BIOMATERIALI PARTE I -Anno Accademico 2017-2018- Prof ...

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BIOMATERIALI PARTE I -Anno Accademico 2017-2018- Prof. Chiesa 27 feb 2018, STORIA DEI BIOMATERIALI Studiamo dispositivi impiantabili ma anche dispositivi utilizzati per lo strumentario chirurgico. Materiali che interagiscono con il sistema biologico. Definizione di BIOMATERIALE, ha subito una evoluzione nella storia recente. 1- La prima definizione indicava come biomateriale un materiale non vitale utilizzato per la creazione di un dispositivo biomedico che deve interagire con un sistema biologico. Definizione di Williams del 1987. 2- Successivamente la definizione è cambiata. Definizione più ampia. Un biomateriale è una sostanza inerte farmacologicamente che è utilizzata per la progettazione di impianti che possono essere impiantati nei tessuti viventi. Il mondo dei biomateriali è completamente diverso dal mondo farmacologico. 3- Oggi è accettata una definizione ancora più ampia. Un biomateriale è un materiale utilizzato per un dispositivo che andrà a interagire con un sistema biologico. Rapporto stretto tra BIOMATERIALE, DISPOSITIVO BIOMEDICO e BIOCOMPATIBILITÀ (sistema biologico). Lo stesso materiale può essere utilizzato per diversi dispositivi e ha risposte diverse. Il mondo dei biomateriali è molto lento. Il ciclo di evoluzione è lento per questioni che riguardano l’applicazione clinica. Il chirurgo chiede la storia del biomateriale quando si presenta una innovazione. EVOLUZIONE DEI MATERIALI PER DISPOSITIVI BIOMEDICI: 1- Materiali utilizzati come sostituti di denti su basi di esperienze. 2- Dalla seconda guerra mondiale fino agli anni 60-70 è l’epoca del chirurgo eroe. Accelerazione esponenziale nello sviluppo di nuovi dispositivi. 3- Ricerca più organizzata sempre guidata dalla problematica clinica. C’è sempre il chirurgo che guida ma la ricerca è più strutturata dagli anni 70 in poi. 4- Biomateriali ingegnerizzati. Materiali studiati appositamente per l’applicazione biomedica. Ciò che cambia molto oggi è l’interfaccia con i tessuti biologici. Nel rinascimento c’è stato l’inizio dello studio della biomeccanica. Non c’è stato uno sviluppo di applicazioni mediche sistematiche perchè fino a 100 anni fa c’è stata la mancanza di cognizione sulle infezioni e quindi sulle tecniche di sterilizzazione. Le cose non andavano bene non per il materiale stesso ma per le infezioni durante l’atto chirurgico. La storia dei biomateriali inizia dopo l’inizio del 1900. Lo sviluppo di nuovi materiali per applicazioni biomediche è andato di pari passo con lo sviluppo di nuovi dispositivi e nuove tecniche curative. Fino agli anni 50 i dispositivi erano nelle mani del chirurgo. E anche la decisione di utilizzo. Solo successivamente si è utilizzato un approccio più sistematico, più industriale. Quindi vengono coinvolte altre figure: chimici, ingegneri, biologi. Oggi si va verso la nanomedicina. Esempio di sviluppo di dispositivi nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale: -DIALISI, RENE ARTIFICIALE: utilizzare delle membrane per separare il sangue con soluzioni fisiologiche e depurare il sangue dalle tossine in caso di non funzionamento del rene. Funzionava ma il problema era l’interfaccia con vene e arterie. Si utilizza uno shunt in PTFE.

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BIOMATERIALI PARTE I -Anno Accademico 2017-2018- Prof. Chiesa

27 feb 2018, STORIA DEI BIOMATERIALI

Studiamo dispositivi impiantabili ma anche dispositivi utilizzati per lo strumentario chirurgico. Materiali che interagiscono con il sistema biologico. Definizione di BIOMATERIALE, ha subito una evoluzione nella storia recente. 1- La prima definizione indicava come biomateriale un materiale non vitale utilizzato per la creazione di un dispositivo biomedico che deve interagire con un sistema biologico. Definizione di Williams del 1987. 2- Successivamente la definizione è cambiata. Definizione più ampia. Un biomateriale è una sostanza inerte farmacologicamente che è utilizzata per la progettazione di impianti che possono essere impiantati nei tessuti viventi. Il mondo dei biomateriali è completamente diverso dal mondo farmacologico. 3- Oggi è accettata una definizione ancora più ampia. Un biomateriale è un materiale utilizzato per un dispositivo che andrà a interagire con un sistema biologico. Rapporto stretto tra BIOMATERIALE, DISPOSITIVO BIOMEDICO e BIOCOMPATIBILITÀ (sistema biologico). Lo stesso materiale può essere utilizzato per diversi dispositivi e ha risposte diverse. Il mondo dei biomateriali è molto lento. Il ciclo di evoluzione è lento per questioni che riguardano l’applicazione clinica. Il chirurgo chiede la storia del biomateriale quando si presenta una innovazione. EVOLUZIONE DEI MATERIALI PER DISPOSITIVI BIOMEDICI: 1- Materiali utilizzati come sostituti di denti su basi di esperienze. 2- Dalla seconda guerra mondiale fino agli anni 60-70 è l’epoca del chirurgo eroe. Accelerazione esponenziale nello sviluppo di nuovi dispositivi. 3- Ricerca più organizzata sempre guidata dalla problematica clinica. C’è sempre il chirurgo che guida ma la ricerca è più strutturata dagli anni 70 in poi. 4- Biomateriali ingegnerizzati. Materiali studiati appositamente per l’applicazione biomedica. Ciò che cambia molto oggi è l’interfaccia con i tessuti biologici. Nel rinascimento c’è stato l’inizio dello studio della biomeccanica. Non c’è stato uno sviluppo di applicazioni mediche sistematiche perchè fino a 100 anni fa c’è stata la mancanza di cognizione sulle infezioni e quindi sulle tecniche di sterilizzazione. Le cose non andavano bene non per il materiale stesso ma per le infezioni durante l’atto chirurgico. La storia dei biomateriali inizia dopo l’inizio del 1900. Lo sviluppo di nuovi materiali per applicazioni biomediche è andato di pari passo con lo sviluppo di nuovi dispositivi e nuove tecniche curative. Fino agli anni 50 i dispositivi erano nelle mani del chirurgo. E anche la decisione di utilizzo. Solo successivamente si è utilizzato un approccio più sistematico, più industriale. Quindi vengono coinvolte altre figure: chimici, ingegneri, biologi. Oggi si va verso la nanomedicina. Esempio di sviluppo di dispositivi nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale: -DIALISI, RENE ARTIFICIALE: utilizzare delle membrane per separare il sangue con soluzioni fisiologiche e depurare il sangue dalle tossine in caso di non funzionamento del rene. Funzionava ma il problema era l’interfaccia con vene e arterie. Si utilizza uno shunt in PTFE.

-LENTI A CONTATTO INTRAOCULARI: Ridley curò piloti con schegge di plastica (PMMA) negli occhi. Queste schegge non creavano grossi problemi anche negli occhi. Quindi viene l’idea di applicarlo per lenti intraoculari. Partendo da questa idea un’altra persona ha pensato di modificare il polimetilmetacrilato e rendendolo soffice (poliidrossietilmetacrilato) e usarlo per creare lenti a contatto. -PROTESI ORTOPEDICHE: le protesi ortopediche sono quelle trainanti l’economia dei biomateriali oggi. Fino agli anni 60-70 tutte le idee erano destinate a fallire. I materiali sperimentati non funzionavano. Fino agli anni ‘70 infatti venivano sviluppate protesi con interazione metallo metallo. Ma si nota che c’erano delle leghe di cobalto cromo molibdeno che avevano grossa resistenza meccanica. Inoltre elevata resistenza alla corrosione. Infine avevano la possibilità di formare forme complesse. Forme complesse ottenute tramite tecniche di fonderie. La vera svolta in questo ambito è dovuta a Charnley. Ha sviluppato una nuova tipologia di protesi. Protesi metallica in cui però l’articolazione avviene su un materiale polimerico. Un polietilene a peso molecolare ultraalto. Inoltre utilizzo di cemento di PMMA per fissare la protesi. Anche il design di Charnley è ancora attuale. -PROTESI MAMMARIE: svolta negli anni ‘60. Involucro esterno di silicone denso riempito di gel di silicone. Ciò che cambia rispetto ai siliconi industriali è il Medical Grade. Nei materiali medici non è ammessa l’aggiunta di additivi chimici. Negli anni ‘90 una donna con protesi mammaria a seguito di una malattia autoimmune ottenne un risarcimento di 7,3 milioni di dollari. Successivamente si scoprì che la malattia non era dovuta al silicone. Però le grandi aziende della chimica si ritirarono dal mercato dei biomateriali. Ambito applicativo rischioso. Il rischio di una multinazionale è che una singola linea di prodotti trascini tutta l’azienda nel baratro. L’ambito biologico è variabile. La risposta non è deterministica. -IMPIANTI DENTALI OSTEOINTEGRATI: Branemark utilizzò titanio e scoprì che titanio e osso si interfacciavano molto bene. Impianti che andavano a connettersi molto bene. L’Italia dopo gli Stati Uniti è il paese in cui si mettono più impianti dentali. -STENT: problemi di apertura e chiusura delle coronarie. Telaio portante. Stent in acciaio inossidabile o leghe di cromo cobalto molibdeno. Tengono aperto il lume della coronaria. -VENTRICOLO E CUORE ARTIFICIALE. Non si è mai arrivati a un risultato finale. I problemi non sono tanto relativi ai materiali ma più a affidabilità meccanica, all’alimentazione. Si è passati al concetto di ponte in attesa di trapianto. -PROTESI VASCOLARI: sempre nell’ambito del chirurgo sperimentatore. Oggi questo non è più possibile. -PACEMAKER -PROTESI VALVOLARI

28 feb 2018, SELEZIONE MATERIALI e RIGIDEZZA

Cicli classici di progettazione: Si parte dalle idee. Prendiamo come esempio il processo per progettare un cavatappi. 1- Definiamo l’obiettivo. L’obiettivo è accedere al vino all’interno della bottiglia quindi rimuovere il tappo a un costo modesto e senza contaminare il vino. L’idea è quella di utilizzare diverse vie. Definire un problema significa a livello industriale capire quali sono le esigenze del mercato. (Qualunque tipo di mercato). Trasformiamo l’esigenza in un bisogno di mercato. 2- A questo punto vediamo come risolvere a livello tecnico il problema. Posso pensare di rimuovere il tappo o con una forza di trazione assiale o con una forza di torsione. 3- Inserisco una vite e applico una forza in diverso modo. O con le mani o con una leva o con un cinematismo oppure una molla. Scelta: utilizziamo un sistema con una leva. Nel percorso progettuale abbiamo abbracciato una soluzione.

4- Possiamo già iniziare a definire valori geometrici generali. A livello di progettazione definiamo già le dimensioni generali. 5-L’ultima fase è quellla di vestire la soluzione con i dettagli. Per quanto riguarda il progetto, il design, le dimensioni,... dettagli necessari per una fabbricazione dell’oggetto. Percorso che va dall’idea concettuale a una scelta fino ai dettagli. Dalla definizione dell’esigenza di mercato a una soluzione dettagliata. Parallelamente bisogna operare una SCELTA DEI MATERIALI. Sarà diversa se mi riferisco a una prima fase concettuale generale o a una fase dettagliata. Inoltre devo operare una scelta per i processi tecnologici che mi servono per ottenere i vari oggetti. Materiali e processo tecnologico per ottenere quell’oggetto. La strategia di selezione dei materiali parte da una non conoscenza dei materiali ma da una conoscenza delle proprietà dei materiali che consideriamo. La selezione di un materiale inizia con un catalogo di tutti i materiali che viene ristretto escludendo quelli che non rispettano i requisiti. Quindi partiamo dalla considerazione delle proprietà di tutti i materiali. Partendo da tutti i materiali arriviamo a fare una scelta, a selezionare una, due o tre possibilità. Questo viene fatto ponendo dei vincoli. I vincoli sono i requisiti essenziali che vogliamo rispettare. La selezione dei materiali deve procedere di pari passo con la selezione del processo. Se non esiste una tecnologia per trasformare il materiale in quella forma non riusciamo a usarlo. Quindi nella fase di progettazione vanno di pari passo scelta di materiali e tecnologie di lavorazione. Fase di idea: il progettista richiede solo proprietà approssimate importanti ma per un range di materiali ampio. Fase di materializzazione: dati richiesti per un sottoinsieme di materiali ma con un più alto livello di dettaglio e precisione. Fase di dettaglio: ancora più alto livello di dettaglio e precisione ma per pochi materiali.

STRATEGIA DI SELEZIONE DEI MATERIALI: Selezionare i materiali significa partire da più materiali possibili per poi arrivare come ultimo obiettivo alla scelta finale del materiale da utilizzare. 4 fasi diverse:

1- TRADUZIONE: tradurre i requisiti progettuali in funzioni variabili. Devo convertire i requisiti progettuali in una specie di ricetta per la selezione dei materiali. Per esempio sono importanti temperatura di utilizzo,...

2- SELEZIONE definire dei vincoli che mi permettono di scartare alcuni materiali. Eliminare i materiali che non possono essere utilizzati. I vincoli sono diversi dagli obiettivi. I VINCOLI sono ciò che mi permette di scartare un materiale. Sono le condizioni essenziali che devono essere rispettate, solitamente espresse come un limite in un materiale o in un processo. Gli OBIETTIVO sono le proprietà che posso utilizzare per mettere in ordine il materiale. Sono le quantità per cui è richiesto un valore estremo. Tipici vincoli riguardano la resistenza meccanica per esempio. Esempio: i requisiti progettuali per il telaio di una bicicletta. In un primo caso bicicletta da corsa. L’obiettivo è minimizzare la massa del telaio. Avrò vincoli che riguardano il costo massimo di questo telaio. Oppure se devo progettare una bicicletta da città l’obiettivo è minimizzare il costo. Perché il mercato dice che una bicicletta da città non può essere venduta a un prezzo troppo alto. I vincoli invece sono sul limite di massa.

3- CLASSIFICAZIONE: una serie di materiali sopravvivono alla selezione del punto precedente. Selezionare con un obiettivo i materiali migliori. Fare una classifica tra i materiali rimasti. [Gli obiettivi che posso utilizzare per fare il ranking quali sono? Costo, rigidezza, resistenza meccanica,... questo mi fa fare delle scelte sulla selezione del materiali.] Vogliamo capire quali materiali funzionano meglio. Posso scegliere i materiali che funzionano meglio basandomi su delle proprietà. Posso avere anche indici formati dell’interazione di più proprietà. Per esempio modulo di Young con densità. Non è banale perché la rigidezza dipende anche dalla geometria, dalla forma della sezione. Se massimizziamo una proprietà o un insieme di proprietà massimizziamo la performance.

4- DOCUMENTAZIONE: ricercare la documentazione per il materiale sopravvissuto e che risulta essere vincitore. Cercare se esistono applicazioni analoghe, se sul mercato è già presente quel tipo di materiale,... possiamo fare questo ultimo punto solo per 1,2 o 3 materiali. Non di più. Ricerca approfondita tra i due o tre materiali che mi sono rimasti. Profilo dettagliato dei migliori candidati. Descrittivo, grafico o disegno. Con il software riusciamo a fare una selezione dei materiali per via grafica. I grafici permettono di comparare diverse soluzioni. Faremo uso di GRAFICI A BARRA E GRAFICI A BOLLA. Per esempio vogliamo studiare il modulo di Young. Rigidezza intrinseca di un materiale. Considero diverse classi di materiali. Voglio confrontare visivamente le 4 classi di materiali per quanto riguarda il modulo di Young. La scala logaritmica mi consente di confrontare i materiali che hanno scala per il modulo di Young bassa. I grafici a bolla sono quelli che mettono in relazione più proprietà. Per esempio modulo di Young e densità. I dati possono essere di diverso tipo: —NUMERICI (sempre un intervallo perché non c’è un valore fisso). Alcune proprietà sono intrinsecamente variabili. Invece altri tipo il modulo di Young la variazione è limitata. —BOOLEANI —DESCRITTIVI (basso, medio, alto). Per esempio la durabilità è un dato descrittivo (eccellente, alto,...). Utilizziamo le informazioni per selezionare un materiale. Esempio: vogliamo fabbricare una bottiglia per un biberon. Vogliamo selezionare il materiale migliore. -Una prima proprietà fisica potrebbe essere trasparente, opaco, semitrasparente. Me ne serve uno trasparente. Ponendo il vincolo della trasparenza riduco la classe dei materiali. -Proprietà termiche, cioè temperatura di utilizzo di un materiale del genere. Il liquido che mettiamo potrebbe essere a ebollizione quindi 100 gradi. Però posso lavarlo, sterilizzarlo,... quindi temerature più alte. Durante una sterilizzazione a vapore deve resistere. Quindi circa 130 gradi. Introducendo questi due vincoli ho ottenuto solo 6 materiali. -Altro requisito funzionale importante è che deve essere tenace. Non deve essere fragile. Faccio fatica a definire un numero per la tenacità a rottura. Abbiamo nel software la funzione tenacità a rottura. Ma non so che valore mettere. Un modo semplice è utilizzare un grafico. Metto sull’asse y la proprietà meccanica tenacità a frattura. L’asse x lo lascio così quindi ottengo un diagramma a barre. Mi accorgo che la tenacità a frattura per tre materiali è molto bassa. Sono i materiali ceramici, i vetri. Considero i materiali con tenacità più alta. Sono polimeri. Seleziono i materiali con tenacità a frattura più alta. Trovo il policarbonato che potrebbe essere un buon candidato. Selezione grafica. L’osservazione del grafico è la fase di ranking. Sto selezionando i materiali con tenacità a frattura

più alta. Come faccio a identificare il costo? Grafico con doppia variabile. Il materiale con costo più basso non è quello con tenacità più alta. Il costo pero non è dati solo dal materiale. Si guardano i materiali ma anche i processi. Devo capire se i materiali sono formabili nella forma desiderata. Posso fare un link, un collegamento con i processi. Per un materiale posso mettermi in contatto con i database dei processi. Il policarbonato può essere lavorato nella forma di bottiglie. Indagare policarbonato e resine tossiliche per capire cosa è meglio.

PROPRIETÀ MECCANICHE DI BIOMATERIALI

Sforzo e deformazione servono per descrivere la risposta a uno stimolo meccanico, non sono proprietà meccaniche. La rigidezza è identificata dal modulo di Young. La resistenza al limite elastico o massimo sforzo a trazione o massimo sforzo a compressione. Rigidezza, resistenza e densità sono proprietà fondamentali. La rigidezza è la resistenza al cambiamento elastico di forma. Quando si toglie il carico il materiale torna alla forma originale. La resistenza è la resistenza a una distorsione permanente o a un fallimento totale. Abbiamo PROPRIETÀ GENERALI come densità, costo. PROPRIETÀ MECCANICHE: rigidezza, resistenza, tenacità, duttilità, resistenza alla fatica, resistenza all’usura. PROPRIETÀ FISICHE: resistenza alla corrosione, durabilità,... Per quanto riguarda le proprietà meccaniche possiamo avere sforzi di trazione, compressione, flessione, torsione. SFORZO: A) forze applicate normalmente alla superficie. Forze positive indicano trazione, forze negative compressione. B) forze applicate parallelamente alla superficie. Piani sfumati portano lo sforzo di taglio. C) forze di trazione e compressione applicate in tutti i sei piani di un elemento cubico. Pressione idrostatica PRESSIONE IDROSTATICA: il modulo di Bulk mette in relazione la pressione alla variazione di volume. DEFORMAZIONE: Agli sforzi corrispondono delle deformazioni attraverso un rapporto che nella maggioranza dei casi è lineare. La deformazione è il rapporto tra due lunghezze ed è perciò adimensionale. Trazione, compressione ma anche sforzi di taglio e pressioni idrostatiche. Determiniamo ora le proprietà dei materiali. Possono essere desunte da prove di trazione. Andiamo ad applicare a un provino di forma standardizzata un allungamento con velocità costante. PROVA DI TRAZIONE. Mettendo su un grafico forza e allungamento le cose funzionano solo se abbiamo provini della stessa geometria e della stessa dimensione. Ciò che si fa è applicare le definizioni di sforzo e deformazione. Applicando le definizioni ottengo una curva sforzo deformazione che non dipende più dalla geometria del provino ma è indipendente. In questo modo otteniamo le caratteristiche del materiale. Una volta che abbiamo ricavato sperimentalmente questa curva ricaviamo dei parametri. Il modulo di Young è il rapporto sforzo deformazione in un punto non troppo lontano dall’origine. Forze in N e dimensioni in mm. In questo modo si ottiene lo sforzo in MPa. Abbiamo sforzi di taglio quando applichiamo una torsione. Vale la proporzionalità tra sforzi di taglio e deformazione angolare. Legati da coefficiente di Poisson.

Per i materiali ceramici non c’è il tratto di deformazione plastica. Lo sforzo di snervamento per i materiali ceramici non viene raggiunto, è troppo alto, sopraggiunge la frattura prima. È semplice sperimentalmente trovare il modulo di Young. Viene utilizzata la propagazione di un’onda acustica all’interno di un materiale. Non dalla curva sforzo deformazione perché otteniamo un valore troppo impreciso. La deformazione può dipendere da un campo di forze ma se un materiale è sottoposto a un campo termico (alziamo la temperatura) attraverso il coefficiente di espansione termica abbiamo una deformazione. Con i materiali piezoelettrici possiamo indurre una deformazione. Costante piezoelettrica. Oppure materiali magnetici. Se poi vado a vincolare, a chiudere il materiale in una posizione precisa, la deformazione termica non avviene ma avviene uno stato di sforzo all’interno del materiale. Posso indurre uno snervamento. ANISOTROPIA: molti materiali hanno comportamento isotropico. Tutti materiali biologici hanno comportamento anisotropo. Energia di coesione: gli atomi sono uniti tra loro da legami che si comportano come delle molle. L’energia di coesione è la misura della forza dei legami. S è la rigidezza dei legami. La rigidezza dei legami determina il valore del modulo elastico E. I materiali ceramici hanno una grossa differenza di comportamento a trazione e compressione. I metalli sono piuttosto rigidi ad alta resistenza con deformazione plastica. Non cambia molto a trazione e compressione. I polimeri hanno modulo 100 volte più basso. Perché i materiali hanno modulo di Young diverso? Dipende dal legame atomico. Se consideriamo gli atomi connessi da un legame come un sistema a molla, abbiamo una certa risposta a trazione e una risposta opposta a compressione. Ottengo una parabola. La forza è proporzionale alla deformazione e alla distanza. Non possiamo modulare la rigidezza di un materiale. I modi per alzare la rigidezza sono creare materiali compositi. La densità dei compositi dipende dalla frazione volumetrica dei materiali che metto. Se invece consideriamo il modulo di un materiale composito dipende da come metto (in serie o in parallelo) il materiale nella matrice. Per abbassare il modulo di Young creo schiume. Riempio di bolle d’aria il materiale. Fai esercizio.

6 marzo 2018, SELEZIONE DEI MATERIALI BASATA SULLA RIGIDEZZA

Esistono tre modi per caricare un materiale:

1. Vincolo con una sezione di taglio circolare caricata in tensione 2. Trave con una sezione di taglio rettangolare caricata in flessione 3. Asta con una sezione di taglio circolare caricata in torsione

Trazione o compressione elastica: la forma della sezione non importa perché lo sforzo è uniforme sulla sezione. Flessione elastica: vedi quaderno. INDICI PER LA SCELTA DEI MATERIALI

7 marzo 2018, RESISTENZA DEI MATERIALI

La RESISTENZA dei materiali: sforzo di snervamento, limite elastico. Ci danno informazioni sul passaggio dal comportamento elastico progettuale a un comportamento diverso magari plastico o fallimento e rottura. Le unità di misura sono quelle dello sforzo. Per analizzare la resistenza si utilizza la curva sforzo-deformazione utilizzata per ricavare la rigidezza. Per i materiali metallici sappiamo che le cose vanno bene se rimaniamo in campo lineare elastico. È difficile capire quando la funzione inizia a curvare. Ci si sposta sull’asse delle deformazioni fino allo 0,2%. Poi si traccia una curva parallela alla retta di deformazione elastica (coefficiente angolare pari al modulo di Young). Quando intersechiamo la curva sperimentale otteniamo lo sforzo di snervamento. (σy) Detto anche sforzo 0,2%. Al di sopra di questo sforzo il materiale manifesta un comportamento plastico. Per i materiali metallici la curva sforzo deformazione ha un tratto lineare e un tratto di deformazione plastica. La curva poi procede. Sono distinguibili altri elementi. -Il valore massimo raggiunto dalla curva è lo sforzo massimo a trazione. Non è molto utile progettualmente perché noi vogliamo limitare gli sforzi in modo che rimangano sotto lo sforzo di snervamento. (σts) -deformazione massima che raggiunge il nostro provino. Per i materiali ceramici abbiamo un comportamento diverso se consideriamo la trazione o la compressione. A trazione il fallimento avviene per valori di sforzo molto bassi. Lo snervamento per i materiali ceramici non viene raggiunto. A compressione ad un certo punto inizia a sgretolarsi. A flessione reagiscono bene. I materiali polimerici hanno comportamenti diversi, inoltre per lo stesso materiale abbiamo comportamento diverso in funzione della temperatura. Sono molto più sensibili alla temperatura rispetto ai metallici. Molto più sensibili anche per la loro temperatura di transizione vetrosa. -Comportamento fragile se lavorano sotto la temperatura di transizione vetrosa. -Comportamento più simile a un metallo man mano che ci avviciniamo alla temperatura di transizione vetrosa. -In corrispondenza della temperatura di transizione vetrosa comportamento elasto plastico -Poi comportamento gommoso. Nei nostri ambiti applicativi è necessario capire se siamo sopra o sotto la temperatura di transizione vetrosa dei materiali polimerici. Il modulo di Young cambia aumentando la temperatura. Il coefficiente angolare della retta tangente alla curva sperimentale per l’origine è simile. Lo sforzo di snervamento per i polimeri tipicamente viene raggiunto a una deformazione dell’1%. Deformazione plastica= deformazione totale del componente meno quella elastica. La DUTTILITÀ è una misura di quanta deformazione plastica un materiale può sopportare. La deformazione plastica dipende dalle caratteristiche geometriche del provino e non è una proprietà del materiale. Un comportamento plastico in molte situazioni è un indice di sicurezza. Soprattutto per i materiali ceramici. Mancando una duttilità manca un elemento di sicurezza nella progettazione specifica. La resistenza dei materiali può essere valutata anche rispetto alla DUREZZA del materiale. In una prova di durezza vado a caricare con una certa forza un indentatore che andrà a incidere sulla superficie del materiale. Poi rimuovendo il carico andrò a valutare l’impronta lasciata dal materiale. Il penetratore può essere a piramide oppure a sfera. Il penetratore lascerà un’impronta se il materiale ha deformazione plastica. Possono succedere cose diverse quando la superficie è diversa rispetto al materiale interno. Le prove di durezza sono comunque valide per valutare la durezza di coating. Per capire il comportamento del coating devo applicare un carico bassissimo in modo da penetrare poco.

RESISTENZA IDEALE Da dove deriva la resistenza dei materiali? Consideriamo degli atomi connessi da un legame visualizzabile come una molla. Se faccio una prova di trazione su questo modellino applico una forza che va ad allontanare dalla distanza di equilibrio questo legame. Si ottiene una curva sforzo deformazione in cui si nota uno sforzo massimo calcolabile. Idealmente la resistenza di un materiale è la forza necessaria per rompere i legami inter atomici. Vale una relazione elastica almeno fino a un certo punto: la forza è proporzionale all’allungamento attraverso la rigidezza del legame. Questo valore massimo di sforzo si ha per un allungamento che è circa un decimo della distanza di legame atomica. Un legame è rotto se è deformato circa del 10% rispetto alla sua lunghezza originale . Quindi la forza necessaria per rompere questo legame è circa uguale alla rigidezza del legame che moltiplica la distanza a riposo della molla fratto 10. Calcolo lo sforzo come forza massima fratto sezione. Trovo che lo sforzo ideale deve essere circa il 10% del modulo di Young. Con studi accurati si trova che la resistenza ideale è uguale al modulo di Young fratto 15. Sono valori elevati. Misuro il rapporto tra sforzo di snervamento e modulo di Young. Trovo un valore che è pari circa a 1/15. I materiali metallici hanno resistenza più bassa di quella teorica. I materiali polimerici invece si avvicinano a quella ideale. I ceramici si allontanano dal valore ideale teorico di resistenza. La struttura è lontana da quella ideale.

DIFETTI DELLA STRUTTURA CRISTALLINA I materiali metallici e ceramici hanno tutti una STRUTTURA CRISTALLINA. Il problema sono i DIFETTI presenti nei reticoli cristallini. I difetti possono avere implicazioni sulla resistenza sul materiale (a parte le vacanze). Ne identifichiamo 4. 1- reticolo cristallino costituito da un’unica tipologia di atomi in cui in alcune posizioni ci sono delle VACANZE. Una vacanza è una parte del reticolo in cui manca un atomo. Non influenzano la resistenza ma hanno influenza sullo scorrimento viscoso ad alta temperatura, diffusione, creep. Hanno un ruolo importante sul processo di sinterizzazione. 2- atomi in posizione diversa rispetto a quella che competerebbe (ATOMI INTERSTIZIALI). Oppure altri atomi che vanno a distorcere il reticolo (ATOMI SOSTITUZIONALI). Formazione di leghe. Sono i difetti che creano SOLUZIONI SOLIDE. Soluzioni solide sostituzionali: gli atomi disciolti sostituiscono quelli dell’ospite. Soluzioni solide interstiziali: gli atomi disciolti si interpongono negli spazi interstiziali tra gli atomi dell’ospite. Gli atomi disciolti raramente hanno la stessa grandezza di quelli del materiale ospite quindi il reticolo risulta distorto. Hanno implicazioni sulla resistenza. 3- DISLOCAZIONI. Sono difetti di linea. Reticolo cristallino interrotto dalla formazione di un nuovo piano di atomi. Sono responsabili del comportamento plastico dei materiali metallici. Formazione di un nuovo semipiano di atomi che distorce il reticolo cristallino. Fanno diventare i metalli deboli e duttili. Se applico uno sforzo di taglio una parte del reticolo va a spostarsi grazie al movimento del difetto di linea, per ottenere un cristallo distorto, plasticamente deformato. Solo i legami lungo la linea di movimento della dislocazione possono rompersi, questo è molto più semplice che rompere tutti i legami del piano. Se non ci fosse il difetto di linea se volessi lo stesso risultato dovrei muovere allo stesso modo tutti i piani del reticolo. Nei cristalli ci sono piani e direzioni preferenziali per cui il movimento delle dislocazioni è più semplice. Se un gran numero di dislocazioni attraversano un cristallo il materiale si deforma macroscopicamente. La deformazione elastica è quella che non comporta deformazioni permanenti. Spostamento coordinato di tutti gli atomi per cui tornano alle posizioni principali. È la presenza dei difetti di linea che abbassa la resistenza dei materiali. Se ho un materiale che é in tensione, la deformazione plastica permanente avviene in ragione del movimento di queste dislocazioni. Nei cristalli ci sono

piani preferenziali e direzioni per cui il movimento delle dislocazioni è più facile. I movimenti delle dislocazioni vanno con un andamento di 45 gradi. Dislocazioni -A SPIGOLO, EDGE DISLOCATION. Le dislocazioni a spigolo sono causate dal taglio, slittamento e ricongiungimento dei legami lungo il piano. La linea di dislocazione separa la parte di piano che è scivolata da quella che non è scivolata. Quando il vettore di slittamento del piano lascia il materiale il cristallo ha subito una deformazione di taglio. -A VITE, SCREW DISLOCATION. In questo caso la parte inferiore è distorta rispetto alla superiore in maniera parallela e non perpendicolare come nelle dislocazioni a spigolo. Il vettore di dislocazione è parallelo alla dislocazione stessa. La presenza dei difetti di linea porta il materiale a non raggiungere gli sforzi ideali. Come possiamo rallentare il movimento delle dislocazioni? Noi possiamo ostacolare il movimento con una sorta di resistenza, un attrito che è intrinseco nel materiale. Rallentiamo il movimento delle dislocazioni. Il modulo di Young è relativo al materiale e non cambia. La resistenza si può modulare, modificare, aumentare con diversi modi. Il modo per RENDERE UN MATERIALE PIÙ RESISTENTE è ostacolare il movimento delle dislocazioni. Esistono diversi metodi: A)Introdurre un elemento di lega. Per esempio carbonio nel ferro. Il movimento delle dislocazioni è ostacolato dalla presenza di questi nuovi atomi. Normalmente gli elementi aggiuntivi della lega sono più grandi rispetto a quelli del materiale puro, rendendo più difficile il movimento delle dislocazioni. (SOLUTION HARDENING) B)Creare dei composti per esempio rame e alluminio dà un composto di dimensioni molto maggiori rispetto sia a rame che a alluminio. Precipitation strength. Il rame forma composti con l’alluminio che danno luogo a particelle di dimensioni superiori che saranno all’ostacolo nel procedere dei difetti di linea. La dispersione è disperdere particelle piccole ma forti in un metallo liquido intrappolandole quando si crea la forma finale. C)Possiamo lavorare sulle dislocazioni. Work hardening. Causato dall’accumulo di dislocazioni entrate dalla deformazione plastica. INCRUDIMENTO. Vado a considerare che il movimento di deformazione plastica è dovuto al movimento delle dislocazioni, vado a creare altre dislocazioni. La densità di dislocazioni è definita come la lunghezza della linea di dislocazione per unità di volume. Se applico una deformazione in campo plastico vado ad aumentare il numero delle dislocazioni. Quindi ostacolo il movimento dei difetti di linea. Se una dislocazione avanza deforma il materiale soprastante il piano di dislocazione creando un piccolo gradino. D) dimensioni della struttura a grani. Una dislocazione per procedere va in una direzione. Se a un certo punto incontra un bordo di grano dovrà superare questo bordo e cambiare direzione. Meccanismo che disperde energia. Quindi avere una struttura a grani rende il materiale più resistente. 4- struttura a GRANI. I difetti di grani si formano quando cristalli orientati in maniera differente si incontrano. I singoli cristalli sono detti grani, le superfici di contatto bordi di grano. Mentre non posso fare nulla per la rigidezza, posso agire sulla resistenza. Posso modulare la resistenza agendo con uno dei meccanismi indicati. Lo sforzo di taglio di un materiale è dato dallo sforzo di taglio intrinseco più altri fattori (per esempio affinamento della struttura a grani). Questi modelli riguardano un singolo cristallo caricato attraverso forze di taglio. Vedi su slide calcolo dello sforzo di taglio. Tutto ciò ci serve per capire che i materiali metallici hanno una resistenza molto variabile in funzione della loro storia. Per esempio: se abbiamo alluminio puro, che

meccanismi di rinforzo posso applicare sul materiale? Possiamo applicare una deformazione plastica. Aumento il numero dei difetti di linea, si ostacoleranno e la deformazione sarà rallentata da una precedente deformazione plastica. Componenti forgiati (processo produttivo che riguarda lo stampaggio) a bassa temperatura permette di cambiare la forma ma non troppo e resistenza maggiore. La forma può essere cambiata ma non troppo perché man mano che deformo il materiale si rinforza e oppone maggiore resistenza alla deformazione. Il materiale da duttile diventa meno duttile. Se pensiamo invece a delle leghe abbiamo la possibilità di aumentare la resistenza attraverso processi di alligazione. Gli acciai inossidabili hanno la forma austenitica. Quindi alla fine non possiamo aumentare la resistenza con un processo di alligizione. Possiamo utilizzare solo l’incrudimento. Il materiale diventa meno duttile e più fragile. Allungamento a rottura: deformazione plastica ulteriore. Ci sono dei processi per cambiare forma ai materiali. Stato ricotto: portato a una temperatura e poi raffreddato. Non serve per cambiare la resistenza ma la forma. Ottengo un materiale diverso ma con proprietà differenti dopo un processo di incrudimento. Il modulo di Young non cambia. Lo sforzo di snervamento e maggiore perché la curva sta rettilinea per un tratto più alto. Anche lo sforzo massimo e più alto. Nettamente più bassa anche la deformazione residua che posso praticare. Se faccio un trattamento di ricottura mi porto alle condizioni originali di partenza. Nel caso di acciai inossidabili austenitici impiantabili l’incrudimento è un modo per aumentare la resistenza da 200 MPa a 900 MPa. Il materiale di partenza ricotto non sarebbe utilizzabile perché troppo poco resistente. Possiamo passare da un materiale allo stato puro a un materiale legato. Per esempio titanio utilizzato in odotoiatria. In ambito ortopedico titanio puro non è utilizzato perché troppo poco resistente. Quando è legato ha una resistenza maggiore. La rigidezza è sempre la stessa, il coefficiente angolare non cambia. Ciò che posso modulare e cambiare tanto è la resistenza. Un materiale è tanto più tenace quanto maggiore è l’area sottesa dalla curva sforzo deformazione. Aumentando l’altezza diminuisce anche l’area sottesa. Quindi un materiale più resistente è anche un materiale meno tenace. Un aumento nella rigidezza sempre si traduce anche in una riduzione in duttilità.

