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1. LE FONTI SCRITTE La documentazione letteraria che riguarda l’oreficeria tardoantica è spesso condizionata da motivazioni di tipo religioso: si tratta nella maggioranza dei casi di citazioni incidentali, sia sui gioielli che sugli artigiani, senza alcun preciso intento tecnico o descrittivo. Il caratte- re moraleggiante della letteratura cristiana riduce pertanto la possibi- lità di trarne indicazioni concrete, essendo prevalentemente interes- sata alla repressione di comportamenti giudicati contrari ad un cor- retto stile di vita. I gioielli sono ricordati soprattutto in quanto espres- sione della vanità del mondo o di un passato pagano da condanna- re, oggetti che i cristiani non dovrebbero utilizzare durante la loro vita né porre dentro le tombe 1 . L’invito alla moderatezza riguarda soprat- tutto le classi elevate: Giovanni Crisostomo, ad esempio, condanna le donne di Antiochia che, alla fine del IV sec., si recavano in chiesa eccessivamente adorne di gioielli 2 . Le prescrizioni religiose si rivolgono contro un utilizzo eccessivo di ornamenti personali, ma anche contro la rappresentazione di alcu- ni soggetti in manufatti come anelli o pendenti: in questo caso i gio- ielli vengono condannati in quanto espressione di pratiche supersti- ziose o addirittura demoniache 3 . Tra le prime testimonianze, Clemente di Alessandria tra il II e il II secolo fa una distinzione netta tra i soggetti leciti e quelli proibiti ai cristiani, includendo tra i primi la colomba, il pesci, la nave, la lira e l’ancora 4 . 103 1 Alcune fonti sono raccolte in BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 21-22. 2 Ioh. Crys. Cath. Bapt. I, 35. 3 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 21, con bibliografia. 4 Clem. Al. Paidagogos Logos V. FINNEY 1987; BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 187. APPUNTI PER LO STUDIO DELL OREFICERIA TARDO- ANTICA E ALTOMEDIEVALE Isabella Baldini Lippolis

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1. LE FONTI SCRITTE

La documentazione letteraria che riguarda l’oreficeria tardoanticaè spesso condizionata da motivazioni di tipo religioso: si tratta nellamaggioranza dei casi di citazioni incidentali, sia sui gioielli che sugliartigiani, senza alcun preciso intento tecnico o descrittivo. Il caratte-re moraleggiante della letteratura cristiana riduce pertanto la possibi-lità di trarne indicazioni concrete, essendo prevalentemente interes-sata alla repressione di comportamenti giudicati contrari ad un cor-retto stile di vita. I gioielli sono ricordati soprattutto in quanto espres-sione della vanità del mondo o di un passato pagano da condanna-re, oggetti che i cristiani non dovrebbero utilizzare durante la loro vitané porre dentro le tombe1. L’invito alla moderatezza riguarda soprat-tutto le classi elevate: Giovanni Crisostomo, ad esempio, condannale donne di Antiochia che, alla fine del IV sec., si recavano in chiesaeccessivamente adorne di gioielli2.

Le prescrizioni religiose si rivolgono contro un utilizzo eccessivodi ornamenti personali, ma anche contro la rappresentazione di alcu-ni soggetti in manufatti come anelli o pendenti: in questo caso i gio-ielli vengono condannati in quanto espressione di pratiche supersti-ziose o addirittura demoniache3. Tra le prime testimonianze,Clemente di Alessandria tra il II e il II secolo fa una distinzione nettatra i soggetti leciti e quelli proibiti ai cristiani, includendo tra i primi lacolomba, il pesci, la nave, la lira e l’ancora4.

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1 Alcune fonti sono raccolte in BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 21-22.2 Ioh. Crys. Cath. Bapt. I, 35.3 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 21, con bibliografia.4 Clem. Al. Paidagogos Logos V. FINNEY 1987; BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 187.

APPUNTI PER LO STUDIO DELL’OREFICERIA TARDO-ANTICA E ALTOMEDIEVALE

Isabella Baldini Lippolis

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I tentativi della Chiesa di limitare l’ostentazione di ornamenti ecces-sivi e l’uso di amuleti o di gioielli con soggetti di derivazione pagana,testimoniati dalle fonti letterarie, non sembrano comunque aver sorti-to immediatamente un effetto concreto, come attesta ampiamente ladocumentazione archeologica (figg. 1 e 2). Piuttosto, potrebbero avercondizionato nel tempo un maggiore sviluppo di alcune tipologierispetto ad altre, come ad esempio le croci (fig. 3)5 o gli anelli nuziali(fig. 4)6, ma in maniera tutto sommato marginale rispetto all’insiemedelle produzioni, nelle quali continua a prevalere una forte continuitàcon la tradizione artigianale di età romana imperiale.

