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Camera Penale di Pescara aderente all’Unione Camere Penali Italiane
Gruppo di Studio e Ricerca Scuola di Formazione e Qualificazione dell’Avvocato Penalista
XIV CORSO di FORMAZIONE del PENALISTA
MAGGIO 2017 – MAGGIO 2019
Lezione: 20.11.2017 Materia: Diritto Penale Relatore: Avv. Paolo GIUSTOZZI Argomento: I REATI CONTRO LA P.A.: CORRUZIONE, CONCUSSIONE E ABUSO D'UFFICIO ALLA LUCE DELLA LORO MUTAZIONE NORMATIVA E POTENZIAMENTO DEL NOVERO DEI REATI IN SUBIECTA MATERIA
SCHEDA DIDATTICA n. 10
NORMATIVA: TitoloII, Libro II codice penale DOTTRINA : ANTOLISEI, PS, II, 344;
BALBI, I delitti di corruzione. Un'indagine strutturale e sistematica, Napoli, 2003, 8;
D'AVIRRO, L'abuso d'ufficio. La legge di riforma 16 luglio 1997 n. 234, Milano, 1997, 17;
FIANDACA, MUSCO, PS, I, 208
FORNASARI, Concussione, in Bondi, di Martino, Fornasari, Reati contro la Pubblica Amministrazione, 2a
ed., Torino, 2008, 171
GROSSO, sub artt. 318-322, in Padovani (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione, Torino, 1996, 174
PADOVANI, Il confine conteso. Metamorfosi dei rapporti fra concussione e corruzione ed esigenze
"improcrastinabili" di riforma, in RIDPP, 1999, 1306
RONCO, Sulla differenza tra concussione e corruzione: note tra iusconditum e iuscondendum, in
SEGRETO, De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., Milano, 1999, 481.
SPENA, Il "turpe mercato". Teoria e riforma dei delitti di corruzione pubblica, Milano, 2003, 499;
STORTONI, Delitti contro la pubblica amministrazione, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti di parte
speciale, 4a ed., Bologna, 2006, 143;
VENDITTI, Corruzione (Delitti di), in ED, X, Milano, 1962, 755;
VINCIGUERRA, I delitti contro la pubblica amministrazione, Padova, 2008, 195;
LA CORRUZIONE ALLA LUCE DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL LA L. 190/2012
La corruzione è un reato plurisoggettivo, o reato a concorso necessario, in quanto ne rispondono sia il
corruttore che il corrotto. Si distingue, a tal proposito, una corruzione attiva ed una passiva, a seconda che la si
guardi dal punto di vista del corruttore o del corrotto.
Il delitto di corruzione si configura come reato a duplice schema, principale e sussidiario. Secondo
quello principale, il reato viene commesso con due attività, l'accettazione della promessa e il ricevimento della
utilità e il momento consumativo coincide con il ricevimento della utilità e, allorché vi siano più dazioni di
pagamento, ogni remunerazione integra un fatto-reato e una pluralità di dazioni corrisposte in esecuzione di un
unico patto corruttivo configura un delitto continuato. Secondo lo schema sussidiario, che si realizza quando la
promessa non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione della promessa.
La fattispecie appartiene, come suggerito dalla giurisprudenza di legittimità, alla categoria dei
reati propri funzionali , perché elemento necessario di tipicità del fatto è che l'atto o il comportamento oggetto
del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell'ufficio al quale appartiene il soggetto
corrotto, nel senso che occorre che siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata da
quest'ultimo, con la conseguenza che non ricorre il delitto di corruzione passiva se l'intervento del pubblico
ufficiale in esecuzione dell'accordo illecito non comporti l'attivazione di poteri istituzionali propri del suo
ufficio o non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, e invece sia destinato a incidere nella sfera di
attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere
funzionale (Cass. Pen., sez. VI, sentenza 4 maggio 2006, n. 33435, B. e altro, in Cass. pen., 2007, 1605).
La corruzione è un reato proprio commesso dal pubblico ufficiale. Altri possibili soggetti attivi di una
corruzione passiva sono anche l'incaricato di un pubblico servizio, nonché i soggetti indicati all'art. 322 bis.
Le condotte di corruzione (attiva e) passiva hanno ad oggetto denaro o altra utilità: il privato dà o
promette denaro o altra utilità; il pubblico ufficiale riceve, si fa dare, si fa promettere, o accetta la promessa di,
denaro o altra utilità.Il bene giuridico tutelato è da rinvenire nell’interesse della Pubblica Amministrazione
all’imparzialità, correttezza e probità dei funzionari pubblici , ed in particolare, che gli atti di ufficio non
siano oggetto di mercimonio o di compravendita privata.
La ratio della incriminazione, infatti, è il discredito che tale reato getta sulla categoria dei pubblici
funzionari e, quindi, della stessa Pubblica Amministrazione.
Il dato fondamentale comune a tutte le ipotesi di corruzione è il mercimonio dei doveri inerenti alla
pubblica funzione o al pubblico servizio che viene a compromettere il buon andamento e l’imparzialità della
pubblica amministrazione ma, poiché tale mercimonio può avere ad oggetto un comportamento di per sé
corrispondente ai doveri di ufficio o contrario ai doveri medesimi, il codice configura due differenti forme di
corruzione, propria ed impropria.
Con la L. 6.11.2012, n. 190, l'Italia ha dato seguito agli impegni internazionali assunti con la
"Convenzione penale sulla corruzione", fatta a Strasburgo il 27.1.1999, ratificata con L. 28.6.2012, n. 110 e
con la "Convenzione contro la corruzione", adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31.10.2003 con
risoluzione n. 58/4, ratificata con L. 3.8.2009, n. 116.
Con la L. 27.5.2015, n. 69 il legislatore è nuovamente intervenuto sull'art. 318, innalzando il massimo
della pena da cinque a sei anni di reclusione.
La modifica introdotta con la novella del 2012 incide significativamente sulla struttura del delitto di
corruzione di cui all'art. 318 (prima corruzione impropria o per un atto d'ufficio), ora rubricato corruzione per
l'esercizio della funzione.
Si segnalano di seguito i profili più significativi dei cambiamenti introdotti con l'art. 1, 75° co., lett. f,
L. 6.11.2012, n. 190:
- il nuovo art. 318 abbandona il riferimento all'atto dell'ufficio e si limita a menzionare l'esercizio delle
funzioni e dei poteri;
- l'atto conforme all'ufficio, pertanto, non risulta più essere elemento necessario della fattispecie; tuttavia i casi,
già precedentemente integranti corruzione impropria, in cui la retribuzione o la promessa sono ricollegati ad
un atto conforme ai doveri di ufficio appaiono ora sussumibili sotto il nuovo art. 318.
Il nuovo testo dell'art. 318 c.p., non ha proceduto ad alcuna abolitiocriminis, neanche parziale, delle
condotte previste dalla precedente formulazione e ha, invece, determinato un'estensione dell'area di punibilità,
configurando una fattispecie di onnicomprensiva monetizzazione delmunus pubblico, sganciata da una logica
di formale sinallagma e idonea a superare i limiti applicativi che il vecchio testo, pur nel contesto di
un'interpretazione ragionevolmente estensiva, presentava in relazione alle situazioni di incerta individuazione
di un qualche concreto comportamento pubblico oggetto di mercimonio" (Sez. 6, 11.01.2013 n. 19189,
Abbruzzese, rv 255073).
In effetti la riscrittura dell'art. 318 c.p. ha portato nell'assetto del delitto di corruzione un'importante
novità: il baricentro del reato non è più l'atto di ufficio da compiere o già compiuto, ma l'esercizio della
funzione pubblica. Dalla rubrica nonché dal testo dell'art. 318 c.p. è scomparso ogni riferimento all'atto
dell'ufficio e alla sua retribuzione e, a seguire, ogni connotazione circa la conformità o meno dell'atto ai doveri
d'ufficio e, ancora, alla relazione temporale tra l'atto e l'indebito pagamento. Ciò significa che è stata
abbandonata la tradizionale concezione che ravvisava la corruzione nella compravendita dell'atto che il
pubblico ufficiale ha compiuto o deve compiere, per abbracciare un nuovo criterio di punibilità ancorato al
mero “esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri", a prescindere dal fatto che tale esercizio assuma carattere
legittimo o illegittimo e, quindi, senza che sia necessario accertare l'esistenza di un nesso tra la dazione
indebita e uno specifico atto dell'ufficio.
