Cap 1_che Cosa Sono Le Biotecnologie Agroalimentari
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1. L’ingegneria genetica delle piante
di Francesco Pazzi
1.1. Introduzione
Le agrobiotecnologie, ovvero, l’utilizzo di organismi, sistemi e processi biologici per
la produzione di beni e servizi nel campo agroalimentare, comprendono una gamma
amplissima di applicazioni che vanno da processi tradizionali molto semplici, come
quelli usati nella produzione di birra, vino e formaggi, a processi molecolari
altamente sofisticati e complessi, come le tecniche del DNA ricombinante, impiegate
per introdurre caratteristiche nuove nelle varietà vegetali e animali commercialmente
importanti.
In generale, tutte queste applicazioni vengono suddivise in due grandi gruppi:
“biotecnologie tradizionali” e “biotecnologie moderne”. Le prime comprendono il
complesso delle tecniche convenzionali (lievitazione, fermentazione, ecc), mentre, le
seconde, abbracciano tutti i metodi di modificazione genetica basati sulle tecniche
del DNA ricombinante e della fusione cellulare includendo anche le innovazioni
apportate ai processi biologici tradizionali. Grazie a queste tecniche è oggi possibile
intervenire sul patrimonio genetico di animali, piante, batteri e virus modificandone
alcune caratteristiche. I possibili utilizzi sono numerosi e potenzialmente applicabili
in campo medico (terapia genica, produzione di farmaci e vaccini), in campo
ambientale (risanamento e ripristino di aree contaminate, biomonitoraggio, sviluppo
di nuovi indicatori ambientali), in campo industriale (produzione di plastiche, resine,
ecc.), in campo agroalimentare e zootecnico (piante ed animali transgenici resistenti
a stress biotici ed abiotici o con modificate caratteristiche nutrizionali, impiego di
marcatori molecolari per il breeding).
I principali progressi nelle applicazioni pratiche delle biotecnologie in campo
vegetale, sono stati compiuti negli ultimi venti anni mettendo a frutto le conoscenze
accumulatesi in diverse discipline, tra le quali la genetica, la microbiologia, la
biologia molecolare e la fisiologia vegetale. In particolare, le biotecnologie vegetali
hanno preso l’avvio dalla fusione delle metodiche di coltura in vitro di cellule e/o
tessuti vegetali con la tecnologia del DNA ricombinante e con lo sviluppo di sistemi
per inserire singoli geni direttamente nel nucleo cellulare (Tab. 1).
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Tab. 1: scala temporale delle principali innovazioni che hanno contribuito allo sviluppo dell’ingegneria genetica. 1902 Rigenerazione di una pianta intera da una coltura di cellule in vitro.1935 Mantenimento in coltura di linee cellulari di salice e tabacco.
1944Viene dimostrato che il DNA è il materiale contenente l’informazione genetica.
1953Viene definita la struttura tridimensionale del DNA e decifrato il codice genetico.
1958 Produzione di embrioni somatici da cellule di carota in coltura.
1970 Scoperta degli enzimi di restrizione.
1974 Primi studi di ingegneria genetica su Agrobacterium tumefaciens.
1977 Scoperta di un metodo enzimatico per il sequenziamento del DNA.
1978Il gene umano dell’insulina viene fatto esprimere nel batterio Escherichia coli.
1980Moltiplicazione del DNA in vitro mediante reazione polimerasica a catena (PCR).
1983Produzione della prima pianta trangenica: una pianta di tabacco resistente ad un antibiotico.
1985 Primo test di campo con piante transgeniche di cotone.
1988 Invenzione del metodo biolistico.
1994Viene autorizzata negli Stati Uniti la commercializzazione del primo prodotto di una pianta transgenica: il pomodoro Flavr Savr.
Oggi Milioni di ettari coltivati a trangenico.