9 marzo 2018, SELEZIONE DEI MATERIALI BASATA SULLA RESISTENZA

I materiali in molte situazioni devono lavorare in campo elastico. In altre situazioni può essere conveniente superare questo sforzo di snervamento. Per esempio nel caso di conduttività. Oppure per questioni legate alla sicurezza. Con deformazione plastica un materiale è in grado di assorbire energia. I materiali non plastici creano nuove superfici con questa energia, non la assorbono plasticamente. —Se abbiamo un tirante, il calcolo dello sforzo è semplice e vogliamo che sia minore dello sforzo di snervamento. —Quando abbiamo flessione (asta soggetta a due momenti) l’asta è soggetta a sforzo di trazione e di compressione che possono essere calcolati conoscendo sezione e forza applicata all’esterno. Lo sforzo massimo è calcolato dal rapporto tra momento per distanza e momento di inerzia. Se lo sforzo massimo che calcoliamo è minore dello sforzo di snervamento, le cose vanno bene. Se invece ci avviciniamo, andiamo in campo plastico e il materiale si comporta come una cerniera. Ho una deformazione plastica. Se aumento lo sforzo ottengo una sorta di completa deformazione plastica della sezione e quindi una sorta di cerniera plastica. In un materiale ceramico invece ho la rottura. Avere una deformazione plastica è anche utile perché il materiale inizia a deformarsi prima di arrivare a rottura.

Esiste anche uno Zp che è il MODULO DI SEZIONE PLASTICA. —Nel caso di alberi o molle sollecitati a torsione ho sforzi di taglio. Ho la possibilità di calcolare lo sforzo massimo di taglio che sarà proporzionale alla forza applicata per il raggio della sezione fratto il momento polare dell’area. NB: lo sforzo non dipende dal materiale. È ciò che calcoliamo dal rapporto tra forza e sezione. Poi dovrà essere confrontato con lo sforzo di snervamento a taglio ammissibile del materiale (che è lo sforzo assiale fratto due). —Poi abbiamo altre situazioni più complesse. Ad esempio quando c’è uno sforzo di contatto. Sfera che appoggia su un piano in un punto. Per caricare maggiormente abbiamo bisogno di materiali che siano più resistenti o più duri. —Quando ho cambiamenti di sezione nella geometria: alla fine mi occupo solo della sezione più piccola. In realtà nella zona di passaggio, se il raggio di curvatura è piccolo, dovrò considerare una intensificazione degli sforzi. Lo sforzo reale massimo che può avvenire è uguale allo sforzo nominale che moltiplica un fattore di intensificazione degli sforzi. Il fattore α dipende da come è applicato il carico. α moltiplica le dimensioni caratteristiche del passaggio da una sezione all’altra fratto il raggio di curvatura. Maggiore è il raggio di curvatura minore è il fattore di intensificazione degli sforzi. Nella zona di passaggio posso avere sforzi notevolmente più alti rispetto alla sezione nominale. Vedi indici per la selezione di un materiale. Uso che facciamo per selezionare il materiale prima di calcolare la forza, la sezione. Per la PROTESI D’ANCA per esempio: uso titanio puro o lega di titanio? La sezione è limitata, la geometria è già data. La selezione deve essere nel rispetto del limite dello sforzo di snervamento. La stessa cosa vale per una lamina soggetta a sforzi di flessione. Per scegliere la resistenza o aumento lo spessore h oppure minimizzo la massa. Trovo l’indice da massimizzare per progettare il materiale per la lamina più leggera flessibile e più resistente flessibile. Terzo caso vedi formula. Di tutti i questi indici facciamo il logaritmo e inseriamo in un grafico le rette che rappresentano questi logaritmi. La logica è la stessa della rigidezza. Salta slide dopo su plasticità. Tutti i materiali che sono toccati dalla stessa linea hanno la stessa performance rispetto alla variabile descritta dalla retta. Posso avere anche dei VINCOLI da porre sulla resistenza di un materiale. Per esempio protesi d’anca. Titanio o lega di titanio? Devo raggiungere 300 MPa come sforzo massimo. Quindi devo escludere i materiali che abbiano sforzo di snervamento minore di 400 MPa. L’ottimizzazione, la ricerca del materiale migliore per la banda di flessione, la farò considerando altri materiali.

13 marzo 2018, TENACITÀ E FATICA

La resistenza misura la resistenza del materiale alla deformazione plastica. (Strength) Sforzo di snervamento e limite elastico sono le grandezze che abbiamo considerato. La TENACITÀ invece misura la resistenza del materiale alla frattura, ovvero la resistenza del materiale alla propagazione di una cricca. Se il materiale va incontro a deformazione plastica ha superato lo snervamento. Se invece due pezzi si separano anche senza deformazione plastica allora si parla di tenacità. Resistenza che un materiale con un opportuno intaglio oppone all’impatto. Quanta energia è necessaria per portare a frattura il materiale? Esempio nastro adesivo marrone per imballaggi e nastro isolante. I materiali sono diversi e hanno comportamento diverso per quanto riguarda la tenacità a frattura. Magari hanno la stessa resistenza perché hanno entrambi deformazione plastica. Invece le tenacità sono diverse. Se faccio un taglietto nel primo nastro adesivo ho tenacità più bassa.

Le cose vanno male (si va a rottura) se c’è qualche difetto, cioè se c’è una cricca che può propagarsi. Presenza di un intaglio, di una cricca che deve essere acuminata. Per esempio tiro un campione, sforzi di trazione, calcolabili come forza/superficie. In prossimità della cricca cosa succede? Man mano che mi avvicino alla punta della cricca ho un aumento locale dello sforzo. Lo sforzo locale è uguale allo sforzo nominale (forza fratto sezione) più un’altra entità che dipende dalla distanza dalla punta della cricca ma anche da fattori numerici e dallo sforzo nominale. C è la lunghezza della cricca. Quindi dipende dalla cricca stessa. Si ha rottura quando K1 (che e il numeratore dell’entita) va a uguagliare un valore critico. Questo K1c è ciò che ci serve per valutare la tenacità a rottura. Questo valore si ottiene facendo delle prove. Vado a determinare lo sforzo per il quale parte la cricca e si ha la frattura. Se aumento le dimensioni della cricca la frattura avviene a uno sforzo più basso. K1c è una proprietà del materiale. È una proprietà del materiale. Ovviamente la lunghezza della cricca deve essere molto minore delle dimensioni del provino. Questa è la tenacità a frattura dei materiali. La modalità 1 di intensificazione degli sforzi si verifica se c’è un carico normale alla cricca. La cricca si propaga se il fattore di intensificazione degli sforzi va oltre un valore critico. Questo valore critico è detto tenacità a frattura. Quindi troviamo il range tipico della tenacità a frattura dei materiali. Per un vetro per esempio, se voglio romperlo, creo una cricca e poi applico uno sforzo basso. Infatti i ceramici arrivano a frattura per difetti di tenacità. Un altro parametro Gc, indica la capacità di assorbire energia in campo elastico. Gc per i materiali ceramici è molto basso perché il denominatore è alto. Invece per i polimeri hanno tenacità a frattura bassa, ma più alto Gc. Questo dice della differenza di comportamento tra polimeri e ceramici. CRICCHE E DEFORMAZIONE ELASTICA Cosa succede ai materiali che vanno in deformazione plastica? Cosa succede alla punta della cricca? Lo sforzo locale cresce man mano che mi avvicino all’apice della cricca. Se un materiale va incontro a deformazione plastica, all’apice della cricca ho snervamento. Raggiunge il valore di snervamento e lo sforzo rimane uguale allo snervamento e questo fa in modo che l’apice della cricca incominci ad allargarsi. Quindi un materiale che si deforma plasticamente è anche tenace. Se siamo lontani dalla cricca lo sforzo è quello nominale (forza fratto sezione); man mano che ci avviciniamo aumenta fino ad arrivare allo sforzo di snervamento. Per cricche che hanno lunghezza superiore a un valore critico, il materiale si rompe. Quindi dipende dalle tecnologie. Se riesco a produrre un materiale con pochi difetti, a parità di K riesco a raggiungere valori di sforzi più elevati. La lunghezza critica è molto bassa per i materiali ceramici e anche per i polimeri. Invece per i metalli è molto alta. Raggiunge anche valori di metri. I metalli hanno un’ampia zona plastica, mentre i ceramici piccola o nulla. Per i compositi posso modularlo. Perché mettendo fibre di vetro nei polimeri aumenta la tenacità? Perché diminuisce la probabilità di trovare difetti. Approccio statistico. La dimensione della lunghezza della cricca critica per un dato materiale guida la transizione tra snervamento e rottura. Per una lunghezza della cricca minore di Ccrit il materiale va incontro a snervamento, per una lunghezza maggiore, va incontro a frattura. Le lunghezze critiche delle cricche sono una misura della tolleranza al danno di un materiale. I metalli sono in grado di contenere larghe cricche ma vanno incontro a snervamento in una maniera predicibile duttile.

I ceramici contengono sempre piccole cricche, falliscono in maniera friabile allo sforzo molto sotto il proprio sforzo di snervamento. I polimeri possono essere tenaci ma i difetti più piccoli di 1mm possono causare fallimento. Per i materiali che non vanno incontro a deformazione plastica? Lo sforzo si alza sempre di più, arrivo a sforzi molto elevati che vanno a separare il legame atomico. Arrivo quindi alla resistenza ideale di legame. La cricca aumenta e sentiamo addirittura uno scoppio, che è la velocità che ha superato quella del suono. La progressione della cricca aumenta il K1 causando accelerazione della cricca sopra la velocità del suono. Per i materiali che vanno incontro a deformazione plastica: rottura duttile. Un materiale che ha una alta tenacità a frattura. Il materiale contiene delle inclusioni che agiscono da concentrazione di sforzo se caricate. Le inclusioni si separano dalla matrice causando dei buchi. Se esagero separo anche i due lembi. I vuoti vanno a incontrarsi e portano alla separazione dei due lembi. Quindi si distingue frattura duttile e frattura fragile. Cricca per materiale duttile. La cricca va nella zona di deformazione plastica. I vuoti vanno a unirsi. Nella zona plastica l’apice della cricca non sarà più localizzato. La plasticità riduce la severità della concentrazione degli sforzi. La deformazione plastica assorbe energia aumentando Gc. Nei materiali metallici abbiamo visto che la resistenza è modulabile. Se alzo molto lo sforzo di snervamento però diminuisco la tenacità. Devo fare un rinvenimento perciò. Se abbasso la temperatura alcuni acciai e i polimeri infragiliscono e la loro frattura da duttile diventa fragile. Altri materiali metallici non sono toccati da questo abbassamento di tenacità. Quindi esiste una temperatura di transizione tra rottura duttile e rottura fragile. Esempio PMMA. Ha una temperatura di transizione superiore alla temperatura ambiente e alla temperatura corporea. Quindi ha comportamento fragile. UHMWPE non ha grossi problemi di tenacità a frattura. Poi subentrano altri problemi che vanno a infragilire il materiale. In una lega le impurità si trovano normalmente sui bordi di grano, questo porta a una rete a bassa tenacità che può andare incontro a frattura fragile. Nella struttura a grani se una cricca procede, procede preferenzialmenfe lungo il bordo del grano. Ruolo dei difetti anche nella propagazione di cricche. È necessario un trade off tra tenacità e resistenza. Aumentare lo sforzo di snervamento significa diminuire la zona plastica attorno alla cricca e quindi diminuire la tenacità. Diagramma di Ashley che mette in relazione tenacità a frattura rispetto a sforzo di snervamento. Posso aumentare la resistenza del materiale. In certe situazioni aumento la resistenza ma diminuisco la tenacità. Ma ci sono possibilità di aumentare la resistenza lasciando invariata la tenacità. I materiali polimerici possono essere riempiti da ADDITIVI che cambiano le proprietà. Additivi che aumentano la tenacità e la rigidezza. Nelle applicazioni biomediche gli additivi sono un problema. Hanno indirettamente problemi di biocompatibilità ancora prima della tossicità. Per applicazioni industriali questo problema non c’è. La tenacizzazione per i materiali compositi come avviene? La cricca procede fino a che incontra una fibra di rinforzo. La scavalca nel punto in cui esiste un difetto nella fibra di rinforzo. Quindi il percorso della cricca è più lungo. Quindi con i compositi tenacizzo il materiale. Per un alluminio la tenacità a rottura è tra 18 e 35, (vedi CES). Ora prendiamo un vetro, un borosilicato. La sua tenacità a frattura è tra 0,5 e 0,7. Materiali ceramici innovativi raggiungono

valori di tenacità lari a 5-7 MPa, che sono elevatissimi per essere ceramici. MA con una lega per esempio di cromo cobalto molibdeno ho tenacità a frattura di 70.

RESISTENZA A FATICA

Tutti i dispositivi biomedici sono sollecitati dinamicamente. Tre modi di applicare carichi dinamicamente: -sollecitazioni di ampiezza molto bassa per esempio vibrazioni acustiche. Non danno grossi problemi sulla performance dei materiali. In alcune tipologie di protesi ceramica-ceramica però danno problemi di rumore. Piccole vibrazion acustiche che danno problemi di fallimento non del materiale ma della protesi stessa. A livello meccanico ci interessano poco. -alto numero di cicli sotto lo sforzo di snervamento. Sforzi in trazione e compressione attorno allo zero. Visto che siamo sotto lo sforzo di snervamento dovremmo essere in campo elastico. Esempio tipico di quando cammino. -basso numero di cicli ad alta ampiezza. In questo caso supero lo sforzo di snervamento ma sono sotto la rottura. Applico questo sforzo per esempio quando quando continuo a muovere il filo di ferro e questo a un certo punto si romperà. Diventa un materiale meno tenace. Prima la cricca non era un problema poi lo diventa. Ciò che ci interessa di più è il secondo caso. Alto numero di cicli ci ampiezza limitata. Esempio aereo che atterra. Le ali sono sollecitate a compressione. Quando decolla diventa trazione che però non è statica. Anche in fase di crociera ho sempre delle vibrazioni. Se ho turbolenze ho valori anche molto elevati di ampiezza di questi sforzi. Oppure la masticazione. I carichi sono ben al di sotto dello sforzo di rottura in trazione e compressione del materiale ma in numero molto elevato. Questa numerosità di sforzi può portare al fallimento del componente. LA FATICA DIPENDE DALL’AMPIEZZA DELLO SFORZO E DAL NUMERO DI CICLI. Per cui si costruiscono sperimentalmente delle curve in cui si graficano il numero di cicli e lo sforzo di fallimento. Quando applico un solo carico lo sforzo di fallimento è lo sforzo massimo. Posso pensare di vedere qual è lo sforzo di fallimento quando applico 10 cicli. È più basso. E così via aumentando il numero di cicli. Questa curva sperimentale consente di determinare il limite di fatica. Devo quindi scegliere il materiale prevedendo quanti cicli considerare per l’utilizzo del dispositivo. Non sarà più uguale allo sforzo di snervamento ma più basso. Progetto sul limite di fatica. Esistono MODELLI PREDITTIVI. Il comportamento a fatica di un materiale può essere descritto da un modello che va a rappresentare quello sperimentale. Due rette: una più pendente e una meno pendente. Quella più pendente è quella con basso numero di cicli. Quella meno pendente è quella con numero di cicli più elevato. A volte la stessa curva sperimentale è stata ricavata sollecitando con una sinusoide. Quindi alla fine so com’è il comportamento in quel caso li. Nella realtà potrei avere solo trazione. O solo compressione. Quindi c’è la possibilità di trovare lo sforzo in quel caso. (No formule). SFORZO A FATICA DELLE CRICCHE Mettiamo insieme comportamento dinamico con la presenza di cricche, ossia con la tenacità a rottura. Andiamo a sollecitare dinamicamente un materiale con bassa tenacità a rottura. Sta succedendo qualcosa alla cricca. Il materiale ha un fattore di intensificazione degli sforzi che cambia in funzione dello sforzo applicato. Questo lo sapevamo già. In realtà cambia anche il Kmassimo. Aumenta. La cricca non sta ferma, aumenta di dimensioni. C ha una sua deriva e va a aumentare il Δk. Aumenta progressivamente la lunghezza dei difetti stessi. Il problema è quando il fattore di intensificazione degli sforzi raggiunge il K1c. Si arriva a rottura. Nella progettazione di problemi complessi devo assumere che ci sono dei difetti, sto applicando un carico dinamico. Nella realtà ho cricche che aumentano di dimensioni. MA questo aumento è controllato, è progressivo. Se σ è molto basso non ho problemi. Per certi valori di Δk non succede nulla. Invece se

aumenta la cricca inizia a progredire fino a che si arriva a frattura. Considero questa crescita controllata della cricca. Legge di Paris. In termini generali la resistenza a fatica per famiglia di materiali dipende da resistenza tensionale. Quando ho un alto numero di cicli sotto lo sforzo di snervamento l’apice della cricca è soggetto a una deformazione plastica di cui posso anche calcolare il raggio. Ogni ciclo aumenta di un po’ questa deformazione. Se invece supero lo sforzo di snervamento la progressione è più marcata. Non riusciamo a trovare una buona corrispondenza con lo sforzo di snervamento. Gli sforzi massimi sono sulla superficie. Quindi posso aumentare la resistenza a fatica facendo trattamenti sulla superficie. Vado a creare sulla superficie uno strato di compressione che va a cambiare la possibilità di far procedere la cricca. Quindi ho un vantaggio. Tra una superficie liscia e una rugosa ciò che cambia sono i difetti. Quindi una superficie liscia va meglio per aumentare la resistenza a fatica. Tolgo i difetti superficiali e aumento la resistenza superficialmente. FALLIMENTI DOVUTI A TENACITÀ A ROTTURA O RESISTENZA A FATICA, INDICI. Vedi quaderno. I difetti possono essere interni, superficiali. Interni con una flessione, trasversale. Per tutti è tabulata la possibilità di calcolare il fattore di intensificazione degli sforzi. Esempio delle proprietà meccaniche del UHMWPE. Sono sicuro che le proprietà del materiale vergine sono mantenute anche nel dispositivo? Devo fare prove specifiche sul dispositivo in cui il problema sono le dimensioni. Se devo verificare la coppa acetabolare è inutile avere un provino a osso di cane. Faccio prove biassiali di un dischetto di polietilene. Vado a vedere qual è la forza che oppone allo spostamento. Prova biassiale. Questo perché UHMWPE in funzione dei trattamenti che ha subito e in funzione del tempo in cui ha lavorato può cambiare in modo significativo le proprie caratteristiche/ proprietà. Il concetto è che le proprietà degradano in maniera significativa. Altre tecniche possono essere utilizzate per sviluppare nuovi materiali.

14 marzo 2018, METALLI PER APPLICAZIONI ORTOPEDICHE

PROTESI D’ANCA: rispetto ad altri dispositivi impiantabili, una protesi d’anca racchiude in sè requisiti piuttosto severi. La protesi d’anca è costituita da uno stelo femorale che si inserisce nel canale femorale. È collegato a una testina, che è un pezzo separato, che andrà a articolare su una coppa acetabolare fissata sull’osso del bacino. Permette di ripristinare l’attività deambulatoria. PROTESI DI GINOCCHIO: componente che va a inserirsi nell’anca che articola nel piatto tibiale. Una tipica protesi di ginocchio è costituita da un componente femorale metallico che ruota/ trasla su un inserto in UHMWPE; un piatto tibiale, metallico che supporta l’inserto sagomato in UHMWPE. Contrariamente alle protesi d’anca, la maggior parte delle protesi di ginocchio hanno una forma simile, differenziandosi in primo luogo per il modo in cui i due componenti tibiale e femorale sono fissati all’osso. Più complesso perché il ginocchio è più articolato. Anche i problemi relativi ai materiali sono più complessi. Altre protesi articolari sono di interesse minore perché sono meno utilizzate ma dal punto di vista biomeccanico non sono problemi semplici. Protesi CEMENTATE e NON CEMENTATE: PMMA polimerizzato in loco. Le protesi cementate sono in uso dagli anni ‘60, in esse lo stelo protesico viene inserito all’interno del canale diafisario del femore interponendo del cemento osseo come materiale di riempimento. Le protesi non cementate sono in uso dagli anni ‘80 e sono oggi di maggior interesse perché il 90% delle protesi del mercato attuale sono non cementate in cui la fissazione tra elementi metallici è conseguita non

attraverso cementazione. Alla fine consistono nell’interconnettere il tessuto osseo neo formato alla superficie del metallo. Prevedono l’osteointegrazione diretta tra stelo e osso mediante particolari finiture o depositi superficiali tra cui: -idrossiapatite (HA) -biovetri -microsfere sinterizzate -irruvidimento mediante plasma spray o sabbiatura grossolana. Poi ci sono PROTESI IBRIDE. (Stelo cementato, metal back non cementato). Le operazioni di protesi d’anca e di ginocchio sono con un approccio statistico delle operazioni di successo. Ma fattori legati alla storia clinica del paziente, alla tipologia della protesi e ai materiali che la compongono, possono determinare nel tempo il fallimento e rendere necessaria una revisione. La vita media di una protesi d’anca in genere è inferiore della aspettativa di vita del paziente. Il problema nell’analizzare se le cose vanno bene o male è che ci si deve riferire a protesi impiantate 10/15 anni fa. Fino a un po’ di tempo fa le protesi cementate erano quelle con vita media superiore di quelle non cementate. Oggi la durata è simile. Sono però dati in evoluzione e il problema è che ci si riferisce a dispositivi vecchi di 10/15 anni. ARTICOLAZIONI ARTIFICIALI: l’articolazione femorale è un giunto sferico, una TESTINA che può essere metallica o ceramica. Come metallo solitamente si usa leghe di cobalto o acciaio inossidabile. Come ceramiche si utilizza allumina oppure allumina rinforzata da altri ossidi. Per le COPPE ACETABOLARI si utilizzano tutti e tre i tipi di materiali. L’uso più diffuso è dell’UHMWPE. Quasi tutti i produttori lo fanno reticolato con antiossidanti. Esistono anche coppe metalliche (fatte con leghe di cobalto) ma stanno scomparendo soprattutto in Europa. Sopravvivono un po’ negli Stati Uniti. Ma non sono molto adatte. Poi ci sono protesi di tipo ceramico-ceramici in cui sia testina che coppa sono in ceramica (allumina o allumina tenacizzata). La coppa esterna (METAL BACK) è costituita da gusci metallici che vanno a fissarsi nell’osso del bacino e contengono la componente di polietilene o ceramica che contiene il giunto sferico. Il guscio può essere cementato o non cementato.

MATERIALI POSSIBILI Selezionare i materiali significa considerare le proprietà richieste. -Proprietà meccaniche, -Proprietà di resistenza all’ambiente (DURABILITÀ): si dice CORROSIONE per i materiali metallici e durabilità se parliamo di materiali ceramici o polimerici. -Proprietà di biocompatibilità: è più difficile da definire, capire e utilizzare. Interazione positiva o negativa con il tessuto biologico. Vedi su quaderno requisiti per un biomateriale per stelo di protesi d’anca.

RESISTENZA MECCANICA Prendiamo uno stelo di protesi d’anca. Per avere pari resistenza meccanica rispetto all’osso la resistenza allo snervamento della protesi deve essere 5/7 volte quella dell’osso per problemi di differenza di sezione. Le dimensioni di un impianto ortopedico sono nettamente inferiori rispetto all’osso che devono sostituire o supportare. La resistenza di un mezzo di osteosintesi deve essere 7 volte quella dell’osso, quella di uno stelo deve essere 5 volte quella dell’osso. Quindi visto che la resistenza dell’osso è 130 MPa, uno stelo deve avere uno snervamento di almeno 650 MPa e un mezzo di sintesi di almeno 900 MPa.

RIGIDEZZA

Vedi conti su rigidezza di osso e impianti sostitutivi. Per avere pari deflessione lo stelo della protesi d’anca deve avere un modulo di Young 4/6 volte superiore a quello dell’osso. Un mezzo di osteosintesi invece 20-30 volte superiore rispetto a quella dell’osso. Visto che il modulo dell’osso e 17-18 GPa, quello del metallo deve essere tra 90-230 GPa.

RESISTENZA A FATICA E TENACITÀ L’osso è un sistema in grado di rigenerarsi e pertanto non è suscettibile a fatica e eventuali microfessurazioni possono essere riassorbite. I materiali sintetici non si rigenerano e devono pertanto avere capacità di sopportare microfessurazioni molto superiori a quella dell’osso. Vedi tabella caratteristiche meccaniche dei materiali. Quale classe di materiali posso utilizzare per uno stelo di protesi d’anca? Oggi solo i materiali metallici possiedono proprietà di rigidezza, resistenza meccanica e tenacità a frattura che li rendono utilizzabili come sostituti dell’osso. In realtà potrebbero essere utilizzati anche materiali compositi ma altre problematiche devono essere risolte. (Compatibilità biologica, degrado,...). TRASFERIMENTO DEL CARICO IN PROTESI NON CEMENTATE Per protesi cementate e non cementate il requisito di rigidezza non è lo stesso. Per protesi non cementate: steli che hanno elevata rigidezza ma non troppo superiore a 300 MPa per problemi di STRESS SHIELDING. In presenza di uno stelo rigido, il carico applicato (5-6 volte il peso corporeo) si trasferisce dallo stelo all’osso essenzialmente in zona distale. In condizioni di stress shielding, nelle protesi non cementate, l’osso in zona prossimale, meno sollecitato rispetto alle condizioni fisiologiche, tende a riassorbirsi. Ciò può portare a una mobilizzazione dello stelo, con anche possibili insorgenze di fenomeni di fatica localizzati al terzo distale dello stelo. Steli diritti e non anatomici tendono a innescare fenomeni di stress shielding. Per contenere il problema dello stress shielding si possono progettare steli non cementati poco rigidi, dalla geometria anatomica e con: -basso momento di inerzia (dimensioni contenute) -basso modulo di elasticità (lega in titanio, 110 GPa) -rivestimenti osteoconduttori in zona prossimale: per favorire una fissazione prossimale anziché distale, e minimizzare stress shielding e rischi di rottura per fatica. TRASFERIMENTO DEL CARICO IN PROTESI CEMENTATE In generale si ritiene che in presenza di uno stelo poco rigido, il carico applicato si trasferisce dallo stelo al cemento essenzialmente in zona prossimale. In tale situazione il cemento in zona prossimale potrebbe essere eccessivamente sollecitato e frammentarsi per fenomeni di fatica. Ciò può determinare una progressiva mobilizzazione dello stelo. Gli steli cementati in lega di titanio falliscono maggiormente degli steli in leghe di cromo cobalto molibdeno. Il problema del titanio da non utilizzare da protesi d’anca cementate in realtà non è tanto legato alla bassa rigidezza ma c’è chi pensa che il problema sia dovuto alla scarsa resistenza della superficie del titanio e micromovimenti della superficie portano a rilascio di detriti. Il titanio soffre di questi problemi di superficie, ha scarsa resistenza allo sfregamento. La rigidezza dipende in gran parte dal momento di inerzia (sezione): un piccolo aumento del diametro comporta un grande aumento del momento di inerzia e della rigidezza del sistema (quindi anche il titanio potrebbe andare bene). Il problema degli steli metallici poco rigidi è la bassa durezza e resistenza del film di ossido di titanio superficiale. Protesi cementate in titanio soggette a micromovimenti e microsfregamenti potrebbero andare incontro al degrado del film di ossido superficiale, con formazione di detriti e innesco di problemi per il manto di cemento.

Una protesi cementata deve essere liscia o rugosa? Nelle protesi cementate è meglio utilizzare uno stelo liscio perché il carico deve passare dallo stelo all’osso attraverso il cemento e le cose funzionano bene se ho sforzi di compressione. Se avessi superfici rugose avrei sforzi di taglio. In sintesi si ritiene che gli steli cementati debbano essere rigidi pertanto dovrebbero avere: -alto momento di inerzia: dimensioni non eccessivamente contenute -alto modulo di elasticità: in lega di cobalto (230 GPa) -superficie liscia: per favorire substidenza e fare si che la sollecitazione all’interfaccia commento/osso sia di compressione e non di taglio.