La riforma ha inteso adeguare il nostro ordinamento penale ai superiori livelli di tutela raggiunti da
altri ordinamenti Europei (in particolare, quello tedesco) e al contempo colmare lo iato tra diritto positivo e
diritto vivente formatosi per l'interpretazione estensiva data dalla giurisprudenza di legittimità al concetto di
atto di ufficio, dilatato fino al punto di ritenere sufficiente, per la sua determinabilità, il solo riferimento alla
sfera di competenza o alle funzioni del pubblico ufficiale che riceve il denaro.
Il comando contenuto nella nuova fattispecie è estremamente chiaro:
il pubblico funzionario in ragione della funzione pubblica esercitata non deve ricevere denaro o altre utilità e,
specularmente, il privato non deve corrisponderglieli. Tali divieti, secondo la logica del pericolo presunto,
mirano a prevenire la compravendita degli atti d'ufficio e fungono da garanzia del corretto funzionamento e
dell'imparzialità della pubblica amministrazione.
Il nuovo reato di cui all'art. 318 c.p., in forza della novità del riferimento all'esercizio della funzione,
ha esteso l'area di punibilità dall'originaria ipotesi della retribuzione del pubblico ufficiale per il compimento
di un atto conforme ai doveri d'ufficio a tutte le forme di mercimonio delle funzioni o dei poteri del pubblico
ufficiale, salva l'ipotesi in cui sia accertato un nesso di strumentante tra dazione o promessa e il compimento di
un determinato o ben determinabile atto contrario ai doveri d'ufficio, ipotesi, quest'ultima, espressamente
contemplata dall'art. 319 c.p., modificato dalla novella soltanto nella parte attinente alla misura della pena.
Ne deriva che i fenomeni di corruzione sistemica conosciuti dall'esperienza giudiziaria come "messa a
libro paga del pubblico funzionario" o "asservimento della funzione pubblica agli interessi privati" o "messa a
disposizione del proprio ufficio", tutti caratterizzati da un accordo corruttivo che impegna permanentemente il
pubblico ufficiale a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata,
finora sussunti - alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato - nella fattispecie
prevista dall'art. 319 c.p., devono ora, dopo l'entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, essere ricondotti nella
previsione del novellato art. 318 c.p., sempre che i pagamenti intervenuti non siano ricollegabili al
compimento di uno o più atti contrari ai doveri d'ufficio.
In altre parole, considerato che la nuova figura di reato prevista dall'art. 318, e quella di cui all'art. 319
c.p., sono caratterizzate l'una dall'assenza l'altra dalla presenza di un atto contrario ai doveri di ufficio, volendo
individuare quale sia la norma penale applicabile, occorrerà previamente accertare se l'asservimento della
funzione sia rimasto tale o sia sfociato nel compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio.
Nella prima ipotesi il fatto sarà sussunto nella nuova fattispecie di reato descritta dall'art. 318 c.p., che,
elevando a fatto tipico uno dei tanti fenomeni di corruzione propria prima compresi nell'art. 319 c.p., ha
assunto - rispetto ai fatti commessi ante riforma - il ruolo di norma speciale destinata a succedere nel tempo a
quella generale, perchè la pena comminata dall'art. 318, è, nel minimo edittale (un anno di reclusione, anzichè
due), più favorevole al reo.
Nell'ipotesi, invece, che l'asservimento della funzione abbia prodotto il compimento di un atto
contrario ai doveri d'ufficio, il fatto resterà sotto il regime dell'art. 319 c.p., e sarà punito, ove commesso prima
dell'entrata in vigore della novella, con la pena - più lieve - prevista ante riforma, in ossequio alla regola
dell'art. 2 c.p., comma 4.
Questa soluzione è stata criticata, rilevando che, in tal modo, verrebbe irragionevolmente punito con
pena meno grave il pubblico ufficiale che vende l'intera funzione rispetto a colui che vende soltanto un singolo
atto (Cass., Sez. 6, 15.10.2013 n. 9883, Terenghi, rv 258521). L'argomentazione però non è condivisibile,
perchè non rispecchia la realtà normativa come sopra ricostruita.
Invero,l'art. 318 c.p., in quanto punisce genericamente la vendita della funzione, si atteggia come reato
di pericolo, mentre l'art. 319 c.p., perseguendo la compravendita di uno specifico atto d'ufficio, è reato di
danno. Nel primo caso la dazione indebita, condizionando la fedeltà e imparzialità del pubblico ufficiale che si
mette genericamente a disposizione del privato, pone in pericolo il corretto svolgimento della pubblica
funzione; nell'altro, la dazione, essendo connessa sinallagmaticamente con il compimento di uno specifico atto
contrario ai doveri d'ufficio, realizza una concreta lesione del bene giuridico protetto, meritando quindi una
pena più severa.
Per completezza va detto che, nel nuovo regime, il rapporto tra art. 318 c.p., e art. 319 c.p., da
alternativo che era (cioè fondato sulla distinzione tra atto conforme o atto contrario ai doveri d'ufficio), è ora
divenuto da norma generale a norma speciale. Si tratta di specialità unilaterale per specificazione, perchè,
mentre l'art. 318 c.p., prevede e punisce la generica condotta di vendita della pubblica funzione, l'art. 319 c.p.,
enuclea un preciso atto, contrario ai doveri di ufficio, oggetto di illecito mercimonio.
Va precisato, infine, che la nuova figura di reato prevista dall'art. 318 c.p., può atteggiarsi, sotto il
profilo della consumazione, come reato eventualmente permanente. Invero, se a realizzare la fattispecie penale
è sufficiente l'azione istantanea dell'accettazione della promessa del denaro (o di altra utilità) o della sua
ricezione, nell'ipotesi che le dazioni indebite siano plurime, trovando esse ragione giustificativa nel fattore
unificante dell'esercizio della funzione pubblica, non si realizzeranno tanti reati quante sono le dazioni, ma un
unico reato la cui consumazione comincia con la prima dazione e si protrae nel tempo fino all'ultima.
GIURISPRUDENZA :
- In tema di: natura giuridica della corruzione e rapporto tra gli artt. 318 e 319 c.p.
1) Cass. pen. Sez. VI, 25/09/2014, n. 49226 (rv. 261355)
In tema di corruzione, l'art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190) ha natura
di reato eventualmente permanente se le dazioni indebite sono plurime e trovano una loro ragione
giustificatrice nel fattore unificante dell'asservimento della funzione pubblica.
2) Cass. pen. Sez. VI, 25/09/2014, n. 49226 (rv. 261354)
In tema di corruzione, la fattispecie di cui all'art. 319 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre
2012, n. 190), è in rapporto di specialità unilaterale per specificazione rispetto a quella prevista dall'art. 318
cod. pen., in quanto mentre questa punisce la generica condotta di vendita della funzione pubblica, la prima
richiede, invece, un preciso atto contrario ai doveri di ufficio, oggetto di illecito mercimonio.
3) Cass. pen. Sez. VI, 25/09/2014, n. 47271
La messa a disposizione, da parte del P.U., del proprio ufficio, corrisponde alla fattispecie tipizzata nel nuovo
testo dell'art. 318 c.p. Tale condotta, peraltro, già rientrava nella previsione dell'art. 319 c.p. costituendo atto
contrario ai doveri d'ufficio. Prevedendo, le due norme, la medesima pena massima, stante l'evidente
continuità normativa tra le stesse, non assume alcuna rilevanza chiedersi se una condotta pregressa rientri nella
previsione dell'una o dell'altra disposizione. Invero, i fatti di corruzione impropria, per atto conforme ai doveri
d'ufficio, continuano ad essere penalmente rilevanti, ai sensi dell'art. 318 c.p., come novellato dallalegge n.
190 del 2012, che, nella sua ampia previsione li ricomprende integralmente ampliando, la nuova norma, l'area
di punibilità ad ogni fattispecie di monetizzazione del munuspublicus, pur se sganciata da una logica di
"formale sinallagmaticità".
4)Cass. pen. Sez. VI, 25/09/2014, n. 49226 (rv. 261352)
In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi realizzato
attraverso l'impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla
funzione esercitata, integra il reato di cui all'art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre
2012, n. 190), e non il più grave reato di corruzione propria di cui all'art. 319 cod. pen., salvo che la messa a
disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, poichè, in tal
caso, si determina una progressione criminosa nel cui ambito le singole dazioni eventualmente effettuate si
atteggiano a momenti esecutivi di un unico reato di corruzione propria a consumazione permanente.
5) Cass. pen. Sez. VI, 25/09/2014, n. 49226 (rv. 261353)
In tema di corruzione, l'art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190), punendo
genericamente la vendita della funzione, ha natura di reato di pericolo, mentre, invece, l'art. 319 cod. pen.,
perseguendo la compravendita di uno specifico atto d'ufficio, è un reato di danno.
