brecht e i Media

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1 Teatro epico come teoria dei media Valentina Valentini «Ma anche chi scrive racconti è uno spettatore di cinema» «Le vecchie forme di trasmissione, dopo che ne compaiono di nuove, non restano immutate a continuare la loro esistenza accanto a esse» B. Brecht Il nostro intento è quello di scoprire forme di modellizzazioni mediatiche nei drammi didattici di Bertolt Brecht: non tanto nelle messe in scena, in cui, come si evince dalle note di regia, la presenza di film, voci registrate, è dichiarata, quanto nei testi letterari nei quali tale presenza non è esplicitata. Intendiamo verificare come il teatro epico siano “precipitate” le teorie del montaggio di Ejzenštejn, la pratica dei kinoki di Vertov, certe figure del cinema espressionista, il fotomontaggio di Grosz e Heartfield, le riflessioni di Benjamin sulla fotografia e quelle sulla radio. Si tratta di capire se la drammaturgia dei Leherstück sia stata modellizzata dalle coeve elaborazioni dei nuovi media. Rilevare le interferenze fra due sistemi differenti, quali il teatro – in questo caso il testo drammatico – e i media come il cinema, la rado, la fotografia, è un’operazione complessa perché le figure prodotte dalle interferenze non sono traduzioni del cinema, della fotografia, della radio nel testo letterario, passaggi a senso unico da una materia espressiva a un’altra. Si intende quindi individuare quali codici narrativi, percettivi, retorici che appartengono a questi media, siano inscritti nel testo letterario drammatico. Si tratta di individuare le interferenze semiologiche che si esprimono attraverso figure comuni a procedimenti artistici differenti, figure che vanno analizzate all’interno del contesto discorsivo in cui si manifestano, e nelle forme specifiche e differenti che in esso hanno assunto, non ignorando che lo slittamento di contesto modifica procedimenti e risultati formali 1 . Si può intendere il teatro epico come teoria dei media? Nel teatro epico in quanto antinaturalista, l’arte è antiphysis, il che implica che bisogna agire sul significante per rappresentare il mondo in modo diverso: nuovi contenuti hanno bisogno di nuovi strumenti. Ecco perché Brecht attribuisce alle nuove tecnologie la potenzialità di rappresentare la nuova realtà del mondo 2 . 1 Cfr.Valentina Valentini, Teatro in Immagine, Eventi performativi e nuovi media, vol. I, Bulzoni, Roma 1987. 2 Cfr. Valentina Valentini, Teatro epico e nuovo teatro”, in «Cultura tedesca», n.36, gennaio-giugno 2009, pp.123-144.

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Teatro epico come teoria dei media

Valentina Valentini

«Ma anche chi scrive racconti è uno spettatore di cinema»

«Le vecchie forme di trasmissione, dopo che ne compaiono di nuove,

non restano immutate a continuare la loro esistenza accanto a esse»

B. Brecht

Il nostro intento è quello di scoprire forme di modellizzazioni mediatiche nei drammi didattici di

Bertolt Brecht: non tanto nelle messe in scena, in cui, come si evince dalle note di regia, la presenza

di film, voci registrate, è dichiarata, quanto nei testi letterari nei quali tale presenza non è esplicitata.

Intendiamo verificare come il teatro epico siano “precipitate” le teorie del montaggio di Ejzenštejn,

la pratica dei kinoki di Vertov, certe figure del cinema espressionista, il fotomontaggio di Grosz e

Heartfield, le riflessioni di Benjamin sulla fotografia e quelle sulla radio. Si tratta di capire se la

drammaturgia dei Leherstück sia stata modellizzata dalle coeve elaborazioni dei nuovi media.

Rilevare le interferenze fra due sistemi differenti, quali il teatro – in questo caso il testo

drammatico – e i media come il cinema, la rado, la fotografia, è un’operazione complessa perché le

figure prodotte dalle interferenze non sono traduzioni del cinema, della fotografia, della radio nel

testo letterario, passaggi a senso unico da una materia espressiva a un’altra. Si intende quindi

individuare quali codici narrativi, percettivi, retorici che appartengono a questi media, siano inscritti

nel testo letterario drammatico. Si tratta di individuare le interferenze semiologiche che si

esprimono attraverso figure comuni a procedimenti artistici differenti, figure che vanno analizzate

all’interno del contesto discorsivo in cui si manifestano, e nelle forme specifiche e differenti che in

esso hanno assunto, non ignorando che lo slittamento di contesto modifica procedimenti e risultati

formali1.

Si può intendere il teatro epico come teoria dei media? Nel teatro epico in quanto

antinaturalista, l’arte è antiphysis, il che implica che bisogna agire sul significante per rappresentare

il mondo in modo diverso: nuovi contenuti hanno bisogno di nuovi strumenti. Ecco perché Brecht

attribuisce alle nuove tecnologie la potenzialità di rappresentare la nuova realtà del mondo2.

1 Cfr.Valentina Valentini, Teatro in Immagine, Eventi performativi e nuovi media, vol. I, Bulzoni, Roma 1987. 2 Cfr. Valentina Valentini, Teatro epico e nuovo teatro”, in «Cultura tedesca», n.36, gennaio-giugno 2009, pp.123-144.

