Azienda e Impresa · 2015-06-16 · scopi di una impresa. Esempio: l'impresa può consistere nella...

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Azienda e Impresa Roma, 02 febbraio 2015 Dott.ssa Arianna Perez (Commissione diritto dell’impresa)

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Azienda e Impresa

Roma, 02 febbraio 2015

Dott.ssa Arianna Perez

(Commissione diritto dell’impresa)

Azienda e impresa

I termini impresa e azienda sono spesso utilizzati come sinonimi nel

linguaggio comune. Tuttavia, in ambito giuridico hanno un diverso significato.

Tra l'azienda e l'impresa sussiste un rapporto strumentale. In altri termini,

l'azienda è la mezzo strumentale tramite il quale l'imprenditore realizza gli

scopi di una impresa.

Esempio: l'impresa può consistere nella produzione di un edificio. Nel caso

dell'impresa si specifica l'obiettivo, non chi dovrà realizzarlo, né come dovrà essere

realizzato. L'azienda è, invece, lo strumento attraverso il quale si organizzano i fattori

della produzione e il lavoro per la costruzione dell'edificio. L'azienda si presenta sotto

una forma giuridica ed è identificata ai fini della legge.

L'impresa è un'attività professionale

organizzata per produrre o scambiare

beni/servizi.

L'azienda è un complesso di beni

organizzati dall'imprenditore per

l'esercizio di un'attività d'impresa.

Il concetto economico di imprenditore

Il concetto di imprenditore è, prima che un concetto del diritto, un concetto

dell’economia: è stato elaborato, in epoca moderna, per identificare uno dei

soggetti del sistema economico, ossia della organizzazione sociale, della

produzione e della distribuzione della ricchezza.

L’imprenditore affianca molteplici altre figure: i capitalisti, i quali offrono il

proprio capitale per ricevere, come corrispettivo, quella remunerazione fissa

che si chiama “interesse”; i lavoratori, i quali offrono, anch’essi in cambio di

una remunerazione fissa (“salario”), le proprie energie di lavoro; i

consumatori, ossia coloro che domandano, per soddisfare i propri bisogni,

determinati beni o servizi.

L’imprenditore è l’ “attivatore” del sistema economico, altrimenti inerte:

svolge una funzione intermediatrice fra quanti offrono capitale o domandano

lavoro e quanti richiedono beni o servizi. Egli “trasforma” o “combina” i

fattori della produzione, ossia il capitale e il lavoro, in un prodotto idoneo a

soddisfare i bisogni dei consumatori e, perciò, si presenta come colui che

svolge una funzione creativa di ricchezza. (F. Galgano)

Il concetto economico di imprenditore

Altrettanto essenziale, per identificare la figura l’imprenditore, è il concetto di

rischio economico: l’imprenditore si obbliga a corrispondere un compenso

fisso ai capitalisti e ai lavoratori; su di lui incombe, per ciò, il rischio di non

coprire, con il ricavo dei beni o dei servizi prodotti, il costo dei fattori

produttivi impiegati.

Questo rischio trova la propria remunerazione nel profitto, che è la differenza

attiva tra ricavi e costi; ma giustifica, oltre che il profitto, anche il potere di

dirigere la produzione: l’imprenditore è il capo dell’impresa e ne decide la

politica economica.

Egli si presenta quale detentore del potere economico, ossia del potere di

decidere “che cosa” produrre , “come”, “dove” e “quanto” produrre: la sua

prerogativa è ciò che si definisce il “controllo” della ricchezza.

Il concetto giuridico di imprenditore

Il concetto di imprenditore è introdotto nel sistema del diritto privato dall’art.

2082, c.c.: “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività

economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di

servizi”.

In questa proposizione è racchiusa una delle più importanti differenze che la

figura dell’imprenditore presenta al confronto dell’antica figura del

commerciante. Questi era l’uomo d’affari: era colui che compiva, per

professione abituale, operazioni speculative; l’imprenditore del vigente codice

civile si presenta, all’opposto, come il produttore: è colui che,

professionalmente, produce beni o servizi o si interpone nello scambio dei

beni, ossia svolge un’attività creativa di ricchezza.

