atti secondo convegno nazionale assocompositi

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ATTI DEL SECONDO CONVEGNO NAZIONALE Torino, 29-31 maggio 2012 ISBN: 978-88-907987-0-2

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ATTI DEL SECONDOCONVEGNO NAZIONALE

Torino, 29-31 maggio 2012

ISBN

: 978

-88-

9079

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LABORATORIOPROVE - DIS

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ATTI DEL 2° CONVEGNO NAZIONALE ASSOCOMPOSITI

Science, technology and business opportunities

TORINO 29-31 Maggio 2012

ISBN: 978-88-907987-0-2

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INDICE

Stabilità di profili pultrusi L. Ascione - Università di Salerno

Linee guida del Consiglio Superiore LLPP per la qualificazione degli FRP

C. Poggi - Politecnico di Milano

Analisi dell’aderenza di elementi in muratura rinforzati mediante FRP G. Carozzi, P. Colombi, G. Fava, C . Poggi - Politecnico di Milano

1

Consolidamento strutturale di strutture danneggiate dal sisma

G. Morandini – Mapei

Utilizzo di connettori per l’incremento della forza di distacco del rinforzo in

FRP di strutture in muratura o calcestruzzo

F.G. Carozzi, P. Colombi, C. Poggi - Politecnico di Milano, A. Montalbano - Sika Italia

12

Giunti in FRP per travi in legno articolate applicabili in situ G. Fagotti, G. Cenci - Cenci Legno

Confinamento di elementi in calcestruzzo con PBO-FRCM F. Focacci, G. Mantegazza – Ruredil

Caratterizzazione sperimentale di elementi in CA rinforzati con compositi a

matrice cementizia

G. Giacomin - G&P Intech, T. Dantino, C. Pellegrino - Università di Padova

Sistemi di giunzioni in pultruso per elementi lignei P. Felici – Zephyrus

23

Impact damage simulation on composite structure for solid rocket motor

D. Bartoccini, P. Perugini – Avio, F. Mastroddi – UniRoma, M. Linari, A. Mete - MSC-

SW

Simulazioni numeriche mediante software RTM-Worx del processo RTM di un componente aeronautico

G. Massaccesi - MathFem, S. Pappadà - CETMA, A.Caruso – AgustaWestland

32

Perspective strategies for composites production

A. Schnabel, C. Greb, Y.S. Gloy, T. Gries - Università di Aachen

38

Azoto nella pressurizzazione di autoclavi

A. Recanati – Siad

49

Sviluppi nella tecnologia di dosaggio per prodotti vernicianti bicomponenti e resine epossidiche nel ciclo di finitura di un composito

A. Soba – Verind

55

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Comportamento ad instabiltà di pannelli sandwich costruiti mediante differente metodo produttivo: hand layup ed infusione, e relativa

modellazione numerica C. M. Rizzo, M. Gaiotti - Università di Genova

63

Sviluppo della documentazione tecnica nei processi industriali C. Riggio, R. Iori – Technod

Adesione fibra-matrice in compositi polipropilene/vetro nanomodificati D. Pedrazzoli, A. Pegoretti - Università di Trento

74

Pannello sandwich biodegradabile con anima di Opuntia Ficus Indica

R. Gennaro, A. Greco, A. Maffezzoli - Università del Salento

Monitoraggio del comportamento a creep di compositi strutturali epossidica/vetro mediante misure di conducibilità elettrica

D. Pedrazzoli, A. Dorigato, A. Pegoretti - Università del Trento

Ecosandwich rinforzato con fibre naturali G. Cicala, G. Cristaldi, D. La Rosa, A. Recca, A. Latteri - Università di Catania

Skintech – composito termoplastico di nuova generazione

G. Creonti – Structura

Kordo™: applicazione innovativa nei compositi avanzati L. Rossi - Delta-Tech

Proprietà tribologiche di nanocompositi in poliammide L. Andena, N. Castro Fajardo, A. Pavan - Politecnico di Milano, F. Manarini, L.

Mercante - LATI Industria Termoplastici

85

Applicazione industriale di biocompositi innovativi: battello pneumatico Zar 57

G. Gramellini- Sika), M. Achler – Face

Materiali compositi nelle applicazioni racing

A. Re Fraschini - Re F raschini, M. Contino, R. Frassine - Politecnico di Milano

Analisi LCA di compositi ibridi vetro-canapa per raccordi di tubazioni

G. Cicala , G. Cozzo, D. La Rosa, A. Latteri, A. Recca - Università di Catania

93

Leading edge solutions for complex materials F. Russo - Altair Engineering

103

Materiali compositi per il settore eolico

A. Cattano – Libellula

Progetti di ricerca e sviluppo nel settore dei materiali compositi Rosanna Serra – Centro Ricerche FIAT (disponibile per il download)

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MEMORIE

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1

ANALISI DELL’ADERENZA DI ELEMENTI IN MURATURA RINFORZATI MEDIANTE FRP

G. Carozzi1, P. Colombi1, G. Fava1*, C. Poggi1

1Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Politecnico di Milano, Piazza Leonardo da Vinci, 32, 20133

Milano

*[email protected]

Keywords: sistemi muratura-FRP, prove di strappo, prove in situ, analisi termografica.

Abstract Il presente lavoro ha la finalità di definire prove standardizzate da effettuare per il controllo di accettazione di sistemi di rinforzo in FRP per elementi in muratura. Sono state inizialmente svolte prove di strappo tangenziale su elementi in muratura rinforzati mediante rete in GFRP e malta cementizia o a base calce. La rottura è avvenuta per strappo della rete o scorrimento della rete nel letto di malta. Sono state inoltre eseguite molte prove su elementi rinforzati con resina epossidica e tessuto in carbonio con differenti lunghezze e larghezze di rinforzo. La rottura è avvenuta per distacco e i valori della forza ultima sono stati confrontati con il documento CNR-DT 200/2004. Tra le prove sperimentali da effettuare per la caratterizzazione in situ dei rinforzi sono state eseguite prove semidistruttive di tipo pull-off e svolte indagini termografiche per l’individuazione dei difetti di adesione. 1 Introduzione In seguito ai sismi che hanno colpito Umbria e Marche nel ’97-’98 e l’Aquila nel 2009, si è sempre più affermato l’uso di materiali FRP per il rinforzo di edifici in muratura, specie se di valore storico- artistico. L’applicazione dei materiali compositi consente, per particolari condizioni di carico (ad esempio la forza orizzontale provocata da un sisma), di attivare meccanismi di resistenza altrimenti non presenti nella muratura non rinforzata [1, 2]. L’aderenza tra matrice e substrato o tra adesivo, ove previsto, e substrato rappresenta l’anello debole del sistema come ben evidenziato dalle prove sperimentali e dall’esperienza in situ. Il presente lavoro ha quindi come principale scopo quello di analizzare il fenomeno dell’aderenza in strutture in muratura rinforzate mediante FRP. Sono state inizialmente svolte prove di strappo tangenziale su elementi in muratura (su singolo mattone e su muretti e triplette di mattoni) rinforzati mediante rete in GFRP e malta cementizia o malta a base calce [3]. Per le prove con malta cementizia, la rottura è stata provocata dallo scorrimento della rete nel letto di malta o per la rottura della rete stessa. Nelle prove con malta a base calce si è avuto un completo distacco del letto di malta o la disgregazione del primo strato di malta con espulsione della rete. Sono state eseguite anche prove su elementi rinforzati con resina epossidica e tessuto in carbonio con differenti lunghezze e larghezze di ancoraggio. La rottura è stata per distacco e i valori delle forze di distacco sono stati confrontati con il documento CNR-DT 200/2004 [4]. Tra le prove sperimentali da effettuare in situ per la caratterizzazione del rinforzo sono state svolte prove semidistruttive di tipo pull-off e sono state svolte indagini termografiche per l’individuazione dei difetti di adesione. In quest’ultimo caso, prima del rinforzo sono stati incollati difetti artificiali in teflon aventi forma geometrica e area conosciuta. Dopo la posa di

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ogni strato di rinforzo è stata eseguita una prova termografica per misurare l’area dei difetti artificiali e la presenza di eventuali vuoti d’aria [5, 6]. Il lavoro descritto ha la finalità di definire prove standardizzate da eseguire in modo obbligatorio per il controllo di accettazione del sistema come succede per gli altri materiali tradizionalmente usati nel campo strutturale.

2 Controllo di accettazione del sistema di rinforzo

L’efficacia del sistema di rinforzo dipende da chiaramente dalle prestazioni di ogni singolo componente. Il materiale composito fibrorinforzato in primo luogo deve avere le caratteristiche prescritte dal progettista. Nel caso di tessuti impregnati in situ o di reti in FRP, il rinforzo dell’elemento in muratura è eseguito impregnando le fibre in cantiere ed è difficile quindi ottenere un livello qualitativo simile a quello dei rinforzi pre-impregnati o preformati. Inoltre problemi come il disallineamento delle fibre, la presenza di vuoti o la non completa polimerizzazione della resina spesso determinano una riduzione delle caratteristiche meccaniche.

Un altro problema è rappresentato dall’adesione. È necessario realizzare correttamente, in fase di applicazione, l’adesione tra il rinforzo e il substrato. Siccome l’interfaccia adesiva tra i due materiali riveste un’importanza vitale per l’intero sistema di rinforzo, la scelta della resina che funge da adesivo tra il rinforzo e substrato è fondamentale.

Secondo quanto suggerito nelle linee guida del CNR-DT 200/2004 [4], tutti i materiali e i prodotti per uso strutturale devono essere identificati univocamente a cura del produttore, qualificati sotto la sua responsabilità e accettati dal Direttore dei Lavori. Inoltre produttori o fornitori che sono in grado di proporre sistemi completi di rinforzo (insieme di fibre, resine, preformati o pre-impregnati, adesivi ed altri componenti), devono fornire, oltre alle caratteristiche meccaniche e fisiche dei singoli componenti [7], anche le caratteristiche meccaniche del sistema completo ed il tipo di substrato a cui si riferisce.

2.1 Prove in cantiere

Durante l’applicazione del rinforzo è possibile che siano presenti vuoti d’aria o imperfezioni che riducono la resistenza del giunto. È dunque opportuno prevedere un controllo finalizzato all’individuazione di tali eventuali difetti. Tra le prove sperimentali da effettuare in situ possono essere proposte: • prove non distruttive, quali quelle termografiche, particolarmente utili per l’individuazione di

eventuali imperfezioni dell’applicazione (Figura 1, 2), • prove semi-distruttive di pull-off (Figura 3) che forniscono interessanti informazioni

sull’aderenza oltre che sulla resistenza superficiale a trazione del substrato cementizio. La termografia permette di valutare gli effetti dovuti alle imperfezioni sulle caratteristiche termiche e di individuare la presenza di vuoti che causano alterazioni nella distribuzione di temperatura della superficie riscaldata con una sorgente. Questa tecnologia consiste nel riscaldare parti della struttura per valutarne la variazione di temperatura sulla superficie in funzione del tempo. Le imperfezioni che possono essere individuate e in parte quantificate sono vuoti o distacchi caratterizzati da una differente densità, capacità termica o conducibilità termica rispetto al materiale compatto. Per la calibrazione dei parametri dell’analisi termografica sono state eseguite prove su muretti in cui i difetti di incollaggio dell’FRP alla muratura sono stati simulati dall’interposizione di difetti artificiali in teflon con forme e dimensioni differenti (Figura 1). Dopo aver incollato i difetti si è proceduto con l’applicazione di tre strati di tessuto in CFRP e dopo la posa di ogni strato è stato

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eseguito un test termografico atto a misurare dai termogrammi l’area dei difetti artificiali e la presenza di vuoti d’aria.

Figura 1. Preparazione del campione per prove termografiche: (a) campione originale, (b) incollaggio dei difetti in teflon, (c) incollaggio dell’adesivo (d) applicazione del tessuto FRP, (e)

campione per prova termografica.

Figura 2. Confronto tra i risultati ottenuti sul campione in funzione del numero di strati di rinforzo.

Le prove eseguite hanno consentito una prima calibrazione del sistema per l’esecuzione di analisi termografiche. Si osserva inoltre che con uno e due strati di rinforzo si ha una stima ragionevole della presenza di difetti artificiali mentre con tre o più strati il difetto è più lontano dalla superficie e risulta meno evidente in quanto non vi è una marcata differenza di temperatura tra l’area del difetto e le zone circostanti (Figura 2). Le prove semi-distruttive di pull-off, o strappo normale, si basano sulla determinazione della forza necessaria per estrarre un disco metallico di spessore 20 mm e diametro di 50 mm incollato mediante resine epossidiche sul rinforzo applicato sulla muratura. La prova ha esito positivo se la superficie di rottura è interna al supporto e in tal caso la resistenza a trazione dell’incollaggio è almeno pari a quella del supporto. Il procedimento di prova consta (a) nell’esecuzione dell’intaglio della superficie mediante carotatrice per separare la zona da sottoporre a prova dal materiale circostante, (b) nell’incollaggio del disco metallico sulla superficie delimitata dall’intaglio e (c) nell’estrazione

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di tale dischetto mediante una trazione in direzione normale alla superficie esercitata con un opportuno martinetto. In Figura 3, è mostrato un esempio relativo all’esecuzione di una prova di pull-off su un mattone non sabbiato, su cui è stata applicata la rete in GFRP mediante malta cementizia. Per una lunghezza e larghezza di incollaggio pari rispettivamente a 15 cm e 5 cm, si ricava un carico medio di rottura pari a 2.76 kN e un valore di resistenza di aderenza di 1.41 MPa.

Figura 3. Esecuzione di prova di pull-off su un mattone rinforzato con rete in GFRP e malta cementizia.

2.2 Prove di laboratorio Particolare attenzione è dedicata alla valutazione della resistenza allo strappo del sistema costituito dall’elemento in muratura rinforzato mediante materiali FRP. Il collasso per distacco indica il fenomeno di cedimento dell’interfaccia FRP–substrato, con asportazione di uno strato superficiale del substrato stesso. Si distinguono due tipologie principali di distacco: • Distacco di estremità del rinforzo (plate end debonding). • Distacco dai giunti di malta o da fessure trasversali nella muratura (intermediate crack

debonding). In questo studio ci si è concentrati sulla prima tipologia di distacco, provvedendo all’esecuzione di prove sperimentali scelte per la valutazione delle proprietà di aderenza tra substrato e rinforzo. Il campione è costituito da un mattone su cui è applicato il rinforzo in rete FRP mediante malta. Tale sistema è posto in trazione al fine di valutarne la resistenza massima. Le prove sperimentali sono del tipo “double push-pull tests” [8, 9]. Le prove sperimentali sono state condotte su diverse tipologie di sistemi di rinforzo al fine di confrontare le modalità di rottura e proporre una valutazione del sistema di rinforzo più idoneo. Le malte utilizzate sono a base di calce e cementizia. Come rinforzo sono stati impiegati una rete in fibra di vetro e il tessuto in fibra di carbonio, quest’ultimo applicato mediante resina epossidica. Definita la lunghezza e la larghezza di ancoraggio, il tessuto o la rete sono stati tagliati della dimensione opportuna. La zona di incollaggio è stata arretrata di alcuni centimetri rispetto all’estremità del campione per evitare gli effetti di bordo. Per garantire uniformità nella distanza dai bordi, così come nella larghezza dello strato di malta, sono state preparate cornici in gomma per delimitare la regione di stesura della malta, cementizia o di calce. Non è stato invece necessario adottare tale accorgimento nel caso delle resine epossidiche (Figura 4). La procedura di confezionamento del campione inizia con la stesura di uno strato di malta o resina per il riempimento dei difetti del laterizio e tale da accogliere il rinforzo in FRP. Quest’ultimo viene quindi incollato in maniera tale da garantire la lunghezza di ancoraggio voluta. Viene infine steso un altro strato di malta o resina lasciando il rinforzo a metà fra i due

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strati, per raggiungere la massima coesione e garantire la migliore prestazione del sistema (configurazione a sandwich).

Figura 4. Preparazione dei campioni per prove di strappo tangenziale e dettaglio di due strati di malta in configurazione a sandwich sulla rete.

Prima di poter eseguire le prove di strappo per i campioni rinforzati con malte è stato necessario attendere 28 giorni. L’apparato sperimentale per l’esecuzione di queste prove consiste in una gabbia costituita da profili e barre in acciaio uniti con bullonature (Figura 5). La geometria assunta dal rinforzo FRP è di tipo “a bretella”, con due incollaggi ai due lati del mattone.

I risultati in termini di modalità di collasso sono riportati di seguito ed illustrati in Figura 6: • Per quanto riguarda le prove con rete in GFRP e malta cementizia, non si è verificato

distacco, ma la rottura è stata provocata dallo scorrimento della rete nel letto di malta (per una lunghezza di ancoraggio di 5 cm) o per la rottura della rete stessa (per lunghezze di ancoraggio di 10 e 15 cm).

• Nelle prove con rete in GFRP e malta a base calce, a carichi relativamente bassi, si è avuto un completo distacco del letto di malta o la disgregazione del primo strato di malta con espulsione della rete.

• Le prove con resina epossidica e un tessuto in carbonio sono state eseguite con differenti lunghezze (5, 10 e 15 cm) e larghezze (3, 4, 5, 6 e 8 cm) di ancoraggio. In tutti i casi si è avuta una rottura per distacco, con asportazione di una parte superficiale di substrato.

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Figura 5. Esecuzione di prova di strappo tangenziale su campione costituito da un mattone rinforzato con pultruso FRP: (a) elementi della gabbia, (b) fissaggio della gabbia all’attuatore,

(c) cilindro di deviazione degli sforzi con teflon atto a evitare la concentrazione di sforzi.

(a) (b)

(c) (d) (e)

Figura 6. Modalità di collasso osservate per: (a) e (b) campioni rinforzati con rete GFRP e malta cementizia; (c) e (d) campioni rinforzati con rete GFRP e malta a base di calce , (e) campioni

rinforzati con tessuti GFRP e resina epossidica.

In Tabella 1 e 2 sono riportati i risultati delle prove di strappo su mattoni rinforzati con rete GFRP e malta cementizia o malta a base di calce. I campioni Ce 5, Ce 10 e Ce 15 sono rinforzati con rete GFRP e malta cementizia e hanno rispettivamente lunghezza di incollaggio di 5 ,10 e 15

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cm. I campioni Ca 10 e Ce 15 sono rinforzati con rete GFRP e malta a base di calce e hanno rispettivamente lunghezza di incollaggio di 5 ,10 e 15 cm.

Test n° F max [kN] Test n° F max [kN] Test n° F max [kN] Ce 5-1 0,902 Ce 10-1 2,371 Ce 15-1 3,790

Ce 5-2 0,933 Ce 10-2 2,631 Ce 15-2 4,475

Ce 5-3 1,087 Ce 10-3 2,751 Ce 15-3 3,784

Ce 5-4 1,345 Ce 10-4 2,573 Ce 15-4 3,176

Ce 5-5 1,026 Ce 10-5 2,813 Ce 15-5 4,501

Media 1,059 Media 2,628 Ce 15-6 3,948

Ce 15-7 4,788

Media 4,066

Tabella 1. Risultati delle prove di strappo su mattoni rinforzati con rete GFRP e malta cementizia

Test n° F max [kN] Test n° F max [kN] Ca 10-1 1,92 Ca 15-1 1,39

Ca 10-2 0,36 Ca 15-2 2,66

Ca 10-3 2,25 Ca 15-3 1,16

Ca 10-4 1,04 Ca 15-4 0,51

Media 1,39 Media 1,43

Tabella 2. Risultati delle prove di strappo su mattoni rinforzati con rete GFRP e malta a base di calce

Per i campioni rinforzati con tessuto CFRP, è stato svolto uno studio di confronto con il documento CNR DT 200 [4] per quanto riguarda la lunghezza di ancoraggio ottimale e gli effetti sul carico massimo determinati dal rapporto tra la larghezza del rinforzo e quella del substrato. La lunghezza ottimale di ancoraggio, le, può essere stimata utilizzando la seguente espressione:

2f f

emtm

E tl

f

⋅=

⋅ (1)

dove Ef e tf rappresentano rispettivamente il modulo di elasticità del composito fibrorinforzato ed il suo spessore, mentre fmtm è la resistenza media a trazione della muratura. Dalla (1) si ricava un valore di lunghezza ottimale pari a circa 78 mm. In Figura 7 è rappresentata la relazione tra le forze massime ottenute e le lunghezze di ancoraggio per i campioni rinforzati con tessuto in

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fibra di carbonio e resina epossidica. Si noti il buon accordo tra i valori sperimentali e la lunghezza ottimale ottenuta in (1).

Seguendo il procedimento proposto da Yuan et al. (2004) per determinare la forza massima Pu trasmissibile per prove di tipo push-pull su elementi rinforzati con materiali compositi si ricava

2u f f f fP b G E t= (2)

in cui bf rappresenta la larghezza del rinforzo e Gf è l’energia specifica di frattura pari a:

,max ,max

1

2f b f fG k δ τ= ⋅ ⋅ ⋅ (3)

In cui kb :è un coefficiente geometrico da calcolarsi attraverso la (4), δf,max è lo scorrimento ultimo teorico che può essere assunto pari a 0.15 mm in mancanza di informazioni più accurate e τf,max è la resistenza a taglio della muratura. Il termine kb nella (3) può essere calcolato come:

2 1 1 lunghezze in mmf fb

m m

b bk

b b

= − + ≥

(4)

dove bf è la larghezza del rinforzo mentre bm è la larghezza del substrato di 107 mm.

Per quanto riguarda infine la resistenza a taglio τf,max si può assumere:

,maxcm ctm

fcm ctm

f f

f fτ =

+ (5)

in cui fcm è il valor medio della resistenza a compressione e fctm è il valor medio della resistenza a trazione della muratura.

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9

0

5

10

15

20

25

30

35

0 50 100 150 200

Fo

rza

mas

sim

a [k

N]

Lunghezza di ancoraggio [mm]

Prove svolte

Fitting bilineare

Eqn (1)

Figura 7. Relazione tra le forze massime ottenute e le lunghezze di ancoraggio per i campioni rinforzati con tessuto in fibra di carbonio e resina epossidica.

In Figura 8 è rappresentata la relazione tra le forze di collasso e la larghezza del rinforzo per i campioni rinforzati con tessuto in fibra di carbonio e resina epossidica. Si osservi il buon accordo tra i risultati sperimentali e la formulazione analitica.

Si è constatato che all’aumentare della larghezza di ancoraggio aumenta la forza massima trasmissibile ma che, allo stesso tempo, all’aumentare della larghezza l’incremento della forza è progressivamente inferiore. Per quanto riguarda la lunghezza di ancoraggio si osserva che il carico di rottura non cresce illimitatamente con l’aumentare della lunghezza di ancoraggio ma che superato il valore corrispondenza alla lunghezza d’ancoraggio ottimale non si hanno ulteriori incrementi di carico. La lunghezza di ancoraggio ottimale è stata anche calcolata mediante le formule progettuali proposte nel DT200, il valore dedotto analiticamente è risultato leggermente inferiore rispetto a quello dedotto sperimentalmente.

0

5

10

15

20

25

30

0 20 40 60 80 100

Fo

rza

mas

sim

a [k

N]

Larghezza [mm]

Prove svolte

Dati teoriciModello analitico

Figura 8. Relazione tra le forze massime ottenute e la larghezza del rinforzo per i campioni rinforzati con tessuto in fibra di carbonio e resina epossidica.

I sistemi completi sono stati caratterizzati in laboratorio anche mediante prove sperimentali di strappo tangenziale su triplette di mattoni o muretti. Il tipo di rottura osservato consiste nella fessurazione della malta e nella rottura della rete in GFRP (Figura 9).

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(a) (b)

Figura 9. Modalità di collasso osservate per: (a) muretti rinforzati con rete GFRP e (b) triplette di mattoni rinforzati con rete GFRP.

3 Conclusioni L’utilizzo di materiali compositi fibrorinforzati per l’adeguamento statico di strutture civili in muratura rappresenta una interessante soluzione per far fronte a problemi di degrado, a errori di progettazione o ad interventi di riqualificazione. Il riferimento normativo attualmente disponibile è rappresentato dalle linee guida presentate dal Documento CNR-DT 200/2004 “Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione ed il controllo di interventi di consolidamento statico mediante l’utilizzo di compositi fitrorinforzati”. La presente ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Strutturale del Politecnico di Milano allo scopo di fornire criteri per il controllo dell’applicazione del rinforzo. Dal punto di vista sperimentale è stato esaminato il problema dell’adesione tra il rinforzo in FRP e il substrato in muratura. Si è dunque analizzato l’approccio progettuale proposto dalla normativa per comprendere l’influenza di parametri geometrici del rinforzo e del substrato. Alla luce dei risultati ottenuti si può osservare che all’aumentare della lunghezza del rinforzo aumenta la forza massima trasmissibile, mentre all’aumentare della larghezza del rinforzo l’incremento della forza massima corrispondente è progressivamente inferiore ovvero, a pari incrementi di larghezza corrispondono incrementi di forza via via inferiori. Il confronto tra i valori sperimentali e le formulazioni analitiche fornisce ottimi risultati. I sistemi completi possono essere caratterizzati in laboratorio mediante prove sperimentali di strappo tangenziale sia sul singolo mattone che su triplette di mattoni o muretti. Tra le prove sperimentali da effettuare in situ sono descritte prove non distruttive, quali quelle termografiche, per individuare eventuali imperfezioni nell’applicazione, che è possibile talvolta riscontrare in prossimità dei giunti di malta. Prove semidistruttive, come le prove di pull-off, forniscono inoltre informazioni sull’aderenza oltre che sulla resistenza superficiale a trazione del substrato cementizio. È di notevole interesse portare avanti la ricerca nel settore per definire prove standardizzate da eseguire per il controllo di accettazione del sistema come succede per gli altri materiali tradizionalmente usati nel campo strutturale.

