turbine ad azione multistadio. A seconda di come avvenga l’integrazione dei differenti stadi di turbina ad azione si parla di

Turbine a salti di velocità;

Turbine a salti di pressione.

5.4.1 Turbina a salti di velocità o “ruota Curtis”

La turbina ad azione a salti di velocità (turbina o ruota Curtis) si presenta caratterizzata da una palettatura distributrice unica, come nello stadio semplice,

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seguita da due o più palettature mobili separate da raddrizzatori (Figura 5.10); questi ultimi hanno la semplice funzione di deviare ed indirizzare opportunamente la corrente, senza essere sede di espansione.

Il triangolo delle velocità per una macchina a due salti di velocità, per semplicità considerata priva di perdite (si intende per il momento analizzare il funzionamento ideale) e dotata di palettatura simmetrica, è riportato nella Figura 5.11.

Figura 5.10: Schema costruttivo e triangoli delle velocità di una turbina Curtis.

Il lavoro complessivamente elaborato è la somma dei lavori scambiati in ciascuno stadio:

IIiIii LLL ,, .

Nell’ipotesi che in entrambe le giranti sia u la velocità periferica, si può scrivere:

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 17

)uc(ucucuL

)uc(ucucuL

''

u

''

u

''''

u

''

II,i

uuuI,i

12211

12211

2

2.

Figura 5.11: Triangoli delle velocità di una turbina Curtis (caso ideale e palettature simmetriche).

Dai triangoli delle velocità:

ucc uu 21

''

1 ,

quindi

)uc(uL uII,i 32 1 .

In conclusione si ottiene:

)uαcosc(u)uc(uL ui 24422 111 . (5.3)

A partire dalla (5.3) è facile dedurre l'espressione del lavoro per una macchina con un numero generico z di salti di velocità, che risulta, nel caso ideale:

uzαcoscuzLi 112 . (5.4)

Il rendimento interno, inoltre, vale

1

1

1

2

1

11 42

2

c

uzαcos

c

uz

/c

)zuαcosc(zu

is

iiθ . (5.5)

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 18

Dalla relazione (5.5) si deduce come il lavoro ed il rendimento di una ruota Curtis coincidano con quelli di uno stadio semplice ad azione funzionante con

una velocità periferica che pari a zu.

Il rapporto caratteristico di funzionamento che permette di ottenere il massimo rendimento è pari a

zc

u

opt2

cos 1

1

,

mentre il rendimento massimo assume il valore

1

2 αcosη max,iθ ,

valore quest’ultimo indipendente dal numero di salti di velocità (Figura 5.12). Il lavoro elaborato in condizioni di massimo rendimento è pari a

222 zuL maxη,i iθ .

Figura 5.12: Rendimento interno delle ruote Curtis ideali con diversi numeri di salti di velocità.

Risulta evidente come, a parità di condizioni di ammissione (c1), convenga che la macchina lavori a velocità u inferiori rispetto alla turbina semplice, oppure, a parità di velocità u, si possano elaborare salti di entalpia maggiori (come è stato più volte messo in rilievo, la velocità c1 è indice dell’entità del salto entalpico complessivo elaborato da una turbina ad azione). Sembrerebbe dunque conveniente aumentare il più possibile il numero di salti di velocità. Dai triangoli delle velocità è possibile trarre un’ulteriore informazione su come il lavoro sia distribuito tra i diversi stadi: facendo ancora riferimento al più semplice caso di 2 salti di velocità (Figura 5.11), si vede come la maggior parte del lavoro sia elaborato dal primo stadio, mentre il secondo offra un contributo minore.

z = 1

z = 2

z = 3

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Figura 5.13: Triangoli di velocità di una turbina Curtis, caso reale.

Figura 5.14: Rendimenti di una turbina Curtis al variare del numero di salti di velocità.

Nel funzionamento reale, a differenza che nel caso ideale, il beneficio legato all’aumento del numero di salti di velocità è mitigato dalla perdite fluidodinamiche che si verificano all’interno delle varie paletature.