- Sugli effetti dell’entrata in vigore della l. 190/2012
6) Cass. pen. Sez. VI, 23/01/2014, n. 10889
Il nuovo testo dell'art. 318 c.p. si pone in linea di continuità normativa con quello recato dal medesimo articolo
prima della riforma introdotta dalla L. n. 190 del 2012, ed anzi ha allargato l'area della punibilità ad ogni
fattispecie di monetizzazione del munus pubblico, pur se sganciata da una logica di formale sinallagmaticità.
7) Cass. pen. Sez. VI, 15/10/2013, n. 9883 (rv. 258521)
In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il
sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili "ex
post", integra il reato di cui all'art. 319 cod. pen., e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della
funzione di cui all'art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190).
8) Cass. pen. Sez. VI, 11/02/2013, n. 11792
Sussiste continuità normativa tra le nuove disposizioni in materia di istigazione alla corruzione contenute
nell'art. 322, commi 1 e 3, c.p., come sostituite dallalegge n. 190 del 2012, e le previgenti disposizioni
contenute negli stessi commi, giacché la finalità di tali modifiche è stata esclusivamente quella di adeguare le
due fattispecie incriminatrici dell'istigazione alla corruzione, ivi previste, alla nuova figura criminosa della
corruzione per l'esercizio delle funzioni di cui all'art. 318 c.p., anche esso sostituito dalla citata legge n. 190;
ciò fatto salvo il divieto di applicazione retroattiva delle nuove norme, ex art. 2, comma 4, c.p., nella parte in
cui risulta ampliata la portata operativa della nuova fattispecie di corruzione ex art. 318 c.p. ed incrementata la
relativa cornice sanzionatoria.
9) Cass. pen. Sez. VI, 05/02/2013, n. 27719 (rv. 255599)
Non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ex art. 318 cod. pen. - nel testo vigente prima
delle modifiche della l. n. 190 del 2012 - nei confronti del Presidente di una società di gestione di una tratta
autostradale, perché, pur rivestendo quest'ultimo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere
considerato un pubblico impiegato.
10) Cass. pen. Sez. VI, 24/01/2013, n. 9079 (rv. 254162)
Non sussiste alcun interesse ad accertare se il fatto già qualificato come corruzione propria, ai sensi dell'art.
319 cod. pen., possa essere ricondotto nella nuova fattispecie di corruzione per l'esercizio delle funzioni, di
cui all'art. 318 cod. pen., così come introdotto dall'art.1, comma 75, L. n. 190 del 2012, atteso che tale ultima
disposizione prevede la stessa pena di cui all'art. 319 cod. pen., vigente al momento della commissione del
fatto.
11) Cass. pen. Sez. VI, 11/01/2013, n. 19189 (rv. 255073)
Il nuovo testo dell'art. 318 cod. pen., così come integralmente riscritto dall'art. 1, comma 75 della legge n. 190
del 2012, non ha proceduto ad alcuna "abolitiocriminis", neanche parziale, delle condotte previste dalla
precedente formulazione ed ha, invece, determinato un'estensione dell'area di punibilità, configurando una
fattispecie di onnicomprensiva monetizzazione del "munus" pubblico, sganciata da una logica di formale
sinallagma. (Principio affermato in relazione a fattispecie in precedenza qualificata come corruzione
impropria).
- Alcune pronunce inerenti la nozione di atto d’ufficio
12) Cass. pen. Sez. VI, 26/04/2012, n. 18477.
Ai fini della configurabilità del reato di corruzione, sia propria (art. 319 c.p.) che impropria (art. 318 c.p.), non
è determinante il fatto che l'atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle
specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente
che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale
egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto.
13) Cass. pen. Sez. VI, 17/03/2004, n. 23804 (rv. 229642)
In tema di corruzione propria, l'espressione "atto di ufficio" non è sinonimo di atto amministrativo ma designa
ogni comportamento del pubblico ufficiale posto in essere nello svolgimento del suo incarico e contrario ai
doveri del pubblico ufficio ricoperto. Ne consegue che nell'operato del pubblico ufficiale, retribuito
dall'imputato con un compenso fisso mensile, il quale si sia reso disponibile a compiere una serie di condotte
di natura diversa, ci si trova di fronte ad un'ipotesi di corruzione propria ai sensi dell'art. 319 c.p. e non
all'ipotesi minore di cui all'art. 318 c.p.
14) Cass. pen. Sez. I, 27/10/2003, n. 4177 (rv. 227099)
Ai fini della configurabilità tanto delle corruzione impropria, prevista dall'art.318, comma primo, cod. pen.,
quanto di quella propria, prevista dall'art. 319, comma primo, stesso codice, è sufficiente che vi sia stata
ricezione della indebita retribuzione o accettazione della relativa promessa, restando quindi indifferente che ad
essa abbia fatto poi seguito o meno l'effettivo compimento dell'atto conforme o contrario ai doveri d'ufficio, in
vista del quale la retribuzione è stata elargita o la promessa formulata
15) Cass. pen. Sez. VI, 25/09/2003, n. 44787
Sussiste la fattispecie di corruzione impropria previstadall'art. 318 cod. pen. quando l'atto amministrativo è
adottato nell'esclusivo interesse della pubblica amministrazione, tanto è vero che, se non fosse corrisposta la
somma di denaro da parte del privato, il comportamento del pubblico ufficiale non sarebbe suscettibile di
sanzioni né sotto il profilo penale nè sotto quello disciplinare.
16) Cass. pen. Sez. VI, 09-07-2002, n. 30268 (rv. 222746)
Per la configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio non
rileva la tenuità della somma di denaro o del valore della cosa offerta al pubblico ufficiale. Le piccole regalie
d'uso possono escludere la configurabilità soltanto del reato di corruzione per il compimento di un atto di
ufficio, previsto dall'art. 318 c.p., giammai quello di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio
previstodall'art. 319 c.p., perché solo nel primo caso è possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non
abbia avuto influenza nella formazione dell'atto stesso
17) Cass. pen. Sez. VI, 14/06/2017, n. 35940
Integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito
compenso, esercita i poteri discrezionali rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco,
al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, ex post, con l'interesse
pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di
corretto adempimento delle funzioni.
18) Cass. pen. Sez. VI, 28/02/2017, n. 17586 (rv. 269831)
In tema di delitti di corruzione, l'"atto d'ufficio" non deve essere inteso in senso strettamente formale in quanto
esso è integrato anche da un comportamento materiale che sia esplicazione di poteri-doveri inerenti alla
funzione concretamente esercitata. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di corruzione
propria, in concorso con quello di turbata libertà degli incanti, nella condotta del pubblico ufficiale che, al fine
di favorire l'aggiudicazione di una gara di appalto ad una società, in cambio del versamento di importi in
denaro già corrisposti e dell'impegno di corrispondere ulteriori somme e utilità, si era impegnato anche a
sostituire fraudolentemente la proposta tecnica presentata da quest'ultima con altra più adeguata agli standard
di gara).
- Sull’istigazione alla corruzione:
19) Cass. pen. Sez. VI, 10/02/2017, n. 19319 (rv. 269836)
L'offerta o la promessa di donativi di modesta entità (nella specie, la somma di 50 euro), quale manifestazione
di gratitudine o di apprezzamento per l'attività già compiuta dal pubblico ufficiale in termini conformi ai
doveri d'ufficio, non configura il delitto di istigazione alla corruzione impropria susseguente, ai sensi dell'art.
322, comma primo, cod. pen., in ragione della inoffensività della condotta dell'agente. (In motivazione, la
Corte ha rilevato che con il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, adottato con il d. P.R. 16 aprile
2013, n. 62, lo stesso legislatore ha escluso la rilevanza penale dei donativi di modico valore, nell'ordine
massimo di 150 euro).
- Sulla corruzione in atti giudiziari:
20) Cass. pen. Sez. VI, 10/01/2017, n. 7439
Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 319-ter c.p. della corruzione di atti giudiziari, si
considera "atto giudiziario" quello funzionale ad un procedimento giudiziario e, pertanto, anche l'atto del
funzionario collocato nella struttura dell'ufficio giudiziario che esercita un potere idoneo ad incidere sul suo
concreto funzionamento e sull'esito dei procedimenti.