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4 Ringraziamenti Si ringrazia Sika Italia s.p.a. per la fornitura del materiale composito usato nella presente sperimentazione e per l’esecuzione dei rinforzi. Bibliografia [1] Pisani M.A. Consolidamento delle strutture. Guida ai criteri, ai materiali e alle tecniche più

utilizzati. Hoepli Editore, Milano (2008). [2] Focacci F. Rinforzo delle murature con materiali compositi. Progettazione – calcolo –

esempi applicativi. Dario Flaccovio Editore, Palermo (2008). [3] Capozucca R. Experimental FRP/SRP-historic masonry delamination. Composite Structures,

vol. 92, pp. 891–903 (2010). [4] CNR-DT 200/2004. Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di

Interventi di Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di Compositi Fibrorinforzati. Materiali, strutture di c.a. e di c.a.p., strutture murarie (2004).

[5] Cantini L., Cucchi M., Fava G., Poggi C. Damage and Defect Detection Through Infrared Thermography of Fiber Composites Applications for Strengthening of Structural Elements, in “RILEM Bookseries, Nondestructive Testing of Materials and Structures” vol.6 Springer (2012)

[6] Cantini L., Cucchi M., Fava G., Poggi C. Fourier analysis applied to Infrared Thermography of Fiber Composites used for the Strengthening of Structural Elements in Proceedings of 11th Quantitative InfraRed Thermography (QIRT), Naples, June 11–14, Italy (2012)

[7] Poggi C., Fava G. Istruzioni per la caratterizzazione ed il controllo di accettazione di materiali fibrorinforzati per il rinforzo strutturale – COKIT. Assocompositi (2008).

[8] Chen J.F., Teng J.G. Anchorage strength models for FRP and steel plates bonded to concrete. Journal of Structural Engineering, Vol. 127, No. 7, pp. 784-791 (2001).

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UTILIZZO DI CONNETTORI PER L’INCREMENTO DELLA FORZA DI DISTACCO DEL RINFORZO IN FRP DI STRUTTURE IN MURATURA O CALCESTRUZZO

F.G. Carozzi1*, P. Colombi1, A. Montalbano2, C. Poggi1

1Dipartimento di Ingegneria Strutturale del Politecnico di Milano, p.zza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano 2Sika Italia S.p.A., via Einaudi, 6 - 20068 Peschiera Borromeo (MI)

*[email protected]

Keywords: connettori, FRP, rinforzo, muratura

Abstract Questo studio è rivolto all’utilizzo di connettori in CFRP e GFRP per il collegamento del rinforzo in materiali compositi fibrorinforzati applicato su elementi strutturali in muratura o calcestruzzo. Nel lavoro è descritta la caratterizzazione sperimentale del sistema con prove di pull-out di connettori e fiocchi su blocchi in muratura e calcestruzzo. Il progetto si presenta come innovativo in quanto sono disponibili in letteratura solo i risultati di alcune prove sperimentali e non è ancora presente alcun specifico riferimento normativo. Il presente lavoro rappresenta un primo passo di un più ampio progetto di ricerca rivolto alla valutazione dell’incremento della forza di distacco mediante connettori e fiocchi che verrà sviluppato anche mediante modelli numerici e analitici.

1 Introduzione

Nell’ultimo decennio, soprattutto in seguito agli eventi sismici che si sono verificati in Italia, si è sempre più affermato l’utilizzo di materiali FRP per il rinforzo di edifici in muratura e calcestruzzo, anche di valore storico-architettonico. Principale problematica riscontrata nell’applicazione di materiali compositi fibrorinforzati per il rinforzo strutturale è il collasso per distacco del rinforzo dal substrato. Per ridurre o eliminare questo fenomeno è stata studiata una tecnologia con connettori in materiali compositi da inserire nella struttura da rinforzare e aperti a fiocco, incrementando così la resistenza al distacco del rinforzo in FRP. In questo lavoro è approfondito il comportamento di connettori e fiocchi inseriti in blocchi di muratura e calcestruzzo, rilevando sperimentalmente la modalità di collasso e la forza massima raggiunta da prove di pull-out. Come mostrato da Smith e Kim [1] le principali variabili del sistema sono il metodo di applicazione del rinforzo, il contenuto di fibre del connettore e la posizione in cui questo viene applicato. In questo lavoro sono descritte le prove svolte di pull-out di connettori in CFRP e GFRP da blocchi in muratura e le prove di pull-out di fiocchi in CFRP e GFRP sia da blocchi in muratura che in calcestruzzo. Questo lavoro si occupa unicamente di caratterizzare il sistema di rinforzo e solo successivamente si valuterà l’incremento raggiungibile per la forza di distacco del rinforzo dal substrato, come mostrato per archi in muratura da Borri et al. [2] o da Zhang et al. [3] per elementi in calcestruzzo.

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2 Campagna sperimentale 2.1 Caratterizzazione dei materiali

Sono stati utilizzati connettori in fibre di carbonio e fibre di vetro (SikaWrap® Anchor C e SikaWrap® Anchor G) impregnati in laboratorio con la resina epossidica SikaDur®-52. L’applicazione dei connettori e dei fiocchi è stata invece eseguita a fresco utilizzando la resina epossidica bicomponente Sika®AnchorFix®-3+. In Tabella 1 sono riportate le caratteristiche meccaniche delle resine utilizzate, come da scheda tecnica del produttore.

SikaDur®-52 Resistenza a compressione 52 MPa

Resistenza a trazione 37 MPa Resistenza a flessione 61 MPa

Sika®AnchorFix®-3+ Resistenza a compressione 112 MPa

Tabella 1. Caratteristiche SikaDur®-52 e Sika®AnchorFix®-3+

Nella prima fase della campagna sperimentale sono state eseguite una serie di prove di trazione su connettori impregnati. I campioni sono stati preparati presso il LPM del Politecnico di Milano (Figura 1) e presentano diametro di circa 10 mm e lunghezza di 1200 mm. Dopo essere maturati per 72 ore sono stati provati a trazione su una macchina orizzontale AMSLER da 300 kN (Figura 2) utilizzando ancoraggi con coppelle in alluminio e carborundum.

Figura 1. Impregnazione del connettore in CFRP Figura 2. Rottura del connettore in GFRP Di seguito (Tabella 2 e Tabella 3, Figura 3 e Figura 4) si riportano i risultati delle prove eseguite. Con la sigla G seguita da un numero progressivo sono indicati i campioni in GFRP, con la sigla C i campioni in CFRP.

Test n° Fmax [kN] Test n° Fmax [kN]

G 1 34,04 C 1 51,16 G 2 39,00 C 2 51,66 G 3 55,83 C 3 50,72 G 4 57,17 C 4 62,57 G 5 42,02 C 5 55,83

Media 45,61 C 6 42,02 Media 52,33

Tabella 2. Prove di trazione su connettori in GFRP Tabella 3. Prove di trazione su connettori in CFRP

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Figura 3. Prove di trazione su connettori in GFRP Figura 4. Prove di trazione su connettori in CFRP 2.2 Preparazione dei campioni per le prove di pull-out

La campagna sperimentale è stata caratterizzata da due tipologie di prova, che rispecchiano le diverse modalità di applicazione del sistema. Questi connettori possono infatti essere inghisati nella muratura, praticando un foro con lunghezza variabile e aperti a fiocco su una sola faccia della struttura, o eseguendo un foro passante che consente di aprire a fiocco i connettori su entrambe i lati dell’elemento da rinforzare. Sono state eseguite prove di pull-out di connettori e fiocchi applicati su blocchi in muratura e in calcestruzzo. Per le prove di pull-out dei connettori sono stati utilizzati blocchi in mattoni sabbiati tipo “da restauro” e malta di calce (Sika®Muratura). I blocchi presentano dimensioni di 25 x 25 cm e un’altezza di 3 e 4 corsi. Per le prove di pull-out dei fiocchi su muratura sono stati utilizzati blocchi sia in mattoni sabbiati e malta di calce (Sika®Muratura) che in mattoni standard non sabbiati e malta cementizia con elevate caratteristiche meccaniche (Sika® MonoTop - 722 Mur). I blocchi presentano dimensioni di 25 x 25 cm e un’altezza di 2 e 3 corsi. Per le prove di pull-out su calcestruzzo sono stati utilizzati blocchi in calcestruzzo con dimensioni pari a 25 x 30 x 15 cm. Di seguito (Tabella 4) si riportano i dati relativi alle principali caratteristiche degli elementi componenti le strutture su cui sono stati applicati i connettori e i fiocchi.

σ compressione mattone standard 68,87 MPa σ compressione mattone sabbiato 22,32 MPa σ trazione mattone standard 6,24 MPa σ trazione mattone sabbiato 1,81 MPa

Modulo elastico mattone standard 12,33 GPa Aderenza superficiale del mattone standard 3,11 MPa

σ compressione malta cementizia 27,13 MPa σ compressione malta di calce 5 MPa σ a flessione malta cementizia 8,38 MPa

σ compressione cls 26,37 MPa

Tabella 4. Caratteristiche elementi componenti i campioni

Per la preparazione delle prove sui connettori inghisati nella muratura, è stato realizzato un foro nel giunto di malta in posizione baricentrica con diametro di 16 mm ed una profondità di 10 o 15 cm. Dopo aver accuratamente pulito il foro, nella parte più profonda è stato inserito l’adesivo arretrando lentamente il miscelatore, in modo tale da evitare di inglobare bolle

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d’aria. E’ stato quindi impregnato il connettore con Sikadur®-52 e inserito a fresco nel foro. Il campione è stato poi fatto maturare assicurandosi che il connettore risultasse ortogonale al blocco in laterizio. Per la realizzazione delle prove di pull-out dei fiocchi da blocchi in muratura è stato realizzato un foro passante nel giunto di malta con diametro di 20 mm. Sulla faccia del campione su cui realizzare il fiocco è stata realizzata una svasatura, per evitare che le fibre aperte a fiocco fossero piegate con un angolo di 90°. Dopo aver accuratamente pulito il foro è stata inserita una protezione (tubo in plastica) che evitasse l’adesione del connettore alle superfici del foro. E’ stato quindi impregnato il connettore con Sikadur®-52, inserito nel foro (Figura 5) e aperto a fiocco (Figura 6) su una superficie con un raggio di 10 cm. Questa parte è stata fissata alla superficie del campione con la resina Sika®AnchorFix®-3+. Il campione è stato poi fatto maturare avendo cura che la parte del connettore non aperta a fiocco risultasse ortogonale al blocco. La stessa procedura è stata utilizzata per i blocchi in calcestruzzo.

Figura 5. Inserimento del connettore in CFRP nel foro

Figura 6. Apertura a “fiocco” del connettore

2.3 Risultati sperimentali Le prove sperimentali sono state eseguite su una macchina elettromeccanica SCHENCK, da 1000 kN. Le prove sono state eseguite con una velocità di 2 mm/min. Il connettore è stato afferrato nella macchina di prova con coppelle in alluminio e carborundum per evitare scorrimenti e rottura delle fibre per schiacciamento. Di seguito si riportano i risultati delle differenti prove eseguite.

Pull-out su connettori in CFRP da blocchi in laterizio Sono state eseguite 4 prove con una lunghezza di ancoraggio pari a 10 cm, e una (campione mC4) con lunghezza di 15 cm. In Tabella 5 e in Figura 7 sono riportati i risultati ottenuti. In Tabella 5 si indicano con la sigla mC seguita da un numero progressivo i campioni in CFRP.

Campione Fmax [kN] L ancoraggio [cm] mC 1 22,73 10 mC 2 13,54 10 mC 3 13,33 10 mC 5 15,17 10 Media 16,19 10 mC 4 27,39 15 Media 27,39 15

Tabella 5. Prove di pull-out su connettori in CFRP

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Figura 7. Prove di pull-out su connettori in CFRP da blocchi in laterizio

I valori di rottura minori dei campioni mC2 e mC3 sono dovuti a una errata realizzazione dei campioni. Al termine delle prove si è infatti riscontrata la presenza di bolle d’aria che non hanno consentito un’omogenea adesione del connettore alla muratura. Dalle immagini seguenti (Figura 8 e 9) è possibile notare come la resina aderisca al mattone, e la rottura avvenga per rottura del substrato con asportazione di materiale. Si nota anche come la rottura a cono si propaghi nella muratura con angolo di circa 45°.

Figura 8. Set-up di prova Figura 9. Rottura Pull-out su connettori in GFRP da blocchi in laterizio Sono state eseguite 4 prove con una lunghezza di ancoraggio di 10 cm, e 2 prove con una lunghezza di ancoraggio di 15 cm con le stesse modalità sopra descritte con riferimento ai connettori in CFRP. In Tabella 6 e in Figura 10 sono riportati i risultati ottenuti. In Tabella 6 con la sigla mG seguita da un numero progressivo si indicano i campioni in GFRP.

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Campione Fmax [kN] L ancoraggio [cm]

mG 1 17,24 10 mG 2 19,80 10 mG 4 14,09 10 mG 5 10,27 10 Media 15,35 10 mG 3 18,50 15 mG 6 21,90 15 Media 20,20 15

Tabella 6. Prove di pull-out su connettori in GFRP da blocchi in laterizio

Figura 10. Prove di pull-out su connettori in GFRP Come per le prove precedenti, si hanno campioni che presentano valori di rottura notevolmente inferiori alla media a causa della presenza di bolle d’aria che non hanno consentito un’omogenea adesione del connettore alla muratura. Dalla Figura 11 è possibile notare come la rottura del campione avvenga con asportazione di materiale, mentre non si ha rottura del connettore.

Figura 11. Modalità di rottura delle prove di pull-out di connettori in GFRP

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Pull-out su fiocchi in CFRP da blocchi in laterizio Le prove sono state eseguite su blocchi in mattoni standard e malta cementizia fibrorinforzata, e in mattoni sabbiati “da restauro” e malta di calce. Sono state eseguite 7 prove su blocchi con altezza pari a 3 corsi di mattone e 2 prove su blocchi con altezza pari a 2 corsi di mattone (campioni mFC 4 e mFC 5) In Tabella 7 e in Figura 12 sono riportati i risultati ottenuti. In particolare nella Tabella 7 Fmax

indica la forza massima raggiunta e Frottura la forza a cui avviene la prima rottura del substrato o del connettore. Con la sigla mFC seguita da un numero progressivo sono indicati i fiocchi in CFRP inseriti in blocchi di laterizio. Si evidenzia come il collasso per blocchi con malta cementizia avvenga per rottura del connettore nel caso di blocchi formati da 3 corsi di mattone e per rottura del blocco e distacco del fiocco nel caso di 2 corsi di mattoni. Quest’ultima modalità di rottura (Figura 13 e 14) è stata anche osservata nel caso di blocchi con malta di calce.

Campione Fmax [kN] Frottura [kN] Malta N° corsi di Tipo di rottura mattone

mFC 1 23,82 18,86 Calce 3 Rottura della struttura in laterizio e successivo

mFC 2 25,05 25,05 Calce 3 distacco del fiocco Media 24,43 21,95

mFC 4 17,84 14,98 Cementizia 2 Rottura della struttura in laterizio e successivo

mFC 5 17,26 17,26 Cementizia 2 distacco del fiocco Media 17,55 16,12 mFC 3 34,36 34,36 Cementizia 3 Rottura del connettore mFC 6 18,12 18,12 Cementizia 3 Rottura del connettore mFC 7 22,68 22,68 Cementizia 3 Rottura del connettore mFC 8 21,57 17,04 Cementizia 3 Rottura del connettore mFC 9 20,03 18,57 Cementizia 3 Rottura del connettore Media 23,35 22,15

Tabella 7. Prove di pull-out su fiocchi in CFRP da muratura

Figura 12. Prove di pull-out su fiocchi in CFRP da muratura

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Figura 13. Rottura del campione mFC 1 Figura 14. Distacco del connettore e asportazione di

substrato Pull-out su fiocchi in CFRP da blocchi in calcestruzzo Sono state svolte 5 prove di pull-out di fiocchi in CFRP da blocchi in calcestruzzo. In Tabella 8 e in Figura 15 sono riportati i risultati ottenuti. Come mostrano in Tabella 8, i risultati ottenuti presentano ampia dispersione dovuta al tipo di svasatura realizzata. La rottura avviene infatti in corrispondenza dell’apertura a fiocco delle fibre, dove si ha una concentrazione di sforzi. Con la sigla clsFC seguita da un numero progressivo sono indicati i fiocchi in CFRP.

Campione Fmax [kN] Tipo di rottura ClsFC 1 24,33 Rottura del connettore ClsFC 2 26,26 Rottura del connettore ClsFC 3 15,69 Rottura del connettore ClsFC 4 15,68 Rottura del connettore ClsFC 5 12,79 Rottura del connettore Media 20,57

Tabella 8. Prove di pull-out su fiocchi in CFRP da calcestruzzo

Figura 15. Prove di pull-out su fiocchi in CFRP da calcestruzzo

Pull-out su fiocchi in GFRP da blocchi in laterizio Le prove sono state eseguite su blocchi in laterizio con mattoni standard non sabbiati e malta cementizia fibrorinforzata. Sono state eseguite 7 prove. In Tabella 9 e in Figura 16 sono riportati i risultati ottenuti. Con la sigla mFG seguita da un numero progressivo sono indicati i

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fiocchi in GFRP. Il collasso è avvenuto per rottura del connettore nel punto di apertura del fiocco e solo nel campione mFG 5, che ha raggiunto il carico di collasso più elevato, si è avuta una rottura anche nella parte centrale del connettore.

Campione Fmax [kN] Tipo di rottura

m FG 1 24,49 Rottura del connettore m FG 2 20,10 Rottura del connettore m FG 3 20,12 Rottura del connettore m FG 4 21,98 Rottura del connettore m FG 5 26,35 Rottura del connettore m FG 6 19,37 Rottura del connettore m FG 7 18,04 Rottura del connettore Media 21,21

Tabella 9. Prove di pull-out su fiocchi in GFRP da muratura

Figura 16. Prove di pull-out su fiocchi in GFRP da muratura

Pull-out su fiocchi in GFRP da blocchi in calcestruzzo Sono state svolte 7 prove di pull-out di fiocchi in GFRP da blocchi in calcestruzzo. In Tabella 10 e in Figura 17 sono riportati i risultati ottenuti che evidenziano le medesime problematiche di variabilità descritte per i campioni con fiocchi in CFRP.

Campione Fmax [kN] Tipo di rottura Cls FG 1 12,38 Rottura del connettore Cls FG 2 22,24 Rottura del connettore Cls FG 3 29,79 Rottura del connettore Cls FG 4 10,87 Rottura del connettore Cls FG 5 13,26 Rottura del connettore Cls FG 6 23,62 Rottura del connettore Cls FG 7 16,16 Rottura del connettore Media 18,33

Tabella 10. Prove di pull-out su fiocchi in GFRP da calcestruzzo

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Figura 17. Prove di pull-out su fiocchi in GFRP da calcestruzzo

3 Conclusioni La campagna sperimentale descritta riguarda prove di pull-off di connettori e fiocchi in CFRP e GFRP da blocchi in muratura e calcestruzzo. Quanto descritto rappresenta un primo passo di un più ampio progetto di ricerca rivolto alla valutazione dell’incremento della forza di distacco mediante connettori e fiocchi che sarà sviluppato anche mediante modelli numerici e analitici. In particolare saranno eseguite prove per analizzare specificamente l’incremento della forza di distacco del rinforzo in FRP dal substrato. La caratterizzazione del sistema mediante le prove di pull-out dei connettori da blocchi in muratura hanno prodotto risultati omogenei tra i connettori in CFRP e in GFRP. In particolare si nota come aumentando la lunghezza di ancoraggio del connettore si ottenga un significativo incremento nella forza massima di rottura. Per quanto riguarda le prove di pull-out dei fiocchi da blocchi in muratura con mattoni sabbiati e malta di calce il collasso è caratterizzato dalla rottura del substrato e distacco del fiocco dalla superficie. Si ha invece rottura del connettori nel caso di blocchi con tre corsi di mattone e malta cementizia fibrorinforzata. Nelle prove di pull-out dei fiocchi da blocchi in calcestruzzo il collasso è avvenuto per rottura del connettore localizzata nel punto di apertura del fiocco, dove si ha massima sollecitazione. E’ necessario prendere atto dell’ampio numero di variabili che influenzano la resistenza dei connettori e dei fiocchi come ad esempio le caratteristiche meccaniche e geometriche (lunghezza dei connettori inghisati, raggio di raccordo del fiocco, materiali e dimensioni dei blocchi in laterizio o calcestruzzo). Da ultimo è necessario evidenziare come le modalità di realizzazione dei campioni (svasatura dei fori, quantità di resina utilizzata, distribuzione delle fibre nel fiocco) influenzino le prestazioni di connettori e fiocchi.

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Bibliografia [1] Smith S.T., Kim S.J. Strength and behaviour of impregnated carbon FRP anchors in

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SISTEMI DI GIUNZIONE IN PULTRUSO PER ELEMENTI LIGNE I

Paolo Felici ([email protected]) Zephyrus sas, Via Margherita Lazi, 13 P.S. Giovanni (PG)

Keywords: pultruso, legno, giunzione, innovativo.

Sistemi di giunzione di elementi lignei (quali travi, montanti, traversi, pannelli, colonne) tra di loro o con altri supporti strutturali (c.a.) . Gli elementi di giunzione, che costituiscono il sistema, sono piastre tridimensionali avvitate, o chiodate, all'estremità dell'elemento in legno da fissare e avvitate, o chiodate, al supporto. Queste sono costituite da materiale pultruso, composto da preformati di composito fibrorinforzato. I sistemi di cui si discute sono stati brevettati. Il composito può essere lavorato con velocità. Tali agganci sono stati progettati e provati nel rispetto delle NTC2008, delle UNI EN 13706 e delle istruzioni CNR DT-205/2007. Sono state, tra l'altro, operate verifiche in modo da garantire maggiore prestazione al pultruso e minore ai connettori in acciaio. Tale evenienza rende i giunti, pertanto le strutture di cui fanno parte, duttili.

1 Introduzione Nell’edilizia ordinaria, nelle strutture ordinarie, in cui sollecitazioni e resistenze rientrano in categorie ripetibili e standard, gran parte del successo di una tipologia strutturale, in termini di diffusione, sta nella possibilità di ridurre costi e tempi di esecuzione, nel garantire la durabilità. Le questioni di resistenza sono ormai state superate dalle prestazioni dei materiali attualmente in commercio. Il legno, oggi, a seguito dell’evoluzione tecnologica di produzione di elementi portanti, soprattutto nello sviluppo ulteriore della tecnologia del lamellare, ha la possibilità di proporsi come il materiale più adatto da utilizzare nelle strutture ordinarie. Questo garantisce un sistema che per le sue caratteristiche intrinseche resiste meglio agli sforzi orizzontali del sisma, garantisce una base ottima per involucri prestanti ambientalmente e soprattutto proviene da una materia prima rinnovabile. La struttura in legno, ben protetta e ben progettata, ha durabilità elevatissime e ha un costo, ormai, inferiore alle altre tipologie strutturali. La sua definitiva presa nel mercato immobiliare non è solo una questione culturale. La struttura in legno, come detto, deve essere “ben protetta e ben progettata”. Solo così si potrà affermare con sicurezza i vantaggi sopra elencati. In questa partita, rilevante peso sta nella progettazione delle giunzioni. Quelli che vengono presentati sono sistemi che aumentano la protezione del legno nei punti di collegamento fra elementi strutturali, attraverso un sistema di connessione che garantisce duttilità e facilità di posa. Quest’ultimo aspetto determina un ulteriore abbattimento dei costi di questa magnifica soluzione strutturale di edificazione.

2 Descrizione del sistema di aggancio con elementi in pultruso Il sistema brevettato, sviluppato e sperimentato, riguarda sistemi di giunzione di elementi lignei (quali travi, montanti, traversi, pannelli, colonne) tra di loro o con altri supporti strutturali, quali travi e pareti in calcestruzzo armato o pannelli in legno. Gli elementi di giunzione, che costituiscono il sistema, sono piastre tridimensionali avvitate all'estremità dell'elemento in legno da fissare e avvitate al supporto. Queste sono costituite da pultruso preformato. Tale invenzione utilizza un materiale di facile lavorazione e maneggevolezza.

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Gli elementi sono forniti preforati, o con indicazione di preforatura, sia per posizione che per diametro. Il pultruso può essere lavorato con velocità, anche senza l'utilizzo di macchinari particolari come laser e plasma che normalmente occorrono in agganci similari in acciaio, estendendo il suo impiego anche a lavorazioni per connessioni da realizzare direttamente nel cantiere edile, parzialmente o completamente. Nella Fig. 1 sono rappresentati esempi di tipologie di giunzione con materiale pultruso. Tali agganci sono stati progettati nel rispetto delle NTC2008 e delle tre parti delle UNI EN 13706, seguendo le istruzioni CNR DT-205/2007. Sono state, tra l'altro, operate verifiche in modo da garantire maggiore prestazione al pultruso e minore ai connettori in acciaio (viti e chiodi). Tale evenienza rende i giunti, pertanto le strutture di cui fanno parte, duttili, sfruttando le prestazioni incrudenti delle viti e il rifollamento del legno, nonché meccanismi che portano gli elementi lignei a compressione. Dopo numerose prove, condotte con il Laboratorio di ingegneria dell'Università di Perugia, si è ottenuta un'ottima corrispondenza fra i valori dei test effettuati e i risultati di calcolo. Il sistema di giunzione sopra descritto fa parte di un brevetto depositato e autorizzato. Le piastre di collegamento in pultruso sono denominate commercialmente con il marchio registrato “PULT”.

