Atti della XX Conferenza Internazionale

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Atti della XX Conferenza Internazionale promossa e organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute su Il genoma umano 17-18-19 novembre 2005 Nuova Aula del Sinodo Città del Vaticano DOLENTIUM HOMINUM N. 61 – anno XXI – N. 1, 2006 RIVISTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

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Atti della XXConferenza

Internazionale

promossa e organizzata dal Pontificio Consiglio

per la Pastorale della Salutesu

Il genoma umano

17-18-19 novembre 2005

Nuova Aula del SinodoCittà del Vaticano

DOLENTIUM HOMINUMN. 61 – anno XXI – N. 1, 2006

RIVISTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

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Indirizzo d’omaggio al Santo PadreS.Em. Card. Javier Lozano Barragán

Discorso del Santo PadreBenedetto XVI

IL GENOMA UMANO

PROLUSIONE

Vita: dono d’amoreS.Em. Card. Javier Lozano Barragán

Introduzione alla prima giornataP. Angelo Serra

PRIMA SESSIONE

SITUAZIONE ATTUALE

1. La genetica umana oggi:speranze e rischiProf. George Robert Fraser

2. Genoma e postgenoma: presente e futuro. Variabilità del genoma umano e disturbiProf. Stylianos E. Antonarakis

3. Malattie congenite legatea un’anomalia cromosomicaDott.ssa Clotilde Mircher

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4. Le malattie monogenicheProf. Pietro Chiurazzi

5. Le malattie multifattorialiProf. Maurizio Genuardi

6. Predisposizione genetica al cancro e alle malattie latentiP. Jacques Simporé, M.I.

7. Assistenza medica per i pazienti e le loro famiglieProf. Giovanni Neri

8. Il giudizio, l’errore e la negligenza negli aspetti genetici della medicina materno-fetaleProf. Aubrey Milunsky

9. Lo sviluppo dei test diagnosticiper le malattie geneticheDott.ssa Christine M. Eng

10. Screening genetico della popolazioneS.E. Mons. Johannes Baptist M. Gijsen, D.D.

11. Stem cell: cellule staminali,terapia genica in uteroProf. Christopher D. PoradaProf. Graça Almeida-PoradaProf. Paul ParkProf. Ferhat OzturkProf. Joe TellezProf. Esmail D. Zanjani

12. Bioetica internazionale e genetica umana. L’attività dell’UNESCOProf. Henk A.M.J ten Have

Sommario

giovedì17

novembre

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13. Ricerca genetica e cooperazione internazionaleS.E. Mons. Celestino Migliore

SECONDA SESSIONE

ILLUMINAZIONE

1. Percorso storico della genetica umanaProf. Vincenzo Cappelletti

2. La genetica umana alla luce della parola di DioS.Em. Card. Darío Castrillon Hoyos

3. L’etica della genetica medica:la sfida della concretizzazione dellepotenzialità della medicina geneticasenza dover far ricorso a manufattiProf. Paul Lauritzen

4. Verso l’eugenismo liberale.Una valutazione eticaP. Bonifacio Honings, O.C.D.

5. La prevenzione delle malattie genetiche dal punto di vista della PastoraleS.Em. Card. Karl Lehmann

6. Dialogo interreligiososull’applicazione della conoscenzadella genetica umana

6.1 La prospettiva ebraicaProf. Abramo Alberto Piattelli

6.2 La prospettiva islamicaProf. Justo Lacunza Balda

6.3 L’Induismo e l’applicazionedelle conoscenze sulla genetica umanaDott. Vashanta Muthuswamy

6.4 Il Buddismo e il genoma umanoDott. Masahiro Tanaka

7. Genetica e postmodernitàP. Ján Ďacok, S.J.

TERZA SESSIONE

AZIONE

1. La genetica e la nuova culturaS.Em. Card. Paul Poupard

2. Visione pastorale della ricerca geneticaS.Em. Card. Angelo Scola

3. Genetica medica e comitati eticinegli ospedaliProf.ssa Maria Luisa Di Pietro

4. Genetica e societàDott.ssa Francesca Pasinelli

5. Economia e geneticaDott. Xavier Pomés

6. Formazione e aggiornamentodell’agente della Pastorale nel campo della genetica Prof. Francisco de Llanos Peña

7. Etica del counselling geneticoP. Maurizio Pietro Faggioni, O.F.M.

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Le illustrazioni di questo numerosono tratte dal libro:

La Casina Pio IV in Vaticano.Guida storica e iconografica

Pontificia Accademia delle ScienzeCittà del Vaticano, 2005

venerdì18

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6 IL GENOMA UMANO

Nella Lettera apostolica “Motu Proprio” “Do-lentium Hominum”, con la quale si costituiscequesto Dicastero della Pastorale della Salute ci sichiede di “promuovere e intensificare le necessarieattività di studio di proposta e di approfondimen-to”(n. 5) ai problemi specifici del servizio sanita-rio, nel contesto specifico del vero bene dell’uo-mo. Fra questi problemi nella suddetta Letteraapostolica si afferma, cito: “Le nuove frontiere,poi, aperte dai progressi della scienza e dalle suepossibili applicazioni tecniche e terapeutiche, toc-cano gli ambiti più delicati della vita nelle sue stes-se sorgenti e nel suo profondo significato” (n. 3).

Proprio per tentare un’approfondita risposta aiproblemi delle sorgenti della vita e della salute, nelPontificio Consiglio per la Pastorale della Salute,avendo avuto il beneplacito del Vostro amato pre-decessore, sua Santità Giovani Paolo II, abbiamoscelto come tema della nostra XX Conferenza In-ternazionale, il genoma umano. Relatori di grandecompetenza di ben 17 paesi, e partecipanti di 82paesi si sono riuniti per realizzare questo proposito.

Il nostro scopo è confrontare col Vangelo le me-raviglie genetiche attuali per illuminare con la Pa-rola di Dio i più delicati ambiti della vita nelle suestesse sorgenti. In questa illuminazione, la Sua Pa-

rola, Santità, sarà la guida che ci condurrà verso ilvero bene dell’uomo nella stessa fonte della salute.

Santo Padre, ho l’onore di offrirLe l’affetto e l’a-desione dei nostri relatori e dei nostri partecipanti:cardinali, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi elaici, che con la loro competenza scientifica, filo-sofica e teologica, hanno realizzato questa confe-renza.

Siamo tutti molto lieti di godere della presenzadel Delegato personale di sua Santità Alessio II,del Patriarcato di Mosca; e del Metropolita Nico-laos, membro del Santo Sinodo e Delegato dellaChiesa ortodossa di Grecia.

Adesso, Santo Padre, al culmine della nostraConferenza arriviamo a essere ricevuti da Sua San-tità e poter avere il privilegio di sentire la sua auto-revole Parola che sarà la guida definitiva nel nostrolavoro.

Tante grazie, Santo Padre, nella nostra gioia distare alla sua presenza, ci accingiamo ad ascoltar-La con attenzione, umiltà e devozione.

Città del Vaticano, 19 novembre 2005.

S.Em. Card. JAVIER LOZANO BARRAGÁNPresidente del Pontificio Consiglio

per la Pastorale della SaluteSanta Sede

INDIRIZZO D’OMAGGIO AL SANTO PADRE

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7DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Signor Cardinale,venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,illustri Signori e Signore!

A tutti rivolgo il mio saluto cordiale, con un par-ticolare pensiero di gratitudine al Signor CardinaleJavier Lozano Barragán per le gentili parole di sa-luto espresse a nome dei presenti. Saluto in specialmodo i vescovi e i sacerdoti che prendono parte aquesta Conferenza, come pure i relatori, i qualihanno offerto in questi giorni un contributo certa-mente qualificato sui problemi affrontati: le loro ri-flessioni e i loro suggerimenti saranno oggetto diattenta valutazione da parte delle competenti istan-ze ecclesiali.

Ponendomi nell’ottica pastorale propria del Pon-tificio Consiglio che ha promosso questa Confe-renza, mi piace rilevare come oggi, soprattutto nel-l’ambito dei nuovi apporti della scienza medica, èofferta alla Chiesa un’ulteriore possibilità di svol-gere una preziosa opera di illuminazione delle co-scienze, per far sì che ogni nuova scoperta scienti-fica possa servire al bene integrale della persona,nel costante rispetto della sua dignità. Nel sottoli-neare l’importanza di questo compito pastorale,vorrei anzitutto dire una parola di incoraggiamen-to a chi è incaricato di promuoverlo. Il mondo at-tuale è segnato dal processo di secolarizzazioneche, attraverso complesse vicende culturali e so-ciali, ha non soltanto rivendicato una giusta auto-nomia della scienza e dell’organizzazione sociale,ma spesso ha anche obliterato il legame dellerealtà temporali con il loro Creatore, giungendoanche a trascurare la salvaguardia della dignità tra-scendente dell’uomo e il rispetto della sua stessavita. Oggi tuttavia la secolarizzazione, nella formadel secolarismo radicale, non soddisfa più gli spiri-ti maggiormente consapevoli e attenti. Ciò vuol di-re che si aprono spazi possibili e forse nuovi per undialogo proficuo con la società e non soltanto con ifedeli, specialmente su temi importanti come quel-li attinenti la vita.

Questo è possibile perché nelle popolazioni dilunga tradizione cristiana rimangono presenti semidi umanesimo non raggiunti dalle dispute della fi-losofia nichilista, semi che tendono, in realtà, arafforzarsi quanto più gravi diventano le sfide. Ilcredente, del resto, sa bene che il Vangelo ha unasintonia intrinseca con i valori inscritti nella naturaumana. L’immagine di Dio è così profondamenteimpressa nell’animo dell’uomo che difficilmentela voce della coscienza può essere messa del tuttoa tacere. Con la parabola del seminatore Gesù nelVangelo ci ricorda che c’è sempre del terreno buo-no in cui il seme attecchisce, germoglia e fa frutto.Anche uomini che non si riconoscono più comemembri della Chiesa o che hanno perduto addirit-tura la luce della fede, restano comunque attenti aivalori umani e ai contributi positivi che il Vangelopuò apportare al bene personale e sociale.

È facile rendersene conto soprattutto riflettendosu ciò che costituisce l’oggetto della vostra Confe-renza: gli uomini del nostro tempo, resi anche piùsensibili dalle vicende terribili che hanno funesta-to il Ventesimo secolo e l’inizio stesso dell’attuale,sono in grado di ben comprendere come la dignitàdell’uomo non si identifichi con i geni del suoDNA e non diminuisca per l’eventuale presenza didiversità fisiche o di difetti genetici. Il principio di“non discriminazione” sulla base di fattori fisici ogenetici è profondamente entrato nelle coscienzeed è formalmente enunciato nelle Carte sui dirittidell’uomo. Tale principio ha la sua fondazione piùvera nella dignità insita in ogni uomo per il fatto diessere creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr.Gn 1,26). L’analisi serena dei dati scientifici, pe-raltro, porta a riconoscere la presenza di tale di-gnità in ogni fase della vita umana, a cominciaredal primo momento della fecondazione. La Chiesaannuncia e propone queste verità non soltanto conl’autorità del Vangelo, ma anche con la forza deri-vante dalla ragione, e proprio per questo sente ildovere di fare appello a ogni uomo di buona vo-lontà, nella certezza che l’accoglienza di questeverità non può che giovare ai singoli e alla società.

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Ogni nuova scoperta scientifica possa servireal bene integrale della persona nel costante rispetto della sua dignità

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8 IL GENOMA UMANO

Occorre infatti guardarsi dai rischi di una scienza edi una tecnologia che si pretendano completamen-te autonome nei confronti delle norme morali in-scritte nella natura dell’essere umano.

Non mancano nella Chiesa gli Organismi pro-fessionali e le Accademie capaci di valutare le no-vità in ambito scientifico, in particolare nel mondodella biomedicina; vi sono poi gli Organismi dot-trinali specificamente deputati a definire i valorimorali da salvaguardare e a formulare le norme ri-chieste per la loro efficace tutela; vi sono infine iDicasteri pastorali, come il Pontificio Consiglioper gli Operatori Sanitari, ai quali spetta di elabo-rare le metodologie opportune per assicurareun’incisiva presenza della Chiesa sul piano pasto-rale. Questo terzo momento è prezioso non soltan-to in ordine a una sempre più adeguata umanizza-zione della medicina, ma anche per assicurare unatempestiva risposta alle attese, da parte delle sin-gole persone, di un efficace aiuto spirituale. Oc-corre dunque dare nuovo slancio alla Pastorale del-la Salute. Ciò comporta un rinnovamento e un ap-profondimento della proposta pastorale stessa, chetenga conto dell’aumentata mole di conoscenzediffuse dai media nella società e del più alto livel-lo d’istruzione delle persone a cui ci si rivolge.Non si può trascurare il fatto che, sempre più spes-so, su problemi anche scientificamente qualificatie difficili, non soltanto i legislatori, ma gli stessicittadini sono chiamati a esprimere il loro pensie-ro. Se manca un’istruzione adeguata, anzi una for-mazione adeguata delle coscienze, facilmente pos-sono prevalere, nell’orientamento dell’opinionepubblica, falsi valori o informazioni deviate.

Adeguare la formazione dei pastori e degli edu-catori, per renderli capaci di assumere le proprieresponsabilità in coerenza con la propria fede e, in-

sieme, il dialogo rispettoso e leale con i non cre-denti, ecco il compito imprescindibile di una Pa-storale aggiornata della salute. Nel campo, in par-ticolare, delle applicazioni della genetica, le fami-glie oggi possono mancare delle informazioni ade-guate e avere difficoltà a mantenere l’autonomiamorale necessaria per restare fedeli alle propriescelte di vita. In questo settore, pertanto, si richie-de una formazione delle coscienze approfondita echiara. Le odierne scoperte scientifiche toccano lavita delle famiglie, impegnandole in scelte impre-viste e delicate, che occorre affrontare con respon-sabilità. La Pastorale nel campo della salute haquindi bisogno di consulenti formati e competenti.Ciò lascia intravedere quanto la gestione di questosettore di impegno sia oggi complessa ed esigente.

Di fronte a queste aumentate esigenze della Pa-storale, la Chiesa, mentre continua a confidare nel-la luce del Vangelo e nella forza della Grazia, esor-ta i responsabili a studiare la metodologia adegua-ta per portare aiuto alle persone, alle famiglie e al-la società, coniugando fedeltà e dialogo, approfon-dimento teologico e capacità di mediazione. In ciòessa conta, in particolare, sull’apporto di quanticome voi, qui raccolti per prendere parte a questaConferenza Internazionale, hanno a cuore i fonda-mentali valori su cui si regge l’umana convivenza.Profitto volentieri di questa circostanza per espri-mere a tutti grato apprezzamento per il contributoin un settore tanto importante per il futuro dell’u-manità. Con questi sentimenti, invoco dal Signorecopiosi lumi sul vostro lavoro e, quale testimo-nianza di stima e di affetto, a tutti impartisco unaspeciale Benedizione.

Città del Vaticano, sabato, 19 novembre 2005

BENEDETTO XVI

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Il genoma umano

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10 IL GENOMA UMANO

Riflettendo sul genoma umano,come breve introduzione a questanostra Conferenza Internazionale,cercherò di presentare alcuni con-tributi riguardo la vita come donod’amore, con la speranza che pos-sano risultare utili per inquadrare ilnostro studio alla luce del Messag-gio Rivelato.

La mia riflessione abbraccerà iseguenti punti:

I. Vita. Rudimenti di biogenetica.Inizio della vita umana

II. Vita. MovimentoOrganicità-FinalitàUnità internaUnità esternaNegazione di distinzione

III. La Vita come opposizioneDiverse opposizioniContraddizioneContrarietà

IV. Vita Cristiana trinitariaIncarnazioneContraddizione e contrarietà

I. Vita. Rudimenti di biogenetica

Permettetemi di fare riferimentoad alcuni fondamenti scientificisull’origine della vita umana. Ciòpotrebbe sembrare ridicolo di fron-te a scienziati di così alto livello,come quelli che partecipano a que-sta Conferenza Internazionale. Lofaccio però, e vi domando scusa ecomprensione, soltanto perché mi

servono come dati elementari daiquali desidero far partire la mia ri-flessione sulla vita come dono d’a-more.

Inizio della vita umana

La vita umana inizia in una cel-lula, che è formata da membranacellulare, citoplasma, membrananucleare e nucleo.

Nel citoplasma si trovano unaserie di strutture con diverse fun-zioni come i ribosomi, dove si sin-tetizzano le proteine, consideratecome il prodotto primario dell’atti-vità genetica.

La membrana nucleare separa ilcitoplasma dal nucleo, all’internodel quale si trovano i cromosomi,nei quali sono disposti il DNA e igeni che, a loro volta, sono ubicatinel DNA. Dai cromosomi ha origi-ne la vita umana mediante l’ener-gia del DNA con i suoi geni. Comeavviene tutto ciò?

Elementi iniziali della vita umana

1. AttoriCi sono cinque attori, e cioè: i

cromosomi, 23 coppie e quindi 46in totale; il DNA (acido desossiri-bonucleico), ove si trovano i cro-mosomi, avvolti a mo’ di elica conun giro e tre quarti; l’RNA (acidoribonucleico), sia messaggero chedi trasferimento del DNA: mDNAe tDNA; i geni, minima porzionedel DNA, che determinano la vita eper questo devono ordinarsi a tre atre in insiemi che vengono denomi-nati “triplette”; le proteine, chequando hanno una funzione di me-

tabolismo si chiamano “enzimi”,sono 20 aminoacidi ordinati dalDNA. La funzione dei geni vienespiegata più avanti.

Delle 23 coppie di cromosomiumani, 22 si chiamano autosomi euna coppia, il numero 23, si chia-ma gonosoma o cromosoma X.Quando la coppia ha due cromoso-mi X il sesso è femminile, quandocontiene un cromosoma X e uno Ydà origine al sesso maschile. I genirisiedono nel DNA che, a sua volta,si trova in questi cromosomi, comedetto prima.

Il movimento basilare del DNAavviene dal nucleo della cellula fi-no al suo citoplasma. Per muoversiattraversa la membrana del nucleoe va a trovarsi nel citoplasma conle proteine che si accinge a ordina-re. Il DNA si replica nel nucleo, sitrascrive nel nucleo stesso e si con-verte fuori dal nucleo, nel citopla-sma, nel ribosoma e, trasformato,arriva alle proteine, ubicate nellostesso citoplasma. Esso invia la suainformazione dal nucleo; taleinformazione si trascrive e si tra-sforma per giungere in questo mo-do alle proteine.

La ricezione dell’informazione,la sua trascrizione e trasformazionehanno luogo nell’acido ribonuclei-co (RNA), che si chiama “messag-gero”, mRNA, fino a uscire dal nu-cleo della cellula, e “di trasporto”,tRNA, quando trasporta il DNAnel citoplasma, nel ribosoma, af-finché così si possano ordinare gliaminoacidi delle proteine. I 20aminoacidi della proteina che ordi-na il DNA sono: arginina, cisteina,asparagina, acido glutammico, fe-

JAVIER LOZANO BARRAGÁN

Vita: dono d’amore

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novembrePROLUSIONE

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nilalanina, glicide, istidina, isoleu-cina, lijaide, lisina, metionina, pro-lina, glutammina, serina, treonina,valina, triptofano, tirosina, argininae acido aspartico.

2. Struttura del DNALa struttura del DNA consta di

quattro elementi che si combinanoma che, nella loro espressione piùsemplice, sono: una base azotata,due acidi e una proteina. La baseazotata può essere “purina” o “piri-midina”: la purina consta di adeni-na e guanina; la pirimidina di cito-sina e timina. Le basi purine e piri-midine si uniscono mediante lega-mi di idrogeno. Gli acidi sono l’a-cido fosforico e il desossidoribosio(zucchero). La proteina è l’istone.L’insieme dei quattro elementi for-ma un nucleotide. L’insieme deinucleotidi si incatena e le sue cate-ne formano il DNA.

3. Struttura dell’RNAL’RNA si distingue dal DNA in

quanto ha una sola banda invecedelle due che possiede l’“elica” delDNA. In questa banda ha le stessebasi azotate del DNA, ad eccezio-ne della timina che è sostituita daun’altra base denominata “uraci-le”. È così costituito da adenina,citosina, guanina e uracile. L’RNAmessaggero (mRNA) “fotografa”il DNA nel nucleo, trascrivendo etrasmettendo così l’informazionedel DNA al citoplasma per ordina-re gli aminoacidi delle proteine.L’informazione “fotografata” dal-l’mRNA si legge nelle sequenzedei tre geni dei quali parliamo eche sono denominati “triplette”;tali triplette si chiamano, a lorovolta, “codoni” e servono comestampo affinché in esse trovino po-sto le proteine e avvenga la lorosintesi; assieme ai codoni si trova

un’altra sostanza dell’RNA deno-minata “anticodone”; gli anticodo-ni sono incaricati di dare la corret-ta sequenza agli aminoacidi delleproteine che si sono modellate neicodoni.

Qui l’RNA diventa tRNA, cioèdi trasporto, e realizza un trasferi-mento di famiglie di molecole, cia-scuna per un amido diverso dellaproteina.

Si realizza così la codificazionedella sequenza delle stesse proteineche porta a compimento un altroelemento che ha origine dall’RNA,e che si chiama “esone”. Assieme aesso ce n’è un altro, l’“introne”.Dell’introne si sa poco, alcuni di-cono che aiuta l’esone nella codifi-ca. Tuttavia, quando l’RNA arrivaal ribosoma, che, come abbiamodetto, si trova nel citoplasma dellacellula, elimina gli introni e lascia aoperare solo gli esoni.

4. I geniI geni sono l’unità dell’eredità

collocata in linea nel nucleo cellu-lare come una particella del DNA(tra il 2 e il 3% dell’acido). Ognigene contiene molti nucleotidi. Unnucleotide è costituito da zuccheroa cinque atomi di carbonio, acidofosforico e da una base nitrogenata.La base nitrogenata è a sua voltaformata da quattro componenti, ecioè: adenina, citosina, guanina etimina. È molto importante notareche la sequenza e la proporzione diquesti elementi determinano leproprietà del gene. I geni agisconoattraverso le molecole dell’acidoribonucleico per il metabolismodell’organismo oppure per la pro-duzione delle proteine. Le protei-ne, a loro volta, sono formate dacatene di venti aminoacidi. La se-quenza degli aminoacidi in unaproteina specifica determina sequesta proteina farà parte dellastruttura di un organismo oppuredel suo metabolismo.

Ci sono altri componenti dei ge-ni negli animali e nelle piante chesi trovano in proporzione di dieci auno in relazione alla base azotata,però non si conoscono ancora mol-to bene.

La sequenza interna nel nucleo-tide è la sequenza delle basi azota-te purina e pirimidina che, a lorovolta, sono formate in gruppi di treche prendono il nome di triplette ocod genes. È molto importante no-

tare che sono la sequenza internaed esterna di queste basi e la loroproporzione a segnare la differenzatra tutti gli esseri viventi. Un esem-pio di sequenza di triplette potreb-be essere: ATT---CGC---CGA---AAC---ACG---AAA.

5. Codice geneticoIl codice genetico è l’informa-

zione genetica cifrata della sequen-za dei nucleotidi. L’informazionedel codice genetico del DNA si tra-scrive in una informazione com-plementare nelle triplette dell’R-NA messaggero, che ricevono ilnome di codoni e questa, infine, sitraduce per ordinare gli aminoacididella proteina.

Una volta realizzato tutto il pro-cesso, si è giunti a poter delineare illuogo ove sono ubicati i geni neicromosomi umani. A questi luoghiviene conferita la denominazionelatina di loci. È possibile così de-terminare il lavoro che ogni generealizza con ciascun aminoacidodelle proteine. In questo modo èstato possibile tracciare la mappadel genoma umano, il suo codicegenetico.

6. RiproduzioneLe cellule così formate si divido-

no e si riproducono per “mitosi” inproporzioni geometriche, ciascunacon i suoi 46 cromosomi, eccetto lariproduzione delle cellule delle go-nadi, che si riproducono con un al-tro processo chiamato “meiosi”,secondo il quale la catena dei cro-mosomi che formava un’elica di46, si separa a metà. Una metà vaall’ovulo e l’altra allo spermato-zoo. Quando l’ovulo è fecondatodallo spermatozoo, si riproduce giàcon i 46 cromosomi normali permitosi, formando così il blastocito,l’embrione e il feto.

Conclusione del quadro biogenetico

In base a quanto detto prima,possiamo giungere alle seguenticonclusioni:

– la vita appare come un movi-mento;

– come un movimento organico;– come un movimento organico

complementare che procede sem-pre sulla base di relazioni intricate;

– e ha sempre una finalità.

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12 IL GENOMA UMANO

La vita si delinea come: un movi-mento organico complementare direlazioni e finalità.

II. Vita. Movimento

Se ci domandiamo: cosa c’è ol-tre la biogenetica per comprenderela vita?, troviamo la risposta nelcapitolo 11 del Vangelo di SanGiovanni, che parla della risurre-zione di Lazzaro. Cristo dice aLazzaro già morto: “Lazzaro, vie-ni fuori!”. E il passaggio dallamorte alla vita ha luogo in modovisibile col movimento: Lazzaro,immobile e coperto di bende, ini-zia a muoversi, cammina, esce.Ancora una volta appare il movi-mento che abbiamo osservato nel-la biogenetica, osserviamo ora su-perficialmente come un movimen-to locale: esce; cosa c’è di vitalenel movimento?

1. Antica definizione della vita

Ricordo una vecchia definizionedella vita: la vita è capacità di muo-versi da sé. Gli antichi perciò ci di-cevano che la vita è l’essere o l’a-gire della sostanza che, secondo lapropria natura o la sua operazionenaturale, si relaziona con il movi-mento o con una qualche operazio-ne. Si tratta di un essere costituitonelle sue parti essenziali che ora silancia verso la vita, cioè al suo mo-vimento interno. Ma cos’è questomovimento? Ecco la risposta: essoè ciò che è in capacità e potenza inquanto tale. La vita, pertanto, sa-rebbe la capacità primordiale di es-sere e di agire.

2. Movimento organico

Precisando maggiormente que-sto movimento organico, lo si puòcomprendere meglio contrappo-nendolo a una certa concezionedella vita che si colloca all’internodi un parametro meccanicista, incui il movimento vitale è concepitocome una collisione quantica.

Il movimento organico che co-stituisce la vita non è uno scontrodi quantità della res extensa carte-siana, ma un’espansione finalisticache trascende la quantità, pur nonprescindendone. Proprio grazie aquesta finalità, il movimento vitaleè un movimento che troviamo nel

campo delle relazioni e che punta auna finalità definita che, precisa-mente, fa sì che la vita organica siaunità, mentre la disintegrazione vi-tale costituisce la morte.

3. Organicità

Essere agendo, e agire essendo.In ogni movimento, però, ci sonodue termini, l’uno dal quale si pro-cede, e l’altro al quale si tende.Quello al quale si tende è la sua fi-nalità, ciò che specifica e definiscetutto il movimento. Fin dove, quin-di, tende la vita? Penso che la ri-sposta sia che la vita tende versol’unità. L’organicità è ciò che spe-cifica la vita, c’è un’unità che orga-nizza l’essere vivente dall’internoe c’è un’unità che lo organizza dal-l’esterno, e cioè in relazione congli altri esseri.

Ma, affinché ci sia organicità,deve esserci distinzione delle parti,distinzione di organi, tanto internaquanto esterna; viceversa, non puòesserci unità. L’unità interna e l’or-ganicità dell’essere vivo lo rendo-no presente nella vita, generare lapropria organicità è generare lapropria vita. Tuttavia, questa orga-nicità non si esaurisce all’interno,ma mira all’organicità esterna, al-l’unità con gli altri essere vivi. L’u-nicità interna conferisce l’indivi-dualità, tuttavia essa non è vitale senon è intimamente trasformata dal-l’unicità esterna, dalla relazionecon gli altri esseri vivi.

L’organicità esterna riguarda intal modo l’individualità che questanon può chiudersi in se stessa peressere vita individuale, bensì ottie-ne la propria ricchezza quando siapre agli altri e si realizzano l’u-nità, l’armonia, la convergenza deidiversi. Potremmo dire quindi chela vita è la convergenza degli esse-ri distinti. L’organicità esterna di-venta così, in un certo modo, orga-nicità interna, senza danneggiare ladistinzione degli essere vivi.

4. Esseri distinti

Ciascuno può dirsi distinto inquanto ha ciò che l’altro non ha, enon ha ciò che invece l’altro ha.C’è un aspetto della vita che impli-ca negazione e, attraverso questanegazione, si produce la vita. Talenegazione implica un’affermazio-ne che esige l’organicità, la con-

vergenza stessa nell’unità di diver-si esseri, la vita.

Questa convergenza di distinti,che in ultimo costituisce la vita nel-la sua totalità, è stata pensata o ne-gata in diversi modi attraverso lastoria del pensiero. Un modo difarlo è stato il Panteismo in tutte lesue forme, un altro la Partecipazio-ne. C’è stato anche un pensiero chestruttura molte correnti contempo-ranee, e cioè la negazione basilaredell’organicità esterna, perlomenoquando l’uomo è giunto nella co-siddetta cultura o anti-cultura dellamorte.

5. Negazione della distinzione: Panteismo

Nel Panteismo non esiste, real-mente, organicità distinta, poichéle barriere vengono soppresse euno è il tutto e il tutto è uno. Per-tanto, il Panteismo non spiega lavita, poiché in esso non c’è veracoincidenza di distinti, ma un tuttoamorfo e, pertanto, senza vita. Ve-ramente nel Panteismo non esisteun’autentica opposizione tra priva-zione e possesso, poiché tutto ètutto.

III. Vita come opposizione

Viceversa, in concezioni estra-nee al Panteismo esiste l’opposi-zione. Prestiamo però attenzione altipo di opposizione che pensa chela vita è opposizione, l’opposizio-ne secondo la logica può essere op-posizione di contrarietà od opposi-zione di contraddizione. Se è dicontrarietà, ci troviamo nell’ambi-to della vita. Se è di contraddizio-ne, essa ci porta alla morte. L’op-posizione di contrarietà unisce icontrari con una particella copula-tiva: questo e questo; l’opposizionedi contraddizione esclude uno de-gli opposti per affermare l’altro.Escludendo uno degli opposti, nonc’è più organicità e così non si puòparlare di vita.

Approfondendo quanto sopra,possiamo affermare che esiste op-posizione tra due contenuti quandola posizione di uno esclude, in uncerto modo, quella dell’altro. Se-condo l’indole di questa esclusio-ne, ci sono diversi tipi di opposi-zione. L’opposizione di contraddi-zione è irriducibile, ha luogo tra

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l’essere e il non essere, non tolleraun termine medio. L’opposizionedi contrarietà od opposizione con-traria fa sì che due contenuti siescludano in un campo particolaredell’essere, e pertanto accetta checi sia un termine medio nel campouniversale dell’essere. L’opposi-zione contraria può essere privati-va oppure relativa, a seconda che sioppongano i due contenuti per pri-vazione-possesso, o per semplicerelazione.

