Bahman Ghobadi il cinema è unarma per lottare - eastwest.eu · mio incontro con il cinema è stato...

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cista che attraversa il confine per recuperare la figlia che l’ex moglie, tanto amata e in fin di vi- ta per le armi chimiche di Saddam Hussein, ha avuto da un altro uomo. . di Farian Sabahi 148 . east . europe and asia strategies numero 34 . febbraio 2011 . 149 Bahman Ghobadi : il cinema è unarma per lottare Molti dei suoi film sono ambientati in Kurdistan, al confine tra Paesi diversi. . Come Il tempo dei cavalli ubriachi, che ha vinto la Caméra d’or per la migliore opera prima al Festival di Cannes 2000. . O come Marooned in Iraq (Intrappolato in Iraq, 2002) che racconta di un vecchio musi- INTERVISTA N ella seduta di apertura della XIII Conferenza del Partito democratico del Kurdistan (Kdp), l’11 di- cembre scorso, alla presenza di 1300 membri e dei maggiori leader politici iracheni il presidente del Kurdi- stan iracheno Massoud Barzani (leader del Kdp) ha par- lato apertamente di autodeterminazione dei curdi. Ne di- scutiamo con il regista iraniano di etnia curda Bahman Ghobadi, che nei suoi film ha tante volte dato voce a que- sta minoranza. Lasciato l’Iran per motivi politici, ora vi- ve a Erbil, nel Kurdistan iracheno. A dicembre ha incon- trato il pubblico a Torino, in occasione di Sottodiciotto Filmfestival, la kermesse europea che ragiona sulla rap- presentazione dell’universo giovanile. Qual è la metafora che lei utilizza per affrontare la questione curda? C’era una volta una bella ragazza che un brutto giorno è saltata su una mina e ogni pezzo del suo corpo è stato gettato in un posto diverso: in Iraq, in Iran, in Turchia e in Siria. Quella bella ragazza si chiamava Kurdistan. Quale futuro immagina per questa terra divisa e contesa? Sono iraniano e sono curdo, l’Iran è il mio corpo e il Kur- distan è il cuore. Desidero un Kurdistan autonomo, all’in- terno dell’Iran, ma sono pronto a rinunciare a un Kurdi- stan indipendente se questo fosse fatto a spese dell’Iran, privandolo di una sua parte. Vorrei che ogni provincia del- l’Iran avesse una sua autonomia, con uguali diritti. fine tra l’Iran e l’Iraq. Al tempo dello scià era l’unica lo- calità del Kurdistan dove ancora non c’erano cinema. Og- gi, invece, in tutto il Kurdistan c’è soltanto una sala! Il mio incontro con il cinema è stato mediato dal cibo: da bambino adoravo mangiare i panini con il wurstel, ma mio zio me li comprava soltanto quando andavamo al ci- nema. Non potevo addentarlo finché non iniziava il film. Ricordo che mangiavo il panino e, distratto, pure la car- ta in cui era avvolto. Il panino al cinema era una sorta di rito, una cerimonia. Quali sono i suoi sentimenti verso questa forma d’arte? Per il cinema non provo amore, lo considero un’arma nella lotta per il mio Paese. Ogni tanto mi suscita persi- no sentimenti negativi, molto forti, forse per le difficoltà che abbiamo noi cineasti in Iran, dove bisogna lottare contro la burocrazia e la censura. Ed è proprio a causa di queste difficoltà che sono invecchiato precocemente. Non ho mai avuto una sedia da regista, comoda, per pro- In prima battuta i suoi film sembrano delle commedie e gli attori si lasciano andare a battute divertenti. Ma, poco alla volta, la trama lascia spazio alla tragedia. Perché questo cambiamento di registro? Sono timido, per carattere. Svelo il mio dolore poco per volta. In persiano esiste un’espressione idiomatica: si di- ce “tagliare la testa con il cotone” e ora le spiego che co- sa intendo. Il pubblico non è colpevole, non posso mo- strare subito la violenza, creando tanto dolore. Mi devo muovere con accortezza. Vorrei far amare i miei perso- naggi, vorrei che lasciassero una traccia. Abbandonando la sala, dopo i titoli di coda, il pubblico deve però avere la consapevolezza della tragedia che colpisce il popolo curdo. I miei personaggi devono accompagnare lo spet- tatore, almeno per un po’. Il cinema è come l’amore: non puoi attaccare subito, ci vuole tempo per lasciare il segno. Lei è stato aiuto regista di Abbas Kiarostami nella pellicola Il vento ci porterà via e attore nel film Lavagne di Samira Makhmalbaf. Come si è avvicinato al cinema? Ho vissuto a lungo a Baneh, in una piccola città di con- Bahman Ghobadi, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico iraniano di etnia curda. N Afp / Getty Images / S. Hamed Corbis / P. Cheung Il centro di Erbil visto dalla Cittadella.