Figura 1

3 La descrizione dell’analisi - dettagli sperimentali Le prove riportate nella presente relazione sono state eseguite dal Laboratorio dell'Università di Perugia, che oltre a rientrare fra i laboratori di cui all’art.59 del DPR n. 380/2001, ha eseguito numerose prove su FRP, soprattutto in merito ad utilizzi che investono sistemi di consolidamento strutturale. Per la classificazione dei sistemi preformati di cui si discute, per la descrizione delle loro caratteristiche tecniche e dei valori attesi in relazione alle classi previste, nonché dei competenti metodi di prova, si deve far riferimento alle UNI-EN 13706-1-2-3, fatto salvo quanto appresso diversamente specificato. Per il calcolo e le verifiche si fa riferimento alle NTC2008 con il dettaglio specificato dalle CNR 205/2007, così come disposto al cap. 12 delle stesse NTC 2008. Si è operato effettuando simulazioni di calcolo sulla base delle caratteristiche dei materiali riportate nella UNI EN 1194 per il legno, UNI-EN 13706 sopra citata per il pultruso. L'obiettivo è stato quello di progettare sistemi in cui i connettori in acciaio rappresentano l'elemento più

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debole. Le dimensioni sono state definite al fine che le viti, deformandosi, possano imprimere duttilità al nodo e pertanto alla struttura in legno. Questa importante prestazione, nelle verifiche, è stata considerata anche nella capacità di rifollamento del legno e nella duttilità derivante dal legno in compressione. Le prime prove effettuate hanno permesso di calibrare numero e dimensioni dei connettori, i quali dovranno essere di dimensioni ridotte e posti alle distanze di normativa, al fine di non condurre a rottura il pultruso prima di quanto atteso. Tutte le prove sono state condotte utilizzando legno lamellare GL24h. Il pultruso è del tipo E23 secondo le UNI EN 13706-3. Per effettuare le prove è stato utilizzato un attuatore MTS comandato da software MTS test star II con portata massima di 500 kN. Il carico, nullo all’istante t = 0 (inizio della prova), è stato aumentato progressivamente fino a 0,4 Fest (massimo carico stimato) e mantenuto tale per 30 secondi. Successivamente il carico è stato aumentato fino al raggiungimento del carico ultimo o uno scorrimento di 15 mm tra pultruso e legno. Al di sotto di 0,7 Fest la velocità di applicazione del carico è stata di 0,2 Fest/min; al disopra di 0,7 Fest si è proceduto considerando di raggiungere il carico ultimo o lo scorrimento di 15 mm in un tempo aggiuntivo compreso tra 3 e 5 minuti. Dopo aver effettuato alcune prove al fine di calibrare la dimensione dei connettori e il loro posizionamento all'interno del sistema legno-pultruso, si è proseguito con una serie di test con configurazione come da UNI EN 26891, la stessa norma richiamata dalle linee guida ETAG 015 “Three-dimensional nailing plates”. Queste si riferiscono alle modalità di certificazione di collegamenti metallici chiodati del tutto simili a questi in pultruso, in quanto trattasi di collegamenti a taglio. In figura 2, 3, 4 e 5 sono rappresentate, per tipologia, le foto di dette prove. Sono state variate, nei vari test, le dimensioni degli elementi, delle piastre e il supporto di aggancio del travetto secondario, che poteva anche essere in calcestruzzo. Le piastre in pultruso provate hanno forma a “T”, a “L” e piatta e sono state denominate con il marchio industriale “PULT”: PULT-T, PULT-Lc, PULT-Ib e PULT-Ip. Nel corso delle prove è stata simulata anche la presenza di momento torcente, per eccentricità del carico a taglio e il caso di momento deviato (figure 6 e 7).

Figura 2. Elemento di aggancio a T, denominato PULT-T

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Figura 3. Elemento di aggancio a L, denominato PULT-Lc

Figura 4. Elemento di aggancio a I, denominato PULT-Ib

Figura 5. Elemento di aggancio a T (denominato PULT-T)

su supporto in cls.

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Figura 6. Elemento di aggancio a T. Denominato PULT-T con eccentricità di carico a taglio impressa al pistone.

Figura 7. Elemento di aggancio a T. Denominato PULT-T con carico deviato ed eccentricità di

carico

Di seguito sono mostrate alcune modalità di rottura: nella figura 8 è rappresentata la modalità di rottura del PULT-T, mentre nella figura 9 quella del PULT-Lc.

Figura 8. Rottura di elemento a T

Figura 9. Rottura di elemento a L

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4 Risultati Di seguito è riportato un output di prova, con riferimento ad un provino a T (PULT-T80 da 180) come da schema di figura 10. In tabella 1 ci sono i risultati della prova. I grafici di figura 11 e 12 rappresentano gli scorrimenti del travetto secondario in un giunto a T e in un giunto a L. Dai grafici è immediatamente comprensibile il comportamento duttile di tali giunzioni. Queste, prima di giungere a rottura, attraversano un momento incrudente, indotto dalle deformate dei connettori in acciaio (figura 13), dal rifollamento del legno e dal comportamento duttile del legno a compressione.

Figura 10. Provino n.5 PULT-T80 da 180

Provino

Fmax Fest νi νi,mod νs νe ki ks ν0,6 ν0,6,mod ν0,8 ν0,8,mod Modalità di crisi

(kN) (kN) (mm) (mm) (mm) (mm) (kN/mm) (kN/mm) (mm) (mm) (mm) (mm)

N.5 40,55 30,00 1,522 1,637 -0,12 0,54 7,88 7,33 3,16 3,19 4,88 4,91 taglio

Tabella 1. Prova su provino n.5

Valori sperimentali delle grandezze rilevate: i.

F max = carico massimo (grandezza rilevata); ii. F est = carico massimo stimato (grandezza derivata fornita dal richiedente) iii. vi =v04 scorrimento iniziale dell’assemblaggio (grandezza rilevata)

iv. vi ,mod=43�v04− v01� scorrimento iniziale dell’assemblaggio modificato (grandezza

derivata) v. vS=vi− vi ,mod assestamento dell’assemblaggio (grandezza derivata)

vi. ve=23�v14+v24− v12− v22�scorrimento elastico (grandezza derivata)

vii. ki= 0,4F est/ν i modulo di scorrimento iniziale (grandezza derivata) viii. ksi= 0,4F est/ν i ,mod modulo di scorrimento (grandezza derivata) ix. v0,6 scorrimento a 0,6 F max (grandezza rilevata) x. v0,6,mod=ν0,6− ν24+vi ,mod scorrimento modificato a 0,6 F max (grandezza derivata) xi. v0,8 scorrimento a 0,8 F max (grandezza rilevata) xii. v0,8,mod=ν0,8− ν24+v i ,mod scorrimento modificato a 0,8 F max (grandezza derivata) xiii. v01 ,v04 ,v14 ,v24 ,v12 ,v22 ,v06 ,v08 , valori degli scorrimenti relativi ai rispettivi punti del

grafico

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Figura 11. Scorrimento travetto secondario provino 5

Figura 12. Scorrimento provino a L

Figura 13. Deformazione viti

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5 Conclusioni Dalle numerose prove sperimentali, con il conforto di risultati come quelle mostrate nel paragrafo precedente, sono state ricavate delle schede tecniche che riportano il valore caratteristico della resistenza a taglio di piastre in pultruso nelle tipologie a T (PULT-T), a L (PULT-Lc) e piatti (PULT-Ib e PULT-Ip), sia per supporti in legno che per supporti in cls. Il modello di calcolo, se pur impostato su teorie note e su normative quali l'Eurocodice 5 e le CNR DT-205, è stato rettificato in base alle prove sperimentali. In particolare è stato introdotto un parametro, una resistenza, non segnalata in nessun documento normativo e, a quanto mi risulta, non riportata in nessun report sperimentale. Si tratta della resistenza a taglio della sezione di contatto fra ali e anima di profili a T o di profili ad H. Questa determina, in alcune situazioni, il limite entro il quale si devono attivare i meccanismi duttili, i quali, invece, rispondono bene alle formule dell'Eurocodice 5. Si rilevano altre tre notazioni importanti. La prima riguarda l'influenza dell'eccentricità del carico a taglio nei giunti a T, che è irrilevante se considerata nell'entità che può scaturire nei solai di strutture con luci tradizionali fino a 6-7 metri. La seconda interessa il momento deviato, che come si supponeva, è da evitare nei giunti a T, in quanto va ad imprimere un momento in una sezione forte e un altro in una sezione debole. Queste ultime osservazioni, a seguito delle prove, sono scaturite considerando la sezione dell'anima resistente di una piastra a T, inserita nel travetto in legno, come sezione di materiale isotropo. C'è corrispondenza fra calcolo e sperimentazione anche con tale approssimazione. Il terzo appunto riguarda la possibilità di utilizzo di tali piastre senza il preforo, comunque consigliato, adottando viti autoforanti. I risultati sono stati comunque equivalenti alla casistica delle prove senza preforo. Per il resto, in conclusione, si può affermare che esiste sempre corrispondenza fra i valori di resistenza ottenuti e quelli attesi, in tutte le prove effettuate. Tale evenienza rende l'utilizzo del pultruso, per piastre di giunzione fra elementi lignei, affidabile e interessante, anche in relazione ai valori di resistenza ottenuti e ai numerosi vantaggi che si ottengono quali semplicità di montaggio, semplicità di lavorazione, capacità di isolamento e bassi costi. In figura 14 c'è, a titolo di esempio, la tabella dei valori caratteristici proposti per le piastre PULT-T80 legno-legno.

Figura 14. valori caratteristici

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Bibliografia [1] EN 13706-1. Specifiche per profili in pultruso. Designazione. 2003 [2] EN 13706-2. Specifiche per profili in pultruso. Metodi di prova e requisiti generali. 2003 [3] EN 13706-3. Specifiche per profili in pultruso. Requisiti. 2003 [4] CNR DT-205. Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di Strutture

realizzate con Profili Sottili Pultrusi di Materiale Composito Fibrorinforzato (FRP). 2007 [5] Eurocodice 5 [6] NTC 2008. Norme tecniche delle Costruzioni. 2008 [7] UNI EN 1194. Classi di resistenza e determinazione dei valori caratteristici del legno

lamellare. 2000 [8] UNI EN 26891. Principi generali per la determinazione delle caratteristiche di resistenza e

deformabilità- 1991 [9] ETAG 015 “Three-dimensional nailing plates”. 2002

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SIMULAZIONI NUMERICHE MEDIANTE SOFTWARE RTM-WORX DEL PROCESSO RTM DI UN COMPONENTE AERONAUTICO

A. Riccardo Gennaro1, B. Silvio Pappadà1, C. Antonio Caruso2,

D. Gianluca Massaccesi3*

1Consorzio CETMA, Cittadella della Ricerca S.S. 7, km 706+030, 72100 Brindisi 2AgustaWestland, Contrada S. Teresa, 72100 Brindisi 3MathFem S.r.l., Via dei Canonici Renani 6, 40033 Casalecchio di Reno (Bo)

*[email protected]

Keywords: Simulazione, Processo, Compositi, RTM-Worx.

Abstract Il presente lavoro illustra i risultati delle simulazioni numeriche del processo di impregnazione di una preforma in carbonio con resina termoindurente, per realizzare un componente strutturale per il settore aeronautico. Le analisi numeriche hanno permesso di esplorare diverse strategie di alimentazione della resina, evidenziandone i flussi nella cavità dello stampo, verificando il livello di impregnazione dei rinforzi, e guidando le scelte progettuali verso le soluzioni migliori. Le preliminari fasi sperimentali hanno consentito la validazione del modello di calcolo ed in particolare dei valori della permeabilità dei rinforzi, garantendo l’affidabilità delle simulazioni e l’accordo dei risultati numerici con quanto evidenziato successivamente nei prototipi reali. 1 Introduzione In campo aeronautico l’impiego dei compositi è cresciuto dal 10% in peso del Boeing 777 degli anni ’95 al 50% in peso del Boeing 787 prodotto nel 2012. Nell’ottica della filosofia del ‘design for minimal weight’ e del ‘design for cost’ in ambito aeronautico il processo di resin transfer moulding (RTM) è stato gradualmente introdotto a scapito del più tradizionale processo dell’autoclave. Questo naturalmente ha comportato la ri-progettazione delle parti da realizzare e dei relativi processi di produzione. In molte situazioni il flusso di resina non è facilmente intuibile a causa della complessità delle geometrie e della distribuzione delle permeabilità dei rinforzi. Soprattutto in questi casi le simulazioni numeriche del processo RTM sono di fondamentale importanza per prevedere il comportamento della resina nella fase di riempimento dello stampo e nel periodo di cura, velocizzando lo sviluppo e l’ottimizzazione del prodotto e del processo. Il presente lavoro illustra i risultati delle simulazioni numeriche ottenute mediante il software RTM-Worx del processo di impregnazione di una preforma in carbonio tridimensionale con

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resina termoindurente finalizzato alla produzione di una rib per il settore aeronautico. Le analisi numeriche hanno permesso di esplorare diverse configurazioni di inlet-outlet nello stampo metallico, evidenziandone i relativi flussi della resina, verificando il livello di impregnazione dei rinforzi, e guidando le scelte progettuali verso le soluzioni migliori. Le preliminari fasi sperimentali hanno consentito la validazione del modello di calcolo ed in particolare dei valori della permeabilità del rinforzi, garantendo l’affidabilità delle simulazioni e l’accordo dei risultati numerici con quanto evidenziato successivamente in fase di produzione delle rib. 2 Materiali e metodi impiegati I materiali impiegati per la produzione della rib sono stati un rinforzo Hexcel G0926 bindered in fibra di carbonio e una resina termoindurente (Hexflow RTM6). Per la realizzazione della rib è stato impiegato un tessuto G0926 5H satin weave HR 6K , fornito da Hexcel, caratterizzato da una grammatura di 370g/m2 e da una frazione in volume di fibra del 57%. La matrice impiegata è la resina RTM6, fornita da Hexcel; una resina epossidica adatta ad applicazioni aeronautiche che a seguito del processo di RTM richiede una cura a 160°C per 75 minuti e una post-cura 180°C per 120 minuti. La macchina impiegata per la produzione della rib aeronautica per RTM è una Hypaject® Mk III, che presenta una capacità di 6 litri e che consente di eseguire l’iniezione in un range di pressione compreso tra 0.1 e 10 bar. Il processo di RTM è stato eseguito ad una pressione di 5 bar, temperatura della resina di 90°C e temperatura dello stampo di 130°C.

Figura 1: foto della rib aeronautica realizzata per RTM dal consorzio CETMA.

200 mm

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3 Analisi Numeriche eseguite con RTM-Worx Gli obiettivi delle simulazioni numeriche eseguite con RTM-Worx sono stati la valutazione preliminare della migliore configurazione di inlet-outlet e la verifica del livello di impregnazione della preforma in carbonio. La scelta delle configurazioni di inlet-outlet oltre ad influenzare il tempo di riempimento della preforma e la qualità del processo di impregnazione gioca un ruolo chiave sui costi di produzione del componente per RTM. Sono state esplorate tre diverse configurazioni di inlet-outlet: a) un inlet nella parte centrale della preforma ed outlet collocati sulle tre flange laterali; b) due inlet nella parte centrale del preforma ed outlet collocati in corrispondenza delle flange

laterali; c) inlet collocati sulle tre flange laterali e due outlet nella zona centrale della preforma.

Figura 2: configurazioni di inlet-outlet, le frecce bianche indicano l’inlet della resina, le frecce celesti l’outlet. Dati in input: • valore di permeabilità del rinforzo: 1.68E-11 m2 • viscosità della resina RTM6: 130 mPa*s • la frazione in volume di fibre: 57% • pressioni di iniezione: 1-2-5-8-12 bar Il grafici del tempo di riempimento ottenuti dalle simulazioni numeriche ad una pressione di riferimento di 5 bar, mostrano una riduzione del 28% da a a b e di un ulteriore 93% da b a c.

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Figura 3: tempi di riempimento al variare della pressione di iniezione per le configurazioni a e b.

Figura 4: tempi di riempimento al variare della pressione di iniezione per le configurazioni b e c.

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4 L’importanza delle simulazioni numeriche nell’RTM Per quanto il tempo di riempimento rappresenti solo il 5% del tempo necessario ad eseguire l’intero processo di RTM, l’importanza della scelta della giusta configurazione di inlet-outlet da selezionare per il processo produttivo è legata anche a considerazioni relative ai costi della tecnologia. Scegliere una configurazione di inlet-outlet piuttosto che un’altra può comportare infatti una notevole riduzione di costi. Vagliare nella realtà tutte le varie configurazioni plausibili richiede tempi ed investimenti spesso non compatibili con il mercato. L’utilizzo del software RTM-Worx della Polyworx può essere di estrema importanza in quanto in tempi ristretti si possono esaminare al calcolatore svariate configurazioni e scegliere quella che offre il giusto compromesso tra ottimizzazione dei costi, dei tempi di riempimento e del livello di impregnazione della preforma.

Figura 5: costi di produzione di un manufatto per RTM.

Scegliere la giusta configurazione di inlet-outlet può consentire di iniettare a basse pressioni a parità di tempi di riempimento con notevole riduzione di costi per tubi e raccorderia. Nel caso oggetto dello studio, esaminato il risultato delle simulazioni numeriche ed effettuata l’analisi dei costi della tecnologia si è optato per l’iniezione a 5 bar secondo la configurazione b.

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Figura 6: Validazione del software RTM-Worx: confronto tra tempo di riempimento della preforma simulato e reale.

Il confronto tra simulazione e successiva realizzazione dei prototipi valida il software RTM-Worx e garantisce che tutte le considerazioni effettuate sulla scelta della configurazione inlet-outlet ottimale, basate sull’output dell’analisi numerica, sono risultate valide.

6 Ringraziamenti

Si ringrazia:

AgustaWestland, in special modo l’ingegnere Antonio Caruso per la preziosa collaborazione. Hexcel per aver fornito i materiali per la realizzazione della rib.

MathFem per il supporto nelle attività di simulazione.

t di riempimento simulato = 6.9 minuti

Configurazione b

t di riempimento

reale

= 6.0 minuti

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PROSPECTIVE STRATEGIES FOR COMPOSITE PRODUCTION

Andreas Schnabel, Christoph Greb, Yves-Simon Gloy, Thomas Gries

Institut für Textiltechnik of RWTH Aachen University, Aachen, Germany

[email protected]

Keywords: composites, mass production, multi-step preforming Abstract To produce FRP-components in large quantities novel approaches in the preforming industries are required. One possible solution is to transfer steel processing technologies like tailored blanks, tailored tubes and assembly lines to preform production. This means from tailored blanks and tailored tubes with locally adapted thickness, material quality and geometry to tailored non-crimp fabrics (NCF) or tailored braided structures in the single-step preforming and from assembly lines to preform center in the multi-step preforming. Whereas single-step preforming means the production of semi-finished textile parts in one process step and multi-step preforming the converting of „Tailored NCF“ and „Tailored Braid“ into near net-shape preforms in a sequence of automated process steps. In this paper further developments in single-step and multi-step preforming will be shown on the basis of an exemplary process chain.

1 INTRODUCTION

There is a growing market for the use of composite materials, particularly for fiber reinforced plastics (FRP). This concerns such industries as aerospace, automotive and wind energy. In aircrafts the amount of the structural weight increases continuously for example (Figure 1). For 480 aircrafts per year already 100,000 stringers made of FRP are required [1]. In the automotive industry with the BMW Mega City Vehicle (Figure 1) the first car with a passenger cell made mainly from CFRP will be produced in large quantities before 2015 [2].

Figure 1. Amount of structural weight (left: Airbus) and Mega City Vehicle (right: BMW)

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Composite parts for above mentioned industries are currently manufactured using manual and semi-automated processes. These are time- and cost-consuming and cause an inefficient use of expensive tools. The production of textile reinforcement structures (preforms) for liquid composite molding (LCM) causes up to 40 % of the overall costs, respectively 66% of the production costs [3].

Figure 2. Overall costs of an FRP-component [3]

To produce FRP-components in large quantities novel approaches in the preforming industries are required. One possible solution is to transfer steel processing technologies like tailored blanks, tailored tubes and assembly lines to preform production. This means from tailored blanks and tailored tubes with locally adapted thickness, material quality and geometry to tailored non-crimp fabrics (NCF) or tailored braided structures in the single-step preforming and from assembly lines to preform center in the multi-step preforming. Whereas single-step preforming means the production of semi-finished textile parts in one process step and multi-step preforming the converting of „Tailored NCF“ and „Tailored Braid“ into near net-shape preforms in a sequence of automated process steps.

Tailored Blank Tailored Tube Assembly Line

Tailored NCF Tailored Braid Preformcenter

Ste

el

FR

P

Figure 3. Transfer from steel-processing technologies to preform production

Benefits for the preforming will be reduced handling- and cutting operations as well as a simplified handling of the limp textiles respectively preforms due to the tailored fabrics as well as a higher productivity by means of the automated process steps and novel process chains.

In this paper further developments in single-step and multi-step preforming will be shown on the basis of an exemplary process chain

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2 EXEMPLARY PROCESS CHAIN Highly automated preforming processes most likely aim at automotive applications, as here production rates of 100.000 pieces per year will be required in the near future in order to establish the use of FRP-structures. For this reason, a convertible hardtop was chosen to be a charactertistic demonstator. The very same part already acted as a demonstrator in the AiF-funded research project “AutoPreforms” [4], it is shown in Figure 4.

Figure 4. convertible hardtop demonstrator

The hardtop contains a number of characteristics which are typical for automotive applications, such as:

• Three-dimensional surface with average complexity

• Local reinforcements (stringers)

• Variations in thickness

• Metallic inserts for load introduction

When producing the described structure in a preforming/LCM process chain, certain requirements can be derived from these characteristics. Most important, tolerances of < +/- 1 mm have to be fulfilled. Furthermore, the three-dimensional shape in combination with a certain bending stiffness (due to handability) requires locally adjusted drapablity.

Combining single-step- and multi-step preforming processes is a promising approach to produce a structure as described in a economically viable way. Schematically, a conceivable process chain is shown in Figure 5. A specially designed semi-finished part is produced by means of enhanced multiaxial warp-knitting technology (single-step preforming). It is then precut and transferred to an assembly line or –cell where it is equipped with additional subcomponents and transformed into its final shape (multi-step preforming). The result is a near net-shape textile reinforcement structure which is ready for consolidation in a subsequent LCM process. In the following chapters, singe- and multi-step preforming as well a the interface between both are described.

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•Warp knitting•Insertion of local reinforcements

•Adjustment of local drapability

•Storage•Transport

•Cutting•Handling•Draping•Insertion of subcomponents

•Joining•Trimming

•Debulking•Infusing•Curing

Pro

cess

Tech

nolo

gyP

rodu

ct

Figure 5. process chain

3 SINGLE-STEP PREFORMING Laminar fabrics for shell and stringers of the FRP roof can be manufactured by using warp-knitting machines with multiaxial weft insertion. Enhanced fabrics with locally adjusted drapability and local reinforcements require an extended machine functionality, which is illuminated in this chapter.

Warp-knitted non-crimp fabrics

Non-crimp fabrics (NCF) are defined as drawn parallel oriented layers of reinforcing threads or tows. They can be produced economically on warp-knitting machines with multiaxial weft insertion (Figure 6). The loose fiber layers are connected with warp-knitting yarns by means of loop formation [5]. The warp-knitting elements and loop formation are described in references [6, 7].

Figure 6. NCF (left) and warp-knitting machine with multiaxial weft insertion (right)

In state of the art machines the drapability, the thickness and the width of the produced fabrics are constant. The drapability can be defined as the adaption of laminar semi-finished material on curved three-dimensional surfaces [8]. Tailored NCF with locally adjusted properties like: drapability and local reinforcements provide the following benefits in a subsequent preforming process: simplified handling, reduction of handling operations and reduction of scrap.

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Locally adjusted drapability

Stitch length, stitch type (underlap of the guidebar lateral to process direction), and yarn run-in have an effect on the drapabilty of NCFs. A greater stitch length, a larger underlap and a higher yarn run-in of the warp-knitting yarns increase the formability and complicate at the same time the handling of the material [9, 10].

A locally adjusted stitch length will cause major modifications in the machine soft- and hardware. Therefore this possibility was not considered. The underlap is predetermined by the movement of the guide bar, which is driven mainly by pattern discs. An electro-mechanical guide bar provides the possibility to change the underlap locally. The modification of the machine operating system and realization of the hardware (Figure 7) was done by the machine manufacturer, LIBA Maschinenfabrik GmbH, Naila, Germany [11]. In Figure 7 a NCF with locally adjusted stitch type is shown.

Figure 7. Pattern discs (left), electro-mechanical guide bar (middle) and locally adjusted stitch type (right) Once varying stitch types during production require an adjustment of the yarn run-in from stitch course to stitch course and to influence the drapability locally a computer controlled beam control was additionally integrated [11].

Locally adjusted thickness

Local reinforcements are deposited on the loose fibre layers between weft insertion systems and warp-knitting unit. Pre-fabricated textiles or unidirectional fibre-layers can be supplied endless or finite by means of feeding modules (Figure 8). The feeding modules can lay down several reinforcements parallel with the same length at a time. To produce multi-layer textile structures several modules can be arranged in a row [12].

Figure 8. Pattern discs (left), electro-mechanical guide bar (middle) and locally adjusted stitch type (right) Cutting and stacking unit

Conventional winding of multiaxial warp-knitted NCF with high layer setup or local reinforcements can lead to deformation or damage of the textile structure. This can be avoided by means of cutting the NCF in pieces, stacking them and compensating the local reinforcements (Figure 9).

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Figure 9. winding (left) and stacking (right) of NCF with local reinforcements

To deposit the separated pieces on a stack, a conveyor belt system is used. The movement of the belt system can be divided into four phases (Figure 10), which are described in the following.

Figure 10. Phases of the motion sequence

Carrying: The Tailored NCF is transported by means of a transport chain. The speed of the transport chain is constant. The Tailored NCF is cut out of the transport chain with diamond disc blades and subsequently separated into pieces with an ultrasonic cutting system. The separated pieces (1) slide at the end of the take-off unit (2) on the conveyor belt (3). Between conveyor belt and belt guide (4) is no relative motion. The belt guide moves with the same speed as the transport chain (5).