**
Il cd. Spacchettamento della concussione
Art. 317 c.p. “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei
suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è
punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
Si tratta di un reato proprio, ovvero che può essere commesso solo da un soggetto agente che si
qualifichi come esercente una pubblica funzione. A ciò si deve aggiungere che è richiesto come elemento
costitutivo della fattispecie in esame l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri. Per quanto attiene alla qualità,
si ritiene che l'abuso sia relativo ad atti rientranti nella competenza funzionale del pubblico ufficiale, essendo
sufficiente che la qualità oggettiva avvalori o renda credibile la sussistenza di una specifica competenza che
invece è di mero fatto. Invece relativamente all'abuso dei poteri, è richiesta a monte la capacità di esercitarli
legittimamente, in quanto rientranti nei limiti della competenza, e consiste nell'esercizio della potestà, di cui il
soggetto è investito, difformemente dallo scopo per il quale la legge gliel'ha conferita.
Fino al 2012, la norma in esame contemplava due diverse fattispecie di concussione: per costrizione e
per induzione. L'art. 1 della l. 6 novembre 2012, n. 190 ha eliminato il riferimento all'induzione la quale ora è
disciplinata separatamente all'art. 319 quater. Qui ora viene dunque disciplinata la sola concussione costrittiva,
che si realizza qualora il soggetto esercente una pubblica funzione obblighi taluno con violenza o minaccia a
compiere un'azione che diversamente non avrebbe compiuto, ponendolo così in una posizione di
assoggettamento. Non necessariamente la vittima è in questi casi priva di qualsiasi poter di autodeterminazione
(coazione assoluta), ma si può anche ravvisare una coazione relativa, ovvero può prospettarsi per la vittima
una libertà di scelta tra il male minacciato e le conseguenze negative che subirebbe nel caso di un suo rifiuto.
L'evento del delitto è rappresentato dalla dazione o promessa indebita di denaro o altre utilità, le quali
devono essere entrambe condizionate dalla costrizione del soggetto passivo o di un terzo, anche ignaro di tale
coazione, e indebite, ovvero non dovute in tutto o in parte per legge o per consuetudine. Entrambe sono poi da
considerarsi, alternativamente, idonee a integrare la fattispecie tipica. Mentre nessun dubbio sussiste sul
concetto di denaro, si discute sul concetto di altra utilità. Secondo la giurisprudenza prevalente e parte della
dottrina sarebbe questa identificabile solo con i vantaggi che vi potrebbero derivare per il patrimonio o la
persona dell'agente, con esclusione quindi dei profitti meramente sentimentali, dei compiacimenti estetici e dei
piaceri sessuali. Altri ritengono invece che il concetto di utilità vada inteso in senso più ampio ovvero
comprensivo, quindi, di qualsiasi forma di vantaggio o piacere, anche quelli più riprovevoli.
Art. 319 quater “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il publico ufficiale o l’incaricato di pubblico
servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a
lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.
Nei casi previsti al primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre
anni”
L’introduzione della nuova figura di reato di induzione indebita è frutto della scelta di scindere l'originaria
figura della concussione (per costrizione e per induzione) in due delitti autonomi: il primo, consumato con
condotte di costrizione, è ancora punito sub art. 317; il secondo, commesso con condotte di induzione, è
fattispecie autonoma di cui al nuovo art. 319 quater. In entrambi i casi si richiede, come nella disciplina
previgente dell'art. 317, che il soggetto attivo abusi della proprie qualità o poteri; dopo la riforma di cui alla L.
27.5.2015, n. 69 sono nuovamente soggetti attivi di entrambe le fattispecie sia il pubblico ufficiale che
l'incaricato di pubblico servizio (mentre sotto la vigenza della L. 6.11.2012, n. 190 e, dunque fino al 14 giugno
2015, la concussione poteva essere commessa solo dal pubblico ufficiale).
La L. 27.5.2015, n. 69 è intervenuta solo sul precetto secondario (la pena) del delitto di cui all'art. 319
quater, 1° co., oggi punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi [e non più da tre a otto anni].
Non è stata invece modificata la pena stabilita al 2° co. per il privato indotto dal pubblico agente a promettere
o a dare.
La Suprema Corte ha chiarito che la successione normativa fra il previgente testo dell'art. 317, quello
introdotto dall'art. 1, 75° co., L. 6.11.2012, n. 190 e quello del nuovo ed autonomo art. 319 quater, dia luogo
ad un fenomeno di successione di leggi penali, disciplinato dall'art. 2, 4° co. Infatti, stante quanto disposto
dalla L. 6.11.2012, n. 190, l'art. 317 che, precedentemente alla riforma introdotta dalla citata normativa,
considerava in alternativa di pari valenza le condotte della costrizione e dell'induzione a dare o promettere
indebitamente a sé od a un terzo, con abuso della qualità o dei poteri, attualmente fa riferimento alla sola
condotta della costrizione, essendo stata creata una nuova fattispecie per la condotta di induzione, prevista
dall'art. 319 quater. La nuova disciplina normativa non ha, pertanto, affatto implicato l'irrilevanza penale delle
condotte previste dall'art. 317. Da precisarsi tra l'altro che la riqualificazione operata dalla Corte di Cassazione,
a seguito dell'entrata in vigore della L. 6.11.2012, n. 190, del delitto di concussione in quello di indebita
induzione non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a favore di colui che, al
momento della commissione del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato (C., Sez. VI, 25.1.2013-
23.7.2013, n. 31957).
Con la riforma del 2012 viene dunque introdotta la punibilità del soggetto privato che è indotto alla
dazione o alla promessa di denaro o altra utilità. In precedenza infatti, al pari del "concusso mediante
costrizione", il "concusso mediante induzione" non era punibile, mentre ora invece è considerato concorrente
necessario del reato.
La riforma dei reati contro la pubblica amministrazione – legge 190 del 2012 – ha dato a luogo a
quello che è stato ribattezzato come il cd. “spacchettamento” della concussione, ossia l’aver suddiviso le
originarie condotte di “costrizione” e “induzione” in due autonome fattispecie criminose. La legge di riforma
ha, in altri termini, eliminato dall’art. 317 c.p. la condotta di “induzione”, lasciando come unica condotta
incriminatrice la “costrizione” creando una nuova fattispecie per la condotta di induzione.
GIURISPRUDENZA:
- Sull’elemento oggettivo della fattispecie di concussione
21)Cass. pen. Sez. VI, 13/11/2015, n. 48920 (rv. 265476)
Ai fini della configurabilità del delitto di concussione, i favori sessuali rientrano nella nozione di "utilità",
dovendosi ritenere che gli stessi rappresentano comunque un vantaggio per il pubblico funzionario che ne
ottenga la promessa o la effettiva prestazione. (Fattispecie relativa ad un dirigente scolastico che, abusando dei
suoi poteri, aveva tenuto una condotta discriminatoria e prevaricatrice nei confronti di un'insegnante al fine di
costringerla a concedergli favori sessuali, senza riuscire nel suo intento per i reiterati dinieghi della persona
offesa).
22)Cass. pen. Sez. VI, 03/11/2015, n. 45468 (rv. 265453)
Il delitto di concussione rappresenta una fattispecie a duplice schema, nel senso che si perfeziona
alternativamente con la promessa o con la dazione indebita per effetto dell'attività di costrizione o di induzione
del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, sicché, se tali atti si susseguono, il momento
consumativo si cristallizza nell'ultimo, venendo così a perdere di autonomia l'atto anteriore della promessa e
concretizzandosi l'attività illecita con l'effettiva dazione, secondo un fenomeno assimilabile al reato
progressivo.
23)Cass. pen. Sez. II, 05/05/2015, n. 23019 (rv. 264278)
In tema di concussione di cui all'art. 317 cod. pen., così come modificato dall'art. 1, comma 75 della legge n.
190 del 2012, la costrizione consiste nel comportamento del pubblico ufficiale che, abusando delle sue
funzioni o dei suoi poteri, agisce con modalità o con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà
di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita, che, di conseguenza, si determina alla dazione o
alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciatogli; ne consegue che non è sufficiente ad
integrare il delitto in esame qualsiasi forma di condizionamento, che non si estrinsechi in una forma di
intimidazione obiettivamente idonea a determinare una coercizione psicologica cogente in capo al soggetto
passivo.
24)Cass. pen. Sez. VI, 10/03/2015, n. 22526 (rv. 263769)
Ai fini della configurabilità del reato di concussione non è sufficiente lo stato di timore riverenziale o
autoindotto del destinatario di una richiesta illegittima proveniente da un pubblico ufficiale, neppure quando
quest'ultimo riveste una posizione sovraordinata e di supremazia rispetto al primo, poiché il delitto di
cui all'art. 317 cod. pen. richiede che l'agente provvisto di qualifica pubblicistica, abusando della sua qualità o
dei suoi poteri, esteriorizzi concretamente un atteggiamento idoneo ad intimidire la vittima.