1. Opposizione di contraddizionenel concetto della vita

Nella modernità esiste una men-talità che si basa fortemente sul-l’opposizione di contraddizione. Èla mentalità evoluzionistica appli-cata, direttamente e pienamente,all’uomo. In effetti, nella mentalitàevoluzionista la sopravvivenzadelle specie avviene attraverso lalotta alla morte, che è un’opposi-zione di contraddizione, e pertantomediante la sopravvivenza del piùforte. Si tratta di una concezionemeccanicista che concepisce la vi-ta come semplice movimento con-traddittorio di collisione quantica.

Probabilmente molti passaggidella teoria dell’evoluzione degliesseri inferiori all’uomo si possonospiegare in alcuni settori mediantequesta lotta per la vita, la famosastruggle for life. Tale teoria, però,non può essere applicata nella suatotalità, poiché, anche se è certoche esiste una scala nell’esistenzaattuale delle specie nel mondo vivoinfra-umano, oggi persiste la gra-dualità delle stesse, non essendoscomparse le specie inferiori. Nel-l’insieme esse formano la sfera in-fra-umana organica.

Tuttavia, il problema comparefortemente quando questa spiega-zione della vita mediante l’opposi-zione contraddittoria si applica al-la vita stessa nella sua sfera uma-na. In tal caso, si arriva all’opinio-ne della prevalenza e della soprav-vivenza del più forte come norma.Da qui scaturiscono tutte le opi-nioni maltusiane e di super razza,nelle quali qualcuno si affermacercando di uccidere gli altri, inmodo selvaggio negli stadi primi-tivi e in modo sofisticato al giornod’oggi. Questa è la cultura dellacontraddizione o, che è lo stesso,la cultura della morte o l’anticultu-

ra propriamente detta. In questaposizione, non c’è organicità, lavita come organicità scompare,poiché non c’è termine di opposi-zione al quale opporsi, in quantoesso è stato distrutto. Il problema èche, dato che il termine di opposi-zione è assolutamente indispensa-bile per la vita, non esistendo piùquesto, la vita appassisce e quindisi giunge alla cultura della morte.Non c’è il termine contro il qualeaffermarsi e, dato che questo ap-partiene anche internamente allapropria organicità, la stessa vitaindividuale perisce. Nuovamente,anche a partire dalla stessa logica,ci troviamo di fronte alla culturadella morte.

2. Opposizione di contrarietà nel concetto di vita

L’autentica opposizione che puògarantire la vita è l’opposizione dicontrarietà che, come abbiamo det-to prima, si esprime mediante unaparticella copulativa, “questo equello”. In altre parole, la vita ècomplementarietà organica, unovive in quanto si oppone a un altroessere vivo poiché non ha ciò chequest’altro essere possiede, ma de-sidera essere partecipe della suaricchezza. A sua volta, l’altro esse-re vivente vive perché, rimanendodistinto, partecipa alla ricchezzadel primo. L’ideale è che questapartecipazione sia senza riduzionealtrui, cioè senza prendere nulla diciò che ciascuno degli esseri viven-ti possiede per sé. Ci troviamo quidi fronte all’opposizione per sem-plice relazione.

IV. La vita trinitaria cristiana

1. La vita nella Santissima Trinità

È questo l’ideale che si realizzanella fonte della vita di tutto il crea-to che è la Santissima Trinità. Essa,secondo quanto rivelatoci da Diostesso, è costituita da un’opposi-zione relativa e da una coincidenzaassoluta. Questo è ciò che si vuoldire quando si afferma che Dio èuno in tre persone distinte. In Diol’opposizione tra le persone divineè l’opposizione di relazione, senzache la privazione significhi ridu-zione e senza che il possesso signi-fichi qualsiasi diminuzione all’al-

tra persona. L’opposizione tra lepersone divine è un’opposizione dicontrarietà relativa. Vale a dire checiò che una persona ha si relazionacon ciò che l’altra persona possie-de, in modo tale che la privazionerimane in un possesso infinito.Questa apparente contraddizione sichiarisce considerando le tre perso-ne in concreto: il Padre non ha fi-liazione, tuttavia è Padre per filia-zione. Il Figlio non ha paternità,tuttavia è Figlio per paternità. LoSpirito non ha ispirazione attiva,tuttavia è Spirito per ispirazione at-tiva del Padre e del Figlio. La vitainfinita delle tre persone divine sirealizza mediante una donazioneassoluta e totale di detta vita, dalPadre al Figlio, dal Figlio al Padre,dal Padre e dal Figlio allo Spirito edallo Spirito al Padre e al Figlio;per questo essi sono un solo Dio.La distinzione delle tre persone di-

vine è solo per opposizione di con-trarietà relativa e, con la loro oppo-sizione di contrarietà relativa, essisono la vita in sé, e cioè un soloDio e tre persone distinte allo stes-so tempo.

Da questo modello divino pos-siamo intuire che la vita è un muo-versi da sé in un insieme di relazio-ni verso la piena donazione. Si do-na ciò che si ha e si riceve ciò chenon si ha, in un processo incessan-te che arricchisce e che è, precisa-mente, il processo vitale. I puntifondamentali sono le relazioni, chefondano l’opposizione contraria,non per chiudersi nel proprio pos-sesso o nella propria privazione,ma per aprirsi in una donazione to-tale. La vita, così, è relazione fe-conda di donazione amorosa.

Questa è la vita in sé e quandoDio la trasmette alla sua creazione,in special modo, quando la tra-smette all’uomo, lo fa in questomodo. Dio iscrive questa donazio-

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14 IL GENOMA UMANO

ne nella libertà umana. Quandol’uomo non vuole più procedere aquesta donazione, allora si chiudein se stesso, si oppone agli altri incontraddizione. Questo è il peccatoe – il che è lo stesso – la morte.

2. La storia della salvezza

La storia della salvezza si iscrivenell’ambito di queste coordinate,come una storia di libertà. E cosìcome l’uomo scelse l’opposizionedi contraddizione, il peccato e lamorte e Dio, malgrado ciò, non glitolse quella che dall’interno conti-nua a essere la sua immagine, lastoria dell’umanità viene a essereuna storia che si realizza in due ter-mini: contraddizione-contrarietà;morte-vita; odio-amore; egoismo-donazione.

3. L’incarnazione pasquale

In questo ambito, l’incarnazionepasquale viene a realizzare la rottu-ra della contraddizione in una co-struzione amorosa di contrarietà direlazione. La morte cioè viene vin-ta con la risurrezione. Cristo assu-me la contraddizione dell’uomorappresentato dal suo peccato edalla sua morte, e la porta su di séfino a patirla in se stesso con la sof-ferenza della morte. Ma questamorte, mediante l’amore dello Spi-rito Santo, si trasforma in fonte divita, in risurrezione. La morte si si-tua come la prova più grande d’a-more, la prova più grande di dona-zione. Così Cristo, non colpevoledella contraddizione assoluta del-l’uomo, ricrea il nuovo uomo nellarelazione di giustizia e santità.Questa è la profondità illogica del-la storia che solo l’Onnipotenza diDio-Amore può rendere logica, co-me massima espressione umanadella Verità, cioè Cristo, il Verbo diDio incarnato.

4. La contraddizione assunta nella contrarietà

Seguendo il filo conduttore dellanostra riflessione, Cristo assume lacontraddizione e la trasforma incontrarietà di relazione di massimoamore e così di massima vita, con-trarietà nella quale si oppone relati-vamente all’uomo come a un sog-getto al quale dona ciò che gli man-ca in totalità, la vita. La vita trinita-

ria di opposizione contraria di puradonazione passa ora attraverso lacontraddizione della morte per vin-cere questa stessa morte e trasfor-marla in pura donazione nello Spi-rito. La converte in donazione dipuro amore. Si supera la contraddi-zione della morte nell’opposizionerelativa di contrarietà che è relazio-

ne d’amore. Abbiamo detto comel’opposizione di contraddizionegeneri la cultura della morte; inCristo, questa opposizione lo portòalla massima morte, per così dire, equindi la Redenzione consistettenel trasformare questa massimamorte in massima vita, trasformarela contraddizione, attraverso loSpirito, in pura relazione d’amore,come donazione totale. Questo è ilsenso ultimo della risurrezione.

Se, come abbiamo detto, la vita èla capacità di essere e di agire, orapossiamo concludere che la vita èla capacità di essere e di agire attra-verso un’opposizione contradditto-ria, cioè la morte, l’opposizionecontraria come relazione di dona-zione amorosa assoluta nella qualesi riceve la vita partecipata dellaSantissima Trinità. La vita è, così,la risurrezione.

Conclusione

Nella riflessione che abbiamofatto su alcuni elementi della bio-genetica che descrivono l’iniziodella vita umana, abbiamo traccia-to una prima conclusione, conve-

nendo che la vita appariva come“un movimento organico comple-mentare di relazioni e finalità”.Quando ci siamo inoltrati nell’a-spetto filosofico abbiamo confer-mato quanto precedentemente af-fermato, anche alla luce della risur-rezione di Lazzaro e abbiamo dettoche la vita è “muoversi da sé”, eche ciò implica un’opposizione vi-tale che, per essere tale, deve esse-re non di contraddizione ma dicontrarietà, cioè di integrazione.Dal punto di vista teologico, poi,abbiamo visto che la vita non puòessere altro che un’opposizione dicontrarietà, cioè di integrazione,che passa però attraverso la con-traddizione della morte, nella storiadella salvezza.

Per concludere, possiamo direche la vita è amore. Solo l’amorespezza la contraddizione dellamorte e trasforma il suo assurdo didistruzione totale in fonte inesauri-bile di vita. L’illogico si convertein piena e totale razionalità. È la lo-gica storica dell’Amore che irrup-pe impetuosamente nel mondo nelmistero dell’incarnazione pasqua-le. Così intendiamo l’aforisma diTertulliano: “Credo quia ineptum”.In questo modo, sostenuta dallapiena fiducia in Colui che la fecetrionfare nella risurrezione di GesùCristo, la vita, che è donazione diamore, scorre vittoriosa illuminan-do l’oscurità della morte.

S.Em. Card. JAVIER LOZANOBARRAGÁN

Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

Santa Sede

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15DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Mi sia permessa una brevissimaintroduzione a questa prima gior-nata di lavoro su un tema, quellodel genoma umano, oggi appassio-nante e di straordinaria importanzaper l’avvenire della Medicina.

Il primo pensiero è di ringrazia-mento a Sua Eminenza Reveren-dissima il Cardinale Javier LozanoBarragán, Presidente del ConsiglioPontificio della Pastorale per gliOperatori Sanitari, che ha volutocon questo Congresso presentare aquanti sono impegnati nella cura eassistenza dei malati uno dei passipiù recenti, fatto dalla scienza edalla tecnologia, che sta aprendovie realmente nuove per un grandesviluppo della medicina.

Il secondo pensiero lo raccolgodall’Editoriale premesso al volu-minoso numero della ben nota rivi-sta “Science” del 16 febbraio 2001,dove erano riportati i risultati dellasequenziazione del genoma umanoraggiunti in ben 18 anni di intensolavoro di centinaia di laboratori in

tutto il mondo, coordinati dalloHuman Genome Project. Scrivevacosì: “L’umanità ha ricevuto ungrande dono. Con il completamen-to della sequenziazione del geno-ma umano noi abbiamo ricevutoun potente strumento per rivelare isegreti del nostro patrimonio gene-tico e per trovare il nostro posto fragli altri che partecipano all’avven-tura della vita”. Di fatto, era statotradotto in lettere il testo del codicesegreto del piano-programma del-la nostra vita biologica; testo scrit-to in linguaggio molecolare in 23capitoli, i 23 cromosomi. Testo chenei quattro anni successivi è statoannotato, determinando e asse-gnando ai diversi cromosomi spe-cifiche informazioni – i “geni” –dei quali ne sono oggi noti – perstruttura e funzione – 20.065 al-l’aggiornamento del 23 ottobre2005, mentre altri 35.329 detti “pu-tativi” sono ancora in studio.

Passi straordinariamente rapidi,che hanno aperto la via a grandi

progressi e aspettative, ma anche apericolosi progetti e rischi sescienza, tecnologia e società si la-sciassero travolgere dall’attraentema accecante tentazione prometei-ca dell’onnipotenza.

Il terzo pensiero è un sentito esincero ringraziamento a quantihanno accettato di offrire, in pochipreziosi minuti, la loro profondacompetenza in questi campi avan-zati della scienza e della sapienza.Sono certo che dal lavoro di questegiornate emergerà un mosaico do-ve ogni tessera farà brillare lagrandezza di tante conquiste rag-giunte dalla scienza, e ogni dida-scalia a caratteri gotici – frutto del-la seconda giornata di lavoro –esprimerà il pensiero di una sa-pienza illuminata da una luce chenon è solo umana.

P. ANGELO SERRAProfessore emerito di Genetica umana,

Facoltà di Medicina, Università Cattolica del Sacro Cuore,

Roma

ANGELO SERRA

Introduzione alla prima giornata

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Fu proprio nella città di Romache feci il mio primo intervento adun congresso internazionale, 44 an-ni fa, e precisamente nel 1961, suThe Pool of Harmful Genes in Hu-man Populations (Fraser 1962a),un argomento che rientra in quelloattuale, e cioè La genetica umanaoggi: speranze e rischi. Si tratta diun ampio panorama che tracciatutta la storia dello sviluppo dellanostra specie come documentatonell’eredità comune del nostro ge-noma umano in tutta la sua diver-sa, e pur armoniosa, complessità.In questo breve intervento, inconformità alla presentazionescritta degli obiettivi di questaConferenza, mi limiterò principal-mente alla prospettiva della salute,lasciando da parte molti altri aspet-ti della genetica umana; ciò porta adedurre che il termine geneticaumana sarà largamente intercam-biabile con quello di genetica me-dica (o genomica). Parlerò dellesperanze e dei rischi che accompa-gnano il processo di integrazionedella genetica medica nella scien-za e nell’arte della medicina e del-la pratica medica in generale, pro-cesso che si sta cercando intensa-mente di raggiungere.

Come parte di questa prospetti-va dell’applicazione della geneticaumana alla salute, la recente de-scrizione della sequenza e della to-pografia del genoma umano (Pro-getto Genoma Umano) rappresen-ta un progresso importante che haportato ad accumulare un corpo,molto vasto e in rapida crescita, diconoscenze sul nostro materiale

ereditario. Esso, tuttavia, non ba-sta, in sé, per un impatto importan-te sulla salute; è indispensabile an-che la saggezza nel fare uso dellaconoscenza. Il principio che ci de-ve guidare nell’acquisizione diquesta saggezza non è l’arroganzama, piuttosto, l’umiltà. Perciò, ilfilosofo pre-socratico, Senofane diColofone, scrisse, nei pochi fram-menti che ci sono giunti del suopensiero sui limiti dell’umana co-noscenza:

Gli dèi non hanno svelato ognicosa ai mortali fin dal principio,ma a poco a poco gli uomini, ri-cercando, trovano il meglio.OUTOI AP∆ARCHS PANTA

QEOI QNHTOIS∆UPEDEIXAN,ALLA CRONW ZHTOUNTESEFEURISKOUSIN AMEINON.

Quando consideriamo la geneti-ca umana di oggi, pur potendo giu-stamente affermare di aver fattoprogressi nel cammino verso ciòche è meglio, non dovremmo re-stare delusi ritenendo che, nellanostra ricerca, abbiamo fatto solo iprimi passi lungo questa strada; nédovremmo vantarci del fatto che liabbiamo compiuti nell’era moder-na. Già gli antichi greci del sestosecolo a.C. in poi, Anassimandro,Ippocrate, Aristotele e Platone, tragli altri, avevano scritto sui mecca-nismi ereditari e su quelli relativiall’evoluzione. Per introdurre unesempio piuttosto sorprendenteche la dice lunga su uno dei rischimaggiori della genetica umana og-gi, nel contesto delle attribuzioniingiustificate e ingiustificabili di

superiorità e inferiorità ereditariaagli individui, Platone aveva este-samente applicato tali idee 2500anni fa a quelli che oggi chiame-remmo principi eugenici, special-mente nel quinto libro della Re-pubblica, una cronaca dei regola-menti che governerebbero il fun-zionamento della città ipotetica incui la giustizia regna suprema.Nella citazione che segue, Platonepassa dal considerare le praticherelative all’allevamento dei cani dacaccia al fine di massimizzarne lecapacità, ai modelli che dovrebbe-ro essere applicati ai governanti oguardiani della città. È necessario,date le premesse concordate, chel’uomo migliore si unisca con ladonna migliore nel maggior nume-ro di casi possibile, mentre il con-trario sarebbe riservato per l’uo-mo e la donna peggiori; se il no-stro gregge deve essere della mi-gliore qualità, noi dovremmo alle-vare i discendenti del primo, e nondel secondo.

Muovendoci velocemente di duemillenni e mezzo verso il XIX se-colo, secondo le parole di Theodo-sius Dobzhansky, la genetica, unabranchia importante della scienzabiologica, si è sviluppata dall’umi-le pianta di pisello nel giardino diun monastero. Le scoperte del mo-naco Gregor Johann Mendel pos-sono, senza nessuna esagerazione,essere descritte come uniche negliannali della scienza. Ed è sulla ba-se di questi successi che, nei passa-ti 140 anni, abbiamo potuto accu-mulare l’ampio corpo di conoscen-ze di cui ho parlato.

Prima Sessione

Situazione attuale

GEORGE ROBERT FRASER

1. La genetica umana oggi: speranze e rischi

16 IL GENOMA UMANO

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17DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Fino a un periodo molto recente,il genetista nella medicina è statoampiamente confinato alla consu-lenza sul ruolo dell’ereditarietànella causalità della malattia e del-l’handicap tra coloro che lo con-sultano, e i loro figli, in specialmodo riguardo alla valutazione deirari disturbi monogenici mendelia-ni, delle sindromi congenite e del-le anomalie cromosomiche. Il suoruolo non è stato affatto quello diseguire i precetti eugenici di Plato-ne nell’incoraggiare la riproduzio-ne di un gruppo della popolazionee scoraggiarla tra gli altri. Un van-taggio che ci è derivato dall’accu-mulo delle conoscenze è che orasappiamo che, oltre alla mancanzadi una base morale per tale selezio-ne dei genitori della prossima ge-nerazione messa in pratica fino apoco tempo fa, può anche non es-serci nessuna base razionale peruna tale selezione tra la varietà vir-tualmente infinita della nostra dotegenetica.

Così, nel 1966, il mio mentore,insegnante e amico, Professor Lio-nel Penrose scrisse: “I valori socia-li e biologici delle differenze eredi-tarie si alterano continuamente conil cambiamento dell’ambiente.Non possiamo essere sicuri che ungene sia cattivo in ogni circostanzae ancor meno sicuri che sia semprebuono. Al momento, stiamo solograttando la superficie di questagrande scienza. La nostra cono-scenza dei geni umani e della loroazione è ancora così sottile che èpresuntuoso e folle stabilire princi-pi positivi della riproduzione uma-na. Piuttosto, ogni persona puòmeravigliarsi di fronte alla prodi-giosa diversità dei caratteri eredi-tari dell’Uomo e rispettare coloroche differiscono da lui genetica-mente. Tutti noi siamo parte dellostesso gigantesco esperimento del-la selezione naturale” (Penrose1966).

La genetica umana oggi non de-ve assolutamente essere considera-ta un surrogato per le discreditateidee eugeniche del passato; piutto-sto essa deve essere vista comeparte integrante della medicinacon il ruolo di incorporare la cono-scenza acquisita sul genoma uma-no nelle attività diagnostiche, pre-ventive e terapeutiche, dirette alfeto, al neonato, al bambino, all’a-dolescente o all’adulto, nel conte-

sto della unità familiare, non es-sendoci discontinuità tra queste fa-si dell’umana esistenza. In questocontesto, la pratica dell’aborto se-lettivo del feto diagnosticato inutero come affetto da una malattiageneticamente determinata o damalformazione è contraria ai prin-cipi della nostra tradizione medicache pone enfasi sulla preservazio-ne della vita. Ciò può essere me-glio visto come una fase transientenello sviluppo della genetica me-dica, che sarà sostituita da metodipiù generalmente accettabili.

Come alternativa, è stata propo-sta la diagnosi pre-impianto, prati-cata in alcuni centri, ma questo hadato origine a controversie etichelegate allo status morale dell’em-brione. Passando dalla selezione allivello del feto e dell’embrione allaselezione a livello del gamete, laseparazione attendibile dello sper-ma del marito in frazioni che porta-no solo il cromosoma X o Y, segui-ta dalla fertilizzazione della moglieusando solo lo sperma portatoredel cromosoma X allo scopo dievitare la nascita di maschi quandola moglie è portatrice di una di-sfunzione legata al cromosoma X,quale la distrofia muscolare di Du-chenne, può diventare possibile nelprossimo futuro ed essere menosoggetta ad obiezioni sul terrenodell’etica. Sarebbe avventato, tut-tavia, prevedere gli atteggiamenti ele pratiche delle generazioni futurerispetto a questi problemi in gene-rale, specialmente poiché essiavranno accesso a tecnologie di cuinon si può prevedere la natura.

Ci sono esperti qui convenuti

che nei prossimi tre giorni parle-ranno in dettaglio su ogni aspettodi questa integrazione della geneti-ca umana nella pratica della medi-cina. Naturalmente, l’attuale im-portante ruolo del genetista medi-co come un consulente non-diretti-vo continuerà ad essere sempre ne-cessario ed aumenterà di pari pas-so con l’espansione della cono-scenza sul ruolo dell’eredità nel-l’eziologia e nella patogenesi dellamalattia. Un notevole esempio ditale accrescimento è stata la crea-zione, relativamente recente, diuna sotto-specializzazione moltovasta di counselling genetico nelcampo dei tumori, come risultatodella scoperta di loci che ospitanoalleli di frequenza consistente, chedanno origine ad una forte predi-sposizione a varie forme di questamalattia comune, spesso in un’etàtragicamente giovane.

È stato sempre evidente, in effet-ti, che l’eredità svolge virtualmen-te un ruolo nell’eziologia e nellapatogenesi di ogni stato di malattia,ma non eravamo in grado finora didefinire i meccanismi di questocoinvolgimento. Ora siamo in gra-do di iniziare questo compito e, diconseguenza, di cominciare a pen-sare a modalità terapeutiche percorreggere difetti, malattie e di-sfunzioni ereditati. Si pensa che ilprofilo genetico diventerà la pietramiliare di questo tentativo della de-terminazione del complemento ge-netico degli individui con un grannumero di loci cromosomici, defi-nendo così le loro specifiche predi-sposizioni a malattie comuni, indi-cando possibilità di prevenzione etrattamento, e anche, allo stessomodo, predicendo le variazioni daattendersi nell’efficacia o nella tos-sicità di agenti terapeutici, fornen-do indicatori alla terapia concepitaper il paziente (farmacogenomica).Questo profilo genetico sarà unsupplemento ai molti tipi di test escreening genetici per singoli geni,che sono comunemente eseguiti eche continueranno nel futuro.

A parte le prospettive aperte perprogressi nelle cure sanitarie da ta-li ampie estensioni di genoma chepermettono di determinare il com-plesso genetico dell’individuo, lagenetica medica è stata arricchitada un nuovo armamentario di me-todi che interessano la terapia ge-nica – il trattamento di disturbi ge-

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18 IL GENOMA UMANO

netici introducendo specifici geninelle cellule del paziente. Tale ar-mamentario è iniziato nel 1989con il fortunato trattamento di unraro disturbo immuno-recessivo, ildeficit dell’enzima adenosina dea-minasi (ADA), noto anche comesindrome da immunodeficienzagrave combinata (SCID). Le pos-sibilità di una tale terapia genicanel sostituire la funzione di genidifettosi aumenterà con la crescitadell’uso di cellule staminali pluri-potenti coltivate e modificate, chehanno mantenuto plasticità così dapoter essere integrate in molteplicitessuti. Nel futuro, potrà esserepossibile estrarre queste cellulepluripotenti da tessuti adulti, ov-viando così ai problemi etici dovu-ti all’uso di staminali embrionali.

Devo sottolineare che questobreve sommario di possibili appli-cazioni dei progressi nella nostraconoscenza del genoma umano altrattamento di malattie rappresentauna speranza, o una prospettivaper il futuro, più che la realtà di og-gi. Siamo, in effetti, al punto dipartenza di una lunga ricerca per laquale ciò che è meglio è quanto homenzionato all’inizio di questo in-tervento in riferimento al senti-mento di Xenofane. Ora possiamosolo iniziare a nutrire speranze dimiglioramento nel trattamento dimalattie comuni della vita adultaquali il diabete mellito di tipo 2, ilcancro, l’arteriosclerosi, l’iperten-sione ecc. Queste malattie hannouna causa multifattoriale mediatada complesse interazioni di fattoriambientali con molteplici geni chene determinano la predisposizione,che sono ora sottoposti a intensaricerca con la creazione della map-pa degli aplotipi umani, o Hap-Map, della piccola proporzione deiloci del gene dove la sequenza delDNA varia tra individui (SNPs opolimorfismo a singolo nucleoti-de). Da notare che molti agenti im-plicati come scatenanti ambientalidi tali malattie in individui geneti-camente suscettibili, sono cosìprofondamente radicati nel nostromodo di vita che sono difficili daevitare. Questi fattori includono ilfumo, le diete sbilanciate o ecces-sive, una vita sedentaria, e l’espo-sizione allo stress, anzitutto tra gliabitanti delle nazioni ricche in cuil’eccesso, più che la scarsità, è lacaratteristica della società, e dove

l’aspettativa di vita è talmente au-mentata che la grande maggioran-za della popolazione vive molto alungo. Purtroppo, l’abolizione del-l’uso del tabacco e dei suoi prodot-ti, e l’adozione di una dieta sana,sono progetti che, pur semplicinella loro concezione, sono diffici-li nell’esecuzione. In questo conte-sto, si sviluppano oggi terreni digenetica medica specificamentenel campo dello studio degli effettisull’individuo di sostanze inqui-nanti e tossiche quali il tabacco(toxogenomica o tossicogenomi-ca) e della dieta (nutrigenomica).

La farmacogenomica può giàcontribuire ad una cura migliore dialcuni tipi di cancro, gruppo di ma-lattie in cui a svolgere un ruolo diprimaria importanza sono di solitole mutazioni somatiche piuttosto

che le cellule germinali. Ad esem-pio, se i test rivelano che il com-plemento genetico di un cancro alseno recentemente diagnosticatosia nella presenza del ricettore 2del fattore di crescita epidermicaumana(HER-2) sulla superficiedella cellula, come è il caso nel 25-30% di tutti questi pazienti, si pen-sa allora che l’aggiunta di hercep-tina, o trastuzamab, al regime tera-peutico, possa portare ad un note-vole miglioramento nella progno-si. Ci si aspetta molto anche dallaterapia genica per il miglioramen-to della prognosi in varie altre for-me di malattie maligne. La miglio-rata conoscenza dei meccanismigenetici coinvolti nella patogenesipuò anche contribuire ad una indi-viduazione precoce dei tumoriquando la massa di cellule maligneè molto più piccola e le prospettivedi un trattamento positivo moltopiù promettenti.

Va notato che l’approccio allaterapia definendo aberrazioni dellafunzione cellulare come prelimi-nare alla correzione, che è stata di-scussa, deve essere accompagnatoda maggiori progressi in biologiacomputazionale. Non è sufficienteavere un catalogo o una base-datidel complesso genetico di un indi-viduo. È necessaria, almeno, unacomprensione elementare dei mo-delli del numero virtualmente infi-nito delle interazioni di primo, se-condo e più alto ordine tra le mi-riadi di geni (genomica), gene tra-scritto mRNA (trascriptomica),proteine (proteomica), zuccheri(glicomica) e metaboliti (metabo-lomica), che costituiscono la basedel fenotipo e la fisiologia di unasingola cellula. E il funzionamen-to, sano o malato, di un organo del

corpo non può essere definito sem-plicemente facendo un inventariodel funzionamento delle singolecellule che lo costituiscono.

Data la diversità di causalitàmultifattoriali dipendente dallacomplessa interazione di fattoriambientali con molteplici geni chedeterminano la predisposizione, losviluppo della prevenzione e deltrattamento per le malattie comuni,incluse quelle che abbiamo men-zionato, sarà sempre molto diffici-le. Ma queste difficoltà sarannocompensate. Ad esempio, nel casodel cancro, è già stata menzionatala scoperta dei geni BRCA1 e BR-CA2 responsabili del cancro delseno e delle ovaie, e altri, che ospi-tano, ad una frequenza consistente,alleli che danno luogo ad una fortepredisposizione a varie forme diquesta malattia comune, spesso, adun’età tragicamente giovane. Tuttele malattie comuni sono eteroge-

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nee nella loro eziologia e patoge-nesi, e ci sono forme insolite e rareclassificate nella generalità di ognimalattia comune, ereditate in unasemplice maniera monogenica co-me nel caso già citato del cancrodel seno e delle ovaie a causa dimutazioni nei geni BRCA1 e BR-CA2. Uno studio intensivo di que-sti sottogruppi, monogenicamentedeterminati, di cancro, diabetemellito di tipo 2, arteriosclerosi,ipertensione e altre malattie comu-ni, e la scoperta di anomalie gene-tiche coinvolte in rare e insolite fa-miglie di questo tipo, faranno lucesull’eziologia e la patogenesi diqueste malattie in generale, in par-te suggerendo la strada per la sco-perta di geni coinvolti nella predi-sposizione alle forme più comuni.

Durante questi viaggi di scoper-ta, così come in molti altri, segui-remo i precetti contenuti in unestratto presciente e molto quotatodi grande bellezza e forza da unalettera di William Harvey, scrittanel 1657, sei settimane prima dellasua morte, a John Vlackveld, unmedico di Harlem in Olanda, in ri-sposta ad una domanda su un pa-ziente. Harvey scrisse la lettera inlatino, la lingua franca in uso nellaprofessione medica del tempo.

La natura in nessun luogo è piùabituata a mostrare i suoi segretimisteri che nei casi in cui mostratracce del proprio lavoro a pre-scindere dalla strada battuta; néesiste una maniera migliore di pre-sentare la giusta pratica della me-dicina di quella di dedicarci allascoperta della legge abituale dellaNatura mediante un’attenta ricer-ca delle forme più rare di malattia.Poiché si è trovato in quasi tutte lecose che ciò che esse contengonodi utile o applicabile in natura èdifficilmente percepito se nonquando ne siamo privi, o vienesconvolto in una certa maniera.(Tradotto dall’originale latino ininglese da R. Willis, 1847).

Non solet natura usquiam peni-tiora sua arcana apertius detege-re, quam sicubi extra consuetamsemitam tenuia sui vestigia mon-straverit: nec est ad medicinamrecte faciendam tutius iter, quam siquis ex morborum raro contingen-tium diligenti scrutamine, ad usi-tatam naturae legem dignoscen-dam, animum transtulerit. Quippeita fere in rebus omnibus compara-

tum est, ut quid illis insit commodi,cuive usui potissimum inserviant,nisi earundem carentia, aut vitiosaconstitutione aliqua, vix satis per-spicamus.