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Sia la teoria della radio che il teatro didattico si basano su una refunzionalizzazione delle

relazioni fra scena, autore e spettatore finalizzata a produrre una struttura di comunicazione

democratica. Scrive Cesare Molinari nella sua monografia:

Il teatro, non il cinema, per quanto ne avesse riconosciuto l’importanza sociale fin dai primi anni del suo soggiorno

berlinese, quando anzi scrisse diversi soggetti e sceneggiature Brecht nutrì sempre una forte diffidenza verso il cinema,

una diffidenza che verteva tanto sul rapporto fra l’autore, il prodotto e i mezzi di produzione, quanto su quello tra film e

il suo pubblico3.

Infatti, nel Diario di lavoro, Brecht osserva che il teatro è avvantaggiato rispetto al cinema

per il fatto che esiste autonomamente come testo drammatico, al di là dello spettacolo, mentre il

cinema è subordinato completamente all’industria, eccetto in Unione Sovietica (Brecht ha sempre

riconosciuto l’influenza sul suo lavoro di Meyerhol’d, Mayakovski, Ejsenštein, Tretyakov, Vertov).

Il cinema non permette secondo Brecht quella interscambiabilità fra spettatore e spettacolo che

connota la rappresentazione teatrale:

Soprattutto penso che l’influenza che uno spettacolo artistico esercita sugli spettatori non sia indipendente

dall’influenza che gli spettatori esercitano sugli artisti […] il pubblico non ha più nessuna possibilità di modificare

l’opera dell’artista, sta seduto non davanti a una produzione ma al risultato di una produzione che ha avuto luogo in sua

assenza4.

Infatti il film è immodificabile, affidato alla riproduzione meccanica, il suono è

monodirezionale e anche la ripresa è da un unico punto di vista. Obiezione fondamentale è che il

cinema aliena completamente lo spettatore dal processo di produzione dell’opera.

A Berlino, nel 1925, Brecht frequentò Piscator,Grosz, Heartfield, Hausmann, il teatro agit

prop, il teatro politico dilettante, che sono alla base della teoria dei Leherstück.5 La tesi che sta alla

3 Cesare Molinari, Bertolt Brecht, Laterza, Bari-Roma 1996, p. XIII. Eppure Brecht era stato nei primi anni Venti autore di sceneggiature cinematografiche, storie comiche poliziesche nello stile di Karl Valentin, aveva scritto la sceneggiatura del film di Fritz Lang, Anche i boia muoiono. D’altra parte, come scrive Szondi nel capitolo dedicato a Erwin Piscator della Teoria del dramma moderno, il cinema è di per sé epico e tale dimensione si ritrova nella rappresentazione soggettiva della oggettività, ovvero nella contrapposizione fra oggettivo e soggettivo. Cfr. Peter Szondi, Teoria del dramma moderno, Einaudi, Torino 1962, pp. 68-87. 4 Bertolt Brecht, Diario di lavoro, a cura di Werner Hecht, Einaudi, Torino,1976, vol. I, p. 397-98. 5. Piscator nel 1919, coadiuvato da Heartfield e Grosz (che unisce il dada berlinese con l’impegno politico), incomincia a fare teatro nei quartieri popolari di Berlino, con l’intenzione di abbandonare l’arte. Nei suoi spettacoli introdusse uno o più schermi, sostituì gli attori con immagini proiettate di figure umane, inserì pagine e titoli di giornali, riferiti ai fatti reali di cui lo spettacolo parlava. Questa pluralità di media differenti imponeva allo spettatore uno sguardo mobile tra la narrazione e l’azione drammatica. Piscator inventò anche il Modelbuch, il libro di regia con tante colonne in cui veniva indicata l’azione di ciascun codice dello spettacolo: attori , luci, costumi, musica e rumori, In questa scena l’attore «è una delle tanti funzioni sceniche, esattamente come la luce, il colore, la musica, lo scenario, il copione». Cfr. Mara Fazio, Regie teatrali, Laterza, Bari-Roma 2006, p. 142. Sia Grosz che Brecht rifiutarono a un certo punto il teatro di

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base del teatro didattico è il valore cognitivo del binomio azione-riflessione: «I filosofi borghesi

fanno una grossa differenza tra chi agisce e chi osserva. L’uomo che pensa non fa tale differenza.

[…] Educare i giovani per mezzo della recitazione teatrale, vale a dire, facendone persone che

agiscono e osservano al tempo stesso»6.

Sono gli attori stessi, persone comuni prese dalle fabbriche, dalle scuole, senza alcuna

impostazione accademica alle spalle che fondano il nuovo teatro. Si abbandona lo stesso edificio

teatrale perché è possibile fare teatro in luoghi della quotidianità ordinaria: fabbriche, scuole, strade,

macellerie7.

Da questa prospettiva procediamo con il verificare le modellizzazioni mediatiche nella

drammaturgia dei Lehrstücke e altri drammi di Brecht (Baal, Tamburi nella notte, Nella giungla

delle città, Un uomo è un uomo, La linea di condotta, L’eccezione e la regola, Orazi e Curiazi, La

madre, L’accordo, Santa Giovanna dei Macelli, Teste tonde e teste a Punta, Il consenziente e il

dissenziente…). Innanzitutto ci chiediamo se è possibile mettere in relazione il dispositivo dello

straniamento del teatro epico con il dispositivo costruttivo del montaggio nel cinema.