25)Cass. pen. Sez. VI, 10/03/2015, n. 22526
Pronunciandosi sulla nota vicenda che aveva visto quale protagonista l'ex Premier, accusato di concussione per
aver indebitamente fatto pressioni su un funzionario di polizia per ottenere l'affidamento di una minore ad un
consigliere comunale, spacciandola come nipote di un noto politico egiziano, la Corte di Cassazione, ha
chiarito che non è la mera posizione sovraordinata e di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di
pubblico ufficiale in ragione della qualità rivestita o della funzione svolta, a integrare il delitto di concussione
soltanto perché la controparte, per motivazioni a se interne, venga comunque ad avvertire uno state di
soggezione, ciò perché, ai fini dell'integrazione di tale illecito, è necessario che la condotta abusiva del
pubblico ufficiale divenga positivamente concreta, nel senso che la vittima deve essere posta nella condizione
di percepirne l'effettiva portata intimidatoria e costrittiva, idonea a ingenerare in lei il timore di un danno
contra ius, in caso di mancata adesione alla richiesta d'indebito che gli viene rivolta.
26)Cass. pen. Sez. VI, 15/11/2016, n. 53444
E' vittima di concussione, e non di truffa aggravata, la gestante costretta da un medico, mediante abuso della
professione da parte di costui, a ricorrere illegalmente a pratiche di aborto a pagamento nello studio privato del
reo, qualora ella abbia acconsentito a tali pratiche coattive in maniera consapevole.
- Sulla correlazione tra imputazione e sentenza
27)Cass. pen. Sez. VI, 18/02/2015, n. 10140
Per il rispetto del principio di correlazione tra imputazione e sentenza è essenziale che, a fronte di un fatto
contestato come concussione e riqualificato nella sentenza di condanna come abuso di ufficio, il capo di
imputazione individui specificamente la violazione di legge, la natura intenzionale della stessa, con riferimento
allo specifico vantaggio o danno che costituisce la finalità della violazione, l'ulteriore ingiustizia derivatane (la
c.d. doppia ingiustizia).
28)Cass. pen. Sez. Unite, 26/06/2015, n. 31617 (rv. 264438)
L'attribuzione all'esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto
contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la
violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'art.
111, secondo comma, Cost., e dell'art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea,
qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in
concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono.
(Nell'affermare il principio indicato, la Corte ha escluso la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. in una
fattispecie in cui l'imputato era stato condannato in primo grado per il reato di concussione e in appello per
quello di corruzione).
- Sull’induzione indebita
29)Cass. pen. Sez. VI, 12/02/2015, n. 8963 (rv. 262503)
In relazione al delitto di induzione indebita previsto dall'art. 319 quater cod. pen., introdotto dalla l. n. 190 del
2012, qualora rispetto al vantaggio prospettato, quale conseguenza della promessa o della dazione indebita
dell'utilità, si accompagni anche un male ingiusto di portata assolutamente spropositata, la presenza di un utile
immediato e contingente per il destinatario dell'azione illecita risulta priva di rilievo ai fini della possibile
distinzione tra costrizione da concussione ed induzione indebita, in quanto, in tal caso, il beneficio conseguito
o conseguibile risulta integralmente assorbito dalla netta preponderanza del male ingiusto.
30)Cass. pen. Sez. VI, 22/01/2015, n. 8625
Il delitto di indebita induzione si caratterizza, sul piano strutturale, per uno "scambio", sia pure non paritario,
tra promesse e prestazioni, che coinvolge anche la vittima delle pressioni induttive, e che caratterizza il fatto
tipico rispetto alla concussione.
31)Cass. pen. Sez. VI, 17/09/2015, n. 49275
In tema di induzione indebita, la condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione
morale con più tenue valore condizionante rispetto all'abuso costrittivo tipico del delitto di concussione-della
libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi argini decisionali, finisce col
prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione indebita, poiché motivato dalla prospettiva di conseguire
un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.
- Sulla differenziazione tra millantato credito, concussione, e traffico di influenze illecite
32) Cass. pen. Sez. VI, 14/12/2016, n. 4113 (rv. 269736)
Il delitto di traffico di influenze, di cui all'art. 346 bis cod. pen., si differenzia, dal punto di vista strutturale,
dalle fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l'opera di
mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all'agente pubblico. (Fattispecie in cui
l'imputata aveva ottenuto il versamento di una somma di denaro e si era adoperata per promuovere un accordo
corruttivo, non perfezionato, diretto ad alterare l'esito di una prova selettiva mediante l'intervento di soggetti
interni alla procedura concorsuale).
33)Cass. pen. Sez. VI, 29/01/2015, n. 8989 (rv. 262796)
Integra il delitto di millantato credito aggravato ai sensidell'art. 61 n. 9, cod. pen., e non quello di concussione,
la condotta di induzione della vittima a versare una somma di denaro, realizzata dal pubblico ufficiale
mediante il raggiro della falsa rappresentazione di una situazione di grave pregiudizio e della proposta di
comprare i favori di altri ignari ed inesistenti pubblici ufficiali per ottenere un risultato a lei favorevole. (In
applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per il delitto di
millantato credito di un'assistente sociale, incaricata di redigere relazioni per la concessione di misure
alternative alla detenzione, la quale, prospettando la possibilità di ottenere il predetto beneficio grazie
all'interessamento di un amico poliziotto, in grado - dietro versamento di danaro - di influire sulle decisioni del
Magistrato di sorveglianza, si era fatta consegnare una somma in contanti da un condannato destinatario di un
ordine di carcerazione).
34)Cass. pen. Sez. VI, 14/05/2015, n. 34200
Non può contestarsi il reato di concussione, ma quello meno grave di millantato credito aggravato ai sensi
dell'art. 61, n. 9, c.p., nel caso in cui la richiesta di una somma di denaro alla persona offesa sia avanzata da un
privato e non vi sia la prova che il pubblico funzionario ne sia consapevole e partecipe.
- Sui criteri di distinzione tra 317 e 319 quater c.p.
35)Cass. pen. Sez. VI, 29/01/2016, n. 6659
Il delitto di concussione differisce dal delitto di induzione indebita non solo per la maggiore intensità della
pressione psicologica esercitata sul soggetto passivo dal soggetto qualificato, ma anche per la tipologia del
danno prospettato, il quale si atteggia quale danno ingiusto nel delitto di concussione, laddove risulta
conforme alle previsioni normative in quello di induzione indebita
36)Cass. pen. Sez. VI, 14/05/2015, n. 32594 (rv. 264424)
Nel delitto di induzione indebita, previsto dall'art. 319 quater cod. pen., introdotto dalla L. n. 190 del 2012, la
condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore
condizionante - rispetto all'abuso costrittivo tipico del delitto di concussione di cui all'art. 317 cod. pen., come
modificato dalla predetta l. n. 190 - della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di
più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta,
perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una
sanzione a suo carico.
37)Cass. pen. Sez. VI, 10/04/2014, n. 41110
Il reato di concussione e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenziano dalle
fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione
abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre
l'extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo
corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l'incontro libero e consapevole della volontà
delle parti.
38)Cass. pen. Sez. VI, 23/07/2015, n. 42607
Il criterio distintivo tra la concussione, di cui all'art. 317 c.p., e l'induzione indebita, di cui all'art. 319 quater
c.p., va individuato nel mezzo usato per la realizzazione dell'evento: nel primo caso è rappresentato dalla
minaccia, anche implicita, da parte del pubblico ufficiale di un danno ingiusto nel secondo, invece, nella
persuasione della persona offesa a dare o promettere qualcosa al fine di evitare un male peggiore.
39)Cass. pen. Sez. Unite, 24/10/2013, n. 12228
Il reato di cui all'art. 317 cod. pen., come novellato dalla legge n. 190 del 2012, è designato dall'abuso
costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o - più di frequente - mediante minaccia, esplicita
o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto,
della libertà di autodeterminazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sé, è posto di
fronte all'alternativa secca di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell'indebito;
il reato di cui all'art. 319-quater cod. pen., introdotto dalla legge n. 190 del 2012, è designato dall'abuso
induttivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, vale a dire da una condotta di
persuasione, di suggestione, di inganno (purché quest'ultimo non si risolva in induzione in errore sulla
doverosità della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la libertà di
autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare
acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un
indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende
meritevole di sanzione; nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e
l'induzione indebita (la c.d. "zona grigia" dell'abuso della qualità, della prospettazione di un male
indeterminato, della minaccia-offerta, dell'esercizio del potere discrezionale, del bilanciamento tra beni
giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio
indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività
dinamica all'interno della vicenda concreta, individuando, all'esito di una approfondita ed equilibrata
valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti.