I triangoli delle velocità (Figura 5.13) mettono in risalto le successive riduzioni di velocità dovute alle perdite nelle palettature fisse e mobili (quantificate

rispettivamente nei coefficienti e ); il lavoro elaborato dai singoli stadi tende

1 = 20°

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progressivamente a diminuire in modo più marcato rispetto al caso ideale, e di conseguenza anche il rendimento massimo (Figura 5.14), tende a ridursi all’aumentare del numero di salti (anche se per bassi valori del rapporto u/c1 la convenienza rispetto al singolo stadio rimane).

Con uno stadio a 2 salti di velocità si arriva ad elaborare cadute di entalpia dell'ordine di 70 - 80 kcal/kg (280 - 320 kJ/kg). Il rendimento relativamente basso che caratterizza tale elemento è tollerabile perché, essendo esso in genere utilizzato come primo elemento nelle turbine multiple (a reazione o a salti di pressione), le perdite vengono in parte recuperate nel seguito dell'espansione (fenomeno del recupero termico).

5.4.2 Turbina a salti di pressione

La turbina ad azione a salti di pressione (Figure 5.15 e 5.16) è costituita da una successione di stadi ad azione disposti in serie, ciascuno dei quali riceve il vapore scaricato dal precedente; le giranti sono calettate sullo stesso albero. L’espressione "a salti di pressione" deriva dal fatto che l’espansione (ed il salto entalpico) si suddivide tra i vari stadi.

La cassa (statore) della turbina si presenta suddivisa in un certo numero di camere attraversate dall’albero motore attraverso setti (in genere tenute a labirinto) che fanno tenuta sull’albero stesso (nella turbina ad azione a salti di velocità questi setti non sono necessari).

In ogni distributore si realizza una frazione della caduta entalpia complessiva: in questo modo è possibile ottenere velocità del vapore più modeste rispetto al caso di una turbina a salti di velocità, con sensibile vantaggio per il rendimento del singolo elemento (le perdite per attrito fluidodinamico sono proporzionali al quadrato delle velocità del vapore) e per le sollecitazioni delle palette (per il minor valore necessario di u).

Figura 5.15: Turbina a salti di pressione (schema) – sezione longitudinale.

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Figura 5.16: Turbina a salti di pressione (triangoli delle velocità di un singolo stadio).

Rispetto alle macchine a salti di velocità, inoltre, si riscontra il vantaggio che parte delle perdite che avvengono nei primi stadi può essere recuperata nelle espansioni successive. Disponendo poi i distributori di seguito alle giranti in modo opportuno, si riesce recuperare, almeno in parte, l’energia cinetica allo scarico delle giranti stesse.

Il funzionamento dei vari stadi è analizzabile con i criteri esposti per lo stadio semplice ad azione; l'unica differenza che può esistere è legata all'eventuale recupero dell'energia cinetica allo scarico di un elemento da parte dello stadio successivo, se il distributore di quest'ultimo è posto molto vicino alla girante del precedente.

Di questo va tenuto conto nella espressione del rendimento degli stadi intermedi, che in questo caso deve essere calcolato mediante la seguente relazione:

0

2

0

0 is,

i

is,i

istadio,iθ

ii

L

L

,

nella quale il lavoro ha la stessa espressione ricavata per lo stadio singolo.

La linea delle condizioni effettive del vapore per una serie di stadi ad azione a salti di pressione rende particolarmente evidente sul diagramma di Mollier (Figura 5.17) il fenomeno del recupero termico: la somma dei salti isentropici dei singoli stadi è superiore al salto isentropico “complessivo”, e pertanto il rendimento dell'intera macchina è superiore a quello dei singoli stadi (nell'ipotesi semplificativa che questi abbiano tutti lo stesso rendimento).

Con riferimento alla Figura 5.17 si definisce fattore di recupero il rapporto

isBA

j

)j(

is

ii

y

,

maggiore dell’unità (intorno ad 1.1).