La partecipazione dei Cristiani alla vita pubblica e alle sue mani-festazioni più consuete è documentata peraltro anche dalle Vite dialcuni santi orefici, come Andronico di Antiochia (fine del IV sec.) oEligio di Noyons (fine del VI-VII sec.)7: quest’ultimo, apprendista del-l’orefice lionese Abbone, che dirigeva la zecca della dinastia mero-

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5 BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 147-150.6 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 189.7 SODINI 1979, p.94; BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 21.

Fig. 2. Washington, DumbartonOaks Collection, pendente di

collana con Afrodite (daKathemerine 2002)

Fig. 1. Siracusa, MuseoArcheologico Nazionale,

anello-amuleto con simbolimagici (da ORSI 1942)

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vingia, divenne in seguito capo della zecca di Marsiglia, continuandoa svolgere il proprio mestiere prima di ritirarsi alla vita religiosa. In unafase cronologica più avanzata, invece, anche i monasteri accolgonoquesta attività artigianale, come illustra la storia di S. Dunstano, orafonel X secolo nell’abbazia di Glastonbury8.

Le prescrizioni legislative offrono alcune indicazioni utili alla cono-scenza dei sistemi di gestione dell’attività orafa e specialmente degliaspetti sociali connessi. Una legge del 337 prescrive ad esempio chegli orefici non debbano pagare tasse e permette ai loro figli di prose-guire il lavoro dei padri, contrariamente ad altre categorie di artigiani.Essi, inoltre, non sono soggetti all’obbligo di residenza e, conGiustiniano, vengono esentati dal servizio militare9.

Nel IV sec. le fonti legislative si occupano anche dei laboratoriorafi imperiali di Costantinopoli. Le informazioni disponibili contribui-scono a testimoniare l’esistenza di una struttura gerarchizzata che

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8 LAPIDGE 1999.9 CTh XI, 8, 2; 9, 1; XIII, 4, 2; XVI, 10; XVIII, 2. BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 22.

Fig. 3. Atene, Museo Bizantino,pendente dal tesoro di Mitilene

(da Kathemerine 2002)

Fig. 4. Londra, British Museum,anello nuziale da Agrigento (da

BALDINI LIPPOLIS 1999)

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garantiva il controllo statale sulla circolazione e sulla lavorazione deimetalli preziosi: era in particolare il comes sacrarum largitionum adoccuparsi delle zecche, delle miniere d’oro, delle fabbriche statali diarmi e armature, del vestiario dei membri della corte, dei funzionari edell’esercito. Le sacrae largitiones avevano magazzini di raccolta sot-toposti a praepositi e comites nelle città più importanti10 e tra il per-sonale degli officia secondari sono menzionati anche gli orefici (auri-fices), i coniatori (aurifices solidorum), i cesellatori (sculptores), gliaddetti all’applicazione di lamine auree su armi e armature (barbari-carii). Dalla Notitia dignitatum (prima metà del V sec.) vengono inclu-se tra le largitiones anche i gioielli (fig. 5), avvalorando l’ipotesi che inalcuni casi si tratti di oggetti usati come donativi imperiali , come paresia avvenuto per le fibule auree11.

Nelle maggiori città e soprattutto a Roma e Costantinopoli altritesti documentano la presenza di orafi, ad esempio nelle descrizionidi eventi particolari o di scontri militari12: anche le fonti toponomasti-

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10 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 26 e p. 241, con bibliografia.11 Not. Dign. (ed. O, Seek, Berlin 1876) pp. 148 e 154. Sulle fibbie come donativo:

BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 153-154.12 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 22, con bibliografia.

Fig. 5. Notitia dignitatum:insegne del comes

sacrarum largitionum. In alto a sinistra sono

raffigurate tre fibbie (ed. O. SEECK))

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che relative alla capitale d’Oriente e ad altri importanti centri dell’im-pero contribuiscono alla conoscenza della dislocazione dei quartieriin cui operava questa categoria di artigiani13.

Le fonti scritte forniscono spesso indicazioni indirette sull’esisten-za di manufatti in materiale prezioso: sono disponibili, ad esempio,numerose descrizioni di oggetti votivi d’oro e d’argento all’interno dellechiese delle città più importanti dell’impero, come Roma o Ravenna14;qui, ad esempio, abbiamo notizia della donazione da parte di GallaPlacidia alle chiese di S. Zaccaria e di S. Vitale di corone votive, calicie una lucerna aurea; al vescovo Vittore, invece, è attribuita l’offerta,nella Basilica Ursiana, di un ciborio d’argento e di un altare d’oro15.