DEGRADO OSSIDATIVO E CORROSIONE DEI MATERIALI METALLICI NEL CORPO UMANO: Dal punto di vista della resistenza al degrado, l’utilizzo dei metalli può comportare dei problemi: ossidazione, corrosione e degrado nel tempo. Nel corpo umano non sono corrodibil solo i metalli nobili (perché il metallo è più resistente del proprio ossido). MA i metalli nobili (per esempio oro e platino) non sono utilizzabili perché non hanno le proprietà meccaniche adatte (oltre a un problema di costo). Tutti gli altri materiali metallici sono termodinamicamenre suscettibili di corrosione nell’ambiente corpo umano. Dobbiamo fare i conti con problemi di corrosione. OSSIDAZIONE DEI METALLI L’ossidazione è connessa a un processo elettrochimico. Passaggio da un metallo in forma di ione a un ossido. Processo di passaggio di carica. Perché un metallo possa ossidarsi vorremmo un passaggio di carica dal metallo alla superficie. Aumentando la temperatura, anche a secco, l’ossidazione dei metalli aumenta, anche se non necessariamente può essere un problema. L’ossidazione è governata dall’energia libera di ossidazione. Alti livelli di energia non determinano automaticamente un problema di degrado ossidativo: dipende dalla natura del film superficiale che si forma. Se l’ossido che si forma è un conduttore le cariche possono passare perciò c’è una formazione di ossido sulla superficie (diffusione interna dell’ossigeno) e il metallo degrada con velocità costante. Se invece l’ossido è un buon isolante gli elettroni non possono passare quindi isola il metallo dall’ossigeno e può avere una natura protettiva. Quindi l’ossido si forma all’interfaccia tra metallo e ossido già formato. Se l’ossido che si forma è un buon isolante ed e impermeabile all’ossigeno, blocco l’ossidazione. È ciò che avviene per i MATERIALI INOSSIDABILI. Se il film di ossido che si forma è aderente, compatto, impermeabile all’ossigeno e buon dielettrico allora è un ossido protettivo e rallenterà la propagazione dell’ossidazione. I materiali che creano alla superficie questi ossidi protettivi sono materiali che si comportano bene all’ossidazione. Se il film di ossido è compatto e non si scaglia/ crepa, risulterà protettivo, separando il metallo dall’ossigeno, e prevenendo l’ulteriore ossidazione del metallo sottostante (la velocità di ossidazione tenderà a diminuire). Anche se l’energia libera presente comporta ossidazione (termodinamica favorevole all’ossidazione), la velocità del processo (cinetica) comporta di fatto una protezione dell’ulteriore ossidazione. Perchè l’ossidazione avvenga, ioni metallici ed elettroni devono diffondere attraverso il metallo, o l’ossigeno dall’esterno deve diffondere verso l’interno. Se il film che si forma è isolante elettrico, gli elettroni non possono diffondere, e la reazione (l’ossidazione) continua solo se l’ossigeno riesce a diffondere all’interno del metallo insieme a delle “buche elettroniche”. La diffusione dell’ossigeno dipende anche dalla temperatura: maggiore è la temoeratura, maggiore è la diffusione dell’ossigeno e maggiore sarà l’ossidazione. Se il titanio e le leghe di titanio formano questo film, se alzo la temperatura oltre 500-600 gradi allora ho dei problemi. La fusione del titanio e delle leghe del titanio è estremamente difficile. Ma

per le nostre applicazioni, a bassa temperatura, le cose vanno estremamente bene anche per il titanio. RESISTENZA ALL’OSSIDAZIONE: nelle applicazioni ad alta temperatura (sopra i 400 gradi), quando è favorita l’ossidazione, si deve predisporre la protezione dei metalli: -con rivestimenti (smalti vetrosi o ceramici, ossidi). Se i rivestimenti si rompono o si staccano, l’ossidazione potrebbe riprendere: devono essere applicati tenendo conto delle condizioni meccaniche di funzionamento. -utilizzando leghe contenenti elementi che formano ossidi protettivi e in grado di autoripararsi se danneggiati: se aggiunti ai metalli per fare delle leghe Cr, Ti, Si, Al possono formare ossidi stabili e protettivi. Anche se estremamente sottili, impediscono il processo d8 conduzione elettronica e di diffusione dell’ossigeno. Cosa succede se rovino questo ossido superficiale? Si riforma automaticamente. Gli acciai inossidabili, il titanio e le sue leghe, l’alluminio e le sue leghe, la ghisa con il silicio sono esempi di materiali con ossidi protettivi. CORROSIONE DEI METALLI IN AMBIENTI ACQUOSI Cosa succede in acqua? L’acqua anche pura ha un notevole potere corrosivo. I fluidi biologici contengono oltre a acqua altri ioni che enfatizzano la corrosione. In particolare ioni cloro. I meccanismi di corrosione del metallo sono processi elettrochimici che coinvolgono il passaggio di cariche. I meccanismi di corrosione dei metalli indotta da acidi è un fenomeno elettrochimico (presuppone quindi il passaggio di ioni e cariche). Gli ambienti acidi (alta concentrazione di H+) stimolano questa reazione. Quando un metallo è posto in acqua salata, tenderà a dissociarsi in ioni portati in soluzione e ad accumulare elettroni fino a raggiungere un equilibrio. Si può misurare il potenziale elettrico di questo equilibrio, riferendosi al potenziale dell’idrogeno. Si possono mettere in scala i materiali metallici e ordinare secondo i potenziali standard. Alcuni materiali, quelli nobili, sono termodinamicamenre immuni dalla corrosione quindi hanno potenziale altissimo. Altri materiali fanno passare tanti ioni in soluzione e accumulano tanta carica. Una lamina di ferro che sta a potenziale -0,5 cosa fa? Se colleghiamo elettricamente due metalli posti nella stessa soluzione, si ha passaggio di corrente dal metallo a potenziale più basso (anodo) a quello a potenziale più alto (catodo), con conseguente passaggio in soluzione di ioni dell’anodo. In una soluzione di solfato di rame collego una lamina di rame a una lamina di ferro. Degli elettroni si spostano e vanno nella lamina di rame che utilizza quesi ioni per ridurre il rame. Se la soluzione non contiene sali, ma contiene ossigeno disciolto, si può avere comunque passaggio di corrente, dissoluzione del metallo meno nobile (con potenziale più basso) e idrolisi dell’acqua. Acqua più ossigeno dà luogo a un processo di idrolisi. Il ferro si corrode, il rame no. Collegare metalli diversi in acqua non è una buona idea, il metallo con potenziale più basso può corrodersi. Cosa succede se non collego il rame? Anche uno stesso metallo in acqua contenente ossigeno può andare incontro a corrosione per aerazione differenziata. L’ossigeno è presente maggiormente in superficie, e questo determina corrosione del metallo nelle zone meno ossigenate e idrolisi dell’acqua nelle zone con maggiore tenore di ossigeno disciolto. Il ferro può andare in corrosione nelle zone in cui è presente poco ossigeno. Alla fine un processo di corrosione comporta il verificarsi contemporaneo di un processo di OSSIDAZIONE che riguarda il metallo (dissoluzione del metallo) e di un processo complementare di RIDUZIONE legato all’aggressività dell’ambiente (che è in genere in presenza di ossigeno). Gli ioni sono utilizzati da acqua e ossigeno a dare riduzione. Se non ci fosse ossigeno avrei comunque la possibilità di sviluppare idrogeno.

A livello termodinamico, perché un processo di corrosione possa avvenire, l’aggressività dell’ambiente (potenziale di riduzione) deve superare la resistenza del metallo a essere ossidato (potenziale di ossidazione). VELOCITÀ DEI PROCESSI DI CORROSIONE Densità di corrente = elettroni prodotti dal processo. Maggiore è la corrente, più veloce è il processo di corrosione. Se il potenziale di riduzione è molto maggiore del potenziale di ossidazione (cioè quando l’ambiente ha forte tendenza a ossidare i metalli, alto lavoro motore termodinamico disponibile) si hanno due situazioni: -METALLI ATTIVI: la velocità di corrosione è molto alta, perché la dissipazione cinetica del lavoro motore disponibile è molto bassa. -METALLI ATTIVO-PASSIVI: alcuni metalli formano un ossido protettivo aderente (processo di passivazione), che ostacola l’ossidazione del metallo sottostante (dissipando cineticamente molto lavoro motore disponibile); in questi casi la velocità di corrosione è molto bassa anche se NON NULLA! La formazione di ossidi superficiali isolanti vanno a livello cinetico a rallentare il processo di corrosione. Valori estremamente bassi di velocità ma non nulli. FORME DI CORROSIONE LOCALIZZATA Non riguarda tutta la superficie ma alcune specifiche parti o settori del dispositivo. Per esempio dove c’è il bordo di grano. Oppure quando si accoppiano due metalli. Per esempio se ho chiodi in rame su una struttura in acciaio. Oltre alla forma di corrosione generalizzata, determinata dalla termodinamica (potenziali di corrosione) e dalla cinetica di corrosione, i fenomeni corrosivi si possono produrre alla superficie in modo localizzato in certe zone, o in forma selettiva. Diverse possibilità di corrosione localizzata. -In ambito biologico interessante la CORROSIONE LOCALIZZATA IN FESSURA. Forma di corrosione che si verifica in presenza di piccole fessure tra due superfici a contatto, ad esempio nelle zone di contatto voti/piastre. Esempio vite che collega placca all’osso. Più del 50% dei mezzi di osteosintesi di acciai inossidabili austenitici subiscono in modo maggiore o minore tale fenomeno. La placca può dar luogo a una cella in cui i fluidi biologici non sono ricambiati velocemente. -Un altro tipo di corrosione è la CORROSIONE LOCALIZZATA PER SFREGAMENTO. È quella delle leghe di titanio che hanno un film superficiale. Forma di corrosione che si verifica quando due superfici sono soggette a carico di compressione con presenza di micromovimenti locali ad esempio tra due o più chiodi endomidollari e nei coni morse delle protesi multicomponenti. Meccanicamente non è stabile. Se ho un giunto c’è la possibilità di rompere questo film che deve riformarsi. Nella corrosione per sfregamento rompo il film di ossido. Sollecitazione della connessione coppa-testina con problemi di corrosione per sfregamento. Se la struttura è sollecitata meccanicamente io sto creando una cricca. ENTITÀ DEL RILASCIO DI IONI DAI METALLI PASSIVI Conseguenze del rilascio di ioni nel corpo umano: impennata di casi di fallimenti per fenomeni di corrosione. Un impianto dentale osteointegrato (in titanio) può subire un processo di rilascio ionico pari a 2 μg l’anno. Un mezzo di osteosintesi in acciaio inossidabile può subire un rilascio ionico pari a circa 500 μg l’anno. Se si innescano fenomeni di corrosione in fessura (tipici degli acciai inossidabili) o di corrosione per sfregamento (tipici delle leghe di titanio) l’entità del rilascio ionico può aumentare più di 100 volte. [Si parlava di pseudotumori perché sembravano masse tumorali invece erano parti metalliche.]

Gli ioni metallici degli impianti che passano nei tessuti circostanti possono determinare: -processi infiammatori locali (anche pochi ioni metallici possono essere un grosso problema). -fenomeni allergici in soggetti sensibili a particolari ioni metallici (in particolare al Ni) o sensibilizzazione allergica di soggetti non sensibili. Prove di allergia cutanea su pazienti precedentemente risultati allergici al nichel. -ostacolo ai processi di osteointegrazione. -in alcuni casi con componenti particolarmente sollecitati il fretting può innescare fatica e portare a rottura per fatica il componente. MATERIALI METALLICI UTILIZZABILI PER IMPIANTI: materiali standardizzati ISO. Se i materiali corrispondono a certe proprietà possono essere considerati Medical Grade senza iniziare da zero le prove per capire se si possono utilizzare. -Acciai inossidabili austenitici Può essere utilizzato per getti. Presenza di corrosione localizzata in fessura. Biocompatibilità per questo non ottimale. Può essere che non sia formato con una tecnologia economica. Parleremo anche di acciai ad alto azoto. Questo con azoto è stato standardizzato una ventina di anni fa. Quindi più recente. -Leghe di cobalto (cioè a base di cobalto poi ci sono altri elementi di lega come cromo, nichel,,..). Possono essere —-PER GETTI, cioè lega che deve essere utilizzata per produrre dispositivi attraverso tecniche di fonderia. Inizialmente sono state utilizzate per produrre protesi d’anca perché anche per getti hanno valori di resistenza elevata. I metalli si possono rinforzare con leghe. Le leghe per getti non si possono rinforzare per deformazione plastica. In ambito biomedicali si utilizza ISO 5832-4. —-SEMILAVORATE. Si possono rinforzare per deformazione plastica. Non possono essere fuse. Alla fine questi materiali sono stati sviluppati in ambiti industriali non prettamente biomedicali e poi sono stati trasferiti in campo biomedico. Con molti vantaggi. Lo svantaggio è che sono materiali vecchi. In ambito biomedicale si utilizza ISO 5832-12. -Leghe di titanio. Il primo è il titanio commercialmente puro. Senza elementi di lega rilevanti. Posso averlo in 4 gradi diversi. Poi c’è la lega di titanio con alluminio e vanadio, alluminio e ferro e alluminio e niobio. Ciò che cambia nella famiglia titanio/ lega di titanio è che il titanio ha valori di resistenza più bassi. Per applicazioni odontoiatriche vanno bene titani puri, perché non ci interessa la rigidezza. Possibilità di modificare la superficie per governare i processi biologici.

16 marzo 2018, BIOMATERIALI METALLICI

ISO 58 3002. Norma che fa riferimento a dispositivi di impianto ortopedico, odontoiatrico,... applicazioni per hard tissues. Se si usa qualcosa fuori da questi standard bisogna prima qualificarlo. Invece se uso i materiali all’interno di questi standard non ho problemi. Gli esempi che utilizzano materiali fuori da questo elenco sono pochi. Per esempio utilizzo di una lega di zirconio per una protesi di ginocchio. Forma un rivestimento molto stabile. Inoltre non c’è il nichel. MA è stato un grosso investimento per l’azienda. Un’altra azienda non può utilizzarlo perché non è un materiale normato. La qualificazione è stata fatta solo per quella azienda per quella particolare applicazione.

ACCIAI INOSSIDABILI Ciò che rende un acciaio inossidabile è la presenza di CROMO in tenore superiore al 12%. Passivabilità. Sulla superficie dell’acciaio si forma un film a base di ossido di cromo che lo protegge dalla corrosione. Rende il materiale resistente alla corrosione anche se la velocità di corrosione non è nulla. Il cromo forma un ossido di cromo isolante, impermeabile all’ossigeno,

resistente,... se questo film viene rovinato per qualche ragione, si riforma automaticamente in presenza di ossigeno. QCi sono altri elementi di lega per migliorare specifiche proprietà (resistenza alla corrosione localizzata, caratteristiche meccaniche, tenacità). Le APPLICAZIONI degli acciai inossidabili sono svariate. L’applicazione biomedica ha testato fra gli acciai inossidabili una tipologia particolare. Gli acciai inossidabili possono assumere tre diverse strutture (tipi di reticolo cristallini); -AUSTENITICA. Struttura cubica facce centrate. (Fe-γ). -FERRITICA. Cubica corpo centrato. (Fe-α). -MARTENSITICA tetragonale distorta. È una particolare forma della ferritica distorta dalla presenza del carbonio. La trasformazione martensitica si verifica quando la trasformazione Fe-γ —> Fe-α è ostacolata dalla presenza di carbonio. Si forma così in presenza di C sovrassaturo una struttura tetragonale distorta caratterizzata da elevate caratteristiche meccaniche. -DUPLEX. Austeno- ferritica. Nel codice prima c’è la sigla AISI: America Iron and Steel Institute. Poi c’è un numero per identificare l’acciaio. Gli acciai inossidabili austenitici sono quelli della serie 304 o 316. 316 è un materiale più costoso e più resistente alla corrosione. L sta a indicare il basso tenore di carbonio. Proprietà meccaniche: sforzo a rottura molto consistente, ma snervamento a volte molto basso, siamo intorno a 200 MPa. Questo vale senza trattamenti termici. Si può alzare per incrudimento negli austenitici e nei martensitici con trattamenti termici. STRUTTURA AUSTENITICA. La presenza di altri elementi di lega quali il nichel ha funzione austenitizzante. (Cioè stabilizza la fase gamma anche a bassa temperatura). Se abbiamo solo il cromo nella lega a temperatura ambiente abbiamo solo la fase alfa. La trasformazione da fase gamma a fase alpha infatti avviene sotto la temperatura ambiente. Per avere la struttura gamma dovrei alzare la temperatura oltre gli 800 gradi. Se però aggiungiamo nichel sopra una certa entità allora la temperatura di transizione alfa gamma si abbassa fino a che stabilizziamo la fase gamma a temperatura ambiente. La fase gamma alla fine è una fase più interessante per le applicazioni. Aggiungendo altri elementi oltre al cromo si può avere la possibilità di operare sulle proprietà meccaniche e corrosive. STRUTTURA FERRITICA: si aggiunge il ferro. Si stabilizza la struttura ferritica. Il materiale dalla solidificazione a temoeratura ambiente mantiene la struttura ferritica. Aggiungere non significa che siamo liberi di inventare un acciaio inossidabile. Siamo liberi di pescare tra gli acciai inossidabili che sono già stati fatti. Gli elementi che si comportano come il cromo sono molibdeno, silicio, Niebel. Altri elementi si comportano come il nichel. Quindi quattro tipologie diverse di acciai. In generale gli austenitici sono quelli in cui è più alta la resistenza alla corrosione ma è bassa la resistenza meccanica. I martensitici il contrario. I ferritici stanno in mezzo. Gli acciai duplex hanno resistenza alla corrosione paragonabile agli austenitiici con caratteristiche meccaniche più elevate (ma inferiori ai martensitici). Per le applicazioni biomedicali non posso utilizzare strutture ferritica e martensitica perché la resistenza alla corrosione è troppo bassa. Inoltre la struttura austenitica è amagnetica, quelle ferritica e martensitica sono magnetiche. I duplex hanno fase amagnetica e magnetica. Per questo non possiamo utilizzarli come materiali di impianto. Avremmo grossi problemi con tutta la diagnostica.

Alla fine quindi i materiali di impianto sono gli acciai inossidabili austenitici. Gli austenitici sono quelli con maggior resistenza alla corrosione ma all’interno degli austenitici c’è una scala. Ci sono dei materiali utilizzati in ortodonzia estremamente piccoli (non impiantati ma nel cavo orale) che sono fatti di acciai inossidabili martensitici. Si utilizzano questi per le proprietà meccaniche. Arrivo a valori di sforzo di snervamento fino a 1200 MPa. Quindi molto alti. AISI 316L: tradizionale acciaio inossidabile austenitico ISO 5832-1D: variante biomedicale del 316L. ISO 5832-1E: migliorativo ma non sufficientemente. ISO 5832-9: acciaio inossidabile innovativo ad alto tenore di azoto. Il 9 è il più recente. Ha una quantità di azoto molto alta. E ciò che fa la differenza in termini di resistenza meccanica e resistenza alla corrosione. 1D 1E sono simili. Tutti hanno struttura austenitica. Per aumentare le proprietà meccaniche degli acciai inossidabili austenitici bisogna fare deformazione plastica a temperatura ambiente (a freddo). Non possiamo fare deformazioni con trattamenti termici perché avrebbero comunque struttura austenitica. Possiamo utilizzare solo deformazione a bassa temperatura allo stato solido. Se invece voglio far solidificare in una forma definita il materiale non posso nemmeno applicare deformazione plastica altrimenti cambio la forma che avevo ottenuto. Dopo incrudimento i valori di resistenza meccanica diventano molto elevati. Se aumenta la resistenza diminuisce l’allungamento a rottura. Diminuisce la possibilità di avere una ulteriore deformazione plastica. Abbassamento della tenacità a rottura. Diminuisco il K1c. Se non ci serve quindi non alziamo la resistenza altrimenti abbassiamo la tenacità. Il 5832-9 è molto costoso rispetto agli altri. Anche per applicazioni biomedicali il costo al kg del materiale ha grande influenza. 5-6 €/kg per 1D-1E 12-13€/kg per il 9. Questa differenza determina una grossa differenza di costo nel complesso. Inoltre lavorabilità più difficile per cui tempo più lungo. Per questo si utilizzano ancora 1D e 1E. Tabella: risultato finale di prove per capire che differenza c’è tra gli acciai inossidabili austenitici in termini di resistenza alla corrosione. Quanto se ne forma e in quanto tempo. Tutte le prove portano a dire che l’unico acciaio che è immune alla corrosione in fessura e localizzata all’interno del corpo umano è l’ISO 5832 9. L’acciaio ad alto azoto è l’acciaio inossidabile da considerare di prima scelta per applicazioni biomedicali (soprattutto se sono richieste alte caratteristiche meccaniche). Le ottime proprietà di questo acciaio lo possono rendere indicato per steli di protesi d’anca cementate (ottenute per stampaggio), come alternativa alle molto più costose leghe di cobalto in getto.

TITANIO E LEGHE DI TITANIO Il titanio in funzione della temperatura ha una struttura specifica. Mattonelle a struttura esagonale compatto a temperatura inferiore a 882 gradi (struttura α). Struttura cubica a corpo centrato a temperatura superiore a 882 gradi (struttura β). Cambiano le proprietà da struttura α e β. ISO 5832-2 titanio puro ISO 5832-3 titanio con alluminio e vanadio Il grado indica la quantità di ossigeno. Il grado 5 invece è la lega. Se aumenta il tenore di ossigeno, si rinforza meccanicamente il materiale. Lo sforzo di snervamento cresce. Poi posso operare un incrudimento. In ambito odontoiatrico si utilizza quasi esclusivamente il grado 4. Per applicazione ortopedica invece ci servono le leghe in cui la resistenza meccanica è più alta MA la biocompatibilità è più bassa per la presenza del vanadio. Il titanio è il quarto elemento per abbondanza sulla crosta terrestre. Ha alta affinità per l’idrogeno, l’azoto e l’ossigeno, con formazione di soluzioni solide interstiziali fragili.

È prodotto con tecnologie piuttosto complesse e costose ed emergivole, partendo dalla riduzione del minerale con composti del titanio. È prodotto partendo dalla spugna di titanio, ottenuta per riduzione del tetracloruro di titanio con magnesio. Il costo elevato deriva dall’energia necessaria per ridurre l’ossido in metallo. Ossidandosi rilascia energia, per la riduzione quindi devo somministrare energia. Gli impianti per la produzione del titanio sono solo negli USA e Unione sovietica per motivi strategici e in Cina e Giappone recentemente. Ottima corrispondenza tra costo e MJ (energia) che serve per la produzione di un kg. A noi interessa relativamente il costo. Molto rilevante l’elevata resistenza alla corrosione e le elevate caratteristiche meccaniche. Inoltre peculiarità dell’ossido di titanio superficiale che ha funzione protettiva per la corrosione. Molto adatto per interagire con i tessuti biologici. É la chiave del successo dell’utilizzo per applicazioni biomediche. MA anche il titanio ha altre applicazioni. Per trasformare il materiale in una forma consona la fusione non è applicabile. La realizzazione per getti è molto difficile (per l’affinità con H, O, N). È possibile applicare le tecniche di deformazione plastica. Si parte da una barra, viene schiacciata in uno stampo e si ottiene la forma. È possibile anche saldarlo anche se le saldature per dispositivi biomedici sollecitati sono da evitare. Nella zona in cui saldo due componenti ho comunque un’alterazione. Vado a indebolirlo. Azione congiunta di un micromovimento meccanico e ambiente corrosivo. RESISTENZA ALLA CORROSIONE La resistenza alla corrosione non è dovuta a nobilità termodinamica, ma alla formazione di un film di ossido protettivo. In acidi fortemente ossidanti ha ottima resistenza alla corrosione perché aumenta il film di ossido. Anche in ambienti di cloro umido, ipoclorito, acqua di mare, salamoie... Ottima resistenza alla corrosione a secco fino a 550 gradi. È meglio utilizzare il titanio puro rispetto alla lega di titanio se non sono richieste caratteristiche meccaniche elevate perché è più resistente alla corrosione. Il titanio puro è un materiale che può essere lavorato alle macchine utensili per asportazione di truciolo, la difficoltà di lavorazione aumenta con l’aumento delle caratteristiche meccaniche. Il grado 4 è semplice da lavorare alle macchine utensili. Lavorare alle macchine utensili una lega di titanio è più difficile. Il titanio di grado 1 non è utilizzato come materiale di impianto, e utilizzato per materiale di rivestimento al massimo. TITANIO COMMERCIALMENTE PURO: -eccellente resistenza alla corrosione -medio rapporto resistenza peso -alta resistenza a fatica, anche se risente fortemente della presenza di intagli e spigoli vivi -buona saldabilita -buona lavorabilità -quattro gradi in dipendenza del tenore di ossigeno LEGHE DI TITANIO -più costose -maggiore resistenza meccanica -più difficile lavorabilità -minore resistenza alla corrosione -elementi stabilizzanti fase alpha: Al, N, O. duttile e saldabile -elementi stabilizzanti fase beta: Cr, V, Nb. dura e fragile LEGHE DI TITANIO ALPHA -caratterizzate da elementi alphageni (Al, elemento sostituzionale indurente) -se Al >6% di difficile lavorabilità a caldo -non sono induribili con trattamento termico, ma solo mediante deformazione plastica a freddo -ottima saldabilità

-duttilità -caratteristiche meccaniche relativamente basse LEGHE DI TITANIO BETA -caratterizzate da elementi beta-geni (Cr, V) -induribili mediante tempra e invecchiamento -massime caratteristiche meccaniche -non saldabilita -di lavorazione molto difficile LEGHE DI TITANIO ALPHA + BETA -caratterizzate da elementi alpha-geni (Al) + beta-geni (V) -induribili mediante tempra e invecchiamento con modifica di quantità e distribuzione della fase beta -maggiori caratteristiche meccaniche -minore saldabilità (necessario post trattamento) -Nella lega alfa + beta ho struttura cubica. Questo aumenta le proprietà meccaniche e mantiene una resistenza alla corrosione elevata anche se più bassa del titanio puro. Il modulo di elasticità delle leghe di titanio è circa il doppio di titanio puro.

LEGHE DI COBALTO COBALTO CROMO MOLIBDENO. Sono le prime ad essere utilizzate in ortopedia perché hanno già subito dopo il getto proprietà meccaniche elevate. (Proprietà comunque inferiori alle leghe semilavorate). Hanno elevato modulo elastico per cui permettono di ottenere componenti di elevata rigidezza. Sono successivamente state utilizzate leghe per deformazione plastica, caratterizzate da più alte caratteristiche meccaniche, ma anche dalla presenza di alti tenori di Nichel. Lega di cobalto per getti: ISO 5832-4 30% di cromo, protegge dalla corrosione. C’è anche del nichel ma in basso tenore. -buone caratteristiche meccaniche per un getto. -Ottima resistenza alla corrosione localizzata. -Non è deformabile, una volta che ottengo il pezzo finito per getto ci posso fare poco. -È molto difficile la lavorazione alle macchine utensili. Alla fine il pezzo deve essere ottenuto dalla solidificazione. Leghe di base cobalto (sempre con cromo e altri elementi) per deformazione plastica. Sono semilavorati che possono essere modificati nella loro forma. Hanno alte caratteristiche meccaniche, buona resistenza alla corrosione localizzata. Sono dure e resistenti all’usura ma anche molto costose. Le leghe di cobalto per deformazione plastica non sono in realtà utilizzate. L’unica utilizzata è ISO 5832-12 che è quella di ultima generazione.

21 marzo 2018, OSTEOINTEGRAZIONE IN ORTOPEDIA

OSTEOINTEGRAZIONE: contatto che avviene senza interposizione di tessuto non osseo tra osso normale rimodellato e un impianto in grado di sostenere e accogliere il trasferimento e la distribuzione di un carico dell’impianto fino ed entro il tessuto osseo. Teoria opposta alla fibro-osseo integrazione. INTEGRAZIONE CON I TESSUTI OSSEI: il materiale che si comporta meglio è il titanio con le sue leghe perché meno ostacola i processi di osteointegrazione. Le leghe di titanio hanno un

comportamento inferiore dal punto di vista dell’osteointegrazione rispetto al titanio puro, ma sono comunque migliori rispetto alle leghe di cobalto e agli acciai inossidabili. OSSEOINTEGRAZIONE: integrazione con l’osso. Osteointegrazione: l’attenzione è focalizzata a livello cellulare. In genere non basta. Soprattutto quando pensiamo all’ortopedia. In ortopedia i dispositivi hanno geometrie e forme tali per cui il contatto non basta per trasferire i carichi. C’è bisogno di MODIFICARE LA MORFOLOGIA SUPERFICIALE. Per migliorare i processi di fissazione/osteointegrazione delle protesi si può ricorrere a: —IRRUVIDIMENTO DELLA SUPERFICIE mediante:

Microsfere metalliche Filamenti metallici Titanio rugoso plasma spray Sabbiatura Attacco chimico (in questo caso non aggiungo del materiale ma lo tolgo). Dissolvo in

maniera localizzata la superficie del metallo.

— RIVESTIMENTI DI BIOCERAMICI

Idrossiapatite Biovetri

— SPUGNE METALLICHE A BASSA RIGIDEZZA vado a giuntare due componenti diversi, uno dei quali è molto poroso. MICROSFERE SINTERIZZATE: sferette di dimensione di qualche centinaio di micron. Vengono apposte in diversi strati sulla superficie. Mediante tecniche di sinterizzazione è possibile depositare sulla superficie metallica delle microsfere (una o più strati) che determinano macroporosità (alcune centinaia di micron) all’interno delle quali possono crescere le trabecole ossee. Ho un metal back che deve essere osteointegrato. Si assume che l’osso vivente andrà a rigenerarsi e a ricrescere interconnettendosi con la superficie per conseguire un fissaggio, una interconnessione meccanica. La microsfere determinano macroporosita all’interno delle quali possono crescere le trabecole ossee. Se l’osso non cresce perché è necrotizzato l’integrazione non avverrà. La fissazione avverrà per via definitiva dopo diversi mesi durante i quali l’osso avrà avuto modo di crescere, di integrarsi. [I fori sono offerti al chirurgo per aiutare la fissazione apponendo delle viti.] La maggior interconnessione osso/impianto non si è dimostrata però utile a migliorare l’osteointegrazione, in quanto gli sforzi che agiscono sono essenzialmente di taglio e di compressione. La presenza delle microsfere sinterizzate sulla superficie dello stelo porta a un drastico decadimento della resistenza a fatica. Sul metal back non mi interessa tanto perchè non è una parte molto sollecitata a flessione. Sullo stelo mi interessa. Ho un decadimento della resistenza a fatica. La resistenza a fatica dipende dalla superficie. In torsione e in flessione sono massimi gli sforzi alla superficie. Se ho un difetto ho la possibilità che questo difetto cresca. La resistenza a fatica si abbassa perché quando vado ad apporre le microsfere vado a modificare localmente la morfologia ma anche le proprietà meccaniche locali. Va a cancellare localmente la resistenza meccanica dovuta all’incrudimento. La resistenza a fatica si abbassa perché modifico la situazione superficiale. Le microsfere sinterizzate sono molto utilizzate per metal back o sui piatti tibiali. Quindi dove ho sforzi di compressione. Avere una struttura troppo porosa non aiuterebbe a trasmettere le forze.

Sotto forze di TAGLIO la sollecitazione interessa solo il primo strato di sfere. Sotto forze di COMPRESSIONE si ha ancora taglio, in quanto l’osso compresso si espande in direzione perpendicolare determinando sollecitazioni di taglio. Solo sotto forze di TRAZIONE una struttura macroporosa a più strati aumenta l’adesione osso/impianto. Forze di trazione si hanno tuttavia solo in zona 3 delle coppe acetabolari e nei componenti tibiali delle protesi di ginocchio. FILAMENTI LEGATI PER DIFFUSIONE: Filamenti metallici possono essere connessi alle superfici protesiche mediante trattamenti di diffusione allo stato solido (DIFFUSION BONDING) ottenendo superfici macroporose con ampi vuoti. Applico un carico a una temperatura piuttosto elevata ma sempre in fase solida. Superficie rugosa e questa rugosità è conseguita attraverso questi filamenti. Presenza delle vacanze che consente di far diffondere anche allo stato solido. Accosto due componenti uno sull’altro. A temperatura bassa non succede nulla. Se aumento la temperatura (ma sempre allo stato solido) le vacanze hanno una loro mobilità che consente di far penetrare un elemento con l’altro. Il trattamento limita gli effetti negativi sulla resistenza a fatica delle microsfere. Tuttavia la presenza di ampi spazi vuoti facilita la diffusione di particelle di usura, non ostacolando processi di osteolisi distale. PLASMA SPRAY Consiste nello spruzzare polveri solide che attraversano un getto molto caldo, fondono in superficie e impattano un substrato. Consente di produrre rivestimenti densi o porosi di materiali ceramici o metallici partendo da polveri. Polveri metalliche o ceramiche sono fatte passare attraverso un gas ad alta temperatura ionizzato in fase plasma. Polvere inserita e convogliata tramite un gas plasmogeno che porta la polvere attraverso un gas ionizzato ad alta temperatura. (Un arco elettrico generato tra anodo e catodo ionizza un flusso di gas). Le polveri sono introdotte nel flusso di gas tramite un carrier gas. Durante la permanenza con il plasma, le polveri fondono parzialmente e colpiscono il substrato da rivestire ad alta velocità. La polvere viene fatta passare sull’oggetto da investire. L’oggetto si riscalda e fonde superficialmente. Durante la permanenza all’interno della fiamma la polvere si scalda. Si ottiene un rivestimento costituito dalla polvere di utilizzo. VANTAGGI -Posso ottenere rivestimenti di diversi spessori. Da pochi micrometri fino ad alcuni millimetri. (Tecnica sviluppata in ambiti non biomedicali. Poi sviluppata per applicazioni biomediche.) -Possibilità di produrre rivestimenti porosi o densi agendo sui parametri di processo (temperatura del plasma, pressione della camera, granulometria e dimensioni delle polveri,...). -La temperatura del substrato può essere controllata e limitata. Possono esserci trattamenti di plasma spray effettuati in ARIA (APS) oppure in una camera in VUOTO (VPS). Nel VPS tutto avviene in una atmosfera controllata in composizione e pressione (atmosfera che è necessaria quando vado a utilizzare polveri che reagirebbero con ossigeno o azoto, per esempio il titanio). Se voglio ottenere un rivestimento utilizzando polvere di titanio devo lavorare a vuoto. Trattamento a vuoto in cui metto argon al posto che aria. Oppure vuoto spinto. Se faccio vuoto la polvere controllata non incontra ostacoli per cui la velocità di impatto è maggiore. La polvere permarrà per meno tempo all’interno della fiamma per cui si scalda meno ma ha una energia cinetica maggiore. La tecnica in aria (APS) è adatta per composti già ossidati o che non reagiscono con i gasi atmosferici. La tecnica in aria può essere utilizzata per trattamenti con fosfato di calcio, rivestire substrati metallici con HA. VPS vs APS La tecnica in vuoto consente dei VANTAGGI rispetto alla tecnica in aria:

Possibilità di depositare metalli reattivi con ossigeno e azoto (esempio titanio)

Ottenimento di morfologie più aderenti alla superficie e resistenti perché accelero le polveri durante l’impatto.

Ottenimento di rivestimenti a maggior densità o più sottili perché posso fondere maggiormente la polvere.