Ovviamente, il lavoro ottenuto dall’espansione reale è comunque minore di quello corrispondente all’espansione ideale isentropica.

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Figura 5.17: Turbina a salti di pressione, linee di espansione sul diagramma di Mollier.

5.5 TURBINA ASSIALE A REAZIONE MONOSTADIO

Lo stadio di una turbina assiale a reazione differisce da quello di una ad azione per il fatto che in esso l'espansione del fluido avviene anche nella girante, oltre che nel distributore. Questo comporta un aumento della velocità relativa, che pertanto all'uscita della girante risulta in generale maggiore che all'ingresso. Il salto entalpico è dunque elaborato sia nel distributore sia nella girante, ed il salto complessivo nello stadio è la somma dei due.

Negli stadi a reazione, così come in quelli a salti di pressione, si deduce, non è dunque possibile ricorrere alla pratica della parzializzazione. In questo tipo di turbine, pertanto, saranno trascurabili le perdite per attrito su disco e per effetto ventilante, mentre acquisteranno risalto maggiore le perdite per fughe interne (nasce pertanto la necessità di ricorrere ad elementi di tenuta interni). Ovviamente, se il primo stadio di una turbina è di tipo a reazione, si ha l’impossibilità di parzializzare l’intera turbina: anche per tale motivo solitamente gli stadi a reazione sono gli ultimi.

Si definisce grado di reazione degli stadi a reazione il rapporto tra il salto di entalpia nella girante ed il salto complessivo. Del grado di reazione esistono le due formulazioni riportate di seguito:

gir,isdistr,is

gir,is

iΔiΔ

iΔχ

Grado di reazione termodinamico

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 23

0i

iR

gir

Grado di reazione cinematico

In funzione delle velocità, e ricordando la (3.8):

2

2

2

1

2

1

2

2

2

2

2

1

2

2

2

1

2

1

2

2

uuwwcc

uuwwR

,

2

2

2

1

2

12

2

22

02

2

1

2

2

2

1

2

12

2

2

uuwψ

wc

φ

c

uuwψ

w

χ

.

Le precedenti espressioni nel caso di una macchina assiale si riducono alle seguenti:

2

1

2

2

2

2

2

1

2

1

2

2

wwcc

wwR

,

2

12

2

22

02

2

1

2

12

2

2

wc

φ

c

w

χ

.

Le due espressioni del grado di reazione, pur simili, danno luogo a valori in generale leggermente diversi.

5.5.1 Studio del funzionamento ideale

Nel funzionamento ideale il salto di entalpia elaborato tra distributore e girante vale (se si considera trascurabile la velocità c0):

222

2

1

2

2

2

1 wwci is .

In questo caso il rendimento interno vale:

wwc

αcoscαcoscu

ii

L

L

is

i

limi

iiθ

222 2

1

2

2

2

1

2211

2

0

0

.

I triangoli della velocità di questo tipo di stadi in genere sono caratterizzati dalla stessa componente assiale in ingresso ed in uscita dalla girante, e spesso sono "simmetrici": si limiterà l’analisi a questo caso. Essendo (nel caso di triangoli simmetrici) w2 = c1 e w1 = c2 , è possibile scrivere le seguenti relazioni:

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ucc 1122 coscos , 2

11

2

1

2

2 cos2 uucww .

Figura 5.18: Stadio di turbina a reazione, linea di espansione sul diagramma di Mollier.

Figura 5.19: Rendimento di uno stadio ad azione e di uno a reazione a confronto (a

parità di angolo 1).

L’espressione del lavoro pertanto diventa la seguente:

uαcoscuLi 112 ,

mentre quella del rendimento dello stadio:

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 25

1cos2

cos2

2cos2

cos22

11

1

11

1

11

2

1

11

c

u

c

u

c

u

c

u

ucuc

ucui

.

Il rendimento non è dunque una funzione parabolica di u/c1 come invece accade per gli stadi ad azione, ma è comunque descritto da una curva simmetrica rispetto all'ascissa media, che è anche l'ascissa del punto di massimo (Figura 5.19). Il rendimento massimo si ha per

11 cosopt

cu ,

e vale

1

2

1

2

max,cos1

cos2

i .

