BN72_LA BARA DI CRISTALLO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Seducing The Vampire

HQN Books © 2011 Michele Hauf

Traduzione di Erica Farsetti

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Bluenocturne settembre 2012

Questo volume è stato stampato nell'agosto 2012

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 72 del 28/09/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A.

Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Parigi, 1785 Il terrore non era mai stato più delizioso. Il sangue sgorgò dai fori sul collo. Le affilate punte di ferro del collare bucarono la pelle candida e inci-priata, penetrando nella carne e nel muscolo, fino al-l'osso. Il denso liquido scarlatto scivolò lungo la clavicola, deviò sulla spalla di alabastro e precipitò verso i seni voluttuosi, fasciati di damasco e di pizzo. Il kajal che contornava gli occhi azzurri enfatizzava lo sgomento della donna. Ma la bocca carnosa – con un filo di rossetto sul labbro inferiore leggermente im-bronciato – non era spalancata a causa del dolore. Era stato l'incantesimo dello stregone a immobiliz-zarla, per l'eternità. L'uomo fece qualche passo indietro e sganciò la co-roncina di ossa che portava al polso. Giocherellando con il bracciale di teschi di ratto, ammirò la scena. Anche costretta a quell'immobilità assoluta, la donna possedeva un incredibile potere di seduzione, in grado di annientare qualunque resistenza. Era sem-pre stata un'ammaliatrice, sicura che l'aspetto curato nei minimi dettagli, i movimenti sinuosi ed esperti, le

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parole ben ponderate potessero inebetire qualunque uomo. Sollevò una mano per accarezzarle la curva dei seni, ma poi la ritrasse. Gli dispiaceva che fossero giunti a tanto. Benché l'odore del sangue saturasse l'aria e aleggiasse sotto le sue narici, non riusciva a chinarsi su di lei. Ad annusa-re la sua pelle dal profumo inebriante. A respirare la sua vita. A ubriacarsi del suo terrore. Non ce n'era bisogno, poiché il suo aroma lo av-volgeva come una carezza squisita. Per la prima volta, sospettava, lei aveva paura. Ed era stato lui a determi-nare quel raro evento. Ah, se solo fosse riuscito ad avere lo stesso potere sul suo corpo e sul suo sangue. Sollevò la coroncina, in modo che lo sguardo fisso della vittima potesse vederla, e la fece tintinnare. Doz-zine di teschi di ratto infilati in una cordicella di pelle. Osso nuovo e bianco, privato della carne, della pellic-cia e del muscolo, che puzzava ancora di sangue di roditore e delle fogne cittadine. Le fogne? Ah sì, un'idea davvero brillante. L'uomo posò il diadema sui capelli neri della donna, che profumavano di vino e di estate, e fece pressione in modo che rimanesse al suo posto, senza scivolare. «Io ti incorono...» La tagliente malvagità della pro-pria voce gli ferì la lingua. O forse furono i canini. «Regina dei Ratti.» Lei non emise alcun suono, anche se probabilmente avrebbe voluto urlare e, dentro di sé, lo stava facendo. Rabbia senza voce. L'incantesimo aveva immobilizzato ogni parte del suo corpo, condannandola a diventare una bambola di porcellana, immobile all'esterno ma viva e del tutto cosciente all'interno, non poteva fare altro che accet-

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tare la punizione che aveva meritato per la sua con-dotta malvagia e depravata. «Hai avuto la tua occasione» le sussurrò, la voce che si faceva più dolce di fronte alla sua bellezza. «E adesso io ti condanno per l'eternità.»