Maggiore controllo per eventuali contaminazioni perché il processo avviene all’interno di una camera ermeticamente isolata. Problemi di contaminazione superficiali non si risolvono con la sterilizzazione. Gli SVANTAGGI della tecnica in vuoto sono:

Costi di impianto e operativi più alti

Le polveri devono avere dimensioni e forma più controllate

Parametri di processo più critici TITANIO RUGOSO PLASMA SPRAY Apposizione di polvere di titanio che va a aderire sul substrato tra granello e granello. Grazie alla deposizione di plasma spray (in vuoto) di polvere di titanio, è possibile ottenere una superficie caratterizzata dai seguenti vantaggi: -avere un rivestimento di titanio puro su un rivestimento di lega di titanio. L’interfaccia di osteointegrazione quindi è determinata da titanio puro (depositato). -rugosità elevata (soprattutto a temperatura relativamente bassa della polvere) in grado di garantire buon ancoraggio sotto forze di taglio e compressione. -In ambito ortopedico posso effettuare doppi rivestimenti. Morfologia che non è più quella della lavorazione meccanica ma è molto rugosa per dare tempo all’osso di svilupparsi. Interconnessione diretta. Si riveste questo primo rivestimento con un NUOVO RIVESTIMENTO DI FOSFATO DI CALCIO. In particolare idrossiapatite che ha composizione simile all’osso. Stessa tecnica, plasma spray. Si può utilizzare la tecnica in aria. L’idrossiapatite, spruzzata secondo la tecnica plasma spray consente di ottenere un deposito spesso da 40-60 micron a 150 micron su un substrato (metal back in lega di titanio) che ha già subito un rivestimento di titanio puro. L’idrossiapatite va a velocizzare il processo di crescita ossea. Gli svantaggi del titanio rugoso plasma spray sono: -superficie più delicata da maneggiare (problemi di lavaggio e decontaminazione) -possibilità di distacco di particelle (soprattutto per i rivestimenti molto porosi, ottenuti a temperature piuttosto basse nel processo plasma spray di deposizione). RIVESTIMENTI OSTEOCONDUTTORI Idrossiapatite: bassa tenacità a frattura, materiale fragile, fosfato di calcio che ha la stessa composizione della parte minerale dell’osso. PLASMA SPRAY DI HA: La deposizione di idrossiapatite può essere effettuata con la tecnica APS, perché è un materiale ceramico che non reagisce con l’ossigeno ad alta temperatura. L’adesione del rivestimento di HA al substrato (protesi in lega di titanio) è influenzata dalla tecnica di deposizione. La solidificazione della polvere nel processo VPS avviene più lentamente, e consente di ottenere un deposito più cristallino. L’ADESIONE del deposito di HA al substrato è un aspetto fondamentale. Voglio un deposito di idrossiapatite direttamente sul titanio. Sempre adesione di tipo meccanico. Devo preventivamente irruvidire la superficie del metallo mediante sabbiatura. Se faccio un rivestimento plasma spray su una superficie liscia, l’idrossiapatite scivola via. Le cose non vanno bene perché voglio trasferire i carichi dallo stelo all’osso. Le componenti protesiche

all’interfaccia con l’osso sono sollecitate anche con sforzi di taglio. L’entità dell’adesione tra rivestimento e substrato (oltre che tra rivestimento e osso) è fondamentale e, entro certi limiti, può essere controllata (ottimizzata). Adesione tra rivestimento e substrato che potrebbe essere controllata dai parametri del processo. Se la fusione è limitata e bassa ottengo un rivestimento meccanicamente meno stabile. DEPOSITI DI HA: CRISTALLINITÀ Altra implicazione che riguarda la struttura del l’idrossiapatite. Il fosfato di calcio ha una cristallinità molto elevata. La cristallinità della polvere di HA prima del processo di deposizione

è pari quasi al 100%. Che significa una elevata stabilità chimica in determinati ambienti. In forma cristallina è più stabile (poco solubile) e meno suscettibile alla dissoluzione e al riassorbimento da parte del sistema biologico. Una struttura più amorfa sarà meno stabile e riassorbita più velocemente. Dopo la deposizione può raggiungere valori molto bassi (fino al 35%). Idealmente la velocità di dissoluzione del l’idrossiapatite dovrebbe coincidere con la velocità di rigenerazione dei tessuti ossei. C’è la possibilità di ottenere rivestimenti a cristallinità diversa a partire dalla stessa polvere. Posso governare la cristallinità tramite trattamenti termici. Se volessi ottenere un rivestimento cristallino dovrei fonderlo poco e ottenere un rivestimento costituito dai grani di partenza. Se invece lo riscaldo molto, al centro sarà inalterato e sulla superficie fuso. Il raffreddamento è veloce, se fondo tanto ottengo qualcosa che è più amorfo ma anche meccanicamente più adeso. Esistono anche trattamenti termici post deposizione per alzare la cristallinità. Esistono tecniche per valutare la percentuale di fase cristallina rispetto alla fase amorfa. (XRD, diffrazione di raggi X). Analizzando lo spettro di diffrazione può essere valutata la percentuale di cristallinità. Si vanno a creare picchi più snelli e più alti nel caso di HA ad alta cristallinità. Si creano invece picchi più bassi nel caso di HA a bassa cristallinità. Con la tecnica VPS è possibile ottenere depositi con maggior adesione di quelli ottenibili con tecnica APS. Dopo la deposizione plasma spray la cristallinità dei depositi può essere “corretta” mediante trattamenti termici. I rischi maggiori dei rivestimenti in idrossiapatite riguardano la delaminazione e granulazione dei rivestimenti, e la dissoluzione (troppo veloce o lenta). Adesione —> delaminazione. Cristallinità —> dissoluzione. Non si sa bene cosa sia meglio in termini di cristallinità e adesione. Sugli steli protesici: rivestimenti. L’adesione è favorita verso l’articolazione, cioè in zona prossimale. Protesi non cementate richiedono una fissazione prossimale per far lavorare il femore nel tratto prossimale in modo che il carico venga trasferito dall’alto verso il basso. Pro e contro tra diverse tecniche di deposizione e mediante la stessa tecnica risultati diversi. I rivestimenti cristallini sono meccanicamente più deboli. Con la tecnica VPS è possibile ottenere depositi più cristallini e con maggior adesione di quelli ottenibili con tecnica APS. TANTO MAGGIORE È LA CRISTALLINITÀ, TANTO MINORE È L’ADESIONE DEL DEPOSITO AL SUBSTRATO. Trattamenti termici a bassa temperatura intermedia aumentano la cristallinità (formazione di tetracalciofosfato) ma non migliorano l’adesione. Abbasso lentamente la temperatura. Se alzo troppo la temperatura posso andare a interferire con le proprietà meccaniche dello stelo. Nei depositi ad alta cristallinità i granelli risultano poco fusi. Una bassa fusione poi porta a una minore coesione grano con grano. Rivestimenti a bassa cristallinità si ottengono andando a fondere superficialmente e vengono riassorbiti più velocemente. I depositi ad alta cristallinità (meno

aderenti) vengono riassorbiti più lentamente. Nei depositi ad alta cristallinità i singoli grani risultano solo parzialmente fusi e meno fusi in superficie rispetto al cuore: ciò può favorire il distacco di particelle di deposito. Oggi il trend è andare verso bassa cristallinità e più adesione. PROBLEMATICHE DEI DEPOSITI MASSIVI DI HA: i rivestimenti in idrossiapatite sono il gold standard in Europa. Non negli USA. Prodotti diversificati in base al mercato. Negli Stati Uniti spesso c’è solo il rivestimento di titanio poroso. Problemi di tecnologia, meno preoccupante la fissazione. La preoccupazione è che i detriti ceramici, la cui durezza non è quella dell’allumina o del diamante, potrebbero staccarsi e aumentare l’usura. Il maggior problema delle protesi d’anca era proprio quello dei detriti di usura. Maggior problema per cui le scuole americane hanno bocciato il rivestimento di idrossiapatite. Nel lungo periodo infatti si possono verificare fenomeni di granulazione del deposito, perdita di particelle nei tessuti che, nel caso di rivestimenti ad elevata cristallinità e quindi lenta dissoluzione, potrebbero determinare reazioni infiammatorie. Non si usa questo rivestimento in ambito odontoiatrico. Sono stati abbandonati. Perché? Problemi di tipo meccanico. Un impianto odontoiatrico ha stabilità primaria data dalla geometria, dalla forma a vite ben interconnessa. In impianti ortopedico le cose cambiano. La fissazione, la stabilità primaria è ottenuta tramite un minimo di interferenza tra vite e tessuto. Nella protesi d’anca abbiamo forze di compressione che non provocano danni al rivestimento. Un impianto con la vite (dentale) se rivestito con idrossiapatite sballa tutte le tolleranze. Inserisco l’impianto ma l’idrossiapatite si stacca.

BIOVETRI I biovetri sono vetri inorganici con varia composizione contenenti Si, Na, Ca e P che vengono riassorbiti in tempi più o meno rapidi e creano condizioni chimiche locali che favoriscono i processi di osteointegrazione. Sono vetri inorganici basati su silicio, sodio, fosforo, calcio la cui funzionalità è mettere in moto il metabolismo osseo. Rivestimenti di biovetri possono essere ottenuti mediante plasma spray. Idrossiapatite e biovetri sono utilizzati in forma massiva per RIEMPITIVI. Si usano per incentivare la deposizione di tessuto osseo. Lacune che ci sono nelle operazioni di revisione delle protesi d’anca a seguito di mobilizzazione asettica. Molti dei fallimenti nel medio lungo termine (cioè dopo anni dall’impianto) causano riassorbimento di osso nelle zone dell’interfaccia. Questo riassorbimento può essere estremamente severo. Design che servono per riempire queste lacune ossee. Si utilizzano questi ceramici non riassorbibili. I biovetri usati come rivestimento non hanno mai raggiunto una applicabilità clinica. Sono interessanti in ambito di ricerca. L’idrossiapatite mima la parte inorganica dell’osso. I biovetri subiscono un processo chimico che va a formare sulla superficie un sottile strato di idrossiapatite. Sono progettati in modo da provocare reazioni superficiali controllate con i tessuti biologici (legame chimico). Legame biologico con il tessuto osseo in formazione. Sulla superficie di questi biovetri vengono a formarsi dei gel attivi a base di silice che nutrono cristalli di idrossiapatite dall’ambiente. Come materiale di riempimento vanno bene, come rivestimenti non hanno appetito a livello clinico.

SPUGNE METALLICHE A BASSA RIGIDEZZA Ci sono altri sistemi per proseguire o velocizzare l’integrazione con il tessuto osseo. Un modo è sviluppare delle componenti che vanno a mimare la struttura dell’osso trabecolare. Nell’immagine è stato cercato di mimare la morfologia dell’osso spongioso. 15 anni fa una multinazionale ha sviluppato il trabecoular metal, la cui struttura è molto simile all’osso spongioso. È un polimero pietrificato rivestito con tantalio che è un metallo simile al titanio. Superficie di metallo con un cuore polimerico. Struttura adatta a interconnettersi con il tessuto osseo. Si parte

da un precursore polimerico reticolato, con dimensione dei pori paragonabile a quella delle trabecole osse, che viene vetrificato ad alta temoeratura. A livello di proprietà meccaniche è a metà tra osso corticale e osso spongioso. Componente tridimensionale porosa che può essere concessa ad altre strutture metalliche. Utilizzate per connettere dispositivi protesici all’osso. SABBIATURA: modificare la morfologia superficiale attraverso la polvere ad alta velocità e pressione. Se la polvere è dura e la morfologia tagliente vanno a togliere pezzi di materiale. ATTACCHI CHIMICI: utilizzati molto in odontoiatria. In ambiti ortopedici poco utilizzati perché permettono un attacco di materiale localmente (anche su scala micrometrica).

23 marzo 2018, TECNICHE ALTERNATIVE E SPERIMENTALI PER

L’OSTEOINTEGRAZIONE

Tecniche più recenti tra sperimentale e clinico.

1. ELETTRODEPOSIZIONE DI FOSFATO DI CALCIO AL CATODO (tecnica già commercialmente applicata)

L’obiettivo è quello di rivestire un materiale da impianto. In particolare una lega di titanio. È una tecnica utilizzata in ortopedia e non in impianti dentali. Tecnica applicata alle leghe di titanio perché sono utilizzate in ortopedia. Si vuole coniugare le proprietà favorevoli delle leghe di titanio per il dispositivo (requisiti meccanici, stabilità chimica e biologica) con i vantaggi del fosfato di calcio (stimolare la ricrescita ossea). Rivestire la lega di titanio e renderla biomimetica per velocizzare il processo di integrazione con il tessuto osseo; e stimolare la controparte biologica per produrre più velocemente osso senza l’interposizione di tessuto fibroso che provoca la mancata osteointegrazione. ELETTRODEPOSIZIONE CATODICA: tecnica che avviene in una soluzione acquosa. I processi di corrosione coinvolgono sempre un processo elettrochimico di passaggio di elettroni. In questo caso facciamo il contrario. Con un generatore imponiamo un passaggio di corrente. Il metal back è il catodo. Il substrato di titanio è collegato al circuito come catodo e immerso in una soluzione elettrolitica contenente ioni Ca e P. Imponendo un passaggio di corrente, al catodo avviene una riduzione dell’acqua. L’anodo dovrebbe corrodersi. Invece il catodo è protetto dalla corrosione. Alla superficie del catodo ho riduzione dell’acqua. Questa riduzione rende la soluzione alcalina. Vado a squilibrare l’equilibrio della soluzione. In soluzione ho dei fosfati di calcio ad un determinato pH. Alzando il pH ho la precipitazione in corrispondenza del catodo (dove ho l’alcalinizzazione della soluzione) dei sali della soluzione. E così formo il rivestimento. Quindi il catodo si riveste di fosfati di calcio che erano in forma di ioni. A questo punto si formano sali di fosfati di calcio. CONFRONTO CON RIVESTIMENTO PLASMA SPRAY: —controllo di morfologia, e struttura del coating attraverso alcuni parametri del processo. In funzione di parametri come tempo, soluzione, ho un rivestimento che può essere più o meno spesso anche di spessori molto ridotti. —spessore del deposito anche minore di 5-10 micron.Molti parametri consentono di regolare lo spessore del deposito. —È una tecnica che non soffre del problema non line of sight. Cioè non rivesto solo il pezzo di superficie che vedo. Riesco a rivestire anche una superficie molto porosa. Anche la superficie interna, purché bagnata dalla soluzione, può essere rivestita. —È una tecnica adatta a rivestire materiali che conducono corrente. Quindi non posso utilizzarla per materiali polimerici. —Tecnica che avviene a temperatura ambiente.

—Adatta a incorporare anche biomolecole (peptidi, proteine, antibiotici). Meglio se hanno una carica per cui sono attratte al catodo da un processo elettroforetico. —Minore adesione al substrato rispetto alla tecnica plasma spray. A maggior ragione per il rivestimento dei dispositivi odontoiatrici non è indicata. VALUTAZIONE DI: 1- INFLUENZA DEI PARAMETRI DI PROCESSO: capiamo quali sono i parametri che influenzano spessore e proprietà del materiale. Rivestiamo dischi di titanio di diametro 15 mm e spessore 0,5 mm partendo da campioni di laboratorio in una soluzione elettrolitica di fosfato di calcio Redepenning (dal nome del ricercatore). La soluzione contiene 30g di fosfato di calcio per litro di acqua deionizzata, è messa a temperatura ambiente in agitazione magnetica per 30 minuti. Soluzione satura di fosfato di calcio In laboratorio abbiamo una rete metallica come anodo. All’interno della soluzione c’è il dischetto che è il catodo da rivestire. Li collego a un generatore e impongo un passaggio fisso di corrente (condizioni galvanostatiche). Quindi facciamo passare una carica. Alla fine vediamo cosa succede in funzione del tempo del processo e cosa possiamo ottenere. Effetto della DURATA del processo: l’andamento del peso del deposito e lo spessore del deposito crescono in funzione del tempo. In funzione del tempo non si osservano variazioni morfologiche significative. Rivestimento di fosfato di calcio che assomiglia a un corallo. Morfologia che non cambia al variare dello spessore. Struttura fisica del deposito: Che tipo di fosfati di calcio sono? Non con idrossiapatite ma con brushite. Vedi spettri XRD. Ci fanno pensare a qualcosa di non cristallino. Infatti la struttura che si ottiene è AMORFA. Significa calciofosfato che tenderà a dissolversi più velocemente. 2- POSSIBILITÀ DI SOSTITUIRE PARZIALMENTE NELLA STRUTTURA DEPOSITATA GLI IONI CALCIO CON IONI DIFFERENTI. Si possono introdurre altri ioni nel rivestimento. Per esempio —MAGNESIO: sembra stimolare la crescita di nuovo tessuto osseo e favorire la precipitazione di CaP. —ARGENTO: ha ruolo antibatterico quindi si pensa possa aumentare l’osteointegrazione del coating di CaP. Quindi in soluzione si inseriscono anche fosfati di magnesio o fosfati di argento. Quello che si ottiene è che i rivestimenti di fosfato di calcio non cambiamo ma a livello chimico troviamo anche ioni di magnesio e argento. Stessa morfologia superficiale. Con l’aggiunta di magnesio e argento non si osservano variazioni morfologiche significative. Inoltre non si osservano variazioni nella struttura fisica del deposito. (Gli spettri XRD confermano che abbiamo brushite). 3- CONVERSIONE DEL DEPOSITO OTTENUTO IN IDROSSIAPATITEVedi tabella. Fosfati di calcio in determinati range di pH. L’idrossiapatite risulta stabile a pH alti, è il calcio fosfato stabile a intervalli di pH più alti. La stabilità cresce soltanto a pH molto alti. È possibile modificare il rivestimento di brushite in qualcosa di diverso immergendo il campione in una soluzione basica. La morfologia dopo la conversione di fase cambia un po’. Aumentando il pH anche la struttura fisica del deposito cambia perché rimane stabile solo l’idrossiapatite, la brushite invece si dissolve. 4-STABILITÀ DEL DEPOSITO NEL TEMPO L’idrossiapatite è più stabile nel tempo rispetto alla brushite. Rilascia meno elementi in soluzione.

Qual è l’obiettivo clinico di andare verso un rivestimento per via catodica? La differenza con il plasma spray sta nello spessore diverso e nella stabilità diversa. Ottengo depositi con spessore controllabile attraverso la durata del processo. Ottengo in modo semplice e rapido depositi con diverse cinetiche di dissoluzione. Mi aspetto che la brushite se ne vada in poco tempo. La brushite ha la funzione di incentivare la crescita ossea e poi dissolversi velocemente. L’idrossiapatite con plasma spray è meno solubile, si dissolve più lentamente, ha adesione maggiore. Due scuole di pensiero che coesistono entrambe. Difficile applicazione industriale. Il mondo dei dispositivi biomedici è molto diverso dal mondo del farmaco per questioni regolamentari. Quando si ha un impianto rivestito da farmaci le cose cambiano. Se prevista qualche modifica con farmaci si fa in modo di applicare il farmaco durante l’operazione chirurgica. E qui non è più responsabilità dell’azienda.

2. MODIFICA DEL FILM DI OSSIDO DI TITANIO MEDIANTE TECNICHE DI ANODIZZAZIONE (ASD)

OSTEOINTEGRAZIONE DEL TITANIO E TRATTAMENTI BIOMIMETICI. Il titanio non ostacola i fenomeni di osteointegrazione, anche se la superficie non è riconosciuta dagli osteoblasti come superficie da colonizzare. Il processo di osteointegrazione è lento, favorendo la formazione di tessuto fibroso. È possibile migliorare la performance del titanio. Il problema che può avvenire è la formazione di tessuto fibroso all’interfaccia osso titanio. Se il metabolismo osseo non si mette in funzione velocemente (tipo anziano) può interporsi la formazione di tessuto fibroso (impianto dentale). Il dentista va dopo sei mesi a verificare che l’impianto si sia saldato con l’osso. In questo caso serve un nuovo impianto. In presenza di depositi di idrossiapatite gli osteoblasti riconoscono tale superfcie come da colonizzare favorendo una rapida osteointegrazione primaria. Fa in modo che l’osso cresca più velocemente. I problemi del l’idrossiapatite sono l’adesione e la coesione all’interno del rivestimento. Il deposito di idrossiapatite tende ad essere riassorbito, frammentandosi e formando detriti. Impianti dentali osteointegrato rivestiti di HA hanno mostrato un comportamento inferiore rispetto agli impianti puramente in titanio. L’idea è quella di ottenere gli stessi vantaggi del fosfato di calcio superando gli svantaggi dell’adesione. L’idea è quella di ANDARE A MODIFICAR IL TITANIO. -titanio modificato con trattamento biomimetico allo scopo di favorire una rapida colonizzazione osteoblastica -formazione di osso normale rimodellato e non di tessuto fibroso -assenza di detriti Modificare il film di ossido di titanio che rende passivo il dispositivo. È un materiale come i ceramici. Titania. È l’ossido di titanio. Modificare il film di ossido di titanio inserendo altri elementi che possano favorire il processo di osteointegrazione. Creare condizioni chimiche che facilitino la precipitazione immediata di ioni calcio e fosforo prima che la superficie venga “schermata” dalle proteine. Favorire contemporaneamente adesione proteica selettiva e l’adesione, la proliferazione e il differenziamento degli osteoblasti. ESEMPI DI TRATTAMENTI BIOMIMETICI

1. METODO KOKUBO (Kokubo, ortopedico giapponese) Il metodo Kokubo consiste nell’immergere in una soluzione alcalina per 24 ore a 60 gradi una componente in titanio. Si vede che il film di ossido di titanio si forma in presenza di ossigeno e protegge il titanio dalla corrosione. Su questo film si creano dei legami, si formano degli ossidrili che poi possono essere stabilizzati attraverso un trattamento termico. (Per far aumentare la

resistenza di questo film che si crea). Se questo film viene posto in una soluzione SBF (cioè con la stessa concentrazione ionica del plasma) sulla superficie del materiale si forma un idrogel di titanio sodico. Il sodio viene sostituito dal calcio e inizia la precipitazione di calcio e fosforo sulla superficie e perciò si forma uno strato di apatite. Se avviene in una soluzione SBF potrebbe avvenire anche in fluidi biologici. Viene fatta una sperimentazione in vivo. È stato visto attraverso un test biomeccanico di push out. Vedi dati. A 4 settimane il push out è più basso nel titanio rispetto a titanio modificato. Nel medio lungo termine (12 settimane) l’osso cresce e alla fine aderisce alla superficie dell’impianto. Alla fine la fissazione resistenza osso-impianto è la stessa in titanio e titanio modificato. Il vantaggio di questa tecnica è quella di velocizzare la guarigione. E questo implica la non formazione del tessuto fibroso all’interfaccia. Si evitano i problemi (in percentuale limitata) della mancata osteointegrazione. È una percentuale limitata perché di per se il titanio funziona bene. Incidenza di marketing clinico.

2. Trattamenti elettrochimici basati sulla tecnologia della ANODIC SPARK DEPOSITION:

2-a. FILM NANOPOROSI ottenuti in acido solforico e fosforico 2-b. TRATTAMENTI BIOATTIVI tipo TiSparks PRINCIPI DEL METODO ASD -Vado a anodizzare il titanio: il titanio viene polarizzato elettrochimicamente ad una tensione di 200-300 V. -Ho un aumento del film di ossido di titanio alla superficie. Il film di ossido di titanio aumenta il suo spessore da circa 2nm a circa 800 nm. Essendo il film isolante, si verificano delle microscariche elettriche che rompono il film, determinando microfusioni locali. Questo avviene in funzione della tensione che impongo. Fino a 100 V si crea una interferenza nell’ossido di titanio. Aumentando il voltaggio alla fine ho un film estremamente spesso. Passo da nanometri a micrometri. A un certo punto aumentando ancora il potenziale ho come la rottura di un dielettrico. Rottura del dielettrico in determinati punti. Tutta la corrente passa localizzata in quel punto. Passando in quel punto genera un innalzamento della temperatura molto localizzato ma molto elevato che fonde l’ossido di titanio. -La morfologia assume conseguentemente un aspetto micro-nano poroso. Si crea una struttura a pori. Crateri di diametro di 10 micron. Struttura porosa di ossido di titanio. C’è la possibilità di inglobare altri elementi nel film di ossido di titanio. Durante la risolidificazione, all’interno del film possono essere inglobate le specie chimiche presenti in soluzione. Ha una morfologia che potrebbe essere di interesse applicativo. Anni fa un produttore di impianti dentali ha pensato di modificare la morfologia degli impianti tramite questa tecnica. Film di ossido di titanio solo per modificare la morfologia. Sono già da tempo utilizzati clinicamente impianti dentali osteointegrati con superfcie nanoporosa ottenuta utilizzando la tecnica ADS in acido solforico. (Successivamente in fosforico). TRATTAMENTO TISPARK FASE 1: doppia ADS. Si realizzano due trattamenti ADS che determinano morfologia nanoporosa e in più arricchiscono il film con ioni fosfato e ioni calcio che sono in grado di favorire l’ulteriore precipitazione di tali specie dall’ambiente biologico, determinando mineralizzazione. FASE 2: funzionalizzazione. Si applica un trattamento in idrossido e si ha un arricchimento di ossidrili sulla superficie. In questo modo si favorisce una adesione proteica selettiva e la colonizzazione osteoblastica. La cosa interessante è che non si ha un rivestimento ulteriore ma il titanio passa da ossido di titanio a titanio con un cambiamento omogeneo. Si ha un passaggio graduale dagli elementi di ossido di titanio al titanio stesso. Si passa progressivamente e senza soluzione di continuità da un bulk di

titanio a un film superficiale perfettamente aderente di ossido contenente calcio e fosforo. Il film resta perfettamente aderente anche dopo piegatura macroscopica di 20 gradi. MINERALIZZAZIONE: Immergendo in soluzione SBF questi manufatti (dopo anodizzazione e idrossido di sodio) si miscela alla superficie uno strato di idrossiapatite molto spesso e compatto. Su titanio non modificato non succede niente, non avviene questa mineralizzazione. PROLIFERAZIONE DI CELLULE OSTEOBLASTICHE: Il TiSparks si comporta molto meglio rispetto al titanio non trattato. La proliferazione di cellule osteoblastiche sul titanio TiSparks è paragonabile a quella sul controllo positivo (pozzetto di coltura) e nettamente superiori rispetto al titanio non trattato. La prima cosa che la superficie del materiale vede sono gli ioni e poi le proteine. Non possiamo parlare di adesione cellulare sul materiale perché il materiale vede prima le proteine. Sul titanio le cellule appaiono scarsamente aderenti e non confluenti con presenza di filopodi. Sul titanio TiSpark le cellule appaiono aderenti e confluenti senza presenza di filopodi. Proteine passivanti quali l’albumina schermano il materiale e rallentano il processo di adesione cellulare e l’osteointegrazione. Sul titanio la distribuzione del l’actina nelle cellule osteoblastiche è significativamente ridotta e il contorno della cellula mostra un basso spreading dei filamenti di actina. Sul titanio TiSpark invece si osserva una ottimale organizzazione del citoscheletro. Sul titanio TiSpark si verifica a 72 ore un aumento della capacità di sintesi di collagene rispetto al titanio e al controllo. Sul titanio TiSpark la differenziazione cellulare e l’attività cellulare risultano molto superiori rispetto al titanio e al controllo. Ciò che si fa è collezionare varie prove attraverso saggi in vitro per capire se il materiale ha possibilità di utilizzo. CONCLUSIONI TISPARK Il trattamento TiSpark consente di rendere bioattuva la superficie del titanio, e permette di ottenere: -un rivestimento aderente e omogeneo su titanio composto prevalentemente da ossido di titanio, ricco di elementi quali Ca, P, Na e di gruppi OH sulla superficie. -è in definitiva in grado di migliorare l’integrazione dell’impianto di titanio con osso e di velocizzare l’osteointegrazione di impianti dentali. -consente di rivestire strutture rugose e ad ampia porosità (tecnica non Line of sight) e potenzialmente in grado di trattare strutture in titanio molto rugoso porose per applicazioni ortopediche. Ora si lavora su problemi diversi come le infezioni. Da una parte non devono portare svantaggi per l’integrazione tissutale e devono essere di ostacolo alla proliferazione di batteri sul dispositivo.

27 marzo 2018, TRATTAMENTI OSTEOINTEGRATIVI E ANTIBATTERICI

Trattamenti in fase sperimentale ma non lontanissimi dalle applicazioni cliniche. INTEGRAZIONE TISSUTALE E PREVENZIONE DELLE INFEZIONI BATTERICHE: Sono due obiettivi che è difficile far coincidere. Trattamenti citocompatibili e osteointegrati hanno spesso affinità con i batteri. Significatività clinica di trattamenti, ricerche. I trattamenti per l’osteointegrazione sono rilevanti ma molto più rilevante è la prevenzione dalle infezioni batteriche. I trattamenti superficiali velocizzano l’osteointegrazione e questo porta vantaggi per prevenire la formazione di tessuto fibroso. Quindi tempi ridotti significa anche maggior performance. Una cosa diversa riguarda le infezioni batteriche. Riguarda una casistica limitata ma importante. Le infezioni collegate a dispositivi impiantabili riguardano -tipologia e funzione del dispositivo -situazione clinica e biologica del paziente

-situazione chirurgica, gli ospedali. Alcuni ospedali hanno tassi di infezione più elevati altri ospedali. -biomateriale e superficie. Infezioni che riguardano la procedura chirurgica. Con lo stesso dispositivo impiantabile posso avere infezioni diverse. Tempo di impianto maggiore causa una incidenza maggiore di infezioni. Ci sono situazioni in cui l’incidenza delle infezioni è molto alta ma la severità del danno è bassa. Il rischio di infezione è dato dal prodotto probabilità di incidenza per severità del danno. In ortopedia l’incidenza delle infezioni nella sostituzione con protesi d’anca e di ginocchio è di 2-4%. Non è elevatissima ma comunque importante. Le infezioni sono importanti in alcune categorie di pazienti, per esempio nei pazienti con problemi cardiovascolari o oncologici o nei pazienti immunodepressi. Inoltre c’è un effetto dell’infezione sulla performance del dispositivo. Le INFEZIONI BATTERICHE (non parliamo di infezioni virali) possono avvenire -perché i batteri sono già sulla superficie dei dispositivi impiantabili. Questo non deve avvenire perché c’è la sterilizzazione. Oggi non è ammissibile che un dispositivo impiantabile non sia sterile. A livello industriale è una delle preoccupazioni maggiori per le aziende. -durante l’atto chirurgico i batteri entrano in contatto con il dispositivo. Non è più responsabilità dell’azienda. Per esempio se la sala operatoria è contaminata. Avere uno strumentario chirurgico adatto va a ridurre questo problema. Per esempio protesi primarie dell’anca: operazione veloce, semplice, incidenza di infezione molto bassa. Protesi da revisione (andare a togliere e sostituire una protesi precedente fallita) sono operazioni più complesse, più lunghe e i dispositivi che si utilizzano hanno dimensioni maggiori delle protesi primarie. Questo porta a un maggior incidenza dell’infezione batterica. -perché i batteri arrivano attraverso il flusso sanguigno. STRATEGIE per prevenire le infezioni: -ottimizzazione della procedura chirurgica (strumentario, tempo,...) -design dei dispositivo sensibile al limitare le infezioni. Limitare l’esposizone delle superfici che tendono a contaminarsi con i batteri. -controllo passivo delle superfici in modo da rendere più difficile la contaminazione -possibilità di agire con qualche meccanismo attivo per contrastare le infezioni batteriche. MECCANISMI PER L’INFEZIONE BATTERICA DI UN DISPOSITIVO PROTESICO L’infezione avviene attraverso: -ADESIONE dei batteri alla superficie -PROLIFERAZIONE dei batteri sulla superficie -formazione di un BIOFILM sulla superficie (solo in alcuni casi) Il biofilm è formato da una matrice di polisaccaridi che consente ai batteri di sopravvivere protetti dal sistema immunitario. Il biofilm protegge i batteri dai leucociti, dal sistema del complemento e agenti antimicrobici. Come contrastarla? L’unica vera possibilità è ostacolare l’adesione. Perché una volta che i batteri hanno aderito alla superficie non si può fare molto, il problema passa nelle mani degli infettivologi. La distruzione completa di una infezione batterica sui dispositivi impiantabili può essere complessa e complicata e necessità di una grande terapia antibiotica o la rimozione del dispositivo stesso. Il nostro target è quello di prevenire l’adesione batterica sulla superficie. L’adesione avviene in due fasi: 1) interazione chimico-fisica tra batteri e superficie del materiale. 2) reazioni molecolari tra la struttura specifica della superficie dei batteri e del biomateriale.

MECCANISMI che influenzano l’ADESIONE batterica: -fattori ambientali (tessuti in cui è immerso il dispositivo) -proprietà di superficie del biomateriale -caratteristiche dei batteri -presenza del plasma o di proteine del tessuto -tempo di esposizione -concentrazione di batteri -presenza di agenti batterici profilattici (antibiotici) Le PROPRIETÀ DI SUPERFCIE DEL BIOMATERIALE sono particolarmente importanti. Possono essere progettare e modificate considerando: -composizione chimica, -carica della superfcie, -energia superficiale, -idrofilicità/ idrofobicità -morfologia a livello micro o macroscopico (almeno a livello delle dimensioni di batteri). Le interazioni tra batteri e superfcie sia nei procariati che negli eucarioti sono mediate da proteine. Superficie bagnata e proteine adsorbite su di essa. Idrofobicità della superfcie, la carica e i siti di legame sono modificate dall’adsorbimento di proteine. Possiamo pensare di lavorare sulla superficie anche (e non esclusivamente) nell’ottica di evitare l’adesione batterica.