Pertanto, un’attenta ricerca diqueste rare forme monogenica-mente determinate di malattie ete-rogenee comuni non può non get-tare luce sui meccanismi di pato-genesi delle corrispondenti malat-tie comuni in generale. Per passareora alle rare sindromi di malforma-zione geneticamente determinate,alle quali, naturalmente, questoperspicace precetto di Harvey siapplica a fortiori, il nome del miocollega e amico, Professor JérômeLejeune, è ben noto a questa Con-ferenza in questo contesto. Vorreidire una parola sulla malattia a cuila sua carriera è stata principal-mente associata, e cioè la sindro-me di Down dovuta ad una aberra-zione cromosomica risultante inuna trisomia del cromosoma 21, dalui stesso scoperta nel 1959.

Nel 1981, il Professor Lejeunescrisse: “Cosa sappiamo della tri-somia 21 dopo venti anni di ricer-ca? Che argomento di meditazionee inquietudine! Certo, abbiamoimparato molte cose e anche a ri-conoscere la malattia in bambinimolto giovani, ancora nel senomaterno. Ma se questo nuovo po-tere ha suscitato in alcuni la tenta-zione di eliminare i malati estre-mamente giovani, tale conoscenzanon ha fatto in nessun caso regre-dire la malattia. È la malattia chebisogna vincere, e i pazienti chebisogna guarire!”.

Il Professor Lejeune rimasesempre convinto che questi pa-zienti possono essere trattati e cu-rati. Egli pensava alle manifesta-zioni della sindrome di Down co-me ai sintomi di una malattia dasconfiggere, ed era totalmente indisaccordo con molti suoi colleghiche pensavano alla condizione, do-po una diagnosi prenatale, come aun sintomo di morte, pervertendocosì l’obiettivo tradizionale dellamedicina da una cura ad un’ag-gressione sul paziente. Egli dicevache auspicava che un giorno un pa-ziente con la sindrome di Downsarebbe diventato un genetista disuccesso. Possibilmente, nellanuova era della genomica funzio-nale, verrà scoperta una strada perinattivare la copia soprannumera-

ria del cromosoma 21, forse ap-prendendo dal meccanismo diinattivazione di uno dei cromoso-mi X nelle donne.

L’affermazione del ProfessorLejeune sopra citata, fa eco aun’altra riflessione scritta da Wil-liam Harvey, tratta dalla dedica delsuo eccezionale libro dal titoloExercitatio Anatomica de MotuCordis et Sanguinis in Animalibus(1628), in cui descrive la sua sco-perta della circolazione del san-gue. L’umiltà intellettuale manife-stata in questo passo, nonostante lasua esaltata provenienza da un te-sto classico che occupa una posi-zione fondamentale negli annalidel progresso scientifico, è di note-vole importanza oggi come lo eraquando fu scritto nel XVII secolo.Esso serve per ricordare, nel casoce ne fosse bisogno, la vastità del-la nostra attuale ignoranza, e daantidoto precauzionale a ogni con-cetto non corretto riguardo allaportata limitata della nostra attualeconoscenza nel campo della gene-tica umana, come in altri campidell’impegno scientifico.

“Né essi sono così limitati dacredere che ogni arte o scienza siamai stata così assolutamente o per-fettamente insegnata sotto tutti ipunti dagli antichi, che nulla restiall’industria e alla diligenza di al-tri, poiché sono molti coloro checonfessano apertamente che laparte maggiore delle cose che co-nosciamo, è la parte minore diquelle che non conosciamo” (Tra-dotto dall’originale latino in ingle-se da G Witteridge, 1976).

Nec tam angusti animi ut cre-dant quamuis artem aut scientiamadeo omnibus numeris absolutamet perfectam a veteribus traditam,ut aliorum industriae, et diligen-tiae nihil sit reliquum: cum profi-teantur plurimi, maximam partemeorum quae scimus, eorum quaeignoramus minimam esse.

Vorrei brevemente menzionareun’altra rara sindrome genetica-mente determinata, la sindromeautosomica recessiva del criptof-talmo, a cui è stato associato il mionome come un eponimo sulla basedi un testo da me scritto oltre qua-rant’anni fa (Fraser 1962b). Negliultimi tre anni, sono stati identifi-cati due loci del gene ove risiedo-no alleli mutanti responsabili dellaloro entità eterogenea, e sono stati

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caratterizzati gli stessi alleli mu-tanti e le proteine a cui danno luo-go. Così, la sindrome del criptof-talmo è entrata nell’era modernadella genomica portando con sé lasperanza di un’eventuale preven-zione e trattamento.

Le invalidità associate alla for-ma pienamente espressa di questacondizione sono ancora più seriedi quelle associate alla sindrome diDown. Pur tuttavia, ci sono ancorafamiglie che crescono questi bam-bini in un’atmosfera di armonia efelicità. In un caso recente in Ger-mania, la diagnosi prenatale di unabambina totalmente affetta fu se-guita da un’importante operazionechirurgica fetale sulle sue malfor-mazioni per assicurarne la soprav-vivenza, invece di ricorrere all’a-borto – non terapia genica in uterofino a ora, ma almeno un tratta-mento convenzionale nella vita fe-tale di una malattia mendeliana fa-tale.

Una delle ragazze prese in esa-me nel mio testo del 1962 avevano,all’epoca, otto anni. L’avevo in-contrata per la prima volta quandone aveva sei ed era sorda e cieca; sicomportava come un animale sel-vatico, reagiva con grida di paura aogni tentativo di avvicinarla. Notaiche le piaceva appoggiare vicinoalla testa orologi che ticchettavanoe, sospettando che la sua sorditàfosse ampiamente conduttiva, laportai da un otorinolaringoiatriache conoscevo. Egli ricostruì l’o-recchio esterno malformato e l’o-recchio medio, e, all’età di sette an-ni, ella poté sentire parlare per laprima volta; 45 anni dopo, vive unavita che è diventata più tollerabiledi quanto non lo sarebbe stata pri-ma. Forse questo piccolo contribu-to al miglioramento della qualità divita di quella ragazzina rappresentaun successo maggiore di quello do-vuto al fatto che il mio nome siastato legato a una sindrome, e per-fino, in una forma abbreviata comeFRAS1, a un gene e a una proteina.

Non c’è dubbio che far crescereun bambino con un tale handicappossa essere un’esperienza di ar-ricchimento per la famiglia se lasocietà è preparata a fornire un cer-to sollievo nel peso economico checiò comporta. Inoltre, la società ingenerale può trarre beneficio da untale investimento in termini di im-piego remunerato e illuminazione

spirituale, come risultato dellacooperazione nel sostegno e nel-l’educazione di tali bambini.

Nel XVI secolo, nella sua operaOf a Monstrous Child, Michel Ey-quem de Montaigne (1533-1592)scrisse: “Quelli che chiamiamomostri non sono tali per Dio, che,nell’immensità della sua opera, ve-de l’infinità di forme in essi conte-nute”. Quattrocento anni dopo, ilProfessor Lionel Penrose, che con-divise con il Professor Lejeune l’a-more per i pazienti affetti dalla sin-drome di Down, scrisse nel 1971,l’anno precedente alla morte:“L’obiettivo della scienza medicanelle comunità civili è quello dimantenere in vita le persone. Que-sto principio non ha eccezioni e siapplica anche a difetti di basso li-vello di ogni tipo … Non solo que-ste persone sono innocenti, ma es-se non sono responsabili della lorocondizione; possono essere felici estimolare sentimenti umani e l’a-more dei genitori. Secondo i cano-ni di una società civile, essi hannodiritto a chiedere cura e confortoanche se non sono in grado di re-stituirli in maniera adeguata. Lacapacità di una comunità di fornirecondizioni soddisfacenti per que-ste persone è indice di salute e pro-gressivo sviluppo; il desiderio dieutanasia è segno invece di involu-zione e di decadenza degli stan-dard umani” (Penrose 1972).

Vorrei ora tornare alla citazionedi Platone con la quale ho iniziatoquesto intervento, che contieneidee associate a un’eugenetica po-sitiva, o al miglioramento dellequalità umane, da realizzare me-diante accoppiamenti controllatitra individui con qualità superiori,comunque sia definita. L’applica-zione della genetica umana allamedicina dovrebbe essere pensatain termini di individuo e di fami-glia, come nel caso di tutte le altrebranche della medicina terapeuti-ca, e non nel contesto delle genera-zioni future. Dovrebbe essere pen-sata, anzitutto, anche in termini dilotta alle malattie e non nel conte-sto di crescita del potenziale delbambino. L’ingegneria genetica di-retta al trasferimento di geni chedeterminano più alti livelli di intel-ligenza o capacità musicale, o chemodificano il comportamento indirezioni socialmente desiderabili,non potrà mai essere realizzata;

non sarà possibile neanche trovaredefinizioni universalmente accetta-bili della qualità di crescita che po-trebbe essere ottenuta da tali meto-di se e quando tali geni sono indivi-dualmente identificati. Non abbia-mo né la conoscenza né la saggez-za per perseguire le illusioni euge-niche del passato rispetto a un mi-glioramento ipotetico della nostraspecie, e l’analogia di Platone trat-ta dalla riproduzione dei cani dacaccia è inappropriata e irrilevantequanto quelle tratte dall’attuale al-levamento del bestiame al fine dimassimizzare la produzione dellatte. Mentre gli esseri umani nonsono candidati per l’ingegneria ge-netica di “miglioramentio” me-diante tali mezzi, essi sono in gra-do di beneficiare grandemente daimiglioramenti, qualitativi e quanti-tativi, nel campo dell’educazione,nel senso di estendere opportunitàper un’educazione migliore ad am-pi segmenti della società.

Rispetto all’obiettivo dell’euge-netica negativa, riflessa anche ne-gli scritti di Platone, di ridurre oeliminare la riproduzione dell’es-sere inferiore e inabile, non solomanchiamo di conoscenza e sag-gezza per definirlo, ma, in più, tut-ti gli esseri umani che non soffronouna condizione che li rende nonfertili hanno diritto a procreare.Questo diritto è gelosamente custo-dito nella Dichiarazione Universa-le dei Diritti Umani, delle NazioniUnite (Articolo 16-1—Uomini edonne in età adatta hanno il dirittodi sposarsi e di fondare una fami-glia, senza alcuna limitazione dirazza, cittadinanza o religione).Nessun essere umano ha il poteredi vietare l’esercizio di questo di-ritto da parte di un altro essereumano. E se la medicina geneticapermette la trasmissione riprodutti-va dei tratti ereditari che ha preclu-so la riproduzione prima che il trat-tamento diventasse disponibile,ogni aumento nella frequenza nellapopolazione dei geni che determi-nano tali tratti rappresenterà unamodificazione totalmente insigni-ficante del pool genetico.

Il compito primario della societàè quello di assicurare, del tutto in-dipendentemente dall’introduzio-ne della medicina genetica, l’atten-ta conservazione dell’ambiente, equindi la trasmissione ai nostri di-scendenti di un’eredità fisica intat-

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ta e non diminuita. È un sine quanon rispetto alla preservazionedella nostra civiltà e del nostro pia-neta da catastrofi maggiori risul-tanti dalla nostra nuova acquisitapadronanza dei mezzi tecnologicidi autodistruzione. Ammesso chesarà così, questi discendenti saran-no allora in grado di assicurarel’attenta conservazione di un poolgenetico intatto e la trasmissionedi un’eredità biologica non dimi-nuita, usando mezzi di cui nonpossiamo predire la natura, e nem-meno immaginarla, poiché saran-no basati su scoperte che devonoessere ancora fatte. Secondo le pa-role di Francis Bacon (1561-1626): “Gli uomini devono perse-guire le cose presenti, e lasciare ilfuturo alla Divina Provvidenza”.

Quali sono quindi le speranze e irischi di questa moderna transizio-ne della genetica umana per illumi-nare ed informare uno spettro piùampio di attività medica – la gene-tica medica? La speranza principa-le è semplice e sarà indubbiamenterealizzata: il miglioramento dellasalute della popolazione. Ma tale

realizzazione porterà con sé dei ri-schi, e cioè l’accentuazione delladisuguaglianza e dell’ingiustizia.Pertanto, queste nuove attività me-diche sono tutte molto costose, emolto difficili da realizzare, e i lorobenefici non saranno disponibili inmaniera equa a tutti i membri del-l’umana famiglia.

Purtroppo le principali fonti at-tuali di morbidità e mortalità nellamaggioranza della popolazione delnostro pianeta, che è materialmen-te svantaggiata, o, in molti casi, deltutto povera, derivano da flagelliquali, ad esempio, carestia, man-

canza di accesso ad acqua pulita emalattie infettive, ove il ruolo pre-dominante dell’ambiente nella de-terminazione degli effetti avversiassociati valica il ruolo della varia-zione genetica. Nel cercare di miti-gare gli effetti di tali flagelli, dob-biamo anche far sì che i potenzialibenefici della genetica medica ge-netica non siano confinati a pochisingoli appartenenti a società pro-spere. Ineguaglianze nell’accessoai benefici della genetica medicasono particolarmente anomali pro-prio perché il genoma umano og-getto di questa Conferenza, è ere-dità comune della famiglia mon-diale rappresentata dai membri del-la nostra specie, e costituisce lapromessa e il marchio indelebiledella sua unità intrinseca e imma-nente.

Il progresso in termini di equitàdi accesso alla sanità in generalenon è un optional ma piuttosto unrequisito essenziale per la stabilitàa lungo termine della nostra so-cietà. Così, ad esempio, nel 1999le donne in Giappone avevanoun’aspettativa di vita di 84,3 anni

mentre in Sierra Leone l’avevanodi 35,4 anni, cioè del 42 per centoin meno. Papa Giovanni Paolo IIscrisse nell’Evangelium Vitae nel1995 che: La vita è sempre un be-ne. È, questa, una intuizione o ad-dirittura un dato di esperienza, dicui l’uomo è chiamato a coglierela ragione profonda. Una distribu-zione iniqua di questo bene è unadisgrazia per la nostra civiltà e an-che una importante fonte di disa-gio sociale e politico.

Per tornare alle nostre speranzeper la genetica medica, non men-zionerò possibili applicazioni e usi

nel campo della clonazione ripro-duttiva, della terapia genica germi-nale, e del ritardo nell’invecchia-mento; questi argomenti non rien-trano nell’argomento principale diquesto breve intervento. Potrebbesembrare presuntuoso imbarcarciin progetti importanti che coinvol-gono la terapia genica germinalecon i suoi effetti potenziali su futu-re generazioni in un tempo in cui laterapia genica con cellule somati-che ha raggiunto solo un primo li-vello sperimentale.

Come ho già indicato, alcunedelle strade più importanti checondurranno a progressi terapeuti-ci saranno nel campo della farma-cogenomica, una scienza che por-terà allo sviluppo di farmaci a pic-cola molecola per modulare se-quenze connesse alla malattia nel-la direzione desiderata e comple-terà la nostra conoscenza della va-riazione nella reazione ai farmacigià in uso, aiutando a evitare l’in-sorgere di effetti collaterali che,spesso, possono essere seri. La ba-se genetica di tali reazioni all’am-pia gamma di farmaci antipsicoticicosì ampiamente prescritti nellanostra società, sembrerebbe essereun campo potenzialmente fruttuo-so da studiare. Ho anche menzio-nato la terapia genica come unamodalità terapeutica che già mo-stra promesse nel trattamento dimalattie quali la sindrome da im-munodeficienza grave combinata(SCID) sostituendo la funzione diun gene difettoso aggiungendoneuno normale, benché i progressisiano lenti e accompagnati da bat-tute d’arresto che rappresentano ri-sultati indesiderati delle procedureusate per introdurre il gene norma-le. Una strategia alternativa chepromette di evitare effetti dannosiconsiste nel sostituire soltanto lesequenze mutate del gene anorma-le, riparandone la funzione invecedi sostituirlo.

Diventeranno disponibili test ge-netici per individuare la predispo-sizione alle malattie comuni, per-mettendo di studiare misure di pro-tezione che riguardano cambia-menti nello stile di vita e la sommi-nistrazione di farmaci, a predispo-sizioni genetiche individuali. Oc-correrà, in questo campo, una curaparticolare per evitare discrimina-zioni in materia di impiego e previ-denza sociale. Il mantra della me-

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dicina genetica è che il profilo ge-netico permetterà di concretizzarestrategie preventive, trattamenti einterventi ai singoli, e pertanto ren-derà possibile la medicina persona-lizzata. Ci sono importanti impli-cazioni etiche, legali e sociali parti-colarmente in aree quali la privacy,la previdenza, il lavoro e l’istruzio-ne. Tutte queste implicazioni sonocollegate a rischi, e all’interno delProgetto Genoma Umano il 3-5 percento dei fondi è stato destinato al-lo studio di queste questioni etiche,legali e sociali (ELSI). Inoltre, hogià detto che la spesa della geneti-ca medica può essere considerataun rischio che comporta discrimi-nazione su terreni economici inquanto una distribuzione iniqua deibenefici sanitari accrescerà le giàconsiderevoli tensioni di cui è irtala nostra società.

C’è poi il rischio che il vasto svi-luppo della conoscenza sul propriocomplemento genetico e la poten-ziale nocività di alcuni dei suoi co-stituenti possano essere psicologi-camente deleteri per molti indivi-dui e causare loro una seria ansiainvece di influenzarli ad adattare illoro stile di vita alla loro costitu-zione genetica. Il rimedio sta nel-l’aumentare la consapevolezza e laconoscenza a questo riguardo daparte dei membri della professionesanitaria affinché possano svolge-re un maggiore ruolo educativo.

Dobbiamo anche considerare irischi che possono derivare per lacommercializzazione di ogni aspet-to della genetica umana e della ge-netica medica. Ciò comporta l’in-troduzione di test ingiustificati sularga scala, il brevetto delle sequen-ze del DNA affinché i diritti sulleprocedure di laboratorio diventinoa pagamento, aumentandone gran-demente i costi, la riluttanza a svi-luppare farmaci per il trattamentodi rare malattie ‘orfane’, e lo svi-luppo e il brevetto di farmaci sullabase di false premesse. Ad esem-pio, la Federal Drug Administra-tion (FDA) negli Stati Uniti ha direcente approvato un farmaco chia-mato BiDil per prevenire l’arrestocardiaco in auto-identificati afroa-mericani sulla base di un esperi-mento (A-HeFT o African Ameri-can Heart Failure Trial) che ri-guardava soltanto tali individui. Ta-le episodio certamente non rappre-senta un progresso in farmacogeno-

mica o nella medicina personaliz-zata, e, in effetti, ha implicazionimolto gravi dal punto di vista delladiscriminazione razziale che sonostate discusse da Kahn (2005).

Così, mentre la distribuzione digeni alla piccolissima proporzionedi loci in cui avviene la variazione,può essere differente in razze di-verse, la razza in sé non è una ca-ratteristica genetica. A questo ri-guardo, nel 1966 il Professor Pen-rose scrisse: “L’esatta descrizionedel polimorfismo ereditario nellenostre specie, che va oltre i confinidi idee antiquate di gruppi razziali,ci aiuta a comprendere, più che adeplorare, le innate peculiarità diciascuno” (Penrose 1966). Eppure,la discriminazione sulla base disupposte e perfino reali differenzenella frequenza di vari geni tra di-versi gruppi etnici rappresenta unrischio sostanziale derivante dallosviluppo della genetica umana. Cisono numerosi progetti di ricercache prevedono la raccolta di san-gue e di altri campioni per fornireinformazione genetica sulla distri-buzione dei geni in vasti gruppi diindividui. L’Human Genome Di-versity Project della HUGO (Hu-man Genome Organization) e mol-te biobanche di vario tipo conten-gono grandi quantità di sangue ealtri campioni. Mentre tali progettisono validi nello studio di argo-menti quali l’evoluzione e la mi-grazione dell’essere umano, comepure sulla predisposizione diffe-renziale alla malattia, essi presen-tano anche grossi rischi di cattivouso e di abuso nel campo della di-scriminazione politica, sociale,educativa, medica ed economica.La privacy e la confidenzialità de-vono essere considerazioni prima-rie nella conservazione dei dati. Ta-li rischi di cattivo uso e abuso si in-tensificano notevolmente quandosi compiono tentativi per identifi-care i geni responsabili dell’intelli-genza e del comportamento nor-male e anormale, perfino crimina-le, allo scopo di studiarne la distri-buzione etnica differenziale. Fino-ra, non è stato identificato nessungene, e non potrà mai essere possi-bile farlo, che abbia un effetto di-retto sulla variazione non patologi-ca nell’intelligenza e nel comporta-mento, non associata alla malattia.

Come ho indicato, le speranzerelative alla genetica umana oggi

possono essere riassunte come pro-messa di una salute migliore a lun-go termine, inseparabilmente col-legata alla promessa di un maggio-re rispetto per la vita umana in as-sociazione con l’accresciuta consa-pevolezza che tutti i membri dellanostra specie sono inestricabilmen-te legati tra loro dal possesso dellacomune eredità del nostro genomaumano. Tali speranze potranno rea-lizzarsi solo se ci saranno una mag-giore educazione del pubblico especialmente della professione sa-nitaria e un attacco concertato alledisuguaglianze globali che turbanola nostra civiltà.

Molti dei rischi della geneticaumana oggi riguardano una discri-minazione geografica, etnica e diclasse, che porta a restrizioni nel-l’uso benefico dell’informazionecosì rapidamente accumulata. C’èanche il rischio che non solo nonutilizzeremo questa nuova infor-mazione a beneficio di tutti i mem-bri della specie umana, ma in realtàne faremo un cattivo uso per na-scondere e giustificare le disugua-glianze esistenti, rafforzando inquesto modo i privilegi di una pic-cola minoranza, auto-elettasi tale,di membri della società che si con-siderano superiori, fino ad arrivarea negare il diritto alla riproduzionee alla stessa vita alla maggioranzadei deboli e vulnerabili, sia che ta-le debolezza e vulnerabilità dipen-dano dalla povertà o dalla cattivasalute, o da ingiustificabili attribu-zioni di mancanza di idoneità sulterreno dell’inferiorità fisica o in-tellettuale. In questo contesto, è ri-levante un commento del ProfessorPenrose: “Le nuove scoperte pos-sono prendere tutti di sorpresa e gliscienziati devono continuamentestare in guardia contro un cattivouso delle loro scoperte da parte dicoloro la cui conoscenza è incom-pleta” (Penrose 1966).

Abbiamo in parte svelato la na-tura del genoma umano; nei limitidi questo genoma umano unitario,non possiamo definire i comple-menti genetici individuali totaliche sono qualitativamente superio-ri o inferiori. Purtroppo tali corrot-te nozioni di superiorità e inferio-rità, basate come sono su una cono-scenza incompleta, sono profonda-mente forti nella nostra psiche col-lettiva ed espresse esplicitamenteanche da filosofi stimati come Pla-

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tone. Il disastroso corollario diqueste nozioni sotto forma diesclusione e assassinio è stato mes-so ripetutamente in pratica, ed èculminato nelle esclusioni e negliassassini che hanno influenzatomolte regioni del mondo durante iltravagliato secolo appena trascor-so. Di fronte ai pericoli del secoloattuale, dobbiamo trovare la sag-gezza per evitare che i grandi suc-cessi scientifici che hanno portatoalla genetica di oggi, e che possonoessere visti come l’antitesi dei con-trari ai quali la società è stata sog-getta in questo periodo, siano usatiper sostenere queste pratiche divi-sorie, aumentando così il rischioche la discordia sociale e politica eil dissenso mettano a repentaglio ilfuturo della nostra civiltà.

In generale, dobbiamo salva-guardare l’integrità del nostro ge-noma umano, l’eredità della fami-glia mondiale rappresentata daimembri della nostra specie, del tut-to indipendentemente dalla classeo dall’origine etnica, mettendo finealle depredazioni ecologiche e de-dicandoci assiduamente e metico-losamente alla protezione dell’am-

biente da danni ulteriori, assicuran-do così la trasmissione ai nostri di-scendenti di un’eredità fisica intat-ta e non diminuita affinché essi sia-no in grado di curare la loro ereditàbiologica in maniera appropriata alfine di puntellare i miglioramentinelle loro circostanze fisiche e so-ciali. In questo contesto, concludocitando le ultime due frasi del miointervento a Roma 44 anni fa, men-zionato all’inizio di questo articolo(Fraser 1962a): “La complessitàdelle dinamiche genetiche di unapopolazione può essere paragonataa quella dell’organizzazione mole-colare di una cellula. Come unacellula funziona come un bellissi-mo insieme integrato, così fa la co-stituzione genetica totale di unapopolazione, e come una cellula èsensibile a una varietà di insulti,così anche il materiale ereditariodelle nostre specie è sensibile aogni cambiamento incontrollatonel suo ambiente”.

Prof. GEORGE ROBERT FRASER Già Professore di Genetica Umana,

Università di Leiden, Olanda

Bibliografia

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Page 23: Atti della XX Conferenza Internazionale

24 IL GENOMA UMANO

Una delle più importanti e crucia-li questioni e sfide della modernamedicina è identificare la variazionegenetica che causa o predispone allavariazione fenotipica. In terminisemplici la questione è: quali sonole varianti nel genoma di diversi in-dividui, base molecolare della soffe-renza umana e della miriade dei di-sturbi rari e comuni? Questa sfida èvecchia come la stessa medicina,ma il recente completamento dellasequenza del DNA [1] e la continuaesplorazione del genoma umanofornisce i mezzi per un nuovo e po-tente approccio per accrescere la no-stra conoscenza e fornire alcune so-luzioni ai problemi medici.

Il Progetto del genoma umano e i suoi elementi funzionali

Il progetto [2] internazionale ecollaborativo del genoma umano fuiniziato il 1° ottobre 1990 dopo unperiodo di gestazione intellettualenegli anni 80. Gli scopi del progettoerano la mappa, la clonazione e lasequenza dell’intero genoma uma-no. Il progetto fu essenzialmentecompletato nel 2004. L’intera por-zione eucromatica (codificazionedella proteina) che ammonta ap-prossimativamente al 93% del ge-noma è stata sequenziata con unaprecisione di meno di 1 errore per10.000 nucleotidi. Il rimanente 7%,che comprende le regioni centrome-tro dei cromosomi umani, le acro-centriche brevi braccia, il cromoso-ma distale Yp e le secondarie costru-zioni di alcuni cromosomi, chiamaticollettivamente le regioni eterocro-mi, è ancora sconosciuto. La lun-ghezza totale valutata del genomaaploide umano medio è approssima-tivamente 3.076.700.000 nucleotidi.La sequenza è liberamente disponi-bile attraverso accessibili banchedati pubbliche, i cosiddetti siti delgenoma (http://genome.ucsc.edu/ e

http://www.ensembl.org/index.html).La nostra conoscenza degli elemen-ti funzionali del genoma umano, tut-tavia, è limitata e sforzi considere-voli sono diretti ora verso l’identifi-cazione di importanti segmenti delgenoma che è probabile che sianocoinvolti nella salute e nella malat-tia. L’evidenza attuale suggerisceche ci sono non più di 25.000 geninel nostro genoma (la banca datidella nomenclatura umana che elen-cava 23.413 geni li menziona il 15dicembre 2005; http://www.gene.ucl.ac.uk/cgi-bin/nomenclature/searchgenes.pl), ma questo numero può esseresottovalutato.

La sequenza nucleotide di un ad-dizionale mammifero e altri genomi[3-5] suggeriscono che approssima-tivamente il 5% del nostro genoma èaltamente conservato tra i i mammi-feri e questo può essere consideratocome il più basso limite della fun-zionalità delle importanti sequenzegnomiche [3-6-7]. È anche probabi-le che elementi gnomici aggiuntivinon conservati in tutti i mammiferisiano di importanza funzionale. Aquesto fine un progetto internazio-nale chiamato ENCODE (Enciclo-pedia del DNA Elementi; http://www.genome.gov./10005107) è statoavviato dal National Institutes ofHealth degli Stati Uniti per identifi-care tutti gli elementi funzionali dell,1% del genoma umano [8]. Loscopo globale è di sviluppare e sta-bilire metodologie, cosicché tutti glielementi funzionali dell’intero ge-noma potrebbero eventualmente es-sere identificati.

Variazione del genoma

Dalla prima identificazione delpleomorfismo del DNA [9] nel1978, numerosi studi fino a ora han-no rivelato una estesa variabilitàdella sequenza tra i genomi degli in-dividui.

Questa pleomorfica variabilità ètale che ogni individuo possiede ununico genoma non condiviso daogni altro individuo sulla terra (ec-cetto per i gemelli monozigoti). Il ti-po più comune delle varianti è la so-stituzione di nucleotidi (singolopleomorfismo nucleotide; SNPs).Una pubblica banca dati SNP cheelenca tutte queste varianti poten-ziali contiene più di 10 milioni dientrate (dbSNP; http:/www.ncbi.nlm.nih.gov/SNP/index.html). È stato va-lutato che approssimativamente 1 in1.000 nucleotidi differisce tra 2 ge-nomi umani scelti casualmente. Per-ciò si possono calcolare approssi-mativamente contributi di3.000.000 singoli nucleotidi varian-ti di genoma paterno e genoma ma-terno per ciascuno di noi! Questonumero è certamente una valutazio-ne inadeguata poiché si riferisce so-lo alla variazione genetica comune.Un progetto internazionale chiama-

STYLIANOS E. ANTONARAKIS

2. Genoma e postgenoma: presente e futuroVariabilità del genoma umano e disturbi

Fig. 1 - La variabilità genomicaindividuale è un fattore determinantedei vari fenotipi umani. Le mutazioni delle cellule somatichecontribuiscono alle varie sindromineoplasiche. Anche l’impattoambientale rappresenta un elementodi notevole portata nell’espressionefenotipica. Obiettivo importantedella Medicina Genetica è quello diidentificare le varianti genomicheresponsabili dello sviluppo dei varidifetti.

Fenotipi (difetti e

caratteristiche)

Variabilitàgenomica

AmbienteMutazioni cellulesomatiche

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25DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

to progetto HapMap è stato appenacompletato [10-12], il suo scopo èstato quello di definire i modelli del-la comune variazione genetica SNPin un esemplare di 270 DNA degliindividui di origine europea, africa-na, cinese e giapponese (http://www.hapmap.org/). I dati ottenuti in que-sto progetto coinvolgono approssi-mativamente 2,8 milioni SNP e lanostra letteratura disponibile. I ri-sultati di questo progetto sono pro-babilmente di un significativo con-tributo alla compresnione dei distur-bi genetici rari e comuni. La variabi-lità dei genomi umani è la causa chemette in evidenza il rischio differen-ziato per i diversi fenotipi umani eperciò i maggiori sforzi della ricercadevono essere focalizzati sulla sco-perta di questi legami tra le variantiDNA e i fenotipi.

La variazione genomica non è so-lo limitata ai SNPs. Altri tipi di va-riazione comune sono le brevi repli-che della sequenza [13], i pleomor-fismi del numero della copia. (http://projects.gs.washington.edu/structuralvariation; http://projects.tcag.ca/variation), i pleomorfismi inserzione-delezione e l’inversione del DNA. Ilsignificato funzionale della maggiorparte di queste varianti pleomorfi-che è sconosciuto.