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cista che attraversa il confine per recuperare la

figlia che l’ex moglie, tanto amata e in fin di vi-

ta per le armi chimiche di Saddam Hussein, ha

avuto da un altro uomo. . di Farian Sabahi

148 . east . europe and asia strategies numero 34 . febbraio 2011 . 149

Bahman Ghobadi:il cinema è un’arma per lottareMolti dei suoi film sono ambientati in Kurdistan, al confine tra Paesi diversi. . Come Il tempo

dei cavalli ubriachi, che ha vinto la Caméra d’or per la migliore opera prima al Festival di Cannes

2000. . O come Marooned in Iraq (Intrappolato in Iraq, 2002) che racconta di un vecchio musi-

INTERVISTA

Nella seduta di apertura della XIII Conferenza delPartito democratico del Kurdistan (Kdp), l’11 di-cembre scorso, alla presenza di 1300 membri e dei

maggiori leader politici iracheni il presidente del Kurdi-stan iracheno Massoud Barzani (leader del Kdp) ha par-lato apertamente di autodeterminazione dei curdi. Ne di-scutiamo con il regista iraniano di etnia curda BahmanGhobadi, che nei suoi film ha tante volte dato voce a que-sta minoranza. Lasciato l’Iran per motivi politici, ora vi-ve a Erbil, nel Kurdistan iracheno. A dicembre ha incon-trato il pubblico a Torino, in occasione di SottodiciottoFilmfestival, la kermesse europea che ragiona sulla rap-presentazione dell’universo giovanile.

Qual è la metafora che lei utilizzaper affrontare la questione curda?C’era una volta una bella ragazza che un brutto giorno

è saltata su una mina e ogni pezzo del suo corpo è statogettato in un posto diverso: in Iraq, in Iran, in Turchia ein Siria. Quella bella ragazza si chiamava Kurdistan.

Quale futuro immagina per questa terra divisa e contesa?Sono iraniano e sono curdo, l’Iran è il mio corpo e il Kur-

distan è il cuore. Desidero un Kurdistan autonomo, all’in-terno dell’Iran, ma sono pronto a rinunciare a un Kurdi-stan indipendente se questo fosse fatto a spese dell’Iran,privandolo di una sua parte. Vorrei che ogni provincia del-l’Iran avesse una sua autonomia, con uguali diritti.

fine tra l’Iran e l’Iraq. Al tempo dello scià era l’unica lo-calità del Kurdistan dove ancora non c’erano cinema. Og-gi, invece, in tutto il Kurdistan c’è soltanto una sala! Ilmio incontro con il cinema è stato mediato dal cibo: dabambino adoravo mangiare i panini con il wurstel, mamio zio me li comprava soltanto quando andavamo al ci-nema. Non potevo addentarlo finché non iniziava il film.Ricordo che mangiavo il panino e, distratto, pure la car-ta in cui era avvolto. Il panino al cinema era una sorta dirito, una cerimonia.