Citazioni incidentali riguardano anche i beni del tesoro imperiale,spesso coinvolti nelle vicende dinastiche16. I sovrani barbarici sembra-no partecipi degli stessi fenomeni di tesaurizzazione e di esibizione delpotere attraverso oggetti di lusso: una profusione di collane con pietrepreziose, di oggetti in materiale prezioso, di ricchi trofei, sono descrit-ti ad esempio dallo storico Jordanes in relazione al funerale di Attila17.

Per quanto riguarda i sistemi di lavorazione dei gioielli, dopo l’etàimperiale non sono pervenuti testi specifici prima del XII secolo,quando un presbitero del monastero di S. Pantaleone a Colonia, dinome Teofilo, dedica il terzo volume di un manuale generale sulmodo di condurre un laboratorio orafo, dalla costruzione degliambienti necessari alla scelta degli strumenti, alla esecuzione stessadei gioielli18. Per il periodo precedente disponiamo solo di fonti sulleproprietà taumaturgiche attribuite alle pietre, un campo della trattati-stica a metà tra medicina e superstizione popolare19.

Un’ulteriore testimonianza scritta è costituita dalle fonti papiracee:si tratta soprattutto di elenchi di oggetti passati di proprietà attraver-so donazioni, per matrimonio o lascito testamentario20. In questocaso si pone però la difficoltà di collegare i manufatti menzionati dai

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13 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 22, con bibliografia.14 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 22, con bibliografia.15 Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis (in von SCHLOSSER 1992, pp. 100-116).16 Si può ricordare, tra i numerosi esempi, la fuga dell’imperatore Zenone da

Costantinopoli insieme ad Isaurici che vivevano nella capitale e al tesoro imperia-le: per le fonti relative v. PLRE II, pp. 1200-1202.

17 Historia Gothorum XLIX. BALDINI LIPPOLIS 2007, p. 314.18 V. DODWELL 1986; BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 26.19 Epiph. De Duodecim Lapidibus; Isid. XVI. BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 26.20 Questo settore di studio è stato affrontato in maniera sistematica in RUSSO 1999.

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testi con le tipologie effettivamente note e di capire quanto circoscrit-to potesse essere l’uso dei numerosi termini riportati. Vengono cita-te, per esempio, fasce per il capo (kefalodesmia), probabilmente instoffa o pelle, a volte con aggiunta di perle21 e corone (stefanoi), forsefasce o coroncine decorative22. Inoltre, orecchini (enotia), raramentein associazione con la parola ptychion (foglio, tavoletta, lamina olamella) e alysidion (catenella), interpretati con il significato di “pen-dente a catenella”23. La documentazione papiracea attesta anchel’esistenza di un tipo di collana detta alysis, interpretabile come unacatena a maglie, con perle e pietre; maniaches è invece un collarerigido d’oro o d’argento, forse equivalente al torques o rappresentaun termine generico per indicare una collana girocollo24, gioiello cor-rispondente anche al termine peritrachelion25. Con il termine chala-starin, invece, sembra intendersi una collana a treccia26, evidente-mente di filo aureo.

I fylakteria erano amuleti ornamentali, anche in materiale prezio-so27; il kodonion un tintinnabulum, ovvero un sonaglietto in materialeprezioso, citato nel contesto di altri oggetti di oreficeria28; i platymma-ta, probabilmente, medaglioni pendenti, alcuni dei quali di forma cir-colare29. Con il termine selenaria si intendevano invece i pendenti aforma di luna. Sulla base dei papiri, le croci pettorali sembrano diffu-se tra il VII e l’VIII sec., come attesta un documento che cita i beniappartenuti ad una chiesa30. I brachialia nominati nei testi sembranoessere bracciali da indossare nella parte alta del braccio, in corri-spondenza dell’omero31, ma da altre fonti conosciamo anche i dexia-ria32, i dipsellia forse a doppia spirale33, i klania e pericheira femmini-li34 e bracciali da polso detti cheiropsellia35. Daktylios è il termine

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21 RUSSO 1999, pp. 14-16.22 RUSSO 1999, pp. 17-19.23 RUSSO 1999, pp. 48-49 e 57-58. 24 RUSSO 1999, pp. 84-85.25 RUSSO 1999, pp. 90-98.26 RUSSO 1999, pp. 101-102.27 RUSSO 1999, pp. 200-202.28 RUSSO 1999, pp. 207-208.29 RUSSO 1999, p. 216.30 RUSSO 1999, p. 219.31 RUSSO 1999, pp. 109-110.32 Ioh. Crys. In Thes.; RUSSO 1999, p. 111.33 RUSSO 1999, p. 113.34 RUSSO 1999, pp. 114-127 e 134.35 RUSSO 1999, pp. 135-137.

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generico per intendere l’anello digitale36; con sfragis si indica invecel’anello sigillare37.