Acceleration: A distance between the first piece and the subsequent pieces is created. The belt guide is accelerated as soon as the first piece lies with more than half of its mass on the conveyor belt. A relative motion between conveyor belt and belt guide does not take place. The belt guide is accelerated and is slowed down just before reaching the final position

Deposition: The belt guide moves back in starting position, under the transport chain. Meanwhile the conveyor belt moves relative to the guide at the same speed in opposite direction. Therefore the absolute position of the piece is constant and it slides off the conveyor belt onto the stack (6).

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Aligning: The movement of the conveyor belt is stopped. The belt guide movement is stopped, reversed and subsequent accelerated to speed of the transport chain. The end of the take-off unit is reached coinciding with the next piece.

The separation of the NCF in pieces will be done by an ultrasonic cutting system, which is developed by EM-Systeme GmbH, Germany, Oberhausen. The stacking unit is developed and mechanically realized at ITA. The actual state of the stacking unit is shown in Figure 11.

US-Cutting system

Conveyor belt

Longitudinal motion (drive)

Conveyer belt drive

Multiaxial warp-knitting machine

Figure 11. Cutting and stacking unit

In a second step the local reinforcements have to be compensated to avoid fibre disorientations and damage of the textile. This can be done by means of (Figure 12):

• Filling the spaces with additional material by means of a tape layer

• Separating flat pieces with moulds

• Paternoster System

Figure 12. Compensation units: tape layer (left), moulds (middle) and paternoster system (right)

Each of the systems has certain advantages and disadvantages. Filling spaces with additional materials cause scrap. Therefore a recyclable material has to be used. Moulds will lead to additional process steps in the subsequent preforming process, when the moulds have to be separated. The paternoster system needs more space compared to the two other systems. When system one or two is applied additional height compensation with a lifting table is necessary to keep the top layer always in the same position. Therefore the best system has to be selected in dependence of the boundary conditions, like number of pieces, available space, flexibility, shape of the Tailored NCF and so on.

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4 MULTI-STEP PREFORMING As mentioned before, multi-step preforming corresponds to the assembly line in steel processing. Semi finished parts such as multiaxial non-crimp fabrics or woven fabrics, but also the above described Taylored-NCF, are being assembled to complex shaped, highly integrated preforms in a sequence of automated process steps. The main steps within this textile assembly process are cutting, handling, draping and joining of the textiles. At ITA, the ITA-Preformcenter was established for enhancing single technologies and for realizing fully automated preforming processes at lab-scale. A schematic picture of the ITA-Preformcenter is shown in Figure 13. The single preforming technologies are briefly introduced in the following [13].

Binder

Cutting

Handling/Draping

Quality control3D sewing

Preformcenter

Figure 13. ITA-Preformcenter

Cutting

Manual cutting operations are usually performed using wheel cutters, standard- or electrical scissors. Productivity, accuracy and reproducibility can significantly be increased using automated state-of-the-art cutting technologies. When cutting textiles prior to being processed in subsequent preforming processes, CNC-cutting tables are suitable devices. The cutting principles used typically are rotating cutting discs or oscillating knives. In both cases, the textiles are usually fixated by vacuum.

Preforms for RTM-processing have to fulfill certain tolerances concerning their contour as variations in size can lead to race tracking and thus to an incomplete impregnation. Edge-trimming operations using robotically operated ultrasonic knives are a suitable way to fulfill tolerance requirements of RTM. Due to the geometrical flexibility of standard robots, even complex shaped preforms can be trimmed.

Handling

Other than cutting, the handling of limp semi-finished parts such as reinforcement textiles is an enormous challenge for automation. Still it is a very important process step, as handling operations are the interface between all other named operations. Various handling devices have been invented in order to automate the preforming process. These devices typically use needle-, vacuum-, bernoulli-, electrostatic- or cryo-grippers. More sophisticated devices are capable of

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positioning pre-cut textiles into uniaxial or even slightly multiaxial curved molds. However, so far none of these devices are able to fulfill all requirements of preforming of textile reinforcement structures which are low damage, no contamination, low fibre disorientation and sufficient holding forces along with high accuracy. Thus, most handling and draping operations are still accomplished manually at present while automated technologies for this part of the preforming process are currently under investigation. In particular, the difficulties in automating draping processes are getting even stronger if locally adjusted NCF are used instead of standardized ones. Therefore, the development of textile machine technology for tailored preforms – as described above – has to go hand in hand with the characterization and finally with the simulation of textile fabrics. In this way, it can be best guaranteed that tailored preforms can keep up their good mechanical performance and allow lowering the amount of manual work during handling as well as draping. ITA is performing research in the field of draping characterization. A draping tester was established in order to measure the deformation behavior of textiles more closely to real world draping processes [14]. Based on the optical 3D measuring system ARGUS, the strain field of draped textiles are recorded and can be used for experimental characterization as well as for the calibration and validation of numerical simulations [15].

Joining

Within preform production, joining technologies can be used for several reasons. On the one hand joining textile semi-finished parts can increase handling properties of the preforms and avoid frazzling. While this affects the production process, joining can also well-directed influence properties of the cured composite, such as fracture toughness or interlaminar shear strength and energy release rate.

The joining of multiple textile layers can be realized by means of both one-sided stitching and binder technologies. Several one-sided stitching devices are available for robotically operated stitching processes of large and complex preforms.

Binders can either be applied extensively during the production of the textile semi-finished part or locally while processing these semi-finished parts. Local application of binder materials is realized by means of a hotmelt spraying device. The robotically guided application, allows for exact dosage and also local application of the binder in complex patterns. To activate the binder, a novel hotpress-technology was developed and implemented at ITA. 5 CONCLUSION The transfer of steel processing technologies to preform production is an approach to close the gap between required FRP parts in a serial production and state of the art preform production. Thereby Tailored NCF, which comprise locally adjusted properties such as fiber orientations, thickness, drapability and bending stiffness are converted into near net-shape textile preforms in a sequence of automated process steps.

The needed production technologies for Tailored NCF: electro-mechanical driven guide-bar, feeding module and stacking unit are developed and realized at ITA.

Multi-step preforming describes the conversion of Tailored NCF and other fabrics to complex preforms. To enhance the productivity technologies for cutting, handling and joining are individually analyzed and further developed.

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6 ACKNOWLEDGMENTS Thanks to the German Research Foundation (DFG) for supporting the research group 860 ("New process chains for continuous filament reinforced plastic components: Integration of preforming, impregnating, molding and crosslinking"). This paper was aleady published in In: Erath, Mark E. (Ed): SETEC 11 : Advanced Composites, The Integrated System ; Proceedings of the 6th Technical Conference and "Table Top" Exhibition of the Society for the Advancement of Materials & Process Engineering held at the Holiday Inn Hotel, Leiden, The Netherlands, September 14th - 16th, 2011. - Riehen : SAMPE Europe Conference Management, 2011, S. 443-455 ISBN 978-3-952 3565-4-8 References [1] Voggenreiter H.; Wiedemann M.; Hirzinger, G.; Dudenhausen, W.; Meyer, M.: Challenges in

Production of Carbon-Fibre Reinforced, Aerodays Madrid, March 2011 [2] Wilson, A.: The carbon fibre conundrum – where will it all come from, Technical textiles

international : TT international (2011), Bd. 20, H. 4 [3] Beier U.: High-performance fibre-reinforced composites prepared by a novel preform

manufacturing routine; Bayreuth : Wissenschaftlicher Arbeitskreis Kunststofftechnik (WAK) / Kunststoffe.de

[4] Grundmann, T; Gries, T.: AutoPreforms : das FVK-Bauteil und dessen Herstellung in einer automatisierten Prozesskette; In: Henning, Klaus; Michulitz, Christiane (Hrsg.): Unternehmenskybernetik 2020 : betriebswirtschaftliche und technische Aspekte von Geschäftsprozessen ; Wissenschaftliche Jahrestagung der Gesellschaft für Wirtschafts- und Sozialkybernetik und des Instituts für Unternehmenskybernetik am 15. und 16. Mai 2007 in Aachen. - Berlin : Duncker & Humblot, 2009, S. 115-120

[5] N.N.; LIBA Maschinenfabrik GmbH (2007), Tricot Machine with Multiaxial Weft Insertion: COPCENTRA MAX3 CNC, Naila: LIBA Maschinenfabrik GmbH, 08/2007 [corporate literature]

[6] Ermanni P.; Composites Technologien, Kapitel 7 Textile Halbzeuge, Skript zur ETH-Vorlesung; 151-0307-00L, Version 4.0, Zürich, August 2007

[7] KARL MAYER Textilmaschinenfabrik GmbH (2009), Technical Textiles, Obertshausen; KARL MAYER Textilmaschinenfabrik GmbH, 04/2009 [corporate literature]

[8] Palinsky, A., Eisenhauer, C., Bünker, J., and Ischtschuk, L.; “Effizientere Faserverbundherstellung durch den Einsatz funktionalisierter Multiaxialer Gelege (More Efficient Composite Production Using Functionalized Non-Crimped Fabrics (NCF's).)”; In: Dörfel, A. (Ed.): Proceedings of the 2nd Aachen-Dresden International Textile Conference, Dresden, December 04-05, 2008. - Dresden: Institute of Textile and Clothing Technology, TU Dresden (2008)

[9] Hanisch V, Henkel F and Gries T (2007), Performance of textile structures determined by accurate machine settings,14th International Techtextil - Symposium, Frankfurt am Main, 11 – 14.06.2007.

[10] Hufenbach W (Editor), „Textile Verstärkungen, Halbzeuge und deren textiltechnische Fertigung [Ch, Di, Gr]“ and „Bauteilentwicklung Versteifte Schale [Mi, Re, Schm]“ in Hufenbach W, Textile Verbundbauweisen und Fertigungstechnologien für Leichtbaustrukturen des Maschinen- und Fahrzeugbau , Dresden, SDV - Die Medien AG, 25-56,60-72 and 338-345,352-364.

[11] Kruse, F.F.; Schnabel, A.; Linke, M.; Gries, T.: Adjustment of the local drapability of non crimped fabrics by an electro-mechanical driven guide-bar, In: Dörfel, Annett (Ed.): Proceedings of the 4th Aachen-Dresden International Textile Conference, Dresden, November 25-26, 2010. - Dresden : Institute of Textile Machinery and High Performance Materials Technology (ITM), 2010, Paper: p78_kruse.pdf

[12] Kruse, F.; Schnabel, A.; Behling, T.; Gries, T.: Automated textile preforming of semi-finished fabrics for the mass production of fibre-reinforced plastic components, In: Lahlou, M.; Koncar, V. (Ed.): 2nd International Scientific Conference "Intelligent Textiles and

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Mass Customisation" ITMC'2009, November 12 - 14, 2009, Casablanca, Morocco. - Casablanca ; Roubaix : ESITH ; ENSAIT, 2009, S. 25-26

[13] Grundmann, T.: Automatisiertes Preforming für schalenförmige komplexe Faserverbundbauteile, Aachen, Rheinisch-Westfälische Technische Hochschule Aachen, Dissertation, 2009: Zugl. Aachen: Shaker, 2009

[14] Kruse, F.; Linke, M.; Friebe, H.; Klein, M.: Estimation of material properties for draping simulations of carbon ans glassfiber textiles using a 3-D optical deformation measurement system, In: Erath, Mark A. (Ed.): New Material Characteristics to cover New Application Needs : SEICO11 ; SAMPE Europe 32nd International Technical Conference & Forum, March 28th - 29th, 2011, Paris. - Riehen : SAMPE Europe Conferences, 2011, S. 450-455

[15] Friebe, H.; Galanulis, K.; Klein M.: Numerical comparison and verificat ion of FEA in sheet metal forming by opt ical measurements of large and complex parts. Proceedings of IDDRG 2010, Graz, Austria pp. 935-944, ISBN 978-3-85125-108-1

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L’AZOTO NELLA PRESSURIZZAZIONE DI AUTOCLAVI PER LA POLIMERIZZAZIONE DI MATERIALI COMPOSITI

A. Recanati SIAD S.p.A. - Divisione Sviluppo Applicazioni - via San Bernardino, 92 Bergamo [email protected]

Keywords: azoto, sicurezza, autoclave, incendio

Abstract L’impiego di azoto gassoso, in sostituzione dell’aria, come gas di pressurizzazione delle autoclavi utilizzate per la polimerizzazione dei materiali compositi, permette di prevenire, in caso di innesco, il propagarsi di incendi garantendo una maggior sicurezza del processo, e salvaguardando gli impianti (le autoclavi) e le attrezzature (gli stampi) da possibili danni. Nell’articolo oltre ad un’analisi delle condizioni che portano ad avere lo sviluppo di un incendio, verrà descritto l’impianto di stoccaggio ed evaporazione dell’azoto dimensionato per potere raggiungere la pressione di lavoro desiderata nel rispetto del tempo di pressurizzazione richiesto associato al ciclo di polimerizzazione.

1 I materiali compositi L’impiego dei materiali compositi sta trovando e troverà sempre maggiori applicazioni in diversi settori industriali, tra cui il più importante è sicuramente quello aeronautico aerospaziale seguito da quello dell’automotive. Non vanno però trascurati quello navale, chimico, edile, elettrico, agricolo, sportivo e di design. Consci del fatto che l’impiego dei materiali compositi in ambito aeronautico ha segnato una svolta grazie alla possibilità di incrementare l’efficienza strutturale delle costruzioni aeronautiche, dove per efficienza strutturale si intende la capacità di soddisfare i requisiti di rigidezza e resistenza strutturale con il minimo peso possibile; tra le tecnologie di formatura ci soffermeremo sui processi di formatura in autoclave per la produzione di materiali compositi a matrice termoindurente che costituiscono circa il 75% dei manufatti in composito per applicazioni commerciali. Per tecnologia di formatura si intende un processo produttivo caratterizzato dalla deposizione del composito, inteso come insieme di fibre e matrice, su di uno stampo opportuno che conferisce allo stesso la forma desiderata a seguito di un processo di polimerizzazione. I metodi di laminazione sono quelli maggiormente impiegati perché permettono di produrre componenti anche con forme complesse. La polimerizzazione è la fase che conferisce al laminato le caratteristiche finali e affinché avvenga ciò è necessario agire su due parametri: temperatura e pressione. L’aumento della temperatura favorisce la reticolazione accelerando il processo e conferendo alla resina caratteristiche e prestazioni superiori. Ad ogni resina è associato un ciclo di polimerizzazione ottimale ossia una temperatura di polimerizzazione a cui corrispondono le caratteristiche fisiche e meccaniche migliori. Perché le caratteristiche meccaniche della resina siano elevate è però necessario ridurre il contenuto di vuoti della stessa: evacuare bolle di aria e le sostanze

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volatili che si sviluppano nel corso del processo di polimerizzazione per non diminuire la resistenza a taglio del laminato. Per ridurre il più possibile il contenuto di vuoti, si combina l’azione di una pressione esterna (al sacco da vuoto), che preme il laminato contro lo stampo, con la depressione esercitata dal sacco da vuoto. Questi due effetti permettono di ottenere un laminato con un livello di compattazione molto elevato. Nei casi in cui si applichi solo l’azione del vuoto, si nota, in particolare nei laminati spessi, che non si ha una soddisfacente adesione interlaminare.

Figura 1. Schema di un sacco da vuoto per la polimerizzazione dei laminati in composito I compiti principali del sacco da vuoto (Figura 1) sono:

� evacuare le bolle d’aria presenti nel laminato; � evacuare le sostanze volatili presenti nella resina del pre-impregnato; � favorire l’adesione tra le lamine.

L’azione del sacco da vuoto risulta più efficace durante lo svolgimento del ciclo di polimerizzazione perché in questa fase la resina risulta più fluida a causa dell’aumento della temperatura quindi si ha un flusso di resina dallo stampo verso la superficie esterna attraverso lo spessore del laminato accompagnato dalla fuoriuscita dal laminato stesso delle bolle d’aria e delle sostanze volatili.

L’autoclave è l’impianto tipicamente utilizzato allo scopo di controllare la temperatura, la pressione e il vuoto all’interno del sacco. Con questo tipo di impianto il laminato è sottoposto ad un ciclo di polimerizzazione in temperatura mentre contemporaneamente agisce su di esso uno stato di pressione idrostatico. Questo fa sì che sul laminato agisca uno stato di sforzo che è in ciascun punto diretto come la normale del laminato in quel punto. E’ quindi verificata la condizione ottimale per la compattazione delle lamine. Conseguenza di ciò, ed è il motivo principale per il quale la formatura in autoclave è la tecnologia più utilizzata in ambito aerospaziale e non solo, si ottengono dai manufatti aventi caratteristiche meccaniche migliori rispetto a quanto ottenibile con altre tecnologie. La temperatura è controllata in fase di riscaldamento, mantenimento e raffreddamento e i gradienti di riscaldamento/raffreddamento, sono stabiliti a seconda delle specifiche richieste dall’utilizzatore. La pressione viene regolata in fase di pressurizzazione, mantenimento e scarico per mezzo di valvole modulanti gestite da un sistema di controllo mediante il quale si determina la quantità di gas (aria o azoto) necessari al ciclo. Perchè il ciclo in autoclave sia eseguito correttamente è necessario garantire l’isolamento tra il volume interno al sacco da vuoto e l’atmosfera esterna pressurizzata. Questo compito è assolto dal sacco da vuoto indipendentemente dal livello di depressione creato. Se non ci fosse questa separazione la pressione idrostatica sarebbe per definizione presente ovunque e

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quindi anche all’interno del laminato (ovvero fra lamina e lamina) con il risultato che non agirebbe nessuna differenza di pressione e quindi non si avrebbe nessuna compattazione. Nell’autoclave dunque, il sacco da vuoto ha una funzione fondamentale: senza il sacco non è possibile effettuare la compattazione. Le dimensioni della camera interna e le specifiche operative dell’impianto sono completamente customizzabili e spesso vengono dimensionate e costruite in funzione del componente che deve essere prodotto.

2 Pressur izzazione mediante azoto

La maggior parte delle autoclavi impiegate per compositi a matrice termoindurente, hanno in genere temperatura e pressione massime di lavoro pari rispettivamente a 200°C e 10 barg. Nei cicli standard la camera dell’autoclave è pressurizzata con aria, tuttavia non sono rari i casi in cui la pressurizzazione venga eseguita con azoto. L’azoto viene impiegato perché permette di prevenire il propagarsi di incendi nel caso di innesco. Si sono infatti verificati casi di incendio di autoclavi, pressurizzate mediante aria, a seguito di rottura del sacco a vuoto dentro cui è racchiuso il laminato: la fuoriuscita dei composti organici volatili che si sviluppano durante la fase di polimerizzazione favorisce la formazione di miscele potenzialmente infiammabili la cui combustione, in presenza di innesco, è sostenuta dall’ossigeno contenuto nell’aria. Le sostanze volatili possono essere residui di solventi utilizzati nella produzione della resina oppure di altre sostanze utilizzate nella fase di impregnazione delle fibre. Non si deve trascurare che la reticolazione è un processo fortemente esotermico che in alcuni casi può determinare l’autocombustione del materiale come principio di combustione. I fattori che possono determinare la necessità di utilizzare gas inerti sono:

� temperature di polimerizzazione delle resine superiori a 150°C; � inerzia termica degli stampi elevata; � spessori dei laminati da polimerizzare elevati.

Sebbene lo sviluppo di un incendio in autoclave avvenga raramente, quando succede questo determina significative perdite economiche di seguito elencate:

� danni all’autoclave; � perdita degli stampi utilizzati; � perdita del prodotto in fase di polimerizzazione; � perdita di produzione dovuta al tempo necessario per ripristinare e riqualificare

l’autoclave. La percentuale residua di ossigeno in autoclave nel caso in cui si utilizzi l’azoto come mezzo di pressurizzazione deve essere sufficientemente bassa per evitare che possa sostenere un incendio in caso di innesco. Per le resine epossidiche la percentuale di ossigeno deve essere inferiore al 6%; al variare delle resine e nel caso di temperature di polimerizzazione maggiori, il valore decresce. In genere quando si esegue il processo di polimerizzazione in autoclave si suggerisce di effettuare un prelavaggio della camera interna immettendo una portata di azoto pari a 3 volte il volume libero della camera in modo da ridurre la percentuale di ossigeno libero sotto l’1%. Una volta eseguito il lavaggio è possibile avviare il processo di polimerizzazione nel rispetto del ciclo di cura ossia l’insieme dei cicli di polimerizzazione, di pressione e del vuoto da realizzare per ottenere laminati in grado di soddisfare le elevate prestazioni richieste.

L’impiego dell’azoto come gas di processo necessita comunque l’utilizzo dell’aria in quanto, una volta concluso il ciclo di cura, condotto in atmosfera inerte, per motivi di sicurezza degli

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operatori (possibilità di asfissia) è necessario eseguire il lavaggio dell’autoclave con aria finché la percentuale di ossigeno interna all’autoclave venga ripristinata a condizioni normali (circa il 21%).

Gli operatori che si trovano ad operare abitualmente sulle autoclavi pressurizzate ad aria, nel caso in cui avvenga la rottura di un sacco da vuoto e la temperatura non abbia ancora raggiunto il valore per far partire la reazione di reticolazione, interrompono il processo, estraggono i laminati per un tempo breve e necessario per ripristinare il danno creatosi per poi far ripartire la sequenza da dove si era interrotta. Qualora la rottura del sacco avvenga mentre è in corso un ciclo in atmosfera inerte, affinché si possa aprire l’autoclave è prima necessario un lavaggio con aria: solo quando le sonde di rilevazione dell’ossigeno contenuto all’interno dell’autoclave rileveranno un valore idoneo, maggiore del 20%, allora grazie d un segnale di consenso, sarà possibile aprire l’autoclave per effettuare la riparazione del sacco da vuoto.

2.1 Descrizione dell’impianto di fornitura azoto

A seconda della modalità di lavoro del singolo cliente, SIAD è in grado di proporre la soluzione tecnica idonea per soddisfare il tempo di pressurizzazione richiesto per ciascun impianto considerando anche l’eventuale riempimento contemporaneo di due o più autoclavi. In genere la modalità di fornitura dell’azoto per inertizzare le autoclavi impiegate per la polimerizzazione dei materiali compositi, avviene tramite fornitura di azoto liquido stoccato in condizioni criogeniche alla temperatura di -196°C in apposito contenitore.

Figura 2. Piazzola di stoccaggio ed evaporazione azoto liquido SIAD mette a disposizione dei propri clienti una gamma completa di contenitori criogenici ciascuno dei quali è costituito da un recipiente interno in acciaio inossidabile supportato a mezzo di sospensioni elastiche antitermiche, il quale è contenuto in un involucro esterno in acciaio al carbonio. L'intercapedine tra i due recipienti costituisce la zona di coibentazione: riempita con uno speciale coibente, è mantenuta sotto vuoto spinto, in modo da evitare

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evaporazione di liquido per dispersioni termiche anche quando l’erogatore rimane fuori servizio per qualche giorno. Il contenitore oltre allo stoccaggio è destinato non solo allo stoccaggio ma anche all’erogazione del prodotto a pressione costante.

Figura 3. Caratteristiche geometriche dei contenitori criogenici

Per poter gassificare l’azoto liquido stoccato nel contenitore, a valle del contenitore stesso si installa un sistema di evaporazione dimensionato in funzione della portata di processo. Nel nostro caso la portata e la pressione di erogazione dovranno essere tali da permettere la pressurizzazione dell’autoclave nel rispetto del tempo di pressurizzazione richiesto. Per la maggior parte delle applicazioni si impiegano evaporatori atmosferici ma esistono e sono impiegati anche evaporatori a vapore e ad acqua.

Sulla linea di erogazione dell’azoto viene installata, una valvola automatica di blocco dell’erogazione che interviene nel caso di raggiungimento di temperature inferiori a -20°C, come richiesto e specificato dalla circ. ISPESL n. 53 del 23/12/2003 e come modificata dalla circ. ISPESL n. 09 del 19/7/2004, per prevenire il rischio di rottura per infragilimento da bassa temperatura, dove le parti dell’impianto di utilizzo a valle del sistema di vaporizzazione siano realizzate con materiali non resilienti.

3 Conclusioni

La soluzione per prevenire il propagarsi di incendi nelle autoclavi dedicate alla polimerizzazione dei materiali compositi, consiste nell’impiego dell’azoto in sostituzione

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dell’aria come gas di processo. SIAD è in grado di fornire il supporto tecnico necessario per dimensionare gli impianti di stoccaggio ed evaporazione dell’azoto considerando le caratteristiche delle autoclavi e i cicli di cura eseguiti dall’utilizzatore. Bibliografia

[1] Todd Taricco, Autoclave Cure Systems, Manufacturing Processes: Aerospace, pp 645- 648 [2] www.hindawi.com/journals/ijae/2011/985871 [3] http://www.osha.gov/dts/osta/otm/otm_iii/otm_iii_1.html

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SVILUPPI NELLA TECNOLOGIA DI DOSAGGIO, PER PRODOTTI VERNICIANTI BICOMPONENTI E RESINE EPOSSIDICHE NEL C ICLO

DI FINITURA DI UN COMPOSITO

Alessandro Soba – Verind Spa

Verind S.p.A. Via Papa Giovanni XXIII 25/29 20090 Rodano (Mi)

[email protected]

Abstract

L’applicazione di prodotti vernicianti bicomponenti nel ciclo di verniciatura di un composito e di resine epossidiche, ad esempio nel processo RTM ed Infusione, richiedono apparecchiature che garantiscono e certifichino il processo di dosaggio stechiometrico dei due componenti, al fine di assicurare la corretta catalisi del prodotto applicato. Una risposta attuale è l’impiego di tecnologie di dosaggio con flussimetri massici “Coriolis” in alternativa ai sistemi tradizionali a pistoni o ingranaggi. I vantaggi dati dall’utilizzo della tecnologia 2K sono il controllo delle variabili del processo quali: portata, rapporto di catalisi, temperatura e densità dei singoli componenti. L’innovazione tecnologica è sempre più orientata a soddisfare il requisito primario di “azzerare la difettosità”, nel processo di costruzione del composito.