Quali sono i suoi sentimenti verso questa forma d’arte?Per il cinema non provo amore, lo considero un’arma

nella lotta per il mio Paese. Ogni tanto mi suscita persi-no sentimenti negativi, molto forti, forse per le difficoltàche abbiamo noi cineasti in Iran, dove bisogna lottarecontro la burocrazia e la censura. Ed è proprio a causa diqueste difficoltà che sono invecchiato precocemente.Non ho mai avuto una sedia da regista, comoda, per pro-

In prima battuta i suoi film sembrano delle commediee gli attori si lasciano andare a battute divertenti.Ma, poco alla volta, la trama lascia spazio alla tragedia.Perché questo cambiamento di registro?Sono timido, per carattere. Svelo il mio dolore poco per

volta. In persiano esiste un’espressione idiomatica: si di-ce “tagliare la testa con il cotone” e ora le spiego che co-sa intendo. Il pubblico non è colpevole, non posso mo-strare subito la violenza, creando tanto dolore. Mi devomuovere con accortezza. Vorrei far amare i miei perso-naggi, vorrei che lasciassero una traccia. Abbandonandola sala, dopo i titoli di coda, il pubblico deve però averela consapevolezza della tragedia che colpisce il popolocurdo. I miei personaggi devono accompagnare lo spet-tatore, almeno per un po’. Il cinema è come l’amore: nonpuoi attaccare subito, ci vuole tempo per lasciare il segno.

Lei è stato aiuto regista di Abbas Kiarostami nella pellicolaIl vento ci porterà via e attore nel film Lavagnedi Samira Makhmalbaf. Come si è avvicinato al cinema?Ho vissuto a lungo a Baneh, in una piccola città di con-

Bahman Ghobadi, regista, sceneggiatore

e produttore cinematografico iraniano di etnia curda.

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Il centro di Erbil visto dalla Cittadella.

Perché i suoi film hanno spesso nomi di animali?Non vorrei che le mie pellicole si perdessero, tra le mi-

gliaia che vengono prodotte ogni anno! Ogni film è comeun figlio, rifletto a lungo sul suo nome. E quindi in ognimio film c’è un animale, che amo e assume un ruolo, di-ventando un simbolo.

Perché ha scelto il titolo Turtles can fly (Le tartarughepossono volare, 2004) per la pellicola ambientata in uncampo profughi curdo, sul confine tra Iraq e Turchia, pocoprima dell’invasione americana dell’Iraq nel marzo 2003?La tartaruga è un animale dal nome strano. Quando ero

bambino, durante la guerra, cercavo di separare la tarta-ruga dal suo guscio, con la speranza di farla andare piùveloce. La tartaruga era metafora di quella bambina chenon poteva vedere: pensavo avesse un guscio sugli occhiche le impediva di vedere e quando è caduta in acquaavevo avuto l’impressione che le sue mani fossero simi-li a quelle della tartaruga. Ma le tartarughe non possonovolare. Quando guardo al Kurdistan penso a una tartaru-ga che non raggiunge la meta. E questo non mi dà pace.

Come nasce Gatti persiani, il film ambientato a Teheran,dove i protagonisti sono dei giovani musicisti obbligatia suonare di nascosto, frustrati dalle leggidella Repubblica islamica e decisi a lasciare il Paese?Prima di girare questa pellicola avevo avuto una brut-

ta crisi depressiva. Non riuscivo a creare nulla che mi pia-cesse. Un giorno un amico mi disse che facevo esattamen-te quello che volevano le autorità: ero inchiodato a letto,e stavo male. Per tirarmi su di morale decisi di rimetter-mi a suonare. Ed è così che ho incontrato i ragazzi delfilm: non sono attori, ognuno di loro dice quello che pen-sa, e il gruppo musicale Nikai ha veramente suonato pertre mesi in una stalla. L’unico attore è Nader, il giovaneche recita la parte del produttore: l’ho conosciuto a Ma-shhad dove vendeva dvd al mercato nero. Con il giratoavrei potuto fare un documentario, ma non sono famosocome Michael Moore e non ho i finanziamenti di cui di-spone lui. Per questo ho deciso di creare una pellicola inparte documentario e in parte fiction, dove di fatto nonsono regista, ma un ponte tra questi ragazzi che, tramiteme, hanno potuto far sentire la loro voce nel mondo.