Il valore ottimo del rapporto u/c1 (a parità di 1) risulta doppio rispetto a quello della turbina ad azione, mentre il rendimento massimo risulta poco più elevato (in virtù del maggior rendimento, gli stadi a reazione sono più convenientemente adottati per elaborare bassi salti entalpici). La curva del rendimento, inoltre, appare più “piatta” per lo stadio a reazione, denotando una maggiore flessibilità di utilizzo di quest’ultima.

Nelle condizioni di massimo rendimento, la velocità c2 in uscita è ancora assiale; in questo caso il lavoro elaborato vale

2uLmaxη,i

.

Può a questo punto essere utile effettuare un confronto fra turbine ad azione ed a reazione (considerando per entrambe il funzionamento ideale), tenendo in considerazione quanto riportato nella seguente tabella:

Confronto tra turbine ad azione ed a reazione

Turbina ad azione con palettatura simmetrica

Turbina a reazione con triangoli simmetrici

max,i 1

2cos 1

2

1

2

cos1

cos2

max1

c

u

2

cos 1 1cos

Li 2u2 u2

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 26

Per quanto riguarda il grado di reazione, nel caso ideale le evoluzioni sono per ipotesi isentropiche, quindi i salti di entalpia che compaiono nelle due

definizioni di ed R sono uguali; supponendo inoltre che l’energia cinetica allo scarico venga recuperata, e sia dunque c2 = c0, i gradi di reazione valgono

2

1

2

2

2

2

2

1

2

1

2

2

wwcc

wwR

,

espressione che, nel caso considerato di triangoli simmetrici, fornisce il valore

2

1 R

(cioè il salto entalpico è ugualmente distribuito tra diffusore e girante).

Il rapporto ottimo u/c1 (a parità di 1) risulta, in uno stadio a reazione, doppio rispetto a quello di uno stadio ad azione. Ciò comporta che con un elemento a reazione (stadio intermedio di più stadi uguali), a parità di velocità periferica u, si elabora una c1 che è la metà e quindi una caduta di entalpia che è, per ogni palettatura, la quarta parte di quella elaborata da una ruota ad azione (se il grado di reazione vale 0.5). Per questo motivo nella zona ad alta pressione delle turbine, dove si richiedono piccole portate in volume e grandi cadute di entalpia, si preferiscono elementi ad azione (viceversa nella zona a bassa pressione).

Le schiere di palette per distributore e girante sono nelle turbine a reazione multiple del tutto simili: due palette successive individuano un canale a sezione di passaggio decrescente (condotto convergente), perché la trasformazione in energia cinetica avviene generalmente in flusso subsonico, considerati i piccoli salti entalpici elaborati (in kcal/kg, qualche unità).

5.5.2 Studio del funzionamento reale

Nel funzionamento reale il triangolo delle velocità non cambia, come invece succede nel caso degli stadi ad azione (è ancora possibile ottenere triangoli simmetrici, con w2=c1, a patto di avere a disposizione un salto entalpico sufficiente); cambia invece l’espressione per il salto di entalpia isentropico, che ora diventa

222

2

1

2

2

2

2

2

1 w

ψ

w

φ

ciΔ is ,

dove i coefficienti e di perdita fluidodinamica hanno il medesimo significato introdotto per le turbine ad azione. L’espressione del rendimento diventa la seguente:

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 27

222 2

1

22

2

22

1

2211

wψwφc

αcoscαcoscu

iΔiΔ

L

L

L

gir,isdistr,is

i

tot,is

i

lim,i

iiθ

.

E’ importante notare che, nell’espressione sopra riportata, è stato assunto iis,tot

coincidente con (iis,distr +iis,gir), in modo non rigoroso (si veda la Figura 5.18). Questa approssimazione, tuttavia, consente di ottenere un’espressione molto semplice del rendimento, pur non tenendo conto del fenomeno del recupero (peraltro molto limitato in un singolo stadio).