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Marzo 1785, a nord di Parigi Quando fu scaraventata contro la parete della carrozza, Viviane LaMourette puntò le braccia contro il rivestimento imbottito. Nell'impatto si morse il labbro inferiore. Mentre la vettura si inclinava su un fianco, imprecò furiosamente. Era schiacciata su un lato, con la mano premuta sul fine-strino. Il fragile vetro si infranse e le schegge affilate le la-cerarono il palmo. L'odore del sangue, misto a vino e pol-vere, invase l'angusto abitacolo. Nell'udire le grida spaventate del cocchiere, immaginò che fosse caduto dal sedile a cassetta. Era la metà di mar-zo, ma era insolitamente freddo per la stagione: la campa-gna era coperta da un manto di neve che arrivava fino alle ginocchia. Le strade erano a malapena agibili, fatta ecce-zione per le arterie principali che conducevano a Parigi. Lo scaldino di ottone che si trovava sotto il sedile era scivolato contro la parete e le braci si stavano sparpaglian-do dappertutto. La coperta di lana che aveva in grembo le si era attorcigliata intorno alle braccia e alle maniche di pizzo. «Insopportabile.» Mentre lottava per liberarsi dal viluppo di stoffa, Viviane cercò invano di non imbrattare di sangue l'abito di dama-

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sco. Il tessuto aveva il colore intenso del muschio di bo-sco e, per giunta, aveva portato con sé un solo vestito di ricambio per quella visita. Leccò il sangue che aveva sul palmo. I tagli si erano già rimarginati. Un urlo raccapricciante interruppe la sua toeletta. Al grido mostruoso del cocchiere si aggiunsero ringhi, brontolii e – Viviane inorridì quando se ne rese conto – il rumore della carne umana che veniva fatta a brandelli. I cavalli erano agitati e tiravano le briglie, facendo sob-balzare la carrozza. Poi il trambusto si acquietò. La neve attutì il rumore degli zoccoli che si allontanavano. Il coc-chiere doveva avere liberato la coppia di animali. Perché aveva permesso ai cavalli di fuggire? La carrozza era il loro unico mezzo di trasporto e adesso non sarebbe mai arrivata a Parigi. E soprattutto non ci sarebbe mai arri-vata prima dell'alba. D'istinto, passò in rassegna gli abiti che indossava. A-veva una sottoveste di raso che avrebbe potuto usare a mo' di cappuccio per proteggersi il capo, se fosse stata costretta a procedere a piedi. Le mani e i polsi erano pro-tetti dai guanti e possedeva una maschera di cuoio che le lasciava scoperti solo gli occhi. La lettera che Henri Chevalier le aveva inviato qualche settimana prima, al sicuro tra il corsetto e la sottoveste, frusciò contro il suo petto. Le aveva scritto in previsione della sua consueta visita primaverile. Il fatto che avesse menzionato Constantin de Salignac per poco non le aveva fatto mandare a monte il viaggio. Henri lasciava intendere che il nobile vampiro, capo della rinomata tribù dei Nava, desiderasse chiedere la sua mano, con l'obiettivo di rende-re più forte la propria stirpe. Quel pensiero disgustoso la distrasse. Viviane non ave-va intenzione di sposarsi, neppure con un capotribù. De Salignac le aveva messo gli occhi addosso solo perché era

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una vampira purosangue. Ma lei non voleva diventare pro-prietà di nessuno. Il fatto che negli ultimi due secoli, in seguito alla tragica morte dei genitori, Henri le avesse fatto da protettore e allo stesso tempo le avesse concesso una grande libertà, pro-babilmente l'aveva viziata. Tuttavia, meglio viziata che schiava. «Non arriverò mai a Parigi per affrontare quel presun-tuoso di de Salignac, se non trovo il modo di risolvere questa situazione odiosa.» Udì un ringhio sommesso e il suo cuore prese a battere all'impazzata. Con le spalle schiacciate contro la parete imbottita della carrozza, Viviane ascoltò con attenzione. Il suono della carne che veniva lacerata assomigliava al rumore di una lama spuntata che taglia il cuoio. Di per sé non era sgra-devole. Ma poi altri rumori le colmarono il petto di terrore e il cuore le balzò in gola. «Lupi.» La paura tuttavia presto scomparve. Era un'emozione per i deboli, per coloro a cui piaceva ammettere i propri limiti. Gettò via la coperta; il rumore di uno sparo la fece tra-salire e si aggrappò al vetro rotto della finestra. Il lupo ululò. Probabilmente era stato colpito. Viviane si concentrò e ascoltò. Battiti cardiaci. Due, dei quali neppu-re uno era umano: il suo e quello del lupo. A meno che non fosse ferito gravemente, l'animale sa-rebbe andato a cercarla. «Non sono pronta a morire stanotte. A quanto pare do-vrò sbrigarmela da sola. Quella bestia sia maledetta per a-vermi rovinato le scarpe!» Erano nuove, di velluto color cioccolato. Le roselline di porcellana che decoravano la punta erano state modellate da un suo ex amante. Si alzò e spalancò lo sportello, facendo ondeggiare la