Per tecniche di coltura in vitro si intendono tutte quelle metodiche che consentono di
coltivare piante o porzioni di esse in laboratorio, utilizzando terreni di coltura
artificiali composti da: sali minerali, vitamine, fonti di carbonio (ad esempio
saccarosio e glucosio) e amminoacidi. Le tecniche di coltura in vitro sfruttano una
caratteristica peculiare delle cellule vegetali, la totipotenza, grazie alla quale è
possibile produrre delle piante adulte, fertili, partendo da una o poche cellule
trasformate. Totipotenza indica infatti la capacità di una cellula vegetale adulta, già
differenziata, che ha cioè acquisito tutte quelle caratteristiche morfologiche e
funzionali che distinguono per esempio una cellula della foglia da una della radice, di
ritornare ad uno stadio non differenziato.
Nel campo della biologia molecolare Avery e collaboratori nel 1944 dimostrarono
inequivocabilmente che il DNA (acido desossiribonucleico) è il materiale genetico,
cioè, la molecola che contiene l’insieme dell’informazione genetica. L’informazione
genetica è il patrimonio specifico della specie e dell’individuo che regola e controlla
le funzioni cellulari, il loro processo di sviluppo e la loro risposta agli stimoli
ambientali, ovvero contribuisce a determinare in relazione con l’ambiente, le
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caratteristiche e lo sviluppo di un organismo vivente. I geni non sono altro che
frammenti più o meno lunghi di DNA. Nell’arco di poco più di vent’anni si giunse a
stabilire la struttura tridimensionale del DNA (Watson e Crick, 1953), a descrivere il
flusso dell’informazione genetica dal DNA alle proteine, esecutrici materiali dei
processi cellulari nonché a decifrare il codice genetico, cioè a capire come la
sequenza di nucleotidi che costituiscono la struttura primaria del DNA possa essere
tradotta nella sequenza specifica di amminoacidi che compongono le proteine
(Nirenberg 1961, Nirenberg 1964, Ghosh 1967).
Agli inizi degli anni ’70 Smith e Wilcox individuarono in vari microrganismi un
enzima, chiamato “enzima di restrizione”, in grado di tagliare il DNA in un punto
preciso della sua sequenza. Questa scoperta si rivelò determinante nel processo di
sviluppo delle tecniche del DNA ricombinante; infatti, queste sostanze chimiche
funzionano come delle forbici, grazie alle quali è possibile tagliare e ricomporre i
pezzi di DNA necessari per produrre le caratteristiche desiderate nelle piante di
interesse (Fig. 1). Ad esempio, il mais MON810 resistente alla piralide è stato
costituito tagliando e ricucendo attraverso questi enzimi, un complesso genetico
(costrutto genico) formato in parte da pezzi di DNA provenienti dal virus del
mosaico del cavolfiore e, in parte, dalla sequenza del gene batterico cry1Ab del
Bacillus thuringiensis che produce la tossina CRY. Le piante adulte, generate in
laboratorio attraverso una o poche cellule totipotenti, trasformate con questo
costrutto genico, sono perciò in grado di produrre in tutte le loro parti, comprese
foglie e granella, la tossina nociva che una volta ingerita dalle larve di piralide
distrugge l’epitelio intestinale degli insetti provocandone la morte.
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Fig. 1: schema del costrutto genico che permette l’espressione del transgene all’interno delle piante trasformate.