E quindi nella migliore tradizione del cinema iraniano,basti pensare ad alcune pellicole di Mohsen Makhmalbaf.

Qual è il messaggio di Gatti persiani (2009),Premio speciale della giuria del Certain Regard a Cannes?Il film spiega il divario che esiste tra le autorità e il popo-

lo iraniano. In Iran ci sono tanti giovani che hanno vogliadi libertà, ogni anno sono in 150mila a lasciare il Paese.

E il titolo, Gatti persiani, come le è venuto in mente?Nella Repubblica islamica cani e gatti sono haram, im-

puri e quindi fuorilegge. Per questo non possono usciredi casa. Eppure, paradossalmente, i gatti persiani sono ipiù belli e i più costosi al mondo! Gli artisti iraniani so-no un po’ come questi gatti: siamo i migliori, ma le auto-rità ci obbligano a stare rinchiusi in casa. I musicisti pro-tagonisti del mio film non hanno un soldo in tasca. Maquando è uscito il loro album in Francia hanno vendutomoltissime copie. Sono bravi, ma al potere c’è un mani-polo di ignoranti che si impone su un popolo colto. Pri-ma di questo film non avevo avuto il coraggio di affron-tare queste tematiche. Poi ho capito di avere paura e didover combattere questo mio sentimento negativo. Conquesti giovani appassionati di musica, che ho seguito conla telecamera per una ventina di giorni, ho imparato tan-to. In primis il coraggio. .

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frenici, come lo siamo noi iraniani: avremmo bisogno diun buon psicologo! La politica entra ovunque. Anche nelcinema e nell’arte. Non puoi allontanarti dalla politica,intrisa di corruzione.

Come spesso avviene nel cinema iraniano, moltidei protagonisti delle sue pellicole sono bambini: perché?Ogni bambino rispecchia un pezzo della mia infanzia.

La scena in cui il bambino si picchia da solo, per esem-pio, è un remake di come, per punirmi quando combina-vo un guaio, mio padre mi chiedeva di prendermi a sber-le da solo. Come la piccola Agrin, vittima di violenza ses-suale, ogni tanto anch’io mi facevo prendere dallo scon-forto. Ogni tanto cercavo di impormi sui miei coetanei,e ogni tanto ero il monello che combinava dei pasticci.Ma, nella realtà, non sono mai riuscito a diventare comeSatellite, il ragazzino in gamba di Turtles can fly, e gua-rire così i miei complessi. Come tanti iraniani, e cometanti curdi, a causa della guerra Iran-Iraq (1980-1988) so-no diventato adulto all’improvviso senza poter viverepienamente la mia infanzia.

gettare i miei film. Ho girato le prime scene con grandefatica, vendendo frigoriferi e risparmiando per pagare lespese di produzione. Per questo ho un sentimento dupli-ce verso il cinema, di amore e odio.

Lei è ormai un regista famoso,quali sono gli ostacoli che ancora deve affrontare?Non posso più tornare in Iran. E quindi la difficoltà

maggiore è dover girare in una lingua straniera, diversadal persiano, con attori che abitano fuori dal Paese, sen-za la possibilità di tornare in patria anche se, in fin deiconti, non ho fatto nulla di male.

Il cinema iraniano ha sempre dato voce alla protesta,fin dal tempo dello scià con il film Gav (La vacca, 1970)di Dariush Mehrjui, con La casa è nera di Forough Farrokhzad(1963) e i documentari di Kamran Shirdel sui quartieri poveridi Teheran. Anche nelle sue pellicolec’è un messaggio politico, di protesta. Per quale motivo?Odio la politica, ma la mia terra ne è intrisa e ormai i

militari hanno scalato le vette del potere. Di conseguen-za non posso fare cinema evitando di parlare di politica.Questo vale per i film che ho girato nel Kurdistan, e pu-re per Gatti persiani, dove dei giovani vanno a una festae rischiano di non uscirne vivi. I miei film sono schizo-

SOTTO Un momento precedente

alla proiezione del film Gatti Persiani.

A FRONTE Il presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani.

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