1. MODIFICAZIONE DELLA CHIMICA SUPERFICIALE E DELLA MORFOLOGIA

Morfologia di un dispositivo impiantabile: dispositivi ortopedici ma anche impianti dentali. La morfologia della superfcie gioca un ruolo importante nell’adesione batterica e nell’infezione. L’osteointegrazione riguarda sia impianti dentali che impianti ortopedici non cementati. La probabilità di infezione dei materiali porosi è più alta rispetto a quella dei materiali densi. I batteri tendono a aderire maggiormente su superfici porose. Importante nel campo odontoiatrico. La forma dell’impianto dentale è ben definita per potersi inserire correttamente. Sugli impianti dentali una superficie liscia potrebbe andare bene. Anche per evitare l’infezione. Per lo stesso materiale (la stessa chimica) i batteri tendono a aderire maggiormente su superfici rugose piuttosto che lisce. L’adesione batterica avviene preferenzialmente su superfici irregolari, in grado di accogliere maggiormente i batteri e di massimizzare l’area di contatto tra la membrana batterica e la superficie del materiale. Esempio 1. L’impianto dentale in centro ha superficie liscia. Un impianto dentale è una vite inserita nel cavo orale dentro l’osso. Deve essere filettata. Si posiziona all’interno dell’osso della mandibola o della mascella. Una parte andrà a integrarsi col tessuto osseo e una parte sarà in contatto con i tessuti molli, alcuni arrivano a filo con la gengiva. Quindi zone in contatto con osteoblasti e zone in contatto con fibroblasti. Come pensare di sviluppare un dispositivo che contrasti l’adesione batterica? Superficie liscia. (Smooth and clean surface finishing). Anche se a microscopio elettronico (micron) si vedono delle rugosità. Oppure possiamo avere una superficie attiva con morfologia più rugosa. (Micro roughened surface finishing). La zona transgengivale è la porta di accesso dei batteri verso l’impianto. Quindi almeno quel tratto si vuole che sia liscio in modo da garantire una minor adesione da parte dei batteri. Un’altra scuola

di pensiero dice che quella parte deve essere rugosa e attiva in modo che avvenga l’integrazione con i tessuti molli. Una possibile soluzione è andare ad applicare un trattamento antibatterico superficiale nella zona transgengivale dell’impianto. Esempio 2: Andandoci a focalizzare sulla chimica del materiale: possibilità di rendere idrofilica o idrofobica la superficie del materiale. In generale i batteri con proprietà idrofobiche preferiscono superfici idrofobiche, i batteri con proprietà idrofiliche preferiscono superfici idrofiliche. TRATTAMENTI IDROFILICI CON TECNICA ASD. (ANODIC SPARK DEPOSITION). Dopo trattamento ASD abbiamo superficie rugosa del titanio. E questo è uno svantaggio per la proliferazione di batteri. La superficie rugosa favorisce l’adesione di osteoblasti MA aumenta la probabilità di adesione batterica. Lasciamo una goccia di acqua sulla superficie del titanio non trattato. Si misura a livello microscopico l’angolo di contatto. Con un trattamento di ossido di sodio otteniamo un angolo estremamente piatto. La goccia aderisce completamente alla superficie. Abbiamo cambiato l’energia superficiale. Abbiamo cambiato IN MODO PERMANENTE la bagnabilità. Il trattamento provoca un peggioramento per quanto riguarda l’adesione batterica? Ci sono i batteri ma senza la formazione di biofilm. Quindi limita l’adesione batterica. Non è dovuta alla presenza di calcio e fosforo. È dovuto all’anatasio. Perché catalizza alcuni fenomeni ossidativi. La modifica della bagnabilità evita il fenomeno dell’adesione.

2. IMMOBILIZZAZIONE DI AGENTI ANTIMICROBICI

Una possibile strategia è quella di incorporare agenti antiinfettivi, non tossici per l’uomo, che uccidono i batteri direttamente sulla superficie del dispositivo. Gli agenti antiinfettivi possono essere immobilizzati sulla superficie in tre modi:

deposizione di film sulla superficie del dispositivo Legami chimici di molecole attive sulla superficie Inserimento delle molecole attive nella massa del materiale

Esempio 3: è possibile utilizzare la tecnica ASD per veicolare alcuni agenti antibatterici sulla superficie. Tecnica che non ha a che fare con biomolecole. Non ha a che fare con peptidi, farmaci. Strada semplice per l’industrializzazione. Il rame è agente antibatterico. Però il problema è che è anche citotossico. Anche zinco, anche argento. (Soluzioni elettrolitiche). Si utilizza come ione di interesse ioni gallio e argento. Lo ione gallio ha dimensione simile al ferro 2+. I batteri tendono a a aderire sul gallio perché pensano sia ferro ma non ci riescono. Quindi il gallio comporta la morte dei batteri. Impianto protesico dentale. Il rilascio degli elementi antibatterici aumenta se cambiano le condizioni di acidità dell’ambiente. Se aumenta l’acidità aumenta anche il rilascio. Abbassando il pH si ha il rilascio di elementi antibatterici. Se sopraggiunge una infezione, diminuendo il pH si ha anche il rilascio di elementi antibatterici. Questi trattamenti rimangono citocompatibili? L’osteointegrazione non è ostacolizzata? Si analizza la citotossicità indiretta con cellule di linea. Rispetto a un materiale di controllo (titanio non trattato) si fa un confronto. Non ci sono grossi problemi perché sono tutti simili. Ci sarebbe un problema se ci fosse un materiale con comportamento significativamente diverso. Le cose vanno bene perché internalizziamo poco argento. L’effetto citotossico sistemico dell’argento è impercettibile. Quello che si ha non è un effetto antibiotico. L’effetto degli antibiotici abbatte di almeno 3 ordini di grandezza l’adesione batterica. Nei nostri studi vogliamo prevenire l’adesione batterica. Gli effetti si vedono anche dopo tre settimane.

I trattamenti basati sulla tecnica ADS con agenti antibatterici hanno permesso la produzione di trattamenti in titanio caratterizzati da: -forte capacità antimicrobica. Riduzione significativa della proliferazione di batteri sia positivi che negativi prevenendo anche la formazione di biofilm. -no effetto citotossico. E se il materiale non è titanio? Se anodizzo l’acciaio inossidabile lo dissolvo, lo corrodo. Non posso intervenire con la stessa tecnologia, ci sono altre tecniche. I mezzi di osteosintesi oggi sono fatti in lega di titanio ma in determinate applicazioni se si vuole avere stessa rigidezza con spessore minore uso acciai inossidabili o leghe di cobalto. Ci sono anche protesi in leghe di cobalto. Una delle strategie è rivestimenti di sol gel. Esempio 4: rivestimenti in sol gel. Consente di ottenere materiali ceramici a diverso spettro e rivestimenti ceramici. Si parte da opportune soluzioni. Si riveste con un film che poi può essere consolidato per via termica. Il film che inserisco è antibatterico. Posso ottenere un film ceramico di biossido di titanio oppure pensare di dopare con argento il biossido di titanio. Ha proprietà antibatteriche.

ACCOPPIAMENTI TRIBOLOGICI Materiali per ARTICOLAZIONI ARTIFICIALI: soprattutto anca e ginocchio. Ma anche spalla, caviglia. Problematiche analoghe ma meno importanti. Nelle protesi d’anca l’accoppiamento metallo/UHMWPE è quello più utilizzato per realizzare l’accoppiamento testa femorale/ coppa acetabolare. Si può anche utilizzare l’accoppiamento ceramica/UHMWPE. Nelle protesi di ginocchio l’accoppiamento metallo/ UHMWPE è praticamente l’unico utilizzato per realizzare componente femorale/inserto tibiale. L’articolazione nelle protesi d’ANCA è semplice a livello meccanico. È un giunto sferico. Avremo sempre una TESTA solidale alla componente femorale che articola in una COPPA solidale all’osso del bacino. TESTE FEMORALI: le teste femorali sono sfere di diametro variabile tra 22 e 36 mm, connesse allo stelo mediante accoppiamento conico. Come metallo si utilizzano leghe di cromo cobalto molibdeno. Anche se a volte si utilizzano acciai inossidabili. In passato veniva utilizzato il titanio ma ora non più perché il film di ossido superficiale non è stabile a livello meccanico. Ha resistenza piuttosto bassa. Per cui titanio e leghe di titanio non sono utilizzabili. La testa può anche essere realizzata in ceramica (allumina e zirconia). COPPE ACETABOLARI: le coppe acetabolari consentono l’articolazione delle teste femorali. Sono il punto critico delle protesi a seguito dei possibili fenomeni di usura. Nel 90% dei casi si utilizza UHMWPE ma può essere fatta anche in ceramica (su cui articola una ceramica) oppure in metallo (su cui articola un metallo). L’accoppiamento metallo metallo in Europa non è più utilizzato. L’accoppiamento ceramica metallo è stata una sperimentazione che però non portava vantaggi sostanziali. Tra i problemi aperti relativi alle protesi d’anca e di ginocchio uno fondamentale riguarda l’usura del polietilene. L’usura è un problema rilevante non tanto per la perdita di funzionalità dell’articolazione, ma perché i detriti dei materiali portano alla mobilizzazione e quindi al fallimento della protesi attraverso:

Attivazione di una reazione infiammatoria Richiamo di macrofagi e cellule giganti Osteolisi periprotesica: in questo caso la protesi va sostituita. Mobilizzazione asettica

(cioè non dovuta a infezioni ma a usura).

Il problema dell’usura (perdita di massa, perdita di detriti) non è riconducibile solo al polietilene stesso, ma anche all’ambiente,... A livello biomeccanico si studia qual è il diametro migliore della testa per questo tipo di protesi. Inizialmente si realizzavano teste di 22 mm di diametro, poi 28 mm ora 32 mm. A un diametro maggiore corrisponde un movimento all’interfaccia maggiore. E questo porta a un’usura maggiore. Un design con un diametro elevato (articolazione maggiore) ha il vantaggio di essere più stabile alla lussazione (cioè quando la testina esce dalla sede). Nell’articolazione naturale non succede quasi mai perché l’articolazione è molto ampia. Nelle protesi questo può avvenire. Però se aumento le dimensioni della testina devo assottigliare il polietilene (perché il bacino è sempre lo stesso). Però non posso diminuire la coppa infinitamente. Il problema è quello dei detriti di usura. Portano a una produzione eccessiva di questi detriti che portano all’innesco di una vera e propria patologia.

POLIETILENE:

Uno dei materiali polimerici più utilizzati. È un materiale polimerico ottenuto dal monomero etilene. LDPE: molto ramificato. Si ottiene a temperatura e pressione elevata. Poco cristallino. HDPE: lineare. Si ottiene con catalizzatori stereospecifici. Molto cristallino. UHMWPE: le catene sono lineari. È prodotto con un processo simile a quello del HDPE. Il peso molecolare medio è almeno 2 milioni. Coesistenza di zone amorfe con zone semicristalline. Le zone amorfe conferiscono le proprietà meccaniche di nostro interesse per le applicazioni biomedicali. La densità è intorno all’1 perché contiene C e H. Quelli a densità più alta sono i florurati. Vedi caratteristiche. Valore basso di sforzo di snervamento. Anche il modulo di Young è basso. Lavora sopra la sua temperatura di transizione vetrosa. Ha una elevata tenacità a frattura. Tra i materiali polimerici non compositi è uno dei più alti K1c. LAVORAZIONE DELL’UHMWPE: il peso molecolare alto impedisce la tecnica principale con cui formiamo i termoplastici. È un termoplastico ma non possiamo stamparlo a induzione. Si utilizza: —stampaggio a compressione (lastre). Polvere chiusa in uno stampo e consolidata. Non parliamo di polimerizzazione. Quella non ci interessa. La polvere poi deve essere consolidata in lastre. —stampaggio diretto per compressione (componenti protesici) —RAM extrusion (barre): una barra in cui la polvere viene pressata e spinta passo passo in modo da ottenere un prodotto cilindrico. Le alterazioni indotte da queste operazioni di lavorazione sono un abbassamento di peso molecolare. Il peso molecolare si riduce e questo è già un primo degrado del materiale. VANTAGGI dell’UHMWPE: -Elevata resistenza all’usura. Se fatto strisciare con un altro materiale tra i materiali polimerici è tra quelli che funzionano meglio. -Elevata resistenza all’urto -Ottima biocompatibilità soprattutto se non è addittivato. -Basso coefficiente di attrito -Elevata stabilità chimica anche senza stabilizzanti. (Per applicazioni bio viene prodotto senza additivi o stabilizzanti). -Lavorabile per stampaggio per compressione e ram extrusion. L’ossidazione abbassa il peso molecolare. È il problema dell’UHMWPE storicamente. Il problema del degrado, del cambiamento delle proprietà nel tempo era dovuto alle tecniche di sterilizzazione. Le STERILIZZAZIONI con raggi gamma o beta sono molto efficienti PERÒ rompono le catene con la formazione di elettroni spaiati (radicali liberi) che comportano una

parziale reticolazione. Ma nel medio o lungo termine l’ossigeno che penetra va a interagire con le catene rompendole. Ossidazione e degrado progressivo che inizia dall’irraggiamento. L’esperienza clinica ha mostrato che L’UHMWPE subisce in vivo fenomeni di usura dell’ordine dei 0,1-0,3 mm/anno in termini di usura lineare (sprofondamento della testa femorale all’interno della coppa acetabolare). Tale velocità di usura è poco correlabile a fattori quali: età, peso, sesso, attività del paziente. Fino a 15 anni fa si cercavano le cause della mobilizzazione asettica delle protesi d’anca e si è visto che il fallimento è correlabile all’usura. La sterilizzazione con ossido di etilene non comporta questi problemi. Per cui il degrado procede ma molto lentamente. L’usura non comporta la rottura del componente ma le particelle provocano osteolisi periprotesica. Non è la coppa che non lavora più ma lo stelo che non è più fissato. Le particelle più pericolose sono quelle micrometriche o submicrometriche. Sotto il micron il numero di particelle aumenta progressivamente in ragione geometrica. La mobilizzazione delle protesi indotta da detriti di usura è la prima causa di fallimento nel medio-lungo termine delle protesi ortopediche. Questi ha portato allo sviluppo di nuove alternative ma i nuovi accoppiamenti alternativi era per risolvere il problema di usura del polietilene.

28 marzo 2018, TRIBOLOGIA, ALTERNATIVE ALL’UHMWPE

1. ACCOPPIAMENTO CERAMICA/CERAMICA

Il materiale ceramico utilizzato per le articolazioni ceramica/ ceramica è essenzialmente l’allumina. L’allumina è un materiale ceramico il cui uso in ortopedia è consolidato e diffuso. Elevatissima durezza e resistenza a compressione. Il grosso problema è quello della tenacità a rottura. I ceramici avanzati (che poco hanno a che vedere con quelli con cui siamo abituati ad avere a che fare) hanno come punto debole la tenacità a frattura. L’allumina, l’ossido di alluminio è stato introdotto 30 anni fa circa da ortopedici ingegneri francesi. Esiste una storia clinica rilevante per questa tecnologia di accoppiamento ceramica/ceramica. È usata anche per articolare il polietilene. Si aveva qualche vantaggio prima dell’introduzione del PE ad alta resistenza all’usura. L’accoppiamento ceramica/ceramica determina valori di usura estremamente bassi corrispondenti a valori da 2000 a 5000 volte inferiori alle articolazioni con il polietilene non reticolato. L’allumina è la base per nuovi materiali utilizzati per accoppiamenti in ceramica. VANTAGGI DELL’ARTICOLAZIONE ARTIFICIALE CERAMICA/CERAMICA -l’allumina è un ossido per cui è termodinamicamente stabile, non è suscettibile di corrosione. -Elevata inerzia chimica, quindi elevata compatibilità biologica. -stabilità: non si degrada nel tempo. -rigidità: materiale molto rigido. Geometria dell’accoppiamento che rimane stabile. Sollecitati non sono soggetti a grossi cambiamenti dimensionali. -durezza: adeguata resistenza all’abrasione. È uno dei materiale più duri. -idrofilicità: tende a bagnarsi facilmente, materiale idrofilico quindi la lubrificazione è ottima e il coefficiente di attrito minore. Il contatto tra testina e coppa è mediato da un film di fluido biologico. -possibile elevata qualità della finitura superficiale. PROBLEMATICHE nell’utilizzo dell’articolazione ceramica ceramica: -difficoltà chirurgica. Tipologia di protesi più sensibile al malfunzionamento. Le coppe acetabolari ceramiche direttamente cementate all’osso del bacino tendono a scollarsi (mobilizzazione): è necessario inserire un guscio metallico che può essere cementato o non cementato. Gli accoppiamenti ceramici sono più delicati da posizionare e richiedono una tecnica

chirurgica molto più precisa rispetto alle protesi convenzionali con l’UHMWPE. Posizionamenti e orientamenti non corretti (posizionamento verticale) possono portare a usura accelerata e catastrofica o addirittura a rottura. -tenacità a frattura, finché abbiamo forze di compressione, il contatto di superfici è mediato da fluido lubrificante le cose vanno bene. Le cose vanno meno bene quando abbiamo contatto di bordo e le forze non sono di pura compressione. La ceramica ha una tenacità a frattura intrinsecamente inferiore al metallo e i rischi di rottura rimangono. ERRORI E CONSEGUENZE 1–Se si monta una testina ceramica su uno stelo metallico con una determinata angolazione sbagliata, si ha una concentrazione degli sforzi. Se l’angolo è sbagliato il contatto avviene nella parte inferiore, interna, della testina stessa. Concentrazione degli sforzi in una singola zona. E questo per un materiale tenace è un problema. 2– Non posso sterilizzare in autoclave perché si creano delle cricche che vanno ad abbassare la tenacità. 3– Il danneggiamento del cono metallico con strumenti chirurgici provoca una intensificazione degli sforzi. 4– Montare una testina ceramica su un vecchio cono (in una operazione di revisione per esempio) può portare a una intensificazione degli sforzi. 5– Riutilizzare la stessa testina in fase di revisione, provoca intensificazione degli sforzi. Il costo della ceramica è più alto. Le articolazioni ceramica/ceramica hanno guadagnato una piena affidabilità solo recentemente. Alcune innovazioni hanno portato a produrre componenti sicure. Questi fattori riguardano: -il controllo della finezza e della purezza delle polveri di partenza, -il miglioramento del processo di produzione, -nuove tecniche di formulazioni di ceramiche. Si è passati da allumina pura a compositi ceramici (allumina tenacizzata con zirconia). Questo ha fatto si che se analizziamo il carico di rottura di questi materiali dai primi anni ottanta fino al 96 ciò che si è visto è un trend di aumento di resistenza nel corso degli anni. PERICOLO DI ROTTURA CATASTROFICA: l’usura progressiva è diversa. Schianto, rottura catastrofica. I chirurghi sono spaventati da questo per una questione di responsabilità. I chirurghi ortopedici statunitensi per questo non hanno mai accettato l’utilizzo delle testine ceramiche. Progressivamente la percentuale di casi di rottura nelle testine in ceramica va a zero nel corso degli anni. Ora la rottura dei componenti non è più un problema. TECNICHE DI PRODUZIONE dei MATERIALI CERAMICI: (Alla pressa, al plastico, a colo, riporti.) Si parte sempre da POLVERI che devono avere ben precise caratteristiche: -Composizione chimica definita e elevato grado di purezza. A livello tecnologico non è importante ma è importante per le applicazioni. -Granulometria definita e costante: forma e dimensioni delle polveri. Granulometria e distribuzione della granulometria. Le dimensioni sono nell’ordine dei micrometri. -scorrevolezza per la formatura del pezzo verde.

SINTERIZZAZIONE: polveri compresse. Alla fine ho un pezzo fatto da polveri pressate quindi fragile. Aumentando la temperatura, applicando pressione si ha, pur rimanendo in fase solida, la possibilità di saldare, di congiungere diversi grani sfruttando la diffusione allo stato solido. La presenza delle vacanze fa si che aumentando la temperatura e la pressione si possa creare

una saldatura rimanendo in fase solida. FORMATURA ALLO STATO SOLIDO. I granelli si aggregano. Ottengo un componente completamente solido, non poroso anche se il verde di partenza ha una porosità. Il processo di sinterizzazione forma una struttura a grani più grande rispetto ai singoli granelli. Nella fase iniziale le particelle si aggregano formando dei colli, le porosità diminuiscono e si arrotondano. Nella fase intermedia si ha una riduzione delle porosità. Le zone di colli vengono assorbite. Formazione di bordi di grani e di una struttura policristallina simile a quella dei metalli. Poi questi grani crescono progressivamente di dimensioni. Nella fase finale si ha un aumento della densità fino a raggiungere il 100%. Ritiro e scomparsa dei pori, crescita dei grani. Si raggiunge una struttura policristallina densa. Il bordo di grano ha implicazioni sulla resistenza del materiale. Non si riconosce più la polvere ceramica di partenza. Solido formato. Possibili difetti macroscopici: le distorsioni causate dal processo di sinterizzazione ci sono. Dopo sinterizzazione si ha diminuzione del volume, aumento della densità. Contrazione. E anche una possibile distorsione, deformazione geometrica (problemi sulle tolleranze dimensionali). Queste distorsioni devono essere calcolate sul verde per essere bilanciate. Problemi analoghi anche a componenti ceramici tradizionali. Altre problematiche riguardano le porosità residue nel caso di sinterizzazione incompleta. Oppure grani grossolani. Questo dipende dalle dimensioni delle polveri di partenza e da problemi nel ciclo di sinterizzazione. Questo comporta problemi sulla tenacità a frattura. La presenza dei difetti in un materiale ceramico è la causa del fallimento. Presenza di difetti, elevata concentrazione degli sforzi. I difetti di struttura, di dimensioni dei grani portano problemi. La formatura ha portato a una diminuzione della problematica della tenacità a frattura. Difetti di struttura e dimensione dei grani sono in relazione. L’introduzione della formatura ha migliorato la microstruttura. (Nel processo produttivo la formatura è lo stadio durante il quale una certa quantità di polvere viene modellata nella forma voluta che sarà più o meno vicina a quella finale, dopo il trattamento di sinterizzazione.) Dal momento che le polveri non presentano plasticità, al fine di ottenere una corretta formatura, esse devono essere unite a uno o più additivi per ottenere un pezzo verde con caratteristiche meccaniche tali da consentire la sua manipolazione. Elevata densità e omogeneità insieme alla dimensione dei grani sotto i 2 micron hanno permesso di raggiungere valori di resistenza di 580 MPa. Per incrementare il K1c si può agire attraverso un meccanismo di rinforzo e di trasformazione di fase. 1- TRASFORMAZIONE DI FASE: questa evoluzione ha riguardato il passaggio da allumina pura a compositi. Allumina con rinforzi. Questo composito ceramico è stato messo a punto per dissipare l’energia di propagazione della cricca. Si rinforza tramite ossido di zirconio. Trasformazione di fase con in genere aumento di volume. La zirconia è utilizzata ma non è solo ossido di zirconio, c’è anche magnesio che rende stabile la struttura tetragonale a temperatura ambiente. La zirconia, tra i materiali ceramici, già allo stato puro è a più alta tenacità. Materiale intrinsecamente tenace. Inizialmente erano state utilizzate testine ceramiche in zirconia. Poi si abbinava con materiali più tenaci. La zirconia è stata quindi utilizzata come rinforzo di una matrice di allumina. Dei grani di ossido di zirconio vengono inseriti all’interno di una matrice di allumina. Questo ha portato un passaggio da allumina pura a allumina con 10-17% di zirconia con aumento di tenacità. La tenacità a frattura quasi è raddoppiata. Parallelamente è scesa un po’ la durezza perche la durezza della zirconia è inferiore. 2- RINFORZO: possibilità di rinforzare l’allumina attraverso altre particelle ceramiche di zirconia con una forma a barretta infrapposte ai grani di allumina. L’allumina quindi diventa allumina rinforzata. Zirconia platelet toughened alumina (ZPTA).

MECCANISMO DI TRASFORMAZIONE DELLE PARTICELLE DI ZIRCONIA: Una particella di zirconia stabilizzata fa si che se c’è una cricca, la cricca nel suo procedere arriva fino alla zirconia. La zirconia è meta stabile. Quando la cricca incontra la zirconia, la zirconia si trasforma da tetragonale a monoclina e questo comporta un aumento di volume che va a chiudere la cricca assorbendo la sua energia. Il fenomeno di trasformazione rimane isolato alla singola particella, non essendo essa in contatto con le altre e non potendo quindi trasmettere l’energia sufficiente per innescare una reazione incontrollata. Questo succede anche nel caso di ossido di cromo o di stronzio. Le particelle allungate che si generano nella matrice durante la fase di sinterizzazione sono omogeneamente distribuite nell’allumina e perfettamente integrate. L’energia di propagazione della frattura si disperde girando intorno all’ostacolo. La cricca va a girare intorno a questi ostacoli. La cricca per procedere deve girare intorno all’ostacolo e perciò disperde energia. Aumento delle proprietà meccaniche, in particolare della tenacità a frattura. Il mercato dei componenti ceramici è in mano a BIOLOX. Materiale ceramico così tenacizzato che potrebbe essere utilizzato anche per il ginocchio. Sperimentazione che è stata fatta. Si utilizza la zirconia che è metastabile. Ma non è che avviene già prima dell’interesse la trasformazione in forma monoclina? Per esempio durante la sterilizzazione. Si ma non comporta grossi problemi. ZPTA per applicazioni in protesi di ginocchio. Qui rientrano tutte le problematiche di una forma più complessa. Inoltre costa molto di più. PRODUZIONE DEI COMPONENTI CERAMICI: CICLO DI LAVORAZIONE Diverse fasi che riguardano specificatamente questi dispositivi. 1-Preparazione delle polveri 2-Pressatura delle polveri (cilindro): compatto le polveri in un semilavorato. 3-Tornitura del pezzo pressato: facilmente tornibile perché non è consolidata la polvere. Con il calcolo delle dimensioni del verde si ottiene il pezzo verde prima della sinterizzazione. 4-Sinterizzazione: trattamenti termici che durano un giorno e mezzo. Importante è il controllo dell’omogeneità della temperatura all’interno del forno. Le dimensioni cambiano molto tra verde e sinterizzato. Una volta sinterizzato non posso cambiare la forma perché è troppo duro. Si può successivamente solo fare una lucidatura. Una rettifica. 5-Rifinitura (rettifica e lucidatura): scalfisco elementi dalla superficie per lucidare, per ottenere lucidità specifica. È importante anche controllare la tolleranza. Il raggio deve essere all’interno di una fascia di pochi micron. Inoltre i diversi produttori avranno un cono con un angolo prescritto, con una sua tolleranza. Come faccio a controllare la sfericità? Ci sono testatori che vanno a toccare punto a punto la superficie. 6- Ispezione e prova di carico: Tracciabilità dei dispositivi. Per tracciare una testina devo codificarla. I materiali ceramici soffrono molto dell’intaglio. Il codice alfanumerico deve essere in una zona non sollecitata e il modo di scrivere deve essere tale da non inserire delle cricche. Tutti i componenti sono testati con un precarico. I componenti testati non ne risultano danneggiati (per i ceramici non si ha deformazione plastica, e un unico ciclo di carico non li danneggia). 7-Lavaggio e sterilizzazione Le protesi ceramica ceramica costituiscono una valida ma costosa alternativa alle protesi in UHMWPE.

2. ACCOPPIAMENTO METALLO/METALLO

Per metallo si intende solo utilizzo di leghe di cobalto cromo molibdeno sia per la coppa che per la testina. I titani non possono essere utilizzati perché il film di ossido di titanio soffre di corrosione per sfregamento, tende a rompersi. Il film di passività delle leghe di cobalto cromo molibdeno è più stabile a livello meccanico e poggia su un substrato più duro. Non si possono usare nemmeno acciai inossidabili. Le leghe di cromo cobalto molibdeno possono essere di diverso tipo: ad alto o basso contenuto di carbonio; in getto o forgiate. L’accoppiamento metallo/metallo storicamente ha avuto applicazione precedente alla protesi in UHMWPE (primi anni ‘70). Il cobalto cromo molibdeno in getti ha proprietà meccaniche molto elevate. La lavorazione più semplice è uno stampo in cui si versa la lega fusa. Già con questo trattamento ha proprietà meccaniche da garantire gli sforzi adatti. Le articolazioni metallo/metallo vengono poi soppiantate dalle protesi a basso coefficiente di attrito di Charley (In UHMWPE). Le protesi metallo/metallo andavano incontro a fallimenti nel breve termine che erano imputabili non tanto al materiale in sè ma alle tecnologie di formatura: -imperfezioni geometriche di fabbricazione. -elevato coefficiente di attrito. Le due componenti che hanno stessa rigidezza per funzionare bene devono avere tolleranze molto precise. Le tecniche di lavorazione degli anni 80 90 non erano in grado di garantire una tolleranza che durasse nel tempo per applicazione industriale. Le cose vanno bene se la tolleranza tra testa e coppa è tale da garantire l’interposizione di un fluido lubrificante. Se la testina è più piccola, cioè la tolleranza tra testa e coppa è eccessiva ho un contatto polare. La zona di contatto è una zona ridotta e non ho interposizione di fluido. Se invece ho una testina con tolleranza troppo bassa ho che il contatto avviene nella zona del bordo. Quindi non ho trasferimento dei carichi mediata dall’interposizione di fluido. Le cose vanno bene se ho un controllo delle dimensioni. Il controllo riguarda sia la sfericità sia la differenza tra raggio della coppa e raggio della testina. Nelle protesi di prima generazione le cose andavano bene solo in alcuni casi per 20-25 anni. Il volume di usura delle protesi metallo/ metallo della prima generazione è 20-40 volte minore di quello tipico del polietilene. L’elevato numero di fallimenti iniziali della prima generazione di protesi metallo/metallo sembra sia da porre in relazione alle elevate sollecitazioni localizzate dovute a un gioco eccessivo o negativo (clearance= differenza tra il diametro della testina e della coppa) o dovute a irregolarità geometriche. Maggiore era il gioco tra testina e coppa, maggiore è risultata l’usura. Quando il gioco era adeguato l’usura non è stato un problema per le protesi. L’articolazione della prima generazione di protesi di tipo metallo/metallo erano costituite da lega di cromo cobalto molibdeno in getti con diametro dell’articolazione compresi tra 35 e 42 mm. In molti casi però c’erano fallimenti molto precoci per metallosi. Su alcune testine e coppe durante i test di usura è stata riscontrata la formazione di microvaiolature, riconducibili a un processo di corrosione. Infiammazioni croniche per rilascio di ioni metallici in quantità eccessive rispetto a quelle metabolizzabili dall’organismo. Questo è stato poi lo spunto per lo sviluppo di nuove protesi. La differenza tra i raggi deve essere di pochi micrometri. Uno dei vantaggi nell’utilizzo delle protesi metallo metallo è la dimensione. Il polietilene deve essere fissato all’acetabolo mediante un metal back. Ho la spessore del metal back, lo spessore del polietilene che non può essere ridotto al massimo. In una protesi tutta metallica invece non ho più bisogno del metal back. Lo spessore può essere estrememante ridotto, pochi millimetri perché il cobalto cromo è molto rigido. Articolazioni di grande diametro che copiano quelle anatomiche.

Ampio diametro, è difficile che la testa esca dalla coppa. La testa può essere legata al femore mediante uno stiletto che si inserisce nel collo del femore. Protesi resurfacing. Indicazione specifica per pazienti piuttosto giovani che dovevamo andare incontro a diverse operazioni di revisione. Negli Stati Uniti in particolare le protesi di superfcie hanno avuto ampia diffusione. Lo stiletto delle resurfacing si inserisce nel collo del femore, non nello stelo femorale. Con le resurfacing si pensava di migliorare la tecnologia. Nel corso degli anni ci sono stati fallimenti anche difficili da capire. Processi di tribocorrosione. Usura a corrosione. In effetti abbiamo a che fare con materiali che si corrodono. Si formava preferenzialmente una corrosione localizzata. Sulle protesi di superficie non c’era alternativa invece. 15 anni fa una multinazionale ha sviluppato una protesi di ampio diametro con fallimenti clamorosi. (Intorno al 10-12%). Specifico design non tollerabile. L’usura riscontrata in termini di volume è inferiore a quella del polietilene non reticolato ma le micro e nanoparticelle metalliche prodotte, nonché il passaggio di ioni metallici nei tessuti periprotesici può potenzialmente essere un problema di notevole rilevanza clinica. In cascata tutti i produttori di protesi di superficie hanno ridimensionato. L’interesse sul metallo/metallo soprattutto in Europa (dove si sente meno il problema della rottura fragile della ceramica) sono spartite. È stato chiarito che il design era tale da essere molto sensibile alla corrosione. Fallimenti dati da un elevato numero di detriti di usura. La corrosione è molto bassa, se aumentiamo l’area di interfaccia una corrosione di per se bassa può diventare rilevante. Formazione di masse di tessuti molli e una nuova vera patologia (ALVAL), cioè pseudotumori, che era associata a queste protesi. Necessità di rimuovere l’impianto. Le protesi metallo/metallo sono più costose di quelle che utilizzano UHMWPE.