Nel 1980 K. Mullis e collaboratori inventarono una tecnica per moltiplicare in vitro
le sequenze di DNA per mezzo di una reazione polimerasica a catena (PCR). La
tecnica PCR è stata la più grande innovazione degli anni ’80 nel campo della
biologia molecolare ed ha consentito enormi sviluppi in tutti i campi della ricerca
biologica, biomedica e nelle applicazioni diagnostiche. Attraverso una speciale
macchina denominata termociclatore che è in grado di riprodurre le temperature
ottimali per la replicazione del DNA e con l’utilizzo di particolari sostanze (enzimi),
questa reazione consente di moltiplicare la stessa sequenza per migliaia di volte,
rendendola così visibile su particolari supporti. Questo consente perciò di isolarla dal
resto del DNA ed inserirla successivamente nel nucleo delle cellule che, una volta
trasformate, origineranno la pianta geneticamente modificata. Infatti, nella maggior
parte degli organismi, il DNA è costituito da una lunga sequenza di basi azotate che
appaiandosi tra loro a due a due formano una struttura a doppia elica, la quale a sua
volta si avvolge su strutture proteiche formando i cromosomi; l’insieme dei
cromosomi forma il genoma dell’organismo specifico. Ad esempio, il DNA
dell’uomo è costituito da due filamenti appaiati tra loro lunghi circa 3 miliardi di paia
di basi e suddivisi in 46 cromosomi appaiati a due a due, mentre il genoma del mais è
costituito da 20 cromosomi sempre appaiati tra loro e formati da circa 2,7 miliardi di
paia di basi. Grazie a questa struttura superavvolta l’elica del DNA che, se srotolata
raggiungerebbe nel caso dell’uomo una lunghezza di circa 1,8 metri, può essere
racchiusa all’interno del nucleo cellulare di soli 6 micrometri di diametro, ovvero, 6
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millesimi di millimetro. Quindi, grazie alla scoperta della PCR, ovvero alla
possibilità di moltiplicare per migliaia di volte la sequenza specifica di basi azotate
che costituisce un gene, all’interno dell’intera sequenza che compone il genoma di un
organismo, è oggi possibile isolare e studiare con maggior facilità i geni che
potranno poi essere utilizzati per la trasformazione di piante e per numerose altre
applicazioni.
Le prime scoperte sulla possibilità di trasferire l’informazione genetica nel genoma
dei vegetali sono legate agli studi sul batterio Agrobacterium tumefaciens, un batterio
patogeno che in natura provoca la galla del colletto nelle piante dicotiledoni, tumore
spesso visibile sugli alberi dei viali cittadini in cui le eccessive e spesso scorrette
potature aprono ferite che favoriscono la penetrazione del patogeno. Sulla base di
queste scoperte fu in seguito sviluppata la tecnica di trasformazione che prevede
l’infezione delle piante con un A. tumefaciens geneticamente modificato, nel cui
DNA, i geni patogeni “costitutivi” sono sostituiti da geni esogeni di interesse con
funzioni specifiche.
Un’altra tecnica utilizzata per introdurre l’informazione genetica nelle cellule
vegetali è il metodo detto biolistico. Questo sistema è stato ideato originariamente
per ovviare al fatto che molte specie di interesse agrario, quali ad esempio i cereali,
non sembrava potessero essere infettati da A. tumefaciens. Si pensò quindi di usare
un sistema di trasformazione meccanico, in grado di superare di forza la barriera
costituita dalla parete cellulare. Nel 1988 un gruppo di ricerca americano (Sanford et
al., 1988) ideò un sistema basato sul bombardamento delle cellule (meristemi o calli
in coltura) con microproiettili (oro, tungsteno) sulle quali era stato fatto aderire il
DNA da inserire.
Questo metodo, che originariamente utilizzava uno strumento a scoppio, con tanto di
polvere da sparo, da cui il nome di biolistica (con chiaro riferimento alla balistica), si
avvale ora di strumenti a pressione e si applica in particolare a quelle specie vegetali
che non possono essere infettate da A. tumefaciens o che sono recalcitranti alla
rigenerazione in coltura in vitro (Fig 2).
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Fig. 2: trasformazione con Agrobacterium tumefaciens e con metodo biolistico
Con la tecnica dell’infezione con Agrobacterium fu prodotta nel 1983 la prima pianta
transgenica: una pianta di tabacco resistente ad un antibiotico (Herrera-Estrella et al.,
1983). Successivamente furono prodotte piante geneticamente modificate con
caratteristiche di resistenza agli insetti, ai virus e ai batteri.
Nel 1994 venne autorizzata negli Stati Uniti la commercializzazione del primo
prodotto di una pianta transgenica: il pomodoro Flavr Savr, caratterizzato da frutti
che si mantenevano compatti anche a maturazione avanzata. Questo prodotto fu
ritirato dal commercio dopo tre anni perché fortemente suscettibile alle malattie e
scarsamente produttivo. Nel 1994 fu autorizzata la commercializzazione negli Stati
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Uniti della soia Roundup Ready, resistente all’erbicida glifosato e del mais
YieldGard, resistente alla piralide (Ostrinia nubilalis). Nel 1995 furono realizzate
piante transgeniche di patata con il gene Bt e il Dipartimento dell’Agricoltura degli
Stati Uniti (USDA) diede via libera alla commercializzazione di una pianta di zucca
resistente a due tipi di virus.