Anche queste ultime sono attività produttive in quanto creative di nuova

ricchezza: esse attengono alla distribuzione dei beni al mercato del consumo; e

sono considerate come creative di nuova ricchezza perché accrescono, con la

distribuzione ai consumatori, l’utilità di beni preesistenti.

Imprenditore e professionista intellettuale

Lo svolgimento professionale di un’attività definibile come produttiva di

ricchezza è condizione necessaria per l’assunzione della qualità di

imprenditore, ma non ne è condizione sufficiente: esistono attività che pure

consistono nella produzione di beni o di servizi e che, quantunque esercitate

professionalmente, non danno luogo ad un’impresa.

Tali sono, come si desume dall’art. 2238, c.c., comma 1°, le attività dei

professionisti intellettuali e degli artisti: ad esse si applicano le norme del titolo

II, ossia quelle regolatrici dell’impresa, solo “se l’esercizio della professione

costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa”; esse di

per se stesse non attribuiscono la qualità di imprenditore.

Non ogni complesso di beni unitariamente organizzati è, giuridicamente,

un’azienda: occorre, a norma dell’art. 2555, c.c., che si tratti di beni

organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Le norme

sull’azienda non si applicano perciò ai beni organizzati dal professionista

intellettuale per l’esercizio della sua professione.

ESEMPIO

L’attività professionale non è legislativamente qualificata come attività

d’impresa: IL CASO DEL FARMACISTA

L’art. 2238, comma 1, c.c., attribuisce al professionista intellettuale la qualità

di imprenditore e lo sottopone al relativo statuto se l’esercizio della

professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa.

L’esercizio di una farmacia attribuisce la qualità di imprenditore commerciale

all’esercente quando non si limiti all’esplicazione dell’attività sanitaria, ma

rivenda al pubblico le specialità farmaceutiche già preparate dalle case

produttrici o altre merci acquistate per la rivendita. È di conseguenza logico

che la farmacia sia legislativamente considerata un’azienda e che venga

tutelata, nel caso di trasferimento di quest’azienda, l’aspettativa dell’alienante

al “valore di avviamento”.

Il contratto tra farmacista e cliente è un comune contratto di vendita, che non

colloca il farmacista in una posizione diversa da quella di qualsiasi

commerciante. (si è in presenza di un’attività intermediaria nella circolazione dei beni rispetto alla quale la

professione intellettuale costituisce nel senso dell’art. 2238, c. 1, semplice “elemento”).

La professionalità dell’imprenditore

Il concetto di professionalità ha, in rapporto all’imprenditore, un significato

più limitato di quello che il medesimo concetto assume nel linguaggio

corrente: esso non designa uno stato personale o una condizione sociale, ma

solo la stabilità o non occasionalità dell’attività esercitata.

Non deve trattarsi di un’attività ininterrotta: anche l’attività stagionale dà

luogo ad un’impresa in senso tecnico. Ciò che conta è l’abitualità, il costante

ripetersi dell’attività economica, anche se ad intervelli imposti dalla sua

intrinseca natura ciclica o stagionale.

È indubbio che non occorre, perché possa dirsi che l’attività economica è

“professionalmente” esercitata, che si tratti dell’unica attività svolta dal

soggetto o della sua attività principale.

La nozione di impresa presenta, nel diritto vigente, la “caratteristica di essere

una nozione di diritto comune riferibile tanto al diritto civile come a quello

amministrativo”. Essa è nozione che non muta il proprio contenuto – né muta

la propria disciplina – a seconda che l’imprenditore sia un privato oppure un

ente pubblico.

Lo scopo di lucro

È convinzione diffusa che l’estremo della “professionalità” non si esaurisca

nella sistematicità, o non occasionalità, dell’attività economica esercitata: a

questa si suole richiedere un ulteriore carattere, indispensabile per la

qualificazione dell’attività economica come attività di impresa e per

l’assoggettamento di chi la esercita alla disciplina giuridica dell’imprenditore.

Questa ulteriore connotazione del concetto d’imprenditore, racchiusa nella

sintetica nozione legislativa di “professionalità”, viene tradizionalmente

indicata nello scopo di lucro: è imprenditore soltanto colui che interviene

nell’attività produttiva o si interpone nella circolazione dei beni allo scopo di

ricavarne un lucro o profitto personale. La nozione tecnico-giuridica di

imprenditore viene fatta coincidere, sotto questo aspetto, con la sua nozione

economica: gli economisti sono concordi nel ravvisare i caratteri dell’impresa

solo là dove l’attività produttiva è preordinata al conseguimento del profitto e,

anzi, alla cosiddetta “massimizzazione del profitto”.