40) Cass. pen. Sez. VI, 15/03/2016, n. 18182
Integra il delitto previsto e punito dall'art. 319-quater c.p., e non anche la fattispecie di cui all'art. 317 c.p., la
condotta del pubblico ufficiale che abusando della sua qualità di ispettore del lavoro, proponga al privato
imprenditore il vantaggio costituito dall'omissione di controlli nei confronti delle imprese ad esso
riconducibili, in cambio di incarichi professionali al figlio. La fattispecie di indebita induzione, invero, è
caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale, che lascia al
destinatario un margine significativo di autodeterminazione, il quale, disponendo di ampi margini decisori,
accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di un tornaconto
personale; nella concussione, invece, la condotta del pubblico ufficiale, integrata da un abuso costrittivo
attuato mediante violenza o minaccia, limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto
passivo, il quale, senza ricevere alcun vantaggio, viene posto di fronte all'alternativa di subire il male
prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell'utilità.
- Sulla successione normativa delle leggi in materia
41)Cass. pen. Sez. Unite, 24/10/2013, n. 12228
Sussiste continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico agente, tra la concussione per induzione di
cui al previgente art. 317 cod. pen. e il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di
cui all'art. 319-quater cod. pen., considerato che la pur prevista punibilità, in quest'ultimo, del soggetto indotto
non ha mutato la struttura dell'abuso induttivo, ferma restando, per i fatti pregressi, l'applicazione del più
favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma.
42)Cass. pen. Sez. Unite, 24/10/2013, n. 12228 (rv. 258472)
L'abuso costrittivo dell'incaricato di pubblico servizio, prima dell'entrata in vigore della l. n. 190 del
2012sanzionato dall'art. 317 cod. pen., è attualmente un illecito estraneo allo statuto dei reati contro la P.A. ed
è punibile, a seconda dei casi concreti, in base alle disposizioni incriminatrici dell'estorsione, della violenza
privata o della violenza sessuale, fattispecie tutte che si pongono in rapporto di continuità normativa con la
precedente norma di cui all'art. 317 cod. pen, con la conseguenza che, in relazione ai fatti pregressi, sarà
compito del giudice verificare in concreto quale norma contiene la disposizione più favorevole da applicare.
43)Cass.pen.Sez.Unite,27/03/2014,n.16208(rv.258654)
Non può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza
della Corte di cassazione che dispone l'annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma
prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente
determinano l'irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla
qualificazione dei fatti ascritti all'imputato.
44)Cass. pen. Sez. II, 11/10/2013, n. 45970 (rv. 257754)
In tema di concussione, deve essere esclusa la sussistenza del reato quando la prestazione promessa od
effettuata dal soggetto passivo, a seguito di induzione o costrizione da parte dell'agente, giovi esclusivamente
alla P.A. e rappresenti una utilità per il perseguimento dei relativi fini istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte
ha ritenuto che in presenza di una condotta posta in essere da un Sindaco, consistente nell'attivarsi per
procurare una sponsorizzazione alla locale squadra di calcio, il giudice di merito dovesse accertare se essa
perseguisse una finalità di natura personale, quale l'accrescimento del proprio prestigio politico o una finalità
di interesse pubblico).
45) Cass. pen. Sez. VI, 14/12/2016, n. 4113 (rv. 269735)
Le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere
denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del
pubblico ufficiale, riconducibili, prima della legge n. 190 del 2012, al reato di millantato credito, devono
essere sussunte dopo l'entrata in vigore di detta legge, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., nella
fattispecie di cui all'art. 346 bis cod. pen., che punisce il fatto con pena più mite, atteso il rapporto di continuità
tra norma generale e quella speciale.
**
Abuso d’ufficio
Il reato di cui all'art. 323 costituisce un reato a soggettività ristretta, di cui possono essere autori il
pubblico ufficiale e l'incaricato di pubblico servizio, cioè chiunque eserciti una pubblica funzione o presti un
servizio pubblico nel campo legislativo, giudiziario od amministrativo.
La disposizione di cui all'art. 323 incrimina il duplice comportamento del pubblico ufficiale o
dell'incaricato di pubblico servizio che, intenzionalmente, procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale oppure procura ad altri un danno ingiusto.
Perché la condotta sia tipica è richiesto che essa sia compiuta nello svolgimento delle funzioni o del
servizio e che presenti un carattere antidoveroso.
Mediante il primo requisito viene esplicitato il limite esterno della condotta, implicito nel testo
previgente, che esclude la rilevanza dell'abuso di qualità, con il secondo requisito sono specificate le modalità
della condotta, che deve essere compiuta in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo
di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti.
L'impiego del verbo "omettere" nella sola seconda parte del testo potrebbe trarre in inganno ma, la
violazione di legge o di regolamento può essere tanto commissiva quanto omissiva, tanto più che il codice, nel
paradigma di reato esplicitato nella parte generale (libro I, titolo III, capo I) impiega l'endiadi "azione od
omissione" per enfatizzarne l'equiparazione normativa, eccettuati i soli casi di incompatibilità logica o di
deroga espressa.
Sostanzialmente sono previste quattro ipotesi per la commissione del reato de quo:
- procurare un vantaggio patrimoniale ingiusto violando norme giuridiche;
- procurare un vantaggio patrimoniale ingiusto omettendo antidoverosamente di astenersi;
- procurare un danno ingiusto, violando norme giuridiche;
- procurare un danno ingiusto, omettendo antidoverosamente di astenersi.
In tutte le ipotesi, il risultato del comportamento deve costituire lo scopo dell'autore, perché la legge
richiede che l'ingiusto vantaggio o l'ingiusto danno siano procurati con dolo intenzionale.
È possibile asserire che la volontà dell'autore deve essere intenzionalmente diretta al vantaggio o al
danno, mentre gli altri elementi di fattispecie costituiscono oggetto di consapevolezza, anche solo
probabilistica.
Mantenendo l'intenzione di arrecare un danno o un vantaggio, la consapevolezza della trasgressione normativa
può essere anche meramente eventuale, come avviene quando l'autore - in dubbio sulla portata del contenuto
precettivo - accetti il rischio di violare una disposizione legislativa o regolamentare oppure di non osservare un
obbligo di astensione .
In tutte le ipotesi previste dall'art. 323 la struttura della fattispecie è quella di una legge parzialmente in
bianco, ove la condotta di chi procura il danno o il vantaggio rileva in quanto inosservante di obblighi giuridici
di comportamento o di astensione
In particolare, nella forma omissiva, connessa all'inottemperanza dell'obbligo di astensione rileva, purché
produttiva di vantaggio patrimoniale o di danno, l'inosservanza di qualsiasi "caso prescritto". Quest'ultimo
richiamo non assume determinatezza neppure per relationem, attraverso il D.M. 31.3.1994, recante un elenco
di casi di doverosa astensione, perché l'art. 6 del decreto si conclude, a sua volta, con una ulteriore clausola "di
chiusura" («in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza»), che apre la strada ad una ulteriore
eterointegrazione di secondo grado.
Quanto alla forma commissiva, viene in considerazione, in linea di principio, la violazione di atti
normativi di natura legislativa o regolamentare. Per quanto concerne gli atti regolamentari, la dottrina
prospetta una censura ex art. 25, cpv., Cost. non solo in relazione alla dimensione positiva del principio (come
obbligo di sufficiente determinatezza), ma anche in relazione alla dimensione negativa (come elusione della
riserva di legge).
Il danno ingiusto per la vittima ovvero l'ingiusto vantaggio patrimoniale per l'autore o per altri sono
elementi costitutivi essenziali della fattispecie
L'art. 323, cpv. prevede inoltre una sanzione più grave nel caso in cui il danno patrimoniale od il vantaggio
abbiano una "rilevante gravità", da intendersi verosimilmente come "notevole entità". Il legislatore, non pago
della (tutto sommato trascurabile) svista lessicale (che riferisce l'attributo della "gravità" anche al vantaggio),
completa l'improprietà della disposizione anche sul piano della sintassi, palesando la propria ignoranza dell'uso
dei congiuntivi.