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carrozza. Il legno scricchiolò in modo preoccupante, un chiaro segno che aveva fatto la mossa sbagliata. Viviane si rannicchiò sul sedile e, nel buio, cercò a ten-toni qualcosa a cui aggrapparsi mentre il veicolo si ribalta-va completamente su un fianco. Quando toccò terra, lei sbatté la testa contro il finestrino. Fuori, i lugubri guaiti non si interruppero. In Francia i lupi erano diffusi, ma una volta qualcuno le aveva detto che il numero degli animali solitari era pari a quello degli individui che si spostavano in branco. La speranza era che questo fosse solo. Uscire dallo sportello rivolto verso il cielo, con l'impac-cio della gonna e del corsetto, fu un'impresa titanica. An-che i lunghi capelli neri, dai quali aveva tolto appena un'o-ra prima le strisce di carta per arricciarli, le impedivano i movimenti, con i boccoli pesanti che le sferzavano il viso e rimanevano impigliati sotto i gomiti. Appollaiata sul fianco della carrozza – che era rivolto verso l'alto – Viviane si guardò intorno. Il respiro formava piccole nuvole bianche. I cristalli di ghiaccio che cadevano dai rami brillavano nell'oscurità. Percepiva l'odore caldo del sangue umano, ma da quel-la posizione non riusciva a vedere la carneficina. Saltò nella neve farinosa e atterrò di fianco alla carrozza con un'imprecazione. La neve le riempì la faccia e si infilò sotto la gonna. Al buio vedeva abbastanza bene e riuscì a scorgere il cocchiere. Aveva la gola tagliata. Il pastrano di lana scura, il merletto della camicia e il volto erano sporchi di sangue. Aveva un braccio disteso sopra la testa e la mano stringeva ancora la pistola su una pozza di neve scarlatta. Il lupo zoppicava e saltellava su tre zampe, e alla fine crollò nella neve. A giudicare dal sangue che imbrattava la pelliccia marrone, doveva essersi preso un proiettile nella spalla.

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«A mai più!» La bestia schivò la manciata di neve che Viviane le lan-ciò. Ringhiò, scoprendo le zanne. Anche Viviane mostrò i canini. Nella campagna risuonarono i guaiti lamentosi del lut-to. Non poteva correre il rischio che un branco la sorpren-desse da sola, con poco o niente per difendersi. Avanzò a fatica nella neve alta, perdendo una scarpa, e raggiunse il lupo. Era grande, lungo quasi quanto lei, e possente. La pelliccia era marrone con alcune striature ne-re. Sarebbe stata perfetta per bordare un abito o un cappel-lo. «Un eccellente rimpiazzo per le mie scarpe rovinate.» Dal foro del proiettile, vicino al collo dell'animale, il sangue zampillava. Sarebbe morto dissanguato. Ma non abbastanza in fretta da farla stare del tutto tranquilla. Viviane afferrò con decisione la testa del lupo, se la infi-lò sotto il braccio e tirò con tutte le forze, assicurandosi che si staccasse dal collo. Un alchimista che studiava i ca-daveri le aveva detto che rompere il midollo spinale causa-va una morte immediata. La bestia crollò a terra senza vita. Viviane si pulì le mani insanguinate nella neve. Guar-dando verso sud, vide le volute di fumo che salivano da dozzine di comignoli. Parigi. Il conforto di una casa calda e di Henri Chevalier, il suo affettuoso protettore, la chia-mavano. «Eravamo così vicini» mormorò. «E adesso dovrò andare a piedi. Scalza.» Si liberò anche dell'altra scarpa, che le sa-rebbe stata solo d'impiccio. «Lupo odioso. Hai avuto quel-lo che meritavi.» Raccolse la pistola del cocchiere, poi rovistò nelle ta-sche del pastrano e trovò due proiettili, della polvere da sparo e una bacchetta di ferro. Ricaricò l'arma in un atti-