1 Attività industriali Verind

Fatturato K€ 33.488 (2010)

Impiegati n. 59

Sede Rodano (MI)

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2 Tecnologie per materiali compositi Tecnologia stampo aperto: gelcottatrici-resinatrici-taglia e spruzzo-rullatrici-sistemi automotici per robot Tecnologia stampo chiuso: RTM-RTML-VIP (infusione)-RIM Apparecchiatura per barrier Coat: gruppo gel-coat alta pressione

Apparecchiatura per adesivi strutturali: macchine 2K di pompaggio, dosaggio, miscelazione ed applicazione

Verniciatura: gruppi di pompaggio e spruzzatura- macchina elettronica 2K mixVer- pistole manuali ed automatiche Apparecchiatura per stucco con microsfere: gruppo di estrusione e dosaggio 2K con controllo di pressione Apparecchiature per paste da modelleria: macchina 2K elettronica per estrusione di paste poliuretaniche, epossidiche e tixotropiche

3 Apparecchiature per prodotti 2K

La gamma dei prodotti bicomponenti comprende resine epossidiche, resine poliuretaniche, resine poliesteri, resine ureiche, vernici a base solvente, vernici a base acqua; catalizzatori: ammine, polisocianato, perossido, acidi.

Quando il catalizzatore si miscela con la resina, il processo di indurimento inizia immediatamente ed il tempo possibile di applicazione varia da pochi secondi ad alcune ore: il tempo di “pot-life”(tempo di vita) è il limite dopo il quale il prodotto catalizzato non può più scorrere nei tubi e nelle pistole: la pulizia dell’apparecchiatura diventa impossibile.

4 Cicli di verniciatura per un composito

Le apparecchiature di spruzzatura consentono di applicare cicli completi: Primer 1K/2K, Smalto 1/2K, metallizzato/perlato; Trasparente 2K

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5 Apparecchiature per prodotti 2K In una apparecchiatura idonea per prodotti bicomponenti si distinguono: il dosaggio secondo i rapporti raccomandati dal fornitore del prodotto viene realizzato con diversi componenti o macchine; la miscelazione (omogenizzazione) dei due componenti. Il tipo di miscelatore dipende dalla viscosità e dal tempo di “pot-life” La loro configurazione dipende dai valori del rapporto che può variare da 1:1 a 100:1, dalla precisione richiesta e se si vogliono utilizzare apparecchiature a rapporto fisso o variabile. L’utilizzo di prodotti vernicianti bicomponenti implica una pre-miscelazione dei due componenti secondo un ben definito rapporto di catalisi stechiometrico. Somministrando calore il tempo di vita della miscela diminuisce. La tecnologia più aggiornata prevede oggi apparecchiature elettroniche che utilizzano flussimetri massici o volumetrici per effettuare il dosaggio. Entrambe comprendono: un gruppo di dosaggio un gruppo di miscelazione un gruppo di lavaggio PLC di gestione con algoritmo di regolazione.

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6 Gruppo di miscelazione

I due componenti una volta dosati nelle giuste proporzioni devono essere miscelati fra di loro e la natura degli stessi può richiedere una miscelazione più o meno intima al fine di ottenere un buon risultato. I miscelatori più usati sono: miscelatori statici, miscelatori dinamici, calibratiI miscelatori statici più largamente usati sono dei tubi con all’interno delle semieliche, disposti a 90° l’uno dall’altro ed in modo tale che il flusso laminare si trasformi in turbolento e che all’attraversamento di un elemento rispetto al successivo la vena fluida si tagli a metà. Avremo pertanto, nel tubo, una turbolenza ed un frazionamento di vena che obbedisce alla legge matematica di 2n (n= numero degli elementi). Normalmente vengono utilizzati 32 elementi.

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7 Gruppo di lavaggio

Nel punto in cui i due componenti vengono a contatto fra di loro dopo un certo tempo (che è ovviamente il tempo di pot-life) inizia il processo di catalisi fino al suo completo indurimento.

È pertanto necessario inserire nel sistema un’apparecchiatura specifica per il lavaggio e spurgo del prodotto premiscelato. Normalmente si utilizza un solvente dedicato e compatibile al prodotto da applicare.

8 Apparecchiatura di dosaggio con tecnologia Coriolis

Per prodotti vernicianti a solvente e idrosolubili

Caratteristiche Tecniche: PLC Siemens (alta tecnologia); Tecnologia a valvole di iniezione in combinazione con Flow-Meters; controllo con tecnologia ad iniezione per entrambi i canali vernice e catalizzatore; rapporto di catalisi *1:0 a 50:1 idoneo per tutti i campi di pressione fino a 200 bar; range portate fino a 6000 ml/Min. * In funzione dei parametri applicativi di viscosità* 9 Tecnologia “Coriolis“: vantaggi Le specifiche tecniche e relativi vantaggi per il controllo del processo di dosaggio, rispetto ad altre tecnologie, includono: misurazione continua e visualizzazione su touch screen della temperatura e densità della vernice e catalizzatore allarme per fuori range densità e temperatura lato vernice e catalizzatore allarme per fuori rapporto di catalisi stechiometrico impostato allarme per mancanza catalizzatore e vernice ciclo cambio colore personalizzato per ricetta/colore ciclo di lavaggio con controllo in volume del solvente impostato su ricetta (non a tempo) assenza di elementi di rotazione come ingranaggi e/o pompanti assenza del polmone mixer integratore HW e SW per inserimento catalizzatori aggiuntivi

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doppio circuito di lavaggio indipendente per componente A e componente B completo di valvole attuate indipendenti in fase di cambio colore è previsto il lavaggio da programma dei flussimetri Coriolis lato vernice e lato catalizzatore riduzione ed ottimizzazione dei consumi vernice e solvente in fase di lavaggio e cambio colore 10 Principio di Coriolis Il principio di misura è basato sulla generazione controllata di forze di Coriolis. Queste forze sono sempre presenti quando siano sovrapposti movimenti di traslazione e rotazione. L'ampiezza delle forze di Coriolis dipende dalla massa in movimento ∆m, dalla sua velocità v nel sistema e, quindi, dalla portata massica. Invece di una velocità angolare costante ω, il sensore utilizza l'oscillazione. Il misuratore, attraverso cui passa il fluido, oscilla. Le forze di Coriolis prodotte nel misuratore provocano uno sfasamento nelle oscillazioni del tubo. Quando la portata è pari a zero, ossia quando il fluido è fermo, l'oscillazione registrata nei punti A e B è in fase, ossia non c'è differenza di fase (1). La portata massica causa decelerazione dell'oscillazione all'ingresso del tubo (2) ed accelerazione all'uscita(3).

La differenza di fase (A-B) aumenta con l'aumento della portata massica. Sensori elettrodinamici registrano le oscillazioni del tubo in ingresso ed in uscita. Il principio di misura è indipendente dalla temperatura, pressione, viscosità, conducibilità e profilo di fluido. 11 Apparecchiature ed applicazioni Le apparecchiature previste per realizzare “particolari” e “strutture” in materiale composito rispondono ad un fondamentale principio: “azzerare la difettosità” nella costruzione del composito Importante è realizzare sistemi di dosaggio avanzati, integrati nel processo, che prevedono: ingegneria certificata, controllo dei parametri di processo in loop chiuso, visualizzazione e

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stampa dati, collegamento a rete ethernet per monitoraggio dati, affidabilità, accuratezza e precisione dei componenti, test e protocollo di collaudo. 12 Service Assistere il cliente nel naturale sviluppo tecnologico è per Verind un aspetto fondamentale di partnership. Centri di assistenza dislocati sul territorio nazionale, interventi tempestivi dalla sede Verind più vicina. Supporto tecnico e commerciale. Gestione post-vendita e ricambistica.

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COMPORTAMENTO AD INSTABILITÀ DI PANNELLI SANDWICH COSTRUITI MEDIANTE DIFFERENTE METODO PRODUTTIVO : HAND LAYUP ED INFUSIONE, E RELATIVA MODELLAZIONE

NUMERICA

M. Gaiotti1*, C.M. Rizzo1

1DITEN (Dipartimento di ingegneria navale, elettrica, elettronica e delle telecomunicazioni), Università degli studi di Genova, Via Montallegro 1

*[email protected]

Keywords: Sandwich, Buckling, FEM, Infusione

Abstract Il contributo che si intende presentare si propone di investigare la resistenza di pannelli sandwich in composito, le cui caratteristiche risultino compatibili con l’impiego nell’industria navale e nautica; l’interesse è focalizzato sull’influenza che ha il processo produttivo sulle proprietà meccaniche del laminato, con particolare riferimento al problema dell’instabilità elastica. Le analisi numeriche e sperimentali, sviluppate presso il Marine Structures Testing Lab (MaSTeL) dell’Università degli Studi di Genova, si concentrano su provini rettangolari, le cui dimensioni e geometrie sono state pensate per indurre un cedimento ad instabilità, essendo questo il tipico modo di collasso a compressione per pannelli sandwich con pelli sottili. I dati sperimentali sono poi stati confrontati con differenti modelli numerici realizzati con lo scopo di includere gli effetti dovuti delle grandi deformazioni dell’anima del sandwich in PVC in condizioni di instabilità elastica, nonché le complesse interazioni fra pelli in vetroresina e anima. Le conclusioni si propongono di fornire al progettista alcune considerazioni sulla costruzione di modelli numerici efficienti e affidabili per prevedere il comportamento a buckling e post-buckling di scafi in sandwich, approfittando della calibrazione degli stessi resa possibile attraverso l’interpretazione dei dati sperimentali.

1 Introduzione L’industria nautica ha, di anno in anno, esteso l’utilizzo dei compositi sfruttando i benefici introdotti dai moderni metodi produttivi al fine di costruire scafi con strutture dalle elevate prestazioni meccaniche. In particolare, è ormai noto quanto il principio costruttivo del sandwich permetta di massimizzare il rapporto peso resistenza, semplice ma importante indice di efficienza strutturale. Sebbene le proprietà meccaniche di un composito, incluso un laminato sandwich, possano essere stimate secondo le classiche teorie lineari in funzione del contenuto di rinforzo (Greene 1999), la più nota delle quali rimane la teoria classica del laminato (CLT), le caratteristiche ricavate spesso differiscono dai valori rilevati sperimentalmente. A causa

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dell’alta complessità dei compositi, inoltre, la caratterizzazione meccanica per particolari stati limite è ancora di difficile definizione anche per la scarsa reperibilità di valori sperimentali in letteratura. In questo articolo vengono presentati i risultati di una campagna sperimentale volta a investigare se il processo di infusione, applicato a sandwich con pelli in vetroresina e anima in PVC, fornisca miglioramenti meccanici rispetto al tradizionale processo produttivo di ‘hand lay-up’ limitatamente agli stati limite di compressione; secondo, ma altrettanto importante obiettivo, riguarda la validazione di modelli numerici avanzati per collassi provocati da instabilità elastica mediante confronto numerico sperimentale. Kardomateas (2005) ha suggerito una soluzione analitica per l’analisi ad instabilità di pannelli sandwich partendo dalla teoria classica di linearizzazione agli auto valori, ma Hohe et al. (2005), nello stesso anno, hanno chiaramente mostrato come una teoria lineare del problema mostri limiti evidenti, indotti dalla comprimibilità trasversale dell’anima, proponendo un modello ad elementi finiti in grado di includere le non linearità geometriche. L’instabilità elastica è un processo complesso che induce una forte criticità strutturale, come mostrato da Sorensen et al. (2009), in particolare quando si ha a che fare con una struttura in sandwich: essa può portare ad un rapido e inaspettato collasso, in particolare quando si verifica in concomitanza con particolari geometrie che mostrano un crollo drastico della rigidezza post-buckling. Gli stessi autori di questo articolo, Gaiotti & Rizzo (2011), hanno recentemente analizzato il comportamento ad instabilità di una struttura in ‘single skin’, rappresentante il fondo di un’imbarcazione soggetto a compressione dovuta ai carichi globali e confrontato fra loro differenti strategie di modellazione numerica per affrontare il problema. Il comportamento strutturale di tipici compositi sandwich per uso navale/nautico viene descritto sfruttando i dati sperimentali di una nuova campagna di prove e tenendo presenti i risultati acquisiti nella citata analisi di laminati in ‘single skin’. Sono stati costruiti due pannelli rettangolari, il primo mediante infusione e il secondo utilizzando il metodo tradizionale di ‘hand lay-up’; i set di provini sono stati ottenuti da entrambi i pannelli e provati ricercando un differente comportamento ad instabilità in funzione del metodo produttivo. In una prima fase da ciascun pannello sono stati tagliati tre provini a campata lunga per valutare il collasso indotto da instabilità elastica: contemporaneamente sono stati sviluppati i modelli numerici e validati in funzione del risultato sperimentale. In seguito è stata ricercata una differente geometria, a campata corta, per indagare su un differente metodo di collasso indotto da sovraccarico nel piano di compressione, senza introdurre spostamenti trasversali significativi a seguito del ‘buckling’. La principale difficoltà incontrata nello sviluppo dei modelli numerici è causata dall’accoppiamento di due materiali con rigidezze e peculiarità geometriche completamente differenti: la pelle sottile e rigida in vetroresina si appoggia su uno strato spesso e dal basso modulo elastico rappresentato dall’anima in PVC; alla luce dei riscontri sperimentali si è potuto scegliere il modello numerico che meglio rappresenta i meccanismi fisici del problema studiato. 2 Descrizione dei provini Sono stati appositamente costruiti per le prove due pannelli sandwich rettangolari [1000x450mm]. La sequenza di laminazione è stata volutamente scelta per rappresentare una porzione di una struttura di un piccolo scafo da diporto, realizzata da pochi strati di fibra di vetro. La necessità di avere pelli sottili è data inoltre dal tipo di problema che si vuole studiare, in quanto così si accentua notevolmente il fenomeno di instabilità. Strati di fibra di vetro in matrice epossidica sono accoppiati ad un’anima in PVC spessa 1 cm. La tabella 1 e la Figura 2 riassumono la sequenza di laminazione e mostrano gli strati di tessuto impiegati, la direzionalità delle fibre e il relativo peso specifico (per unità di area o volume).

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Strato Materiale Tessuto Orientamento Peso Spessore # [g/m2] [mm] 1

fiberglass Twill 0°/90° 200 0.15

2 Biax ±45° 600 0.45 3 PVC - - 75g/m3 10.0 4

fiberglass Biax ±45° 600 0.45

5 Twill 0°/90° 200 0.15 Tabella 1. Sequenza di laminazione del sandwich

Il pannello costruito secondo il tradizionale metodo di ‘hand lay-up’ è denominato ‘Pannello A’ mentre il secondo, realizzato in una singola infusione di resina, è identificato come ‘Pannello-B’.

Figura 1. Rappresentazione della sequenza di laminazione (simmetrica)

Nella prima fase della campagna sperimentale, sono stati tagliati tre provini rettangolari [450x150mm] da ciascun pannello, facendo attenzione ad evitare zone dei pannelli originali che presentassero imperfezioni ad un attento esame visivo, come ad esempio decoesioni fibra/matrice (non perfetta trasparenza), localizzate zone di non adesione fra pelli ed anima, etc. Esempi di imperfezioni visibili sono riportati in Figura 2, mentre i provini sono descritti dalla Figura 3. I provini sono stati nominati A2, A3, A4 e B2, B3, B4, risultando ovvio il significato della nomenclatura. Gli spessori della pelle superiore ed inferiore, nonché lo spessore globale del sandwich sono stati misurati attentamente usando un calibro digitale ad intervalli regolari di 50mm sui lati di tutti e sei i provini: non sono altresì state evidenziate differenze evidenti fra i due set di provini e ciò appare indice di buona manifattura del pannello realizzato per ‘hand lay-up’ (Tabella 2).

Nominale Media Dev. standard [mm] [mm] [mm]

Panello A, hand lay-

up

Pelle sup. 0.60 1.03 0.10 PVC anima 10.0 9.42 0.20 Pelle inf. 0.60 0.94 0.12

Panello B infusione

Pelle sup. 0.60 1.21 0.14 PVC anima 10.0 9.36 0.19 Pelle inf. 0.60 0.99 0.12

Tabella 2. Statistiche dello spessore

Gli spessori misurati delle pelli sono risultati maggiori rispetto ai valori nominali, sia per quanto riguarda il pannello A che per il pannello B, inoltre le pelli superiori appaiono più spesse: ciò sembra essere dovuto ad effetti gravitazionali in quanto la laminazione è avvenuta su uno

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stampo orizzontale; infine lo spessore dell’anima è leggermente inferiore al valore nominale di 1 cm.

Figura 2. Esempi di imperfezioni visibili sulla superficie dei pannelli

Figura 3. 3+3 Provini rettangolari ricavati dai due pannelli originali, sono inoltre mostrati i punti in cui sono state

effettuate le misure di spessore

Figura 4. Provini utilizzati nei test su campata corta

Il secondo set di provini è stato pensato per indurre un collasso da sovraccarico per sforzo normale nel piano, di conseguenza è stato necessario ridurre la campata libera a 100 mm al fine di escludere effetti legati ad instabilità elastica, andando a ritagliare dai pannelli originali rettangoli di 200x150 mm; per evitare collassi sugli appoggi i provini sono stati sagomati con un intaglio a V a metà campata. Le geometrie di questa particolare serie di campioni sono riportate nelle Figure 4 e 7. In analogia con il primo set di provini, i nuovi campioni vengono nominati come A2s, A3s, A4s, B2s, B3s, B4s. 3 Test di instabilità per i provini a campata lunga Le condizioni di vincolo della prova di compressione sulla prima serie di provini a campata lunga sono riportate in Figura 5: un profilato a C in acciaio esercita una condizione di incastro sul lato superiore, mentre il lato inferiore del provino appoggia sulla testa del martinetto idraulico usato per applicare il carico di compressione, la quale consente le 3 rotazioni nello spazio. Questa particolare condizione non inficia in realtà gli obiettivi del lavoro, che si propone

fiber/matrix decohesions

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di indagare l’influenza del processo produttivo e di sviluppare un modello numerico indipendentemente dalle condizioni di vincolo imposte. La pressione idraulica nel martinetto, banalmente convertibile in carico applicato, e gli spostamenti nel piano sono stati acquisiti utilizzando un sensore di pressione ed una coppia di sensori di posizione potenziometrici disposti parallelamente ai lati lunghi del provino; è stata inoltre scelta una frequenza di acquisizione relativamente elevata (f=20 Hz) per riuscire a catturare eventuali effetti dinamici o impulsivi che possano verificarsi in fase di post-instabilità.

Figura 5. Posizionamento del provino a campata lunga per il test di instabilità.

Come facilmente immaginabile, dopo un’iniziale fase lineare nella relazione carico-spostamenti nel piano, il provino comincia a mostrare spostamenti trasversali, manifestando inoltre un decremento nella rigidezza dovuto al collasso progressivo delle fibre in prossimità del vincolo di incastro: questo fenomeno è stato osservato in cinque dei sei campioni provati, e appare causato dall’improvviso e ampio spostamento fuori dal piano nella condizione di equilibrio post-instabilità che porta ad alte concentrazioni di tensione. In ogni caso, ad esclusione di questi danneggiamenti localizzati in prossimità vincoli, in tutte le prove eseguite la rottura ha origine, a metà campata, iniziando con il cedimento della pelle in compressione e poi si estende istantaneamente all’anima portando il provino a collasso, mentre la pelle in tensione appare praticamente intatta alla fine della prova. La Tabella 3 e la

Figura 6 mostrano i risultati sperimentali per i provini ricavati dal pannello costruito in ‘hand lay-up’ e per il corrispondente in infusione; osservando i risultati si possono trarre le seguenti conclusioni:

• E’ confermato un andamento quasi lineare fino al carico di collasso per tutti i provini, • Il carico ultimo non sembra essere influenzato dal processo produttivo, mantenendosi vicino

ad un valore medio di 7.3 kN, ad eccezione dei provini A2 e B3 che mostrano una resistenza leggermente più elevata,

• I provini costruiti per infusione appaiono più rigidi di circa il 10% in termini di modulo elastico a compressione.

Campione Collasso [kN] Spostamento [mm] A2 10.8 0.92 A3 7.3 0.68 A4 7.1 0.70 B2 7.9 0.47 B3 6.9 0.49 B4 9.1 0.57 Tabella 3. Carico di collasso/spostamento corrispondente

Incastro

Foza applicata

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Figura 6. Curve carico/spostamento per i provini a campata lunga

4 Prove di compressione su provini a campata corta I provini a campata corta, descritti nel capitolo precedente, sono testati in maniera similare, a livello di condizioni di vincolo, al primo set di pannelli a campata lunga. La Figura 7 mostra le peculiarità geometriche dei suddetti provini e la definizione dei vincoli: mentre la campata del provino misura 200mm, solo 100mm sono effettivamente liberi dagli afferraggi durante la prova di compressione. Inoltre l’intaglio a V mostrato in figura è studiato per indurre il cedimento a metà campata per effetti di pura compressione senza fenomeni di instabilità; lo scopo del test è appunto il cercare di far emergere differenti modi di rottura che siano in qualche modo funzione del metodo produttivo. La seguente Tabella 4 riassume i risultati dei provini a campata corta.

Figura 7. Dettagli dei provini a campata corta e definizione vincoli

Durante i test sperimentali sono emersi due distinti modi di rottura: • Prematuro distacco delle pelli dall’anima seguito da immediata rottura della stessa, osservato

nella metà dei casi studiati, come mostrato in Figura 7(1), per un carico di collasso di circa 12 kN,

• Improvvisa rottura delle pelli che porta a cedimento globale istantaneo, osservato nell’altra metà dei casi e mostrato in Figura 7(2), per un carico di collasso di 14 kN.

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Provino Collasso [kN] / modo Spostamento [mm] A1s 12.0 / (1) 0.13 A2s 12.3 / (1) 0.14 A3s 13.9 / (2) 0.12 B1s 14.1 / (2) 0.14 B2s 15.2 / (2) 0.14 B3s 12.1 / (1) 0.16

Tabella 4. Carico di collasso/spostamento

Figura 8. Differenti modi di collasso osservati per I provini a campata corta

In questa fase della ricerca purtroppo non viene mostrata alcuna dipendenza del processo produttivo sul modo di collasso; i collassi prematuri sono comunque causati da un distacco precoce di una delle pelli dall’anima del sandwich. Se il distacco avviene, si osserva poi un tipico collasso dell’anima seguito da cedimento completo del provino sandwich, mentre, finché l’adesione tra pelli ed anima è mantenuta, il provino riesce opporsi ai carichi esterni fino a collasso per compressione delle pelli. 4 Modelli numerici 4.1 Provini a campata lunga Al fine di simulare il comportamento strutturale del laminato sandwich sotto un carico di compressione, vengono tentate differenti strategie di modellazione la cui finalità principale è la corretta simulazione degli effetti trasversali che si verificano all’interno dell’anima, costituita da una schiuma isotropa, in parte dovuti all’effetto Poisson. Gli esperimenti mostrano come questo effetto sia trascurabile per tipici casi statici, ma diventi significativoin un’analisi non lineare di instabilità, come quella presentata in questo articolo: è inoltre opportuno modellare correttamente il collegamento fra pelle e anima dal punto di vista numerico. Un’analisi linearizzata agli auto-valori viene eseguita preventivamente per identificare le forme modali, le quali in seguito sono utilizzate per definire l’imperfezione iniziale per la simulazione del collasso non lineare cui viene assegnata un’ampiezza massima iniziale di 0.1mm, corrispondente all’1% dello spessore totale nominale del provino, seguendo l’approccio proposto da Sørensen (2009). Questa ipotesi è relativamente comune per il tipo di simulazione numerica in esame; il carico critico ottenuto dall’analisi linearizzata è quindi incrementato del 50% e applicato in 100 step di carico identici nel calcolo di collasso progressivo non lineare, al fine di ottenere una relazione regolare fra carichi e spostamenti nel piano. I seguenti modelli numerici agli elementi finiti, caratterizzati da dimensioni e spessori nominali, sono stati confrontati tra loro e i risultati paragonati ai valori sperimentali, al fine di validare o meno la strategia di modellazione:

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A. In prima analisi è stato ipotizzato un modello tradizionale con elementi shell multistrato per

simulare l’intera sequenza di laminazione del sandwich: questo tipo di modello ignora ogni deformazione trasversale in quanto il core è modellato come uno strato dell’elemento shell, in grado quindi di lavorare solo in stato piano di tensione. Questo porta ad una sovrastima del carico critico rispetto al valore sperimentale, come mostrato in Figura 10. In questo caso, come per tutti gli elementi shell usati nel presente articolo, è stato considerato l’elemento MITC multistrato per ovviare a possibili problemi di locking (ADINA, 2008).

B. Noti i limiti di una simulazione in stato piano di tensione semplificata, si è deciso di

modellare separatamente le pelli del sandwich come elementi shell, e di connetterli rigidamente (rigid links) trasferendo invariati tra gli elementi della pelle superiore ed inferiore solo 5 su 6 gradi di libertà dei nodi omologhi, lasciando libero lo spostamento trasversale: questo modello stima correttamente il carico critico di instabilità, ma nella fase di pre-buckling sottostima la rigidezza nel piano a causa dell’assenza completa del core dal punto di vista numerico.

C. Si è poi cercato di simulare la rigidezza trasversale del core inserendo sul grado di libertà

lasciato libero nel modello B un elemento elastico (molla), opportunamente definito al fine di rispecchiare la rigidezza dell’anima n PVC; tuttavia questo modello non sembra introdurre ad alcun miglioramento, pur introducendo un maggior grado di complessità, in quanto la curva carico-spostamento si mantiene pressoché coincidente a quanto descritto dal modello B. Inoltre le proprietà meccaniche nel piano di compressione dell’anima sono ancora trascurate.