Questa aggravante speciale ad effetto comune sembra destinata ad essere efficace solo in relazione
alla figura del vantaggio perché, nell'ipotesi complementare, la disposizione costituisce un caso di ridondanza
normativa rispetto alla previsione dell'art. 61, n. 7.
Parzialmente simmetrica a questa aggravante è l'attenuante prevista nell'art. 323 bis, ma quest'ultima concerne
la tenuità, non già dell'evento in senso stretto, quanto del fatto complessivo.
Perciò il requisito della ingiustizia deve recare un significato autonomo, non insito nella stessa condotta,
perché se esso derivasse dalla contrarietà rispetto al contenuto precettivo delle fonti indicate dall'art. 323, il
richiamo risulterebbe superfluo, se non ingannevole.
La c.d. teoria della "doppia ingiustizia", per essere accolta, deve essere intesa nel senso che il requisito debba
ricavarsi aliunde, in base a criteri ulteriori rispetto all'illegittimità della condotta.
Questo requisito che, per il principio di conservazione del materiale normativo, non può risolversi nel
riconoscimento tautologico della intrinseca contrarietà alla giustizia di un risultato ottenuto mediante un
comportamento antidoveroso, costituisce il pendant, sul piano dell'offesa, della nozione di abuso, costituente la
nota qualificativa della condotta non (più) richiamata nell'enunciato normativo, ma presente nella rubrica
dell'art. 323 c.p..
L'evento offensivo risulta individuato dalla oggettiva deviazione della funzione o del servizio rispetto
alla causa tipica, realizzata attraverso una condotta intenzionalmente antidoverosa e concretizzata dal
conseguimento del proposito perseguito; pertanto il colpevole, oltre al fattore intenzionale, deve essere
consapevole non solo dell'antidoverosità della condotta, ma altresì dal carattere di "speciale" ingiustizia
rivestito dallo sviamento del potere; deve, cioè, essere consapevolmente intenzionato ad "abusare"dell’ufficio.
In questo modo si spiega altresì, su base esegetica, l'introduzione del requisito dell'intenzionalità, in
genere, inteso in senso meramente negativo, come fatto di esclusione delle forme di dolo diretto ed eventuale
o, in termini ancora più riduttivi, del solo dolo eventuale.
Il legislatore, in realtà, richiede l'intenzionalità dell'abuso e della correlativa ingiustizia, perché è l'ingiustizia
generata dall'abuso a costituire l'evento dannoso o pericoloso coessenziale alla integrazione del reato ed è
l'ingiustizia perseguita tramite strumentalizzazione del potere lo scopo che l'autore deve avere di mira.
Altrimenti, non si spiegherebbe la criminalizzazione di una condotta che, se risolvibile in una mera
trasgressione normativa foriera di indebiti vantaggi o pregiudizi potrebbe, al più, sostanziare un illecito
amministrativo o disciplinare.
Le indicazioni giurisprudenziali circa il bene giuridico protetto dall'art. 323 abitualmente non vanno
oltre il richiamo all'art. 97 Cost., nel suo duplice scopo di tutela dell'imparzialità e del buon andamento della
P.A., benché venga, in qualche occasione, sottolineato come la lesione del buon andamento non sia per sé
sufficiente a configurare l'abuso, risultando invece essenziale la violazione di prescrizioni normative precise e
non generalissime o di principio. Coerentemente, nell'ambito di questo indirizzo, viene negato rilievo alle
violazioni di norme genericamente strumentali alla regolarità dell'attività amministrativa (C., Sez. II,
4.12.1997), oppure aventi carattere meramente procedurale (C., Sez. VI, 1.3.1999).
La giurisprudenza della Suprema Corte asserisce talora che la sola P.A. riveste il ruolo di soggetto
passivo (C., Sez. III, 14.4.2010, n. 18811; C.) riproponendo in tal modo un orientamento, già emerso in
relazione al testo previgente (FRECCIA C., Sez. II, ord., 4.12.1997, n. 3529), che considera il privato solo
come un civilmente danneggiato.
Di recente si segnala si è ritenuto espressamente che il privato danneggiato dal reato di abuso di
ufficio, è legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M., potendo dirsi
persona offesa del fatto di reato di cui all'art. 323 (C., Sez. VI, 29.3.2012, n. 13179). Così pure è persona
offesa l'associazione di consumatori in quanto legittimata, in base al Codice del Consumo, ad agire a tutela
degli interessi collettivi degli associati in materia di diritto alla salute (C., Sez. VI, 13.11.2014, n. 51080).
In tema di concorso il privato può concorrere nel reato ove i rapporti fra extraneus ed intraneus siano
sussumibili nelle figure dell'istigazione o della collusione (C., Sez. VI, 21.10.2004, n. 43205), relazioni non
desumibili, di per sé, dalla semplice coincidenza fra l'istanza del privato ed il provvedimento illegittimo del
pubblico funzionario (C., Sez. VI, 21.5.2009, n. 40499; C., Sez. VI, 28.1-5.5.2004; C., Sez. VI, 27.1.2004; C.,
Sez. VI, 14.10-11.11.2003).
Sul concorso del privato nel delitto di cui all'art. 323 si è recentemente pronunciata C., Sez. VI,
11.7.2014, n. 37880, secondo cui ai fini della configurabilità del concorso, l'esistenza di una collusione tra il
privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il
provvedimento adottato dall'altro, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i
predetti soggetti, ovvero altri dati di contorno, dimostrino che la domanda del privato sia stata preceduta,
accompagnata o seguita dall'accordo con il pubblico ufficiale, se non da pressioni dirette a sollecitarlo o
persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo. Sul punto è conforme la più recente C., Sez. VI, 23.6.2015, n.
33760.
La condotta consiste nella violazione commissiva od omissiva di prescrizioni normative di fonte
legislativa statale legislativa regionale o di fonte regolamentare.
Nell'ambito del secondo sottoinsieme si collocano le ipotesi di inottemperanza a doveri di astensione (C., Sez.
VI, 7.10.1998, in tema di favoritismo).
Quanto al concetto normativo costituito dall'obbligo di astensione, la giurisprudenza non tenta nemmeno di
circoscrivere la portata del rinvio richiamando, anzi, direttamente i principi generali di imparzialità (C., Sez.
VI, 6.11.1998) o di fedeltà (C., Sez. VI, 7.10.1998).
GIURISPRUDENZA
- In tema di elemento soggettivo 46)Cass. pen. Sez. VI, 24/02/2004, n. 21091 (rv. 228811)
Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo nel delitto di abuso di ufficio di cui all'art. 323 c.p., non è
sufficiente né il dolo eventuale - e cioè l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento - né quello diretto -
e cioè la rappresentazione dell'evento come realizzabile con elevato grado di probabilità o addirittura con
certezza, senza essere un obiettivo perseguito -, ma è richiesto il dolo intenzionale, e cioè la rappresentazione e
la volizione dell'evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale, proprio o altrui, come conseguenza diretta
e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito. Ne consegue che se l'evento
tipico è una semplice conseguenza accessoria dell'operato dell'agente, diretto a perseguire, in via primaria,
l'obiettivo di un interesse pubblico di preminente rilievo, riconosciuto dall'ordinamento e idoneo ad oscurare il
concomitante favoritismo o danno per il privato, non è configurabile il dolo intenzionale e pertanto il reato non
sussiste.
47)Cass. pen. Sez. VI, 17/10/2007, n. 40891
L’avverbio intenzionalmente che figura nel testo dell’art. 323 c.p. esclude la configurabilità del dolo sotto il
profilo indiretto od eventuale; pertanto l’evento, costituito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno
ingiusto, deve essere voluto dall’agente e non semplicemente previsto e accettato come possibile conseguenza
della propria condotta. Per escludere il dolo sotto il profilo dell’intenzionalità occorre ritenere con ragionevole
certezza che l’agente si proponga il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio. (Nel caso
concreto un Sindaco aveva adottato a carico di una dipendente comunale di VI livello, una serie di
provvedimenti lesivi della sua dignità professionale, esautorandola gradualmente dalle sue originarie funzioni
di economa presso l’asilo nido comunale inviandola a svolgere le mansioni di ausiliario del traffico).