4 aprile 2018, TRIBOLOGIA, UHMWPE

Polietilene deriva dal monomero etilene. Dalla ripetizione dell’unità monomerica avremo la possibilità di avere polietilene a bassa densità, bassa densità lineare, alta densità e ultra alto peso molecolare. L’UHMWPE ha peso molecolare molto elevato. Si utilizza sia per film, sia per fibre. L’high density si utilizza per contenitori. L’UHMWPE non è stato sviluppato inizialmente per applicazioni biomediche ma per fili e poi condotti. Noi lo utilizziamo per componenti articolari. Proprietà: -alta resistenza. Anche allo stato puro, non come materiale composito. -alta tenacità a frattura. -coefficiente di attrito molto basso -resistenza all’usura molto alta -materiale semicristallino. Ha domini amorfi dentro cui troviamo delle zone ordinate (in scala nanometrica). Le proprietà meccaniche dell’UHMWPE discendono dalla sua struttura semicristallina. Solo un paio di aziende nel mondo polimerizzano UHMWPE per applicazioni biomedicali. Forniscono della polvere di polimero con cui si fanno poi dei semilavorati. Per utilizzare questi materiali per applicazioni ortopediche ci sono norme che stabilizzano composizione e proprietà. Non devono esserci additivi fuori dal PE. Le norme di riferimento sono ASTM F648 e ISO 5834-1. Se obbedisce a una di queste norme si può dire Medical Grade. Perché UHMWPE possa essere utilizzato in applicazioni biomedicali deve rispondere ai limiti identificati da questi standard che riguardano la polvere che deve essere ancora processata (ASTM F648).

Esistono tre tipi di UHMWPE utilizzati (che si differenziano in base al peso molecolare): -tipo 1: il peso molecolare è piutttosto basso, intorno a tre milioni e mezzo. La polvere è identificata con la sigla GUR 1020. -tipo 2: il peso molecolare è intorno a 5-6 milioni. È identificato dalla sigla GUR 1050. -tipo 3: peso molecolare intermedio. Ma 15 anni fa la produzione è stata interrotta. Sopravvive in dispositivi applicati in passato. In passato venne unito al polietilene un additivo (calcio sterato) che veniva utilizzato come agente di distacco nelle operazioni di stampaggio e come materiale che eliminava i catalizzatori. Qui le sigle erano con un 1 nella seconda cifra. Ora non è più ammesso l’uso di questo additivo. Infatti l’aggiunta di calcio sterato aumentava i difetti di fusione e diminuiva la tenacità a frattura. Qual è il peso molecolare migliore per l’UHMWPE? Come mai due tipologie? Il peso molecolare più alto dà una maggior resistenza all’usura ma dà una tenacità a frattura più bassa. Dipende dall’applicazione, se è più importante resistenza all’usura o tenacità a frattura. Nelle protesi d’anca meglio il 1050, nelle protesi di ginocchio il 1020. La massima resistenza all’impatto è raggiunta con peso molecolare basso. LAVORAZIONE DELL’UHMWPE La polvere di partenza è già polimero. Le polveri poi devono essere processate, consolidate. Le proprietà del polietilene variano in funzione della temperatura: -sotto i -60 gradi è fragile. -sopra i 140 gradi inizia a fondere in una struttura completamente amorfa. A causa del peso molecolare troppo alto l’UHMWPE non scorre mai velocemente per diventare liquido, quindi non è possibile utilizzare stampaggio a iniezione per lavorarlo. La tecnica principe per l’utilizzo di materiali polimerici non può essere utilizzata in ragione del peso molecolare troppo elevato. Questa tecnica usa temperatura e pressione per iniettare il materiale in uno stampo. Anche ad alta temperatura la viscosità è tale per cui il materiale scorre poco. Quindi lo stampaggio a iniezione non viene utilizzato. Esistono tre tecniche di lavorazione: -STAMPAGGIO A COMPRESSIONE:La polvere (quasi per un processo di diffusione allo stato solido), si riesce a consolidare in un unico semilavorato che può essere una lastra. -RAM EXTRUSION: la polvere viene pressata e fatta passare in una filiera per dar luogo a una barra. Sono le due tecniche utilizzate per creare semilavorati che possono essere o lastre o barre. -STAMPAGGIO DIRETTO: in passato era considerato per geometrie piuttosto semplici. Pezzo semilavorato finito in una volta sola senza passare per altre vie. Il trattamento però non è possibile abbinarlo ai trattamenti di reticolazione con i quali si trattano la maggioranza dei componenti. Durante stampaggio a compressione e ram extrusion la pressione e la temperatura portano l’UHMWPE a consolidare in un processo di diffusione allo stato solido. Oggi non si notano bordi di grano in UHMWPE ben processati. Non si hanno differenze sostanziali tra materiali ottenuti con ram extrusion o con stampaggio a compressione. Una volte ottenuti i semilavorati (lastre e barre), questi devono essere ulteriormente lavorati attraverso altre tecnologie. Di solito per asportazione di truciolo. Si va a rimuovere parte del materiale per ottenere la geometria desiderata. Dopo aver ottenuto il pezzo finito, le aziende ortopediche portano il pezzo in camera bianca per decontaminare, pulire il dispositivo per poi portarlo a sterilizzare. In genere le attività di consolidamento sono operate da fornitori. Le aziende ortopediche invece si occupano solo della

forma finale. Acquistano già le barre o lastre dal fornitore. Importante che non si parte dal monomero, ma già da una polvere di UHMWPE. STERILIZZAZIONE e OSSIDAZIONE DI UHMWPE Sterilizzazione che viene effettuata da terzi. Anche le grandi multinazionali si appoggiano a fornitori che offrono il servizio di sterilizzazione. Aziende che fanno sterilizzazioni per molte tipologie di prodotti. Come tutti i materiali polimerici l’UHMWPE soffre di problemi di degrado. Può soffrire di degrado ossidativo in maniera più o meno accentuata. In certe condizioni, in presenza di ossigeno (cioè praticamente sempre), l’ossigeno può reagire con radicali liberi o che si sono formati nel polietilene. Questo fa si che l’ossigeno spezzi le catene polimeriche. A livello di peso molecolare abbiamo un abbassamento in ragione di queste reazioni chimiche. Se sono presenti radicali liberi, può avvenire l’ossidazione, e il materiale può degradare. È il problema che ha riguardato L’UHMWPE nel tempo. La degradazione nel tempo è causata dai radicali liberi generati dalla sterilizzazione. I radicali liberi possono esserci in ragione della sterilizzazione. La sterilizzazione è l’ultima parte della lavorazione. La sterilizzazione industriale ha poco a che fare con la sterilizzazione ospedaliera. Lo strumentario chirurgico è sterilizzato con tecniche ospedaliere. I prodotti biomedici impiantabili sono sterili e la sterilità è responsabilità dell’azienda. Fin dal 1960 i componenti in UHMWPE sono sterilizzati con raggi gamma in packaging permeabili all’aria e all’ossigeno.

STERILIZZAZIONE AI RAGGI GAMMA: irraggiamento con radiazioni ionizzanti che vanno a inattivare batteri, virus, scorie,.... si sterilizza il pezzo nella sua confezione. Le tecniche termiche non possono essere utilizzate perché le confezioni sono polimeriche. Tecniche come irraggiamento gamma o beta sono ideali sotto questi aspetto. Un effetto collaterale è il fatto che queste radiazioni ionizzanti vanno a interagire con la struttura dei materiali polimerici. Creano i radicali liberi che andranno poi a reagire con l’ossigeno per dare origine a un materiale degradato. Confezioni barriera ma barriere efficaci per separare l’ambiente esterno con l’ambiente interno sterile che modificano la struttura dell’UHMWPE perché creano radicali liberi che poi abbassano il peso molecolare. Una prima soluzione è stata quella di cambiare packaging. Negli anni 90 i packaging permeabili sono stati sostituiti da packaging impermeabili ai gas per mantenere basso il contenuto di ossigeno e per prevenire fenomeni ossidativi dei radicali liberi. Eliminare la possibilità che durante lo stokaggio ci fosse la presenza di ossigeno. Almeno fino a che non viene utilizzato. Una volta inserito l’ossidazione può avvenire perché l’ossigeno può penetrare e andare a reagire. Qualcosa di migliorativo ma non di definitivo. L’irradiazione in confezioni permeabili all’ossigeno inducono una reticolazione. La reticolazione portava dei vantaggi nel breve termine. In termini di resistenza all’usura. Resistenza all’usura più alta rispetto ai materiali non reticolati. Materiale che all’inizio migliora ma con gli anni va a peggiorare. Per cui la soluzione che alcune aziende hanno trovato e stata quella di eliminare la sterilizzazione mediante irraggiamento. Utilizzare tecniche industriali tramite OSSIDO DI ETILENE O GAS PLASMA. Sono i gas che vanno a disattivare gli agenti patogeni e non andiamo a creare ulteriori radicali liberi rispetto a quelli che naturalmente sono presenti. Non andiamo a aumentare il numero di radicali liberi. La sterilità deve essere garantita per 5 anni perché lo stokaggio può durare 5 anni. Ma erano stati identificati degli svantaggi per ossido di etilene e gas plasma. Non vanno a interagire con la struttura dei materiali.

STERILIZZAZIONE MEDIANTE OSSIDO DI ETILENE: l’ossido di etilene è un gas estremamente tossico. Ma non ha effetti sulla struttura chimica dell’UHMWPE. La confezione chirurgica che contiene il dispositivo non consente il passaggio di scorie. L’ossido di etilene deve entrare e poi uscire. I batteri, se prima c’erano, rimangono nella confezione ma sono morti. Con raggi beta abbiamo elettroni accelerati. La tecnica di ossido di etilene ha tempi più lunghi e

bisogna controllare la confezione in modo che il gas arrivi a tutta la superficie del materiale. La sterilità deve essere garantita alla superfcie.

STERILIZZAZIONE MEDIANTE GAS PLASMA: ora meno utilizzata. Attivare un gas plasmogeno con radiofrequenze. In genere con acqua ossigenata. Creano temporaneamente radicali liberi che disattivano batteri, virus, scorie. Non ha effetti sulla struttura chimica dell’UHMWPE. Ossido di etilene e gas plasma necessitano di un packaging permeabile ai gas. Oggi molte aziende ortopediche usano sterilizzazione mediante gas plasma e ossido di etilene, evitando radiazioni gamma.

RETICOLAZIONE - CROSSLINKED UHMWPE Le aziende che avevano abbracciato la sterilizzazione mediante ossido di etilene difendevano la scelta col fatto che il materiale era più stabile nel tempo. Il problema della mobilizzazione asettica nei dispositivi protesici è un problema del medio-lungo termine. Si pensa di partire dai vantaggi della reticolazione e eliminare il problema del degrado ossidativo. Negli anni 80 due chirurghi hanno irraggiato con raggi gamma e beta con dosi molto alte UHMWPE. La reticolazione tramite radiazione e la stabilizzazione termica è stata utilizzata clinicamente fin dal 1990. In questi pazienti l’usura sembrava essere molto ridotta. A livello clinico non bisogna aspettare il fallimento per capire che le cose non vanno bene. Si vedono delle linee all’interfaccia osso protesi che sono un avviso che sta succedendo qualcosa, che è in corso un processo di osteolisi. Procedere può portare al fallimento della protesi stessa. Con radiazione molto alta il materiale modificava la propria struttura in maniera rilevante. Sono stati messi a punto dei cambiamenti a livello della struttura. Processi che prevedevano 4 fasi: 1- Irraggiamento a alte dosi di raggi gamma o raggi beta. Dosi dal doppio fino a 4 volte. 2- Stabilizzazione termica effettuata o sotto la temperatura di fusione (annealing) oppure sopra la temperatura di fusione (re-melting). La parte semicristallina si dissolve nella struttura amorfa. Serve per disattivare i radicali liberi. 3- Lavorazione alle macchine utensili 4- Sterilizzazione con ossido di etilene o gas plasma che non vanno a interagire con la struttura dell’UHMWPE. Differenza raggi gamma-raggi beta: i raggi gamma sono fotoni, hanno onde elettromagnetiche più penetranti rispetto ai raggi beta (energia elettromagnetica più alta) ma meno ionizzante. Si riesce a ottenere un trattamento più omogeneo. I raggi beta sono elettroni, hanno trattamento più ionizzante ma si fermano prima. Cambia la temperatura. Certezza che il materiale target venga scaldato con i raggi beta. Ma potrebbe anche non essere uno svantaggio. Irraggiamento e stabilizzazione termica insieme. Invece con raggi gamma la temperatura non aumenta significativamente. Gli effetti dell’irraggiamento sulla struttura sono pressoché identici. Catene disponibili alla reticolazione. Solitamente sono utilizzati raggi gamma a temperatura ambiente. EFFETTI DELL’IRRAGGIAMENTO: Nella struttura dobbiamo distinguere tra domini amorfi e domini cristallini. Nei domini amorfi i radicali liberi possono interagire più facilmente. Nella fase cristallina si hanno radicali liberi che non hanno ancora reagito e sono disponibili per una eventuale ossidazione. Quindi i radicali della fase amorfa generano reticolazioni, quelli della fase cristallina (meno mobili) interagiscono con l’ossigeno.

TRATTAMENTI TERMICI: aumentiamo la mobilità delle catene polimeriche e possiamo creare un materiale reticolato anche nella fase cristallina. 1- Trattamenti termici sopra la temperatura di fusione. RICOTTURA. Nei trattamenti di ricottura non rimangono i radicali liberi nelle lamelle. Sono più efficienti nell’eliminare radicali liberi ma riducono la grandezza dei cristalli nel polimero. La cristallinità e direttamente connessa con le proprietà meccaniche come la tenacità a frattura. Quindi mantenere una alta cristallinità ha diversi vantaggi meccanici. 2- Trattamenti termici sotto la temperatura di fusione. RIFUSIONE. Non modifica la struttura cristallina dell’UHMWPE ma lascia dei radicali liberi che nel lungo periodo possono interagire con l’ossigeno. Aumentando la dose di irraggiamento aumenta la resistenza all’usura. Tuttavia aumentando la dose di irraggiamento influisce negativamente sulla duttilità dell’UHMWPE e sulla deformazione a rottura. Ogni azienda ortopedica ha sviluppato una specifica dose di irraggiamento e una specifica stabilizzazione termica. Questi primi trattamenti di reticolazione sono stati inizialmente applicati per le protesi d’anca ma non per le protesi di ginocchio. La reticolazione e la stabilizzazione termica non possono essere effettuati sul prodotto finale a causa delle deformazioni indotte dall’alta temperatura. Quindi questi trattamenti sono fatti su barre o lastre. Dopo che i semilavorati sono stati trattati, si ottengono componenti da materiali reticolati con lavorazione alle macchine utensili. Poi si va alla fase di confezionamento e sterilizzazione non più per irraggiamento. Se irraggio di nuovo si creano radicali liberi e si reintroducono i problemi di possibile futuro degrado ossidativo. Come mai è stata sviluppata questa procedura per produrre UHMWPE reticolato? Perché è stato scelto di utilizzare l’irraggiamento? Il problema è quello dell’evoluzione di un materiale. Il fatto di utilizzare radiazioni ionizzanti, che erano fino ad allora utilizzate per la sterilizzazione degli stessi materiali, ha portato ad avere una storia clinica simile, già conosciuta. Utilizzare una reticolazione clinica con perossidii ha portato a utilizzare sostanze chimiche con UHMWPE in tempi più lunghi, con più prove. L’irraggiamento era già stato considerato, con un trattamento termico non si andava a produrre scontri di rischio teorico. Non aggiungo nulla a livello clinico. CASO HYLAMER: Azienda che aveva pensato di far produrre un quarto UHMWPE con una accresciuta componente cristallina. Aumentare la percentuale ordinata rispetto alla fase non ordinata. Clinicamente è successo un disastro. I fallimenti sono stati parecchi. Questo materiale non solo non portava vantaggi ma peggiorava le cose. In quegli anni la sterilizzazione avveniva tramite irraggiamento gamma. Materiale ad alta cristallinità. Come mai ha dato dei problemi? Era pensato per dare proprietà migliori, ma col tempo ha dato problemi. Cristallinità elevata significa che i radicali rimangono quiescenti nelle fasi iniziali senza iragggiamento ma dopo irraggiamento il materiale era molto suscettibile a una ossidazione nel tempo. Stessa azienda che ha portato il fallimento dell’accoppiamento metallo/metallo. ESEMPI di UHMWPE RETICOLATI DI PRIMA GENERAZIONE: 1- MARATHON: Questa azienda aveva proposto un suo trattamento di reticolazione su un materiale per l’anca (coppa acetabolare). Il materiale segue gli stessi 4 stelo descritti in precedenza. Il materiale quindi era un 1050. Un irraggiamento con raggi gamma a dosi non troppo elevate. (Intorno ai 50 kGy). Basso irraggiamento significa anche bassa reticolazione. E questo significa anche bassa resistenza all’usura. Si poteva andare incontro a fenomeni di perdita della tenacità. Abbasso la tenacità a frattura.

Un primo trattamento termico a 155 gradi di rifusione aumenta la reticolazione e rimuove i radicali liberi. Un secondo trattamentro a 120 gradi di annealing è stato pensato per reintegrare la parte semicristallina. Andando a dissolvere la fase semicristallina si riformano delle lamine in maniera diversa perché sono ostacolate dalla reticolazione presente. Ci si propone di alzare la cristallinità. Atmosfera priva di ossigeno. Dovrei togliere la parte superficiale o dalla barra o dalla lastra in modo da avere superficie meno alterata. Dopodiché si eseguono trattamenti meccanici per ottenere le forme desiderate. Infine confezionamento in packaging permeabili al gas. Queste tecnologie sono state applicate all’anca ma non al ginocchio. Il fallimento avviene con una sorta di meccanismo di fatica. Abbassare la tenacità a frattura non è una bella idea dal punto di vista teorico. Lo stesso discorso vale per le protesi d’anca con spessori molto bassi oppure componenti che vanno a stabilizzare alla lussazione. La dose di irraggiamento moderata porta una resistenza all’usura ma senza degradare le caratteristiche meccaniche. Alcune caratteristiche meccaniche importanti come allungamento a rottura e resistenza all’impatto diminuiscono aumentando la dose di irraggiamento. Il non reticolato ha una sua resistenza all’usura, se sterilizzato con ossido di etilene non si degrada ma i detriti di usura prodotti sono di un certo livello. Si vede che con una reticolazione si ha una ingente diminuzione dell’usura. Ma questo porta vantaggi clinici significativi? Esiste un limite sotto il quale l’usura prodotta non comporta problemi. Se si supera un certo limite inizia a causare problemi. La resistenza all’ossidazione è importante. Il trattamento termico di rifusione e la sterilizzazione a gas plasma assicura la più alta resistenza all’ossidazione. Il problema principale dell’UHMWPE è il degrado ossidativo. 2– ALTR X: la stessa azienda ha deciso poi di evolvere. Ci sono anche ragioni commerciali di rinnovare il prodotto. Il miglioramento ha riguardato il cambiare il materiale di partenza. Si usa il 1020 è non il 1050. Si aumenta anche la dose di irraggiamento. Trattamento di remelting che non cambia. I trattamenti di ricottura sotto la temperatura di fusione non li fa più nessuno. Evoluzione dei trattamenti all’interno della stessa azienda.

6 aprile 2018, TRIBOLOGIA- UHMWPE RETICOLATI

L’altra volta abbiamo visti i trattamenti di reticolazione di prima generazione. Trattamenti di stabilizzazione aumentando la temperatura. Possibilità di far interagire i radicali liberi durante l’aumento della temperatura. La problematica che abbiamo discusso è che andando a interagire con la parte cristallina andiamo a modificare altre proprietà meccaniche, in particolare la tenacità a rottura. Se vogliamo eliminare i radicali liberi dobbiamo andare sopra la temperatura di fusione. Alta resistenza all’usura ma diminuzione della tenacità a frattura. Questo non è un grosso problema per le protesi d’anca perché i valori di sforzo sono molto bassi. Può essere un problema per protesi di ginocchio dove i carichi, le forze quindi gli sforzi che si sviluppano possono essere di maggior entità. Il polietilene reticolato di prima generazione quindi non viene utilizzato per le protesi di ginocchio proprio per il problema della tenacità a frattura. Si è cercato di migliorare la resistenza all’usura ma senza diminuire la tenacità a frattura. Sono stati introdotti altri metodi che sopperiscano il problema indotto dalla stabilizzazione termica. È la stabilizzazione termica che diminuisce la tenacità a frattura.

Si è pensato di utilizzare agenti chimici stabilizzanti. Un’altra via seguita è quella di stabilizzare attraverso deformazione. Deformando il materiale a bassa temperatura si ha lo stesso effetto di inattivare radicali liberi. In questocaso la deformazione non abbassa la tenacità a frattura. Ma il metodo più utilizzato è quello di usare mediatori chimici:

UHMWPE CON VITAMINA E Altre aziende hanno sviluppato (sviluppo più lungo rispetto alla stabilizzazione termica) questo nuovo metodo. [THR: sostituzione totale dell’anca, TKR: sostituzione totale del ginocchio.] Problema del degrado ossidativo nel tempo dei materiali. Con plasma e radiazioni viene risolto il problema di degrado ossidativo, non di resistenza all’usura. Perciò vengono fatte le reticolazioni. La reticolazione aumenta la resistenza all’usura ma abbassa le proprietà meccaniche. Per eliminare la stabilizzazione termica si utilizzano degli antiossidanti. In ambito biomedicale hanno il problema della biocompatibilità biologica. Non vogliamo problemi di citotossicità locale o sistemica. La vitamina E è un antiossidante naturale. È una sostanza lipidica naturale antiossidante. L’idea è utilizzarla per naturalizzare i radicali liberi come alternativa ai trattamenti di stabilizzazione termica. Sono state seguite due strade: 1)mescolare alla polvere di UHMWPE la vitamina E. BLENDING. Il blending avviene in quasi tutti i biomateriali. Tanti gradi diversi di aggiunta di additivi. Sostanze unite al polimero per dar luogo a materiali diversi. La polvere di polietilene viene mescolata con 0,3% in peso di vitamina E. Dopodiché c’è il consolidamento per ottenere un semilavorato che a questo punto può essere irraggiato con raggi gamma o beta. Il trattamento di reticolazione a questo punto non ha più bisogno di stabilizzazione termica. Infatti la vitamina E va a inattivere i rdicali liberi. I componenti vengono lavorati con macchine utensili. A questo punto c’è la sterilizzazione. L’irraggiamento sulla vitamina E ha effetti ma lascia attiva la funzione di antiossidante. Questo trattamento è seguito per lo più da tutte le aziende. 2)far diffondere dalla superficie la vitamina E successivamente alla formatura dei pezzi. DIFFUSION. Una sola azienda ha seguito questa via proprietaria. La vitamina E è introdotta successivamente alla reticolazione del pezzo. Componenti che vengono ottenute da reticolazioni. Irraggiamento per indurre la reticolazione sul componente. Non posso più fare stabilizzazione termica perchè il componente formato si squaglierebbe. Il materiale diventa più fluido. È possibile far diffondere da una soluzione liquida la vitamina E. La vitamina E penetra dalla superfcie. Ma tanto è lì che siamo interessati a far prevenire l’ossidazione. Le proprietà antiossidanti della vitamina E possono essere combinate con un’alta energia di irraggiamento per progettare nuovi UHMWPE con alta resistenza all’usura e alla fatica. È stato scoperto che la vitamina E: -stabilizza UHMWPE dall’ossidazione -aumenta la resistenza all’usura anche se UHMWPE non è reticolato -diminuisce la densità dei cross link in UHMWPE reticolato. Quando sono stati sviluppati questi trattamenti c’era un problema aperto: la vitamina E è liposolubile. Non è dissolvibile in soluzioni acquose. A livello di processo di blending in UHMWPE va benissimo. Le cose vanno bene fino a che la vitamina E rimane al suo posto. Uno dei problemi è che una volta impiantata in vivo si dissolva nel sangue legandosi con colosterolo. In

realtà è stato verificato che questo problema non esiste. Sono trattamenti di seconda generazione di reticolazione. Esempio: sperimentazione in laboratorio per capire se polietilene stabilizzato con vitamina E o polietilene reticolato offrono vantaggi. Viene preso polietilene 1020 stabilizzato con vitamina E tramite blending. Viene reticolato con radiazioni gamma e non vengono effettuate stabilizzazioni termiche. Si valuta: OSSIDAZIONE, PROPRIETÀ MECCANICHE e RESISTENZA ALL’USURA. Sono stati sviluppati trattamenti di invecchiamento artificiale. Protocolli di invecchiamento accelerato. (Viene a questo scopo aumentata la pressione). Invecchiamenti artificiali per confrontare il materiale nuovo con un materiale di controllo. Il materiale di controllo può essere un polietilene sterilizzato con ossido di etilene o plasma. Due lastre irraggiate con due dosi diverse: 25 kGy o 100 kGy e una lastra non irraggiata. (La prima irradiazione provoca sterilizzazione. La seconda provoca reticolazione.) La sterilizzazione con raggi gamma e raggi beta ha tanti vantaggi. I ceramici dopo la sterilizzazione con raggi gamma diventano rosa. Ma a livello strutturale e meccanico non cambia. Il problema riguarda solo il polietilene e altri materiali polimerici per i raggi gamma. I materiali testati sono quindi un UHMWPE non trattato, un UHMWPE con vitamina E, uno con vitamina E sterilizzato con raggi gamma e infine uno con vitamina E reticolato. Con un protocollo di invecchiamento artificiale (bomba di ossigeno) si confrontano. 1–OSSIDAZIONE: Si fa un’analisi su fettine di materiale ottenute nella zona di interesse e si cerca il legame carbonio-ossigeno. Se rapporto il picco del legame carbonio-ossigeno con un altro picco di riferimento si ricava un indice di ossidazione che riferisce quanto il materiale è ossidato. I materiali non si ossidano nemmeno dopo invecchiamento. 2-DEGRADO: facciamo prove meccaniche. L’allungamento a rottura un po’ si abbassa in UHMWPE stabilizzato con vitamina E. Ma lo sforzo a rottura aumenta. Il comportamento a fatica rimane uguale. 3- RESISTENZA ALL’USURA: si eseguono prove di screaming. Carico costante e movimento a otto multidirezionale. Cilindro di polietilene che insiste su un disco con movimento a 8 per mezzo milione di cicli. Movimento multidirezionale perché? In passato nelle sperimentazioni era stato notato che i movimenti monodirezionali (o alternati o un campione che ruota su un disco) portavamo a perdite sottostimante. L’usura è più bassa su un movimento monodirezionale rispetto a un movimento multidirezionale. Cambia l’allineamento delle macromolecole. Un modo per rinforzare il materiale è stirarlo. Se stimolo con movimento unidirezionale le macromolecole all’interfaccia tenderanno a allinearsi. Se stimolo unidirezionalmente ottengo un’usura più bassa rispetto a quella della realtà. I dati di usura dimostrano che UHMWPE reticolato (contenente vitamina E) prima dell’invecchiamento è quello che si usura di meno. Il grosso miglioramento in termini di perdita di peso è nel reticolato. Valori molto bassi. Un milione di cicli approssimativamente è un anno di lavoro. In alcuni studi anche dopo 10 milioni di cicli non trovavano perdite di peso. Con prove in vitro non era possibile apprezzare alcuna perdita di peso. Si è dovuto ricorrere a procedure sperimentali di screaming. Dopo invecchiamento non cambia nulla. È dimostrazione del fatto che UHMWPE è un materiale stabile. Non va incontro a degrado ossidativo per invecchiamento. CONCLUSIONI: polietilene con vitamina E ha mostrato alta stabilità e resistenza all’ossidazione, ma proprietà meccaniche invariate. Polietilene reticolato con vitamina E ha mostrato alta stabilità e resistenza all’ossidazione, alta resistenza all’usura e variazioni nelle proprietà meccaniche (più alta resistenza ma poi basso allungamento a rottura).

Esempio protesi d’anca con testina molto grande. Se si usa un UHMWPE molto resistente all’usura ci può essere un design di questo tipo. Il vantaggio di usare questa testa molto grande è una ridotta lussazione. Design che portano dei vantaggi come ridurre il problema delle lussazioni.

10 aprile 2018, IMPIANTI DENTALI

Le tecniche odontoiatriche che utilizzano biomateriali possono essere classificate in: -implantologia -rigenerazione guidata dei tessuti -protesizzazione (protesi fisse e mobili) -ricostruzione e otturazione di elementi dentali -ortodonzia -endodonzia Con la ricerca di una miglior qualità della vita è molto aumentato il ricorso ad interventi di implantologia odontoiatrica. Si stima che solo in Italia vengano impiantati circa 1 200 000 impianti dentali l’anno. Numeri rilevanti per aspetto clinico e industriale. Settore che rimane delle grandi multinazionali ma è anche molto frammentato. C’è una forza rilevante che riguarda piccole medie aziende dove gli aspetti tecnico scientifici sono rilevanti. Nelle multinazionali la ricerca è fatta dalle case madri. Il 50% del mercato è oggi in mano a circa 10 grandi aziende internazionali. Il restante 50% è in mano a circa 200 medie, piccole o piccolissime aziende internazionali e nazionali. Alcune microaziende operanti nel settore sono uscite dal mercato a seguito dell’introduzione del marchio CE. Il settore ha notevoli margini di crescita. IMPIANTI OSTEOINTEGRATI DI VECCHIA CONCEZIONE: Storia partita con sperimentazioni di dispositivi molto diversi. I primi impianti avevano una forma di lama. Sopra si portavano mettere elementi dentali o ponte. I primi impianti dentali osteointegrati sono stati impiantati a lama, vite ad ampi filetti o comunque con geometria improbabile da un punto di vista biomeccanico. IMPIANTI OSTEOINTEGRATI DI NUOVA CONCEZIONE: I moderni impianti vanno a pari passo con lo sviluppo della biomeccanica. Gli attuali impianti dentali osteointegrati si basano su due principali forme: 1) Da vent’anni gli impianti diffusi sono quelli A VITE. Hanno la forma di una vite cilindrica, o conica. Vengono inserite nella loro sede applicando un momento, una coppia. 2) Sono diffusi anche impianti cosiddetti A POZZETTO. Sono dei cilindri senza filetto. MA il 95% degli impianti sono a vite. La sede chirurgica viene preparata attraverso delle frese. Fino ad arrivare al diametro di nocciolo della vite. L’impianto viene inserito avvitando lo stesso nella sede ossea e creerà la sua strada andando a filettare l’osso. Dipende dal tipo di osso (proprietà meccaniche, densità,...). Quando la qualità dell’osso è bassa ci sono tecniche chirurgiche atte a supportare il nuovo impianto. Esistono tante tipologie di queste viti. Le viti cilindriche sono viti autofilettanti. Per essere autofilettanti devono avere una sorta di scarico. Molto spesso quesi impianti a vite hanno dei rientri nella zona apicale. In quella posizione l’impianto andrà a accumulare l’osso. Se l’osso non è necrotizzato per qualche ragione. Se non ci sono problemi l’osso verra utilizzato nell’ambito dell’ambiente biologico.

Ci sono anche impianti conici. Esistono tantissime variabili e differenze. Differenze anche con il diametro. Dipende dalla zona in cui deve essere inserito. Lo stesso modello avrà diverse taglie che riguardano sia larghezza che lunghezza. I fornitori devono fornire diverse taglie di impianti. Connessione con la parte MONCONE che verrà consolidata con la corona. L’impianto in sè è quello che entrerà a contatto con il tessuto osseo. L’impianto che dovrà fissarsi con i tessuti ossei. Su questi impianti verrà messo un moncone. Non dovrà muoversi, non dovrà ruotare, non dovrà svuotarsi. Sistemi di accoppiamento meccanico che devono dare la possibilità di posizionare la corona. Serie di problematiche meccaniche. Se l’interfaccia è sigillata da un fissaggio conico, non ho penetranze di batteri. Le aziende che propongono diversi dettagli hanno tante diverse vite di sviluppo. Anche la forma e la geometria dei filetti può essere diversa. Possono esserci anche due o tre generatrici di filetti. Cosa cambia? A parità di passo di filetto in un giro un impianto a tre principi scende tre volte rispetto a quello a un principio. Il vantaggio è che ho meno interfaccia con il tessuto osseo. Gli impiantologi hanno a che fare con problematiche chirurgiche differenti. Si aiutano spesso con sistemi di membrane di fosfato di calcio autologo per rimodellare e dare sostegno agli impianti dentali. Questo porta a una sopravvivenza degli impianti dentali che è più che soddisfacente. Più del 90% degli impianti sopravvive oltre 7-10 anni. I problemi di ricerca sono più o meno risolti, non c’è molto su cui lavorare. La rilevanza clinica di innovazioni non è così elevata. Ciò nonostante ci sono aspetti di dettaglio su cui vale la pensa soffermarsi. A livello meccanico le forze sono applicate dinamicamente. Quindi dobbiamo guardare la RESISTENZA A FATICA dei materiali. Prevalentemente gli impianti dentali sono caricati con forze verticali. In funzione del tipo di elemento dentale si hanno forze che variano da qualche centinaia di N a 800 N. C’è anche una componente laterale in questi carichi perché ci sono elementi angolati. Inoltre noi non mastichiamo sempre in asse. Le componenti laterali dei carichi sono nell’ordine di 20-30 N. La frequenza delle battute masticatorie è di 1-1,2 Hz. Lo sforzo massimo di contatto sui denti è di 20 MPa e dipende dalla zona di contatto degli elementi dentali. Che effetto hanno questi carichi dinamici applicati agli impianti? Le sollecitazioni di COMPRESSIONE sugli impianti non rappresentano un problema in quanto: -fixture e abutment hanno alta sezione resistente. Gli impianti hanno sezioni resistenti elevate e i carichi non risulteranno troppo elevati. -la vite di connessione che ha bassa sezione non viene sollecitata. Ci sono sforzi dati dalla connessione da impianto e moncone. La vite di connessione avrà una bassa sezione e sarà quella più sollecitata. Non ho solo sforzi di compressione. Sono anche sforzi di trazione dovuti a flessione. L’integrità degli impianti può essere compromessa da sollecitazioni di flessione e di trazione. Componenti di trazione vengono generate quando più impianti sostengono un’armatura caricata per compressione in una estremità: in alcuni impianti le viti di connessione vengono sollecitate a trazione. Si può giungere a rottura per fatica della vite di connessione tra fixture e abutment. Spesso si costruiscono dei pilastri. Tengono una barra solidalizzata. Quindi struttura iperstatica. Se pensiamo alle sezioni in gioco, l’impianto ha una sezione resistente pari a 4 mm quadrati (è un cilindro cavo). La vitina di connessione ha una sezione resistente di 1,72 mm quadrati. Se vado a diminuire la sezione resistente della vitina di connessione aumento la sezione resistente dell’impianto. Gli sforzi corrispondenti sono dell’ordine di 200-230 MPa. Sulla vite di connessione raggiungono i 600-700 MPa.