L’IMPRESA MUTUALISTICA: i soci delle cooperative non mirano, con l’esercizio

dell’impresa, a realizzare un lucro, ma ad un risparmio di spesa.

L’IMPRESA PUBBLICA: tali enti non si propongono con la loro azione, intenti speculativi,

bensì finalità molteplici di interesse sociale.

L’attività economica

Il concetto di attività economica è l’elemento base della definizione legislativa

dell’imprenditore, quello al quale si rapportano gli ulteriori elementi della

professionalità, dell’organizzazione, del fine della produzione o dello scambio.

È opinione accolta che il concetto di attività economica, non aggiunga

alcunché alla nozione di imprenditore, già completamente identificata dagli

altri elementi forniti dall’art. 2082. Si ritiene che attività economica altro non

significhi se non attività produttiva, nel senso più lato dell’espressione, ossia

nel senso di attività creativa di ricchezza. La locuzione potrebbe apparire del

tutto inutile, dal momento che l’art. 2082, dopo aver definito l’attività

dell’imprenditore come “attività economica”, aggiunge che questa è

“organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”: esso

esprime in modo esteso quel medesimo concetto, dell’attività dell’imprenditore

come attività produttiva, che gli interpreti ritengono espresso, in forma

sintetica dalla locuzione “attività economica”. Di qui il giudizio

dell’espressione in esame come “enfatica e pleonastica”.

I criteri di economicità

In che cosa consista l’economicità dell’attività produttiva è reso palese dalla

disciplina degli enti pubblici economici. La qualificazione dell’ente pubblico

come imprenditore si effettua, secondo quella disciplina, in ragione delle

intrinseche modalità secondo le quali si svolge la sua azione: “lo svolgimento

professionale di attività economica importa” – è stato rilevato – “che chi la

compie ritragga, almeno tendenzialmente, dalla cessione dei beni e dei servizi

prodotti quanto occorre per compensare i fattori produttivi impiegati”. Non

l’astratta idoneità dell’attività economica esercitata a procurare un lucro – a

provocare entrate superiori ai costi di produzione – è stata giudicata

coessenziale al concetto di impresa; ma l’astratta idoneità di essa a coprire i

costi di produzione.

Produrre con criteri di economicità significa produrre in condizioni di pareggio

di bilancio: l’attività produttiva deve alimentarsi con i suoi stessi ricavi e non

comportare erogazione a fondo perduto della dotazione patrimoniale dell’ente

e dei contributi che l’ente riceve dallo stato. Il capitale investito nell’attività

produttiva deve riprodursi al termine del ciclo produttivo.

L’obiettiva economicità

Obiettiva economicità è quella connotazione del concetto di impresa che

nell’art. 2082 prende il nome di professionalità; è il criterio al quale dovrà farsi

ricorso per decidere quando un privato assuma la qualità di imprenditore

in senso tecnico-giuridico e sia assoggettabile a tutte le conseguenze che

l’ordinamento giuridico ricollega all’assunzione di tale qualità. Non è

necessario accertare che dall’attività produttiva il soggetto si proponga di

ricavare un profitto: basta che l’attività produttiva di beni o di servizi si

presenti come di per sé idonea a rimborsare, mediante il corrispettivo dei beni,

o dei servizi prodotti, i fattori della produzione impiegati.

Ciò che conta è che il prezzo dei beni non risulti determinato in misura da fare

apparire a priori esclusa la possibilità di coprire i costi; in misura da fondare il

convincimento che l’esercizio dell’attività produttiva implichi l’erogazione, a

fondo perduto, del patrimonio di chi la esercita e debba essere costantemente

alimentato da altre fonti di reddito.

L’impresa per conto proprio

La destinazione per il mercato è indispensabile perché l’attività produttiva

assuma il carattere delle attività di impresa. Se manca la vendita o la

prestazione a terzi dei beni o dei servizi prodotti, non è possibile riconoscere

nell’attività produttiva un’attività economica professionalmente esercitata, che

remunera con i ricavi il costo dei fattori produttivi impiegati.