L’uso di cavigliere è documentato infine nei papiri con i termini diperiskelidia, un ornamento femmminile attestato già da Plutarco rela-tivamente alle donne egiziane38. Altre cavigliere erano i podopsellia39. In un documento si fa riferimento alla lavorazione a granulazione(kegkros) dei gioielli, che non sarebbe stata eseguita a regola d’arte,causando il distacco di materiale aureo40.

Un’attestazione complementare è rappresentata infine dalle iscri-zioni tardoantiche che menzionano orafi; queste hanno un prevalen-te carattere funerario (fig. 6) e menzionano artigiani che lavorano l’oro(chrisochooi), l’argento e le pietre preziose, oppure specializzati nellarealizzazione di categorie specifiche di oggetti, come i fabbricanti dianelli (daktylidarii)41. Tali documenti costituiscono un’attestazionediretta della presenza di attività di lavorazione dei metalli preziosi e

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36 RUSSO 1999, pp. 163-187.37 RUSSO 1999, pp. 190-195.38 RUSSO 1999, pp. 153-155.39 RUSSO 1999, pp. 156-160.40 RUSSO 1999, p. 154.41 SODINI 1979, p. 94. BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 22.

Fig. 6. Nea Anchialos,epigrafe funeraria di

Symeonios, chrysochoos,e della moglie Olimpia (da

Kathemerine 2002)

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sono il segno di una società articolata e complessa, ma spesso ilcarattere stesso della tradizione epigrafica funeraria limita il contenu-to informativo entro formule stereotipe e convenzionali.

2. LE FONTI ICONOGRAFICHE

La presenza di gioielli nel ricco repertorio di immagini della tradi-zione cristiana pone problemi interpretativi diversi rispetto a quelli giàevidenziati a proposito dei testi scritti. Sono disponibili immagini digioielli soprattutto in raffigurazioni musive, ad affresco, in manufattieburnei, stoffe e anche in alcuni prodotti orafi42. In tutti questi casi ènecessario cercare di distinguere le caratteristiche generali delle rap-presentazioni e verificare se la semplificazione dei dettagli sia dovu-ta alla tecnica utilizzata o ad altre motivazioni. Alcuni gioielli nonerano riprodotti perché essi non erano utili a mostrare lo status socia-le della persona chi li indossava; in altri casi, era semplicemente dif-ficile rappresentare un dettaglio e soprattutto ininfluente nell’econo-mia generale della comunicazione visiva creata dall’immagine.

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42 BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 26-27 e passim.

Fig. 7. Ravenna, pannellocon il corteo di

Giustiniano in S. Vitale

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Il primo aspetto ha ovviamente implicazioni più articolate. In etàtardoantica le scelte iconografiche sono prevalentemente collegatead un sistema gerarchico ben preciso interno all’immagine, che cor-risponde al valore assegnato ai diversi elementi compositivi. I mem-bri della corte imperiale e di quella divina, ad esempio, occupano laposizione più evidente ed esibiscono gioielli in oro con pietre prezio-se, mentre gli altri personaggi sono laterali e indossano abiti e orna-menti più semplici, in un significativo decalage sintattico: i gioielli,come gli abiti, sono utilizzati come strumento di immediata percezio-ne del grado sociale di chi li indossa, nelle raffigurazioni come nellarealtà. Un esempio particolarmente emblematico di questo sistemadi rappresentazione paradigmatica è costituito dai due pannelli impe-riali in S. Vitale a Ravenna: la gerarchia di corte viene espressamediante la collocazione dei personaggi, i loro abiti e gli ornamentiidentificativi del grado sociale (fig. 7)43. Anche l’immagine dell’impera-trice nel celebre avorio di Vienna (fig. 8), frontale e statica, sovraccari-ca di gioielli caratterizzanti (in particolare la corona e i parapendulia) e

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43 BALDINI LIPPOLIS 1999, passim; COSENTINO 2005; PORTA 2005.

Fig. 8. Vienna,Kunsthistorisches Museum,

avorio con imperatrice in trono(da BALDINI LIPPOLIS 1999)

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di simboli del potere esercitato, è l’espressione perfetta e inequivo-cabile del ruolo imperiale attraverso un sistema espressivo immedia-tamente percepibile ai contemporanei44.

Un’adeguata considerazione del sistema di decodificazione delleimmagini fornisce quindi anche i mezzi per capire aspetti differenti,distinguibili a livello archeologico, connessi ad esempio con l’uso e ladiffusione di ornamenti specifici o con la riproduzione in materialimeno preziosi (rame, bronzo o bronzo dorato) di modelli in oro, pre-scelti in quanto espressivi di un particolare significato di status.