Quali MATERIALI possiamo utilizzare? L’attenzione è volta a titanio e leghe di titanio. Anche acciai inossidabili e leghe di cobalto cromo ma subentrano altri problemi. Il titanio commercialmente puro è quello utilizzato per impianti dentali. Per elementi che hanno sezioni ridotte (come le viti) posso usare materiali più resistenti come le leghe di titanio. Maggior resistenza quando si passa da grado 1 a grado 4. Gli impianti dentali osteointegrati si fanno tutti con titanio di grado 4 per alzare la resistenza in termini di sforzo di snervamento. I PROBLEMI MECCANICI possono avvenire quando? Ho carichi applicati dinamicamente. Può verificarsi rottura per fatica. I problemi riguardano -o una mancata osteointegrazione dopo 4-5 mesi dall’inserimento dell’impianto; -o allo svitamento dell’impianto dal moncone. Disconnessione abutment-fixture; -il problema di medio lungo termine maggiore è l’adesione di batteri nella parte transgengivale e conseguente perimplantite (riassorbimento osseo). PARODONTITI: riassorbimento osseo dovuto a penetrazioni batteriche nei tessuti molli. La stessa cosa può avvenire per gli impianti dentali (perimplantite). Per questa problematica del medio lungo termine si può cercare di utilizzare un impianto che vada bene per la sua fissazione ma anche che non faccia penetrare i batteri. Per migliorare la stabilità a lungo termine degli impianti dentali è possibile ricorrere a: -ottimizzazione della progettazione biomeccanica -opportune finiture e trattamenti superficiali per l’osteointegrazione della fixture -limitare l’adesione batterica sulla parte transgengivale -innesti ossei, sostituti dell’osso o distrazione preimplantologica -uso integrato di membrane per la rigenerazione guidata. Sono di grande interesse oggi i trattamenti che prevengono l’adesione, proliferazione e infiltrazione batterica. Non ci soffermiamo molto sulla TIPOLOGIA di impianti dentali. Tieni in considerazione che esistono tanti impianti diversi. Anche solo sul filetto possiamo avere tante variazioni. Posso avere geometria triangolare, passo fitto o passo largo,... L’impianto molto tagliente si inserisce più facilmente di un impianto più arrotondato. Le lavorazioni per la costruzione di impianti dentali sono lavorazioni per asportazione di materiale. Le operazioni di FINITURA SUPERFICIALE che riguardano gli impianti dentali sono analoghe ai trattamenti di superficie visti per l’ortopedia. L’osteointegrazione sarà favorita o sfavorita dalle finiture superficiali. -solo sabbiatura -sabbiatura e decontaminazione -attacco chimico: siamo interessati a attaccare con qualche aggressivo chimico la superfcie. -sabbiature particolari. Sabbiare con fosfato di calcio oppure con minerali che possono essere dissolti facilmente. Per sabbiare in genere si usano elementi duri come ossido di alluminio. Per togliere gli elementi di sabbiatura dalla superficie non riesco a dissolvere le particelle di allumina, devo dissolvere titanio attorno alle particelle di allumina. -trattamenti innovativi (ad esempio ASD). Nel medio lungo termine il problema è quello delle PERIMPLANTITI quindi l’adesione batterica. 1) approccio classico: La soluzione è l’uso di un impianto liscio. Limitare l’adesione batterica mediante elevata finitura superficiale (polishing) del colletto. I batteri del cavo orale non riescono a colonizzare la superficie del colletto e penetrare in profondità. 2) approccio alternativo: creare la possibilità di avere una maggior adesione con i tessuti molli. Aumentare l’adesione dei tessuti molli e sigillare la via di accesso ai batteri del cavo orale.

3) approccio innovativo: applicare trattamenti attivi in modo da favorire l’integrazione tissutale e sfavorire l’integrazione di batteri. Esistono evidenze ed è accettato il fatto che il titanio puro, pur non essendo riconosciuto dagli osteoblasti come superficie da colonizzare è comunque il metallo che meno ostacola i processi di osteointegrazione. Le leghe di titanio hanno un comportamento inferiore dal punto di vista dell’osteointegrazione rispetto al titanio puro ma sono comunque considerate migliori rispetto alle leghe di cobalto e agli acciai inossidabili. Molte analogie con l’ambito ortopedico. La finitura superficiale, la morfologia della superfcie di un impianto in titanio commercialmente puro, può essere cambiata con le tecniche già discusse. -lavorazione meccanica: A seguito della lavorazione meccanica restano sugli impianti rigature di lavorazione meccanica e ricalcature dovute ai trucioli di lavorazione. Il problema è che batteri e cellule hanno queste dimensioni. -sabbiatura: PARAMETRI che quantificano quanto è il LIVELLO DI FINITURA SUPERFICIALE. Una superfcie molto liscia ha un parametro di rugosità aritmetica molto bassa. La sabbiatura aumenta questa rugosità superficiale. Abbiamo delle scaglie che sono particelle degli elementi di sabbiatura che sono penetrate all’interno della superfcie. Se ho tante particelle sulla superficie vado a schermare il titanio (che è un materiale che funziona molto bene per l’integrazione dei tessuti). Per cui può essere uno svantaggio. Posso fare sabbiatura con fosfati di calcio. L’idrossiapatite residua può giocare un ruolo non negativo. Non trovo più particelle incastonate sulla superficie. -titanio rugoso plasma spray. Grazie alla deposizione plasma spray di polvere di titanio è possibile ottenere una superfcie caratterizzata da rugosità elevata. I depositi di plasma spray sono tuttavia caratterizzati da non elevata purezza e possibilità di distacco di particelle. -attacco chimico lucidante: anche con aggressivo chimico posso asportare il materiale dalla superficie. Togliere qualche micrometro di profondità di titanio. -attacco chimico irruvidente -metodi biomimetici Gli attacchi chimici che vanno a dissolvere il titanio formato dalle lavorazioni meccaniche vanno a pulire la superficie. Il vantaggio vero è cancellare problemi precedenti dovuti alla formatura del materiale. Sul moncone si costruisce l’elemento dentale, la corona. Come connettere il moncone all’impianto? Si usano i sistemi con una vitina di connessione che va a prendere il moncone sull’impianto. Accoppiamenti prismatici che danno stabilità. Con un accoppiamento prismatico blocco la rotazione. Sul moncone poi si cementa la corona.

TRATTAMENTI DI MODIFICA SUPERFICALE PER GLI IMPIANTI DENTALI Il problema è sempre l’integrazione tra tessuto osseo e materiale da impianto. Il fallimento avviene se si interpone tessuto fibroso. Per gli impianti dentali non possiamo considerare i rivestimenti di HA plasma spray. Perché è ceramico, troppo spesso e andrebbe a rompersi se impiantato. Si effettuano trattamenti di modifica della superfcie del titanio. -OSSEOTITE: tipo di trattamento di superficie. Finitura superficiale ottenuta mediante un attacco acido che comporta una microrugosità. L’ipotesi è che questa morfologia riesca a incentivare l’adesione della fibrina e comporti una più rapida adesione cellulare e formazione di nuovo tessuto osseo. Attraverso attacchi acidi si riesce a ottenere la morfologia voluta. L’applicazione del titanio riguarda la sua elevata resistenza alla corrosione. Se vogliamo corroderlo ci troviamo ostacolati dalla sua resistenza alla corrosione. Resiste a tutto tranne al fluoro. L’acido

fluoridrico ha la capacità di dissolvere il film protettivo di ossido di titanio che porta la sua resistenza alla corrosione. Quindi attacchiamo il titanio con acido fluoridrico. (Depassivazione). Dopodiché si attacca con acido cloridrico e acido solforico. Poi la stessa casa ha lanciato una evoluzione dell’osseotite. Non cambiamento rivoluzionario ma evoluzione. Quindi diventa NANOTITE. È stato applicato un rivestimento manostrutturaro di calcio e fosforo. La superfcie e la morfologia non cambiano molto, le lavorazioni nemmeno, si aggiunge solo un rivestimento di calcio e fosforo. In realtà gli impiantologi preferiscono la versione precedente. -SLA: Sand-blasted Large-grit Acid-etched. Superficie sabbiata con elementi grossolani di ossido di allumina. Dopo la sabbiatura viene effettuato un attacco chimico. Grosse fosse a livello microscopico. Elevata rugosità. E su questa sabbiatura si effettua un attacco acido che dà una rugosità bimodale. Il grosso della rugosità è conferito dalla sabbiatura. L’attacco acido va ad asportare il materiale nelle direttrici conferite dalla sabbiatura. Nella realtà questo trattamento va ad asportare gli elementi di allumina importati dalla sabbiatura. La depassivazione del titanio viene effettuata dalla sabbiatura. Tolgo meccanicamente. Subito dopo la sabbiatura faccio l’attacco acido e ottengo questo trattamento. Privo di particelle di ossido di alluminio. L’attacco acido provoca una decontaminazione della superfcie dalle particelle di allumina. L’evoluzione è SLActive. Dopo il trattamento gli impianti sono confezionati in una soluzione fisiologica priva di ossigeno. L’impianto va a contatto con l’ossigeno solo dopo l’apertura nel momento dell’operazione. Quindi quando lo si toglie la superfcie è estremamente attiva. In questo caso viene conseguita a livello temporaneo la corrosione. L’energia superficiale è elevata. Fondamentalmente è un impianto estremamente idrofilico. Si riveste di sangue perché il sangue va a bagnare una superfcie idrofilica. Quindi può avere vantaggi. Ciò che cambia è solo la confezione chirurgica. Non si modificano troppo le condizioni di lavorazione. -OSSEO SPEED: sabbiatura effettuata con ossido di titanio. Ossido non così duro come l’ossido di alluminio. Quindi è meno efficiente dell’ossido di alluminio. La contaminazione superficiale è limitata con particelle di ossido di titanio. Provoca una morfologia nanometrica. -TIUNITE: è un trattamento elettrochimico passato sulla ASD. In una soluzione di acido H3PO4 provoca una superfcie microporosa. -BIOROUGH ETCHING: idea sempre di rimuovere il film di ossido di titanio. Trattamento chimico sviluppato dal politecnico di Milano in grado di modificare la morfologia superfciale a livello micrometrico e di decontaminare la superfcie da precedenti operazioni di lavorazione. CONCLUSIONI: i trattamenti di superfcie si basano su decontaminazione della superfcie da precedenti processi lavorativi e creazione di microrugosità. Perché utilizziamo il titanio? Il successo del titanio e delle sue leghe nelle applicazioni biomediche è relativo al film di ossido di titanio che riveste il metallo. Da un punto di vista corrosionistico è molto stabile in tantissimi ambienti diversi. Isolante, impermeabile all’ossigeno, protettivo. Inoltre il film di ossido di titanio ha un comportamento specifico clinico se posto in soluzione. Anche pochi nanometri del film di passività dell’ossido di titanio tendono a caricarsi positivamente o negativamente a seconda del pH della soluzione in cui è immerso. In ambienti acidi si carica positivamente. Questo comporta interazioni tra ioni. Oppure tra ioni e proteine. Oppure tra proteine e recettori cellulari.

11 aprile 2018, LEGHE A MEMORIA DI FORMA

Trovano giustificazione nella struttura cristallina dei materiali.

Deformazione elastica: deformazione recuperabile. I reticoli cristallini rimangono invariati, sono solo leggermente deformati. Lieve spostamento nella posizione degli atomi. Appena lascio il carico il materiale torna nella sua posizione. Questo lo vedo macroscopicamente. Nella maggior parte dei materiali metallici la deformazione elastica è degli ordini di 0,1. Se supero la capacità del materiale di assorbire energia in modo elastico ho deformazione permeanente. A livello macroscopico ho variazione di forma. A livello della struttura cristallina ho un cambiamento della posizione di alcuni atomi. La deformazione plastica dei metalli può avvenire secondo due meccanismi diversi: -SCORRIMENTO (SLIP): una forza spinge la parte superiore del metallo. Rottura di certi legami e riformazione dei legami nella posizione successiva. Supero una soglia critica, rompo i legami e vado a riformarli in un’altra posizione. -PER GEMINAZIONE (TWIN): meccanismo meno intuitivo. Non c’è uno scorrimento, non è una parte che trasla, c’è un movimento del reticolo. Il reticolo viene deformato nel senso che una parte del reticolo gira in modo speculare rispetto all’altra parte. Il reticolo si orienta nello spazio in modo diverso. Stessa struttura cristallina ma una parte è cambiata. È il meccanismo che ci interessa oggi. Ovviamente dipende da tantissimi fattori. Più sono lontana dal piano di simmetria maggiore è lo spostamento.

LEGHE A MEMORIA DI FORMA (SMA = shape memory alloy) Sono materiali metallici che hanno proprietà caratteristiche: 1)la CAPACITÀ di RICORDARE una determinata FORMA GEOMETRICA MACROSCOPICA: effetto vero e proprio di memoria di forma. La memoria è una prima forma di intelligenza. La definizione di intelligenza prevede che si utilizzino informazioni presenti in passato per decisioni presenti. La memoria è un primo passo. Le SMA sono in grado di ricordare una forma macroscopica. Posso far recuperare questa forma con opportuni stimoli, in particolare termomeccanici. Scaldo la molla e ritorna alla forma iniziale. 2)PSEUDOELASTICITÀ (superelasticità): capacità di subire deformazioni dell’ordine del 10% recuperandole completamente durante la fase di scarico, senza evidenziare fenomeni di plasticizzazione. Proprietà meno appariscente. Le proprietà delle leghe a memoria di forma derivano dal fatto che in questi materiali avviene una particolare TRANSIZIONE DI FASE martensitica termoelastica. In particolare un cambiamento che posso far avvenire o con stimoli termici o meccanici ed è una trasformazione tra due fasi cristallografiche. A seconda delle sollecitazioni di sforzo e temperatura a cui il materiale è sottoposto posso avere due fasi nelle leghe a memoria di forma: fase austenitica e fase martensitica. Queste trasformazioni sono la ragione per cui si hanno le proprietà dette. Transizione di fase martensitica termoelastica. Se cambio sollecitazione o temperatura cambio la fase. Le trasformazioni di fase (solido-solido) dell’una nell’altra, e viceversa, al mutare dello stimolo termomeccanico, sono responsabili della memoria di forma e della pseudoelasticità. Modifiche di temperatura o stato di sforzo possono causare il passaggio da una fase all’altra. L’austenite è la fase stabile ad alta temperatura, la martensite a bassa. Temperatura su un asse, stato di sollecitazione sull’altro asse. Le righe dicono quando avviene la trasformazione. Le linee si possono attraversare sia agendo sullo sforzo sia sulla temperatura. Posso muovermi come voglio sul grafico ma la trasformazione della struttura cristallina avviene solo sulle righe. As è austenite start. Af è austenite finish. Cambia solo l’organizzazione degli atomi nello spazio.

MEMORIA DI FORMA Grafico in percentuale di martensite della struttura. Le leghe a memoria di forma hanno una trasformazione da austeinite (fase genitrice) a martensite (fase generata). Scaldando si va verso l’austenite. La trasformazione inizia a una temperatura As e finisce a una temperatura Af. Raffreddando verso la martensite. La trasformazione inizia a una temperatura Ms e finisce a una temperatura Mf. Questi passaggi sono trasformazioni reversibili. Le temperature Ms e Mf sono inferiori alle temperature As e Af e pertanto si ha un ciclo di isteresi in genere di poche decine di gradi. Le temperature di inizio e fine transizione dipendono sia dall’esatta composizione della lega sia dalla sua storia termomeccanica. Entrambe le cose le posso influenzare io.

1. Struttura cristallografica: AUSTENITE

Cosa succede al pezzo macroscopico? Fase genitrice=austenite, lega beta se si parla di leghe di rame. Parto da un componente macroscopico con una struttura austenitca con ordine a lungo raggio. Sono al punto 1.

2. Struttura cristallografica: MARTENSITE

A questo punto passo a una struttura in cui mi trovo con una serie di strutture orientate diversamente. Questione della geminazione. Vari orientamenti nello spazio. Orientamenti molto diversi tra loro. Legati a processi di geminazione. Modifiche di cristallo che portano a orientarlo in modo speculare. Martensite termoelastica formata da laminette alternate di martensite di varie varianti (legate a processi di geminazione autoaccomodanti che assumono struttura a osso di cane). La struttura è caratterizzata da interfacce a bassa energia, in grado di essere modificata a seguito di piccole variazioni di temperatura e di sforzo determinando microdeformazioni.

3. TRASFORMAZIONI della MARTENSITE

Quando cerco di deformarlo succederà che la variante che consente di avere la deformazione più adatta a quella particolare sollecitazione, diventa predominante. Quando la martensite termoelastica viene sollecitata la variante che può determinare la maggior variazione di forma nella direzione dello sforzo viene stabilizzata e diventa predominante. Questa modifica porta a una deformazione macroscopica.

4. TRASFORMAZIONE MARTENSITE-AUSTENITE

Se scaldo questa struttura ho la ristrutturazione in austeinte che fa si che la forma ritorni a quella originale. Recupero la forma macroscopica. Nel momento in cui disegno la composizione della lega posso giocare sulle temperature per ottenere ciò che mi serve. È possibile scegliere le temperature di transizione di fase in sede progettuale. Le temperature in alcuni casi si devono selezionare sulla base della stechiometria e sulla base della storia termomeccanica, cioè sottoponendo il materiale a trattamenti termici e/o meccanici (parte di educazione della lega). La trasformazione martensite austenite provoca anche una serie di cambiamenti nelle proprietà macroscopiche tra cui anche la resistività, trasmissione acustica ma anche lucentezza e rugosità. Anche un cambiamento di struttura visibile a occhio nudo perché i piani che si spostano creano una rugosità.

Le leghe a memoria di forma ricordano una forma predefinita, al di sotto della temperatura di transizione possono essere facilmente deformate e assumere una forma temporanea. Ritornano a una forma predefinita quando vengono scaldate. Le leghe che manifestano memoria di forma solo dopo riscaldamento vengono dette a UNA VIA. Se intervengo scaldando inizia la transizione e il ritorno verso la struttura cristallografica austenitica che cambia la forma in quella originale. Quando arrivo alla forma originale anche se scaldo non succede nulla. Ci sono anche le cosiddette leghe a memoria di forma a due vie. Le leghe che manifestano cambio di forma anche dopo ulteriore raffreddamento vengono dette a DUE VIE. Ma non molto utilizzate. Fanno lo stesso mestiere ma basta la temperatura per fare i cicli avanti e indietro. Convinco la leghe ad avere una forma a una temoeratura e una forma a un’altra temperatura. Facendo cicli termici la lega fa da sola dei cicli meccanici. Più rare, più difficili da utilizzare, da programmare. LEGHE A MEMORIA DI FORMA A UNA VIA Nelle leghe a memoria di forma ad una via la memoria di forma si manifesta una sola volta dopo riscaldamento in campo austenitico. Il recupero della forma si manifesta una sola volta nel senso che una volta che ho recuperato la forma devo rideformarlo per recuperare l’effetto. Se si guarda il percorso dal punto di vista cristallografico ci si trova con la fase austenite. Se raffreddiamo torniamo a martensite. Meccanismi di prevalenza della fase più favorevole. Riscaldo e torno alla prima fase. Dal punto di vista della lavorazione e delle temperature di utilizzo sia quando sono in fase di lavorazione sia quando sono in fase di utilizzo devo stare attento alle condizioni di temperatura e di sforzo. Il materiale viene: -messo in forma in campo austenitico ad una T>Af -raffreddato in campo martensitico a T<Mf -deformato in campo martensitico mantenendo T<Mf -riscaldato in campo austenitico a T>Af ove avviene la trasformazione martensite-austenite e la lega recupera la forma iniziale. -in caso di ulteriore raffreddamento in campo martensitico la lega non modifica più la forma raggiunta. LEGHE A MEMORIA DI FORMA A DUE VIE A due vie il passaggio è diretto e termico. Le forze che la lega esercita in trasformazione in martensite sono deboli. La memoria di forma nelle leghe a due vie si manifesta reversibilmente ogni volta che si passa da T<Mf a T> Af o viceversa. Effetto a memoria di forma a uno o due vie che si spiega con un effetto termomeccanico. Mediante opportuni trattamenti termomeccanici è possibile l’introduzione di concentrazioni di sforzo a livello microstrutturale che fanno si che le laminette di martensite, deformate dopo raffreddamento, si orientino in modo preferenziale a seguito di ulteriori riscaldamenti e raffreddamenti, determinando variazioni di forma programmabili. Le leghe a memoria di forma a due vie hanno un effetto memoria di forma reversibile. Non è una proprietà intrinseca del materiale ma ottenuta con appositi trattamenti termomeccanici. Le variazioni dimensionali sono molto inferiori a quelle ottenibili con SMA a una via. Le forze che la lega può esercitare durante la trasformazione in martensite sono molto deboli.

Le forze che la lega può esercitare durante la trasformazione in austenite sono più elevate (come nel caso di SMA a una via).

PSEUDOELASTICITÀ. La giustifico con lo stesso grafico. Siamo tornati al grafico sforzo/ temperatura. Ho fase stabile ad alte temperature (austenitica) e fase stabile a basse temperature (martensite). Ora mi muovo in direzione verticale. Faccio avvenire le trasformazioni grazie a sollecitazione meccanica. Riesco ad attraversare le rette. Ho una finestra piccola di temperature in cui posso fare questo gioco. La finestra pseudoelastica rappresenta l’intervallo di temperature nel quale la trasformazione può essere indotta dallo sforzo. In questa finestra apllico un carico che fa avvenire la trasformazione. SIM: trasformazione in martensite applicando uno sforzo. Martensite indotta da sforzo. Riesco ad avere notevoli allungamenti. Ma alla rimozione del carico la riconversione in austenite porta dei benefici dal punto di vista del recupero. Md = temoeratura al di sotto della quale riesco ad avere la trasformazione indotta da sforzo in martensite. Induco con lo sforzo la martensite. L’intervallo di temperatura in cui posso fare una curva sforzo deformazione cambia tantissimo a seconda della fase. Il comportamento pseudoelastico ricorda molto i comportamenti dei tessuti naturali. Quindi interessante per diverse applicazioni. Md è la temoeratura al di sopra della quale non riesco a fare avvenire la trasformazione in martensite per effetto delle sola sollecitazione meccanica. Se porto la mia lega a lavorare in esercizio posso deformare quanto voglio ma la martensite non arriva. Influenza della temperatura sulla curva SFORZO DEFORMAZIONE: lo stesso materiale ha tre comportamenti diversi in tre intervalli di temperatura diversi. Il comportamento dipende dalla temperatura di prova in relazione a quelle di trasformazione. 1- Il primo tipo di comportamento è la MEMORIA DI FORMA, sto nel piano sforzo deformazione, ho una deformazione plastica a bassa temperatura, mi ritrovo con una deformazione che non viene recuperata. Se mi fermo lì non recupero la forma. Ma se scaldo riesco a recuperare. 2- se mi metto nella finestra di PSEUDOELASTICITÀ che sta tra Af e temperatura Md ho comportamento superelastico. La deformazione mi fa passare di fase. Quando lascio lo sforzo, rimuovo il carico ho un recupero che dipende da una ritrasformazione in austenite. Non è un recupero elastico. Non ho bisogno di muovermi sull’asse della temperatura perché la trasformazione in austeinute non necessita di cambiamento della temperatura. Recupero dovuto al cambiamento di fase da martensitico a austentiifo. Questo diverso meccanismo sta alla base degli sforzi che riesco a recuperare. 3- salgo a una temperatura al di sopra di Md. Non riesco più ad attraversare le curve. Trovo un materiale metallico semplicemente con COMPORTAMENTO ELASTO PLASTICO. Meccanismi basati sulla stessa trasformazione cristallografica ma che avvengono con percorsi diversi in intervalli di temperatura diversi. CLASSI

La lega a memoria di forma per eccllenza e il NITITOL. È una lega nichel titanio.

L’altra categoria molto importante sono le leghe di rame. Rame zinco alluminio oppure rame alluminio nichel. Vantaggi delle leghe in NITINOL: -Recuperano molto bene le deformazioni, maggiore deformazione recuperabile. -Sono stabili dal punto di vista termico -Hanno buona resistenza alla corrosione. -Sono più duttili. (Soprattutto in fase martensitica).

Vantaggi delle leghe in RAME: -Costano meno -Non ho bisogno di particolari precauzioni quando faccio la fusione e un po’ più di gioco, accettano più aggiunte, più dopanti. Fondibili e estrusibili in aria. -maggiore possibilità di variazione della temperatura di trasformazione. L’intervallo di isteresi è differente nelle leghe. NITINOL Il nitinol è un composto intermetallico equiatomico. Ogni tanto si alza pochissimo la quantità di nichel per abbassare le temperature di transizione. La duttilità è molto buona (simile a molti metalli puri), quindi dal punto di vista della lavorazione va bene. Si possono fare piccole aggiunte per modificare il ciclo di isteresi. L’aumento del tenore di Nichel abbassa le temperature di trasformazione e aumenta la resistenza dell’austenite. L’aggiunta di ferro e cromo abbassa le temperature di transizione. L’aggiunta di rame diminuisce l’isteresi e aumenta la deformabilità della martensite. Le proprietà meccaniche variano a seconda della fase (martensite o austenite). La forma da recuperare va fissata allo stato austenitico. Se serve posso fare delle lavorazioni a temperatura inferiore. FORMATURA: la forma da recuperare allo stato austenitico deve essere fissata mediante trattamento termico. TRATTAMENTI TERMICI: I trattamenti termici hanno una grande influenza. Do una storia termomeccanica al mio materiale. Mediante trattamenti termici posso aumentare la deformabilità della martensite; aumentare la resistenza meccanica dell’austenite; creare memoria di forma a due vie. La fusione delle leghe di titanio va fatta in atmosfera inerte (argon o vuoto). Posso fare deformazione plastica a freddo. La lavorazione per asportazione di truciolo sono complicate. Anche la saldatura è problematica. Ho anche bisogno di capire come le leghe si comportano a sollecitazione ciclica. Rottura a fatica soprattutto nell’arteria femorale. LEGHE A MEMORIA DI FORMA A BASE DI RAME Si aggiungono elementi additivi che trasformino il grano. Dal punto di vista della stabilità termica le leghe di rame vanno meno bene. La lavorazione: tecniche di fusione tradizionali. Anche metallurgia delle polveri. I trattamenti termici sono piuttosto complessi e dipendenti dal tipo di lega. Sono facilmente deformabili a caldo in aria. La deformabilità a freddo dipende dal tipo di lega. APPLICAZIONI: ovunque Si usano per la memoria di forma, per la pseudoelasticità, per lo smorzamento delle vibrazioni e per la loro proprietà di essere materiali progettabili e adattabili alle più svariate richieste. In particolare utilizzati nei settori aerospaziale e biomedicale. Molle, sistemi di recupero attivati termicamente. Applicazioni medicali: -mezzi di osteosintesi: -la memoria di forma consente di fare un buco piccolissimo al paziente e arrivare in un punto anche molto lontano. Filtro per vena cava inserito in un catetere molto sottile. Il filtro una volta posizionato recupera la forma e blocca i coaguli di sangue. I vantaggi rispetto ai filtri in acciaio inossidabile sono: diametro minore (=facilità di immissione); pressione costante sulle pareti (=posizione più stabile); design innovativo (=buona capacità di filtraggio); possibile memoria a due vie (=filtro recuperabile).

-dispositivi di occlusione del setto atriale. -stent vascolari: -valvole -fili ortodontici. Una caratteristica peculiare delle leghe pseudoelastiche è la capacità di imprimere in fase di scarico uno sforzo di ritorno costante per un ampio tratto di recupero della deformazione. Tramite la scelta di una opportuna sezione, si può così programmare l’applicazione di una forza costante predeterminata. Forze costanti e più lente.

13 aprile 2018, IMPIANTI DENTALI e ORTODONZIA

TRATTAMENTI DI SUPERFICIE SPERIMENTALI Partiamo dall’osservazione che il materiale utilizzato per gli impianti è il titanio. Ha l’ossido di titanio spesso pochi nanometri che garantisce la resistenza alla corrosione. È un dielettrico isolante che rallenta di molto la corrosione generalizzata del materiale. Il diossido di titanio ha proprietà specifiche per il comportamento biomedico. Ha comportamento anfoterico. Può caricarsi positivamente o negativamente a seconda dell’ambiente in cui è immerso. Caratteristica che può essere sfruttata e utilizzata in ambito bio andando a modificare alcune proprietà di superficie. Passiamo in rassegna una serie di tecnologie sviluppate per andare a cambiare le proprietà del biomateriale (titanio in particolare) per ottenere specifiche finalità.

1. Anti infective application: Vancomycin covalently bonded to titanium

Tecnica sviluppata una decina di anni fa da un gruppo di ricerca di Philadelphia. La finalità era legare antibiotici, farmaci, sulla superficie del titanio in modo stabile e duraturo per conferire proprietà antibatteriche direttamente al materiale da impianto. L’idea era creare presupposti per poter legare il farmaco sulla superficie del titanio con legami stabili, durevoli sfruttando il legame amminico per legare il farmaco. Con questa tecnologia è stato sfruttato il fatto che la superficie del titanio può essere idrossilata con legami OH; questi legami OH si possono legare con il silicio che si può legare con un legame amminico alla molecola più grossa del farmaco. Perché il farmaco possa agire e funzionare dovrà orientarsi in modo da esporre opportunamente altri gruppi esterni per avere una azione antibatterica. Questo sistema crea un braccio spaziatore che faccia agire il farmaco. È stato quindi possibile attraverso diverse fasi, legare un farmaco sulla superfcie del titanio. Vantaggi: poter immobilizzare alla superficie un antibiotico (potrebbe anche essere un faramaco antitumorale) con una tecnica che consente anche di allungare il braccio spaziatore. Possibilità di utilizzare diversi farmaci. L’antibiotico inoltre non è rilasciato nell’ambiente e le quantità in gioco quindi sono ridotte. Svantaggi: questa tecnologia non ha preso piede per diversi problemi. Dubbi riguardanti l’utilizzare permanentemente un antibiotico. Gli antibiotici a lungo possono dare resistenza contro il farmaco. Altri problemi riguardano l’integrazione tissutale. Sulla superficie ci si aspetta che ci sia una interazione con eucarioti. I dubbi riguardano meno i dispositivi in cui non si ricerca una osteointegrazione. Inoltre la sterilizzazione era dubbiosa.

2. Biophosphonate coating on HA (Ti) to improve osseointegration

10-15 anni fa si pensava di utilizzare dei farmaci che hanno una loro applicazione ben specifica che vanno a interagire con l’integrazione con l’osso. Nel rimodellamento osseo si va a frenare l’attività degli osteoclasti per favorire l’attività degli osteoblasti. L’idea era sfruttare i farmaci anche per migliorare l’osteointegrazione. Aggiungere un bifosfonato (farmaco) all’apatite. Utilizzare questo farmaco per migliorare l’interazione con i tessuti. Il farmaco può essere mescolato con l’apatite in diversi modi per esempio andando a immergere l’impianto col suo rivestimento in una soluzione ricca di bifosfonato. Vantaggi: se consideriamo l’apatite come riempitivo osseo abbiamo l’effetto del fosfato di calcio come osso sintetico. Il vantaggio è che anche gli impianti arricchiti da bifosfonato portano vantaggi nel breve termine per mettere in moto il metabolismo osseo. Svantaggi: si ottengono risultati ripetibili nel tempo. Obbligazioni nell’uso dei materiali. Complicazioni e costi. È sempre molto difficile coniugare dispositivi biomedici e farmaci perchè appartengono a mondi diversi. Per esempio la sterilizzazione è diversa. Alla fine riguarda la parte regolamentare di certificazione del prodotto. Inoltre non è detto che inibire l’azione degli osteoclasti non porti dei limiti. Struttura ossea diversa da quella anatomica naturale.

3. Enchanced osseointegration and/or antibacterial proprieties of electrical charged hydroxyapatite

Tecnica più vicina a una applicazione. Si modifica l’idrossiapatite per migliorare l’integrazione tissutale, l’azione stessa dell’idrossiapatite. Polarizzando elettricamente l’idrossiapatite è possibile dare una carica permanente all’idrossiapatite. Migliorando l’affinità con il processo di osteointegrazione però migliora anche l’affinità con i batteri. Una polarizzazione negativa va a interagire con i batteri che aderiscono più facilmente. Con una polarizzazione positiva invece l’affinità con i batteri diminuisce e questa però comporta pochi effetti sull’osteointegrazione. Non molto utilizzata per questioni economiche sostanzialmente.