D. Un ulteriore tentativo è stato fatto andando a modellare l’anima del sandwich tra le due pelli

con una griglia idealizzata di elementi shell, come mostrato in Figura 9D; le proprietà meccaniche degli elementi della griglia sono state appositamente definite per ripristinare la rigidezza del sandwich lungo la direzione longitudinale. In pratica, la somma degli spessori degli elementi shell che rappresentano il core equivale alle dimensioni longitudinali e trasversali del provino e le proprietà meccaniche sono coerenti con i valori del PVC. Il suddetto modello si avvicina ai dati sperimentali, ma ancora non viene considerato soddisfacente nella procedura di validazione numerico/sperimentale

A causa delle difficoltà che nascono nel tentativo di modellare l’accoppiamento di due materiali con caratteristiche così diverse, sia in termini geometrici (spessori) che meccanici (rigidezze), nessuno dei modelli semplificati basati su elementi shell appare pienamente validato dalle prove sperimentali. Appare quindi necessario migliorare il modello numerico: il passo inevitabile sembra rappresentato da una modellazione mediante elementi solidi 3D dell’anima che in qualche modo si interfacci con gli shell stratificati già usati in precedenza per la simulazione delle pelli. La Figura 9E mostra il modello a elementi finiti, mentre i risultati corrispondenti sono riportati in Figura 10.

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Figura 9. Modelli numerici costruiti per l’analisi di instabilità elastica

Figura 10. Risultati dell’analisi a elementi finiti paragonati ai valori medi forniti dall’analisi sperimentale

Per superare questa difficoltà, i nodi appartenenti alle superfici di interfaccia vengono accoppiati mediante collegamenti rigidi (rigid links) agenti solamente sui tre gradi di libertà traslazionali: questa ipotesi permette in linea teorica agli shell di ruotare liberamente indipendentemente dalla presenza del core, ma se la mesh è sufficientemente fitta il fenomeno è completamente trascurabile poiché la condizione traslazionale imposta ai nodi adiacenti di fatto vincola la rotazione libera di ciascun nodo. Quest’ultimo modello si inserisce con buona approssimazione nel grafico che riassume i risultati sperimentali, perfino nella fase di post instabilità laddove il provino non mostri cedimenti sui bordi vincolati. Senza dubbio questa strategia richiede più tempo in fase di modellazione e in fase di calcolo, a causa della maggior complessità introdotta anche se risulta molto meno onerosa e certamente più efficace dei modelli ad elementi finiti solidi che talvolta vengono impiegati in questi casi. La Figura 10 riassume il confronto numerico/sperimentale riportando il valore medio ottenuto considerando la relazione carico/spostamento nel piano per i provini costruiti in ‘hand lay-up’ e infusione.

Model A: 2D shell stratificato tradizionale Model B: Pelli 2D shell accoppiate mediante rigid links, traslazione trasversale libera

Model D: Anima modellata mediante shell (grid) Model C: Combinato rigid links/molle

Model E: core modeled by 4 solid elements in thickness, skins by layered shell elements

Mid-plane

Rigid link acting

on 5DoF

Skin: Shell 6DoF

Mid-plane

Skin: Shell 6DoF

Rigid link acting on

5DoF: Z transl FREE

Spring element

Mid-plane

Skin: Shell 6DoF

Core: Block 3DoF

Rigid link acting

on transl. 3DoF

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4.2 Provini a campata corta Appare molto difficile, se non impossibile, simulare correttamente il test a campata corta utilizzando modelli a elementi finiti semplificati che soddisfino la necessità di calcoli con un costo computazionale limitato richiesta nell’industria nautica. Gli esperimenti hanno chiaramente sottolineato come il modo di rottura sia prevalentemente governato dall’efficienza dell’adesione fra pelle e anima. Appare quindi fondamentale la modellazione esplicita dello strato di adesione, che comporterebbe un incremento esponenziale della complessità dell’analisi, che, inoltre, per funzionare correttamente necessiterebbe anche di un’opportuna calibrazione mediante prove sperimentali specifiche come, ad esempio, test di taglio sull’interfaccia adesiva. In ogni caso un modello a elementi finiti semplificato è stato costruito con un duplice scopo: stimare in via preventiva il fattore di concentrazione di tensione indotto dall’intaglio a V e osservare di quanto un modello ideale con adesione perfetta pelle/anima si discosti dai dati sperimentali per questo tipo di problema. Il modello è mostrato in Figura 11, dove la componente longitudinale della tensione è calcolato per un carico di compressione di 15kN, corrispondente al massimo valore registrato sperimentalmente per questo tipo di prova: il fattore di concentrazione delle tensioni vale 3.9, assumendo un materiale isotropo equivalente per la simulazione del laminato. Sebbene il carico impiegato nel calcolo sia stato sufficiente a far collassare per compressione ciascun provino testato sperimentalmente, dal punto di vista numerico lo strato più stressato del laminato, nel caso quello con fibre i direzione ±45°, mostra un indice di utilizzo, calcolato utilizzando il ben noto criterio di Tsai-Wu (Greene, 1999) di circa 0.44, significativamente inferiore quindi al valore limite di rottura.

Figura 11. Modello a elementi finiti per provino a campata corta: stress equivalente secondo il criterio di Tsai-Wu

per un carico di 15kN

5 Conclusioni L’obiettivo di questo articolo consiste nella comparazione di due distinti processi produttivi al fine di evidenziarne eventuali influenze in termini di comportamento a compressione sui due set di provini prodotti, analizzando sia il collasso dovuto ad instabilità elastica che per puro sforzo di compressione piano: purtroppo non sono state osservate significative dipendenze in questo senso, mentre sono inaspettatamente emerse indicazioni riguardo l’influenza dell’adesione locale fra pelle e anima, come mostrato in Figura 8. Contemporaneamente un lavoro numerico

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parallelo ha identificato un modello a elementi finiti semplice ed affidabile per predire il comportamento ad instabilità elastica di pannelli sandwich dove il basso modulo del materiale dell’anima renda influenti gli effetti secondari dovuti alle deformazioni trasversali: sono state confrontate cinque distinte strategie di modellazione, partendo dalla modellazione elementare con shell multistrato fino ad arrivare ad un più complesso accoppiamento shell/solido, il quale, inserendosi con ottima approssimazione all’interno dei dati sperimentali, appare validato, almeno per le semplici geometrie considerate nei test. Infine, i differenti modelli presentati nell’articolo indicano che gli effetti trasversali non possono essere trascurati in un problema di instabilità elastica, dove il basso modulo dell’anima modifica in maniera influente la forma del provino con conseguenti influenze negativi sulla stabilità.

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ADESIONE FIBRA-MATRICE IN COMPOSITI POLIPROPILENE/VETRO NANOMODIFICATI

D. Pedrazzoli*, A. Pegoretti

Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e Tecnologie Industriali Via Mesiano 77, 38123 Trento (Italy) *[email protected]

Keywords: Nanocomposites; Polypropylene; Glass Fiber Composite; Interface/Interphase.

Abstract In this study, the interfacial properties between E-glass fibers and various types of nanomodified polypropylene (PP) matrices have been investigated on model composites. In particular, an evaluation of the fiber–matrix interfacial shear strength was performed by single-fiber fragmentation tests on PP matrices containing various types and amounts of silica nanoparticles. Moreover, the effect of various amounts of maleic anhydride modified polypropylene (PPgMA) on the fiber-matrix adhesion was also investigated. In order to compare the effect of the addition of different types of silica nanoparticles on the interfacial adhesion, PP matrices were compounded with up to 7 wt% of untreated and and of dimethyldichlorosilane-functionalized silica nanoparticles. PP matrices were also prepared by including selected formulations of both PPgMA and silica nanoparticles. Preliminary results indicate that the interfacial shear strength can be considerably improved (up to a factor of about 14 for a combination of 5 wt% of surface treated nanoparticles plus 5 wt% of PPgMA) with respect to the case of neat PP/GF sample. Concurrently, the thermomechanical properties of PP matrix were also improved. 1 Introduction For a fiber-reinforced composite material, the highest level of shear stress transferable at the fiber-matrix interface is usually called interfacial shear strength (ISS). In the past there have been several studies which focused on the development of reliable experimental test procedures for the fiber/matrix interfacial strength measurement. The most common methods are based on micromechanical tests, such as the fragmentation test, the single fiber pull-out test, the microdebond test, and microindentation test [1]. The single fiber fragmentation test (SFFT) is one of the most studied and is performed on specimens in which a single fiber is embedded in the centerline of a matrix coupon. When a tensile load is applied, the fiber breaks in correspondence of the points where the local fiber strength is reached. The continuous deformation of the specimen creates fiber fragments with such a short length that the shear stress transfer can not reach enough tensile stress to cause further fiber breakage (saturation point). The fiber length reached at this stage is defined as critical length Lc. The mechanical parameter ISS can be obtained by knowing Lc and the extrapolated fiber mean strength at the critical length, on the basis of a simplistic force equilibrium, based on the shear-lag or elastic-plastic stress analyses [2]. With the aim of predicting the interfacial properties for many polymeric composites, the ISS as well as the thermo-mechanical properties of the matrix have to be taken into account. The purpose of this study is to investigate the interfacial properties between E-glass fibers and

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various types of nanomodified polypropylene (PP) matrices. The effect of various amounts of maleic anhydride modified polypropylene (PPgMA) on the fiber-matrix adhesion represents another aim of this study. Among thermoplastic matrices, PP is one of the most interesting for the production of glass fibers reinforced composites, even if interfacial adhesion is still a weak point [3]. Despite the large number of publications on polymer nanocomposites, the effect of nanoparticles on the interfacial adhesion of thermosetting and thermoplastic matrices in contact with traditional high-strength fibers such as glass, carbon, Kevlar, etc. was not extensively investigated. Nevertheless, there are some clear indications that nanoparticles could play a beneficial role on the interfacial properties of structural composites [4]. E-glass fibers were selected on the basis of their extremely extended use as reinforcing materials in PP matrix composites [5]. 2 Experimental 2.1. Materials The matrix of the microcomposites used in this work was an isotactic homopolymer polypropylene PPH-B-10-FB provided by Lati Industria Termoplastici S.p.A. (Varese, Italy) and produced by Polychim Industrie S.A.S. (LOON-PLAGE, �France). FUSABOND® P M-613-05 maleic anhydride modified polypropylene (PPgMA) was supplied by DuPont™ de Nemours. Both untreated and surface treated fumed silica nanoparticles were supplied by Evonik Industries AG (Hanau, Germany). Untreated nanoparticles (Aerosil® A380) had an average primary particle size of 7 nm, a specific surface area of 321±3 m2/g. Dimethyldichlorosilane functionalized silica nanoparticles (Aerosil® R974) were characterized by an average primary particle size of 12 nm, specific surface area of 124±1 m2/g. E-glass fibers, designed as RO99 P319, were supplied by Saint-Gobain Vetrotex (Chambèry Cedex, France) and were used as-received. These GF are indicated as treated with silane based coupling agent specifically designed for PP matrices. 2.2 Nanocomposite preparation Binary nanocomposites containing 1, 3, 5 and 7 wt% SiO2 of both untreated and surface treated silica nanoparticles were prepared by melt mixing in a Thermo Haake® internal mixer (T=190 °C, n=50 rpm, t=10 min) with following hot pressing using Carver® hot press (T=190 °c, p=0.76 Mpa, t=10 min), in order to get plate sheets with thickness of around 0.7 mm. Ternary nanocomposites were prepared by adding PPgMA as compatibilizer in three different amounts (1, 3 and 5 wt%) to the systems containing 1, 3 and 5 wt% SiO2. Film specimens with a thickness of 70-80 �m were obtained by a further hot pressing (T=200 °C, p=0.76 mpa, t=10 min). Prior to the melt processing, silica nanoparticles were dried for 24 h at 100 °C. The unfilled matrix was denoted as PP, while nanocomposites were designated indicating the matrix, the compatibilizer (when present) with its content, the kind of filler and its amount. For instance, a sample filled with 5 wt% of Aerosil A380 is indicated as PP-A380-5. 2.3 ESEM analysis Fracture surfaces of unfilled PP and PP nanocomposites were observed at different magnifications by using a Zeiss Supra 40 field emission scanning electron microscope, at an acceleration voltage between 2.5 and 4 kV. Samples for the observation were prepared immerging notched samples in liquid nitrogen for 30 minutes and breaking them with a impact

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tensile testing machine. The fracture surfaces were coated with a thin gold layer in order to increase the surface electrical conductivity and improve the image quality when observed at SEM microscope. 2.4 Thermal analyses Differential scanning calorimetry (DSC) tests were carried out by a Mettler® DSC30 differential scanning calorimeter. The measurements were performed under a constant nitrogen flow of 100 ml·min-1. The samples were first heated to 200 °C at a rate of 10 °C·min-1 and held for 5 min in order to erase any previous thermal history. Crystallization tests with cooling rates of 10 °C·min-1 down to 0 °C were carried out. A subsequent heating scan was performed at 10 °C·min-1. The melting enthalpy for 100% crystalline isotactic PP has been considered as ∆H0 = 209 J·g-1 [6]. Moreover, the crystallinity χc of nanocomposite samples was calculated by taking the weightfraction of PP and PPgMA in the composite into account. The melting temperatures Tm1 and Tm2 were recorded during the first and second scan, respectively. The crystallization enthalpy ∆Hc was measured by integrating the heat flow curve during cooling scan. Thermogravimetric analysis (TGA) was carried out through a Q5000 IR thermogravimetric analyzer (TA Instruments-Waters LLC, New Castle, USA). The sample mass analyzed was typically between 8 to 12 mg placed on an open platinum pan. The tests were carried out imposing a temperature ramp between 40 and 700 °C at a heating rate of 10 °C·min-1 by using a nitrogen flow of 25 ml·min-1. The onset of degradation temperature (Td,onset) was determined by the point of intersection of tangents to two branches of the thermogravimetric curve, while the maximum rate of degradation temperature (Td,max) was determined from the peak maxima in the first derivative of weight loss curve. 2.5 Single Fiber Fragmentation Tests (SFFT)

Microcomposite samples were prepared by the following procedure. About 10 fibers were aligned within two films of the selcted PP system, sandwiched between two Mylar® sheets (thikness of 0.5 mm) and two aluminum plates. The mold was placed in a vacuum oven at a temperature of 165 °C and at a pressure of about 10 kPa for about 20 min and then it was cooled in air. The specimens were obtained by cutting strips containing one single fiber longitudinally aligned in the centerline. The microcomposites dimensions were roughly 0.18 mm in thickness, 5 mm in width and 25 mm in length. SFFT tests were performed at room temperature and at a cross-head speed of 1 mm·min-1 by using a custom-made apparatus represented by a small tensile tester (Minimat, by Polymer Laboratories) located under a polarized optical stereo-microscope (Wild M3Z by Leica). At least five specimens were tested for each sample. All samples were loaded up to a strain of 10% in order to reach the saturation of the fragmentation process. The mean fiber length, Ls, was measured by means of an image analyzer system ImageJ v.1.46a. An interfacial shear strength value was then computed on the basis of the Kelly-Tyson approach [1].

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2.6 Mechanical Tests Uniaxial tensile tests were performed with an Instron® 4502 tensile machine onsamples of at least five ISO 527 type 1BA specimens. The tests were carried out at a crosshead speed of 0.25 mm·min-1 up to a maximum axial deformation level of 1%. The strain was recorded by using a resistance extensometer Instron® model 2620-601 with a gage length of 12.5 mm. The elastic modulus was measured as secant modulus between deformation levels of 0.05 % and 0.25 % in according to ISO 527 standard. A minimum number of five specimens were tested for each nanocomposite type. Uniaxial tensile properties at break such as stress at yield (σy), stress at break (σb) and strain at break (εb) were determined at an higher crosshead speed (5 mm·min-1) without extensometer.

3. RESULTS AND DISCUSSION

3.1 ESEM Analysis

FESEM images of the fracture surfaces of PP nanocomposites filled with silica nanoparticles are represented in Figure 1 (a,b), while those of PP nanocomposites prepared also with the addition of the PPgMA are shown in Figure 1 (c,d). It can be notices that isodimensional aggegares appear distributed quite omogeneously whithin the matrix in both PP-A380-5 and PP-R974-5 samples. If compared with the corresponding nanocomposites prepared with the addition of PPgMA, the size of aggregates in ternary nanocomposites is markedly lower. In particular, a decrease of the average aggregate size is evident and the number of aggregates with a large dimension decreases, while the number of aggregates with a moderate or small size appear increases. The reduction of aggregate dimensions can justify the increased mechanical properties showed by nanocomposites containing PPgMA. The mean size of silica aggregates are summarized in Table 1 for some selected samples.

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(a) (b)

(c) (d)

Figure 1. ESEM image of the fracture surface of (a) PP-A380-5, (b) PP-R974-5, (c) PP-PPgMA-5-A380-5 and (d) PP-PPgMA-5-R974-5

Table 1. Mean aggregate size of PP-silica nanocomposites.

Sample designation Mean Aggregate Size (nm)

PP-A380-5 375 ± 125

PP-R974-5 205 ± 75

PP-PPgMA-5-A380-5 150 ± 60

PP-PPg MA-5-R974-5 103 ± 27

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3.2 Thermal Analyses In Figure 2 a plot of the crystallization peak temperature, against the silica A380 content, is represented for different PPgMA contents. In bynary PP nanocomposites both types of silica induce a slight increase of the crystallization temperature. However, the crystallization peak temperature seems to approach a plateau for silica contenta s high as 7 wt%.

Figure 2. Crystallization peak temperature as a function of silica A380 weight content, for different PPgMA contents.

In Figure 3 the crystallization temparature of the ternary system PP-PPgMA-R974 is represented for different PPgMA amounts. When the compatibilizer is added the crystallization temperature tends to decrease for silica contents higher than 1 wt% and the decrease is greater for higher PPgMA contents. This decrease could be due to the increased interaction between the compatibilized PP and the silica nanoparticles which may retard the migration of the PP chains onto the growing crystal nucleus.

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Figure 3. Crystallization peak temperature as a function of silica R974 weight content, for different PPgMA contents.

Cuncurrently, the melting temperaure recorded during the second scan (Tm2) is slightly higher for PP nanocomposites, the crystallinity (χc) does not seem to have a direct correlation with the nanofiller addition (Table 2).

Sample designation Tm2 (°C) �∆∆∆∆H c (J/g)

(χχχχ�c (%)) Cryst. Peak T (°C)

PP 165.1 102.0

(48.8) 115.6

PP-A380-5 165.4 98.1

(49.4) 116.8

PP-R974-5 165.5 97.5

(49.1) 116.9

PP-PPgMA-5-A380-5 166.0 98.1

(48.4) 117.5

PP-PPgMA-5-R974-5 166.7 98.4

(49.6) 115.3

Table 2. DSC on unfilled PP and PP nanocomposites.

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The thermal resistance parameters as detected in TGA measuremens on some selected samples are reported in Table 3. When considering PP-silica nanocomposites, both Td,onset and Td,max markedly increase with the filler content. Also the addition of PPgMA increases the degradation temperature of PP, but with a lower efficacy with respect of nanosilica. As a result, in ternary systems PPgMA addition produces a decrease of both degradation temperatures with respect to the nanomodified systems.

Sample designation Td, onset (°C) Td, max (°C) Char (%)

PP 392.9 438.4 0.1

PP-A380-5 432.5 466.4 4.6

PP-R974-5 420.1 459.1 4.9

PP-PPgMA-5-A380-5 420.4 461.1 4.7

PP-PPgMA-5-R974-5 418.9 456.8 3.7

Table 3. Some TGA parametes of neat PP and PP nanocomposites.

3.3 Single Fiber Fragmentation Tests (SFFT) ISS values are plotted in Figure 4 as a function of the percentage of PPgMA and silica nanoparticles. As expected, when PPgMA compatibilizer is added ISS considerably increases with respect to the case of neat PP/GF sample. It is interesting to note that comparable improvements can be reached with silica nanoparticles. When compared to PP-PPgMA systems, PP-silica nanocomposites show a lower improvement of ISS, nevertheless ternary nanocomposites exhibit remarkably high ISS values, probably thanks to the better filler dispersion and a synergistic effect (see Table 4).

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Figure 4. Comparison of the ISS with respect to the filler content.

Sample designation ISS (MPa) ISS / ISSPP

PP 2.7 ± 0.2 -

PP-A380-5 8.4 ± 0.7 3.1

PP-R974-5 13.1 ± 0.8 4.9

PP-PPgMA-5-A380-5 22.7 ± 2.1 8.4

PP-PPgMA-5-R974-5 38.8 ± 3.5 14.4

Table 4. SFFT performed on unfilled PP and PP nanocomposites.

3.4 Mechanical Tests As reported in Table 5, the addition of silica nanoparticles induces a significant increase of the elastic modulus of the PP matrix, which is further incremented by the addition of PPgMA, reaching an overall improvement of 48% for ternary systems, compared to unfilled PP. In general, the yield stress and the stress at break decrease with the addition of the nanofiller for both kinds of silica nanocomposites (Table 6), as expected for iso-dimensional fillers with a relatively low filler-matrix adhesion. For the same reason the elongation at break exhibited in nanocomposite is lower than that of unfilled PP.

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Sample designation Tensile modulus (MPa) E / EPP

PP 1546 ± 24 -

PP-A380-5 1698 ± 32 1.10

PP-R974-5 1865 ± 24 1.21

PP-PPgMA-5-A380-5 2015 ± 40 1.30

PP-PPgMA-5-R974-5 2281 ± 58 1.47

Table 5. Elastic modulus of PP and PP nanocomposites.

Sample designation Tensile Strength at Yield (MPa)

Tensile Strength at Break (MPa)

Elongation at Break (%)

PP 37.1 ± 0.1 35.0 ± 0.1 16.8 ± 0.3

PP-A380-5 37.2 ± 0.5 35.5 ± 0.4 9.0 ± 0.4

PP-R974-5 35.6 ± 0.5 33.6 ± 0.5 10.2 ± 0.7

PP-PPgMA-5-A380-5 35.7 ± 0.4 34.2 ± 0.3 6.7 ± 0.2

PP-PPgMA-5-R974-5 34.2 ± 0.4 31.3 ± 0.9 12.0 ± 1.1

Table 6. Quasi-static tensile properties at yield and at break.

6 Conclusions The elastic modulus of PP increases with addition of silica nanoparticles but tensile mechanical properties at yield and at break decrease. The thermal properties, measured through DSC and TGA analyses, showed a general enhancement in nanomodified PP matrices. The addition of PPgMA copolymer as a compatibilizer resulted in a higher dispersion of silica nanoparticles within the PP matrix. The size of silica aggregates decreases as verified by SEM observations, inducing a further increase of ISS. Interfacial shear strength was investigated on various E-glass/PP model composites by means of the single fiber fragmentation test. Results show that ISS values can be remarkably increased by the addition of dimethyldichlorosilane functionalized nanoparticles, and that the improvement is particularly enhanced when these nanoparticles are used in combination with PPgMA.

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PROPRIETÀ TRIBOLOGICHE DI NANOCOMPOSITI IN POLIAMMI DE

L. Andena1*, N. Castro Fajardo1, F. Manarini2, L. Mercante2, A. Pavan1

1 Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”, Politecnico di Milano, Italy 2 LATI Industria Termoplastici S.p.A., 21040 Vedano Olona, Italy

*[email protected]

Keywords: nanocompositi, graffio, durezza, usura Abstract Si sono preparati nano- e micro- compositi a partire da una matrice PA66 con l’aggiunta di un contenuto variabile di nanoargille, fullerene, silsesquiossani oligomerici poliedrici (POSS) e microsfere di vetro (piene e cave). La resistenza al graffio dei materiali ottenuti è stata valutata in termini di durezza utilizzando il modello di Pelletier e i risultati sono stati correlati con proprietà meccaniche “di volume”, in particolare lo sforzo di snervamento. Inoltre si è effettuata una caratterizzazione tribologica volta a rilevare le proprietà di attrito e usura.

1 Introduzione

I polimeri e i compositi a matrice polimerica trovano un uso sempre più frequente in molte applicazioni grazie ad una combinazione unica di proprietà, bassa densità, facilità di trasformazione e, non ultima, relativa economicità. Alcune proprietà possono essere ulteriormente migliorate mediante l’aggiunta di cariche di vario tipo. Tradizionalmente si sono impiegate cariche di dimensioni micrometriche ma nell’ultimo decennio si è intensificato l’uso di additivi nanometrici. Grazie all’enorme area superficiale specifica, questo tipo di rinforzo può teoricamente fornire miglioramenti delle proprietà confrontabili con quelli che si possono ottenere solo con quantità significativamente maggiori di cariche convenzionali. Tuttavia, le difficoltà nella ottimizzazione delle tecnologie di trasformazione hanno finora impedito un chiaro successo lungo questa strada e questo, unitamente al costo ancora elevato di molti additivi nanometrici, ha fortemente limitato la diffusione sul mercato di prodotti nanorinforzati. I recenti aumenti nel costo di alcuni additivi micrometrici, quali ad esempio PTFE e antifiamma usati nel settore automobilistico, hanno però ravvivato l’attenzione nei confronti dei materiali con additivi nanometrici. In particolare sembra essere di grande interesse la possibilità di svolgere le stesse funzioni delle loro controparti alla microscala con il beneficio aggiuntivo di migliorare altre proprietà (ad es. meccaniche o termiche). In questo lavoro ci si è concentrati sull’effetto che nano- e micro-particelle hanno sulle caratteristiche meccaniche tribologiche per diversi materiali compositi. In particolare si è considerata l’aggiunta di contenuti variabili di fullerene, nanoargille (NC), silsesquiossani oligomerici poliedrici (POSS) e microsfere di vetro (piene e cave) ad una stessa resina base di poliammide 66 (PA66). Oltre ad alcune proprietà meccaniche “di volume” (modulo di Young,

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sforzo di snervamento, deformazione a rottura) si sono valutate proprietà meccaniche di superficie quali la resistenza al graffio e le caratteristiche di usura e attrito. La resistenza al graffio è stata misurata in termini di durezza, seguendo un approccio già applicato con successo a materiali polimerici non caricati [1]. Un’indagine calorimetrica mediante DSC è stata condotta allo scopo di verificare possibili modifiche indotte dalla presenza del rinforzo sulla cristallinità della matrice. 2 Dettagli sperimentali

I compositi oggetto di studio sono stati preparati a partire da una matrice comune di poliammide 66 (Radipol A, Radicinovacips, Italy) additivata con uno stabilizzante fenolico. Come detto si sono considerati diversi tipi di rinforzo: nanoargille (NC), octaisobutil- e trisilanofenil- POSS, fullereni e sfere di vetro (sia piene che cave). Le caratteristiche dei singoli materiali sono riportate in Tabella 1 unitamente al grado di cristallinità misurato dalle prove DSC che verranno discusse in seguito. Si è introdotto un quantitativo volumetrico confrontabile, intorno a 0.40-0.50%, per i tre tipi di particelle con dimensioni nanometriche; nel caso di NC e POSS si sono anche considerati contenuti superiori. Per quanto riguarda le sfere di vetro si è invece utilizzato un contenuto ben superiore (10% in volume), simile ai quantitativi usati nelle applicazioni industriali.