I “disturbi monogenici”

Gli ultimi 20 anni sono stati trion-fanti per la identificazione dei geniche causano numerosi disturbi mo-nogenici mendeliani. Un catalogo diquesti disturbi, i geni coinvolti e lamutazione patogenica sono stati tro-vati in due banche dati, quella dellaOMIM (Eredità nell’Uomo sul sitodel web Mendeliano; http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query.fcgi?db=OMIM) e il HGMD (banca dati dellamutazione dei geni umani; http://www.hgmd.org/). Le scoperte di geniallelomorfi responsabili dei disturbimonogenici hanno accresciuto lanostra comprensione del meccani-smo molecolare che ha condotto aifenotipi dovuti alle varianti del ge-noma, ma ci ha anche introdotti nel-la complessità delle interazioni del-l’ambiene del genoma e del gene-gene. La più importante lezione deidisturbi mendeliani ha insegnatoche perfino questi disturbi “sempli-ci” sono anche multifattoriali ecomplessi [14]. Questioni come ete-rogeneità genetica, serie allelomor-

fiche, penetranza, modificatori delfenotipico (ambientale e genetico),eredità digenitica, eredità triallelica,mutazioni somatiche, disomia uni-parentale sono fenomeni che contri-buiscono alla complessa interazionetra i nostri genomi e l’ambiente[15]. L’apprezzamento di questecomplicazioni non può permettercidi formulare ipotesi per la compren-sione dei fenotipi poligenici com-plessi. Inoltre, i disturbi mendeliani,non solo ci hanno introdotti nelleimportanti e serie questioni di dia-gnosi presintomatiche e di screee-ning genetico, ma hanno rivelatoanche gli aspetti multidisciplinarietici, legali e sociali della medicinagenetica [16,17].

Obiettivi medici postgenoma per i prossimi dieci anni

È ovvio che la nostra conoscenzariguardante le cause della maggio-ranza dei comuni disturbi umani siain uno studio primitivo. Poiché ilcontributo genetico a quasi tuttiquesti disturbi (incluso il cancro) èsostanziale (vedere figura per unaschematica rappresentazione dellecause dei disturbi), lo studio dei ge-nomi di individui con vari fenotipidi malattie diventa una assolutapriorità per le ragioni mediche. At-tualmente, tutti gli emozionanti ri-sultati e sviluppi della ricerca gene-tica forniscono una nuova infra-struttura di conoscenza per affronta-re i problemi sanitari seri e comuni.

Alcuni scopi per la ricerca, colle-gati alla medicina genetica, inclu-dono:

– identificare tutti gli elementidel genoma che probabilmente so-no coinvolti nella salute e nella ma-lattia;

– scoprire l’esatta funzione di cia-scuna porzione del genoma;

– scoprire tutto il patologico, lemutazioni ad alta penetrazione checausano i disordini genetici;

– identificare tutte le varianti ge-nomiche che accrescono o decre-scono il rischio per i complessi,co-muni, fenotipi multifattoriali;

– usare la conoscenza postgeno-mica per introdurre terapie nuove;

– usare la conoscenza postgeno-mica per mantenere il capitale di sa-lute degli individui e delle popola-zioni.

È probabile che l’informazionegenomica avrà profondi effetti in

tutti gli aspetti della medicina, in-clusa la comprensione del meccani-smo, della diagnosi, della prognosi,e del trattamento di un grande nu-mero di disturbi.

Prof. STYLIANOS E. ANTONARAKIS

Professore e DirettoreDipartimento di Medicina Genetica

Università della Scuola Medica di GinevraGinevra, Svizzera

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Page 25: Atti della XX Conferenza Internazionale

1. Introduzione

Le anomalie cromosomiche so-no all’origine di una percentualenon trascurabile di malattie presen-ti fin dalla nascita. Tali anomaliehanno conseguenze gravi sullo svi-luppo precoce in utero, sulla salutedel bambino e dell’adulto e sullasua intelligenza o fertilità. Moltiprogressi sono stati fatti in terminidi possibilità diagnostiche, e di ac-compagnamento medico per que-ste malattie. Tuttavia, non esiste untrattamento radicalmente efficaceper queste malattie, anche quandone se conosce la causa da tempo,come nel caso della trisomia 21.

L’Istituto Jérôme Lejeune (IJL) èstato creato nel 1997, dalla Fonda-zione con lo stesso nome, per cura-re i pazienti di ogni età colpiti dadeficienza intellettiva d’origine ge-netica certa (cromosomica o mo-nogenica), o fortemente sospetta, eper promuovere una ricerca nonsoltanto epidemiologica e clinica,ma anche terapeutica per questi pa-zienti.

Da quanto è stato aperto, sonostati regolarmente seguiti, in con-sultazione pluri-disciplinare, circa3.500 pazienti dalla nascita a oltre60 anni, la maggioranza dei quali(90%) con una anomalia cromoso-mica.

Basandoci sull’esperienza del-l’Istituto Jérôme Lejeune, e dellaFondazione Jérôme Lejeune, par-leremo dunque delle prospettiveesistenti o da sviluppare per la cu-ra, la diagnosi e la ricerca terapeu-tica di queste malattie.

2. Definizione-epidemiologia

La particolarità delle anomaliecromosomiche è quella di implica-re diversi geni, sia mancanti, sia so-prannumerari, contrariamente alle

malattie monogeniche, che riguar-dano un solo gene.

Le anomalie cromosomiche col-piscono due persone su mille, e so-no state descritte oltre 1.000 sin-dromi.

Il 30% delle anomalie cromoso-miche sono equilibrate, e non com-portano conseguenze in generaleper la persona che ne è portatrice,ma possono averne per la sua fe-condità o discendenza.

Le altre (il 70%) sono squilibratee rappresentate da:

– anomalie di numero (86%), tri-somia o monosomia;

– anomalie di struttura (inversio-ni, delezioni, duplicazioni) (14%)sopraggiunte in maniera accidenta-le (3%) o ereditaria (11%).

Le conseguenze di queste ano-malie cromosomiche sbilanciate so-no importanti, in quanto esse sonoresponsabili dell’8% dei decessi in-fantili, dal 4 all’8% delle malforma-zioni congenite, dal 12 al 35% delledeficienze intellettuali.

Esse riguardano anche la fecon-dità maschile, sono responsabili diripetute false gravidanze e, infine,di predisposizione a taluni tipi di tu-more.

Le aneuploidie sono dovute a unamancata disgiunzione meiotica; laloro frequenza è direttamente legataall’età della madre, tranne per lasindrome di Turner (45, X).

Le anomalie di struttura soprag-giungono anche al momento dellameiosi, per rottura e riparazionenon omologhe. Si conoscono ora lezone del cariotipo predisposte aqueste ricombinazioni illegittime:si stima a 170 il numero di regionidel genoma interessate, ma attual-mente sono note soltanto 30 malat-tie legate a questo meccanismo.

Nei bambini nati con tecniche diprocreazione medicalmente assisti-ta, non sembra esistere aumento

della frequenza delle anomalie cro-mosomiche, ma si osserva un au-mento delle malattie legate a unaanomalia di imprinting parentale.

La maggior parte di tali anomalieautosomiche comporta una defi-cienza intellettiva (DI).

3. Storia e tecniche

Le tappe della conoscenza dellemalattie cromosomiche sono stret-tamente legate allo sviluppo delletecniche d’osservazione dei cromo-somi umani: nel 1912, de Wini-Warter studia i cromosomi umani,ma non arriva ad una conclusionedefinitiva sul numero di cromosomidella specie umana. È soltanto nel1956 che Tijo e Levann miglioranole tecniche di coltura cellulare, ag-giungendovi la colchicina: questa,bloccando le mitosi, permetteva divedere in maniera molto più netta icromosomi. Tale progresso tecnicopermetterà al Prof. Jérôme Lejeune[1], nel 1959, di descrivere la primamalattia legata a una anomalia deicromosomi, la trisomia 21; questadescrizione sarà seguita da moltealtre da parte della sua équipe e dialtri gruppi del mondo, che verteva-no sui cromosomi sessuali o auto-nomi.

Nel 1960, una conferenza inter-nazionale stabilisce la prima classi-ficazione dei cromosomi, nume-randoli per misura decrescente da 1a 22, più i cromosomi X e Y, re-sponsabili della determinazionedel sesso.

26 IL GENOMA UMANO

CLOTILDE MIRCHER

3. Malattie congenite legate a un’anomalia cromosomica

Page 26: Atti della XX Conferenza Internazionale

27DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Si ricorda che G. Mendel definì,nel 1866, le leggi dell’ereditarietà;è soltanto nel 1944 che Avery af-ferma che il DNA è il supporto del-l’ereditarietà, e nel 1956, che Wat-son et Crick stabiliscono la struttu-ra a doppia elica del DNA. La mu-tilazione del DNA, descritta moltopiù recentemente (1985), apre nuo-ve prospettive per spiegare nuovemalattie cromosomiche, legate aun difetto d’imprinting parentale.

Nel 1970, de Grouchy, Lejeune eDutrillaux mettono a punto nuovetecniche (riscaldamento, uso dellapapaina) che permettono di ottene-re bande alternativamente chiare escure la cui ripartizione su ognicromosoma permette di caratteriz-zarlo meglio. Il numero di bandaottenuta definisce la risoluzionedel cariotipo; attualmente, si otten-gono cariotipi (alta risoluzione) da700 a 1000 bande.

La citogenetica classica è attual-mente abbinata alle tecniche dibiologia molecolare (ibridazione insitu di sonde ora fluorescenti -FI-SH-, specifiche di una determinataregione; tali metodi permettono, daun punto di vista clinico, o in ma-niera più sistematica, di ricercaremicro rimaneggiamenti, non visi-bili neanche con tecniche di alta ri-soluzione).

Infine, appaiono nuove tecni-che promettenti: le tecniche diibridazione di sonda fluorescentesu molecole di DNA tirate e fissa-te su lame.

La tecnica di ibridazione geno-mica comparativa (CGH) studia inmaniera globale il menoma del pa-ziente, e permette di individuareuno squilibrio da 5 a 10 Mégabasi.Lo sviluppo della CGH-array (supulci) permette di aspettarsi una ri-soluzione migliore (0,5 a 1 Mb),essendo più rapide e sistematiche.

4. Diagnosi

Anche se la percentuale di defi-cienza intellettiva (DI), e dimalformazioni congenite di cuinon si conosce l’eziologia resta im-portante, lo sviluppo continuo ditali tecniche, sempre associate auna analisi clinica (albero genealo-gico, precedenti familiari e perso-nali, esame del bambino) ha per-messo di migliorare notevolmentela diagnosi. Questa è importante

per il bambino stesso, perché per-mette di dare un nome alla malattiae di evitare erranze diagnostiche,fonte di grande sofferenza per i ge-nitori. Una migliore conoscenzadella malattia è indispensabile an-che per la prevenzione di handicapulteriori, che possono alterare inmaniera significativa la vita dellepersone.

La diagnosi permette inoltre unconsiglio genetico per i genitori,sia riassicurandoli sul carattere ac-cidentale dell’anomalia, sia, alcontrario, informandoli sui rischiper un altro bambino. Tale consi-glio genetico è infine cruciale per ilresto della famiglia, anzitutto per ifratelli e le sorelle in età di procrea-re. Si stima che sia necessario rifa-re delle analisi genetiche ogni 5 an-ni circa in caso di deficienza intel-lettiva inspiegata, tenuto conto deiprogressi continui delle tecnichediagnostiche.

Tuttavia, come abbiamo detto, ilmiglioramento delle tecniche do-vrebbe sempre essere utile anzitut-to al bambino; grande è la tentazio-ne, in effetti, di utilizzarle per unaindividuazione sistematica nellapopolazione, al fine di eliminare lanascita di bambini portatori di talimalattie, per motivi “di compassio-ne” ma, soprattutto, per ragionieconomiche: la speranza di vita au-menta nelle persone con ritardimentali, così come nella popola-zione in generale, il che genera deicosti considerati di non prioritariaimportanza. La proposta individua-zione sistematica della trisomia 21è d’attualità in taluni Paesi, e lenuove tecniche, una volta messe apunto e convalidate, potrebbero es-sere utilizzare per individuare inmaniera sistematica tutti i feti por-tatori di micro rimaneggiamenti.

Per fare un esempio, con le tecni-che attuali di individuazione prena-tale della trisomia 21, il tasso di in-

terruzione medica di gravidanza perquesta malattia è molto più elevatonelle regioni in cui l’individuazioneprenatale è proposta in maniera si-stematica (Ile de France 79,7%,Barcellona 72,6%), rispetto a quellein cui questa politica non esiste(Paesi Bassi del Nord: 23,7%; Por-togallo del Sud: 31,7%) [2].

Tali politiche pongono la que-stione del posto che spetta agli han-dicappati mentali in determinatiPaesi industrializzati.

Alcune Nazioni non hanno poli-tiche di individuazione sistematicadella trisomia 21, ma hanno inveceuna politica vigorosa per venire inaiuto alle famiglie che devonofronteggiare una tale sofferenza(aiuti finanziari, scuole, strutture diaccoglienza, aiuto a domicilio,ecc.).

Infine, una politica sistematicadi individuazione prenatale rendeancor più difficile l’accoglienza diun bambino handicappato da partedella famiglia; uno studio francese[3] ha mostrato che il 22% deibambini trisomici 21 nati nella re-gione parigina tra il 1980 e il 1989venivano abbandonati alla nascita.Secondo la nostra esperienza, tra i263 pazienti trisomici 21 abbando-nati, seguiti dall’Istituto JérômeLejeune (IJL), soltanto 2 sono natiprima del 1980; gli altri sono natidopo quella data, periodo in cui èiniziata in Francia una individua-zione prenatale più sistematica.

5. Accompagnamento medico

È stata già ricordata l’importan-za della diagnosi per permettere albambino di beneficiare dei pro-gressi della medicina. Uno dei ruo-li dell’IJL è quello di proporre aipazienti, lungo l’arco della loro vi-ta, un accompagnamento medicoadattato alla loro età e alla loro ma-lattia, per individuare e trattare levarie complicazioni che possonosopraggiungere. Alcune di questesono handicap supplementari chealterano gravemente, a volte, laqualità di vita dei pazienti.

Vorrei dare alcuni esempi signi-ficativi dell’utilità di un tale studio:

– La trisomia 21 è responsabiledi una deficienza intellettiva (DI)di importanza variabile; vi si asso-ciano potenzialmente un numeroabbastanza grande di complicazio-

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28 IL GENOMA UMANO

ni, la maggior parte delle quali pos-sono essere prevenute, oppure cor-rette mediante un trattamento ap-propriato.

– La sindrome di West è un tipodi epilessia che sopraggiunge tra i5 e i 15 mesi all’incirca, la cui fre-quenza è dell’1% nella trisomia 21mentre è dello 0,3 ‰ nella popola-zione in generale. La diagnosi puòessere ritardata per l’espressionepoco evidente dei sintomi (spasmiin flessione, arresto dello sviluppopsicomotorio o regressione); alcontrario, la diagnosi avviene facil-mente con un elettroencefalogram-ma, e il trattamento è ben codifica-to ed efficace. Uno studio recente[4] su alcuni bambini trisomici 21ha mostrato che un ritardo nelladiagnosi, e nel trattamento di più didue mesi era legato a un QI piùbasso, e alla presenza di segni diautismo nei bambini colpiti. La co-noscenza di questa complicazionee la sua individuazione possonoavere un impatto molto importanteper la salute del bambino e per l’e-quilibrio di tutta la famiglia.

– La sindrome di Willi Prader èresponsabile di una DI d’intensitàvariabile, associata a un comporta-mento alimentare anormale (buli-mia), causa di un’obesità che siistalla a partire dai 2 anni d’età eche è responsabile, in seguito, dialtri disturbi medici. Un controlloprecoce e multi-disciplinare delbambino e della famiglia (dieteti-ca, endocrinologa, psicologica)permette una reale prevenzionedelle obesità.

Nell’IJL, i pazienti più giovani,ben seguiti, hanno un indice dimassa corporeo (IMC) controllato(< 20), contrariamente ai pazientipiù grandi che non hanno benefi-ciato di questa prevenzione (IMC >40, che corrisponde a un’obesitàmaggiore).

– La sindrome del “cri du chat”è dovuta a una delezione del brac-cio corto del cromosoma 5; la metàdi questi pazienti non riesce a par-lare, e ha molto spesso disturbi delcomportamento che conducono aproporre un trattamento mediantesostanze psicotrope. Tuttavia, da-vanti a un disturbo del comporta-mento, non si ometterà di cercareanche un dolore somatico: ortope-dico (grande frequenza di scoliosi),o digestivo (ernia iatale con riflus-so gastro-esofageo). Tali complica-

zioni sono in effetti più frequenti inquesta malattia e non devono esse-re trascurate nei malati che nonsanno esprimersi.

6. Ricerca e trattamento

Se è possibile prevenire e curareun gran numero di complicazionidi queste malattie, non esistono peril momento trattamenti della defi-cienza intellettiva in queste malat-tie cromosomiche.

Sono tuttavia possibili diversevie d’accesso a questa difficilequestione:

– La via genetica, che è il più lo-gico: la conoscenza dei geni e dellaloro funzione dovrebbe permetteredi elaborare strategie terapeuticherazionali, sia mediante farmacolo-gia classica, sia mediante nuovetecniche (terapia genica, RNA in-terferente). Per il momento, se esi-stono buoni modelli cellulari e ani-mali delle patologie cromosomichepiù frequenti, le piste terapeutichesono ancora modeste e molto restaancora da fare per comprendere be-ne queste malattie che fanno inter-venire numerosi geni, sia mancan-ti, sia sovrannumerari.

– La via clinica. Faremo dueesempi:

- La sindrome di Smith-Magenisè dovuta a una microdelezione in17p11.2. Oltre alla DI, si costatanoin questi pazienti grossi disturbi delsonno, come pure turbe del caratte-re e del comportamento che rendo-no particolarmente difficile la vitaquotidiana. L’esistenza di questidisturbi del sonno ha portato deimedici (Dott. de Leersnyder-Necker- Parigi) a studiare il ciclodella melatonina e a evidenziareuna inversione del ritmo circadianodi questo ormone necessario alsonno. Un trattamento che bloccala secrezione diurna dell’ormone, el’apporto di melatonina la sera hapermesso a questi bambini di ritro-vare un ritmo più regolare del son-no, e così di poter intraprenderel’apprendimento con maggioresuccesso [5].

- Nella trisomia 21 esistono di-versi fattori che favoriscono il so-praggiungere di apnee del sonno(particolarità anatomiche, maggio-re frequenza delle infezioni ORL,

delle apnee centrali, sovrappesoponderale). In assenza di lamentelada parte del paziente, la diagnosipuò essere ritardata od omessa; tut-tavia, un’apnea del sonno cronicapuò avere conseguenze gravi a bre-ve termine sulla crescita, l’appren-dimento e il portamento presso ipiù giovani; presso invece gli adul-ti può alterare l’attenzione, la me-moria, essere responsabile di di-sturbi dell’umore e del comporta-mento. A lungo termine, un abbas-samento cronico della saturazionearteriosa in ossigeno è deleterio alivello cellulare, e sui neuroni inparticolare; una sindrome di apneadel sonno sconosciuta per numero-si anni potrebbe così essere causadi invecchiamento precoce e di re-gressioni cognitive osservate nel50% dei pazienti T21 di oltre 50anni. Il trattamento non è semplice,ma passa per alcune misure pre-ventive; si può provare a usare peralcuni pazienti l’apparecchiaturaper ventilazione in pressione posi-tiva, che potrebbe permettere dimantenere le funzioni cognitive eprevenire in parte tale regressionecognitiva così catastrofica.

In questi due esempi, si vedeche, anche senza conoscere tutti imeccanismi genetici, e senza mira-re ai geni stessi, si possono miglio-rare o preservare le funzioni cogni-tive dei pazienti.

– L’interscambio tra la ricercafondamentale e l’osservazione cli-nica sono indispensabili e moltofruttuosi per far progredire i duecampi, e trovare vie terapeutiche.

- La conoscenza dei geni del cro-mosoma 21 apporterà ad esempioinformazioni utili, cioè progressitecnici, per altre malattie come i tu-mori (aumento della frequenza del-le leucemie, diminuzione dei tu-mori solidi nella trisomia 21) o ilmorbo d’Alzheimer.

- Un altro esempio di tale siner-gia tra la clinica e la ricerca è l’inte-resse per il gene CBS (Cystathionieb-synthase): Jérôme Lejeune avevamesso a confronto, per opporli, isegni clinici osservati nella triso-mia 21 e l’omocistinuria, malattialegata alla mancanza dell’enzimaCBS; ne aveva dedotto nel 1975 [6]la localizzazione del gene codanteper questo enzima sul cromosoma21; tale localizzazione è stata con-

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fermata nel 1985 [7], in 21q22.3.La tappa successiva è stata pensareche questo gene svolga un ruolomaggiore nel DI presente nei pa-zienti T21; l’IJL (Dott. H. Bléhaut)ha lanciato da un anno un program-ma di ricerca CIBLES 21, destinatoa creare un inibitore di questo enzi-ma per normalizzarne l’attività, au-mentata nella trisomia 21.

– Altre prospettive.- Medicina fetale: se un tratta-

mento si dimostrasse efficace, lacosa più logica sarebbe di proporloal feto in utero. La diagnosi prena-tale potrebbe così offrire a questogiovane paziente il beneficio deiprogressi della ricerca.

- Prevenzione: infine, tenutoconto delle difficoltà della ricerca,la prevenzione, ove possibile, sa-rebbe certamente la “terapia” mi-gliore.

L’unica vera prevenzione è quel-la che tende a impedire che il bam-bino concepito sia portatore diun’anomalia cromosomica e non aorganizzare un’individuazione si-stematica in utero per proporre inseguito l’eliminazione dei feti col-piti. Anche se non si conosce lacausa esatta del sopraggiungeredelle anomalie cromosomiche,l’età della madre è certamente unfattore di rischio: in una recente in-chiesta (EUROCAT) [2], si consta-ta che la prevalenza della trisomia

21 (nati vivi + morti fetali + inter-ruzione medica di gravidanza) va-ria molto da Paese a Paese, ed è di-rettamente legata all’età delle don-ne incinte (il 3,72‰ nell’Ile-de-France ove le donne incinte sono lepiù grandi d’età, contro lo 0,94‰del Portogallo). Una campagna sa-nitaria pubblica diretta ad informa-re le persone, e in particolare ledonne, su questo fattore di rischio,potrebbe essere un mezzo efficacedi prevenzione, pur nel rispettodelle persone.

Conclusione

In questi ultimi anni osserviamonumerosi progressi tecnici in mate-ria di diagnosi per le malattie cro-mosomiche; l’uso di tali tecnichepuò essere o meno a beneficio deipazienti.

Questi anni hanno anche appor-tato miglioramenti significativinell’accompagnamento medico,con una reale prevenzione deglihandicap associati.

Restano da trovare trattamenticurativi più efficaci; il primo passoè la speranza, credere cioè che èpossibile trovarli (“Li troveremo; èmolto più facile intellettualmentetrovare un trattamento per la triso-mia 21, che inviare un uomo sullaluna”, diceva il Prof. J. Lejeune); sitratta anche di giustizia, per tutti

quei pazienti colpiti nella loro in-telligenza; come tutti i malati, essihanno diritto a uno sforzo di ricer-ca deciso ed efficace.

Dott.ssa CLOTILDE MIRCHERIstituto Jérôme Lejeune

Parigi, Francia

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Le malattie monogeniche sonodovute ad alterazioni della sequen-za del DNA all’interno di singoli ge-ni, le unità fondamentali dell’ infor-mazione ereditaria contenuta nelnucleo di ogni nostra cellula. Talialterazioni (o mutazioni) non sonogeneralmente visibili con l’esamedei cromosomi, in quanto coinvol-gono anche solo pochi nucleotidi,ossia le “lettere” del DNA, e ognicromosoma è composto da decine ocentinaia di milioni di nucleotidi.Le mutazioni e le corrispondentimalattie genetiche possono esseretrasmesse alla generazione succes-siva seguendo le leggi dell’eredita-rietà descritte da Gregor Mendel nel1865, ben prima della scoperta deicromosomi e del DNA.

Il nucleo di ogni cellula del corpoumano contiene 46 cromosomi,composti da centinai di milioni dinucleotidi (adenina, citosina, guani-na e timina) per un totale di circa 3miliardi di “lettere” di acido desos-siribonucleico (DNA). Nonostantela sequenza del DNA umano sia sta-ta determinata quasi nella sua inte-rezza, il numero dei geni è ancoraincerto e oscilla fra 20.000 e30.000. Tale incertezza dipende dalfatto che i geni sono “frammentati”e dispersi lungo il genoma. Comenel caso degli atomi, molto spaziovuoto separa gli elettroni dai proto-ni e neutroni del nucleo, così soltan-to il 3% del DNA viene effettiva-mente impiegato per dirigere la sin-tesi delle proteine, che animano lavita della cellula. Infatti uno dei duefilamenti del DNA, per svolgere lasua funzione, deve essere prima “ri-copiato” (o trascritto) in un singolofilamento di RNA (acido ribonu-cleico), che poi si trasferisce dal nu-cleo al citoplasma della cellula eviene “trasformato” (o tradotto)nella proteina corrispondente. Rias-sumendo:

1) i geni sono le unità fondamen-tali dell’informazione ereditaria(complessivamente detta genoma);

2) sono scritti con le 4 lettere onucleotidi (A,C,G,T) dell’acidodesossiribonucleico (DNA) che èdistribuito in 46 cromosomi e vieneconservato nel nucleo delle cellule;

3) i geni (circa 25.000) devonoprima essere trascritti in acido ri-bonucleico (RNA) e poi tradotti inproteine nel citoplasma. Il DNA èparagonabile ad un libro che con-tiene tutta la musica della cellula,l’RNA messaggero agli spartitimusicali che vengono stampati peri musicisti, mentre le proteine cor-rispondono alla musica suonata;

4) le proteine dirigono la vitadella cellula e possono avere unafunzione strutturale (costituendol’intelaiatura delle cellule) o enzi-matica (in grado di trasformare unamolecola in un’altra).

Infine è importante ricordare chetutti i geni, così come i cromosomisu cui risiedono, sono presenti induplice copia (una da ciascun geni-tore).

Il Progetto genoma umano, con-cepito circa 20 anni fa, ha permes-so di raggiungere l’obiettivo di ri-costruire la sequenza dei 3 miliardidi nucleotidi del DNA dell’ uomo.Tale risultato, annunciato nel 2000e pubblicato per la prima volta al-l’inizio del 2001 sulle prestigioseriviste Science e Nature, è da con-siderarsi raggiunto al 90%, ma noncorrisponde alla individuazione ditutti i frammenti del DNA che rap-presentano i geni. Oltre la metà deigeni giacciono inesplorati nella se-quenza del nostro genoma, chedobbiamo ancora decifrare a fon-do. Inoltre, abbiamo delle informa-zioni ancora molto incomplete cir-ca le funzioni svolte dalle corri-spondenti proteine nelle varie cel-lule (muscolari, nervose, epiteliali,ecc.). Le informazioni derivanti dalProgetto genoma umano, che con-tinuano quindi ad accumularsi a unritmo esponenziale, sono racchiusein banche dati come quella del Na-

tional Center for BiotechnologyInformation americano (http://www.ncbi.nlm.nih.gov) oppure quella del-l’European Bioinformatics Institu-te (www.ensembl.org). Tramite que-ste banche dati è possibile a tutti iricercatori, o anche solo ai curiosi,esplorare il grande libro del geno-ma della nostra specie. Oltre al ge-noma umano sono stati sequenzia-ti, in parte o totalmente, i genomi didiverse specie di vertebrati (topo,scimpanzé), invertebrati (mosceri-no della frutta, vermi) e organismiunicellulari (lievito di birra, micro-bi vari).

A titolo esemplificativo possia-mo esplorare il genoma umano gra-zie al database EnsEMBL (http://www.ensembl.org/Homo_sapiens/index.html), cominciando dalla mappacromosomica presente sulla paginainiziale. Cliccando ad esempio sulcromosoma X, compare una scher-mata che rappresenta il cromoso-ma col suo bandeggio citogeneticoe accanto la densità di geni per cia-scuna sottoregione. I geni sul cro-mosoma X sono circa 1000. Sele-zionando poi una di queste regioni,è possibile visualizzare a diversigradi di risoluzione i geni in essapresenti, separati gli uni dagli altrianche da centinaia di migliaia o an-che milioni di nucleotidi. A mag-giore risoluzione si apprezza laframmentazione dei geni che sonocomposti da varie porzioni detteesoni, che si ritroveranno nello“spartito” dell’ RNA messaggeroda tradurre in proteina, interrotteda sequenze generalmente più lun-ghe (dette introni) che vengono eli-minate dall’ RNA dopo essere statericopiate dal DNA. Il fenomeno dieliminazione degli introni (dettosplicing) consente anche di ottene-re dallo stesso gene degli RNAmessaggeri diversi (corrispondentia proteine diverse) con l’inclusioneo l’esclusione di alcuni esoni nell’RNA maturo. Infine, arrivando almassimo livello di risoluzione, ri-

30 IL GENOMA UMANO

PIETRO CHIURAZZI

4. Le malattie monogeniche

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31DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

troviamo la sequenza dei nucleoti-di del DNA in quel particolare trat-to del genoma umano. Tale sequen-za è scritta su entrambi i filamentidel DNA in modo complementare,con una A di fronte a ogni T e unaC di fronte a ogni G, come ipotiz-zato da Crick e Watson nel 1953.

Nella seguente tabella sono ri-portati la lunghezza in paia di nu-cleotidi di ciascun cromosoma e ilnumero di geni presunti e confer-mati localizzati su di esso, per untotale di circa 3,1 miliardi di nu-cleotidi e 22.531 geni totali presun-ti. Il numero dei geni correla gros-solanamente con la lunghezza deicromosomi.

Il genoma umano corrisponde acirca 2 metri di doppia elica delDNA, più o meno strettamente av-volto a proteine dette istoni a for-mare la cromatina. Normalmenteil DNA è parzialmente svolto nelnucleo delle cellule e appare comeun gomitolo indistinto, ma quandole cellule devono dividersi il geno-ma si ripiega ordinatamente sustesso al massimo e diventa visibi-le sotto forma di cromosomi. 46cromosomi caratterizzano la spe-cie umana: uguali a coppie, 23provenienti dal padre e 23 dallamadre.

Il più comune modo di dividersidelle cellule è tramite il processodella mitosi. Questa divisione pro-duce un intero organismo a partiredalla prima cellula uovo fecondatao zigote. Ogni divisione cellularepresuppone la replicazione delDNA in modo da assicurare a ognicellula figlia una copia completadel genoma. All’inizio della mitosiogni cromosoma è costituito dadue cromatidi identici, uniti per ilcentromero, e tali cromatidi si se-pareranno ordinatamente per ritro-varsi con 46 cromosomi in entram-be le cellule figlie, ciascun cromo-soma ora con un solo cromatidio.