Può accadere che i soggetti che intraprendono la produzione per conto proprio

diano vita ad un’autonoma organizzazione, separata dalla gestione del loro

restante patrimonio e che la produzione sia attuata da questa autonoma

organizzazione con modalità corrispondenti al modo di produzione tipico della

produzione per il mercato.

È il caso delle cooperative, le quali esercitano sempre, per valutazione

legislativa (art. 2511, c.c.) un’attività d’impresa, anche se producono per i soli

soci. Qui i soci sono produttori come gruppo organizzato e sono utenti

dell’impresa come singoli, corrispondendo un prezzo che consente alla società

di coprire i costi. C’è fra il gruppo e i singoli un rapporto di scambio che

consente all’attività produttiva di assumere l’oggettivo carattere della

economicità.

L’organizzazione

Altro requisito dell’attività d’impresa è quello dell’organizzazione. Tale

requisito traccia il confine tra le attività produttive che, essendo attività

organizzate, assumono il carattere dell’impresa e quelle attività che,

quantunque produttive di beni e servizi, non sono tuttavia imprese per la

mancanza appunto di un’organizzazione.

Si utilizza in sede giuridica la nozione economica di imprenditore, come colui

che si interpone fra quanti hanno lavoro o capitale da offrire e quanti

domandano determinati beni e servizi. In questa intermediazione viene

individuato, anche in sede giuridica, il carattere saliente della figura

dell’imprenditore, il quale non è tale per il solo fatto di svolgere, sia pur

professionalmente, un’attività produttiva di beni e servizi: imprenditore è, più

specificatamente, colui che specula sulla differenza fra il costo del lavoro

(salari) e del capitale (interessi) e i ricavi dei beni o dei servizi prodotti.

Di qui quel lavoro di organizzazione e di creazione per determinare

conformemente ad adeguate previsioni le modalità di attuazione della

produzione e della distribuzione dei beni, che costituisce l’apporto tipico

dell’imprenditore e che riceve quella speciale remunerazione detta profitto.

L’organizzazione

Le organizzazioni presentano ampie variazioni ed elevati livelli di complessità:

STRUTTURA SOCIALE

TECNOLOGIA SCOPI

PARTECIPANTI

L’organizzazione razionale

Il comportamento delle organizzazioni è un insieme di azioni attuate da agenti

che si muovo in modo coordinato verso uno scopo. Il linguaggio utilizzato

include termini come informazione, efficienza, ottimizzazione, attuazione e

progetto. Ma anche un altro insieme di termini, in qualche modo diverso,

ricorre all’interno di questa prospettiva; esso indica i limiti cognitivi del

processo individuale di decisione e gli effetti del contesto organizzativo in cui

sono prese le decisioni razionali. Questi termini vincoli, autorità, regole,

direttive, giurisdizione, programmi di esecuzione, coordinamento implicano

che la razionalità del comportamento all’interno delle organizzazioni si realizzi

entro limiti chiaramente specificati.

Non è un caso che gli aspetti fondamentali dell’organizzazione sottolineati dai

teorici del sistema razionale siano proprio le caratteristiche che distinguono le

organizzazioni da altri tipi di collettività. I teorici del sistema razionale

sottolineano la specificità del fine e la formalizzazione perché ognuno di

questi elementi dà un importante contributo alla razionalità dell’azione

organizzativa.

L’organizzazione razionale Ogni tipo particolare di organizzazione presenta una combinazione particolare

di esigenze e di risorse economiche, tecniche e sociali:

la base tecnologica su cui poggia l’organizzazione deve essere disponibile;

la manodopera deve essere addestrata e mobile;

il capitale deve essere messo a disposizione da individui che intendono

rischiarlo;

una forma organizzativa appropriata deve essere studiata.

Le norme culturali presenti nella società devono sostenere l’impresa: gli

obiettivi ed i mezzi impiegati per raggiungerli devono essere considerati

legittimi. Non è possibile soddisfare ogni possibile combinazione di queste

esigenze (art. 41 e 42, Cost.). Le condizioni appropriate si determinano in certi

periodi creando nuove possibilità per le organizzazioni che non potrebbero

esistere in circostanze diverse.