3. FONTI ARCHEOLOGICHE

I dati sui rinvenimenti recenti e meglio documentati sono ancorapochi rispetto alle esigenze scientifiche; questo aspetto condizionaulteriormente lo sviluppo degli studi, costretti a basarsi su repertoriprivi delle condizioni metodologiche e conoscitive fondamentali.Pertanto, ancora oggi, gli oggetti vengono a volte identificati attraver-so definizioni molto generali, prive di un reale corrispettivo cronologi-co e soprattutto culturale, come nel caso della distinzione spessopregiudiziale tra ‘autoctono’ ‘bizantino’, o ‘barbarico’. La compren-sione di questi e di altri aspetti deve partire invece da un’attenta ana-lisi del contesto culturale e dell’uso sociale del gioiello; dalla com-prensione delle caratteristiche tecniche e tipologiche dei prodotti;dalla parentela morfologica con altri esemplari nell’ambito della clas-se di appartenenza; infine, dal confronto con manifatture analoghedel bacino culturale di riferimento.

In molti casi, comunque, riesce ancora difficile riconoscere conchiarezza le caratteristiche formali dei modelli rispetto quelle delleeventuali riproduzioni, a causa dell’uniformità della documentazioneed è anche difficile considerare queste ultime semplici imitazioni. Ilfenomeno della diffusione dei modelli deriva infatti da un desiderio,condiviso e in parte incentivato, di emulazione comportamentale,espresso dalle fasce sociali emergenti e culturalmente dominanti.Queste sono ben identificabili a livello archeologico anche nella lorostratificazione interna, che appare complessa per disponibilità e usodei diversi modelli di riferimento; nel panorama di apparente omolo-

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44 BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 54-60.

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gazione formale delineabile per i ceti superiori, risaltano infatti inmaniera ancora maggiore i manufatti isolati, di pregio particolare perpeso, lavorazione e repertorio iconografico, oppure collegati adambiti diversi da quelli che sembrano essere prevalenti. Essi sonoindice della presenza di una vera e propria ‘aristocrazia’ locale, moltoristretta, che, a quanto sembra, denota solo le strutture urbane piùcomplesse. È all’interno di questi insediamenti, ancora purtroppopoco noti archeologicamente, che si deve riconoscere il ‘pubblico’per il quale viene messo in scena il repertorio dei comportamenti edelle esibizioni, segno di una comunicazione sociale vitale e articola-ta, corrispondente ad una comunità adeguatamente stratificata.

Le fonti della documentazione archeologica considerate nellabibliografia sono prevalentemente di quattro tipi.

MATERIALE DECONTESTUALIZZATO IN MUSEI E COLLEZIONI

L’assenza di informazioni sul contesto di provenienza è una dellesituazioni che impedisce una reale conoscenza storica dei manufat-ti, privandoli del rapporto con la società nell’ambito della quale essivennero prodotti ed utilizzati. Anche la conoscenza tipologica è for-temente condizionata dalla preferenza, operata soprattutto in passa-to, per l’acquisizione di manufatti in oro e argento a discapito di quel-li in altri materiali, sebbene sia proprio la possibilità di verificare ilcomplesso degli oggetti dallo stesso contesto a permettere una rico-struzione del significato vero dei manufatti nell’ambito della società.

TESORI

Si tratta di gruppi di oggetti spesso sepolti e nascosti in conteni-tori in materiale deperibile, che rispondono ad istanze strettamentelegate alla necessità di salvaguardare - per motivi contingenti - uncerto numero di beni preziosi. A volte si tratta di oggetti di uso per-sonale, come ad esempio parure singole o iterate di gioielli femmini-li: dalla parure-base caratterizzata da una coppia di orecchini, unacollana e un anello, a quelle più complesse, con bracciali come neltesoro di Caesarea Maritima45, oppure con fibbie, a quelle raddoppia-te (Tesoro di Mitilene46, fig. 9). L’abbandono di questi oggetti, come è

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45 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 37, con bibliografia.46 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 37, con bibliografia.

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evidente, rispecchia una situazione di pericolo imminente, in cui sirende necessaria una rinuncia temporanea a beni effettivamente inuso. L’insieme rivela quindi in maniera diretta le disponibilità e le esi-genze rappresentative dei proprietari, permettendo collegamenti econfronti con altri contesti analoghi o di altro tipo.

Alcuni depositi mostrano però o solo monete o un’associazionetra gli oggetti molto meno omogenea (Tesoro di Reggio Emilia47, fig.10): i tesori in questi casi comprendono gioielli sia maschili che fem-minili, monete, vasellame e anche frammenti di altri reperti in mate-riale prezioso (fermagli di collana, ritagli di missoria argentei, etc.),evidentemente conservati solo per il valore intrinseco. In questocaso, sebbene le motivazioni del deposito debbano essere conside-rate analoghe, raccolta dei manufatti e associazione rivelano unasituazione diversa e più complessa, della quale fanno parte anchemanufatti appartenenti a fasi cronologiche differenti. Spesso lo stes-so tipo di gioiello è replicato più volte, con una maggiore incidenzadelle collane e degli anelli, mentre gli orecchini compaiono raramen-

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47 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 35; BALDINI LIPPOLIS 2008, con bibliografia.