Durante la replicazione del DNA

è possibile che si verifichino deglierrori e che vengano inseriti deinucleotidi sbagliati. Tali errori, al-trimenti noti come mutazioni, si ri-troveranno nelle cellule figlie e po-tranno anche essere trasmessi allasuccessiva generazione, causandouna malattia monogenica.

Per essere trasmesse alla genera-zione successiva, le mutazioni de-vono essere presenti in cellule spe-cializzate che sono deputate allafertilizzazione e quindi alla forma-zione dello zigote. Tali cellule, det-te gameti (ovulo e spermatozoo),si formano con una speciale divi-

sione cellulare detta meiosi che di-mezza il numero dei cromosomi(da 46 a 23), consentendo la segre-gazione ordinata dei cromosomiomologhi (ovvero i membri di cia-scuna coppia). Il nuovo individuoriceverà infatti 23 cromosomi daciascun genitore per averne nuova-mente 46.

Durante la meiosi, così come icromosomi omologhi, si separanoanche le copie (alleli) di ogni genee finiscono in gameti distinti. Que-sta è la base biologica della leggedella segregazione degli alleli sco-perta da Mendel. Quindi ogni alle-le ha il 50% di possibilità di essereincluso nel gamete che genererà lozigote del figlio. Mendel aveva an-che osservato che nelle piante ibri-de, ovvero eterozigoti per due alle-li differenti (che ad esempio deter-minano la produzione di semi gial-li o verdi), uno dei due alleli è do-minante e determina il fenotipo,mentre l’altro allele è recessivo.Un allele recessivo determina il fe-notipo solo quando è presente induplice copia e l’individuo è dettoomozigote.

Applicando le osservazioni diMendel alla genetica medica pos-siamo dire che:

1) le malattie monogeniche sonodeterminate da mutazioni in unsingolo gene e dal corrispondentedifetto proteico;

2) un gene mutante può risultarenella produzione di una proteinaanomala o di nessuna proteina;

3) se un allele mutante determi-na il fenotipo anche quando è pre-sente in singola copia è dominante;

4) se un allele mutante determi-na il fenotipo solo quando è pre-sente in doppia copia è recessivo.

In un tipico albero genealogicoche dimostri una trasmissione do-minante, la caratteristica (o la ma-lattia) si trasmette di genitore in fi-glio in modo verticale con il pas-saggio di un solo allele. Il rischiodi trasmissione è del 50% e lamaggior parte degli individui af-fetti sono eterozigoti con un allelemutante e uno normale (Aa). Nelcaso di una trasmissione recessivainvece, saranno malati soltanto gliindividui omozigoti per la muta-zione (come nel caso di figli diconsanguinei) o eterozigoti com-posti per due mutazioni diverse madello stesso gene. Gli eterozigoti in

cromosoma lunghezza (bp) geni (noti+nuovi) geni noti

1 245.522.847 2281 19882 243.018.229 1482 12463 199.505.740 1168 10334 191.411.218 866 7435 180.857.866 970 8346 170.975.699 1152 10507 158.628.139 1116 9168 146.274.826 794 6929 138.429.268 919 77810 135.413.628 862 73011 134.452.384 1426 126412 132.449.811 1104 100913 114.142.980 399 31814 106.368.585 733 64615 100.338.915 766 58916 88.827.254 957 83917 78.774.742 1257 110418 76.117.153 322 26719 63.811.651 1468 133720 62.435.964 631 59221 46.944.323 271 24322 49.554.710 552 471X 154.824.264 931 766Y 57.701.691 104 76

3.076.781.887 22.531 19.531

Page 31: Atti della XX Conferenza Internazionale

32 IL GENOMA UMANO

questo caso saranno portatori sanie avranno un rischio di avere prolemalata di circa il 25%.

Un caso particolare è rappresen-tato dalla trasmissione di caratteri-stiche X-linked, ossia determinateda mutazioni in geni sul cromoso-ma X, presente in duplice copianelle donne (XX) e in singola copianei maschi emizigoti (XY). Nel ca-so della trasmissione X-linked re-cessiva infatti, le donne eterozigo-te per la mutazione sono portatricisane, mentre il 50% dei loro figlimaschi sarà malato. Nella trasmis-sione X-linked non si osserva maiuna trasmissione da maschio a ma-schio, proprio perché il padre tra-smette ai sui figli maschi il cromo-soma Y. Tutte le figlie di un ma-schio malato invece saranno porta-trici obbligate.

Anche per le malattie monoge-niche esiste una aggiornata bancadati su Internet, OMIM (OnlineMendelian Inheritance in Man).OMIM è raggiungibile tramite ilsito dell’ NCBI e cataloga pratica-mente tutte le condizioni genetichea trasmissione mendeliana (mono-genica) descritte nella letteratura.In OMIM sono attualmente elen-cati e descritti più o meno detta-gliatamente circa 10.000 geni conle corrispondenti mutazioni e ma-lattie genetiche corrispondenti. Perogni gene e/o condizione vengonoriportati una breve descrizione sto-rica, le caratteristiche cliniche ealcune delle principali mutazionidescritte con i corrispondenti feno-tipi (malattie). Inoltre vengono ci-tate le referenze bibliografiche piùimportanti.

È importante ricordare che l’e-spressione clinica delle malattiemonogeniche può essere estrema-mente variabile (da lieve a moltograve). A volte questa differenzapuò essere spiegata dalla presenzadi mutazioni diverse dello stessogene. Altre volte anche la stessamutazione può corrispondere aquadri clinici di gravità molto va-riabile, il che si spiega con l’azionemodificatrice di altri geni e dellecorrispondenti proteine. Infattinessuna proteina agisce in modoisolato.

Per eterogeneità allelica inten-diamo invece il caso in cui muta-zioni (generalmente diverse) diuno stesso gene determinano qua-dri clinici assolutamente differenti.

Alle volte ciò è riconducibile al-l’effetto della mutazione sull’atti-vità della proteina (acquisto piut-tosto che perdita di funzione), inaltri casi è possibile che ci siaun’alterazione dello splicing chedetermina la produzione di unaproteina in parte diversa. Un clas-sico esempio di eterogeneità alleli-ca è fornito dalle mutazioni nel ge-ne del recettore per il fattore di cre-scita dei fibroblasti FGFR3. Talimutazioni possono essere respon-sabili di quadri clinici totalmentedifferenti, come displasie schele-triche senza coinvolgimento delcranio, craniosinostosi o anche unapatologia dermatologica.

Infine dobbiamo tenere presenteche molte malattie monogenichepresentano una eterogeneità di lo-cus (o eterogeneità genetica, ap-punto). In questo caso dobbiamoricordare che molteplici proteinepossono essere necessarie per unaparticolare funzione cellulare equindi mutazioni in più geni diver-si possono causare lo stesso fenoti-po (malattia). Quando mutazioni

in più geni in contemporanea sononecessarie per la determinazionedi una malattia genetica, possiamoparlare di ereditarietà poligenica omultifattoriale (qualora siano ne-cessari anche particolari fattoriambientali).

La caratterizzazione dettagliatadelle vie metaboliche e dei mecca-nismi molecolari del funziona-mento normale delle cellule è unacondizione preliminare alla com-prensione dei meccanismi che de-terminano le malattie genetiche eall’individuazione di eventuali te-rapie efficaci. L’esempio della fe-nilchetonuria, una ben nota malat-tia monogenica recessiva, che vie-ne ricercata alla nascita in tutti ineonati, è particolarmente istrutti-vo. La maggior parte dei pazienti

ha infatti delle mutazioni nel genedella fenilalanina idrossilasi(PAH) che normalmente convertel’aminoacido essenziale fenilalani-na in tirosina. Il fenotipo può va-riare dalla forma grave di fenilche-tonuria classica a iperfenilalanine-mie benigne (espressività variabi-le). In alcuni casi invece sono pre-senti mutazioni in geni che codifi-cano per gli enzimi deputati allasintesi di un cofattore indispensa-bile per la reazione, la tetraidro-biopterina (BH4). Questo è un tipi-co esempio di eterogeneità geneti-ca. Infine, i livelli di fenilalanina,assunti con la dieta, condizionanomolto l’effetto fenotipico, configu-rando una malattia multifattorialein cui l’effetto delle mutazioni ge-niche può essere quasi annullatoda una deprivazione di fenilalani-na nelle dieta. Questa osservazioneè alla base del trattamento dieteti-co della fenilchetonuria classica,mentre i deficit di tetraidrobiopte-rina non rispondono affatto alladieta. In questi casi, il deficit diBH4 inibisce anche il funziona-mento di altri enzimi come la tiro-sina idrossilasi e la triptofanoidrossilasi, fondamentali per lasintesi dei neurotrasmettitori dopa-mina e serotonina, necessitando diun differente (e purtroppo ancorainsoddisfacente) approccio tera-peutico.

In conclusione, la conoscenzadelle decine di migliaia di geniumani contribuirà alla individua-zione di molte malattie monogeni-che a trasmissione mendeliana. Lacaratterizzazione delle proteinemutanti e del loro funzionamentonaturale e patologico, nella com-plessa rete di interazioni moleco-lari della cellula, è il passo succes-sivo, difficile ma necessario perl’eventuale individuazione di tera-pie efficaci. Come dimostrato dal-l’esempio della fenilchetonuria, laconoscenza del meccanismo pato-genetico può suggerire terapie piùfacili della sostituzione del genedifettoso con una copia normale.La terapia genica infatti rappresen-ta tuttora un’opzione poco realisti-ca e una sfida tecnologica formida-bile.

Prof. PIETRO CHIURAZZIIstituto di Genetica Medica

Università Cattolica del Sacro Cuore,Roma

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33DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

MAURIZIO GENUARDI

5. Le malattie multifattoriali

Le malattie multifattoriali sonocondizioni patologiche determinateda complesse interazioni tra fattorigenetici e fattori ambientali. In ge-nerale si ritiene che i fattori geneti-ci, così come quelli ambientali,coinvolti nella patogenesi di questecondizioni siano molteplici. Pro-prio in virtù della complessità deimeccanismi causali e della molte-plicità di fattori genetici coinvolti,queste condizioni vengono anchedenominate malattie “complesse” o“poligeniche”. Il completamentodel Progetto genoma umano haaperto prospettive non immagina-bili fino a due decadi fa, facendo sìche queste condizioni siano diven-tate oggetto di intensi studi nel-l’ambito delle scienze biomedichee fornendo le basi metodologicheper l’avvio di ambiziosi progetti suvasta scala, mirati all’identificazio-ne dei fattori genetici e ambientaliimplicati.

Questo gruppo di patologie vie-ne distinto dalle tradizionali ma-lattie genetiche, causate da difettidi singoli geni, in base alle moda-lità con cui esse si presentano nel-le famiglie. Nelle malattie geneti-che classiche (o monogeniche) siosserva il coinvolgimento di di-versi membri di una famiglia, el’esame del numero di individuiaffetti e del loro grado di parentelain un numero congruo di famiglieconsente di stabilire la modalità ditrasmissione genetica. Ad esem-pio, per una malattia autosomicadominante osserveremo, nellamaggior parte delle famiglie ana-lizzate, la trasmissione diretta del-la malattia da genitore a figlio e lapresenza di più generazioni di in-dividui colpiti dalla malattia. Alcontrario, nelle malattie multifat-toriali, la situazione di più fre-quente riscontro è rappresentatadalla presenza di un unico casonella famiglia. In una frazione del-le famiglie in cui è presente unacondizione multifattoriale si os-

servano due individui affetti, spes-so strettamente imparentati tra lo-ro, o, più raramente, 3 o più perso-ne con la malattia. Un simile tipodi presentazione potrebbe esseredeterminato da fattori puramentecasuali, soprattutto quando si con-siderano malattie frequenti nellapopolazione generale. Il coinvol-gimento di fattori genetici è dimo-strato quando si osserva che la ma-lattia compare più frequentementenei parenti dei pazienti rispetto al-la popolazione generale. Studiepidemiologici di questo tipo mi-surano il valore di λ, ovvero, ilrapporto tra prevalenza della ma-lattia in una specifica classe di pa-renti di soggetti affetti rispetto allapopolazione generale. La classe diparenti presa più frequentementein esame è rappresentata dai fratel-li. Per una malattia genetica men-deliana classica, come la fibrosicistica, il valore di λ relativo aifratelli – definito come λs, dove s= siblings (fratelli) – è molto ele-vato, essendo pari a 1 su 625. Ciòvuol dire che la malattia è 625 vol-te più frequente nei fratelli di unapersona già affetta dalla malattiarispetto alla popolazione generale.Ciò vuol dire anche che il rischioche un fratello di un paziente confibrosi cistica ha di sviluppare lastessa malattia è 625 volte più altorispetto alla popolazione generale.Lo stesso calcolo di rischio effet-tuato per il diabete insulino-dipen-dente o giovanile (diabete di tipo1) fornisce un valore di λs pari a15. Questo valore è di gran lungainferiore rispetto a quello calcola-to per la fibrosi cistica, in conse-guenza del fatto che analizzandofamiglie con casi di diabete tipo 1si riscontra che, nella maggior par-te di queste, la malattia è limitata aun singolo individuo. Le malattiemultifattoriali sono quindi caratte-rizzate da valori di λs che indicanoun rischio maggiore di comparsadella malattia nei parenti di indivi-

dui affetti, anche se sono inferioririspetto a quelli che si osservanonelle malattie monogeniche.

Per cercare di spiegare le ragionidell’aggregazione familiare nellecondizioni multifattoriali sono statiproposti diversi modelli teorici. Inlinea di massima essi prevedonoche una condizione multifattorialesia causata da un numero definito,che può essere anche molto ampioe arrivare forse a qualche centinaio,di varianti geniche in diversi loci.Ognuno di questi loci può esisteresotto diverse forme, ciascuna dellequali conferisce un diverso grado disuscettibilità o di resistenza allosviluppo della malattia. La compar-sa della malattia avviene quando siha la concomitanza di combinazio-ni genetiche e di esposizioni a fat-tori ambientali che superano uncerto livello di soglia di suscettibi-lità, oltre il quale compaiono le ma-nifestazioni della malattia. Non esi-ste un’unica combinazione, a diffe-renza di quanto accade di regolanelle malattie genetiche classiche,anzi la malattia può insorgere in in-dividui che hanno combinazioni digenotipi e di fattori ambientali di ri-schio molto diverse tra loro.

Uno dei motivi per cui oggi si staassistendo a un notevole incremen-to degli studi, sulle basi genetichedelle malattie multifattoriali, è rap-presentato dal fatto che in questaclasse di patologie è compresa lamaggior parte delle malattie comu-ni nell’uomo, le quali rappresenta-no la maggiore fonte di impegnosul piano sociosanitario. Per esem-pio, hanno un’origine multifattoria-le il diabete, l’aterosclerosi e i tu-mori. Queste sono malattie moltofrequenti, in contrasto con le malat-tie genetiche mendeliane, quali lafibrosi cistica, la β-talassemia e ladistrofia muscolare di Duchenne, lacui prevalenza, a eccezione di alcu-ne aree geografiche particolari, èinferiore a 1 su 2.000. I rischi dimalattia conferiti dai geni implicati

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34 IL GENOMA UMANO

in queste ultime patologie sonomolto elevati, spesso pari al 100%o vicini a questi valori nei portatoridelle alterazioni genetiche causali.Esistono anche delle forme eredita-rie di malattie comuni. Ad esempio,è noto che in una piccola frazionedei tumori, come il cancro dellamammella e dell’ovaio, la suscetti-bilità al loro sviluppo può esseretrasmessa come carattere mende-liano. Uno dei geni implicati è chia-mato BRCA1, e conferisce un ri-schio di sviluppare tumori nell’arcodella vita compreso tra il 40% el’80% a seconda delle diverse casi-stiche analizzate. Il rischio relativoesprime il rapporto tra il rischio as-soluto di malattia nella classe deiportatori di particolari varianti ge-netiche rispetto alla popolazionegenerale. Tale rischio è pari a mi-gliaia di volte per i portatori di mu-tazioni genetiche che causano ma-lattie rare, come la fibrosi cistica ola distrofia muscolare di Duchenne.È più basso (valore compreso tra 5e 10) , ma pur sempre significativa-mente elevato, per il gene BRCA1e il tumore mammario/ovarico, equesta differenza è dovuta al fattoche la malattia è già di per sé moltofrequente nella popolazione gene-rale, dove la maggioranza dei casinon è legata a mutazioni che agi-scono con meccanismo mendelia-no. Nelle malattie multifattoriali, ivalori di rischio relativo sono spes-so di gran lunga inferiori, come nelcaso del gene MTHFR e dei difettidel tubo neurale (rischio relativo 2-4), anche se i fattori genetici di su-scettibilità finora identificati sonoverosimilmente quelli con effettimaggiori, e quindi possono appari-re particolarmente elevati, comeaccade per una particolare combi-nazione di geni del sistema HLAnel diabete giovanile insulino-di-pendente.

La teoria prevalente sui meccani-smi patogenetici delle malattiemultifattoriali prevede che la su-scettibilità al loro sviluppo sia de-terminata da varianti geniche co-muni o relativamente comuni, adifferenza di quanto accade per lemalattie mendeliane, per le quali levarianti geniche interessate sonoinvece rare o molto rare. Le varian-ti implicate nelle malattie multifat-toriali rientrano nella categoria dei“polimorfismi” genetici, ovverosiadi quelle variazioni nella sequenza

del DNA che hanno una frequenzanella popolazione generale superio-re all’1%. Negli ultimi anni un tipoparticolare di varianti genetiche haassunto un ruolo predominante nel-lo studio delle malattie multifatto-riali. Si tratta dei cosiddetti SingleNucleotide Polymorphisms (SNPs;polimorfismi del singolo nucleoti-de), che consistono nella sostituzio-ne di una singola base del genomaumano. Ad esempio, un’ipoteticasequenza AGGTGTC in una speci-fica posizione del genoma potrebbeesistere nella forma AGGAGTC inalcuni individui; la sostituzionedella base timina (T) con una baseadenina (A) nella quarta posizionedi questa sequenza corrispondereb-be in tal caso a uno SNP. È statocalcolato che nel genoma umano èpresente in media uno SNP ogni290 basi di sequenza: poiché il ge-noma umano contiene circa 3 mi-liardi di basi, ciò corrisponderebbea un totale di 10 milioni di SNPsparsi nel genoma in diverse posi-

zioni. Gli SNP presentano il grandevantaggio di essere riconducibili aun’analisi automatizzata e quindi dipoter essere impiegati per studi sularga scala. Per tale motivo, la sco-perta di un enorme numero di SNPavvenuta grazie ad alcune dirama-zioni collaterali del Progetto geno-ma umano ha fatto intravedere lapossibilità di superare i limiti nu-merici e tecnologici che hanno tra-dizionalmente ostacolato lo svilup-po di progetti mirati alla definizio-ne delle basi genetiche delle malat-tie multifattoriali.

Tradizionalmente il potenzialecoinvolgimento di polimorfismigenetici nella genesi delle malattiemultifattoriali viene esaminato ef-

fettuando degli studi di associazio-ne. Si tratta di indagini abbastanzasemplici dal punto di vista concet-tuale, che consistono nella determi-nazione e nel confronto della fre-quenza di una o più varianti in esa-me in una serie di casi, costituiti dasoggetti affetti da una specificacondizione, e in una serie di con-trolli non affetti dalla patologia.Quando, previa applicazione di ap-propriati test statistici, la frequenzadi una variante risulta essere signi-ficativamente superiore nei casi ri-spetto ai controlli, l’associazioneviene definita positiva. Ciò indicache la variante in oggetto è verosi-milmente implicata nella suscetti-bilità alla malattia. Un esempio distudio di associazione con esito lar-gamente positivo è rappresentatodal risultato dell’indagine condottanel 2001 da un gruppo di studiosifrancesi su pazienti affetti dal mor-bo di Crohn, una malattia infiam-matoria dell’intestino, che eviden-ziò una frequenza significativa-

mente superiore di varianti di ungene chiamato CARD15 nei sog-getti con morbo di Crohn, rispettoalla popolazione di controllo esa-minata. Al contrario, lo stesso stu-dio non rilevò alcuna differenza tracontrolli e pazienti affetti da retto-colite ulcerosa, una malattia cuginadel morbo di Crohn, dal quale si di-stingue per alcune sfumature clini-che. La frequenza di tre specifichevarianti del gene CARD15 risultòessere pari rispettivamente al 29%nei pazienti con morbo di Crohn, al7% nei soggetti di controllo, e al5% nel campione di pazienti conrettocolite ulcerosa. La differenzatra il 29% e il 7% risultò essere am-piamente significativa dal punto di

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35DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

vista statistico. L’osservazione diuna minore frequenza delle varian-ti nei casi con rettocolite ulcerosapotrebbe far pensare che questi po-limorfismi genetici abbiano addirit-tura un effetto protettivo nei con-fronti di questa malattia. Tuttavia,appare già intuitivo che non vi è ungrosso divario tra i valori 7% e 5%,e, in effetti, questa differenza nonappare rilevante quando viene sot-toposta ad analisi statistica.

In realtà gli studi di associazionesono molto spesso inficiati da unaserie di problemi o di errori. I datiottenuti sul morbo di Crohn rappre-sentano uno dei pochi esempi di ri-sultati ottenuti negli ultimi anni,che hanno retto la prova di ulterioristudi mirati a riprodurre i dati in al-tre casistiche. La grandissimamaggioranza delle associazioni po-sitive descritte nella letteraturascientifica non è stata riprodotta inulteriori studi. La spiegazione piùsemplice di tali discrepanze va ri-cercata nelle fonti di errore, chepossono essere rappresentate dal-l’esiguo numero delle casisticheesaminate, o dall’impiego di meto-di statistici inadeguati. In generale,gli studi di associazione così comesono stati finora configurati sonorisultati essere inadeguati per lascoperta di varianti genetiche coneffetti deboli, ovverosia che confe-riscono rischi relativi inferiori a 2.Conoscendo queste problematiche,è oggi possibile tentare di risolver-le, almeno parzialmente, applican-do analisi statistiche rigorose, ana-lizzando numeri elevati di campio-ni, dell’ordine di diverse migliaiacome minimo, e prendendo altri ac-corgimenti. Su questa linea si sonoorientati diversi studi attualmentein corso, i quali prevedono per l’ap-punto come passo iniziale la raccol-ta di grandi numeri di campioni.Tra questi la cosiddetta UK Bio-bank, che arruolerà circa 500.000persone nell’arco dei prossimi anni,lo studio europeo dei gemelli, Ge-nomEUtwin, che prevede la raccol-ta di più di 600.000 coppie di ge-melli, e gli studi sulle popolazioniislandese, estone e australiana.Quest’ultimo prevede di esaminareben 2.000.000 di persone.

A eccezione del progetto islande-se, questi studi sono ancora nellefasi iniziali e non hanno ancoraprodotto risultati significativi, enon è possibile prevedere quali sa-

ranno i prodotti finali e le loro rica-dute in termini di miglioramentodella salute pubblica. In linea gene-rale, le tecnologie disponibili, chesi presume possano migliorare so-stanzialmente nel futuro, e l’im-pianto degli studi dovrebbero con-sentire di ottenere progressi signifi-cativi. Tuttavia le opinioni sull’uti-lità di questi studi sono diverse.

C’è chi sostiene che, grazie all’i-dentificazione dei fattori geneticiimplicati nelle malattie multifatto-riali, si arriverà a una medicina per-sonalizzata. Questa è la visione for-mulata da uno dei conduttori delProgetto genoma umano, FrancisCollins, nel 1999. Collins, in unafamosa lettura magistrale, presentògli ipotetici dati di un check up ge-netico eseguito da un individuo nel-l’anno 2010. In base a questi risul-tati, l’individuo presentava un ri-schio aumentato di alcune patolo-gie, come malattie coronariche, tu-more al colon e al polmone, e un ri-schio ridotto di malattia di Alzhei-mer e di tumore della prostata. Te-nendo conto di queste indicazioni,a questa persona sarebbero prospet-tate misure atte a ridurre il rischiodi malattie coronariche e di tumoridel colon e del polmone, mentrepotrebbe essere consigliato di evi-tare di sottoporsi a esami per il can-cro della prostata. Va detto che perla malattia di Alzheimer qualunquerisultato, sia di aumento sia di ridu-zione del rischio, non avrebbe alcu-na ricaduta sul piano clinico, poi-ché, allo stato attuale non esistonomezzi di prevenzione.

La veduta iperbolica di Collins edi altri scienziati prevede che si po-trà arrivare, tramite l’analisi delprofilo genetico di ogni individuo,a una medicina personalizzata inbase al genotipo, così come a deitrattamenti personalizzati. La far-macogenetica, ovvero lo studio del-le basi genetiche della risposta aifarmaci, rappresenta infatti unospeciale e particolarmente promet-tente campo di applicazione di que-ste metodologie.

Tuttavia, esistono ancora moltidubbi sulla possibilità di poter ef-fettivamente giungere a un similescenario, così come sull’opportu-nità di applicare le eventuali futureconoscenze in questo modo. Il po-tere, ovvero la capacità di riuscita,degli studi in corso è ancora da di-mostrare, e questa obiezione è so-

stanziata dal fatto che il numero digeni finora identificati è molto esi-guo. È possibile, anzi probabile se-condo alcuni, che le varianti geneti-che così scoperte non possano so-stituire altri marcatori di rischio og-gi di largo uso, come ad esempio ilivelli di colesterolo nel sangue: in-fatti, se le varianti genetiche influi-scono sui livelli di colesterolo, ap-pare decisamente più semplice an-dare direttamente a dosare que-st’ultimo. L’effetto di alcune va-rianti potrebbe poi essere legato al-la presenza di fattori ambientali. Intal caso sarebbe preferibile ridurrel’esposizione a questi ultimi, tantopiù che essi potrebbero incrementa-re il rischio anche in coloro che nonsono portatori delle varianti geneti-che con le quali è stata dimostrataun’interazione. Infine, in tema conquanto sopra esposto per la malattiadi Alzheimer, ci si domanda qualeutilità avrebbe la conoscenza del li-vello di rischio per malattie nonprevenibili. In tali casi addirittura laconoscenza potrebbe avere effettidannosi dal punto di vista psicolo-gico.

L’altro scenario, che chiamereiminimalistico, prevede che effetti-vamente si possa giungere alla co-noscenza di un certo numero di fat-tori genetici con debole effetto sul-la suscettibilità a condizioni multi-fattoriali, ma che solo una frazionelimitata di questi potrà essere utiliz-zata nella pratica clinica. D’altron-de, le conoscenze di questi fattoridovrebbero portare a un migliora-mento delle conoscenze di base suimeccanismi di malattia, e, in ultimaanalisi, allo sviluppo di nuove tera-pie, con beneficio per la salute pub-blica.

Allo stato attuale, non potendoprevedere quale dei due scenari siavvererà, è comunque importanteevitare che la veduta “iperbolica”prenda il sopravvento, soprattuttoper non favorire commerci illusoribasati su dati non ancora verificati,e che potrebbero alimentare ed es-sere alimentati in un circolo viziosoda un eccesso di aspettative sullepossibilità di “migliorare” la saluteo addirittura, anche le caratteristi-che della specie umana.

Prof. MAURIZIO GENUARDIProfessore ordinario di genetica medica,

Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Firenze,

Italia

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36 IL GENOMA UMANO

INTRODUZIONE

Quando vediamo il cielo scurirsiall’orizzonte, diciamo per espe-rienza: “Ecco, pioverà”. Quandoscorgiamo un albero in fiore in pri-mavera, affermiamo: “Guarda,farà molti frutti”. Allo stesso mo-do, quando i genetisti trovano unamutazione genetica morbida in unneonato, predicono: “Svilupperàquesta malattia ereditaria latente oquesto cancro quando avrà que-st’età”1-2. Ma chi sa quante nuvolenere non hanno prodotto pioggia, oquanti alberi non hanno mantenutole promesse di una loro grande fio-ritura? Quante persone predispostea una patologia non sono morte,grazie a Dio, a causa di questa pre-disposizione genetica?

Nell’era della genetica moleco-lare, ormai sappiamo che i tumorisopravvengono in seguito alle mu-tazioni di certi geni che partecipa-no al controllo dei processi di:

– la crescita cellulare; – la limitazione della prolifera-

zione cellulare; – la riparazione del DNA dan-

neggiato.

In questo intervento, esporremosuccessivamente:

I – la definizione della predispo-sizione genetica al cancro e allemalattie latenti;

II – i meccanismi molecolaridella predisposizione al cancro;

III – esempi di mutazioni delDNA che predispongono alle ma-lattie genetiche.

I. LA DEFINIZIONE DELLAPREDISPOSIZIONE GENETICAAL CANCRO EALLE MALATTIE LATENTI

La predisposizione definisce il

fatto che un individuo abbia un pa-trimonio genetico che lo rende su-scettibile di sviluppare, nel corsodella vita, una malattia geneticacome ad esempio la policistosi re-nale, la malattia di Gaucher, unaemocromatosi, la distrofia musco-lare di Duchen, un cancro eredita-rio: retinoblastoma (RB), tumoridel seno (BRCA), al colonHNPCC (Hereditary Non Polypo-sis Colon Cancer), ecc.

1. La predisposizione genetica al cancro

Una donna portatrice di una mu-tazione dei geni BRCA ha un ri-schio di contrarre un tumore delseno da 8 a 10 volte superiore aquello della popolazione in gene-rale, e di 40 volte superiore per ilcancro delle ovaie. Esistono anchepredisposizioni legate all’ambien-te e al modo di vita.

Oggi sappiamo che:– soltanto dal 5 al 10 % dei tu-

mori sono ereditari e trasmissibili(mutazioni genetiche nella lineagerminale);

– il cancro familiare si riferiscedi solito a un cancro che colpiscepiù membri di una stessa famigliasenza pur tuttavia essere per forzaereditario;

– taluni tipi di cancro sono for-me sporadiche.

1.1 Storia

All’inizio del XX secolo, eranoessenzialmente seguite due lineedi ricerca in cancerologia.

1.1a – Una esplorava la base in-fettiva del tumore e arrivava sull’i-dentificazione dei proto-oncogenie degli oncogeni.

1.1b – L’altra si fondava sulla

correlazione tra sviluppo del tu-more e attività cancerogena e mu-tagena di numerosi agenti chimicie fisici.

Il lavoro di Alfred Knudson siiscrive in questa seconda linea diricerca. Egli per primo sviluppòuna teoria che spiegava la predi-sposizione genetica al tumore te-nendo conto della natura a più tap-pe del processo mutazionale mes-so in atto nella tumorigenesi.

In famiglie con casi molteplici,una di queste mutazioni potrebbeessere presente fin dal concepi-mento e dunque ritrovarsi in tuttele cellule dell’organismo. In que-sto caso, essendo già presente unamutazione, la comparsa del tumo-re necessiterebbe di una tappa mu-tazionale in meno. Secondo Knud-son, sono necessari due avveni-menti mutazionali per la comparsadel retinoblastoma, cancro dellaretina in un soggetto senza prece-denti familiari3. In breve, l’accu-mulo di mutazioni nelle celluledell’organismo provoca dunquel’oncogenesi.