L’introduzione delle perdite non altera l’andamento simmetrico del rendimento in funzione del rapporto caratteristico di funzionamento u/c1. Viene peraltro

spontaneo chiedersi, “fissato” un rendimento i, come scegliere tra i due rapporti u/c1 che lo determinano. La Figura 5.20 mostra il caso in cui lo stesso

rendimento sia relaizzato con u/c1 = 0.5 cos1 e con u/c1 = 1.5 cos1.

Si può osservare come il lavoro Li sia differente nei due casi: a parità di velocità u, lo stadio considerato nella prima condizione elabora un lavoro 9 volte maggiore rispetto al secondo.

Figura 5.20: Triangoli di velocità di uno stadio a reazione che, seppur diversi, danno luogo ad un rendimento uguale.

5.5.3 Limitazioni alla portata

Procedendo lungo la turbina, la pressione del vapore si riduce progressivamente, e corrispondentemente aumenta il volume massico.

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 28

Il rapporto tra il volume massico negli ultimi stadi e quello nel primo può

arrivare a valori dell'ordine delle migliaia, e, ricordando che alcdvm , ci si

rende conto come i problemi di palette troppo corte dei primi stadi si possano trasformare in problemi di palette troppo lunghe negli ultimi stadi.

Poiché non è accettabile aumentare troppo la ca, perché ne deriverebbe una perdita per energia cinetica di scarico eccessiva (nell'ultimo stadio non più recuperabile), per smaltire grandi portate volumetriche non si può fare altro che aumentare il diametro medio della macchina o l’altezza delle palette procedendo lungo l’asse della macchina.

Entrambe queste strade portano all'aumento della velocità periferica, che, se è favorevole dal punto di vista del lavoro ottenibile, crea però gravi problemi di resistenza strutturale alla sollecitazione centrifuga. Questa sollecitazione può essere limitata se sono realizzate palette "rastremate", cioè non più di forma cilindrica (con la stessa sezione ai vari raggi, dall'incastro fino all'estremità), ma con sezione di area decrescente al crescere del raggio. Ciò avvicina il baricentro all'asse di rotazione e aumenta la sezione di incastro, riducendo così la sollecitazione centrifuga ed i suoi effetti.

L'adozione di bassi valori del numero di giri (ad esempio 1500 giri/min) per questi stadi della turbina è favorevole, ma il limite si sposta allora sulle dimensioni massime che possono assumere il rotore o la carcassa della macchina, che la rendono non più trasportabile dalla fabbrica all'impianto.

Diametri esterni dell'ordine di 4,5 metri, lunghezza delle palette dell'ordine di 1 metro, velocità periferiche dell'ordine di 400 m/s all'estremità delle pale, velocità di scarico del vapore dell'ordine di 250 m/s sono valori massimi accettabili, e portano ad una capacità di smaltimento di portata dell'ordine di 150 t/h, che corrispondono indicativamente ad una potenza dell'ordine di 70-80 MW.

Quando le palette diventano troppo lunghe, inoltre, anche l'approssimazione che il comportamento fluidodinamico al raggio medio rappresenti soddisfacentemente quanto avviene al raggio interno e a quello esterno non è più accettabile, poiché le velocità periferiche differiscono molto; in queste condizioni si rende necessario realizzare profili aerodinamici diversi al variare del raggio, in modo che i triangoli delle velocità siano ottimali ovunque. Palette di questa forma si chiamano "svergolate"; in genere la svergolatura si accompagna alla rastremazione, poiché, pur essendo diversi gli scopi, la motivazione è per entrambe la lunghezza elevata della paletta, e la realizzazione (una volta abbandonata la forma cilindrica) presenta difficoltà analoghe.