4. DNA immobilization on titanium surface

Idea di immobilizzare sulla superfcie del titanio del DNA. Ancorare specifiche catene di oligonucletidi sulla superfcie del titanio e andare a legare la catena complementare di DNA che a sua volta può avere legato un farmaco, una biomolecola. Le tecniche per immobilizzare oligonucleotidi alla superficie passano attraverso silanizzazione, fotolitografia, immobilizzazione da anodizzazione elettrochimica. Questa tecnica ha un certo interesse rispetto alle altre tecniche. Si parte da titanio pulito decapato, cioè si toglie il film di ossido di titanio, si dissolvono i primi strati e poi si dà la possibilità che si riformi lo strato. L’altro ingrediente sono le catene di acidi nucleici. (La sequenza complementare è quella che si lega esattamente all’altra sequenza.) Poi si utilizzano sequenze non complementari che non si legano alla semielica. Si considerano poi delle molecole fluorescenti per vedere se effettivamente le catene si legano o non si legano. La tecnica che ha tre fasi: A) ADSORBIMENTO della semielica alla superficie. Si sfrutta la carica elettrica, con un pH acido si carica positivamente il film di ossido. In questo modo la carica negativa della semielica si lega. Una volta orientate le semieliche sulla superfcie del titanio bisogna incastrare le semieliche. Per questo si fa lanodizzazione. B) ANODIZZAZIONE a basso voltaggio. Cresce in questo modo il film di ossido di titanio. Leghiamo in modo più stabile le semieliche. Si fa crescere il film di ossido di titanio per legare.

C) IBRIDIZZAZIONE con catene complementari e non complementari. I complementari si legano alla semielica che ipotizziamo immobilizzata alla superfcie del titanio, a questo punto i complementari legati sono visibili tramite la fluorescina. Come capire se non è un problema sperimentale? Andando a inserire delle semieliche non complementari.

5. calcium phosphate coating by cathodic polarization 6. ASD based treatments to enchance osteointegration and to provide antibacterial

properties

Non parliamo di anodic spark deposition perché ne abbiamo già parlato. Gli svantaggi delle tecniche ASD riguardano problemi dell’industrializzazione del processo. Il successo può avvenire solo mantenendo i costi attuali. L’innovazione non troverà successo se aumenta i costi. La controparte biologica ha delle risposte che non sono precisamente determinate ma devono essere approcciate a livello statistico. Grossa variabilità dei risultati finali insiti nella risposta biologica che è poco determinabile. C’è un 10% di incertezza che non esiste in altri ambiti ingegneristici.

MATERIALI PER APPLICAZIONI ODONTOIATRICHE E ORTODONZIA RIGENERAZIONE GUIDATA DEI TESSUTI, si utilizzano: -membrane per rigenerazione guidata -membrane biodegradabili -biovetri -idrossiapatiti e calcio fosfati -sistemi di distrazione alveolare Le membrane per la rigenerazione dei tessuti ossei (GBR) sono utilizzate per la cura della malattia paradontale. Si utilizzano in caso di ritiro gengivale o perdita di sostanza ossea in prossimità di denti o impianti dentali. Si utilizzano delle membrane per andare a sigillare l’area malata. Fungono da barriera fisica isolando la zona sofferente da batteri, microbi, consentendo una efficace azione osteoblastica che permette la rigenerazione dell’osso alveolare al di sotto della membrana. Barriere fisiche che bloccano l’ingresso dei batteri. Isolamento con una membrana, la membrana va a isolare, i batteri non riescono più a penetrare e si ha la possibilità di avere una generazione guidata dell’osso. Se tutto va bene si ha un recupero di questo problema. Membrana che se non riassorbibile può essere rimossa a guarigione avvenuta. Oppure membrane riassorbibili che non vanno rimosse. Le membrane non biodegradabili sono in PTFE espanso (goretex). In generale contengono piccoli legacci che consentono di fissarle agli elementi dentali. In alternativa possono essere fissate con delle viti. A volte vengono rese più rigide (sagomabili) mediante l’inserimento di lastrine di titanio. A guarigione avvenuta vengono rimosse mediante un nuovo intervento di apertura della gengiva. Stesso problema risolto con MEMBRANE BIODEGRADABILI. Sono realizzate con acido polilattico e poliglicolico (polimeri sintetici biodegradabili). Il tempo di degrado è la grossa incognita. Si vorrebbe che la degradazione avvenga a guarigione ultimata. La risposta biologica è variabile per definizione. È inoltre difficile programmare il degrado del dispositivo polimerico. Degradano formando composti non tossici che non si accumulano in situ e sono facilmente smaltibili dall’organismo. Hanno il vantaggio di non richiedere un intervento di rimozione al termine della funzione. Molto spesso le membrane possono essere associate agli impianti dentali. Si coniuga l’impianto dentale con una membrana.

Altri materiali riguardano fosfati di calcio, idrossiapatite in forma di polveri iniettabili. Si utilizzano per riempire lacune ossee. Biovetri in forma massiva. Per il riempimento di lacune ossee possono essere usati granuli di biovetro, idrossiapatite e calcio fosfato che vengono progressivamente riassorbiti e sostituiti da tessuti ossei. Il tempo necessario per tale azione è comunque piuttosto lungo, anche fino a 12 mesi, periodo durante il quale il paziente deve utilizzare elementi provvisori di limitata funzionalità ed estetica. PROTESI DENTALI Sono le parti emergenti, cioè corone, ponti, protesi mobili o fisse. Sono realizzate con materiali che hanno funzione strutturale ed estetica. Sono a contatto con fluidi biologici ma non sono impiantati. Sono a contatto con la saliva. Si utilizzano sia materiali metallici (quindi delle leghe che devono essere formate sul paziente dall’odontotecnico). Oppure leghe che supportano materiali ceramici e polimerici. Il mondo per i materiali emergenti è molto vasto. Tornano il gioco le leghe nobili perché i carichi meccanici non sono alti. ENDODONZIA o CURA CANALARE Le tecniche endodontiche consistono nel rimuovere i nervi presenti all’interno dei canali nervosi presenti all’interno dei denti, canali che vengono poi riempiti e sigillati con idonei materiali. Cioè devitalizzare i denti per tenere la radice del dente come supporto per una parte coronale senza passare dall’impianto. La cura canalare riguarda andare a interagire con i canali dei denti. Si pulisce la parte intorno per uccidere il nervo e sigillare i canali con opportuni materiali. Come materiali per riempimento dei canali si utilizzano guttaperca e polimeri. Poi ci sono altri problemi come gli strumentari. Come andare a pulire questi canali estremamente sottili dalla forma contorta? Materiali efficienti al taglio. Devo incrudire l’acciaio inossidabile. L’acciaio inossidabile non è da impianto ma si usa per lo strumentario. Se aumenta l’efficienza al taglio però diminuisce la tenacità. In questo caso trovano applicazione le leghe superelastiche. C’è un campo di comportamento elastico molto ampio. Efficienza di taglio che però non è molto elevata. Ricostruttiva: CEMENTI PER ODONTOIATRIA odontoiatri che si occupano della ricostruzione degli elementi dentali. Con il termine cementi si indicano materiali utilizzati per: -fissazione temporanea o permanente di protesi -restauro temporaneo di denti -sottofondo nel restauro di denti -fissazione di elementi ortodontici -sigillatura di canali radicolari in trattamenti endodontici -impacchi parodontali Sono costituiti da: una polvere e un liquido; due paste che induriscono dopo miscelazione. Rispetto alle leghe metalliche porcellane e amalgami possiedono minori caratteristiche meccaniche, maggiore solubilità, minore resistenza al cavo orale, maggiore tendenza a irritare i tessuti pulpari. L’ancoraggio dei cementi a denti naturali e a metalli per sottostrutture è puramente meccanico ed è connesso alla resistenza a compressione, trazione e taglio, e non è comunque particolarmente elevato. Sono conseguentemente utilizzati in strati sottili per ancoraggio o come sottofondi per proteggere la polpa dentale. I cementi dovrebbero possedere le seguenti proprietà: non tossici e non irritanti per la polpa dentale; insolubili nella saliva; adeguata resistenza meccanica; in grado di proteggere la polpa dentale e garantire isolamento chimico, termico ed elettrico, buone qualità estetiche, proprietà di adesione, proprietà di inibizione delle carie.

La cura di carie degli elementi dentali viene realizzata asportando la parte di dente attaccata dalla carie e riempendo le cavità create con materiali in grado di garantire la resistenza meccanica dell’elemento dentale stesso. A questo scopo si utilizzano: -AMALGAMI: In passato venivano utilizzati gli amalgami. Utilizzando il mercurio con l’argento e il rame abbiamo la possibilità di creare composti che solidificano e formano una lega estremamente resistente. Il problema è l’utilizzo del mercurio che è tossico. Non si può più utilizzare il mercurio come elemento bagnante. Il problema non è per chi riceve l’impianto perché il mercurio è molto stabile. Il problema è per l’odontoiatra che opera la rimozione. Sono ancora ammessi per riparare otturazioni che sono già con amalgami. Un’altra possibilità è utilizzare il gallio che è liquido a temperatura ambienre. Potrebbe quindi essere utilizzato al posto di mercurio. -RESINE COMPOSITE -ORI COESIVI: Le proprietà meccaniche richieste non sono elevatissime. Si va a riempire una parte dell’elemento dentale. Sono costituiti da fogli laminati estremamente sottili, che determinano grani allungati con struttura fibrosa. Applicando una semplice pressione è possibile consolidare con un processo di diffusione a bassa temperatura l’elemento. È qualcosa di estremamente stabile. Poco utilizzata perché molto costosa non tanto per l’oro in se ma perché è molto lenta, laboriosa per l’odontoiatra. Oggi si va verso l’uso di resine composite. ORTODONZIA Lo scopo è migliorare l’estetica del sorriso e ristabilire la corretta funzione masticatoria. Gli elementi dentali si possono spostare applicando forze basse. Se applico una forza all’elemento dentale il legamento che si connette all’osso andrà a riassorbirsi e a formare un nuovo legamento dietro. C’è la possibilità di spostare i denti dalla loro sede alveolare. Partendo da questo presupposto è possibile pensare a sistemi mobili o fissi. MA spostando un certo elemento dentale agganciandomi agli altri sposterò anche gli altri. Attacchi fissi che si legano all’elemetno dentale anche per 1-2 anni. Le forze vengono applicate da un arco che connette gli elementi dentali. I bracket hanno una geometria e forma tale che possono contenere archi circolari o rettangolari. L’arco può applicare anche una torsione. L’obiettivo è applicare forze di diverso tipo agli elementi dentali. Definendo i movimenti che vogliono essere applicati all’elemento dentale è possibile applicare le forze attraverso gli arti. Quasi tutti utilizzano una tecnica straight wire. L’importante non è la memoria di forma ma la pseudoelasticità. Avere uno sforzo costante per una elevata deformazione. Applicare la forza anche per un lungo tratto di deformazione. Altri problemi riguardano l’accumulo di placca. Poi ci sono le mascherine che sono polimeriche. Si fruttano le proprietà elastiche delle sagome polimeriche.

17 aprile 2018, 3D PRINTING DEI MATERIALI METALLICI

Tecniche di formatura dei materiali metallici che riguardano il RAPID MANUFACTURING. In passato si parlava di prototipazione metallica. Era un metodo alternativo alla tecniche tradizionali per la realizzazione di prototipi da utilizzare per la verifica del design prima della produzione vera e propria. Veniva utilizzato per oggetti non funzionali per dare una forma a un design. Tecnologie che riguardavano più che altro materiali polimerici.

Si è passato dopo il 2000 attraverso lo sviluppo di queste tecniche a parlare di rapid manufacturing. Non solo per dare la forma a un progetto ma per ottenere veri e propri pezzi funzionali. Passaggio a veri e propri pezzi funzionanti e funzionali grazie a:

- miglioramento delle proprietà dei materiali utilizzati

- introduzione di materiali metallici. La tecnologia ora permette di ottenere prototipi funzionali e si può pensare all’utilizzo di questa tecnologia anche per la produzione di componenti meccaniche. Consiste nel creare strato su strato un oggetto tridimensionale. Direttamente dal disegno CAD con un processo puramente software l’oggetto da realizzare viene tagliato in piani sottili. Minore è l’altezza dello strato, migliore sarà l’accuratezza del pezzo. Si dà una forma 3d al pezzo depositando strato su strato. Velocità di produzione che diventano sempre più interessanti. Per quanto ci riguarda parleremo dei MATERIALI METALLICI. Strato su strato costruire un materiale tridimensionale. A temperatura ambiente sono tutti allo stato solido per cui queste tecniche devono portare a fusione a temperatura piuttosto alta le polveri che poi creano l’oggetto tridimensionale. Posizionare il materiale dove serve. Si distinguono un paio di tecnologie: 1) una utilizza FASCIO ELETTRONICO, 2) l’altra considera un RAGGIO LASER. Viene depositato un sottile strato di polvere che poi viene consolidato da un raggio che va a fondere completamente o parzialmente la polvere localmente. Il piano di lavoro si abbassa di uno step predefinito (spessore del layer utilizzato) per lasciare spazio a un ulteriore strato di polvere che viene consolidato e fuso sul primo. Comparirà alla fine l’oggetto tridimensionale. Al termine di questo processo l’oggetto verrà estratto dalla camera, staccato dal piano iniziale. Viene rimossa la polvere in eccesso o non adesa alla superficie. Viene poi effettuata una pulizia tramite sabbiatura per eliminare i residui di polvere non coesa presenti e conferire una omogeneità nella finitura superficiale. 1) Con il sistema di FASCIO DI ELETTRONI mi serve lavorare nel vuoto. La sorgente è un fascio elettronico. Inoltre la temperatura di lavoro deve essere piuttosto elevata (circa 700 gradi) e garantisce un trattamento termico spontaneo del materiale durante il processo di produzione stesso. Con questa tecnica è possibile ottenere pezzi in lega di titanio e anche componenti in lega cobalto cromo molibdeno per getto. La temperatura piuttosto alta può essere un vantaggio perché si ha la formazione di sforzi residui dovuti alla diversa dilatazione termica. L’EBM è una tecnica più grossolana, il grado di dettaglio ottenibile non è elevatissimo. È un po’ il problema di tutte le tecniche di stampa 3D. 2) RM di metalli mediante RAGGI LASER: tecnica di formatura alternativa alla fusione. Alternativa alle tecniche più tradizionali di formatura. La sorgente è un raggio laser. La macchina non lavora in vuoto ma in atmosfera protetta(ad esempio Argon). Senza ossigeno o senza i gas che potrebbero reagire con l’ossigeno. Non vogliamo la formazione di composti chimici. Si opera in una atmosfera protetta con gas inerte, per esempio l’argon. È possibile lavorare un po’ tutti i materiali metallici utilizzati come materiali da impianto. La temperatura di lavoro è quella ambiente. Dopo aver formato il pezzo bisogna effettuare trattamenti termici per cancellare le tensioni residue. Fondere la polvere sullo strato di polvere di lavoro per poi effettuare la stessa operazione sullo strato successivo. La tecnica con laser ha maggior risoluzione ma è anche più lenta.

Risultati sperimentali nella logica dell’azienda che ha introdotto queste tecniche di formatura come alternativa alle tecniche di formatura standard:

Le proprietà meccaniche sono da considerare. Le norme prescrivono anche i valori minimi di resistenza per esempio. Le tecniche di formatura possono andare a modificare queste proprietà. Le tecniche di fonderia sono ben consolidate. La grossa difficoltà nella prototipazione delle tecniche di formatura rapida è validare il materiale dal punto di vista meccanico, vedere se ricadono nelle stesse condizioni prescritte dallo standard.

Proprietà meccaniche statiche: curve sforzo deformazione per diversi campioni ottenuti mediante tecnica EBM in lega di titanio. Su questa curva possiamo costruire poi una tabella che identifica i parametri principali. I valori che otteniamo li confrontiamo con quelli di una analoga lega (stessa chimica) con lavorazione classica. Ultimate tensile strength deve essere almeno 860. Allungamento a rottura superiore al 10%. L’allungamento a rottura che informazioni dà? Materiale tenace. Al di là della formatura poi ci sono tutti i trattamenti termici che modificano le proprietà meccaniche statiche del materiale.

Per le proprietà dinamiche: rottura a fatica. Per qualificare il materiale è necessario andar a vedere come si comporta il materiale per resistenza a fatica. La resistenza a fatica maggiore è quando parto da semilavorati.

Per quando riguarda il Ti-6Al-4V si confronta la resistenza a fatica con il massimo ottebile della barra semilavorata. La composizione chimica è la più semplice. Composizione chimica che cade nell’intervallo di ammissibilità della norma. Percorso per validare il materiale (Lega di titanio): 1– ANALISI MICROGRAFICA: nella organizzazione del materiale convivono sia alfa che beta. La polvere che si utilizza con la tecnica laser è diversa da quella che si utilizza con le altre tecniche. Queste RM sono interessanti per il custom made (prodotti su misura) ma anche perché il costo è minore. La polvere è diversa perché il laser ha una focalizzazione più piccola. Polvere più sottile. La dimesione della polvere sarà compatibile con lo spessore dello strato che è possibile distendere. Ora si lavora con 4-5 fasci di laser diversi. Assenza di porosità. Con EBM la morfologia superficiale e più rugosa. La superfcie è costituita da granelli fusi o parzialmente fusi. Rimangono comunque particelle sulla superficie. Non devo effettuare un secondo trattamento per apporre microsfere. La superfcie è già attiva e utilizzabile per l’impianto. Se volessi però ottenere una superfcie liscia devo metterlo nelle macchine utensili opportune per ottenere una superfcie liscia. Per esempio componente femorale della protesi di ginocchio. Mettere il componente in una macchina in grado di rimuovere uno strato di materiale. Poi questo può essere affinato con lucidatura. La finitura superficiale che si ottiene senza questa lavorazione è quella adatta per interfacciarmi con il tessuto osseo. Quindi è il contrario rispetto alle tecniche tradizionali. Ottengo un pezzo molto rugoso e vado a lisciarlo laddove mi serve. Posso modulare anche la finitura superficiale. Si passa da una struttura densa a una struttura a porosità crescente. Struttura a celle quadrate aperte. Se il pezzo viene fatto crescere strato su strato a un certo punto devo capire come interconnettere. Il fatto che sia una struttura ordinata piuttosto che disordinata non ha implicazione a livello cellulare. La geometria, oltre che la morfologia consentono di impiantare il componente. Il

problema di queste tecniche è che stanno evolvendo in maniera estremamente rapida. Evolvono in termini di efficienza. Le tecniche tradizionali hanno costi molto elevati per pochi prodotti ma più ne produco più il costo diminuisce. Invece il 3d printing hanno una cadenza fissa di costo. Il costo unitario è indipendente dal numero di componenti prodotti. Il costo per il singolo prodotto è sempre lo stesso. Questo è un vantaggio se devo produrre pochi pezzi.

ERRORI DI CONFORMAZIONE E RUGOSITÀ DELLE SUPERFICI Differenze tra progettare e fare. Queste differenze possono essere descritte come errore. Le lavorazioni meccaniche e processi produttivi possono portare ad errori di conformazione sui prodotti finiti. Possono esserci ERRORI DI FORMA o ERRORI DI MORFOLOGIA della superficie (=errori di rugosità superficiale). ERRORI DI CONFORMAZIONE GRADO 1: errore di planarità, ovalità,... Le tecniche che utilizziamo non consentono di ottenere una superficie piana così come l’avevamo pensata. Cause possibili: cedimento del pezzo o della macchina durante la lavorazione, difetto nelle guide della macchina utensile, errato serraggio del pezzo, distorsioni da tempra, usura,... GRADO 2: errore di ondulazione Cause possibili: serraggio eccentrico, errore di forma dell’utensile di taglio, vibrazione della macchina utensile,... A livello più fine andiamo a vedere cosa succede sulla superficie. GRADO 3: rugosità, solchi. Cause possibili: La larghezza, la forma, l’avanzamento o la profondità dell’utensile può dar luogo a una morfologia differente. GRADO 4: rugosità, rigature, scagliature. Cause possibili: formazione del truciolo, deformazione del materiale durante la sabbiatura, gemmazione di un trattamento galvanico,... GRADO 5: rugosità A livello ancora più fine abbiamo variazioni di morfologia. Superficie lucente. La luce viene a essere rifratta o riflessa in modo differente. Cause possibili: processi di cristallizzazione, alterazione superficiale per attacchi chimici, decappaggi, corrosione. Gli errori possono coesistere. RUGOSIMETRIA Per la misura della rugosità si possono utilizzare strumenti a stilo o a sensore ottico. Grandezze e parametri di rugosità: ~Rugosità media aritmetica Ra. Si va a rilevare la superfcie (o una linea o una porzione di superficie ) con uno strumento e ricavare da questa misura parametri descrittivi numerici. Parametri numerici che indicano la rugosità superficiale. Rugosità media aritmetica: si considera il profilo. La rugosità media aritmetica è l’altezza di un rettangolo la cui estensione in termini di area è la somma dei picchi e delle valli e la base è la lunghezza nominale. È la deviazione media aritmetica delle deviazioni del profilo effettivo della linea media calcolata lungo la lunghezza di misura. Non ci dice se la rugosità è ottenuta attraverso picchi snelli e alti piuttosto che bassi e larghi. La rugosità aritmetica media si misura in micrometri. Una superfcie con sabbiatura grossolana avrà rugosità di circa 3 micrometri. ~La rugosità massima è definita come la somma di massima altezza di picco e massima profondità di valle in tutta la lunghezza di campionatura della rugosità. ~Rugosità media rz. È la media aritmetica dei valori assoluti delle cinque valli e dei cinque picchi più alti all’interno della lunghezza di campionatura della rugosità. È possibile quindi a livello quantitativo e numerico avere una descrizione di una superficie.

18 aprile 2018, CEMENTO OSSEO

Utilizzato per fissare le protesi articolari alla struttura ossea, ha la funzione di riempitivo e non forma legami atomici (o biologici) nè con l’osso né con le protesi. Chimicamente il cemento acrilico appartiene alla categoria delle resine acriliche auto- indurenti che in fase di polimerizzazione sono dotate di proprietà plastiche (in grado di riempire adeguatamente lo spazio tra osso e protesi), mentre terminata la polimerizzazione induriscono aumentando le loro caratteristiche meccaniche (rigidezza e resistenza). 1940: Shnebel scopre che il PMMA può polimerizzare a temperatura ambiente utilizzando ammine aromatiche terziarie per attivare un iniziatore di polimerizzazione, consentendo di polimerizzare e conformare in situ una miscela di polimero e monomero. 1951: Haboush introduce l’uso di una resina acrilica a rapido indurimento per fissare le protesi all’osso. 1957: Wiltse pubblica i primi risultati sperimentali sull’uso di resine acriliche autoindurenti in ortopedia. 1960: Charnley introduce le protesi a basso attrito (acciaio inossidabile/ polietilene) cementate aumentando enormemente la vita media delle protesi ortopediche. REAZIONE DI POLIMERIZZAZIONE Nella reazione di polimerizzazione, i monomeri contenenti un doppio legame covalente, a seguito dell’azione di un iniziatore che “apre” uno dei due legami, si legano l’uno all’altro formando una lunga catena a base di legami covalenti; la reazione di polimerizzazione è fortemente esotermica e genera una notevole quantità di calore. Per la realizzazione di cementi ossei si utilizzano: —polimetacrilati: se R = CH3: polimetilmetacrilato (PMMA), se R = C2H5OH: poliidrossietilmetacrilato (PHEMA), se R = CH3-(CH2)3: polibutilmetacrilato; —poliacrilati: se R = CH3: polimetilacrilato (PMA). Il polimetilmetacrilato è un polimero amorfo, con Tg 100-125°C e pertanto vetroso (rigido) a 37°C; PHEMA e polibutilacrilato hanno Tg più bassa e pertanto sono meno fragili a 37°C; Polimetilmetacrilato (PMMA): - peso molecolare medio numerale circa 90.000 g/mol - peso molecolare medio ponderale circa 200.000 g/mol - numero medio di unità monomeriche in una macromolecola (lineare) circa 1800 CEMENTO OSSEO: funzioni meccaniche Assorbe dalla protesi e ritrasmette all’osso forze di taglio e di compressione. Il comportamento meccanico è tanto migliore, quanto minore è lo spessore dello strato di cemento. Il cemento osseo ha resistenza (R) e tenacità (KIC) inferiore rispetto all’osso corticale. Avendo modulo di elasticità (3 GPa) inferiore sia al metallo (110 GPa) che all’osso (18 GPa), la sua presenza permette una ridistribuzione dei carichi agenti all’interfaccia impianto/osso, diminuendo i picchi locali massimi. Non è possibile far avvenire in situ la polimerizzazione di solo monomero in quanto: • il calore sviluppato dalla reazione farebbe salire la temperatura dell’osso a più di 100°C (necrosi). • si avrebbe un eccessivo rilascio nell’organismo di monomero (tossicità).

• si avrebbe un eccessivo ritiro volumetrico (21-22%). Per evitare i fenomeni citati si ricorre ad una formulazione in cui sono presenti adeguate quantità di: - un componente liquido - un componente solido che vengono miscelati subito prima dell’inserimento nell’osso. La COMPONENTE SOLIDA è costituita da: -polimero, MMA prepolimerizzato in particelle di adeguata granulometria (alcune decine di μm), -iniziatore di polimerizzazione (perossido di benzoile, BPO), -eventuali additivi (radiopacizzanti, antibiotici); Polimeri utilizzati: -polimetilmetacrilato (PMMA) -copolimeri contenenti stirene. La COMPONENTE LIQUIDA è costituita da: -monomero, -inibitore di polimerizzazione (idrochinone) [per evitare la polimerizzazione prima dell’uso], -attivatore di polimerizzazione (ammina aromatica, dimetilparatoluidina DMPT); Monomeri più utilizzati: -metilmetacrilato (MMA), -metilacrilato (MA), -butilmetacrilato (n-butylMA). Al momento della miscelazione, le particelle solide vengono rigonfiate dalla componente liquida. La polimerizzazione viene iniziata a temperatura ambiente a causa dell’avvenuto contatto tra attivatore (ammina aromatica, aggiunta alla componente liquida) e iniziatore (perossido, miscelato con la polvere solida di PMMA). La polimerizzazione si verifica dentro e intorno alle particelle rigonfiate. Grazie all’utilizzo della miscela monomero/polimero si ha: • riduzione del calore sviluppato • riduzione del monomero rilasciato • riduzione del ritiro volumetrico, che diviene del 2-4% grazie anche alla formazione di microporosità distribuite • riduzione dell’eccessiva fluidità del solo monomero, che non consentirebbe il fissaggio della protesi Tali effetti positivi sono tanto maggiori, quanto minore è la quantità di monomero utilizzata. Il tempo globale di polimerizzazione (setting time) dopo il quale il cemento non può essere più plasmato si distingue in: - tempo di impasto (dough time) che va dall’inizio della miscelazione al momento del possibile inserimento; - intervallo di lavorabilità (working time) nel quale il cemento può essere inserito. Dough time e working time (e conseguentemente setting time) sono molto influenzati dalla temperatura alla quale si realizza l’impasto: in particolare il working time può variare da circa 2 a 10 minuti.

Il cemento deve possedere contemporaneamente adeguate proprietà -meccaniche, -chimiche -fisiche che dipendono da: -formulazione, -rapporto solido/liquido, -modalità di miscelazione -modalità di utilizzo chimico. Non esiste ad oggi la sicurezza se sia più critica l’interfaccia impianto/cemento, l’interfaccia cemento/osso. Sicuramente esistono situazioni in cui i problemi all’interfaccia impianto/cemento si ripercuotono sull’interfaccia cemento/osso e viceversa. PROPRIETÀ MECCANICHE: il fattore più importante nello sviluppo della formulazione di un cemento osseo è connesso alla massimizzazione delle proprietà di resistenza a trazione e flessione, resistenza a fatica e resistenza allo scorrimento viscoso (creep). Tali proprietà determinano il comportamento nel lungo periodo del cemento osseo. Anche la FORMA DELLO STELO è importante: evita spigoli vivi e deve favorire l’inserimento del cemento. La forma dello stelo deve essere tale da riempire adeguatamente il canale diafisario, ciò infatti: garantisce una adeguata rigidità (minimizzando lo sforzo sul cemento in zona prossimale); favorisce la penetrazione del cemento all’interfaccia cemento-osso. Gli spigoli dello stelo devono essere arrotondati, per prevenire concentrazioni locali dei carichi. Anche la FINITURA DELLO STELO è importante: liscia →compressione, meno usura. La finitura dello stelo di protesi d’anca deve essere la più liscia possibile. Questo fa sì che la sollecitazione trasmessa sia essenzialmente di compressione (anziché di taglio) favorendo la penetrazione del cemento. Inoltre fa si che siano diminuiti i fenomeni di usura all’interfaccia impianto/cemento. Per limitare l’esotermicità è opportuno ridurre lo spessore del manto di cemento e aumentare il rapporto solido/liquido (cioè diminuire la quantità di monomero utilizzata). Il monomero è altamente reattivo e può causare allergia ed avere effetti citotossici; può causare effetti sistemici e in particolare fori cadute di pressione durante l’inserimento. La tossicità, oltre che al monomero, può essere ricondotta a inibitori, ammine aromatiche, perossidi, in più durante la polimerizzazione si formano radicali liberi, altamente reattivi. Il PMMA è normalmente compatto e trasparente. Il cemento osseo a seguito dell’inglobamento di aria e della evaporazione del monomero in fase di polimerizzazione, diventa poroso e quindi opaco.Il cemento osseo è poroso e opaco. Se aumenta la porosità: le caratteristiche meccaniche diminuiscono e accade lo stesso al ritiro volumetrico. Per ridurre la porosità posso usare miscelazione lenta e spessori non elevati.

Tecniche di miscelazione: manuale, sotto centrifugazione, sotto vuoto. Centrifugazione e miscelazione sotto vuoto diminuiscono la porosità ma aumentano il ritiro volumetrico. Tale effetto potrebbe peggiorare il comportamento meccanico del cemento. porosità ↓, ΔV↑. Per preparare le superfici è possibile ricorrere a strumentario per la pulizia dell’osso, uso di getti d’acqua in pressione, pressurizzazione del cemento nelle trabecole ossee. Tecniche di inserimento: manuale, tramite siringhe, in pressione, a seconda della tecnica diverse sono le proprietà di viscosità richieste. Se la viscosità è alta lo sono anche le caratteristiche meccaniche. La necessità di adeguata viscosità durante l’inserimento condiziona lo sviluppo di cemento ossei ad accresciute proprietà meccaniche. La sede ossea deve essere il più rugosa possibile e priva di residui: ciò permette un miglioramento all’interfaccia cemento/osso. Perché la polimerizzazione avvenga è necessario che tutta la superficie del polimero sia bagnata dal monomero. A questo scopo è necessario utilizzare un rapporto solido/liquido pari a 2/1. Per diminuire la quantità di monomero necessaria a parità di solido è necessario minimizzare la superficie del polimero. Ciò può essere fatto utilizzando polimero di granulometria controllata, senza particelle di piccole/piccolissime dimensioni. Posso arrivare ad ottenere un rapporto solido/liquido di 3:1 controllando la granulometria (non troppo piccole. Viscosità↔MW: bassa→ componenti femorali (steli), alta→componenti acetabolari (cotili). La viscosità è determinata dal peso molecolare della polvere di partenza. L’utilizzo nei diversi distretti è connesso a problemi di operatività clinica. In genere i cementi ad alta viscosità sono caratterizzati da maggiori caratteristiche meccaniche. ADDITIVI Opacizzanti (radiografici), antibiotici e fluoro. I primi due possono ridurre le capacità meccaniche. La diminuzione delle proprietà meccaniche dei cementi caricati con antibiotici può essere “compensata” dalla riduzione del rischio di infezione. Per ridurre i rischi di infezione locale è possibile aggiungere al cemento del floruro di sodio (caratterizzato da funzione antibatterica). L’aggiunta di fluoro non sembra determinare peggioramento delle proprietà meccaniche del cemento. NUOVE FORMULAZIONI Nuovi cementi ossei: cementi a basso modulo e ad alta duttilità; cementi a modulo ridotto mediante l’incorporazione di polimeri a bassa temperatura di transizione vetrosa nella componente solida (PBMA); cementi con aumentata resistenza a fatica e tenacità a frattura mediante l’utilizzo di copolimeri a base PMMA; sviluppo di attivatori meno tossici della DMPT (dimetilparatoluidina) e in grado di essere incorporati nel cemento; miglioramento dei riempitivi radiopachi; cementi a bassa viscosità con aumentata velocità di polimerizzazione; cementi a due componenti liquide ad alta viscosità.

Cementi caricati con HA: migliore interfaccia con l’osso, utilizzando PHEMA per un’adeguata tenacità (l’aggiunta di HA infragilisce); comunque hanno caratteristiche meccaniche inferiori rispetto ai cementi tradizionali. Cementi caricati con fibre: caratteristiche meccaniche (fatica) elevate sia con fibre rigide e fragili (C) sia con fibre flessibili e duttili (PET). Fibre rigide corte, fibre flessibili anche lunghe (sempre in termini da 0.01mm a 1mm). Cementi con due componenti liquide: elevato E, elevata Rflessione, maggiore picco esotermico. Creep del cemento osseo La buona riuscita e durata degli impianti protesici cementati dipendono in larga misura dalle caratteristiche del cemento acrilico, tra cui la composizione chimica, la struttura, la porosità (dimensione e distribuzione dei pori), lo spessore del manto di cemento, la distribuzione dei carichi, la pressione applicata durante l’inserzione del cemento. La deformazione di creep del cemento contribuisce alla subsidenza dello stelo femorale, in termini rilevanti solo dopo il primo anno dall’impianto. L’eccessiva deformazione di creep, in funzione della finitura superficiale dello stelo, influenza lo stato e l’entità delle sollecitazioni nel manto di cemento. La non corretta trasmissione dei carichi può condurre allo scollamento dello stelo (debonding) e a rottura del manto di cemento. La deformazione di creep del cemento osseo può determinare subsidenza e fallimento della protesi in funzione di • tempo dall’impianto • entità • finitura superficiale degli steli. Scopi della prova di Creep: Determinazione della porosità del cemento in funzione della pressione applicata in fase di polimerizzazione ed effetto della porosità sul comportamento a creep del cemento.