Codice materiale

Tipo di carica Frazione in peso [%]

Frazione in volume [%]

Grado di cristallinità

[%] PA66 Matrice comune per tutti i materiali - - 33.1

NC Hectorite organomodificata

contenuto argilla 60% 1.75 0.48* 33.7 3.50 0.97* 34.4

POSS-O Octaisobutil POSS 0.50 0.50 34.6 5.00 5.04 32.9

POSS-T Trisilanofenil POSS 0.50 0.40 33.5 5.00 4.02 33.3

fullerene C60 – 80%; C70 – 15%; fullereni

superiori e ossido di fullerene – 5% 0.70 0.40** 34.7

GB7 Sfere cave di vetro diametro 18µm densità apparente 0.60 g/cm³

7.00 12.51 31.3

GB20 Sfere piene di vetro diametro 30-50 µm

20.00 10.23 36.2

* - contenuto netto di argilla ** - valore approssimato, calcolato per 100% C60

Tabella 1. Composizione e cristallinità dei materiali oggetto di questo studio.

I compositi sono stati preparati in un estrusore bivite corotante (diametro 45 mm, 40L/D) operando ad una temperatura di 250°C, con una portata di 25 kg/h e una velocità di rotazione di 250 giri/’; nel caso delle microsfere di vetro la velocità è stata ridotta a 130 giri/’. I granuli estrusi sono stati quindi stampati ad iniezione in barrette standard per prove tensili secondo la norma ISO 527 [2] e provini per il tribometro. Le stesse barrette per prove tensili sono state utilizzate anche per le prove di graffio e DSC. Le temperature di iniezione e dello stampo sono state impostate rispettivamente a 275 e 80°C. In seguito allo stampaggio, le barrette sono state condizionate per 40h a 70°C, 62% RH (in accordo con la normativa ASTM D618 [3]) per raggiungere le condizioni di equilibrio a 23°C, 50% RH, nelle quali sono stati attentamente conservati prima di essere sottoposti alle diverse prove descritte nel seguito. Le misure calorimetriche a scansione differenziale (DSC) sono state eseguite con uno strumento DSC Q1000 prodotto da TA Instrument, allo scopo di misurare il grado di cristallinità della

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poliammide nei diversi materiali. Il campo di temperature investigato andava da 25 a 280°C con una velocità di riscaldamento di 20 °C/min. Le proprietà meccaniche “di volume” (modulo di Young, sforzo di snervamento e deformazione a rottura) sono state determinate mediante prove di trazione a velocità di elongazione costante (5 mm/min) su un dinamometro Galdabini dotato di videoestensometro. Le prove di graffio sono state effettuate su un Microscratch tester CSM equipaggiato con un indentatore conico avente angolo di 120° e punta sferica in diamante del raggio di 200 µm. I graffi, di lunghezza pari a 4 mm, sono stati realizzati applicando un carico normale costante di 10 N e una velocità di scorrimento di 5 mm/min. La profondità di penetrazione della punta è stata misurata durante e dopo l’esecuzione del graffio. Infine, si sono eseguite prove di usura e attrito secondo la norma ASTM D3702 [4] su un tribometro di costruzione propria, usando come condizioni di lavoro una pressione P di 1.38 MPa e una velocità V di 0.2 m/s. La pressione è stata controllata mediante un circuito idraulico che applica la forza normale desiderata sul campione. Un trasduttore di forza consente di misurare la coppia resistente in ogni istante mentre l’usura è stata rilevata attraverso un trasduttore di spostamento LVDT, entrambi collegati ad un sistema di acquisizione dati su PC. Il sistema di misura in linea permette di trascurare facilmente il transitorio iniziale, rendendo superfluo il rodaggio preventivo dei campioni. Le controsuperfici di riferimento, in acciaio al carbonio, sono state rettificate prima dell’esecuzione di ogni prova.

3 Analisi

3.1 Prove di graffio

Vi sono molti metodi per valutare la resistenza al graffio di un materiale. Alcuni, particolarmente diffusi in campo automobilistico, sono basati sull’indagine quantitativa della variazione delle caratteristiche ottiche prodotte da uno schema di graffi eseguiti in modo controllato. Alcuni autori [5] propongono invece l’analisi visiva a confronto di mappe di graffio che rappresentano i differenti meccanismi osservabili al variare delle condizioni di prova (ad es. geometria dell’indentatore, velocità, temperatura). Altri approcci sono basati sulla misura di grandezze meccaniche anziché sul rilevamento di cambiamenti nelle caratteristiche visive. Le dimensioni caratteristiche dei solchi lasciati dal graffio (profondità, altezza, rilievi) possono essere determinate in vari modi, tra cui la profilometria 2D o 3D e la microscopia. In alternativa il concetto di durezza, definita come il rapporto tra carico normale e area di contatto, può essere mutuato con successo dall’analisi di indentazione. La durezza può avere un significato diverso a seconda che l’area di contatto sia calcolata durante o dopo l’esecuzione del graffio, in particolar modo per i materiali polimerici che vedono un recupero viscoelastico della deformazione. In questo studio si è seguito quest’ultimo approccio, più “meccanico”, determinando la resistenza al graffio in termini di durezza a scratch o dinamica (scratch hardness, HS) e profondità residua. Per quanto la definizione di HS sia molto semplice, la sua misura non è banale. Nel caso dei metalli è possibile assumere che il contatto avvenga sulla sola parte frontale dell’indentatore, per via del loro comportamento prevalentemente plastico. Nel caso di materiali polimerici, tuttavia, la presenza di un significativo recupero viscoelastico determina un contributo sulla parte posteriore dell’indentatore che non può essere trascurato. Alcuni autori [6] propongono l’uso di parametri correttivi il cui significato e la cui determinazione restano alquanto incerti. Al contrario, il modello di Pelletier [7] è in grado di prevedere l’area di contatto reale, Ac, in funzione della profondità di penetrazione nominale e di un singolo parametro X, definito fattore reologico, che può essere calcolato grazie all’Equazione 1:

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tanβσ

EX

Y

= (1)

in cui E e σY sono rispettivamente il modulo di Young e lo sforzo di snervamento del materiale mentre β è l’angolo di attacco dell’indentatore (vedi Figura 1). Il modello permette di calcolare la profondità di contatto, hC, e il raggio di contatto, aC, così come l’angolo di recupero, α, in funzione di X; una volta note queste grandezze, la determinazione di AC è immediata.

Figura 1. Parametri del modello: Ac – area di contatto; ac – raggio di contatto; α - angolo di recupero; β - angolo di attacco; hc – profondità di contatto; hmax – profondità di penetrazione; hr – profondità residua.

Per come è definita, la durezza dinamica HS rappresenta la resistenza meccanica che il materiale oppone al graffio. Nel caso di materiali polimerici è importante valutare anche il recupero di deformazione che avviene in seguito, sia nell’immediato (attraverso il contributo sulla parte posteriore della punta) che in tempi successivi. Una misura del recupero è possibile dal confronto tra la profondità di penetrazione durante e dopo l’esecuzione del graffio (rispettivamente hmax e hr), secondo la definizione data nell’Equazione 2:

100h

h - hrecupero

max

rmax ×=

(2)

3.2 Prove di usura

Il coefficiente di attrito µ può essere determinato facilmente a partire dalla coppia resistente misurata dal tribometro e dal carico normale applicato durante la prova (v. Equazione 3):

provino raggiocarico

resistente coppiaµ

⋅=

(3)

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Dal valore dello spessore di materiale rimosso, misurato mediante l’LVDT, è possibile ottenere il tasso di usura nel tempo (generalmente espresso in µm/s); normalizzandolo per la pressione e velocità imposte si può calcolare il fattore di usura W:

VP

usura tassoW

⋅=

(4)

Entrambe le grandezze sono state valutate a regime, dopo l’esaurimento del transitorio iniziale.

4 Risultati

Il primo risultato emergente dalle analisi DSC è che l’aggiunta delle particelle non ha determinato variazioni rilevanti del grado di cristallinità della matrice poliammidica dei materiali compositi rispetto al materiale base. Gli effetti visibili sulle proprietà meccaniche e tribologiche sono dunque interamente ascrivibili alla presenza delle particelle.

Figura 2. Proprietà meccaniche ottenute dalle prove di trazione sui diversi materiali. In Figura 2 sono riportati i risultati delle prove di trazione. Per tutti i materiali compositi si riscontra un incremento del modulo di Young, con un effetto più sensibile nel caso di POSS e sfere di vetro piene. Un incremento analogo si osserva per lo sforzo di snervamento nei nanocompositi mentre per i materiali con microsfere di vetro si osserva una leggera diminuzione. È opportuno osservare come nel caso di NC e POSS non vi sia un effetto apparente del contenuto di particelle, almeno nel campo di valori osservato; questo contraddice i risultati di altri autori (si veda ad esempio [8]) i quali riportano aumenti della rigidezza pressoché proporzionali al quantitativo di carica. La causa più probabile è una non adeguata dispersione delle particelle nella matrice nel caso dei contenuti più elevati. Una migliore compatibilità tra carica e polimero e un controllo adeguato delle condizioni di processo sono fattori che possono favorire la preparazione di compositi con migliore dispersione. Si osserva poi che l’aggiunta delle particelle determina una riduzione severa delle proprietà di allungamento a rottura, salvo che nel caso del fullerene. Per ovviare a tale diminuzione occorrerebbe migliorare l’adesione all’interfaccia carica-polimero con l’aggiunta di opportuni agenti compatibilizzanti, in modo da incrementare l’energia assorbita durante la formazione di una fessura e ritardare il cedimento del materiale.

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Figura 3. Durezza dinamica e fattore reologico per i diversi materiali. Durante le prove di graffio tutti i materiali hanno mostrato un comportamento duttile con aratura e formazione di accumuli di materiale in coda e sui lati dei solchi, senza alcun segno di danno sulla superficie dei campioni. Per queste condizioni c’è un ragionevole consenso in letteratura nel ritenere che la durezza dinamica sia direttamente correlata allo sforzo di snervamento del materiale [1,9]. Tuttavia, dal momento che i valori di sforzo di snervamento per i diversi materiali sono simili, sarebbe lecito attendersi che anche i valori HS non differiscano significativamente. Invece i risultati sperimentali illustrati in Figura 3 smentiscono questa previsione; in figura sono anche riportati i valori di X calcolati per i diversi materiali, utilizzati nel computo di HS. I compositi ottenuti con l’aggiunta di nanoargille e sfere di vetro mostrano un sensibile aumento nel valore di durezza dinamica. Al contrario, POSS e fullerene determinano una diminuzione di questa proprietà che al momento è assai difficile spiegare. Anche nel caso in cui la dispersione delle particelle fosse tale da avere una concentrazione molto bassa nella zona superficiale interessata dal graffio, non è chiaro per quale ragione la durezza del materiale caricato (più rigido e resistente a snervamento) debba essere inferiore a quella della PA66 tal quale. Sono in corso ulteriori indagini per chiarire questo punto. Anche per quanto riguarda il comportamento al graffio nel caso di NC, non si vede un effetto del diverso quantitativo di carica aggiunta; nel caso dei POSS, invece, sembra che un maggiore contenuto di particelle produca una riduzione della durezza.

Figura 4. Profondità residua del graffio e relativo recupero per i diversi materiali.

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A sinistra in Figura 4 è mostrato l’andamento della profondità residua del graffio per i diversi materiali: non è possibile identificare un andamento certo ma sembra esistere una correlazione inversa, in virtù della quale i materiali con maggiore durezza esibiscono valori inferiori di hr, come è ragionevole attendersi. Questo appare dovuto ad una maggiore resistenza al graffio più che ad una variazione del recupero viscoelastico, definito nell’Equazione 2; il risultato è consistente con la definizione data di durezza dinamica, riferita a grandezze calcolate durante e non dopo la penetrazione dell’indentatore. In generale i dati indicano che l’aggiunta di cariche determina una riduzione del recupero (a destra in Figura 4).

Figura 5. Risultati preliminari delle prove tribologiche Da ultimo, in Figura 5 vengono presentati i dati relativi alle prove condotte al tribometro. Il coefficiente di attrito (a sinistra in figura) si attesta intorno ad un valore di 0.50-0.60 per tutti i materiali; l’unica eccezione è rappresentata da GB20 che esibisce un valore di µ pari a circa 0.35. La presenza delle sfere di vetro piene non ha effetto altrettanto benefico per quanto riguarda la resistenza all’usura (a destra in figura) che peggiora rispetto al caso del materiale tal quale. Sembra invece molto promettente l’utilizzo di POSS-O e NC per i quali si osserva una riduzione dell’80% di W. Al momento non sono disponibili dati di usura relativi a POSS-T. 5 Conclusioni

Un primo elemento da rimarcare è il crollo di duttilità riscontrato per la quasi totalità dei materiali caricati. È chiaro che, per qualunque applicazione in cui sia richiesta al materiale la capacità di deformarsi senza cedimenti, gli additivi considerati non possono essere utilizzati con tecnologie di preparazione simili a quelle usate in questo studio. L’unica eccezione è rappresentata dal fullerene, in cui la natura organica del rinforzo garantisce con ogni probabilità una migliore compatibilità con la matrice. Dal punto di vista tribologico, tuttavia, questo additivo non produce miglioramenti apprezzabili delle proprietà. Nelle applicazioni in cui la perdita di duttilità non rappresenti invece un limite, altri tipi di cariche sembrano più promettenti. È il caso dei materiali a base POSS, per i quali si ha l’incremento più evidente in termini di proprietà tensili, accompagnato da un ottimo comportamento ad usura. L’unico limite di questa classe di rinforzi è che, come per il fullerene, la resistenza al graffio peggiora leggermente rispetto alla matrice base. Ove questa proprietà sia desiderata, un buon compromesso può essere rappresentato dalle nanoargille: a fronte di valori leggermente inferiori di rigidezza e sforzo di snervamento, le NC presentano una maggiore resistenza al graffio che si accompagna alla elevata resistenza ad usura.

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I materiali a base di microsfere di vetro possono essere interessanti ove si richieda una elevata rigidezza e resistenza al graffio, che nel caso delle sfere piene può essere unita ad una significativa riduzione del coefficiente di attrito nelle condizioni indagate. Sebbene le indicazioni preliminari di questi risultati siano interessanti, occorre rimarcare alcuni punti che rimangono da chiarire. Naturalmente sarebbe opportuno disporre di una caratterizzazione accurata della dispersione delle particelle nella matrice. Per quanto riguarda la resistenza al graffio, un esame attento dei profili dei solchi potrebbe gettare luce sulla fenomenologia dei diversi materiali e forse spiegare per quale ragione POSS e fullerene non siano efficaci come altre cariche nel migliorare tali proprietà. Sarebbe inoltre interessante esaminare il comportamento dei campioni di GB20 durante le prove di usura per capire quale meccanismo riduca in modo così evidente l’attrito.

Bibliografia [16] Kurkcu P., Andena L., Pavan A. An Experimental Investigation of the Scratch Behaviour of

Polymers: 1. Influence of Rate-dependent Bulk Mechanical Properties. Wear, 290-291, pp. 86-93 (2012).

[17] ISO 527. Plastics – Determination of tensile properties (1997). [18] ASTM D618. Standard Practice for Conditioning Plastics for Testing (2008). [19] ASTM D3702. Standard Test Method for Wear Rate and Coefficient of Friction of

Materials in Self-Lubricated Rubbing Contact Using a Thrust Washer Testing Machine (2009).

[20] Briscoe B.J., Pelillo E., Sinha S.K. Scratch hardness and deformation maps for polycarbonate and polyethylene. Polymer Engineering and Science, 36, pp. 2996-3005 (1996).

[21] Briscoe B.J., Sinha S.K. Scratch resistance and localized damage characteristics of polymer surfaces-a review. Materialwissenschaft und Werkstofftechnik, 34, pp. 989-1002 (2003).

[22] Pelletier H., Mendibide C., Riche A. Mechanical characterization of polymeric films using depth-sensing instrument: correlation between viscoelastic-plastic properties and scratch resistance. Progress in Organic Coatings, 62, pp. 162-178 (2007).

[23] Hussain, F., Hojjati, M., Okamoto, M., Gorga, R.E. Review article: Polymer-matrix Nanocomposites, Processing, Manufacturing, and Application: An Overview. Journal of Composite Materials, 40, pp. 1511-1575 (2006).

[24] Gauthier C., Schirrer R. Time and temperature dependence of the scratch properties of poly(methylmethacrylate) surfaces. Journal of Materials Science, 35, pp. 2121-2130 (2000).

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ANALISI LCA DI COMPOSITI IBRIDI VETRO-CANAPA PER RACCORDI DI TUBAZIONI

G. Cicala1, G. Cozzo1, A.D. La Rosa1*, A. Latteri1, A. Recca1

1 Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università di Catania, v.le A.Doria n.6, 95125- Catania * email: [email protected]

Keywords: resine epossidiche, fibre vegetali, canapa, impatto ambientale.

Abstract Questo studio è un’applicazione del metodo Life Cycle assessment (LCA) su un raccordo usato in un impianto di raffreddamento ad acqua di mare presso uno stabilimento petrolchimico. E’ stata condotta un’analisi comparativa LCA usando due tipologie di materiali: un sistema standard vetro/epoxy-vinilestere e un composito ibrido (canapa-vetro)/epoxy-vinilestere. L’analisi d’inventario è stata condotta usando dati primari relativi alla fase di manifattura del raccordo e dati indiretti forniti dalla banca dati Sima Pro 7.3. L’utilizzo della canapa nel sistema ibrido ha mostrato, a parità di performance di resistenza meccanica, rilevanti benefici ambientali rispetto al sistema standard. Altri vantaggi del sistema ibrido sono stati la riduzione di peso del 23% e la riduzione dei costi del 20% rispetto al sistema tradizionale vetro/resina.

1 Introduzione 1.1 Polimeri e fibre vegetali: verso un’industria più eco-sostenibile

Già dalla metà del secolo scorso i polimeri hanno costituito, nel settore dei materiali, una concreta alternativa ai materiali considerati convenzionali e in pochi decenni hanno cambiato radicalmente il modo di costruire [1-8]. Attualmente rappresentano la base per le più svariate applicazioni, dalle più semplici a quelle tecnologicamente avanzate e complesse. I materiali compositi a matrice polimerica hanno sancito la definitiva consacrazione dei polimeri come materiali elitari, grazie alla libertà di progettazione del materiale [9-13]. I materiali a base polimerica sono più economici rispetto ad altri materiali tradizionali e questo aspetto ha determinato una notevole diffusione nel mercato a discapito dell’ambiente. Infatti, tali materiali sono nella stragrande maggioranza dei casi non smaltibili in ambiente, in un tempo scala comparabile alla vita umana, per cui costituiscono una rilevante fonte di inquinamento. La crescente produzione globale di materiali a base polimerica e il progressivo e crescente esaurimento delle risorse non rinnovabili, da cui sono ottenuti, hanno indotto il mondo produttivo ad acquisire maggiore sensibilità ambientale. In generale, un materiale viene erroneamente considerato ecocompatibile solo in relazione allo smaltimento finale, limitandosi quindi all’uguaglianza con la degradazione naturale o biodegradazione. In realtà, la definizione implica tutto il ciclo di vita del materiale “from cradle to grave”, quindi dall’ottenimento della

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materia prima, al fine vita, attraverso i processi di trasformazione che subisce e le applicazioni in cui viene impiegato. Trattando di materiali compositi a matrice polimerica, l’obiettivo virtuoso è quello di impiegare materiali provenienti da risorse naturali rinnovabili, a basso impatto ambientale durante il ciclo produttivo, riciclabili e/o facilmente smaltibili in ambiente a fine vita, data la biodegradabilità della matrice e del rinforzo [14-15]. Questo consentirebbe non solo di ridurre la richiesta di materie prime, ma al tempo stesso ridurrebbe al minimo le volumetrie di abbanco in discarica, restituendo alla terra i prodotti della degradazione. Attualmente il mercato non agevola la diffusione degli eco-compositi a causa dei prezzi non competitivi degli eco-polimeri rispetto a quelli convenzionali di origine petrolchimica. Inoltre, le caratteristiche meccaniche inferiori rispetto ai polimeri tipicamente impiegati, limitano il loro possibile impiego ad applicazioni di bassa rilevanza ingegneristica. Coscienti che il percorso degli eco-compositi sia un obiettivo a lungo termine, l’orizzonte immediato è rappresentato sicuramente dall’impiego di rinforzi da risorse naturali rinnovabili in un tempo scala di pochi anni. In particolar modo l’interesse maggiore è rivolto alle fibre naturali di origine vegetale [16-19]. A differenza degli eco-polimeri, le fibre naturali, di qualunque origine, mostrano una forte competitività nel mercato dovuto al costo inferiore rispetto alle fibre convenzionali (vetro, carbonio, etc.). L’ affermarsi delle fibre naturali, soprattutto nelle applicazioni non strutturali, è dovuto oltre al lato economico, anche a quello ambientale: tali materiali sono rinnovabili, biodegradabili, possono essere smaltiti termicamente con produzione di energia elettrica senza danni all’ambiente e il processo produttivo è a basso impatto ambientale soprattutto se tali rinforzi sono impiegati sotto forma di tessuti non prettamente tecnici (es. tessuto non tessuto ad orientazione random). Di contro, spesso è necessario migliorare l’affinità con la matrice in cui sono immersi, per cui si utilizzano trattamenti chimico-fisici che potrebbero ridurre gli aspetti positivi legati all’economicità e al contenuto impatto ambientale. In passato, le fibre naturali di origine vegetale non sono state prese in considerazione come rinforzi per materiali compositi a causa di alcuni problemi connessi con il loro utilizzo, legati soprattutto alla bassa stabilità termica, alla natura idrofila che li rende incompatibili con le principali matrici polimeriche e causa rigonfiamento dei manufatti e all’incostanza e imprevedibilità delle proprietà degli stockings. Negli ultimi anni, tali problemi sono stati notevolmente ridotti, grazie agli enormi passi avanti compiuti dalla ricerca; per cui, sebbene le fibre vegetali possiedano modeste proprietà meccaniche assolute, rispetto alle fibre di vetro, hanno anche un basso peso specifico e prezzi contenuti, per cui hanno attirato l’interesse dei più svariati settori industriali. Tali aspetti, in unione all’assenza di problematiche connesse alla maneggiabilità da parte degli operatori e alla lavorazione dei prodotti per i sistemi produttivi, hanno fatto si che l’uso delle fibre naturali diventasse relativamente comune in diversi settori industriali, tra cui l’automotive, il packaging e il civile.

1.2 Il caso studio: un nuovo composito ibrido canapa-vetro in matrice termoindurente Questo studio è la continuazione di un lavoro precedente in cui alcune fibre naturali (canapa, lino) sono state usate nella realizzazione di compositi [20]. La canapa risulta la fibra con migliori proprietà di resistenza meccanica. Le proprietà meccaniche dei sistemi fibre naturali/resina sono minori rispetto a quelle dei sistemi fibre di vetro/resina mentre il sistema ibrido (canapa-vetro/resina) presenta proprietà meccaniche paragonabili al sistema vetro/resina. Normalmente i laminati sono realizzati secondo la seguente sequenza: [C/C/M/W/M/W/M/M/W/M/W/M]

dove: C= C-glass liner, M= E-glass mat, W= E-glass woven.

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La sequenza deve garantire il raggiungimento dello spessore richiesto per la realizzazione del raccordo che è pari a 11.92 mm, con un peso totale del raccordo di 2.97 kg. Per ottenere lo stesso spessore richiesto è stata sperimentata una nuova sequenza dove mat di vetro sono stati sostituiti con mat di canapa più spessi e più leggeri: [C/C/Mn/W/W/Mn] - Mn si riferisce a mat di fibre naturali Si è ottenuto un nuovo materiale composito ibrido con cui è stato realizzato un raccordo che, data la sequenza descritta sopra, è più leggero del 23% (riduzione di peso da 2.97 kg a 2.25 kg). L’obiettivo del presente studio è individuare gli impatti ambientali e gli eventuali vantaggi dell’uso della canapa nel sistema ibrido, utilizzando il metodo dell’analisi del ciclo di vita.

2 Il metodo LCA 2.1 Descrizione generale

Il Life Cycle Assessment (Valutazione del Ciclo di Vita) rappresenta uno degli strumenti fondamentali per l’attuazione di una Politica Integrata dei Prodotti nonché il principale strumento operativo del “Life Cycle Thinking”: si tratta di un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati ad un prodotto/processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita “dalla Culla alla Tomba” [21]. La rilevanza di tale tecnica risiede principalmente nel suo approccio innovativo che consiste nel valutare tutte le fasi di un processo produttivo come correlate e dipendenti. Tra gli strumenti nati per l’analisi di sistemi industriali, l’ LCA ha assunto un ruolo preminente ed è in forte espansione a livello nazionale ed internazionale.