Attestandoci su quanto Brecht ha teorizzato nei suoi scritti teatrali (1918-1956), il primo

livello sul quale si esercita un lavoro di scomposizione e rimontaggio è quello del testo letterario

che viene ridotto in un insieme di azioni storiche, sociali, quotidiane, in una sorta di attualizzazione

del dramma (classico ) rispetto alla realtà dello spettatore, giacché:

Tutto dipende dalla vicenda. È il cuore della manifestazione teatrale [... ] il nostro scrittore tagliuzza un lavoro in tanti

piccoli pezzi a sé stanti, cosicché l’azione procede per salti. Egli rifiuta l’impercettibile concatenarsi delle scene [...].

Taglia le scene in modo che il titolo che può essere dato a ogni singola scena abbia un carattere storico, o politico

sociale, o di storia di costume8.

Infatti, in questi testi non c’è una fabula ben congegnata, di tipo aristotelico in quanto il dramma ha

una conformazione narrativa mutuata dall’epica e dal romanzo. Differenti sono i procedimenti

adottati da Brecht per la scomposizione del dramma in episodi. In Gli Orazi e i Curiazi, i titoli, le

didascalie che compaiono (Lo schieramento/ La battaglia degli arcieri/ La battaglia degli opliti –

Piscator accusandolo di tendere all’opera totale wagneriana. Ciò non toglie che la sua influenza sul gruppo dada, in contrasto con l’individualismo espressionista, sia stata rilevante. 6 Bertolt Brecht, La teoria del dramma didattico, in Id., Scritti teatrali III. Note ai drammi e alle regie, Einaudi, Torino 1975, pp. ??-??, qui p. 73. 7 Scrive Bernard Dort su Brecht: «Ancora una volta non raggiunge il suo scopo. Non riesce a mobilitare i mezzi tecnici (come la radio) […] né riesce a trovare luoghi diversi dai teatri per montare questi spettacoli: la società capitalistica veglia gelosamente sulle sue sale e sulle sue scuole […]. I suoi Lehrstücke non sono soltanto degli esercizi per l’azione: restano dei drammi con un contenuto , o un messaggio ideologico, riferibile a un certo “idealismo materialista”». Bernard Dort, Pedagogia e forma epica, in Cesare Molinari, Bertolt Brecht, op. cit., pp. 191-192. 8B. Brecht, [Il teatro dello scrittore di drammi], in Id., Scritti teatrali II. «L’acquisto dell’ottone», «Breviario di estetica teatrale» e altre riflessioni. 1937-1956, Einaudi, Torino, 1975, pp. ??-??, qui p. 90.

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episodio a sua volta diviso nella parti «I sette usi della lancia» e «La traversata sul fiume», «La

battaglia dei veliti») scansionano il dramma in funzione di raccordo delle diverse sequenze di

azioni, secondo una strategia narrativa (utilizzata anche da Piscator) propria del cinema muto che

interrompe il flusso visivo attraverso inserti. La storia è senza tempo cronologico definito, vale per

tutti i tempi. Mirando a ottenere effetti anti-naturalistici, lo spettacolo epico procede per sequenze

legate asintatticamente, per salti, elisioni, anziché per sviluppo unitario e conseguente. Lo spazio

che si interpone fra un episodio e l’altro è un intervallo, come lo definisce Benjamin, nel quale è

previsto che si installi lo spettatore, con le sue domande, i suoi dubbi, interrogativi e giudizi su ciò

che vede e ascolta.

Brecht ha mostrato come, nel teatro epico tutta la carica significante e piacevole investa

ciascuna scena, e non l’insieme; a livello dell’opera; niente sviluppo, niente maturazione, un senso

ideale, certamente (per ogni quadro), ma nessun senso finale, solo dei ritagli ciascuno dei quali

detiene una potenza dimostrativa dell’azione all’interno del testo.

Ne Gli Orazi e i Curiazi Brecht usa un episodio noto della storia antica in funzione della

contemporaneità: per stilizzare in due quadri simmetrici l’inutilità della violenza della guerra (ogni

schieramento doppia le azioni dell’altro) e per ammonire che la vittoria non arride necessariamente

al più forte. In questo testo non sono previste scene d’epoca, né verosimiglianza storica, non ci sono

costumi, armi e trucco in stile romano, così come non ci sono scenografie prospettiche, ma solo una

lavagna sulla quale si attaccano delle bandierine che segnano il percorso degli eserciti. Interessante

la notazione che riguarda i movimenti degli attori: «Nella seconda battaglia […] le azioni vanno

rappresentate con la lentezza di una ripresa al rallentatore».9 Come per i titoli che segmentano il

flusso, anche per il ritmo lento e veloce impresso ai movimenti degli attori, il riferimento è al

cinema muto, alle comiche di Chaplin che Brecht apprezzava molto.