Quando la potenza richiesta dell'impianto comporta portate maggiori di quelle sopra citate non c'è altra strada che frazionare la portata, facendola passare attraverso stadi "in parallelo". Si giustifica così l'architettura tipica delle turbine di grande potenza, che hanno un solo "corpo" di alta pressione, e due o più corpi di bassa (talvolta anche alla media) pressione. La realizzazione in corpi separati consente anche di adottare numeri di giri diversi nei corpi di alta e di bassa pressione, pur comportando

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Fondamenti di Macchine – Docente: F. Mallamo 5. Turbine a Vapore – pag. 29

questo la necessità di avere due alternatori (se l’impianto serve a generare potenza elettrica).

Appare evidente da quanto esposto nelle pagine precedenti che è inappropriato parlare di turbine ad azione e turbine a reazione come di macchine separate, non solo perché in una stessa turbina multipla si hanno elementi sia dell’una sia dell’altra categoria, ma anche perché lungo una stessa pala di una turbina assiale si hanno zone a diverso grado di svergolamento e dunque a diverso grado di reazione. Una distinzione fra i due tipi di funzionamento ha perciò senso per elementi assiali, o gruppi di essi, con palette a profilo costante e piccolo allungamento l/d, per i quali si possono ritenere pressione e condizioni del fluido costanti ai vari raggi.

5.6 FUNZIONAMENTO FUORI PROGETTO: LA REGOLAZIONE

Una macchina funziona fuori progetto quando è impiegata in condizioni diverse da quelle previste dal progettista come “nominali” (che in generale sono le condizioni di massima efficienza); in particolare, la regolazione porta una macchina a funzionare fuori progetto, con lo scopo di variare la potenza erogata. La regolazione di una turbina può avvenire ad esempio per variazione delle condizioni all’ammissione p0 e T0 e delle condizioni allo scarico pk. Non si vogliono qui descrivere gli effetti della regolazione sulla fluidodinamica interna alla macchina (e dunque analizzare i triangoli di velocità in condizioni fuori progetto), in quanto una simile trattazione andrebbe oltre gli scopi del Corso. La turbina, ai fini della valutazione degli effetti della regolazione, sarà pertanto considerata come una “scatola nera” e schematizzata come un elemento formato da un insieme di condotti (ugelli).

5.6.1 Variazione delle condizioni all’ammissione ed allo scarico

Le conseguenze più rilevanti di una variazione delle condizioni al contorno si risentono sulla portata in massa. A questo scopo, è utile schematizzare la turbina come un insieme di ugelli; ci si aspetta dunque un andamento della portata elaborata da ciascuno di essi simile a quello riportato nella Figura 5.21 (supponendo di avere a che fare con ugelli semplicemente convergenti). Il rapporto critico di espansione di un ugello attraverso cui fluisce del vapore vale

5800

0

.p

pΠ cr,k

cr,k .

Una turbina pluristadio si può intendere come un insieme di ugelli in serie, pertanto l’andamento della portata sarà simile a quello del singolo ugello, ma con un sensibile abbassamento del rapporto critico delle pressioni all’aumentare del numero degli stadi, come qualitativamente riportato nella Figura 5.22.

Tale fenomeno si può giustificare pensando il rapporto critico della turbina come il prodotto dei rapporti critici dei singoli stadi, via via decrescente all’aumentare di questi.

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Figura 5.21: Portata in massa in un ugello in funzione della pressione nell’ambiente di scarico.

Per condizione critica relativa alla turbina si intende quella condizione che rende critico un determinato stadio che la compone. In tale situazione vale la relazione

0

0

0

0

0

0

vp

pm .

Figura 5.22: Portata in massa in una turbina in funzione della pressione nell’ambiente di scarico.

Si adotti ora l’approssimazione ellittica per il ramo decrescente della caratteristica della portata:

120

0

2

2

2

)pp(

)pp(

m

m

cr,k

cr,kk

cr

,

espressione che porta ad individuare un aumento della portata all’aumentare della pressione totale all’ammissione, come rappresentato nella Figura 5.23.

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Figura 5.23: Effetto della pressione di ammissione sulla curva di portata di una turbina.