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mo e gettò via la bacchetta. Forse avrebbe dovuto affron-tare un altro lupo. Con l'arma, almeno, avrebbe avuto il vantaggio della distanza. Ma una sola possibilità. Si chinò sul cocchiere e gli abbassò le palpebre. «Riposa in pace.» Per un attimo, pensò di tracciare il segno della croce sul suo corpo, poi ci ripensò. Con la pistola in mano, iniziò a camminare nella neve. Ma un attimo dopo si bloccò, colpita da ciò che vide a ter-ra, al posto dell'animale. «Sacre bleu.» Era un licantropo. Dove prima giaceva il lupo, adesso c'era un uomo, nu-do, con una ferita al collo. L'animale aveva ripreso sem-bianze umane. I suoi occhi scuri e vitrei la cercarono. Era ancora vivo, nonostante lei credesse di avergli rotto il col-lo. «Non lo sapevo» spiegò lei, all'improvviso nervosa, gi-rando la testa da una parte e dall'altra per controllare i din-torni. Non c'erano lupi in agguato. Gli occhi del licantropo si chiusero. Con l'arrivo della morte, la testa sprofondò nella neve e i muscoli si rilassa-rono. Dalla sua bocca uscì del sangue che macchiò il brandello di stoffa bianca strappato dal collo del cocchie-re. Minneapolis, oggi Rhys Hawkes attraversò il pub in stile irlandese con passo malfermo. La mezzanotte era passata da un pezzo, ma il locale di O'Leary rimaneva aperto fino alle due. Il proprietario, un tedesco che aveva sposato un'irlandese, gli lasciava carta bianca. La cantina ultramoderna e tempe-rata era sempre aperta per Rhys, che in qualsiasi momento poteva scegliere una bottiglia di vino o di whisky, o sem-plicemente rilassarsi nella penombra delle sale fresche do-po una lunga giornata alla Hawkes Associates.

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Più di una semplice banca, la compagnia ospitava tesori e custodiva impalpabili oggetti di natura magica, offrendo alle varie nazioni soprannaturali – della Luce, delle Tene-bre, delle Fate e alle altre – un luogo sicuro e stabile in cui tenere denaro e oggetti preziosi e cambiarli nelle nuove va-lute in uso nel corso dei secoli. La ditta era unica nel suo genere e aveva uffici a New York, nel Minnesota e in Florida, altri quattro in Europa e uno in Cina. La sede di Parigi era il quartier generale di Rhys. Il pub in cui si trovava non era di sua proprietà, ma sta-va valutando l'ipotesi di acquistarlo. Rhys non si occupava in prima persona della gestione dei locali, che collezionava come fossero figurine. Per lui erano investimenti. E raramente si mescolava alla gente. Era un lupo solitario, lui – o meglio, un vampiro. Sempre le solite scuse. Non era una scusa, solo il modo più semplice di guar-dare le cose. Quella sera si trovava lì per affari, e osservava il pub per comprenderne il potenziale. Al bancone, illuminato da un neon blu, due studenti u-niversitari si raccontavano quelle che a suo parere erano leggende metropolitane. La storia dell'uomo con un unci-no al posto della mano era famosa. Invece, non aveva mai sentito quella della sirena che viveva nel Gowanus Canal di Brooklyn. Tenendosi a distanza, ascoltò divertito la conversazione. Una cameriera con un vestito di raso verde e perline gli passò di fianco e scivolò dietro il bancone. L'odore dell'al-cool gli faceva venire nostalgia del vero whisky che aveva bevuto un tempo, quando era in Scozia. Non era nato lì, ma il paese aveva rappresentato un nascondiglio sicuro ai tempi della Rivoluzione, quando i vampiri avevano tentato di eliminare i licantropi dalla Francia. Più che per nascon-