Il processo di reificazione dell’essere umano, il rapporto aberrante fra sfondo e figura, è un

topos del cinema espressionista, oltre che della pittura e del collage fotografico, dove il montaggio

di piani di ripresa differenti, la distorsione ottenuta attraverso l’uso di lenti specifiche davano ai film

di Lang, Murnau, Werner una dimensione disumanizzata10. L’uomo non è più al centro della scena

del mondo e di conseguenza la voce dell’attore perde il primato sugli altri suoni.11 Assumono

importanza altri segni: fonici/grafici/gestuali prodotti con strumenti tecnologici: proiezioni, 9 Bertolt Brecht, Gli Orazi e i Curiazi, in Id., Teatro, Einaudi, Torino 1970 (II ediz.),p. 971. 10 Robert Wiene nel 1920 gira il film manifesto di questo movimento Das Cabinet des Dr. Caligari. Ombre gigantesche, corpi deformi, smontabili e malleabili, volti ipertruccati, immagini senza voci come in Il gabinetto delle figure di cera. Sono gli anni del vampiro Nosferatu, del Dr. Mabuse, di Metropolis. Peter Szondi, a proposito della drammaturgia espressionista, scrive: «l’uomo è consapevolmente trattato dall’espressionismo, come una entità astratta. E rinunciando orgogliosamente ai rapporti intersoggettivi […]. L’espressionismo rifiuta la forma drammatica».Peter Szondi, op. cit., p. 90. 11 Cfr. Francesco Fiorentino, Voci dalla radio: massa e dividuum nel teatro di Brecht, in «Cultura tedesca», n.36, gennaio-giugno 2009, pp. 89-109.

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registrazioni. La figura umana si lateralizza e si reifica, diventa un oggetto scenico : è solo un segno

che si muove su una pista disegnata come un gioco da tavolo. Scompare anche l’interazioni uomo-

ambiente, al suo posto la sovrapposizione e il caso: se la bandierina in Gli Orazi e i Curiazi capita

su un crepaccio, il soldato cade e muore, se capita su una montagna contro luce le sue frecce vanno

a vuoto.12 In Teste tonde e Teste a punta il dinamismo delle situazioni va a rinforzare la

rappresentazione di un mondo in mutamento abitato da personaggi instabili che si trasformano in

base all’interazione con gli altri e con le situazioni, non tanto per impulsi e spinte soggettive.

L’individuo viene ritratto come un complesso di contraddizioni come si evince dall’andamento dei

dialoghi. Gli enunciati, ne Gli Orazi e i Curiazi si presentano in forma narrativa e la presenza di un

interlocutore non fa che ribadire e ri- raccontare quello che è appena stato detto. La presenza del

coro motiva il ri-enunciare il racconto. Questa strategia narrativa –drammatica della ripetizione del

medesimo episodio da diversi punti di vista è una figura che interferisce con la tecnica del

campo/controcampo o della variazione di inquadratura, propria del linguaggio filmico.

I drammi didattici sono collettivi nel senso che il singolo sperimenta il livellamento della

soggettività per la causa rivoluzionaria (La linea di condotta), per cui la soggettività romantica-

borghese ha valore negativo in quanto la collettività deve prevalere sul singolo, fino al processo di

reificazione dell’individuo. Ne Gli Orazi e i Curiazi, gli eserciti schierati in battaglia sono

rappresentati da bandierine infisse su un telaio che gli attori portano sulle spalle – secondo una

convenzione del teatro cinese – e il divenire oggetto comporta che : «Gli attori indicano la perdita

dei loro reparti togliendo dal telaio con ampio gesto un certo numero di bandierine e gettandole

via»13. Essendo, nel teatro epico, l’attore privo di interiorità, le sue azioni e reazioni sono richieste

dall’ambiente, non dal suo io. La disumanizzazione è causata dai progressi della tecnica: assimilare

l’organismo a una macchina, in modo che possa essere montabile e smontabile (Un uomo è un

uomo). Ne Gli Orazi e Curiazi le figure umane, oggettualizzano il passare del tempo impersonando

l’orologio, «col riflettore rappresentante il sole» e con la loro ritmica cadenza vocale, con il loro

«procedere con lenta marcia»14, rappresentano la lentezza inesorabile delle lancette di un orologio.

In questi testi ritroviamo l’instabilità dell’essere umano, la separazione fra corpo e mente che si

manifestano in un ingrandimento e stilizzazione del corpo, mutuati dalla fotografia e dal cinema e

nell’utilizzo di procedimenti di fotomontaggio: in Un uomo è un uomo la metamorfosi di Galy

12 Nel III quadro c’è un’altra variazione di luogo. Il messaggio di Iberin, diffuso via radio sprona le teste tonde alla lotta contro le teste a punta, divide due fittavoli, prima uniti dalla Falce nel combattere insieme la miseria contro i proprietari, poi separati dalla discordia tra Cik e Ciuk. Il fittavolo Callas nega asilo alla famiglia del fittavolo testa a punta Lopez. Nel IV quadro, secondo un raccordo di montaggio discontinuo, cambiano i personaggi e cambia il luogo delle azioni. 13 Bertolt Brecht, Gli Orazi e i Curiazi, cit., p. 971. 14 Ibid.

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Galy, le deformazioni in Teste tonde e Teste a punta; il rallenty cinematografico ne Gli Orazi e

Curiazi.

Intesa come portatrice delle istanze costruttive e decostruttive del montaggio, la figura

brechtiana dello straniamento è espressione di una vocazione dell’opera alla integrazione fra

teatralità (dispiegamento di musica, luci, trucchi spettacolari ) e “denudamento del procedimento”,

rappresentazione e giudizio. Il montaggio che presiede alla composizione del teatro epico può

essere paragonato a quello che Ejsenštein definsce la prima fase del montaggio filmico, quella del

tessuto a trame grosse in cui il disegno è evidente e i vari pezzi sono dissociabili, indipendenti e

contrapposti: è un montaggio manifesto e tangibile.