Simili diagrammi possono essere pensati come proiezioni delle sezioni, per un fissato valore della pressione di valle p0, del cono dei consumi, che traccia l’andamento del consumo della macchina, inteso come portata di fluido smaltita o “consumata”, al variare delle pressioni a monte ed a valle della stessa (Figura 5.24).

Sezionando il cono dei consumi con un piano corrispondente ad un dato valore della pressione di scarico, si ottiene il grafico qualitativo riportato nella Figura 5.25.

Figura 5.24: Cono dei consumi.

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Figura 5.25: Portata di una turbina in funzione della pressione all’ammissione.

Il cono dei consumi, con le relative sezioni, consente dunque di valutare come la portata in massa elaborata varii regolando le condizioni di monte e di valle della turbina.

5.7 TURBINE RADIALI

5.7.1 Introduzione

Se la componente di portata della velocità del fluido, invece che parallela all’asse di rotazione della macchina, è ad esso ortogonale, la turbina si dice radiale, centrifuga o centripeta a seconda che il flusso sia diretto principalmente verso la periferia o verso l’asse della macchina. In realtà, più di frequente, anziché turbine puramente radiali, sono realizzate ed utilizzate turbine a flusso misto, nelle quali la direzione di ingresso del fluido è, ad esempio, radiale e quella di uscita assiale (o viceversa).

Anche per una macchina di questo tipo vale la relazione

2211 uui cucuL ,

in quanto per dedurla dal teorema del momento della quantità di moto non sono state formulate ipotesi particolari sulla direzione della componente di portata. La caduta isentropica di entalpia si ottiene, al solito, applicando il I Principio della Termodinamica tra le sezioni di ingresso e di uscita del distributore e della girante:

gcfci EΔEΔEΔiΔLQ .

Se la turbina (come di solito si suppone) è adiabatica (Q = 0) e percorsa da un

fluido aeriforme (Eg = 0), la caduta isentropica nel distributore (Li = 0), al quale il fluido pervenga con velocità c0 e dal quale esca con velocità c1, in un

sistema di riferimento solidale alla palettatura (Ecf = 0) vale

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22

2

0

2

2

110

ccEiii cis,distr,is

,

dove i simboli sono stati introdotti nei paragrafi precedenti. Analogamente, la caduta isentropica nella girante, essendo le velocità relative in ingresso ed uscita rispettivamente w1 e w2, in un riferimento solidale alla

palettatura (Li = 0; Ecf 0) vale

2222

2

2

2

1

2

1

2

2

221

uuwwEEiii cfcis,gir,is

, (5.6)

dove u1 ed u2 sono le velocità periferiche all’ingresso ed all’uscita della girante, sicuramente diverse tra loro per l’organizzazione radiale della macchina. Sommando le due precedenti relazioni si ottiene la caduta di entalpia isentropica complessiva in uno stadio:

222222

2

2

2

1

2

1

2

2

2

2

0

2

2

120

uuwwcciiii is,tot,istot,is

.

Il lavoro ottenuto dallo stadio è correlabile nel modo consueto alla caduta entalpica reale, la cui espressione si ottiene dalla relazione precedente ponendo

= =1.

Si nota, nel confronto con le turbine assiali, che la caduta elaborabile in uno stadio, a parità di velocità del fluido e quindi di perdite per attrito fluidodinamico, è maggiore per una turbina centripeta (u1>u2) che per una turbina centrifuga (u1<u2).

Inoltre in un elemento ad azione non è più vero che la velocità isentropica di uscita dalla girante è uguale a quella di ingresso: il valore di w2 si ottiene dalla

(5.6) ponendo iis,gir=0.

5.7.2. Schema di uno stadio e triangoli delle velocità

Le turbine radiali ad uno stadio vengono generalmente organizzate secondo uno schema centripeto misto (Figura 5.26) con elevato rapporto tra raggio di ingresso (raggio esterno) e raggio di uscita (raggio interno), per sfruttare al massimo, come visto, la caduta di entalpia. La direzione del flusso in ingresso è radiale (centripeta), mentre in uscita il fluido ha direzione praticamente assiale (subisce una deviazione di circa 90° all’interno della macchina).