Le mutazioni genetiche nell’uomoL’uomo è una città cellulare,

composto in media di oltre 60 milamiliardi (60 trilioni) di cellule. Nelcorso della vita umana media, sen-za l’intervento di un agente muta-geno, abbiamo:

– 1017 divisioni cellulari;– una incorporazione di 6,1026

nucleotidi;– nel corso della replicazione

abbiamo errori da 10-9 a 10-11 cau-sati da nucleotide incorporato;

– così, nel corso delle 1016 mito-si che sopravvengono in media nelcorso di una vita umana, ogni genesubisce da 108 a 1010 mutazioni.

In questo modo, il rischio di mu-tazioni genetiche e il rischio tumo-rale aumentano con l’età (Fig. 1).

JACQUES SIMPORÉ

6. Predisposizione genetica al cancro e alle malattie latenti

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37DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

1.2 In che modo può essere ereditario un cancro (fig.2)?

Possiamo così parlare di patolo-gie del DNA che predispongono alcancro:

A livello familiare mediante: – trasmissione mendeliana mo-

nogenica;– trasmissione poligenica;– interazione sinergica tra geni e

ambiente o modo di vita.

A livello individuale mediante:– polimorfismi specifici costitu-

zionali del gene che inducono lacomparsa di questo o quel cancronel soggetto portatore;

– numerose mutazioni genetichesuccessive che attivano un pro-on-cogene o disattivano un gene rego-latore o soppressore.

Tale accumulo accelerato di mu-tazioni del DNA conduce a rag-giungere prematuramente un nu-mero critico di alterazioni geneti-che in una cellula dell’organismoche darà vita a un tumore.

2. La predisposizione alle malattie genetiche latenti

Le malattie genetiche ereditariesi manifestano alcuni anni dopo lanascita. Come per i tumori, le ma-lattie genetiche latenti sono provo-cate da mutazioni genetiche.

Il gene mutato:– non codifica più una proteina

pur tuttavia essenziale all’organi-smo;

– oppure codifica una proteinatossica, nociva per l’organismo.

Alcuni esempi di malattie geneti-che latenti sono riportati nella ta-bella 1.

II. MECCANISMI MOLECOLARI DELLAPREDISPOSIZIONE AL CANCRO

Le patologie del DNA sono pro-vocate da:

– sostituzioni casuali dei nucleo-tidi al momento della replicazione;

– esposizione alle radiazioni io-nizzanti;

– sostanze chimiche canceroge-ne;

– virus.

Clauss et al.4 38% a 50 anni; 67% a 80 anni

30 anni 40 anni 50 anni 60 anni 70 anni 80 anni

Localizzazione delle mutazioni

Tessuto germinaleTessuto somatico

Esistono qui:– una predisposizione genetica al cancro; – una trasmissione mendeliana del gene mutato alla discendenza.

Non c’è trasmissione alladiscendenza; ma in questoindividuo, abbiamo ormai

una predisposizione a un cancro sporadico seavvengono altre mutazioni.

Fig. 1

Fig. 2

Tab. 1

Sindrome Malattia Gene Localizzazione AnniMalattia di Kennedy Amiotrofia CAG X en q11-12 30Malattia di Machado Joseph Atassia cerebellare SCA2 6p 70Atassia di Friedreich neurologica GAA 9q13 <15Malattia di Stumpell-Lorrain Paraplegia spastica SPG5 8q; 15q; 10q 35Morbo d’Addison Adrenoleucodistrofia ALD Xq28 40Morbo di Huntington Neurodegenerativa CAG 4p16.3 45Morbo d’Alzheimer Neurodegenerativa APP Chromo. 21 60Sclerosi laterale amiotrofica Neurodegenerativa SOD1 22q12.2 50Sindrome di Gilles Tourette Invalidante DRD4 11p15.5 <21Morbo di Strargardt Distrofia maculare ABCR 1p22.1 <12Atrofia ottica di Leber Nevrite ottica A340H Mitocondrie <40Neurofibromatosi di tipo 2 Tumori nervosi NF2 22q12 <30Policistosi renale Insufficenza renale PKD1 16P13.3 <50Cistinosi Malattia metabolica CTNS 17p13 <12Malattia di Morquio Malattia metabolica MPS IVA 16Q24-3 >10Malattia di Gaucher Malattia metabolica N370S 1q21 <60Malattia di Wilson Malattia metabolica WND 13q14 X>5Emocromatosi genetica Malattia metabolica HFE 6p21.3 <60

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38 IL GENOMA UMANO

Così dunque le tre tappe fonda-mentali della cancerogenesi sicompongono come segue:

– una iniziazione,– una promozione,– una progressione.

Nell’avviamento del processodella cancerogenesi vengono atti-vati o disattivati diversi tipi di geniregolatori.

1. I proto-oncogeni chestimolano la crescita

Un proto-oncogene è un gene lacui azione controlla positivamentela proliferazione cellulare. La mu-tazione di uno degli alleli è domi-nante. Una volta che esso è muta-to, i proto-oncogeni diventano de-gli oncogeni, acquistano funzioni estimolano ancor più la prolifera-zione cellulare.

Esempi di proto-oncogeni:– fattori di crescita delle plac-

chette (PDGF);– fattori di crescita (CSF);– regolatori del ciclo cellulare

(cyclin D).

I meccanismi d’attivazione deiproto-oncogeni sono:

– mutazioni puntuali;– amplificazione genica;– traslocazione cromosomica;– inserzione virale.

2. I geni che frenano la crescita:geni soppressori di tumori(TS) o anti-oncogeni

Un anti-oncogene è un gene im-plicato nella regolazione della cre-

scita cellulare. I prodotti del genesoppressore inibiscono la prolife-razione cellulare5. Tali mutazionirecessive inducono una perdita difunzione e favoriscono la prolife-razione cellulare e dunque lo svi-luppo tumorale.

Esempi di geni soppressori ditumore:

– il gene BRCA1 (che induce laformazione del cancro del seno);

– il gene RB (che provoca il can-cro della retina);

– il p53 (che favorisce il proces-so dell’apoptosi).

3. I geni della riparazione del DNA danneggiato

Questa classe di geni sorveglialo stato del DNA durante la repli-ca. Se si produce un errore, il com-plesso arresta la replicazione e neinduce la correzione.

4. I geni che regolano la mortecellulare programmata (apoptosi)

I prodotti del gene Bcl-2 inibi-scono l’apoptosi, la morte cellula-re programmata. Tra i grandi siste-mi d’azione antagonista dell’orga-nismo umano, abbiamo ad esem-pio: la proliferazione cellulare e lamorte cellulare programmata,apoptosis (differente dalla necro-sis, morte violenta della cellula). Idue sistemi devono essere in equi-librio. Se l’azione dell’apoptosis èmaggiore di quella della prolifera-zione cellulare, abbiamo una invo-luzione nell’organismo. Al contra-rio, se quella della proliferazione èpredominante, abbiamo una evolu-zione verso l’oncogenesi. L’equili-brio di questi due meccanismi bio-logici favorisce lo sviluppo dellavita.

5. I geni del metabolismo dei carcinogeni endogeni ed esogeni

La predisposizione genetica alcancro dei polmoni, fumo-dipen-dente, ad esempio, è legata a deipolimorfismi genetici o a forme al-leliche dei sistemi enzimatici im-plicati nella risposta agli agentitossici e ai mutageni. Se una perso-

na è predisposta a questo tipo dicancro dei polmoni, se non fuma onon vive con una persona che fu-ma, essa non correrà il rischio disviluppare la malattia.

Ma la comprensione dell’origi-ne dei tumori dipende dalle nostreconoscenze attuali:

– delle vie di transduzione delsegnale che inducono la prolifera-zione cellulare;

– delle proteine che controllanoe limitano il ciclo di divisione cel-lulare;

– dei meccanismi di regolazionedell’apoptosi.

III. ESEMPI DI PATOLOGIE DEL DNAA PREDISPOSIZIONE GENETICA

I meccanismi molecolari dellemalattie genetiche variano da untipo di patologia all’altro. Ma il lo-ro denominatore comune sarebbeuna malattia del DNA, una muta-zione genetica.

1. Il retinoblastoma

Il retinoblastoma è un tumoredella retina che colpisce quasi1/20.000 bambini. Esso è legatoall’inattivazione dei 2 alleli delproto-oncogene RB1 al livello del27° exone su 180000pb per 4700bRNAm. Il proto-oncogene RB1 ècoinvolto nel controllo della divi-sione cellulare al livello della tran-sizione tra le fasi G1 e S. La malat-tia compare generalmente come unfenotipo dominante, benché la mu-tazione sia recessiva6.

2. Il cancro del seno

Secondo l’esperienza collettivaINSERM-FNCLCC; Ann Genet1999, si può parlare di rischio delcancro genetico ereditario del senoquando si tratta di:

– cancro del seno in giovane età(43 anni in media per le forme fa-miliari);

– forme familiari: almeno 2 o 3casi al primo grado in una branchiafamiliare;

– una lesione tumorale bilaterale;– un cancro dell’ovaia associato

al cancro del seno;

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39DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

– un cancro del seno di tipo mi-dollare.

I geni identificati la cui mutazio-ne provocherebbe il cancro del senosono7: BRCA1, BRCA2, CHEK2 etTP53.

Il gene BRCA1 è un grande ge-ne situato sul cromosoma 17q checontiene 22 exoni codanti 1.683acidi aminati. Sono già state de-scritte oltre 500 mutazioni o varia-zioni di sequenza, e il più dellevolte, per ogni famiglia, una muta-zione sembra unica. Isolato nel1995, il gene BRCA2 è situato sulcromosoma 13q12-13 e non ha al-cuna omologia con il gene BR-CA1. Sono state denominate oltre100 mutazioni diverse con pochemutazioni comuni alle varie fami-glie. Le donne portatrici di unamutazione BRCA hanno:

– un rischio dal 40 all’85% disviluppare un cancro del seno pri-ma dei 70 anni, mentre questo ri-schio è del 10 % nella popolazionegenerale;

– un rischio dal 10 al 63% di svi-luppare un cancro all’ovaia primadei 70 anni, mentre questo rischioè dell’1% nella popolazione gene-rale.

3. La sindrome di Lynch, carcinoma del colon ereditario, HNPCC

L’HNPCC (Hereditary NonPolyposis Colon Cancer), è causa-to dalle mutazioni/delezioni di unoo più geni globalmente chiamatiMismatch repair, riparatore di er-rori di replicazione del DNA8.

Nel mondo occidentale, una per-sona su duecento è colpita da unamutazione del gene dell’HNPCC.Questo tipo di cancro del colon èuna malattia ereditaria di tipo auto-somico dominante. I portatori han-no un rischio importante di svilup-pare il cancro (colon, tessuto endo-metriale, ovaie, uretra, gastrico, in-testino…) prima dei 50 anni. I ge-ni di riparazione del DNA, che unavolta mutati provocano questo tipodi cancro, sono: MSH2, MLH1,PMS1 e PMS2.

Ma perché la perdita di funzioneè dominante da un punto di vistacancerogeno? Una cellula eterozi-gote per il gene MSH2 è sempre ingrado di riparare gli errori. Da que-

sto punto di vista, la perdita di fun-zione del gene MSH2 è recessiva.Non è la cellula eterozigote chescatena il tumore ma l’omozigotemutante!

4. La Corea di Huntington

Si tratta di una affezione neuro-degenerativa ereditaria di tipo au-tosomico-dominante. Un bambi-no che abbia uno dei genitori por-tatore del gene mutato ha quindiun rischio del 50% di ereditarequesto gene. Il morbo di Hunting-ton provoca la distruzione dei nu-clei grigi centrali: il nucleo cauda-to, il putamen. Un crossing-overdisuguale provoca la formazionedelle triplette di oltre 35 nucleoti-di CAG al livello del braccio cor-to del cromosoma IV (4p16.3). Latripletta CAG, ripetuta alla finedel gene, codifica per la glutam-mina9. Il gene produce allora laproteina “huntingtina” che favori-rebbe lo sviluppo della malattia10.

Per alcuni ricercatori, la protei-na p53 svolgerebbe un ruolo es-senziale di soppressore di tumorein quanto fattore di trascrizione allivello del DNA nucleare. La pro-teina p53 è tuttavia ugualmenteespressa nei neuroni del cervello.In queste cellule che si dividonopoco, la sua soppressione com-porta la morte neuronale. Nel

2000, era stato mostrato che laproteina p53 poteva legarsi allahuntingtina mutata (mHtt), protei-na responsabile del morbo diHuntington. All’inizio di que-st’anno, Bae et coll. hanno dimo-strato l’influenza della proteinap53 sul processo dello sviluppodella Corea di Huntington11. Se-condo loro, la p53 è ugualmenteaumentata nel cervello di topi chesovraespongono la Htt mutata enella corteccia e nello striatum dipazienti colpiti dalla malattia. Aigiorni nostri, la diagnosi della Co-rea di Huntington si basa sulla ri-cerca diretta dell’espansione dellatripletta CAG mediante PCR(Polymerase Chain Reaction), se-guita dalla separazione dei fram-menti (su gel d’agarosa o acrila-mide) e sequenzaggio.

5. Il morbo d’Alzheimer

Il morbo d’Alzheimer è una ma-lattia genetica complessa. Il 10%dei casi sono trasmessi in manieraautosomica dominante, con unapenetranza completa. Le primemanifestazioni della malattia ap-paiono più precocemente tra i 55 ei 60 anni in queste famiglie12. Ilmorbo d’Alzheimer è anzituttouna malattia della memoria. Sonocolpiti tutti i processi mnesici (co-dificazione, stoccaggio, ricordo,

Page 39: Atti della XX Conferenza Internazionale

40 IL GENOMA UMANO

consolidamento). I geni coinvoltiin questa malattia latente sono:APP, PS1, PS2, ApoE e e4.

PROSPETTIVE E CONCLUSIONE

Ai giorni nostri, sono stati iden-tificati oltre 6000 tipi di malattiegenetiche ereditarie. L’ideale sa-rebbe quello di avere test diagno-stici per tutte queste malattie al fi-ne di individuarle in tempo, di pre-venirle e di poter analizzare i loroportatori. Ma quali sono le malat-tie per le quali la genetica ci propo-ne oggi test di individuazione eprospettive di cure? Esistono testgenetici diagnostici per alcune ma-lattie monogeniche dominanti e re-cessive.

Alcuni esempi di malattie gene-tiche latenti che dispongono o po-tranno disporre presto di kit di testdiagnostici (Tab.2).

Cronogramma d’attività:– identificare i geni della predi-

sposizione ai tumori e alle malattielatenti;

– sollecitare le ditte a svilupparekit diagnostici: sistemi di microar-ray, micropulci o primers altamen-te specifici per i test molecolari;

– costituire equipe pluridiscipli-nari ben formate: genetisti, medici,psicologi, assistenti sociali;

– promuovere centri regionali e

nazionali d’eccellenza per diagnosiaffidabili delle malattie genetiche;

– rendere gratuiti questi test, ilcounseling pre- e post-test e l’anali-si medica e psicologica dei malati;

– promuovere la ricerca per pro-spettive terapeutiche di queste ma-lattie genetiche;

– i test genetici per l’individua-zione dei tumori e delle malattielatenti in vista di cure più avanzatedevono sempre rispettare: l’essereumano, i suoi diritti, la sua libertàfondamentale, la sua vita privata ela sua dignità umana.

Oggi, la predisposizione geneti-ca ai tumori e alle malattie latenticostituisce per l’umanità un verodramma legato ai rischi delle tra-smissioni genetiche e ai meccani-smi senza appello dell’oncogenesi.

Segni di speranza: verrà un gior-no in cui, grazie ai progressi dellascienza, tutti i tumori e le malattiegenetiche temibili saranno sradica-ti. Quel giorno l’uomo si riconci-lierà con madre natura e la sua vitatornerà a risplendere armoniosa-mente nel giardino dell’Eden ritro-vato.

P. JACQUES SIMPORÉ, MIProfessore di genetica molecolare,

Università di Ouagadougou,Professore a contratto

Università di Roma Tor Vergata,Direttore del Laboratorio Biomedico e di ricerca Biomolecolare CERBA,

Burkina Faso

BibliografiaBAE B.I., XU H., IGARASHI S., FUJIMURO

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Predisposizione OMIM Frequenza Siti tumorali Localizzazione N° 2 principali cromosoma

Gene interessato 3 HNPCC 114400 1/500 colon, endometrio, 2p, 3p, 2q, 7p (sindrome di Lynch) stomaco

MSH2,MLH1PMS1,PMS2 Cancro del seno 113705 1/500 Seno, ovaia 17q, 13q… ereditario prostata, colon

BRCA1, BRCA2.. Neurofibromatosi 162200 1/3 500 Sistema nervoso, 17q tipo 1 molteplici siti (Recklinghausen)

NF1 Poliposi adenomatosa 175100 1/10 000 colon e retto, 5q (sindrome di Gardner) duodeno

APC Melanoma ereditario 155600 1/10 000 Pelle 9p, 1p MTS1… Sclerosi tuberosa 191100 1/10 000 Sistema nervoso, 16p…

di Bourneville rene TSC2 Sindrome di 114480 1/30 000 Molteplici siti 17p

Li-Fraumeni p53 Neurofibromatosi 101000 1/35 000 Sistema nervoso 22q

tipo 2 (neurinome bilaterale dell’VIII)

NF2 Retinoblastoma 180200 1/40 000 Retina, ossa 13q ereditario

Tab. 2

Page 40: Atti della XX Conferenza Internazionale

STEFFAN J.S., KAZANTSEV A., SPASIC-BO-SKOVIC O., GREENWALD M., ZHU Y.Z., GOH-LER H., WANKER E.E., BATES G.P., HOU-SMAN D.E., THOMPSON L.M., The Hunting-ton’s disease protein interacts with p53 andCREB-binding protein and represses tran-scription, Proc Natl Acad Sci U S A. 2000Jun 6;97(12):6763-8.

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Note1 GORLOV I.P., GORLOVA O.Y., AMOS C.I.,

Predicting the oncogenicity of missense mu-tations reported in the International Agencyfor Cancer Research (IARC) mutation data-base on p53, Hum Mutat. 2005 Nov;26(5):446-54.

2 KNUDSON A.G. JR., Overview: genesthat predispose to cancer, Mutat Res. 1991Apr; 247(2):185-90.

3 KNUDSON A., Retinoblastoma: teacherof cancer biology and medicine. PLoS Med.2005 Oct;2(10):e349. Epub 2005 Oct 25.

4 CLAUS E.B., RISCH N., THOMPSON W.D.,Genetic analysis of breast cancer in the can-cer and steroid hormone study. Am J HumGenet. 1991 Feb;48(2):232-42.

5 KNUDSON A.G., Anti-oncogenes and hu-man cancer, Proc Natl Acad Sci U S A. 1993Dec 1; 90(23):10914-21.

6 YANG C.P., HUNG I.J., JAING T.H., SHIHL.Y., CHANG W.H., Cancer in infants: a re-view of 82 cases, Pediatr Hematol Oncol.2005 Sep; 22(6):463-81.

7 KAUFF N.D., MITRA N., ROBSON M.E.,HURLEY K.E., CHUAI S., GOLDFRANK D.,WADSWORTH E., LEE J., CIGLER T., BORGENP.I., NORTON L., BARAKAT R.R., OFFIT K.,Risk of ovarian cancer in BRCA1 and BR-CA2 mutation-negative hereditary breastcancer families, J Natl Cancer Inst. 2005 Sep21;97(18):1382-4.

8 HEGDE M., BLAZO M., CHONG B., PRIORT., RICHARDS C., Assay validation for identi-fication of hereditary nonpolyposis coloncancer-causing mutations in mismatch re-pair genes MLH1, MSH2, and MSH6, J MolDiagn. 2005 Oct;7(4):525-34.

9 STEFFAN J.S. et al., Proc Natl Acad SciUSA 2000; 97: 6763-8.

10 REBEC G.V., CONROY S.K., BARTONS.J., Hyperactive striatal neurons in sympto-matic Huntington R6/2 mice: variations withbehavioral state and repeated ascorbatetreatment, Neuroscience. 2005 Oct 26

11 BAE B.I., XU H., IGARASHI S., FUJIMUROM., AGRAWAL N., TAYA Y., HAYWARD S.D.,MORAN T.H., MONTELL C., ROSS C.A., SNY-DER S.H., SAWA A., p53 mediates cellulardysfunction and behavioral abnormalities inHuntington’s disease. Neuron. 2005 Jul7;47(1):29-41.

12 ROPACKI S.A., JESTE D.V., Epidemio-logy of and risk factors for psychosis ofAlzheimer’s disease: a review of 55 studiespublished from 1990 to 2003, Am J Psychia-try. 2005 Nov;162(11):2022-30.

41DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Page 41: Atti della XX Conferenza Internazionale

42 IL GENOMA UMANO

Il tema dell’assistenza medicaper i pazienti con malattia geneticae le loro famiglie è arduo perché siriferisce a una materia non ben co-dificata. Esistono linee guida suffi-cientemente chiare e condivise perquanto riguarda l’iter diagnostico diuna malattia genetica, compresa lasomministrazione di test genetici ealtre indagini strumentali, così co-me esistono linee guida per la con-sulenza genetica. Ma “assistenzamedica” è un termine più comples-so e più comprensivo, non facile dadeclinare in rapporto alle malattiegenetiche. I pazienti affetti da ma-lattia genetica non possono, se nonin rari casi, essere “curati”, ossiaguariti dalla loro affezione, ma ciònon toglie che ci si possa prenderecura di loro. Possiamo dire, usandoun’espressione inglese non facile datradurre in italiano: we cannot cure,but we can care for. Il prendersi cu-ra generalmente richiede l’azioneconcertata di molti e diversi specia-listi, sia del settore strettamente me-dico che di quello della riabilitazio-ne, le cui azioni debbono esserecoordinate da una figura di riferi-mento. Questa figura è spesso, an-che se non necessariamente, un ge-netista clinico, che si relaziona daun lato ai colleghi specialisti di vol-ta in volta chiamati in causa, dal-l’altro al paziente e/o alla famiglia.

C’è poi un’altra peculiarità dellemalattie genetiche, che complicaulteriormente il prendersene cura, ecioè che richiedono la presa in cari-co non solo dell’individuo affetto,ma dell’intera famiglia. Infatti lapresenza di una malattia genetica infamiglia viene percepita quasi co-me un marchio infamante, comeuna causa di discriminazione socia-le. A ciò si aggiungono il timore chela malattia sia destinata a perpetuar-si nelle future generazioni, e quindiun senso di colpa e di inadeguatez-za a procreare.

Questa problematica vasta ecomplessa non può essere affronta-ta da un singolo sanitario, ma ri-chiede una strategia di approcciointegrata e multidisciplinare chemetta veramente al centro dei pro-pri interventi gli interessi del mala-to e della sua famiglia. È difficiledare di tale strategia una rappresen-tazione astratta, anche perché, co-me ricordato all’inizio, non esisteun protocollo ufficiale che la codi-fichi secondo precisi canoni. Per-tanto mi sembra di poterla meglioillustrare attraverso alcuni esempiconcreti, presi dalla quotidianaesperienza.

Il primo esempio riguarda unafamiglia (Fig. 1) in cui si trasmetteuna malattia ereditaria nota comemalattia di Huntington, una condi-zione fortunatamente rara, ma bennota, e fra le più devastanti. Prendeil nome dal Dr. George Huntington,un medico di famiglia di LongIsland, che l’ha riconosciuta giànella seconda metà dell’Ottocentoe ne ha lasciato una descrizioneesemplare per chiarezza, accuratez-za e concisione. È nota anche comecorea di Huntington, a causa dei ca-

ratteristici movimenti coreici, mo-vimenti involontari che interessanosoprattutto le estremità, come fos-sero quelli di un danzatore. Si trattadunque di una affezione primaria-mente neuromuscolare, che puòmanifestarsi con vari gradi di gra-vità, dai semplici tic, almeno all’i-nizio, fino a un contorcimento con-tinuo di tutte le parti del corpo, chetrova tregua solo nel sonno. Spessosi associano anche sintomi di tipopsichiatrico nella forma di psicosi edi demenza (Tab. 1). Non è raro chequesti poveri soggetti pongano lorostessi fine alla propria vita con ilsuicidio. Non c’è cura efficace perquesta terribile malattia, che pre-senta esordio tardivo, generalmentenon prima dei 30 anni, e andamen-to progressivo.

GIOVANNI NERI

7. Assistenza medica per i pazienti e le loro famiglie

• Esordio tardivo dei sintomi• Movimenti involontari, speciedelle estremità• Deterioramento mentale• Progressiva atrofia dei nucleidella base del cervello

Fig. 1 - Albero genealogico di una famiglia con malattia di Huntington.Simboli quadrati: maschi; simboli tondi: femmine. I simboli pieni indicano individui clinicamente affetti dalla malattia. I numeri sopra i simboli sono identificativi di ogni singolo soggetto. I numeri sottostanti indicano l’età in anni.

Tab. 1 - Malattia di Huntington

1

65

52 50 46 39

25 23 19 14 12 9 6

2

1

1 2 3 4 5 6 7

2 3 4

I

II

III

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43DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Vediamo dunque di affrontarecon un certo ordine i problemi varie complessi che si presentano inquesta famiglia, cominciando dalnucleo compreso nel riquadro di si-nistra. Qui abbiamo un uomo affet-to di 52 anni (II,1), che ha ereditatola malattia dal padre, morto suicidaall’età di 65 anni (I,1), e che al mo-mento ha tre figli apparentementesani (III,1-3). Il primo problema èquello di prendersi cura di que-st’uomo, in cui i sintomi motoridella malattia sono ben evidenti,ma non ancora incapacitanti. Ilneurologo è il primo specialista aessere chiamato in causa, anche seha a disposizione ben poche armi.Alcuni farmaci mirati al controllodei movimenti involontari hannocomplessivamente scarsa efficacia.Altre sostanze intese a prevenire laformazione dei danni cerebrali ca-ratteristici della malattia, sono an-cora in fase sperimentale sui mo-delli animali. Importanti, ma pursempre limitate, le possibilità di in-tervento dello psichiatra o psicolo-go, per cercare di attenuare la ten-denza alla depressione, che di nor-ma accompagna la consapevolezzadella incurabilità della malattia.

La mancanza di una cura ci por-ta a puntare soprattutto sulla pre-venzione e quindi a considerare ilcaso dei figli dell’uomo affetto. Es-si sono ancora sani ma, dato l’esor-dio tardivo dei sintomi e la lorogiovane età, non sono esenti dal ri-schio di avere ereditato il gene checausa la malattia e quindi di poter-ne risultare affetti in età più avan-zata. Questi giovani hanno due in-terrogativi che pesano su di lorocome macigni: se effettivamentesvilupperanno la malattia e se sonoa rischio di trasmetterla ai propri fi-gli. Oggi il laboratorio di geneticaoffre un test semplice e sicuro perdare una risposta a questi interro-gativi, un test che rivela la presen-za del gene mutante anche primadella comparsa dei sintomi, quindiun test presintomatico (Fig. 2). Lasemplicità di esecuzione del testnon implica però che sia semplicela decisione di eseguirlo effettiva-mente. Tutt’altro. Un test positivoè come una condanna definitiva edè giustificato che la persona a ri-schio lo rifiuti, anche se la cono-scenza del proprio status geneticorisolverebbe il secondo interrogati-vo, ossia se esista o no il rischio di

trasmettere la malattia ai propri fi-gli. Per queste ragioni, è prassi distrutturare il processo decisionale(se eseguire o meno il test geneti-co) in una serie di tappe di rifles-sione percorse con l’aiuto dellopsicologo e che non obbligano mail’interessato a conoscere il risultatodel test, anche quando questo fossegià stato eseguito.

Problemi analoghi si riscontranoanche nel nucleo familiare circo-scritto dal riquadro di destra, dovepure la malattia non è presente. Ilpadre di 39 anni (II,4) potrebbe es-sere ancora in fase presintomatica.Fra l’altro, nel suo caso, la scelta dieseguire il test genetico e di cono-scerne il risultato avrebbe dei ri-flessi indiretti anche sui suoi figli,che implicitamente verrebbero ri-conosciuti come potenziali porta-tori della mutazione oppure no. Unmotivo in più per riflettere attenta-mente sull’opportunità di eseguireo meno il test. Quanto ai figli diquest’uomo (III,4-7), è escluso cheessi possano essere sottoposti al te-st, data la loro minore età.

In conclusione, siamo di fronte aun problema estremamente com-plesso che richiede l’intervento di

una équipe formata almeno daquattro specialisti, il biologo mole-colare che esegue il test genetico, ilneurologo, lo psicologo/psichiatrae il consulente genetista, ognunooperante secondo il proprio ruolo,ma la cui azione deve essere perfet-tamente coordinata, per evitare chegiungano al paziente, o potenzial-mente tale, messaggi discordanti econtraddittori. L’intervento nonpuò essere momentaneo. Deve, perrisultare veramente efficace, essereprolungato nel tempo. In altre pa-role, la famiglia deve essere presain carico nella sua globalità, e cia-scun membro di essa seguito se-condo le sue particolari esigenzeed interessi, che non necessaria-mente coincidono con quelli di al-tri membri della famiglia.

Un secondo esempio, utile ad il-lustrare altre problematiche con-nesse all’assistenza di famigliecon malattia genetica, è quello rap-presentato dalla sindrome del cro-mosoma X fragile, una condizioneereditaria che causa ritardo menta-le, in genere di grado moderato(Tab. 2). Il gene mutante responsa-bile, FMR1, è localizzato sul cro-mosoma X e quindi la malattia col-pisce prevalentemente i maschi, aiquali è trasmessa dalle madri por-tatrici sane. Consideriamo una fa-miglia (Fig. 3) in cui ci sono dueaffetti, zio (II,3) e nipote (III,1), euna madre portatrice sana (II,2).Le problematiche assistenziali esociali che questa famiglia deveaffrontare sono molte e complesse.In primo luogo il problema delladiagnosi. Il ritardo mentale, che èil segno più caratteristico della sin-drome, in genere non è chiaramen-te evidente prima dei 24-30 mesidi età. Anteriormente a questo pe-riodo di sviluppo, fare diagnosi disindrome X fragile è oggettiva-mente difficile, e purtroppo anchedopo, se non si ha una buona cono-scenza di questa sindrome. Troppofrequenti sono le storie di famiglieche per anni vagano da un centroall’altro, talvolta anche all’estero,in cerca di una diagnosi che nonviene fatta. Con grande dispendiodi energie fisiche e mentali, talvol-ta con grande aggravio economi-co, soprattutto con il rischio che,ignorandosi la natura genetica delproblema, vengano nel frattempogenerati inconsapevolmente altrifigli malati.

1 2 3 4 5 6 7

Fig. 2 - Esempio di test genetico-molecolare su campionidi DNA per malattia diHuntington. Le corsie 3, 4 e 7corrispondono a soggetti normali.Le corsie 1, 2, 5 e 6 corrispondonoa pazienti affetti dalla malattia.