Fig. 9. Tesoro di Mitilene(da CHATZIDAKIS 1986)

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te, mostrando un’inversione rispetto alla maggiore diffusione di que-sti ultimi nelle deposizioni funerarie. Evidentemente, per questi teso-ri è soprattutto il valore intrinseco del metallo prezioso a costituirel’elemento essenziale nella scelta degli oggetti; quindi, tra i criteri chepresiedono alle associazioni prevalgono quelli legati al valore econo-mico rispetto alle effettive scelte comportamentali dei proprietari.

CORREDI FUNERARI

Si tratta della situazione più interessante per l’indagine archeologi-ca (fig. 11): il materiale viene definitivamente abbandonato nella sepol-tura e assume un preciso significato di status, legato alla cerimoniafuneraria e alla rappresentazione sociale del defunto e della sua fami-glia. Nelle deposizioni il valore dell’ornamento prezioso viene a qualifi-care ulteriormente la netta distinzione tra tombe con corredo e tombeprive di corredo, situazione teoricamente favorita dalle prescrizioni reli-giose e, in alcuni casi, legislative48. L’importanza di una sepoltura,naturalmente, può essere affidata anche ad altri elementi espressivi,come le epigrafi funerarie, o la collocazione in una zona prestigiosa permotivi religiosi. Su questi livelli di distinzione sociale, la presenza digioielli personali crea un ulteriore segnale di appartenenza ad un grup-po elitario, rappresentando in generale una forte minoranza.

In un’area culturalmente omogenea come l’Italia meridionale, adesempio, da un punto di vista quantitativo e tipologico un gioiello

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48 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 21 e passim, con bibliografia.

Fig. 10. Reggio Emilia,Musei Civici, frammenti di

missoria argentei del‘Tesoro di Reggio Emilia’(da BALDINI LIPPOLIS 1999)

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deposto con maggiore frequenza nelle tombe femminili sembranoessere la coppia di orecchini e la fibula49, proseguendo un costumeampiamente attestato anche in età classica; raramente appaiono inassociazione con gli anelli e ancora meno frequentemente con colla-ne o con altri gioielli. Nelle sepolture maschili, invece, sono docu-mentate in maniera praticamente esclusiva le fibbie da cintura, spes-so in bronzo e più raramente impreziosite da ageminature o da ele-menti in metallo pregiato; queste sembrano essere un segno distinti-vo diffuso del rango sociale, forse insieme agli anelli, di cui, però, nonabbiamo indicazioni contestuali sufficienti. Pur mancando i presup-posti per un’analisi antropologica più completa, continua ad esserela donna a rappresentare la disponibilità economica della famiglianelle occasioni cerimoniali collettive ed in particolare nel rito funebre,

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49 Si tratta di indicazioni generali che tuttavia sembrano trovare ampio riscontro nelladocumentazione archeologica: per un’analisi più approfondita su alcune aree spe-cifiche si rimanda a BALDINI LIPPOLIS c.d.s.1 e c.d.s. 2.

Fig. 11. Planimetria ecorredo della tomba

185 di Villa Clelia-Imola(da CAVALLARI 2005)

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segnalando l’esigenza di un’esibizione dello status sociale ed econo-mico o del rango.

L’elemento religioso sembra essere fortemente presente nellescelte deposizionali e influenza probabilmente la scelta di determina-te categorie di oggetti, facendo riferimento ad un valore simbolicocondiviso dalle diverse comunità anche in aree geografiche moltoestese. Un esempio è costituito dal confronto tra due tipologie diorecchini particolarmente diffuse tra VI e il VII sec., ‘a cestello’ e ‘acorpo semilunato’ (figg. 12-13 e 14-15): la prima è attestata in Italia

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Fig. 12. Siracusa, MuseoArcheologico Regionale, orec-

chino ‘a cestello’ da Nissoria(da BALDINI LIPPOLIS 1999)

Fig. 13. Distribuzione degli ‘orecchini a cestello’

(variante 2c) in Italia (daRIEMER 2000)

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nella forma più canonica solo dopo la conquista longobarda ma deri-vano da prototipi già presenti nel V sec.; la sua diffusione nel VIIsecolo è tipica di un’area geografica ampia, concentrata tra la Siciliae l’Ungheria, in cui sono attestate diverse varianti prodotte certamen-te localmente. La seconda, già considerata di derivazione bizantina,viene riprodotta in manifatture dislocate in regioni diverse50, all’ester-no e all’interno dell’impero bizantino, come mostra la sua distribuzio-ne in Turchia, a Creta, in Grecia, Albania, Italia meridionale e Sicilia,Austria e Ungheria51.