Spezzare la continuità dello spazio e del tempo

I molteplici cambiamenti spazio-temporali presenti nei drammi didattici sono ascrivibili a forme di

interferenze cinematografiche, il che significa per Brecht privilegiare il paesaggio piuttosto che

l’interno naturalisticamente allestito; possibilità di utilizzare spazi extra-teatrali come fabbriche,

macellerie, strade, scuole etc. In Gli Orazi e i Curiazi i luoghi variano sia da un episodio all’altro,

sia all’interno dello stesso episodio, come in «La battaglia degli opliti» in cui L’Orazio dal campo

di battaglia attraversa una montagna, un crepaccio, costeggia il fiume, senza tralasciare che è la

dimensione narrativa del testo a permettere di immaginare luoghi che non hanno una immediata

evidenza scenica.

In La linea di condotta passiamo dall’Unione sovietica del primo episodio, alla Cina dei restanti

episodi nei quali incontriamo molteplici spazi. Nel terzo episodio gli agitatori e il giovane

compagno si trovano presso la città bassa di Mukden a ridosso di un fiume, nel quarto episodio

dentro una fabbrica tessile e nel quinto presso la casa di un commerciante. Ma, essendo lo spazio

legato al tempo, mediante il meccanismo cinematografico del flashback, da un episodio a un altro si

torna sempre nel luogo principale dell’azione in cui si assiste alla conversazione tra il Coro di

controllo e gli agitatori, similmente a una “dissolvenza incrociata”, con un’immagine che

dileguandosi si sovrappone per pochi fotogrammi a quella che segue (dal luogo del coro di controllo

agli episodi della vicenda e viceversa). La linea di condotta procede come un racconto di qualcosa

che è già avvenuto e il dispositivo principale è quello del flashback. È il coro di controllo che dà via

a una tale sequenza quando dice: «Mostrateci come avvenne e perché, e poi udrete il nostro

giudizio».15 Da questo momento il continuo andamento tra passato e presente che interrompe la

lineare sequenza cronologica si configura come una serie di flashback. Nel II quadro in Teste tonde

e teste a punta, la didascalia descrive e prescrive un cambiamento di luogo attuato secondo il

15 Bertolt Brecht, La linea di condotta, in Id., Teatro, cit., p. 759.

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procedimento di un montaggio connotativo: la figura di Iberin infatti, riappare impressa in una

bandiera che appendono alcune ragazze alla finestra del caffè della signora Cornamontis, mentre

«Da lontano si sentono indistintamente il passo cadenzato di truppe che sfilano e grida di strilloni:

“Acquistate l’appello del nuovo Luogotenente!”». Questi rumori sono trasmessi da dischi e, per

contrastare effetti di immedesimazione da parte dello spettatore, «sarebbe giusto collocare il disco,

allo stesso modo dell’orchestra, in un punto ben visibile».16

Voci senza corpo: la radio

«Questo termine [drammi didattici] vale solo per quei drammi che hanno efficacia di insegnamento

per i loro interpreti. Essi quindi non hanno bisogno del pubblico».17

Brecht sostiene che in mancanza di una teoria specifica, la radio entrò in concorrenza con

gli altri media e funzionò come un sostituto: «Sostituto del teatro, dell’opera, del concerto, delle

conferenze, del caffè concerto, della cronaca cittadina dei giornali etc.»18 Qual è lo scopo della vita

della radio? Non tanto o non solo abbellire la vita pubblica, essere dappertutto, nelle carceri, sotto i

ponti:

La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno

straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non

solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo, ma di metterlo in relazione con

altri. 19

Di fatto Brecht trasferì nel nuovo medium quanto andava teorizzando per il teatro:

L’arte drammatica epica con la sua divisione in “numeri” staccati, con la sua separazione dei vari elementi, cioè

dell’immagine dalla parola e della parola dalla musica, ma soprattutto con il suo atteggiamento didattico, potrebbe

fornire alla radio un’infinità di suggerimenti pratici […]. Potrei dire che l’applicazione delle scoperte tecniche della

moderna arte drammatica, cioè dell’arte drammatica epica, potrebbe produrre risultati quanto mai fecondi nel campo

della radio.20

16 Bertolt Brecht, Teste tonde e teste a punta. Descrizione della prima rappresentazione,allestita a Copenaghen in Id., Scritti teatrali III. Note ai drammi e alle regie, cit.,pp.123-134, qui p. 134. 17Bertolt Brecht, Nota [ ai drammi didattici], in Id., Scritti teatrali III. Note ai drammi e alle regie, cit., p. 84. 18 Bertolt Brecht, La radio come mezzo di comunicazione, in Id., Scritti sulla letteratura e sull’arte, Einaudi, Torino, 1973, pp. 44-49, p. 44. 19 Ivi, p. 45. 20 Ivi, p. 20.

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Brecht stabilisce una continuità fra teatro e radio a doppio senso: la drammaturgia dei

Leherstück è radiofonica.

La linea di condotta ha la struttura del dramma radiofonico in quanto si compone di

episodi intervallati da stacchi. Nelle note di regia, Brecht, a proposito della recitazione, ribadisce il

concetto dello straniamento della voce dal corpo dell’attore in scena: «L’interpretazione dev’essere

semplice e sobria: un particolare slancio, una recitazione particolarmente “espressiva” sono

superflui. Gli attori debbono limitarsi a mostrare in ogni momento il comportamento dei quattro che

è necessario conoscere per comprendere e giudicare il caso»21. Contro l’espressione ovvero

l’espressività, «il testo deve essere recitato e cantato meccanicamente, alla fine di ogni verso si

deve fare una pausa e la parte che si è ascoltata va accompagnata da una lettura meccanica»!22 Nella

recitazione, infatti il testo si disconnette dal corpo dell’attore che lo proferisce come se le parole

fossero di qualcun altro, in modo da produrre uno straniamento della voce dalla coscienza.