Data la geometria, non risulta conveniente la realizzazione di turbine con stadi radiali in serie, cosicchè la turbina si identifica in generale con lo stadio.

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Figura 5.26: Turbina radiale centripeta mista con voluta prima dell’ingresso nel distributore (a) e senza voluta (b); sono rappresentate una sezione in corrispondenza di un vano interpalare (a sinistra) ed una vista frontale (a destra).

E’ questo il caso delle piccole turbine a gas (utilizzate ad esempio per la turbosovralimentazione di motori alternativi a combustione interna – Figura 5.27) e di molte turbine idrauliche (Francis).

Nel caso delle turbine a vapore, invece, avendosi problemi di smaltimento di portata in volume assai più gravosi (considerati i rapporti d’espansione ed il tipo di fluido, la variazione di volume massico durante l’espansione del vapore è superiore di due ordini di grandezza rispetto al gas), l’organizzazione centripeta non è conveniente: riducendosi il raggio lungo il percorso del fluido, si dovrebbero prevedere palette con dimensione trasversale crescente in maniera troppo rapida. Si preferisce allora generalmente l’organizzazione centrifuga, frazionando la caduta in molti stadi aventi rapporti tra raggio interno ed esterno poco diversi dall’unità. E’ abbastanza comune la pratica, favorita dall’organizzazione radiale, di realizzare giranti controrotanti (Figura 5.38), nelle cosiddette turbine birotative, per le quali non è più possibile parlare di palette “fisse” distributrici e di palette “mobili” che raccolgono lavoro: ambedue i tipi di palettatura ruotano, con velocità periferica l’una opposta all’altra, e raccolgono lavoro. I due alberi controrotanti sono collegati in genere a due distinti generatori elettrici.

Non mancano tuttavia esempi di turbine a vapore centripete, laddove vi sia necessità di elaborare modesti salti entalpici.

(a)

(b)

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Figura 5.27: Esempio di turbogruppo di sovralimentanzione per un motore alternativo a combustione interna (compressore radiale centrifugo mosso da turbina a flusso centripeto azionata dai gas di scarico del motore).

Girante turbina

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Figura 5.28: Schema di turbina birotativa: il disco che porta le corone di distributori è fatto ruotare in senso opposto ad un secondo disco con palettature mobili.

Per una turbina radiale centripeta, i triangoli delle velocità assumono la forma rappresentata in Figura 5.29 (è immediato estendere la rappresentazione e le considerazioni al caso centrifugo).

Figura 5.29: Triangoli delle velocità in una turbina radiale centripeta (i due triangoli rappresentano grandezze relative a piani diversi, generalmente perpendicolari tra loro).

Nel caso generale di una turbina a flusso misto (radiale/assiale) il triangolo delle velocità in ingresso alla girante deve essere pensato come contenuto in un piano perpendicolare all’asse della macchina; viceversa, il triangolo in uscita è contenuto in un piano parallelo all’asse. Con riferimento alla situazione reale (tenendo dunque conto delle perdite fluidodinamiche), il lavoro ottenuto

2211 uui cucuL (5.7)

può essere riscritto osservando che valgono le seguenti relazioni:

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.cuucw

,cuucw

u

u

22

2

2

2

2

2

2

11

2

1

2

1

2

1

2

2

Da esse, infatti, è possibile ricavare i prodotti u1cu1 e u2cu2 che, sostituiti nella (5.7), conducono alla seguente espressione del lavoro ottenuto in un singolo stadio:

222

2

2

2

1

2

1

2

2

2

2

2

1 uuwwccLi

.

Si può immediatamente osservare come le espressioni ricavate per il lavoro interno e per il salto totale entalpico isentropico dello stadio coincidano nel caso

in cui le perdite siano nulle ( = =1) e c2=c0 (energia cinetica allo scarico dello stadio recuperata dallo stadio successivo).