Page 43: Atti della XX Conferenza Internazionale

44 IL GENOMA UMANO

Ancora una volta, il caso va af-frontato attraverso un approcciointegrato. Il medico che ha il pri-mo contatto con il bambino, siaesso pediatra o altro specialista,deve essere in grado di indirizzarela famiglia verso un centro dovevenga eseguito il test genetico checonferma il sospetto diagnostico,e successivamente di seguire libambino affetto, affidandolo divolta in volta a diversi operatorisanitari, dai medici specialisti aitecnici della riabilitazione, a se-conda delle esigenze, e poi natu-ralmente consegnandolo al siste-ma scolastico, comprensivo di in-segnanti di sostegno dedicati.Questo accompagnamento dellafamiglia è destinato a durare neglianni, in quanto problemi ed esi-genze mutano con il passare deltempo. Al problema dell’inseri-mento scolastico farà seguitoquello dell’inserimento nel mondodel lavoro, o in alternativa, l’otte-nimento di una pensione di invali-dità. Sono percorsi difficili, spessoimpacciati da complessità buro-cratiche, che non sempre le fami-glie riescono ad affrontare da sole.Senza contare altre emergenze,spesso di natura comportamentale,

che possono insorgere nelle perso-ne affette e che richiedono inter-venti mirati, talvolta anche di ordi-ne farmacologico.

E poi c’è la famiglia, tutti gli al-tri componenti, molti dei qualipossono trovarsi in una situazionedi rischio genetico. Cominciamodalla madre dell’affetto (II,2), por-tatrice di quella che in gergo tecni-co chiamiamo una premutazione.Ha un rischio significativo di ave-re altri figli affetti, rischio che ilconsulente genetista dovrà esatta-mente quantificare e chiaramentespiegare. Così come dovrà illu-strare l’opzione della diagnosiprenatale in caso di gravidanza. Ilche apre un altro scenario denso didubbi, di incertezze, di dilemmimorali, che per l’ennesima voltarichiedono che si intervenga a so-stegno della libertà di scelta da unlato, della sacralità della vita uma-na dall’altro. Come non bastasse,questa donna può avere anche unaltro problema da affrontare, quel-lo di una possibile menopausa pre-coce, relativamente frequente nel-le portatrici di una premutazione,e quindi dovrà essere indirizzataallo specialista competente in ma-teria. La sorella minore (II,5), nonavendo ancora avuto figli, in parti-colare figli affetti, non è obbliga-toriamente una portatrice sana, maè certamente a rischio di esserla.Come tale, ha il diritto a essere de-bitamente informata circa la possi-bilità di eseguire un test geneticoper accertare l’eventuale stato diportatrice. Anche il fratello sano(II,4) può essere portatore di unapremutazione del gene FMR1, ilche di per sé non comporta il ri-schio di avere figli affetti – casomai solo figlie portatrici sane –bensì quello di sviluppare, in etàpiù avanzata, una sindrome di tipoparkinsoniano, a volte anche condemenza.

L’illustrazione di questi due casiemblematici dimostra la comples-sità dei problemi, sia sanitari chesociali, che accompagnano le per-sone colpite da una malattia gene-tica e i loro familiari, e pone sultappeto l’esigenza di affrontarequesti problemi con interventi chesiano al tempo stesso specifici, ef-ficaci ed economicamente soppor-tabili. Il che è sicuramente più fa-cile a dirsi che a farsi. Il sistemasanitario nazionale e quello dei so-

stegni sociali sono un patrimoniodi grande valore per il nostro pae-se, ma sono la classica copertacorta, che finisce con l’essere tira-ta maggiormente verso i settoriche hanno più rappresentanza so-ciale. In campo sanitario bastipensare ai malati di cancro; inquello sociale agli anziani. Le ma-lattie genetiche sono fortunata-mente rare, ma questa fortuna sitramuta in sfortuna per chi ne è af-fetto, perché il suo problema tendea essere dimenticato o a passare insecond’ordine rispetto a problemipiù urgenti e prioritari.

Fortunatamente, un grosso aiutoviene dato dalle famiglie stesse,che si riuniscono in associazioni disupporto, con l’obiettivo di far co-noscere meglio le malattie geneti-che che le affliggono, prestarsi vi-cendevole assistenza, perorare lapropria causa presso le istituzioni,promuovere la ricerca.

Ciò non toglie che la questionedell’assistenza alle famiglie chehanno membri affetti da una ma-lattia genetica sia seria e non pos-sa essere ignorata. Siamo riuniti inquesta Conferenza Internazionaleper parlare di genoma umano par-tendo dalla definizione di salutecome tensione verso l’armonia,che proprio nel genoma umano hail suo fondamento. Se, nel corsodella storia naturale dell’umanità,o nel corso della vita di un singoloindividuo, si introducono nel ge-noma elementi di squilibrio checausano malattia e sofferenza im-pedendo o rallentando il raggiun-gimento dell’armonia, sarà nostrocompito e nostro preciso doverecorreggere questa anomalia con imezzi leciti che la scienza e la na-tura stessa ci mettono a disposizio-ne. Per il domani speriamo in tera-pie geniche efficaci. Il che non ciesime dal pensare all’oggi e dallaresponsabilità di realizzare altri in-terventi che, per quanto palliativi eprovvisori, sono tuttavia il meglioche per il presente possiamo edobbiamo dare ai nostri fratellimeno fortunati. È un compito cheincombe a ciascuno di noi indivi-dualmente e alla società nel suocomplesso.

Prof. GIOVANNI NERIDirettore dell’Istituto di genetica medica,

Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia.

• Ritardo mentale• Iperattività• Difetto di attenzione• Comportamento ansioso• Iper-reattività• Modeste anomalie fisiche

Tab. 2 - Sindrome X fragile

Fig. 3 - Albero genealogico diuna famiglia con sindrome Xfragile. I simboli pieni indicanodue maschi affetti. Il simboloparzialmente pieno indica unaportatrice sana.

1

1

1

2 3 4 5

2

I

II

III

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Giano, il mitico dio degli antichiromani, apparentemente aveval’abilità di guardare contempora-neamente in due direzioni oppo-ste. Le due capacità della preveg-genza e del giudizio retrospettivodiffonderebbero una luce miraco-losa sulla pratica ostetrica, sullaperinatologia e sulla genetica cli-nica in particolare. Dato che siamoprivi di un dono del genere, dob-biamo fare i conti con le nostre li-mitazioni intrinseche quando cer-chiamo di ottenere un giudizio benfondato.

Tra le varie definizioni di giudi-zio, biblico o no, ci sono le esorta-zioni e le invocazioni alla saggez-za, al discernimento, alla discre-zione, alla conoscenza, alla com-prensione e al buon senso. Parteintegrante della definizione logicadi giudizio è l’azione necessariadella mente, che capisce almeno larelazione tra due oggetti del pen-siero. Gli ingredienti chiave ne-cessari per ottenere un giudizioben fondato comprendono saggez-za, conoscenza ed esperienza.Mentre l’insieme della conoscen-za è una sfida che dura tutta la vi-ta, la necessità della saggezza nonè inevitabile. Sir William Oslercatturò l’essenza della differenza:

La conoscenza è l’orgoglio diaver imparato molto.

La saggezza è l’umiltà di nonconoscere abbastanza.

In definitiva, una sintesi di co-noscenza ed esperienza impregna-ta di sensibilità e di intuito nellacondizione umana può stimolarela necessità della saggezza. In unmodo o nell’altro, nel mondo incui viviamo, la pratica clinica del-la medicina, in questo caso la me-dicina materno-fetale e la geneticaclinica, richiede l’acquisizione co-

stante e l’applicazione di questequalità.

La supervisione dei laureati dipiù lunga data consente un rapidointreccio di queste qualità, il che èdi buon auspicio per il migliora-mento delle cure mediche.

Il giudizio

La pratica dell’ostetricia e dellaperinatologia sono connesse an-che con la salute genetica fetale,evocando un’ondata di requisitiper una valida decision-making.La costante focalizzazione nellapratica clinica si concentra sullaconoscenza reale e sull’esperienzaclinica.

Esiste un notevole abisso tra glielementi pratici necessari nella de-cision-making, specialmente difronte a situazioni di rischio, e gliantefatti conosciuti per formulareun giudizio valido. Generalmente,abbiamo fatto poco per educare inostri medici a questi antefatti ne-cessari. Abbiamo trascurato il fat-to di fornire loro una guida enun-ciata in modo chiaro su questi fat-tori che influenzano il giudizio di-screzionale e le decisioni da pren-dere. Può un medico ricordare l’i-struzione formale sugli elementifondamentali del giudizio clinico,o sulla genesi, e sul fatto di evitaregli errori? I medici che devonoprendere decisioni in circostanzedi emergenza che comprendono iltravaglio e il parto o la gestione dipossibili (o reali) anomalie fetali,devono essere stati educati sui fat-tori – che vanno oltre la conoscen-za e l’esperienza – che, potenzial-mente, possono influenzare il pen-siero e incidere in modo criticosulle decisioni.

Le percezioni del rischio varia-no da individuo a individuo. Una

percentuale del 10% di rischio cheabbia luogo un evento avverso, èaltamente inquietante per alcuni,mentre viene vista come un pro-blema insignificante da altri. Nonè infrequente che un medico e ilsuo paziente abbiano una visionetotalmente differente dei rischi daaffrontare.

Anche il tipo di personalità puòavere un’influenza importante sul-la percezione di rischio e sullaprobabilità. Sappiamo che ci sonoindividui che accettano il rischiopiù di altri, ed effettivamente cisono geni che sembrano mostrare

come certi individui siano alla ri-cerca di novità (o persone che ac-cettano il rischio in modo elevato).Questi stessi individui possono ar-rivare a conclusioni di certezza incontrasto con i loro colleghi piùprudenti, che possono rimanereincerti. È probabile che questostesso tipo di persone che accetta-no il rischio mostrino un’eccessi-va sicurezza, quando invece unacerta insicurezza potrebbe esserepiù appropriata. Gli individui(compresi alcuni medici) che pre-sentano questi tratti di personalitàhanno meno probabilità di ricono-

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8. Il giudizio, l’errore e la negligenza negli aspetti genetici della medicina materno-fetale

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scere rapidamente un pericolo cre-scente (o il rischio per il paziente oper il feto) e hanno meno probabi-lità di richiedere un aiuto o un con-sulto. Le valutazioni di rischio so-no fallibili e il grado di fallibilitàpuò essere notevole. Purtroppo,c’è chi può avere una scarsa valu-tazione del rischio, e per di più congrande presunzione il che, in parti-colare, avviene per coloro chehanno dei limiti nel riconoscere leproprie capacità.

Inoltre, gli errori di giudiziopossono essere una conseguenzadel non riflettere abbastanza. Ilfatto di non inquadrare la questio-ne in modo preciso, o di ricono-scere il rischio specifico in modoopportuno può essere spesso allabase della catastrofe che ne conse-gue. Esaminate il seguente rac-conto:

“La signora L., di 22 anni, haavuto emorragie intermittenti du-rante la gravidanza. Al momentodel parto in ospedale ebbe un’im-provvisa emorragia vaginale è di-ventò ipotesa e anemica. Il moni-toraggio fetale elettronico regi-strava un battito cardiaco fetale di50-60 battiti al minuto.

Venne praticata l’anestesia epi-durale (sconsigliabile in caso diemergenza) e venne praticato il ta-glio cesareo. Alla nascita, HL nonaveva nessun battito cardiaco enon respirava, era blu e senza vi-gore, aveva acidosi metabolica,anemia, un numero di piastrinebasso (che necessitava di trasfu-sione di piastrine) e un conteggiomolto alto di cellule nucleate disangue. Vennero messe in atto mi-sure di rianimazione d’emergenzaentro un minuto dalla nascita.L’indebolimento del rene (anuria)divenne evidente e l’esame eco-grafico palesò una necrosi cortica-le e tubolare acuta, e a HL vennepraticata la dialisi peritoneale.Inoltre, HL soffriva di edema pol-monare ed emorragia, e sviluppòun’insufficienza respiratoria. Lostato alla nascita di HL era pato-gnomonico di una grave e prolun-gata ipossia, iniziata perlomenodurante il travaglio e il parto.

Contratiamente alle aspettative,i reni non si ripresero, la dialisi pe-ritoneale continuò e fu chiaro cheper sopravvivere il bambinoavrebbe avuto bisogno di un tra-pianto. All’età di dieci mesi, gli

studi per immagini effettuati sulsuo addome, rivelarono un tumoreesteso (neuroblastoma) dellaghiandola surrenale adiacente unrene. Sia il tumore che il rene adia-cente vennero asportati chirurgi-camente. Il restante rene deboleera causa di pressione alta. Alla fi-ne si pose rimedio sottoponendo ilbambino a trapianto di rene prele-vato dal padre che glielo aveva do-nato.

Secondo i genitori, i reni delbambino erano stati danneggiatidall’ipossia durante il travaglio eil parto, contrariamente alla posi-zione della difesa che affermavache, dato il suo sviluppo intellet-tuale perfettamente normale el’assenza di complicazioni neuro-logiche, la mancanza di ossigenonon sarebbe stata la causa.

Con il senno di poi, oggi sappia-mo che il neuroblastoma è un tu-more embrionale che doveva esse-re presente già alla nascita, nasco-sto dalla produzione eccessiva diadrenalina dovuta alla stimolazio-ne dell’ipossia e ulteriormente sti-molata dalla somministrazione difarmaci affini all’adrenalina usatiper rianimare HL. Tutti questiagenti devono aver danneggiatogravemente il rifornimento di san-gue ai reni e aver procurato undanno irreversibile”.

Nell’affrontare le complessitàdel corpo umano, possono accade-re malfunzionamenti inaspettati ecruciali. Una tendenza a sopravva-lutare la probabilità di eventi con-giuntivi e a sottovalutare la proba-bilità di eventi disgiuntivi favoriràinvariabilmente un inconveniente.C’è una tendenza generale a sotto-valutare le probabilità di insucces-si in sistemi complessi. Ancorapeggio è il fatto che alcune perso-ne (compresi i medici) si ritengo-no personalmente immuni da certirischi, credendo che a loro “nonsuccederà”. Nella persone c’è an-che una tendenza naturale a vede-re ciò che si aspetta di vedere,piuttosto che quanto è apertamen-te palese. È questo un problemaintrinseco e una causa importantedi errore medico. Molti altri fatto-ri, che non abbiamo esaminato inquesta sede, comprendono l’in-fluenza dello stato d’animo, dellastanchezza, di una personalità de-pressiva od ottimista, così comedell’emotività, tra le altre cose,

sulla capacità di prendere delle de-cisioni. Ciò che è chiaro, tuttavia,è il bisogno di educare i nostri stu-denti di medicina e i tirocinanti suifattori antecedenti altrimenti nonriconosciuti, che involontariamen-te influenzano la loro capacità diprendere decisioni che, in definiti-va, si dimostrerebbero dannoseper i pazienti.

Decisioni dei pazienti

Anche i pazienti, di fronte a gra-vi decisioni che riguardano la sa-lute, possono giungere a conclu-sioni inaspettate. Genetisti clinicicon una certa esperienza hanno vi-sto delle coppie che, malgradofossero ad alto rischio, avevanoavuto, ad esempio, tre bambinicon la fibrosi cistica o con la sin-drome dell’X fragile. I genetisticlinici nel mondo occidentale ade-riscono a un consenso di consu-lenza genetica non coercitiva, nondirettiva. In questo modo, non cisono “decisioni sbagliate”, inquanto l’autonomia del paziente eil medico mettono in evidenzaprincipi etici chiave e universali.Ciò nonostante, per quanto riguar-da la fedeltà all’autonomia del pa-ziente, c’è un chiaro riconosci-mento dei fattori che influenzanole decisioni prese dai pazienti difronte a un serio rischio.

Tra questi fattori chiave, ci sonoil livello di istruzione e di cono-scenza, il credo religioso, i trattidella personalità (persone che siassumono i rischi e quelle che so-no poco disposte ad affrontarli), ilmodo di intendere le probabilità,la percezione di un inaspettato far-dello provocato dalla malattia/daldifetto, il grado di ansia, e l’espe-rienza di un precedente bambinomalato.

Visti i tanti fattori che influenza-no le decisioni da parte dei futuripazienti con riferimento a malattiegenetiche gravi o fatali, una strettaaderenza a un tipo di consulenzagenetica non paternalistica e senzapregiudizi, rimane uno standardnel mondo occidentale.

Errore e negligenza

L’American Institute of Medici-ne, nella sua pubblicazione To erris human: Building a safer health

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system (Errare è umano: creareun sistema sanitario più sicuro)riportava che circa 98.000 personemuoiono ogni anno negli StatiUniti a causa di errori medici. Unarisposta, oltre all’incredulità, eraquella di biasimare ogni negligen-za attribuibile a un banale erroreumano, operando in un sistema in-trinsecamente rischioso. Il puntoche un sistema operativo fosseideato dall’uomo sembra esserestato trattato in modo insufficien-te. L’opinione di James Reason è

che, dato che gli errori sono am-piamente involontari, è difficilecontrollare ciò che le persone nonintendono fare. Questo argomentotralascia di riconoscere l’impor-tanza di una pianificazione in anti-cipo e una chiara conoscenza delleopportunità che esistono per evita-re gli errori, che sono sì involonta-ri, ma non inevitabilmente sor-prendenti. Si sarebbero potuti pre-vedere, evitare o prevenire in que-sto modo molti errori.

Negli Stati Uniti, nel campo del-la medicina materno-fetale, c’èuna sovrabbondanza di cause le-gali per negligenza medica, e ne-gli altri Paesi queste cause sono inaumento. In questo ambito ha ef-fetto un vasto insieme di fattori,che non sarà trattato in questa sedein modo esauriente. I fattori inizia-li che portano a una causa legalesono il forte desiderio del pazientedi colpevolizzare qualcuno per

l’evento avverso, incolpare, puni-re, cercare un risarcimento o con-sigliare gli altri di proteggersi.Spesso, il paziente o la famigliamostrano rabbia nei confronti de-gli eventi che hanno portato al ri-sultato avverso. Inoltre la scarsitàdi comunicazioni e la mancanza dirapporto con i medici gettano ben-zina sul fuoco. Talvolta la perce-zione degli eventi che ha il pazien-te non è realistica, ma spesso c’èscarsa comunicazione, in specialmodo sulla conoscenza dei rischi,

riguardo il dubbio e l’incertezza.Nel contesto della genetica clinicain medicina materno-fetale, il me-dico favorisce l’intervento legalequando c’è una mancanza nel for-mulare una diagnosi che ha comerisultato la morte o la disabilità,quando c’è mancanza di comuni-cazione o negligenza nell’eseguireil trattamento o la gestione che cisi aspettava. Quella che segue èuna breve disamina di alcune diqueste mancanze.

Non formulazione di una diagnosi

La non formulazione di una dia-gnosi precisa non significa, in sé,negligenza. Se, tuttavia, ne derivaun danno per l’individuo, la fami-glia o la prole, si può giungere auna conclusione di negligenza. Lanegligenza però non può necessa-riamente essere deducibile da unrisultato sfavorevole. Inoltre, i

medici non detengono lo standarddella perfezione. Piuttosto, la leg-ge comune nella maggior parte deiPaesi occidentali considera i me-dici all’altezza delle cure che ci siaspetta di ricevere. Ciò riflettequanto un medico comune e pru-dente farebbe ragionevolmente incircostanze simili. Andando oltrelo standard del medico ragionevo-le, prudente e comune, ci si aspet-ta che i medici includano dei ten-tativi che sono molto importanti eche non possono essere ignorati. Ilfamoso caso di T. J. Hooper, del1932 negli Stati Uniti, è stato ilpalcoscenico per un’accettazionenecessaria e uniforme di ovvi ten-tativi che recano giovamento. Inquel caso, un operaio che lavoravasui rimorchiatori non usò la radioricevente che era a sua disposizio-ne e che avrebbe avvertito del-l’imminente arrivo della tempestaprima che ci fossero delle perdite.Il famoso giudice Learned Handopinò che “ci sono precauzioni co-sì imperative che neanche la lorotrascuratezza universale può giu-stificarne la negligenza”. Di con-seguenza, le decisioni della cortehanno conservato l’opinione che imedici hanno “il dovere di essereall’altezza”. Altri precedenti sonoemersi da una decisione del 1996della Corte Suprema del Wiscon-sin che affermò: “Un medico ra-gionevolmente competente è coluiche si mantiene all’altezza dei pro-gressi in campo medico” e la Cor-te, di conseguenza, ha informatola giuria di tale obbligo.

Un esempio di diagnosi erratasfociato in un processo legale èquello di una famiglia che ha avu-to tre figli con la sindrome dell’Xfragile. La mancanza di diagnosidi questa malattia per i primi seianni del primo figlio non ha per-messo ai genitori di evitare di ave-re altri figli affetti da questa stessasindrome che porta ritardo menta-le. La dottrina legale che portaavanti l’opinione del reclamante èdetta “Perdita di opportunità” che,in sostanza, priva individui e fami-glie delle opportunità di evitare oprevenire una malattia grave, unhandicap o la morte. Su questascia, ma con ulteriori connessioni,ha avuto luogo la causa che segue.

La figlia di un uomo che avevasviluppato poliposi adenomatosafamiliare (cancro del colon) ha ci-

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tato in giudizio il medico di fami-glia per non averla informata diavere il 50% di rischio di svilup-pare la stessa forma genetica dicancro del colon e di come fossenecessario tenersi sotto controllo.Di fatto, anche la donna fu colpitadallo stesso tipo di cancro.

Questo caso ha dato inizio all’e-stensione della responsabilità nelcontesto della diagnosi genetica. Imedici sono visti come coloro chehanno responsabilità e compitisupplementari, almeno per quantoriguarda l’avvertimento dei paren-ti più stretti del paziente sui rischiche possono metterne in pericolola vita. Potrebbe nascere un’esten-sione di questi doveri se continue-ranno i sensazionali progressi nelcampo della genetica umana. Leresponsabilità possono trasmetter-si ai genetisti e ad altri medici chedovranno ricontattare i pazientiper i quali hanno sviluppato nuovitest diagnostici e prenatali.

Gli sviluppi tecnologici, com-presi quelli usati nella gestionedella gravidanza, hanno fornitoenormi benefici a molti pazienti.Tuttavia, continuano a esserci im-portanti insuccessi nell’esecuzio-ne procedurale e nel campo delleanalisi per immagini.

Durante una gravidanza nor-male, un esame ecografico di li-vello II effettuato a circa 16 setti-mane ha avuto un esito normale.Alla nascita, il bambino non avevale braccia o le gambe.

Alla Chiesa, ma anche ai geneti-sti, spesso in queste circostanzeviene chiesto da tanti fedeli prati-canti: “Dov’era Dio?”.

Counselling genetico e mancanza di informazioni

Un’adeguata informazione ri-guardo alle malattie genetiche, irischi, i test e il trattamento, ri-chiede una comprensione sofisti-cata della condizione umana cheva oltre una profonda conoscenzadella genetica clinica. Gli specia-listi in diversi campi della medici-na forniscono involontariamenteuna consulenza di tipo geneticosolo per accorgersi, in un secondotempo (spesso di fronte alla pro-pria mortificazione e allo sgomen-to del paziente), che molti proble-mi cui avrebbero dovuto dedicar-si, o erano sfuggiti totalmente alla

loro attenzione, o alla loro cono-scenza. Almeno negli Stati Uniti,il counseling genetico è fornitopiù di tutti dall’American Boardof Medical Genetics, certificatoda genetisti clinici e da counselordi genetica. Gli esempi di insuc-cessi abbondano.

Un ginecologo ha fatto nascereun bambino cui era stata diagno-sticata la malattia del rene polici-stico. Ha comunicato alla madre

che avrebbero avuto una probabi-lità su 1 milione che ciò sarebbeaccaduto ancora se avesse avutoun altro bambino. Nel frattempo ilprimo figlio morì. La donna in se-guito ebbe un altro figlio: anchequesto era malato e morì. Perquesta malattia autosomica reces-siva, la percentuale di rischio èdel 25%!

Sono accaduti vari casi un cui ilmedico non ha prestato attenzioneall’etnicità della famiglia. Tale ne-gligenza ha avuto come risultato ilfatto di non effettuare test carrierproposti per malattie specifiche diun gruppo etnico, compresa la sin-drome di Dresbach, la malattia diTay-Sachs (ebrei Ashkenaziti) e lab-talassemia (italiani e altre popo-lazioni mediterranee). Il fatto dinon scoprire che entrambi i geni-tori sono portatori (con il 25% dirischio di avere figli malati) haavuto come risultato la nascita dibambini con una di queste malat-tie specifiche.

La mancanza di comunicazionepuò anche verificarsi tra i medici.

Una donna non vedente si erapresentata per una visita ostetricadi routine. I suoi occhi erano statiasportati chirurgicamente quandoera bambina. Era stata adottata

nella prima infanzia e non avevanessuna idea del perché di questaasportazione. Il suo medico cu-rante non le chiese quali fosserostate le cause della sua cecità, e diconseguenza la donna diede allaluce un bambino cui venne dia-gnosticato, all’età di nove mesi,un retinoblastoma bilaterale (can-cro genetico dell’occhio).

C’era infatti il 50% di probabi-lità che questa donna avrebbeavuto un figlio colpito da retino-blastoma. Anche gli occhi di quelbambino furono asportati chirur-gicamente.

Quando i medici sono ostacolatidall’esposizione del paziente e inmancanza di diagnosi, bisogna te-nere conto o riferire (a parte lasensibilità di indagare sulle causedella cecità della donna), soprat-tutto perché sono state catalogaticirca 9.000 malattie genetiche. Ilproblema non è l’omissione nelformulare una diagnosi di malattiagenetica rara. Piuttosto, lo è il fat-to di non essersi consultato o dinon aver accennato alla cosa.

Date le moderne complicazioninella pratica della medicina, non èinsolito per un paziente essere cu-rato da almeno due medici. Sem-brerebbe ovvio che tali medici sia-no in contatto l’uno con l’altroquando hanno in cura lo stesso pa-ziente.

Una paziente con l’epilessia sipresentò per una visita ostretica diroutine. La medicina anti-convul-sione che prendeva era l’acidovalproico. Questo medicinale ènoto perché provoca embriopatiavalproica e le era stato prescrittodal suo neurologo. Il suo gineco-logo, senza mettersi in contattocon il neurologo della donna, pen-sò che fossero stati apportati deicambiamenti nel trattamento far-macologico della donna. Non ci fumai nessuna comunicazione tra idue medici, e la donna partorì unbambino con una grave spina bifi-da, idrocefalia e con ritardo men-tale dovuto a questa medicina.

Insuccessi gestionali

Non è raro che i più piccoli det-tagli, che richiedono attenzione,vengano tralasciati, con conse-guenze catastrofiche. Mentre glierrori nel “sistema” spesso sonoconsiderati colposi, gli insuccessi

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medici sono dovuti a una combi-nazione di dipendenza dagli altri,dalla fatica, dal subire ripetuti at-tacchi, dalla molteplicità dei com-piti, dall’ignoranza, dall’arrogan-za, e dalla mancanza di attenzione.

Una donna fu sottoposta ad am-niocentesi per studi genetici pre-natali perché aveva il 25% di pro-babilità di avere un figlio con la fi-brosi cistica. Il modulo di richie-sta, compilato dal tecnico degli ul-trasuoni, non richiese il test delDNA specifico per la fibrosi cisti-ca che, di conseguenza, non venneeffettuato. Il bambino nacque conuna grave fibrosi cistica. Un casocome questo riflette la mancanzadi un’organizzazione specifica e diaver ordinato un test per miopatia

miotubolare legata al cromosomaX, in seguito all’amniocentesi perstudi prenatali; a causa di ciò ilbambino nacque con questa ma-lattia letale.

L’incertezza pervade virtual-mente ogni aspetto della vita, econtro di essa dobbiamo combat-tere. La percezione della realtà edel rischio da parte del pazientepuò riflettere aspettative non reali-stiche senza conoscere il calcolostandard delle probabilità, o le leg-gi sulla teoria delle probabilità. Ildubbio e l’incertezza possono la-sciare il loro marchio indelebilesulla nostra vita quotidiana, maconosciamo le opportunità per in-terpretare saggiamente i fatti e percondividere le informazioni. Cer-

tamente una pianificazione antici-pata e l’essere previdenti potreb-bero far diminuire in modo consi-derevole la frequenza di errori nonintenzionali, aumentando perciò lasicurezza dei pazienti. I progressinel campo della genetica umanapresentano un nuovo approccio albenessere per il genere umano.Dobbiamo fare in modo che que-ste opportunità avvengano in mo-do etico e con il necessario buon-senso.

Prof. AUBREY MILUNSKY, Professore di genetica umana,

pediatria, patologia, ginecologia e ostetricia

Direttore del Centro per la genetica umana,

Università di Medicina di Boston

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Introduzione

Un test genetico è definito comeun’analisi di laboratorio destinataa individuare anomalie che causa-no o che probabilmente causeran-no una malattia specifica. L’analisipuò avere come scopo quello discoprire anomalie del DNA, del-l’RNA, a livello cromosomico obiochimico.

Ci sono molti tipi di test geneti-ci. Essi includono i test clinici dia-gnostici o confermativi nei quali ladiagnosi di una sindrome geneticaviene fatta basandosi su segni esintomi clinici e il test viene consi-gliato per confermare la diagnosi.Per i test genetici pre-sintomatici,laddove vi sia generalmente unastoria familiare conosciuta di unamalattia genetica a insorgenza tar-diva come la malattia di Hunting-ton, il test è richiesto per determi-nare se un individuo asintomaticosia a rischio di sviluppare la malat-tia. I test genetici pre-sintomaticipossono essere applicati anche aitest genetici del cancro, laddoveun aumentato rischio di cancro fa-miliare può essere associato con lapresenza di una mutazione geneti-ca BRCA1 o BRCA 2. In generale,test genetici pre-sintomatici nonvengono eseguiti sui minori, a me-no che un intervento di trattamentoo un protocollo di screening ven-gano istituiti in età precoce negliindividui in cui si è scoperto chepossono essere a rischio. La far-macogenomica, o un test geneticoper pronosticare la risposta a unaterapia specifica. è uno strumentoemergente per ottimizzare e indivi-duare il trattamento medico di unapersona. Il test del portatore deter-mina se un individuo ha ereditatouna copia della mutazione geneti-ca, e può essere richiesto sulla ba-se della storia familiare di una ma-lattia genetica conosciuta o sulla

propensione etnica a certe malattiegenetiche, come la malattia TaySachs nella popolazione degliebrei Ashkenaziti, l’anemia fal-ciforme negli individui di discen-denza africana o la beta-talassemiain quelli mediterranei. Il test delportatore generalmente viene ese-guito per determinare il rischio ri-produttivo della coppia di avere unbambino con una malattia specifi-ca. Il test genetico prenatale vienerichiesto quando ci si rende contoche il feto in una gravidanza ha unrischio di malattia genetica mag-giore di quello della popolazionegenerale. La diagnosi geneticapreimpianto viene realizzata a se-guito della fecondazione in vitroper diagnosticare una malattia ge-netica in un embrione prima del-l’impianto. Lo screening del neo-nato viene previsto di solito a livel-lo statale per individuare malattiegenetiche specifiche per le qualil’individuazione precoce e la mes-sa in atto di un trattamento sonobasilari per il buon esito. Gli esem-pi comprendono disturbi del meta-bolismo quali la fenilchetonuria ela galactosemia.