È evidente, infatti, che le due classi, non presentano aree di distri-buzione esattamente sovrapponibili, se non per pochissimi esempla-ri di alcuni tipi e solo in alcune zone marginali, mostrando esigenze

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50 BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 83.51 BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 81-85 e 103-109.

Fig. 14. Orecchino ‘a corposemilunato’ da Rutigliano

(Soprintendenza Archeologicadella Puglia)

Fig. 15. Distribuzionedegli orecchini ‘a corpo

semilunato’ in Italia meridionale e in Sicilia

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rappresentative dell’identità diverse. L’Italia meridionale e la Sicilia,da questo punto di vista, si qualificano soprattutto come regioni diconfine dell’Impero, in cui in misura ridotta appaiono anche tradizio-ni d’uso e produttive tipiche della penisola italica. Se gli orecchini acestello sono eccezionalmente rappresentati in Sicilia e mancano deltutto nelle altre regioni del mondo bizantino, gli orecchini a corposemilunato, invece, costituiscono l’attestazione più occidentale diquesta produzione bizantina.

Anche il comportamento rituale può condizionare la composizio-ne degli elementi depositati e la documentazione archeologica inquesti casi è l’unica testimonianza supersite di pratiche diffuse inalcuni ambiti culturali o in determinati periodi52: è importante pertan-to considerare in maniera attenta anche le differenze tra le singoledeposizioni e il contesto generale del sepolcreto di riferimento, comeanche tra le diverse necropoli, che sono espressione di abitati spes-so altrimenti sostanzialmente sconosciuti.

CONTESTI INSEDIATIVI

Le indagini archeologiche degli ultimi decenni hanno permesso divalorizzare la documentazione proveniente da contesti insediativi.Mentre la maggior parte dei rinvenimenti ha carattere sporadico, uninteresse fondamentale è rappresentato dalle testimonianze perti-nenti alle strutture di tipo produttivo. Questi ritrovamenti sono piutto-sto rari e di solito corrispondono a laboratori importanti, specializza-

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52 Ci si riferisce, ad esempio, ai risultati di alcune analisi in corso di pubblicazione inBALDINI LIPPOLIS c.d.s.1 e c.d.s.2.

Fig. 16. Atene, MuseoBenaki, matrice liticaper croci pettorali e

per orecchini ‘a corposemilunato’ (da BALDINI

LIPPOLIS 1999)

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ti nella realizzazione di tipologie differenziate di oggetti: infatti, lasemplicità delle strutture necessarie alla lavorazione e l’assenza discarti metallici significativi rendono spesso difficile l’individuazionedegli atelier più modesti in assenza di elementi legati alla lavorazionedei manufatti preziosi quali le matrici (fig. 16), i crogioli o altri attrezzispecifici. Tali oggetti, fino a qualche decennio fa, erano completa-mente ignorati dalla ricerca archeologica, ma esempi sempre piùnumerosi provengono da aree diverse dell’impero, come testimonia-no ad esempio quelli rinvenuti negli scavi di S. Demetrio aSalonicco53 (fig. 17).

In rari casi la ricerca ha portato al riconoscimento dei luoghi diproduzione, permettendo un confronto concreto con i manufatti ivirealizzati: il più celebre in Italia è rappresentato dal laboratorio roma-no della Crypta Balbi, che ha restituito stampi e manufatti per la rea-lizzazione di numerosi prodotti, tipologicamente affini a quelli riscon-trabili in numerose altre aree dell’Impero54. Il carattere di questo labo-ratorio, più che segnalare una situazione di marcata eccezionalitàsembra confermare l’impressione di una produzione generalmentestandardizzata, eseguita in una pluralità di laboratori artigianali e con-dizionata soprattutto dalle potenzialità offerte dalla committenza edalla complessità sociale del luogo di fabbricazione.

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53 Kathemerine 2002, p. 101. 54 RICCI 2001.55 BALDINI LIPPOLIS 2007, pp. 316-320.

Fig. 17. Salonicco, Museo Bizantino,strumenti orafi dagli scavi di

S. Demetrio (da Kathemerine 2002)

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Una riflessione adeguata sul significato di un rinvenimento di que-sto tipo contribuisce quindi ad approfondire maggiormente il proble-ma già ricordato del sistema di diffusione dei modelli, da cui dipendeanche la difficoltà di possedere chiare discriminanti per l’attribuzionedi prodotti a specifiche manifatture e di comprendere il sistema direlazione (forse anche gerarchica) tra i diversi centri produttivi.