Di tutte le risorse necessarie ad un’organizzazione, la più importante consiste

nei contributi dei suoi componenti umani. Non solo questi contributi sono essi

stessi di infinita varietà; essi sono anche i mezzi con cui tutti gli altri contributi

vengono acquisiti.

Il requisito dell’organizzazione

Persiste il convincimento che un’organizzazione debba essere presente

nell’attività dell’imprenditore: se non un’organizzazione di elementi personali,

ossia un’organizzazione di lavoro, quanto meno un’organizzazione di elementi

reali, ossia un’azienda, nel senso dell’art. 2555, c.c., quale complesso dei beni

organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Con la conseguenza

che viene negata la qualità di imprenditore a chi, pur svolgendo

professionalmente un’attività produttiva, sia tuttavia sprovvisto di una tale

organizzazione.

La presenza di un’azienda può dirsi essenziale alla figura dell’imprenditore.

Tra azienda e impresa c’è, dunque, un rapporto da mezzo a fine.

L’azienda: art. 2555, c.c.

Il C.C. definisce l’azienda come “un complesso di beni organizzati

dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. La nozione giuridica si basa su

due teorie, elaborate dalla dottrina e riguardanti il concetto di bene:

• la teoria unitaria: afferma che l’azienda si differenzia dalla somma dei beni

che la compongono, equiparandola all’universalità dei beni mobili. L’’azienda

costituirebbe un bene unitario, distinto dai singoli beni che la compongono e

su cui l’’imprenditore, il titolare dell’azienda, vanterebbe un diritto,

normalmente qualificato come proprietà, distinto dai diritti che lo stesso vanta

sui singoli beni dell’’azienda.

• la teoria atomistica: afferma che l’azienda esiste grazie ai singoli beni che la

compongono. L�’azienda non sarebbe riducibile ad unità, ma sarebbe

descrivibile e definibile esclusivamente come complesso di beni, il titolare

dell’’azienda dunque non vanterebbe nient’’altro se non i singoli diritti sui

singoli beni dell’’azienda.

L’azienda: art. 2555, c.c.

L’art. 2555 c.c. evidenzia come elemento che qualifica l’azienda la

destinazione dei beni all’esercizio dell’impresa; la nozione di bene include non

solo i beni mobili, immobili e immateriali, ma anche più in generale i contratti

che l’imprenditore ha stipulato per l’esercizio dell’impresa e le situazioni

giuridiche che ne derivano (crediti /debiti).

Inoltre secondo il nostro codice civile è bene ricordare che l’azienda non si

configura se non esiste l’impresa.

Non è incluso l’avviamento, ossia il valore aggiunto dell’azienda rispetto ai

singoli beni aziendali che consiste nella capacità di attrarre clientela e generare

reddito, in base all’organizzazione di fattori produttivi (c.d. avviamento

oggettivo) e all’efficienza dell’imprenditore nella gestione dell’impresa (c.d.

avviamento soggettivo).

L’azienda

Il concetto di azienda attiene a ciò che l’economia definisce come gli

strumenti, o i fattori, della produzione.

L’imprenditore non è necessariamente proprietario degli strumenti di

produzione: l’imprenditore è colui che utilizza, a proprio rischio, gli strumenti

di produzione, propri o altrui, del processo produttivo.

Questa dissociazione tra titolarità dell’impresa e proprietà degli strumenti di

produzione si riflette nella nozione giuridica di azienda: secondo l’art. 2555,

c.c., l’azienda è formata non dai beni dell’imprenditore, ma dai beni

organizzati dall’imprenditore.

Non è richiesto che i beni appartengano all’imprenditore, è sufficiente che

egli disponga, su ogni singolo bene, di un titolo giuridico che gli permetta

di utilizzarlo, in combinazione con gli altri beni aziendali, per l’esercizio

dell’impresa.

I segni distintivi

La ditta, l’insegna e il marchio formano la categoria dei cosiddetti segni

distintivi:

- la ditta contraddistingue l’imprenditore;

- l’insegna contraddistingue l’azienda;

- il marchio contraddistingue i prodotti che l’imprenditore pone in commercio.

I segni distintivi assumo la propria funzione nel rapporto fra l’imprenditore e i

consumatori, garantiscono a ciascun imprenditore la possibilità di godere del

proprio successo imprenditoriale.