Ad oggi, la coltivazione di piante geneticamente modificate coinvolge una superficie
di diversi milioni di ettari.
1.2. Sperimentazione e ricerca
La ricerca nel settore dell’ingegneria genetica delle piante, fino ad oggi, è stata
orientata verso tratti genetici di carattere agronomico, quali ad esempio:
– tolleranza agli erbicidi (glifosato, glufosinato);
– resistenza agli insetti (Bt);
– resistenza a virus;
– resistenza a funghi;
– resistenza a stress ambientali (basse temperature, salinità, ecc.);
– aumento della produttività.
Negli ultimi anni, la ricerca si sta indirizzando verso nuovi settori che utilizzano le
piante per la produzione di alimenti ad alto valore aggiunto, i cosiddetti OGM di
seconda generazione. La modificazione del metabolismo delle piante per ottenere
prodotti ad elevato valore nutrizionale può intervenire a diversi livelli attraverso la
modificazione dei costituenti della pianta, quali: proteine, carboidrati, grassi,
vitamine, antiossidanti, minerali, isoflavonoidi, glucosinolati, fitoestrogeni, lignine,
tannini condensati e anti-nutrienti (fitasi, rimozione di tossine ecc.). Tali
modificazioni, volte ad aumentare il valore nutrizionale degli alimenti o a produrre
sostanze volte alla prevenzione di alcune malattie, sono spesso confuse con le
applicazioni che utilizzano le piante come bioreattori - per la produzione di composti
quali peptidi bioattivi, vaccini, anticorpi ed enzimi per l’industria farmaceutica e
specifici composti (ad esempio: poliidrossibutirrato) di interesse per la produzione di
plastiche biodegradabili - classificati come OGM di terza generazione. La differenza
fondamentale tra le due categorie, è che l’utilizzo delle piante come farmaci richiede
dosi di somministrazione precise come avviene per un qualsiasi farmaco, mentre i
nutraceuticals sono prodotti alimentari ad uso diretto senza precise dosi di
somministrazione come, per esempio, il riso transgenico con un maggior contenuto
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di vitamina A (Golden Rice). La strada per la commercializzazione di questi prodotti
resta ancora lunga.
Tra gli OGM di prima generazione, al vaglio delle autorità competenti e di possibile
prossima introduzione, non risultano infatti nuovi tratti genetici rispetto a quelli già
autorizzati in Europa. Si tratta infatti di mais, riso, soia, barbabietola, colza e cotone
geneticamente modificati per conferire loro la resistenza ad alcuni insetti patogeni
(Piralide, Diabrotica, Sesamia), oppure per renderli tolleranti agli erbicidi glifosato e
glufosinato o per entrambe le caratteristiche.
Per quanto riguarda gli OGM di seconda generazione è da circa 10 anni che si
discute sui possibili benefici che possono derivare dall’introduzione in commercio
del Golden Rice, una varietà di riso creata per produrre alte concentrazioni di beta-
carotene (pro-vitamina A), allo scopo di contrastare la malnutrizione causata da
carenze di vitamina A. I numerosi problemi legati alla proprietà intellettuale dei circa
70 brevetti utilizzati per produrre la tecnologia, quelli relativi al dosaggio di riso
indispensabile per somministrare una dose giornaliera di vitamina A – circa 300
grammi con le varietà transgeniche ottenute fino ad ora – e l’incertezza sui possibili
impatti su ambiente e salute di tale riso, hanno fatto si che fino ad ora non sia mai
stata presentata a livello mondiale nessuna richiesta per la commercializzazione del
Golden Rice, la cui sperimentazione è ancora in corso.