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dersi, tuttavia, si era ritirato in quel luogo a seguito di un lutto. Nel corso dei secoli il mondo era cambiato, eppure il conflitto tra lupi e vampiri non aveva trovato soluzione e forse non sarebbe mai finito. Per la maggior parte del tem-po, Rhys non si faceva problemi, ma c'erano giorni in cui rimpiangeva di non avere fatto di più per la pace. Chiaramente, la sua situazione era più complicata. Non aveva una "fazione" precisa. Un tempo era stato persegui-tato da quelli del suo stesso sangue perché era diverso. Aveva combattuto per decenni contro il nemico. Nessuno dei due aveva cantato vittoria. Finché lei non era entrata in scena. Lei aveva cambiato tutto. Da allora, niente era più stato come prima. Rhys pensava di rado a lei, e ogni volta che succedeva rivedeva i suoi occhi azzurri. Ma non era così strano, per un uomo che viveva da due secoli e mezzo, ricordare un'amante perduta che sussurra-va sonetti spettrali nei suoi pensieri. Rhys sorrise a quei ricordi malinconici. «Pene d'amore» mormorò. Continuò ad ascoltare distrattamente le storie degli stu-denti, ma quando i ragazzi iniziarono a parlare di una cer-ta Biancaneve dei vampiri, rizzò le orecchie. «Sì, dai, quella della tipa chiusa in una bara di cristallo da qualche principe.» «Quello era un cartone animato, amico.» «Lo so, ma ascolta. Si racconta che una giovane vampi-ra si fosse innamorata di un tizio... un vampiro, o forse un licantropo, questo non l'ho ben capito» disse uno di loro. Rhys si accomodò su uno sgabello. Sorrise ai ragazzi e strinse la ciotola con le noccioline tra le mani. Loro lo guardarono e ricambiarono con un cenno di saluto. «I vampiri e i licantropi non esistono» osservò uno dei due.

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«Non importa. Anche le leggende metropolitane sono inventate, ma sei stato tu a chiedermene una che non co-noscevi per postarla domani sul tuo blog.» «È vero, va' avanti. Quindi, la ragazza si innamorò di un uomo che forse era un vampiro...» «... o forse un licantropo. Ma allo stesso tempo, anche un altro la stava corteggiando. Un vampiro cattivo.» Rhys strinse i pugni. Sentì i muscoli del collo che si irri-gidivano. Avrebbe voluto prendere il ragazzo per le spalle e scuoterlo per costringerlo a sputare fuori il resto della storia, ma cercò di controllare i propri istinti. «Insomma, la vampira si innamora di un uomo che in realtà è qualcos'altro e si sposano o qualcosa del genere. Non lo so di preciso. Ovviamente il vampiro cattivo si in-cazza, sai com'è. A quel punto succede qualcosa che al-lontana i due – la ragazza e il suo amante – e il vampiro cattivo la rinchiude in una bara di cristallo e la seppellisce come una specie di versione dark di Biancaneve.» «Che leggenda ridicola. Ma non poteva rompere il cri-stallo?» «No, perché il vampiro ha ordinato a uno stregone di farle un incantesimo, in modo che lei non si possa muove-re pur essendo immortale. Può vedere fuori dalla bara, ma non può muoversi o gridare. Infatti la leggenda narra che sia diventata pazza e che probabilmente sia ancora sepolta in qualche posto sotto le strade di Parigi. Sai che sotto Pa-rigi ci sono tantissime gallerie sotterranee.» «Già. E se riuscisse a scappare cosa succederebbe?» «Non lo so, amico. Se ne andrebbe in giro a succhiare sangue, suppongo.» I due ragazzi buttarono giù qualche sorso di birra. «Carina. Ma del tutto impossibile, amico.» «Certo. Vampirella impazzita.» «A Vampirella glielo offrirei tutti i giorni, il collo. È così sexy.»