A livello internazionale, la metodologia LCA è regolamentata dalle norme ISO della serie 14040, in base alle quali uno studio di valutazione del ciclo di vita prevede: la definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione dell’analisi (ISO 14041), la compilazione di un inventario degli input e degli output di un determinato sistema (ISO 14041), la valutazione del potenziale impatto ambientale correlato a tali input ed output (ISO 14042) e infine l’interpretazione dei risultati (ISO 14043)[22-24]. A livello europeo l’importanza strategica dell’adozione della metodologia LCA come strumento di base e scientificamente adatto all’identificazione di aspetti ambientali significativi è espressa chiaramente all’interno del Libro Verde COM 2001/68/CE e della COM 2003/302/CE sulla Politica Integrata dei Prodotti, ed è suggerita, almeno in maniera indiretta, anche all’interno dei Regolamenti Europei: EMAS (761/2001/CE) ed Ecolabel 1980/2000/CE.

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2.2 Fasi del sistema Secondo la normativa ISO 14140, uno Studio LCA si deve articolare nelle seguenti 4 fasi, come anche schematizzato in figura 1:

1. Definizione degli Obiettivi dello Studio e Confini del Sistema: fase preliminare in cui si definiscono gli obiettivi che l’analisi LCA deve raggiungere;

2. Analisi di Inventario (o Eco-Inventario, in inglese Life Cycle Inventory - LCI): in questa fase si quantificano i flussi di materia e di energia in ingresso e in uscita dalle varie fasi del ciclo di vita;

3. Valutazione dell’Impatto (LCIA): si ha una stima dei potenziali impatti ambientali associati ai flussi determinati nella fase precedente d’inventario;

4. Interpretazione dei Risultati: si esegue una valutazione degli output delle due fasi precedenti e se ne verifica la corrispondenza con gli obiettivi dello studio definiti nella prima fase.

Figura 1. Fasi di uno studio LCA

(figura estratta da BS-EN-ISO 14040:1997)

3 Applicazione del metodo LCA 3.1 Goal e scopo dello studio E’ stata condotta un’analisi comparativa su due raccordi preparati usando la stessa tecnologia, ma con formulazioni differenti. In un caso si è usata la formulazione tradizionale vetro/resina, nell’altro si è usata una composizione ibrida vetro-canapa/resina. L’unità funzionale è stata definita come la funzione di un raccordo usato in un impianto di raffreddamento ad acqua di mare. Il tempo di vita stimato è di 20 anni. I dati di input si riferiscono al peso in kg di un raccordo.

Seguendo lo schema generale fornito dalle ISO 14040, è stata condotta un’analisi d’inventario per quantificare gli input e output più significativi del sistema mediante un bilancio di massa e di energia. L’inventario costituisce un’analisi cradle-to-gate poiché si limita alla fase di manifattura dei raccordi. La fase di uso è stata omessa poiché nell’analisi comparativa i dati si annullano a vicenda. Sono stati usati dati provenienti da fonti differenti:

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- Dati forniti dalla banca dati di Sima Pro 7.3 [25] per la fase di produzione dei materiali; - Dati primari forniti dall’azienda Holson Spa per la fase di manifattura dei raccordi, come

riportato in tabella 1; - Dati di letteratura per la coltivazione della canapa [26] come riportato in tabella 2;

Tabella 1. Analisi d’inventario cradle-to-gate fino alla fase di manifattura del raccordo

Coltivazione della canapa

Paese di origine UK

Tipo di coltivazione: Produzione biologica da piccole cooperative di fattorie familiari

Uso di fertilizzanti No

Uso di pesticidi No

Macchinari agricoli 23.05 Kg

Lavorazione della canapa

Paese di origine Essex, UK

Tipo di processo usato Pulito, senza uso di sostanze chimiche, senza produzione di rifiuti

Richiesta di energia: elettricità per la stigliatura

336 KWh

Tabella 2. Analisi d’inventario della coltivazione della canapa

Unità vetro/resina ibrido (vetro-canapa)/

resina

Peso del raccordo Kg 2.966 2.248

Peso della fibra di vetro Kg 0.75 0.15

Peso della canapa Kg 0 0.158

Peso della resina (epoxy vinilestere) Kg 2.216 1.94

Scarti di lavorazione Kg 0.4 0.32

Energia per hand lay-up MJ trascurabile trascurabile

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3.2 Considerazioni e limiti: Nell’ implementazione del metodo si è assunto che:

- La produzione dei semi di canapa è trascurabile; - La CO2 assorbita dalle piante durante il loro ciclo vegetativo non è stata calcolata.

Generalmente si suppone che la quantità di CO2 formatasi dalla biomassa, sia uguale alla quantità utilizzata dalle piante per crescere e quindi non contribuisce al global warming;

- Fertilizzanti e pesticidi non sono necessari per la coltivazione della canapa. Il beneficio ambientale è stato valutato facendo un confronto con la coltivazione del cotone, la quale richiede invece sia fertilizzanti che pesticidi [27, 28];

- Il vantaggio della riduzione di peso nel sistema ibrido è stato calcolato; - Non sono state valutate eventuali allocazioni.

4 Risultati e discussione 4.1 Il metodo Eco-indicator 99 L’Eco-indicator 99 valuta i diversi tipi di danno causati dalle differenti categorie d’impatto quali: acidificazione, riduzione dello strato di ozono, ecotossicità, etc. come mostrato in figura 2a.

Figura 2a: principali categorie d’impatto

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I danni calcolati per ogni categoria d’impatto sono raggruppati in tre principali categorie di danno nella figura 2b:

Figura 2b. Principali categorie di danno

4.2 Altri metodi di valutazione Altri metodi sono stati usati per la valutazione degli impatti: Cumulative Energy Demand, IPCC GWP 20a, Impact 2000+. I risultati, riportati in tabella 2, mostrano che il sistema ibrido (vetro-canapa)/resina ha migliori performance ambientali rispetto al sistema standard, per ogni parametro di rilievo.

Tabella 3. Confronto quantitativo delle categorie di danno più rilevanti

Item1- Danno alla salute umana (HH) espresso come il numero di anni di vita persi e il numero di anni vissuti con disabilità. Questi sono combinati come Disability Adjusted Life Years (DALYs). Il valore ottenuto per il sistema ibrido è minore rispetto a quello del sistema vetro/epoxy. I principali contributi al HH provengono da climate change, ozone layer, respiratory inorganics. Item2 - Danno alla Qualità degli Ecosistemi. Esprime la perdita di specie in una determinata area e durante un certo periodo. I risultati sono combinati come PDF*m2yr (potentially disappeared fraction per area per year). I principali contributi provengono da land use, ecotoxicity (concentration in soil of chemicals), acidification/eutrofication. Anche in questo caso, il sistema ibrido ha un valore ridotto rispetto a quello standard.

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Item3 - Danno alle Risorse, espresso come il surplus di energia necessario per future estrazioni di minerali e combustibili fossili (MJ surplus). L’utilizzo di canapa richiede meno risorse rispetto all’utilizzo del vetro. Item4 - L’energia totale consumata, calcolata mediante il metodo Cumulative Energy Demand. Il valore è stato calcolato sommando diversi contributi: fossile non rinnovabile; fossile rinnovabile; nucleare; rinnovabile da biomasse; rinnovabile eolica, solare e geotermica; rinnovabile idrica. Il contributo principale, nel nostro caso studio, deriva dal fossile non rinnovabile ed è maggiore per il sistema standard. Item5- Il contributo potenziale di una sostanza al cambiamento climatico è espresso in GWP espresso in Kg CO2-eq. I valori di GWP calcolati per i due sistemi, mettono in evidenza un impatto ridotto dovuto all’uso della canapa al posto della fibra di vetro. Item6 - La categoria “Land Occupation” è misurata in m2 e costituisce un parametro importante perché si basa sulla prospettiva che la superficie del pianeta è finite, quindi il suolo è una risorsa limitata. Anche in questo caso il valore trovato per il sistema ibrido è minore rispetto al sistema tradizionale. La valutazione del cambiamento della qualità del suolo è complicata. In questo studio si evidenzia l’impatto positivo sulla qualità del suolo dovuto alla rotazione della canapa. La rotazione è una pratica agronomica che presenta diversi benefici: - Aggiunge nutrienti al suolo - Protegge il suolo dall’attacco di parassiti - Protegge il suolo dall’erosione. La rotazione delle piante contribuisce ad aumentare la materia organica del suolo, in questo modo il terreno diventa più resistente alla siccità e all’erosione.

5 Conclusioni Dallo studio LCA finora condotto, risulta che il materiale ibrido presenta vantaggi ambientali rispetto al materiale standard, per due principali fattori:

1. Il minore uso di fibra di vetro consente un maggior risparmio energetico. 2. La scelta della canapa come fibra “verde”, consente la riduzione degli impatti per le tre

categorie ecotoxicity, land use ed eutrofication che normalmente sono elevati per le altre fibre vegetali, poiché la coltivazione della canapa non richiede utilizzo di pesticidi e fertilizzanti.

Inoltre nell’analisi SWOT (Strenght/Weakness/Opportunities/Threats) riportata in figura 3 emerge che i punti di forza e le opportunità dell’utilizzo della canapa nei compositi polimerici sono svariati [29,30] a fronte dei pochi punti di debolezza che sono rappresentati prevalentemente dalla difficoltà ad ottenere l’autorizzazione a coltivare la canapa, in alcuni paesi quale l’Italia, e dalla difficoltà a trovare continua disponibilità di stock.

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Punti di Forza

1. Proprietà meccaniche superiori rispetto alle

altre fibre naturali

2. Migliori performance ambientali

3. Forte potenziale di mercato

4. Sviluppo rurale

5. Richiesta crescente di materiali ecologici

6. Benefici ambientali nella coltivazione

(no uso di pesticidi e fertilizzanti)

7. Riduzione di peso per i compositi canapa/resina

8. Riduzione di costi rispetto ad altre fibre non vegetali (vetro, carbonio etc.)

Punti di debolezza

1. Mancanza di fornitura

2. Trasporto e stoccaggio della biomassa

3. Filiera poco sviluppata

5. Mancanza di catene di produzione e

distribuzione

Opportunità

1. Nuovi mercati emergenti

2. Processi tecnologici emergenti

3. Emergente enfasi su temi ambientali

4. Ricerca e Sviluppo

Minacce

1. Temi legali e regolamenti

2. Il problema della THC

3. Considerazioni strategiche e di mercato

4. Fornitura e trasporto

Figura 3. SWOT (Strenght/Weakness/Opportunities/Threats) analisi per l’utilizzo della fibra di canapa in compositi a matrice polimerica

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ALTAIR COMPOSITES MATERIAL VISION: LEADING EDGE SOLUTION FOR COMPLEX MATERIALS

Francesco Russo

Altairengineering, via Livorno 60, 10144 Torino (TO)

[email protected] Keywords: FEM, CAE, Optimization, Failure Criteria

Abstract In the past decades the composite materials is spreading like wildfire in industrial products. This is not only a big opportunity but also a big challenge for the product engineers.

Altair provide comprehensive CAE solution to tackle point by point the composite challenge helping the engineers during the various steps of their projects: at the initial phases, concept design, Altair propose an optimization method to give an idea about the tailoring and stacking of the ply starting from the load-cases in agreement to the applied constrains; Altair Radioss non Linear solver allow the engineering to investigate the rupture and the post rupture, this last application field is becoming more and more outstanding in composite crash boxes application.

Altair Is investing many resources to research and develop numerical method based on new approaches able to reproduce accurately the rupture intra and inter laminar.

Furthermore the Altair optimization skills play a key role in material characterization. The material models is becoming complex and rich of parameters not always easy to estimate, an optimization study around this parameters in order to best fit the experimental curves provide an accurate evaluation of this parameter bringing along the accuracy and the reliability of the simulation results.

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1 Presentazione della compagnia Altair nasce a Troy (Michigan) nel 1985 dall’esperienza e l’intraprendenza di un piccolo gruppo di ingegneri che, accomunati dalla passione per il calcolo numerico e dalla convinzione che tale strumento potesse fornire risposte concrete già nelle prime fasi della progettazione, impiega con successo il metodo degli elementi finiti nella realizzazione di componenti strutturali ad alto contenuto tecnologico e prestazionale.

Durante il loro lavoro, i soci fondatori cominciarono a sviluppare ed implementare algoritmi di calcolo sempre più complessi e completi fino a generare una suite di software facilmente fruibile da terzi. Da qui il passo alla commercializzazione fu breve.

Negli ultimi 25 anni la crescita dell’azienda ha avuto un andamento esponenziale, Altair ha espanso i suoi confini diventando sempre più presente nelle aree mondiali che ospitano aziende leader nel settore industriale e tecnologico.

Negli anni Altair ha anche ampliato l’offerta dei propri prodotti e servizi riorganizzandosi in business units:

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�HyperWorks : è il gruppo di lavoro che si occupa dello sviluppo, vendita e supporto della suite di software inerenti al CAE (Computer Aided Engineering),

�ProductDesign: è l’unità che offre servizi di consulenza ingegneristica volta alla

progettazione di prodotto e all’ingegnerizzazione dei processi, �PBSWorks: è diventata una delle maggiori realtà nell’ambito del grid connected

computing ovvero nella gestione di grosse risorse computazionali, � HiQube: è un prodotto che nasce nell’ambito della business intelligence. Permette di

analizzare un’elevata mole di dati tramite vari metodi di aggregazione, filtraggio e confronto.

�SolidThinking : è un software dedicato allo stile la cui pretesa è quella di sostituire la matita del designer. Al suo interno prevede, inoltre, un modulo di calcolo strutturale che aiuta l’esteta nella ricerca di forme che rispettino i requisiti strutturali.

�Ilumisys: nasce dall’acquisizione di un’azienda operante nell’ambito delle luci led a basso consumo, sintomo dell’attenzione di Altair verso tutto ciò che è innovativo ed attuale

2 Il CAE nel mondo dei materiali compositi Negli ultimi anni i compositi hanno di fatto dato origine ad una nuova era dell’ingegneria strutturale. In quest’era è possibile “progettare” un materiale in base alle caratteristiche meccaniche richieste. Da un lato questo porta ad un aumento delle possibilità date al progettista che potrà espandere il suo spettro d’azione incrementando l’efficienza meccanica dei particolari; dall’altro rappresenta una sfida che lo vede impegnato a gestire un elevato numero di variabili (materiale di rinforzo, matrice coesiva, orientazione, impilamento delle pelli ed altro ancora).

La possibilità di stimare, per via numerica, la risposta strutturale di un componente a fronte di svariati casi di carico rappresenta una chiara possibilità di ridurre il numero di prove sperimentali; nel contempo sarà possibile analizzare un maggior numero di configurazioni del laminato facendo variare materiale, numero e orientazione delle pelli, e, di conseguenza, migliorare l’efficienza del prodotto finale.

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3 HyperWorks, una soluzione completa per il CAE Altair offre una piattaforma software che ospita al suo interno una serie di ambienti e strumenti, perfettamente integrati tra loro, che mettono in grado l’utente CAE di affrontare un’elevata quantità di problematiche ingegneristiche.

La filosofia di fondo è quella di far compiere virtualmente i passi che normalmente si compierebbero fisicamente: realizzazione del pezzo, applicazione del carico, rilievi sperimentali. Focalizzando l’attenzione sui materiali compositi il pacchetto HyperWorks offre:

�HyperMesh: un ambiente dedicato a quello che in gergo viene chiamato “Pre-

Processing”; qui le idee ed i disegni del progettista prendono forma costruendo il pezzo come in un officina: si sceglie il materiale delle lamine, le si stendono l’una sull’altra secondo l’orientazione voluta, si introducono gli strati di honeycomb e così via.. �Radioss: un “Solutore” che, risolve le equazioni del moto, simulando di fatto il

laboratorio in cui il pezzo viene posto sotto il carico di prova.

�HyperView: un ambiente di “Post-Processing” assimilabile agli apparati di misura, estensimetri/celle di carico, tramite i quali il progettista deduce le prestazioni meccaniche del pezzo. L’ambiente virtuale offre il vantaggio di poter misurare spostamenti, forze, tensioni e deformazioni su molti più punti di quanto non si possa fare fisicamente.

A questi tre ambienti si affiancano degli strumenti di ottimizzazione Optistruct ed HyperStudy che rispondono ad un’altra tipica esigenza del progettista: dopo la prova sperimentale gli viene chiesto, infatti, di apportare delle modifiche al prototipo iniziale al fine di centrare le specifiche prestazionali qualora si fossero mancate o semplicemente migliorarle laddove la risposta del pezzo non fosse così convincente. La progettazione diventa dunque un processo iterativo che assume di fatto le connotazioni di una ottimizzazione a fronte di

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variazioni di parametri progettuali (forma, materiale, orientazione delle lamine ed altro ancora). Nei successivi paragrafi verranno descritti, entrando maggiormente nel dettaglio, gli ambienti di pre e post-processing, le soluzioni offerte nell’ambito del concept design ed i passi mossi nello studio della non linearità ed il danneggiamento dei materiali.

3.1 HyperMesh e la fase di pre-processing

Come detto precedentemente la fase di pre-processing è quella in cui si costruisce il pezzo virtuale. Tra i caratteri distintivi di HyperMesh si annovera la potenza con la quale è in grado di interagire le geometrie CAD discretizzandole in domini elementari; tale operazione è estremamente importante, infatti, il risultato di un calcolo agli elementi finiti può essere fortemente influenzato dal modo in cui si è creato il reticolo di nodi ai quali viene riportata la soluzione delle equazioni del continuo.

HyperMesh permette, inoltre, di creare in maniera facile ed intuitiva la sequenza di laminazione voluta e, grazie ad una visualizzazione tridimensionale degli elementi piastra, di avere un immediato riscontro sulla correttezza delle impostazioni assegnate.

3.2 HyperView e la fase di post-processing

L’ambiente di post-processing è invece l’equivalente della sala metrologica. Oltre alle tipiche grandezze proprie di una qualunque analisi strutturale (spostamenti, forze, etc..) HyperView permette di leggere lo stato tensionale di ogni singola pelle nelle varie zone per mezzo di una mappa di colori ( l’intensità del colore è ovviamente proporzionale all’intensità della grandezza richiesta); è inoltre possibile visualizzare grandezze vettoriali e tensoriali visualizzandole sottoforma di frecce in modo da poterne individuare l’orientazione.

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Si supponga, adesso, di avere un laminato con una determinata sequenza e di voler sapere qual è il valore massimo di stress tra le pelli orientate a 45° oppure di voler individuare la più stressata tra le lamine fatte di un determinato materiale. Tali dati possono essere facilmente estratti tramite la funzione “layer-aggregation filter” che Altair ha implementato nella recente versione di HyperView.

In ultimo, non in ordine di importanza, va sottolineata la capacità di creare dei risultati derivanti da quelli già a disposizione; l’utente potrà creare il proprio indice di rottura - fornendo, ad esempio, una relazione matematica che lega le componenti dei tensori di stress, strain, spessori dei laminati ed altro ancora - oppure utilizzarne uno tra quelli già presenti in libreria.

3.3 Analisi Lineari e “Concept Design” Altair vanta una profonda ed intima conoscenza nell’ambito dell’ottimizzazione topologica. Molto spesso i progettisti si trovano davanti alla problematica di dover “ideare” un particolare che verrà alloggiato all’interno di una struttura e che ovviamente dovrà svolgere la sua missione: si conoscono quindi l’ingombro del pezzo, le zone in cui verrà vincolato ed i carichi ai quali verrà sottoposto ma non se ne conosce ancora la forma.

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L’ottimizzazione topologica identifica le zone più caricate all’interno di questo ingombro permettendo di svuotarlo da quelle meno stressate, “suggerendo” così una “forma” atta a minimizzare la massa pur continuando a garantire le prestazioni meccaniche del pezzo. Optistruct è stato uno dei primi codici commerciali ad implementare algoritmi di ottimizzazione topologica. Nei materiali compositi il problema è più complesso in quanto ci sono molte più variabili da gestire; Altair ha messo a punto una strategia di ottimizzazione dei laminati compositi che può essere riassunta in tre fasi:

� Fase 1, Tayloring:

In questa fase si ipotizza che il progettista, in base alla propria esperienza, conosca quali saranno i materiali delle lamine e le orientazioni che userà nel suo laminato; si ipotizza inoltre che ogni laminato possa essere diviso in un numero noto di Macro-Ply. Il MacroPly può essere pensato come un insieme di lamine aventi stesso materiale, stessa orientazione e stessa forma. Nell’esempio sotto si semplifica utilizzando un solo materiale, quattro orientazioni ( 0, 45, - 45, 90) e quattro “Macro-Ply” per ogni orientazione (in tutto sedici).

L’ottimizzatore in uscita restituisce, in base ai casi di carico impostati, la forma di ciascun Macro-Ply svuotandola dalle parti meno sollecitate.

� Fase 2, Ply Bundle Sizing:

In quest’altra fase l’ottimizzatore, introducendo come dato lo spessore della singola lamina (tipicamente quello di produzione), determinerà il numero di lamine per ciascun MacroPly.

� Fase 3, Shaffling:

In quest’ultima fase verrà determinata la sequenza con cui le varie lamine si disporranno all’interno del laminato. Possono essere inseriti vincoli di simmetria e bilanciamento, ma anche vincoli legati alla produzione del laminato stesso, come ad esempio quello di non avere più di tre lamine uguali in contatto tra loro.

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Non è superfluo sottolineare che ciascuna fase può essere affrontata singolarmente qualora il progettista abbia già i dati per poterla eseguire; ad esempio se volesse soltanto conoscere il l’impilamento delle lamine che meglio risponde ai sui casi di carico andrebbe direttamente alla fase 3.

3.4 Non linearità, danneggiamento e rottura

L’esigenza di indagare sul comportamento del materiale oltre il tratto elastico lineare è diventata in questi ultimissimi anni sempre più impellente. Tale esigenza è giustificata da vari motivi, tra i quali: � Analisi di riparabilità, ovvero stimare la resistenza residua della struttura a seguito

di una condizione di lavoro che va fuori da quella di progetto � Analisi di danneggiamenti appena visibili, dovuti molto spesso a seguito della

caduta di utensili durante il processo produttivo

�Stima dell’energia assorbita dal materiale durante la rottura; nell’ambito delle auto da corsa tali materiali vengono utilizzati come strutture sacrificali fornendo un’ottima soluzione in termini di rapporto energia assorbita rispetto al peso.

Il primo passo in questo tipo di simulazioni numeriche è una corretta caratterizzazione del materiale in campo elastico-plastico. Scelto il modello matematico adeguato occorre stimare i parametri che lo governano. Altair ha implementato all’interno del suo codice non lineare Radioss alcuni tra i più avanzati modelli di plasticità per materiali ortotropi . Dal punto di vista operativo occorre replicare in ambiente virtuale le prove normate cercando di avvicinarsi il più possibile alle prove sperimentali.

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All’interno della suite è presente il già citato ottimizzatore multidisciplinare, HyperStudy, in grado di ripetere, iterativamente, le prove virtuali facendo variare i parametri del modello fino ad ottenere il miglior fitting delle curve sperimentali. Definito il tratto plastico, si passerà alla caratterizzazione dei modi di rottura del materiale.

Da un punto di vista numerico tale fenomeno può essere affrontato in diversi modi. A seconda del livello di accuratezza che si vuole raggiungere ci si possono utilizzare modelli sempre più complessi.

Un primo modo per rappresentare il cedimento strutturale è quello di porre pari a zero il tensore di stress dell’elemento finito una volta verificatasi una certa condizione, per poi cancellarlo dal modello. Il modo in cui il tensore di stress verrà portato a zero può essere controllato inserendo un tratto di “softening” in modo da rendere più graduale e fisica la rottura.

Radioss implementa al suo interno una vasta gamma di criteri di rottura, fra i quali:

� Hashin � Puck � Ladeveze � Tsai-Wu � Chang-Chang � Yamada Sun

Questi criteri di rottura possono essere applicati simultaneamente in modo da cogliere meglio il fenomeno; ad esempio si potrà applicare Hashin per la rottura che interviene lungo le fibre di rinforzo, il criterio di Puck per modellare la rottura causata dal cedimento della matrice ed infine il criterio di Ladeveze per tenere conto della delaminazione.

L’approccio appena presentato presenta alcune limitazioni; la più evidente è quella che rende l’avanzamento della cricca dipendente dalla disposizione degli elementi, di fatto generando una linea di rottura che potrebbe scostarsi molto dalla realtà.

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Tale limite, presente in generale per tutti i materiali, diventa assai più restrittivo qualora si voglia inseguire una cricca interlaminare.

Altair, ha investito molto su questo tema trovando una risposta nel metodo X-FEM (Extended FEM); tale formulazione già presente nelle versioni del solutore da un paio di anni è tutt’ora in fase di miglioramento e consolidamento.

Uno dei più complessi ed affascinanti fenomeni che riguardano i materiali compositi è quello della rottura per de laminazione. La figura in basso mostra come il composito si “sfogli” assorbendo energia, ed allo stesso tempo facendo da cuscino inserendosi all’interno del tubo.

Nella maggior parte dei modelli agli elementi finiti ad uso industriale, il laminato viene rappresentato tramite elementi piastra, modellazioni con strati di solidi richiederebbero un dispendio computazionale non trascurabile. D’altra parte l’ipotesi di stato tensionale piano della piastra non contempla la possibilità di modellare la delaminazione in maniera appropriata. Altair sta sviluppando un nuovo tipo di formulazione di elemento piastra, che ovviamente va oltre la classica teoria degli elementi finiti, capace di cogliere questo fenomeno mantenendo allo stesso tempo ridotte le risorse computazionali.