- In tema di elemento oggettivo della fattispecie 48)Cass. pen. Sez. II, 09/02/2006, n. 7600 (rv. 233234)
In tema di abuso d'ufficio, anche precedentemente alla modifica dell'art. 323 cod. pen. in base alla L. n. 324
del 1997, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato è richiesto che l'abuso si realizzi attraverso
l'esercizio da parte del pubblico ufficiale di un potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della
funzione ad esso attribuita. Ne consegue che quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori
dell'esercizio delle sue funzioni il reato in questione non è configurabile
49)Cass. pen. Sez. V, 02/12/2008, n. 16895 (rv. 243327)
Ai fini dell'integrazione dell'abuso d'ufficio (art. 323 cod. pen.) è necessario che sussista la c.d. "doppia
ingiustizia", nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed
ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo
regolante la materia; conseguentemente, occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi
far discendere l'ingiustizia del detto vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall'accertata
esistenza dell'illegittimità della condotta. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da
censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità, a titolo del reato di cui all'art.
323 cod. pen., del magistrato del P.M. il quale, aggirando il precetto della legge, concentrato gli incarichi di
consulenza nelle mani di un ristretto gruppo di soggetti i quali avevano, d'altro canto, percepito onorari
illegittimi, in violazione del limite normativamente stabilito delle 8 vacazioni giornaliere.
50)Cass. pen. Sez. III, 13/12/2013, n. 5688
L'elemento materiale del delitto di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), può essere realizzato anche attraverso una
condotta omissiva, purché si tratti del mancato esercizio di un potere esplicitamente attribuito al pubblico
ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio da una norma di legge o regolamentare; ne consegue, pertanto,
che risponde del delitto di cui all'art. 323 c.p. il pubblico ufficiale che ometta l'ordine di sospensione, previsto
dall'art. 30, D.P.R. n. 380/2001, che ha lo scopo di impedire che dalla prosecuzione di lavori illeciti derivi un
danno di maggiori dimensioni all'assetto urbanistico del territorio.
51)Cass. pen. Sez. VI, 02/10/2013, n. 42836
Per l'integrazione dell'abuso ex art. 323 c.p. occorre l'esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti
dalla natura della funzione, sicché, mancando l'elemento dell'esercizio del potere, è da escludere la
configurabilità del reato.
52)Cass. pen. Sez. VI, 13/05/2014, n. 36125
Per quanto concerne la struttura oggettiva dell'abuso d'ufficio, gli elementi della illegittimità della condotta e
dell'ingiustizia del danno sono distinti, così che il giudice penale dovrà verificarne di volta in volta la
contestuale sussistenza, compiendo una valutazione di ingiustizia autonoma rispetto a quella che, attraverso
l'abusività, coinvolge il mezzo impiegato .
- In tema di violazione di norme
53)Cass. pen. Sez. VI, 17/06/2015, n. 27823 (rv. 264088)
Ai fini della configurabilità del delitto di abuso d'ufficio, deve escludersi che possa costituire violazione di
norme di legge o di regolamento l'inosservanza delle disposizioni inserite in un bando di concorso, trattandosi
di atto amministrativo e quindi di fonte normativa non riconducibile a quelle tassativamente indicate nell'art.
323 cod. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la pronuncia di non luogo a procedere nei
confronti del dirigente di un Comune che, a seguito dello svolgimento di un concorso per due posti di
funzionario dell'ente, e dopo che uno di questi era stato lasciato libero dal vincitore per motivi di mobilità
interna, aveva disposto lo "scorrimento" della graduatoria degli idonei, in violazione delle disposizioni
contenute nel bando, le quali prescrivevano di utilizzare la graduatoria una sola volta, per l'assunzione dei
vincitori).
54)Cass. pen. Sez. VI, 13/05/2014, n. 36125
Il reato di abuso d'ufficio è configurabile anche nell'ipotesi in cui la condotta dell'agente, pur formalmente
aderente alla norma che disciplina l'esercizio delle sue attribuzioni, si estrinsechi in assenza delle ragioni
legittimanti e produca intenzionalmente un danno al soggetto passivo (nella specie, si è ritenuto integri il reato
di cui all'art. 323 c.p. la condotta dei vertici di un ente pubblico che, in assenza del presupposto
dell'impossibilità oggettiva di utilizzare personale interno e senza espletare alcuna previa procedura
comparativa, nominino un proprio consulente per svolgere compiti che spetterebbero a un posto ancora
vacante in organico).
- Sussistenza dell’abuso per eccesso di potere
55)Cass. pen. Sez. VI, 25/01/2013, n. 20414
L'applicazione dell'art. 323 c.p. non è limitata ai casi di violazione di legge in senso stretto, estendendosi anche
alle patologie dell'atto amministrativo, tra cui l'eccesso di potere, configurabile laddove vi sia stata oggettiva
distorsione dell'atto dalla finalità tipica. È, tuttavia, necessario ribadire come la figura dell'eccesso di potere
sussiste nell'ambito del diritto amministrativo e, dunque, in correlazione all'esercizio di poteri di natura
pubblicistica e non anche in relazione a mere società di diritto privato. Ne deriva che nell'ambito dei rapporti
di carattere privatistico l'eccesso di potere è penalmente irrilevante.
- Sul concorso dell’extraneus
56)Trib. Pescara Ordinanza, 30/04/2010
Affinché si configuri il concorso dell'extranens nel delitto di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. non è
sufficiente la mera coincidenza tra la richiesta al pubblico ufficiale o all'incaricato del pubblico servizio del
provvedimento che procura l'ingiusto vantaggio, ancorché oggettivamente infondata, ed il suo accoglimento,
essendo invece necessaria la prova della collusione, ossia del fatto che la domanda stessa sia stata preceduta
accompagnata o seguita da un'intesa ovvero da sollecitazioni, e questo anche nel caso in cui sia il pubblico
ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio che promuova o adotti in proprio favore i provvedimenti che
arrecano il vantaggio patrimoniale, avvalendosi di condotte illecite poste in essere dal privato.
57)Cass. pen. Sez. VI, 23/06/2015, n. 33760
Ai fini delle configurabilità del concorso del privato nel delitto di abuso d'ufficio, l'esistenza di una collusione
tra il privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il
provvedimento adottato dall'altro, dovendosi invece considerare i profili inerenti al contesto fattuale, ai
rapporti personali tra i predetti soggetti, ovvero da altri dati di contorno, idonei a dimostrare che la domanda
del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall'accordo con il pubblico ufficiale, se non da
pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo.
- Abuso ed interesse pubblico perseguito
58)Cass. pen. Sez. VI, 07/01/2010, n. 4073
Non è configurabile il dolo intenzionale richiesto dall'art. 323 c.p. nel caso in cui l'agente abbia agito per il
conseguimento di un interesse pubblico.
- Sul concorso con altri reati 59)Cass. pen. Sez. II, 11/12/2013, n. 5546 (rv. 258205)
Sussiste il concorso materiale e non l'assorbimento tra il reato di falso ideologico in atto pubblico e quello di
abuso d'ufficio, in quanto offendono beni giuridici distinti; il primo, infatti, mira a garantire la genuinità degli
atti pubblici, il secondo tutela l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione. Pertanto,
mentre tra gli stessi ben può sussistere nesso teleologico (in quanto il falso può essere consumato per
commettere il delitto di cui all'art. 323 cod. pen.), la condotta dell'abuso d'ufficio certamente non si esaurisce
in quella del delitto di falso in atto pubblico nè coincide con essa.
60)Cass. pen. Sez. VI, 28/02/2017, n. 13849 (rv. 269482)
Non sussiste il concorso formale tra il delitto di abuso d'ufficio e quello più grave di falso materiale in atto
pubblico quando la condotta addebitata all'imputato si esaurisca nella mera commissione della falsità, stante la
clausola di riserva di cui all'art. 323 cod. pen. - preordinata ad evitare la doppia incriminazione - la quale, con
riguardo ad un unico fatto, impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave,
ancorché quest'ultima abbia ad oggetto la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla
disposizione con pena meno severa. (Fattispecie in cui la condotta addebitata all'imputato, funzionario della
Camera di commercio, è consistita nell'attestare falsamente la positiva conclusione delle pratiche di
cancellazione dei protesti).
61)Cass. pen. Sez. VI, 22/01/2010, n. 10009 (rv. 246481)
Il delitto di abuso d'atti d'ufficio può essere integrato anche attraverso una condotta meramente omissiva,
rimanendo in tal caso assorbito il concorrente reato di omissione d'atti d'ufficio in forza della clausola di
consunzione contenuta nell'art. 323, comma primo, cod. pen. (Fattispecie in cui è stato ritenuto configurabile il
reato di abuso d'atti d'ufficio in relazione alla condotta del sindaco e di alcuni funzionari comunali che
avevano deliberatamente omesso di dare esecuzione all'ordinanza di demolizione di un immobile al fine di
procurare un indebito vantaggio ai proprietari).
Dott. Pierpaolo Provenzano