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«Anche lei è un fumetto.» Quello che aveva raccontato la storia si pulì la bocca con un braccio. «La metterai sul blog?» «Sì, forse. Pagami un'altra birra, amico, questa è an-data. E il tipo che era un vampiro o forse un licantropo che fine ha fatto?» «Non lo so. Me l'hanno raccontata così.» «Insomma, vorresti dire che lui era un diverso, come uno che al posto delle mani...» Il ragazzo assunse un tono melodrammatico. «... ha un uncino di acciaio inossidabi-le!» Rhys trasalì. «No, amico, aveva... qualcosa che non andava.» La ciotola che Rhys stringeva tra le mani si spaccò in due. I ragazzi si voltarono e lo guardarono incuriositi. «Fragile» spiegò lui, imbarazzato. Qualcosa che non andava. Quelle parole lo colpirono al cuore, facendo affiorare ricordi dolceamari. Gli tornò alla mente il giorno in cui era stata lei a pronunciarle. Spostò di lato le noccioline. «Storia interessante.» «Sì, amico, è una leggenda metropolitana. Potrai legger-la domani per intero sul mio blog.» Uno dei due allungò a Rhys un biglietto da visita su cui c'era scritto UrbanTrash.com. «Non sarebbe una figata se i licantropi e i vampiri esi-stessero davvero? Tutti potremmo vivere per sempre...» «Vivere in eterno non è così eccitante» borbottò Rhys, allontanandosi. Biancaneve dei vampiri. Un tempo amata da un vampi-ro cattivo e da un altro che forse era un vampiro e forse un licantropo. Una leggenda metropolitana? Sicuramente era una diceria. Ma i dettagli della storia gli erano troppo familiari per i-gnorarla. «Mon Dieu. Io credevo che fosse morta.»

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Seduzione oscura GENA SHOWALTER - JILL MONROE

La bara di cristallo MICHELE HAUF

Per salvarli da uno stregone che li vuole morti, i sovrani di Elden nascondono i quattro figli negli angoli più remoti del regno. Nicolai, il primogenito, si ritrova nel Regno di Delfina. La principessa Breena, invece, si risveglia in una terra ostile, popolata da selvaggi berserker. Per fuggire, entrambi hanno bisogno di un alleato che li aiuti a riscoprire il loro destino...

Quando Rhys Hawkes sente raccontare la curiosa leggenda della Biancaneve dei vampiri, sepolta viva in una bara di cri-stallo nei sotterranei di Parigi, la speranza si riaccende nel suo cuore: che si tratti di Viviane, la sua splendida principes-sa svanita nel nulla, l'altra metà della sua anima immortale che il crudele fratello gli ha portato via due secoli prima?

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Oltre la notte MAGGIE SHAYNE

Oscura tentazione JESSICA ANDERSEN - NALINI SINGH

Da quando James Willem Poe lo ha risvegliato dalla morte vivente a cui era stato condannato, Utanapishtim, il primo degli Immortali, ha un solo obiettivo: ripulire il mondo dai vampiri. L'unica che può fermarlo è Brigit, la gemella di Ja-mes. Ma quando si ritrovano faccia a faccia, la passione che esplode tra loro li pone di fronte a una verità sorprendente...

Catapultato nel regno dei wolfyn, Dayn aspetta da vent'anni la donna che gli permetterà di tornare a Elden. Ma Reda sembra restia ad aiutarlo malgrado l'attrazione che divampa tra loro. Intanto il più giovane degli eredi perduti, Micah, pri-vato della memoria, è diventato il guardiano dell'Abisso. E Li-liana, che lo ama disperatamente, deve aiutarlo a ricordare...

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