Un altro esempio di grande interesse, pertinente ad un ambitocronologico più tardo, è quello di Kiev55. La rielaborazione di formedell’oreficeria costantinopolitana secondo uno stile proprio, graziealla perizia di botteghe locali di altissimo livello, particolarmente abilinell’uso del niello e degli smalti, si manifesta in questa città durantel’apogeo del Principato Rus’, tra il X e il XII secolo: la fama della tec-nica raggiunta in questa città è tale da essere considerata da Teofilocome seconda solo a quella dei bizantini56. Diversamente da quantofinora emerso nella capitale imperiale d’Oriente, tuttavia, la docu-mentazione di Kiev permette un reale riscontro tra i gioielli seguiti inloco e l’esistenza degli impianti produttivi relativi, alcuni dei qualisono stati individuati nell’area della chiesa Desiatynna, sorta nel

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56 V. nota 18 e BALDINI LIPPOLIS 2007, p. 316. 57 BALDINI LIPPOLIS 2007, pp. 316-318.

Fig. 18. Kiev, Museo Storicodell’Ucraina, matrice litica (da

Kathemerine 2002)

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tardo X secolo e crollata durante l’invasione dei Mongoli del 124057.All’interno dell’edificio furono trovate anche circa venti matrici liticheper gioielli insieme ai resti di tre individui, evidentemente sorpresi dalcrollo del monumento mentre fuggivano, cercando di mettere in salvogli attrezzi del mestiere. Una matrice, a doppia valva, serviva alla rea-lizzazione di pendenti semilunati decorati con un animale araldico;un’altra permette di ricostruire la forma di un orecchino o di un pen-dente a stella a sei punte (fig. 18), che trova stretto confronto inesemplari in oro, con decorazione a filigrana e granulazione dellastessa provenienza58.

Un ulteriore importante rinvenimento, nella stessa città, è costitui-to da un tesoro di oltre settanta gioielli tutti inquadrabili nell’ambito

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58 BALDINI LIPPOLIS 2007, p. 316.59 Golden Warriors 1993, p. 63, fig. 2.60 BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 54-55.

Fig. 20. Disegno ricostruttivo degli

ornamenti femminili di Kiev(da Golden Warriors 1993)

Fig. 19. Kiev, Museo Storicodell’Ucraina, catena di

sospensione e pendenti daKniazha Hora e da Divycha

Hora (da Glory 1997)

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del XII sec., Tra gli oggetti più rappresentativi è una catena a maglieauree con il pendente semilunato ad essa collegato59. Si tratta di unatipologia specifica di ambito locale, attestata da un notevole numerodi esemplari che mostrano leggere varianti tipologiche e decorative,traendo la propria origine e il proprio significato di status dai parapen-dulia che ornavano le corone imperiali bizantine (figg. 19-20)60.Dall’essere una prerogativa della sola figura del sovrano costantino-politano, a Kiev questo ornamento passa invece a caratterizzare icomponenti della classe aristocratica del principato. Il pendente èuna doppia lamina semilunata saldata, con decorazione a smalto:risulta singolare la coincidenza della forma dell’oggetto e dei sogget-ti prevalenti, uccelli singoli o affrontati, con la classe degli orecchini‘a corpo semilunato’ cui si è già accennato, la cui produzione prose-gue in ambito bizantino fino al XII-XIII secolo con raffinati esemplari asbalzo e in filigrana, con pietre e smalti, nei quali vengono replicatitemi prevalentemente vegetali, geometrici e simbolici.

Partendo da tale documentazione si potrebbe quindi approfondi-re in maniera ulteriore il problema dei manufatti preziosi in quantostrumento di comunicazione; essi, infatti, sono certamente parte diun sistema di potere economico e sociale in cui i ‘segni’ distintividevono costituire un linguaggio facilmente decodificabile. Questo,esemplato necessariamente sulle forme rappresentative e sui model-li dell’elite dirigente dell’impero, che costituiscono la fonte legittimadel potere, cioè la corte imperiale e le alte gerarchie ecclesiastiche,viene riproposto e articolato, a seconda delle esigenze locali, peresprimere l’autorità delle fasce sociali o delle famiglie emergenti e laloro capacità di partecipazione e di cooptazione all’interno del siste-ma. Il ruolo della Chiesa acquista una funzione centrale nella diffusio-ne e nella legittimazione del significato e del valore dei simboli impie-gati, spiegando meglio il processo di omologazione formale comerisultato di una identificazione sociale che, in effetti, risulta spessoindipendente dalla connotazione etnica. Solo nelle aree in cui si man-tiene o si afferma una tradizione urbana più complessa, sembranoproporsi alterazioni e varietà dei modelli originari, funzionali ad espri-mere, oltre la generale partecipazione, anche una più specifica iden-tità locale, anche in questo caso probabilmente fenomeno legato allapluralità dei centri del potere che nascono dalla progressiva e conti-nua frammentazione politica dell’Impero.

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