Tra gli OGM di seconda generazione, quelli che sembrano invece più vicini ad una
possibile introduzione sul mercato europeo sono la patata Amflora, geneticamente
modificata per produrre nei tuberi un maggior quantitativo di amilopectine che ne
determina una maggior resa in amido e, il mais Mavera, la cui granella presenta un
maggior contenuto in lisina, che ne aumenta il valore nutrizionale come ingrediente
per la produzione di mangimi. Un linea di ricerca che negli ultimi tempi sta
riscuotendo particolare interesse sia per il settore agricolo che industriale è la
produzione di biomasse da energia. In questo campo, il mais sembra la coltura più
vicina ad una possibile introduzione sul mercato per tali scopi. Al momento è infatti
al vaglio delle autorità competenti europee una richiesta di autorizzazione per il mais
3272, geneticamente modificato dalla Syngenta per produrre un maggior contenuto
di alfa-amilasi nella granella dal quale ne deriva un aumento della resa in etanolo nei
processi industriali. Oltre alla modificazione di piante erbacee e legnose, sono in fase
sperimentale anche microrganismi geneticamente modificati per accelerare i processi
di fermentazione industriale volti alla produzione di bionergie.
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Per quanto riguarda gli OGM di terza generazione, allo stato attuale, visto l’elevato
rischio per l’ambiente e per la salute che può derivare dall’incrocio o dalla
commistione accidentale dei semi di colture tradizionali e quelli ingegnerizzati per la
produzione di farmaci, la ricerca in questo settore è limitata, a livello europeo, in
ambiente confinato e controllato, costituito in generale da piccole serre. In altri paesi,
sono invece presenti prove sperimentali di pieno campo per testare piante modificate
per la produzione di farmaci. Ad esempio negli Stati Uniti, già dal 1997 si stanno
conducendo prove in campo con varietà di riso trasformate a scopo farmaceutico. Tra
queste, il Ventria rice, riso transgenico costituito dalla Ventria Bioscience allo scopo
di produrre tre composti farmaceutici con attività antimicrobica: la lattoferrina, il
lisozima e l’alfa1-antitripsina. Sono inoltre in fase di sviluppo numerose altre linee di
ricerca per la trasformazione di piante in grado di produrre farmaci e vaccini sia per
l’utilizzo veterinario che per l’uomo (Tab. 2).
Tab. 2: alcune linee di ricerca per la produzione di proteine importanti per la salute umana ed animale prodotte in piante transgeniche.
Pianta Proteina Uso terapeuticoColza Irudina Inibitore della trombinaTabacco Somatotropina Ormone della crescita
TabaccoGMCSF (fattore di crescita)
Neutropenia
Tabacco Eritropoietina AnemiaTabacco EGF (fattore di crescita) FeriteTabacco Emoglobina Sostitutivi del sangueRiso, rapa Interferone-alfa Epatite B e CTabacco Interferone-beta Epatite B e CTabacco Trimeri di collagene CollageneRiso Alfa-1-antitripsina Fibrosi cistica
Tabacco, pomodoroACE, enzima convertitore dell’angiotensina
Ipertensione
PomodoroGlicoproteina del virus della rabbia
Vaccini
PatataProteina del vibrione del colera
Tabacco, patata, maisCeppo di E. coli enterotossico
Tabacco, patata, lattugaProteina di superficie del virus dell’epatite B
Erba medica, arabidopsis
Afta epizootica
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A fronte dell’ampia attività di ricerca svolta fino ad oggi nel settore dell’ingegneria
genetica in campo vegetale, soli pochi prodotti hanno raggiunto il mercato o si sono
avvicinati alla richiesta di autorizzazione per la loro immissione nell’ambiente e in
commercio. Questo perché il tasso di mortalità della ricerca transgenica, ossia il
numero di tentativi di sviluppo di varietà o razze transgeniche che portano i caratteri
desiderati è estremamente alto. Stando ai pochi dati disponibili, si stima che il costo
per portare una varietà transgenica sul mercato si aggiri fra i 30 e i 50 milioni di
dollari (altre stime parlano anche di 300 milioni) per un ciclo di ricerca e sviluppo
pari a 10-12 anni.
Si intuisce quindi che solo pochi soggetti industriali siano capaci di sostenere uno
sforzo così impegnativo e che, il tasso di remunerazione dell’investimento possa
essere assicurato solo da prodotti di diffusa commerciabilità e rivolti a mercati
solvibili.
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