L’utilizzo della radio e della riproduzione sonora mediante dischi concorre alla creazione di questo

effetto.

L’attore è un veicolo di parole di altri per cui la separazione tra voce e soggettività è propria

del medium radiofonico: voci senza corpi ne Il Consenziente e il Dissenziente e corpi senza voci nel

cinema muto, coro invisibile ne Gli Orazi e Curiazi; doppio registro fra pensiero e azione ne

L’eccezione e la regola e Un uomo è un uomo. La pausa all’inizio di ogni verso che Brecht

prescriveva, si ritrova nel cinema muto, dove le battute degli attori vengono intervallate da un

cartello su cui sono scritte. Ne Gli Orazi e Curazi la voce delle donne e del coro di entrambi gli

schieramenti non corrisponde a delle effettive presenze sceniche perché donne e cori non compiono

alcuna azione, non sono accompagnati da nessuna didascalia, per cui potrebbero essere state pensate

come voci emesse da uno strumento meccanico.23 La radio dissocia il visibile dall’udibile, il corpo

dalla mente: la voce trasmessa tramite nastro registrato irrompe sul palcoscenico al posto della voce

nuda dell’interiorità.

21 B. Brecht, Note alla Linea di condotta, in Id., Teatro, Vol. II, Einaudi, Torino 1974, pp. 787- 791, qui p.790. Cfr. Francesco Fiorentino, Voci dalla radio: massa e dividuum nel teatro di Brecht, cit., p. 95. 22 Bertolt Brecht, La radio come mezzo di comunicazione, cit., p. 41. 23 Il nuovo medium secondo i futuristi non deve imitare né il teatro, né il cinematografo, né il libro, perché fa a meno della scena sia del teatro che del cinema, fa a meno del personaggio e del pubblico giudicante. I tratti che lo distinguono sono ( declinati al futuro): assenza di tradizione, espansione dello spazio universale e cosmico. Il ruolo delle vibrazioni sonore, del silenzio, dei rumori, di risonanza, voce, spazializzazione del suono e della voce. Rivalutazione della parola atmosfera: «Le parole in libertà, figlie dell’estetica della macchina contengono un’orchestra di rumori (realisti e astratti) che soli possono aiutare la parola colorata e plastica nella rappresentazione fulminea di ciò che non si vede». «Un’arte senza tempo né spazio». Cfr. Filippo Tommaso Marinetti, Pino Masnata, La radia. Manifesto futurista, uscito nella «Gazzetta del Popolo» nell’ottobre 1933, lo si può leggere online all’indirizzo http://www.kunstradio.at/2002A/27_01_02/laradia-it.html [30 aprile 2012]; cfr. anche Rudolf Arnheim, La radio e la forma dell’esperienza acustica, in Estetica dei media e della comunicazione, a cura di Roberto Diodato – Antonio Somaini, il Mulino, Bologna 2011, pp. 213-227; Gaston Bachelard, Radio e fantasia, in Id., Il diritto di sognare, Dedalo, Bari 1974, pp. 178-183; Walter Benjamin, Tre drammi radiofonici, Einaudi, Torino 1978.

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La musica, con la sua capacità di suscitare sensazioni e sentimenti, va contrastata, per cui

l’ascoltatore per prendere distanza da questo “ammollimento”, deve seguire «con gli occhi sullo

spartito, aggiungendo i passi e le voci riservate a lui e cantando da solo e in coro con gli altri»

(prescrizioni contenute in Il volo oceanico)24.Nelle Istruzioni per gli attori di Gli Orazi e i Curiazi

si legge che la musica può essere sostituita dalla presenza in scena di tamburi perché le percussioni

implicano una linea spezzata, interrotta, non fluida (con l’indicazione di interromperli, qualora si

produca monotonia e continuità). Radio e dramma didattico sono interscambiabili, come è evidente

in Il volo oceanico, esercitazione senza valore artistico. Alla base di entrambi, le tesi di L’autore

come produttore: la tecnologia e la specializzazione del lavoro «richiedono da parte dell’ascoltatore

una specie di rivolta, diretta a trasformarlo in parte attiva e a reintegrarlo nella sua funzione di

produttore».25 Il volo oceanico è un esempio di tale rivolta e di tali interferenze perché mette in

onda e in scena un programma radiofonico e un dramma didattico.

L’istantanea fotografica del gestus

«La macchina fotografica diventa sempre più piccola e sempre più capace di afferrare immagini

fuggevoli e segrete, il cui effetto di shock blocca nell’osservatore il meccanismo dell’associazione

scrive Benjamin in Piccola storia della fotografia26. Lo stesso autore in Che cos’è il teatro epico:

Nell’ipotesi che qualcuno scriva un dramma storico io affermo che […] materia grezza del teatro epico è il gesto che si

può incontrare oggi, il gesto di un’azione o quello dell’imitazione di un’azione [poiché si devono] associare, in modo

sensato e sensibilmente evidente, gli eventi passati che rappresenta a un gesto presente, tale da poter essere eseguito

dall’uomo contemporaneo.27

Nel tentativo di diradare la vaghezza che circonda il concetto di “gesto citabile”, per come

viene spiegato da Benjamin, avanziamo l’ipotesi che possa trovare riferimenti plausibili, sia nel

24 Bertolt Brecht, La radio come mezzo di comunicazione, cit. p. 39: «Ricordo ancora in quali termini sentii parlare per la prima volta della radio […]. Si aveva l’impressione che non si trattasse soltanto di una moda, ma di un fenomeno veramente moderno […]. D’improvviso si aveva la possibilità di dire tutto a tutti, ma, a pensarci bene, non si aveva nulla da dire». 25Scrive Brecht in Commento al «Volo oceanico», in Id., Scritti sulla letteratura e sull’arte, cit., p. 42: «A sinistra del podio c’era l’orchestra della radio con le sue apparecchiature e i cantanti, a destra, l’ascoltatore che, tenendo davanti a sé una partitura, eseguiva la parte dell’aviatore, cioè quella pedagogica. Egli cantava, seguendo l’accompagnamento strumentale fornito dalla radio. Quanto alle parti parlate, egli le leggeva senza identificare i propri sentimenti con quelli espressi dal testo e facendo una pausa alla fine di ogni verso, proprio come si fa durante un’esercitazione. Sulla parete posteriore del podio stava scritta la teoria che veniva in tal modo dimostrata». Per evitare che la parte dell’aviatore sia identificata con un eroe pubblico, deve invece essere cantata da un coro: «Solo facendo cantare in coro la parte del singolo […] Sarà possibile salvare una piccola parte dell’effetto pedagogico» (ivi, p. 43). 26 Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia, in Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, pp. 57-78, qui p. 77. Benjamin prosegue rilevando l’importanza della didascalia «senza la quale ogni costruzione fotografica è destinata a rimanere approssimativa». 27 Walter Benjamin, Che cos’è il teatro epico, in Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., pp.127-135, qui p. 131.

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modo in cui la fotografia cattùra l’istante e lo fa dùrare nel tempo, sia nel modo in cui il

procedimento del rallenty nel cinema scompone il gesto e lo visualizza. Anche nel caso del gesto, il

meccanismo dello spezzare la continuità naturale ha come effetto la moltiplicazione dei gesti, come

col fucile cronofotografico inventato da Marey e da Muybridge per stùdìare ìl movìmento.

Come per la ricostruzione storica, in cui si tratta di afferrare la vera immagine del passato,

con il Gestus si tratta di fissare una immagine, simìle al gesto dell’attore sulla scena, che si

sedimenta come immagine della memoria, citabile perché persistente. In qùesto senso lo

paragoniamo alla fotografia in cui, secondo Benjamin, fugacità e ripetibilità si coniugano, al

contrario del quadro in cui durata e irripetibilità sono i tratti distintivi dell’aura. E sono le immagini

di Atget, di soggetti anonimi, comuni diffusi sul globo nello stesso istante – citati da Benjamin nel

suo saggio – che giustificano e motivano la relazione che istituiamo fra il gesto citabile del teatro

epico e la fotografia. Come nelle fotografie di Atget, o nel corpus di ritratti di August Sander, che

corrispondono «all’ordinamento attuale della società», dal contadino all’uomo di cultura, colti sulla

base dell’osservazione immediata: «Tutte le intimità scompaiono a favore del rischiaramento del

particolare».28

La questione complessa del gesto citabile del teatro epico si inscrive, da questa prospettiva,

in una dialettica per cui da un lato presuppone l’esistenza della registrazione meccanica, di mediùm

come la fotografia e il cìnema, che permettono la ripetizione differita, la moltiplicazione che

preserva il gesto dalla scomparsa (il versante della ripetibilità) e quindi ìnterrompe, proprio in

quanto citabile, il continuum della sequenza drammatica-scenica. Nel saggio sulla fotografia,

Benjamin rilevava lo scarto fra i ritratti di August Sander e la ritrattistica «a pagamento, di tipo

ufficiale», così il gesto del teatro epico si differenzia dalla posa dei manuali di recitazione dal

movimento muscolare irriflesso o pragmatico..29 Il gesto citabile sta dunque fra l’arresto e il fluire,

ha una durata circoscrivibile fra l’immagine fissa della fotografia e quella continua della sequenza

drammatica.

La relazione fra fotografia e gestus, nella prospettiva del rapporto Brecht-Benjamin e delle

suggestioni reciproche, non esaurisce, ovviamente, la complessità della figura che stiamo

esaminando: il gestus è un atteggiamento rintracciabile nel testo drammatico e in altri codici dello

spettacolo, indica la relazione mediatica che modellizza il teatro brechtiano in quanto teatro

fotografabile, costruito secondo codici fotografici e filmici.

28 Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia, cit., p. 71. 29 Didi-Hubermann parla di un silenzio del gesto provocato da due movimenti contrapposti nel loro punto di

equilibrio,cfr.Georges Didi-Huberman, Les danseur des solitudes, Les Editions de Minuit, Paris 2006, p.114.

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una macchina di guerra

Un’enciclopedia di ascendenza brechtiana ha informato capillarmente il teatro della seconda metà

del Novecento, declinando il paradigma dello straniamento come principio organizzatore e

costruttore della scena teatrale, ma assottigliando paradossalmente la distanza fra scena e mondo,

arrivando a ribaltare il concetto di Verfremdung. Al suo posto si è accampata una scrittura teatrale

che ha oscurato il mondo per autoriflettere ossessivamente se stessa e i propri procedimenti. Dalla

prescrizione del teatro epico: «indicare, mostrare che siamo a teatro» per rompere illusione e

immedesimazione e far prorompere interrogazioni e stupore, la scena del secondo Novecento ha

proceduto allestendo i suoi riti autoriflessivi, parodici, ironici, distruttivi del teatro stesso mossa

dall’istanza decostruttiva di portare in luce il suo processo costruttivo. Dal teatro epico è scaturito

un teatro estetizzante, formalista, autoriflessivo30, paradosso notevole dal momento che Brecht,

critico nei confronti di un’arte che mette in scena i propri procedimenti compositivi, aveva assunto

“il disordine del mondo” come soggetto principe dell’attività artistica.

L’interesse nei confronti del pensiero brechtiano da parte di un teorico come Didi-

Hubermann, nella prima decade del nuovo secolo, può essere visto come un tentativo di reagire alla

autoreferenzialità, alla autoriflessività, al formalismo dell’estetica postmoderna, facendo appello a

istanze, critiche, testimoniali, di dialogo con il mondo.31 Se il pensiero postmoderno si richiamava

al saggio di Barthes La morte dell’autore32, chi intende contrastarlo si richiama al saggio di

Benjamin L’autore come produttore (1934), che tanta importanza ha avuto per la speculazione di

Brecht sul teatro epico.

Didi Hubermann riflette, a partire dai fototesti di Brecht ( Diario di lavoro e Kriegsfibel),

sul saggio di Benjamin L’autore come produttore, le cui tesi diventano strategie da studiare e

applicare in quanto mettono al centro lo spettatore, implicano il collegamento con altri produttori,

spezzano le divisioni fra le arti e le tecniche, istituiscono un laboratorio in cui, come nel teatro

epico, si conosce prendendo posizione, si smonta, si interrompe l’azione per ricomporla, cade la

distinzione fra spettatore e attore, fra finzione e documento, fra il privato e la storia.

Hubermann indica, attraverso Brecht e Benjamin, quale debba essere il compito dell’arte oggi:

«sono dunque i nostri modi di aprire gli occhi al disordine del mondo che si trovano collocati al

30 Cfr. Valentina Valentini, Teatro epico e nuovo teatro, cit.. 31 Sarebbe interessante sia verificare la fortuna del pensiero brechtiano nel contesto dei performance studies, sia analizzare da quale prospettiva gli studiosi hanno riletto il pensiero brechtiano, fra la fine del secolo scorso e il nuovo. Cfr. Fredric Jameson Brecht and Method, Verso, London-New York 1998; Alain Badiou, Inestetica, a cura di L. Boni, Mimesis, Milano, 2007; Claudio. Meldolesi, Scritti rari: Brecht,teatro di gruppo, teatralità, in «Teatro e Storia», Anno XXV (2011), n. s. 3, pp. 151-169. 32 Per avvalorare questa tesi ci si richiama all’autorità di Roland Barthes e in particolare al suo saggio La morte dell’autore (1968), in Id., Il brusio della lingua. Saggi critici IV, Einaudi, Torino 1988, pp. 51-56.

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cuore della pratica artistica: modestia pedagogica, presa di posizione e invenzione formale, unite

nello stesso gesto di ri-montaggio dialettico».33

Il fototesto di Brecht, Kriegsfibel, interessa Huberman perché «nell’arte più progredita deve celarsi

la questione del suo referente storico», e un referente che è «il soggetto per eccellenza di ogni

attività artistica, sia antica che contemporanea, è la guerra».34 Il programma estetico di Hubermann,

di ascendenza brechtiana, è così sintetizzabile: aprire gli occhi, prendere posizione, privare lo

spettatore di pregiudizi e stereotipi e riarmarlo con la potenza dello sguardo e del pensiero, perché

Brecht «non vedeva però nulla senza decostruire e poi rimontare per suo proprio conto al fine di

esporre meglio la materia visuale che aveva scelto di esaminare».35

Ricordiamo che nel saggio sulla fotografia, Benjamin associava le fotografie di Atget alle

immagini del luogo di un delitto, indicando, in conclusione, il compito della nuova arte: «E il

fotografo – successore degli auguri e degli auspici –, con le sue immagini, non è forse chiamato a

rivelare le colpe e indicare il colpevole?».36

33 Cfr. Georges Didi-Hubermann, Rimontare il mondo, in Alla fine delle cose. Contributi a una storia critica delle immagini, a cura di Daniele Guastini, Dario Cecchi, Alessandra Campo, La Casa Usher, Firenze 2011, pp. 191-199, qui p. 199, e Giuseppe Di Giacomo, Arte e Mondo. A proposito di alcune riflessioni di Georges Didi Hubermann su Bertolt Brecht, ivi, pp.200-205. Cfr. anche B. Brecht, Kriegsfibel (1955), trad it. L’abicì della guerra, Einaudi, Torino 2002. 34 Georges Didi-Hubermann, Rimontare il mondo, cit., p. 192 35 Ivi, p. 194. Didi-Hubermann indaga come il dispositivo dello straniamento brechtiano si ritrovi in registi di cinema postbrechtiani, come gli Straub , Godard, Farocki. 36 Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia, cit., p. 77.