I progressi in tutti gli aspetti del-la genetica hanno portato a un ra-pido aumento del numero dellemalattie genetiche per le quali èpossibile effettuare il test, così co-me è aumentato il numero dei la-boratori che possono eseguire que-sti test, che possono essere basatisul DNA, sul fenotipo o sui cro-mosomi.

La regolamentazione dei test ge-netici avviene a molti livelli. Pri-mo, le agenzie del governo posso-no imporre quali test genetici pos-sono essere effettuati. L’americanaFDA controlla la diffusione di kitcommercialmente disponibili pereffettuare test genetici. Anche lecompagnie assicurative fornisconoi mezzi per rivedere i test genetici

indicati a livello clinico. Le societàche operano in campo professiona-le studiano lo sviluppo dei nuovitest e mettono a disposizione unaguida agli operatori sui modi piùadatti per offrire i test. Le preferen-ze del paziente per i test geneticisono altresì importanti in quantotutti i pazienti devono comprende-re i rischi e i benefici del test primadi intraprendere il procedimento. Ilconsenso informato è abitualmenterichiesto per i test genetici.

Perché è importante per i pa-zienti avere una diagnosi definiti-va, ottenuta attraverso un test ge-netico? L’informazione forma labase per l’ereditarietà, il rischio ri-corrente e la prognosi. Per moltipazienti, ci vogliono molti anni evari test prima di arrivare a formu-lare una diagnosi. Quando si arrivaa una diagnosi specifica, perciò, sialleviano l’incertezza e il rischio disottoporsi a molte sedute di testdiagnostici, sia invasivi che noninvasivi. E alla fine, una diagnosispecifica – in contrasto con unadiagnosi non specifica – può con-tribuire a ottenere servizi sanitari escolastici. Ad esempio, la confer-ma della diagnosi di sindrome diPrader-Willi può aiutare le fami-glie a ricevere i servizi necessaricome l’intervento in campo scola-stico, e una consulenza sulla dietae sul tipo di nutrizione da seguire.

Diversi metodi molecolari pos-sono scoprire le mutazioni, chevanno da un cambiamento di unasingola base in una sequenza delgene, a riarrangiamenti megabasi-ci (Mb) del DNA genomico. Il li-vello della determinazione geno-mica con metodi molecolari e del-la citogenetica classica rappresen-tano i due estremi della gamma.Più recentemente, i metodi ibridicitogenetici molecolari hanno for-nito modelli straordinari per col-mare il vuoto. Questa presentazio-

CHRISTINE M. ENG

9. Lo sviluppo dei test diagnostici per le malattie genetiche

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ne fornisce una visione d’insiemedegli attuali metodi analitici basatisul DNA che sono in evoluzione eapplicabili a tutti i tipi di test gene-tici, con particolare enfasi sull’i-bridazione genomica comparativausando particolari sistemi (array-CGH) per scoprire aumenti o per-dite squilibrate di regioni genomi-che che provocano malattie gene-tiche riconosciute clinicamente.

Visione d’insieme degli attualimetodi di test sul DNA

Le mutazioni puntiformi cono-sciute possono essere individuateusando vari metodi di genotipizza-zione basati sull’amplificazionePCR seguita dalla risoluzione de-gli alleli normali e mutati. Le mu-tazioni del gene che non sono co-nosciute a priori possono esserescoperte con metodi di scansionedella mutazione come l’analisi he-teroduplex. Il gold standard peridentificare le mutazioni puntifor-mi è la sequenziazione del DNA.Ampi riarrangiamenti del DNApossono essere scoperti con laclassica analisi Southern e con PF-GE (pulse-field gel electrophore-sis). I metodi PCR- dipendenti so-no altresì disponibili per l’analisidel dosaggio del gene.

La convergenza della diagnosimolecolare e citogenetica

Le alterazioni genomiche posso-no essere risolte a diversi livelliusando i metodi molecolare, cito-genetico e molecolare-citogeneti-co. Da una parte, la sequenziazio-ne del DNA risolve mutazioni disingole basi in regioni di circa1000 basi per lettura. Dall’altra, lacariotipizzazione a bande G scoprei riarrangiamenti cromosomici allivello di ~4 megabasi. I riarran-giamenti intermedi si possono sco-prire con l’ ibridazione della fluo-rescenza in situ (FISH) con sondedi DNA che vanno da ~40 a 250 kb[4]. Tuttavia, la FISH ha una capa-cità limitata di passare al vagliograndi regioni genomiche simulta-neamente.

L’analisi multipla è stata forte-mente agevolata dall’ibridazionegenomica comparativa (CGH) sucromosomi metafasici, inizialmen-te usata per scoprire squilibri cro-

mosomici nel cancro [10]. In se-guito, l’analisi CGH venne appli-cata a cloni di DNA ordinati su ve-trini piuttosto che a strisci dellametafase (array-CGH).

Il DNA genomico del paziente eil normale sono marcati con diver-si colori fluorescenti e co-ibridiz-zati su microarray del DNA, e irapporti di fluorescenza del coloreindicano un relativo aumento operdita dei cloni specifici [11, 12].

L’array-CGH che usa micro-ar-rays contenenti dei cloni genomiciad ampio inserimento come BAC,PAC, e cloni cosmidici sono adattiper la scoperta di alterazioni di una

singola coppia. Il resto del mate-riale di questa presentazione trattadel micro-array BAC, al quale fac-ciamo riferimento anche comeanalisi micro-array cromosomica(CMA).

Sono stati sviluppati metodi distampa su micro-arrays dove ilDNA attivato è impresso su unasuperficie di vetro naturale perprodurre arrays con piccole quan-tità uniformi per una quantifica-zione precisa [35], mentre altrimetodi fissano il DNA a vetrinitrattati chimicamente. Il CMA èstato clinicamente convalidatopresso la nostra istituzione comemetodo di alto esito per rilevare icambiamenti avvenuti in regionicromosomiche associate con oltre70 malattie specifiche e 41 regioni

subtelomeriche [38]. Il frammen-to di CMA clinico è progettato perfornire un’alta sensibilità ad indi-viduare malattie ben definite, men-tre allo stesso tempo riduce al mi-nimo la scoperta di variazioni diimportanza clinica incerta. L’arrayrivela inoltre alcune alterazioniche non erano state rivelate in pre-cedenza dal cariotipo convenzio-nale.

Un esempio di analisi CMA inun bambino con un ritardo globalenello sviluppo e nel linguaggio econ lineamenti dismorfici ha por-tato alla scoperta di una delezioneal cromosoma 1p36.

La maggioranza dei casi cliniciè stata esaminata usando un arrayaggiornato (versione 5) contenente860 cloni che rilevano regioni ge-nomiche per oltre 70 malattie ge-netiche conosciute e 41 regionisubtelomeriche.

Fino a oggi nel nostro laborato-rio sono stati analizzati 1205 casi.

Sono state individuate alterazio-ni geniche in 83 su 1205 probandi(6,8%) senza rapporti di parentela,con menomazioni mentali, disfor-mismo ed altre anomalie, la mag-gior parte delle quali erano statesottoposte a prove di laboratoriogenetiche prima del test CMA. I ri-sultati complessivi derivanti da ol-tre 1200 studi CMA presso la no-stra istituzione (probandi e mem-bri familiari supplementari) sonocontinuamente immagazzinati inuna base-dati interattiva, che costi-tuisce una preziosa risorsa basatasull’attuale esperienza clinica dilaboratorio.

La complessità dei polimorfismidel numero di doppiette genomiche

La variazione genetica è stataben documentata nel genoma uma-no.Variazioni su larga scala (LCV)o i polimorfismi di doppiette(CNP) che vanno da 100 kb a 2Mb sono stati definiti usando me-todi molecolari. E’ possibile chequeste varianti possano rappresen-tare la punta dell’iceberg nella va-riazione genetica umana [44].Quando analizziamo il genoma nelsuo insieme, dobbiamo essere at-tenti nell’interpretare i cambia-menti, che possono essere muta-zioni benigne o veramente correla-te alla malattia.

Nella citogenetica clinica, è sta-

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to ampiamente accettato che lascoperta di un’anomalia cromoso-mica stabilisce la causa di un feno-tipo clinico. Questa convinzionenegli anni è stata rafforzata dall’as-sociazione ripetuta di una data sco-perta citogenetica con un fenotipodiverso. Tuttavia, l’analisi micro-array con maggiore risoluzioneporta alla luce scoperte atipiche lacui interpretazione clinica è com-plicata da varianti polimorfichedel numero di coppie. È pertantocritico distinguere tra fattori cau-santi la malattia e le variazioni ge-nomiche benigne ottenute conCMA, nello stesso modo in cui lemutazioni sono distinte da poli-morfismi nelle analisi cliniche disequenza del DNA. Una verificasu una base-dati disponibile di va-riazioni del numero di copie geno-miche precedentemente documen-tate ed esami successivi sui cam-pioni dei genitori, possono esseredegli approcci molto utili per inter-pretare l’importanza clinica dinuovi dati identificati con il CMA.

Applicazione dell’Array CGH alle prove cliniche di laboratorio

L’uso clinico dell’array CGHpotrebbe rappresentare un passag-gio rivoluzionario da un test dia-gnostico molecolare di malattiemonogeniche allo screening mole-colare per malattie genomiche po-ligeniche.

Counseling È necessario un programma di

consulenza genetica globale, perfornire ai pazienti un’istruzionepre e post-test e un supporto im-portante a questo nuovo program-ma di esami. Come parte del pro-cedimento del consenso informa-to, il paziente dev’essere consape-vole di certe attenzioni che com-prendono: a) il test CMA è proget-tato per identificare anomalie sbi-lanciate del numero delle coppiegenomiche, ma non riarrangia-menti bilanciati o mutazioni pun-tiformi nei geni malati; b) le per-centuali di scoperta variano per lemalattie individuate con CMA, da-to che i riarrangiamenti genomiciinfluiscono in percentuali variabilidi mutazioni totali per ogni genepatogeno; c) il CMA ha il poten-ziale di scoprire anomalie nuove enon definite di importanza clinicasconosciuta, che potrebbe portare

all’incertezza riguardo al legamecausativo tra la variante esaminatae la malattia clinica.

Le tecnologie per i test genetici,come la FISH e la tecnologia di se-quenziazione del DNA, sono stateabbracciate dai laboratori diagno-stici e da chi fornisce cure sanitariealla fine del XX secolo, e la CMAattualmente ha ottenuto l’approva-zione in ambiente pediatrico per larapida individuazione dello squili-brio genomico. Questa tecnologiaha il potenziale di offrire un più al-

to livello di screening genomico ri-spetto al cariotipo standard. Lamolteplice natura del CMA è para-gonabile a migliaia di test FISHper locus singolo, il che lo rendealtamente efficiente ed utile. For-nisce un migliore livello di rileva-zione per lo squilibrio cromosomi-co. Come nell’introduzione di ogninuova tecnologia, dobbiamo esse-re consapevoli dei potenziali ri-schi, informarne i pazienti e cerca-re di ridurre questi rischi potenzia-li al minimo.

L’attuale disponibilità di questounico programma di test di labora-torio offre agli esperti una primaopportunità di integrare un model-lo efficace per lo screening del ge-noma nella loro pratica medica.Saranno identificate nuove sindro-mi, e le correlazioni fenotipo-ge-

notipo con precise regioni cromo-somiche miglioreranno in modosignificativo. Arrays specifici sa-ranno usati per la diagnosi e la pro-gnosi di vari tipi di cancro, e per-metteranno di monitorare un trat-tamento efficace. Un approcciospecifico può essere più adeguatoin studi di routine, mentre un ap-proccio di “screening” può essereappropriato per sfide diagnostichein campo pediatrico. Le sfide mag-giori del futuro comprendono glisforzi per educare gli operatori sa-nitari ed i pazienti riguardo ai ri-schi e benefici che derivano dal-l’uso di questa tecnologia rivolu-zionaria, e la preparazione di unnumero adeguato di genetisti me-dici e di consulenti genetisti, affin-ché possano aiutare a interpretare irisultati per una cura ottimale deipazienti.

Dr. CHRISTINE M. ENGBaylor College of Medicine

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Page 53: Atti della XX Conferenza Internazionale

54 IL GENOMA UMANO

1. Panoramica

Viviamo in un tempo in cui lamedicina, e particolarmente la me-dicina genomica, si sta muovendoda un intervento motivato da unacrisi profonda e intensa a una me-dicina che predice. Con lo scree-ning di intere popolazioni o di spe-cifici sottogruppi, allo scopo diuna informazione genetica, sta di-ventando possibile porre comeobiettivi interventi su pazienti in-dividuali che possono prevenirel’insorgere o il progresso della ma-lattia e, generalmente, migliorarela propria salute. Lo screening del-la popolazione è già comunementeusato per identificare le personecon certi disturbi mendeliani pri-ma dell’apparire dei sintomi e per-ciò prevenire le malattie – uno de-gli esempi è l’esame per la fenil-chetonuria nei neonati. Si stannoanche controllando popolazioniselezionate sullo stato sociale deglieventuali genitori come aiuto nellariduzione della frequenza di alcu-ne malattie nelle future generazio-ni. Ma l’incremento dell’informa-zione genetica è usata per determi-nare la sensibilità individuale ai di-sturbi comuni come le malattie dicuore, diabete e cancro.

Tale screening è usato per iden-tificare le persone a rischio, cosic-ché gli sforzi per la prevenzioneprimaria (per esempio la dieta el’esercizio) o gli sforzi per la pre-venzione secondaria come la pre-coce scoperta o l’intervento farma-cologico possono essere iniziati.L’informazione raggiunta dall’at-tuale pratica dell’esame può con-durre al miglioramento e alla mo-difica delle attuali raccomandazio-ni dello screening e – si spera – auna sostanziale riduzione del cari-co sociale per la cura della salute,includendo i suoi costi sociali fi-nanziari ed emozionali.

2. Attuali realizzazioni dello screening genetico della popolazione

Lo screening genetico coinvolgetre elementi: 1. identificazione del-le persone che sono probabilmentead alto rischio per uno specificodisturbo; 2. raggiungere le popola-zioni che non hanno cercato in pre-cedenza una visita medica per laloro condizione; 3. seguire e inter-venire per portare giovamento allepersone esaminate. L’applicazionepiù universale dello screening ge-netico della popolazione è l’esem-pio dello screening dei neonati. Inmolte nazioni del mondo, ma piùampiamente negli Stati Uniti, Ca-nada e in molti Paesi europei, tuttii bambini neonati sono esaminatiper uno spettro di rare malattie de-bilitanti, ma curabili.

Tra questi Paesi, tuttavia, e per-fino entro questi Paesi – negli Sta-ti Uniti ogni stato ha la propria po-litica di verifica – il particolaregruppo di malattie esaminate va-ria. Esistono vari metodi di verifi-ca e la disponibilità di tecnologievaria tra le nazioni, cosicché perfi-no quando c’è un accordo su qualisiano le condizioni in cui dovrebbeattuarsi l’esame, non è garantitoche lo stesso tipo di esame sarà ap-plicato.

Lo screening della popolazioneadulta è stato molto limitato. Unesempio della sua applicazione èl’esame della malattia di Tay-Sa-chs, un fatale disturbo genetico beibambini che causa una progressivadistruzione del sistema nervosocentrale. In questo caso sarebbetroppo tardi esaminare il bambino,perché non si conosce alcuna cura.Tuttavia, poiché la malattia è re-cessiva, i futuri genitori possonoessere esaminati per vedere se so-no portatori del gene mutante Hex-A. Se entrambi i futuri genitori so-

no portatori, la loro prole avrebbeuna possibilità su quattro di con-trarre la malattia. Questa malattia ètroppo rara nella popolazione ingenerale per giustificare l’esame ditutti i possibili genitori, ma ci sonosottopopolazioni in cui la frequen-za è molto alta, i più noti sono i di-scendenti degli ebrei dell’Europadell’Est. In queste popolazioni , loscreening per la Tay-Sachs è di-ventato uno standard. Altri esempidello screening per adulti sono sta-ti più ambigui. Quando le mutazio-ni di fibrosi cistica furono identifi-cate, all’inizio furono fatti dei pia-ni per iniziare lo screening perquesta malattia che ispessisce ilmuco corporeo e può bloccare ipolmoni e danneggiare il fegato,ma da allora più di 900 diversemutazioni sono state identificate ela precedente promessa delloscreening che aiuti a prevenire e atrattare questo disturbo non sem-bra più attuabile. Questo è unesempio in cui un esame negativonon sarebbe molto decisivo – unnumero sconosciuto di mutazioniaggiuntive si presume esistano erimangono non identificate. Ema-tocromi ereditari, dove sono cono-sciute tre mutazioni per piùdell’80% dei casi di questa malat-tia che sovraccarica il sangue conil ferro, fu poi la speranza prossi-ma per lo screening. Anche se esi-ste una semplice cura per questamalattia – la donazione regolare disangue – il fatto che la gente con lamalattia sperimenta un vasta gam-ma di gravità dei sintomi, con lamaggior parte che ha delle formemolto leggere che non richiedonocure, ha portato all’accertamentoche lo screening non dovrebbe es-sere applicato a tutta la popolazio-ne, ma solo nei casi di individui adalto rischio come, per esempio, nelcaso si sappia di un fratello o unasorella che hanno già contratto la

JOHANNES BAPTIST M. GIJSEN

10. Screening genetico della popolazione

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55DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

malattia. Un esempio finale, è ilcaso dello screening per il fattoreV Leiden. Una percentuale dalquattro al sette percento della po-polazione originaria del Nord Eu-ropa è portatrice di almeno unesempio del gene mutato. I porta-tori è più probabile che sviluppinocoaguli di sangue, una condizioneseria e un importante considera-zione quando si valutano i rischidell’intervento.

Sfortunatamente, l’attuale curaper la malattia del fattore V Leidenè prendere anti-coagulanti, maquesto trattameno in sé stesso hadegli alti rischi, in particolare unrischio del 3% all’anno di emorra-gia – in cui una su cinque, general-mente è fatale. Poiché non è facilevalutare i rischi della malattia con-tro i rischi dell’attuale trattamentonon è stato raccomandato lo scree-ning per questa malattia.

3. L’etica per lo screening genetico della popolazione

La maggior parte delle malattiepresentate fin qui sono risultate re-lativamente rare nella popolazio-ne. Ma che cosa si può dire per lecomplesse malattie più comuni,malattie che implicano probabil-mente geni multipli e interazionigeni-ambienti? Un grande numerodi studi genetici recenti ha iniziatoa identificare varianti in geni chesono associati con modesti rischidi aumentare i casi di malattie co-muni, come il diabete mellito noninsulino-dipendente, la malattia diCrohn e molte forme di cancro. Inquesti casi le varianti non sono ra-re – test screening identifichereb-bero molti portatori. Il meccani-smo per il quale le mutazioni cau-sano le malattie, tuttavia, è pococompreso e le cure adattate ai por-tatori delle mutazioni sono quasiinesistenti. È spesso ignoto dovegli stimoli ambientali sono neces-sari in aggiunta a quelli genetici, odove le mutazioni a due o più genihanno bisogno di lavorare insieme.Ciò che è noto è che molte personecon queste mutazioni non speri-menteranno la malattia e moltepersone senza queste mutazioni siammaleranno. Per ora esistonomolte società che saranno liete divendere test screening genetici for-nendoli al pubblico con scarsi con-

sigli o assistenza per il loro uso e laloro interpretazione, procurandotest che possono essere eseguiti dasé a casa con risultati riportati viaInternet, come se questi fossero fa-cili da interpretare per un profano.Tali società, che sfruttano le pauredi molte persone di contrarre unadi queste malattie, sono spesso in-degni se non riprovevoli. Altreconclusioni etiche si pongono ilproblema su chi possa essere esa-minato – può per esempio, il bam-bino nel grembo materno essereesaminato? Oppure si può chiede-re agli individui ad alto rischio, perle malattie che minacciano la po-polazione, di essere esaminati, co-stringendo le prostitute, gli omo-sessuali, e i drogati ad essere sotto-posti a screening per l’infezionedell’HIV? Che cosa si può diredelle informazioni secondarie cherisulterebbero dall’esame?

Qui, si consideri una personache si è preparata per i possibili ri-sultati della malattia A, ma a cuinon è stato detto che potrebbe an-che trattarsi della malattia B? Do-vrebbe essere informata che ha lamalattia B anche se non ha volutosottoporsi a un test per la B? Chia-ramente i criteri sia scientifici cheetici sono essenziali per lo scree-ning genetico della popolazione esarà anche necessaria una supervi-sione o regolazione.

Un primo gruppo di principiche prova a stabilire alcune di que-ste questioni fu stilato nel 1968 daJ.N.G. Wilson e G. Jungner. Questiprincipi accentuarono l’importan-za di una tale condizione per la sa-lute pubblica, la disponibilità di unefficace screening, di cure per pre-venire la malattia e le considera-zioni dei costi. Gli impressionanti

progressi degli studi genetici e l’e-sperienza dello screening sulla po-polazione negli ultimi trent’anni,tuttavia hanno bisogno di unariformulazione e di una revisionedei loro principi. Un recente grup-po di eminenti scienziati ed eticiha fatto le seguenti proposte:

3.1 Riguardo all’accertamento della sanità pubblica

– La malattia o la condizioneche sarà esaminata dovrebbe esse-re un importante onere sanitariopubblico che abbia come obiettivola popolazione in termini di malat-tie, invalidità e morte.

– La prevalenza dell’aspetto ge-netico nell’obiettivo della popola-zione e nell’onere della malattiaattribuibile a esso dovrebbe esserenota.

– La storia naturale della condi-zione, dalla sensibilità alla malat-tia latente, alla malattia manifesta,dovrebbe essere adeguatamentecompresa.

3.2 Riguardo l’evoluzione degli esami e gli interventi

– Dovrebbero essere disponibilidei dati sui valori di previsione po-sitivi o negativi riguardo alla ma-lattia o alla condizione nell’obietti-vo della popolazione.

– La sicurezza e l’efficacia degliesami e gli interventi che li accom-pagnano dovrebbero essere bendeterminati.

3.3 Riguardo allo sviluppo della linea di condotta e all’attuazione dello screening

– I consensi concernenti l’ade-guatezza dello screening e gli in-terventi per persone con risultatidegli esami negativi e positivi do-vrebbero essere basati su una evi-denza scientifica.

– Lo screening dovrebbe essereaccettato per la popolazione stabi-lita.

– Dovrebbero essere disponibilidei servizi per la sorveglianza,prevenzione, cura, educazione,consultazione e per un sostegnosociale.

– Lo screening dovrebbe essereun continuo processo, inclusi iprogrammi piloti, valutazione del-la qualità di laboratorio, e dei ser-

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vizi sanitari, valutazione dell’ef-fetto dello screening, e provvedi-menti per cambiamenti sulle basidi una nuova evidenza.

– Il costo dell’efficienza delloscreening dovrebbe essere stabilito.

– Screening e interventi dovreb-bero essere accessibili per la popo-lazione stabilita.

– Ci dovrebbero essere delle tu-tele legislative per assicurare chesia ottenuto il consenso informatoe la privacy di coloro che sono esa-minati sia rispettata, che non ci siaalcuna coercizione o manipolazio-ne e che coloro che sono esamina-ti siano protetti da ogni stigmatiz-zazione e discriminazione.

4. L’esempio dell’Islanda

Le società nel mondo che sonocoinvolte in serie ricerche sullagenetica nella popolazione stannoriscontrando le stesse o similaricontroversie scientifiche. L’esem-pio islandese è quello delle geneti-che deCODE. Nel 1996, KáriStefánson, un medico molto benpreparato, nato in Islanda, avendoinsegnato per alcuni anni nella fa-coltà di neurologia all’Universitàdi Chicago e all’Università di Har-vard, fondò le genetiche deCODEper seguire le cause genetiche del-la malattie umane. Benché la so-cietà sia incorporata allo Stato diDelaware, il suo quartier generalee i maggiori servizi di ricerca sonoa Reykjavik, Islanda. Ci furonoparecchie ragioni per scegliere l’I-slanda come ambiente per questaricerca: 1. l’Islanda ha avuto unapopolazione relativamente omo-genea per la maggior parte deisuoi ultimi 1000 anni. Fu moltoisolata fino alla metà del XX seco-lo, e anche attualmente solo il 3%degli abitanti non è islandese e so-lo il 5% dei cittadini non è nativo.2. È disponibile, grazie aoi docu-menti storicim la quasi totalità del-la genealogia islandese, a partiredalla fondazione della nazione nelX secolo. 3. In generale, gli islan-desi sono molto istruiti e capaci diprendere decisioni informate con-cernenti la partecipazione a lavoriscientifici. 4. Il Paese, da sempreamministrato da governi socialistiin passato, ha un solo sistema sa-nitario con una copertura univer-sale. Questo probabilmente non

crea delle discriminazioni basatesulle possibilità generiche. Natu-ralmente le relazioni del Dr.Stefánsson con altri medici islan-desi e con i funzionari governativifurono assolutamente essenzialiall’inizio. Oggi approssimativa-mente 100.000 islandesi hannovolontariamente partecipato allaricerca delle genetiche deCODE,fornendo campioni di sangue peril DNA e permettendo alla societàdi conoscere e utilizzare le infor-mazioni sulla loro salute, general-mente ristrette a una o a un gruppodi malattie particolari. Questo ele-vatissimo livello di cooperazioneda parte di metà della popolazioneadulta dell’Islanda è un testamen-to per la loro fiducia nella ricerca,una fiducia che è sostenuta dal-l’impegno dimostrato della so-cietà nel pubblicare i risultati dellasua ricerca. La privacy dei parteci-panti è stata anche assicurata da uningegnoso sistema cifrato che haoperato tra la società e il comitatoetico nazionale del Paese. Il de-CODE è una società prima fonda-ta da un gruppo di investitori capi-tali, ma dal 1998 di pubblica pro-prietà della Nasdaq stock exchan-ge. Essendo di proprietà pubblicaha l’obbligo di riferire trimestral-mente la sua condizione finanzia-ria – questo accresce la fiduciapubblica. In aggiunta al capitaleaumentato, da quando è divenutapubblica, la società incrementa ilcapitale per la sua ricerca, appli-cando concessioni governative estabilendo accordi contrattuali conaltre società farmaceutiche e bio-tecnologiche. Ultimamente, il de-CODE spera di poter identificaremutazioni genetiche o pleomorfi-smi che sono associati a un au-mentato rischio della malattia.Queste varianti possono servirecome basi per gli esami screeninggenetici, e dal momento che imeccanismi della malattia sonototalmente compresi, per lo svi-luppo delle medicine per la cura.La vendita di tali prodotti per la ri-cerca procurerebbe il desideratoritorno degli investimenti degliazionisti.

Tra le malattie su cui si sta at-tuando la ricerca ve ne sono alcu-ne tradizionali come il diabetemellito non insulino-dipendente,l’ictus, l’osteoartrite, l’artrite reu-matoide, il cancro della prostata, il

cancro della pelle, il cancro del se-no, la schizofrenia, la malattia bi-polare, la malattia del Parkinson,la malattia di Alzheimer e l’iper-tensione. Ma la ricerca include an-che condizioni come la longevità,l’alcolismo e la dipendenza da ni-cotina. La società attualmente ècoinvolta in una sperimentazioneclinica per un composto inteso aridurre il rischio di infarto miocar-dico e inizierà una sperimentazio-ne clinica sui medicamenti per cu-rare l’asma e la malattia occlusivaarteriale periferica. Ci sono duecollaborazioni di nota: una con laMerck per studiare le cause evi-denti dell’obesità e un’altra conHoffmann La Roche per sviluppa-re gli esami screening diagnosticiper alcune malattie inclusa l’o-steoporosi. Fino a ora i geneticideCODE usando dati geneticihanno identificato 15 geni e obiet-tivi per i farmaci in 12 malattie co-muni. Regioni di geni sono stateidentificate in 16 altre malattie e illavoro sta procedendo per identifi-care altri geni particolari. I deCO-DE genetici non sono implicati inalcuna ricerca di cellule staminalio di sperimenti di clonazione uma-na. Attualmente non aspira a svi-luppare alcuna terapia geneticaumana. La società ha un impegnoscientifico e anche etico scientifi-co, ma non esplicitamente un eticacristiana. Nessun’altra società ge-netica fino a oggi ha avuto succes-so nella sua ricerca. Forse questoesempio di trasparenza nelle infor-mazioni scientifiche, trasparenzanelle informazioni finanziarie,protezione della privacy persona-le, e una positiva interazione tra lasocietà e il governo e gli organi-smi per le cure sanitarie è un mo-dello per la ricerca genetica nell’e-ra attuale.

5. Conclusioni

Questo numero di identificatevarianti genetiche, associate con ipiù alti rischi per la malattia si staaccrescendo rapidamente. Inoltre,si può fare lo screening di questevarianti molto facilmente e a bas-so costo – al punto che può esserepossbile perfino lo screening diuna intera popolazione per moltemalattie. Questo ha il potenzialeper produrre enormi riduzioni per

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i costi sanitari in tutto il mondo egrandi benefici alla salute perso-nale di ogni individuo. Perciò, nondovrebbe esserci una prioritariadiffidenza verso tali ricerche e tec-nologie. Tuttavia rimangono con-creti ostacoli. È necessario moltolavoro, per esempio, per compren-dere come ogni variante conducealle malattie, e quali trattamentisarebbero i più appropriati comevettori di ogni variante. Questopermetterebbe un più rigoroso ac-certamento dei costi e dei beneficidi un test screeening. La popola-zione inoltre ha bisogno di essereeducata nell’uso e nelle limitazio-ni degli esami genetici in generale,e riguardo a screening particolariche essi possono tenere in contocosicché ogni persona possa pren-dere una decisione informata.

È necessario approvare dei re-golamenti che governino la produ-zione e la vendita di tali esami, estabilire norme e tutele controogni antietico uso di tali screeninge dei loro risultati. Questo è im-portante specialmente per preve-nire la discriminazione sul luogodi lavoro o nelle assicurazioni sa-nitarie. Queste questioni legali escientifiche sono anche chiara-mente questioni etiche. Ogni per-sona ha bisogno di essere trattatacon dignità. Le motivazioni per losviluppo di tali esami necessitanodi poggiare meno su compensi fi-nanziari, o avidità e più sull’amo-re e sul desiderio per il migliora-mento dell’altro. Qui, la Chiesacome “Maestra di vita” di tutti i fi-gli di Dio ha la sua responsabilità e

una buona opportunità per infor-mare e modellare politiche di svi-luppo nell’area dello screening ge-netico della popolazione.

S.E. Mons. JOHANNES BAPTISTM. GIJSEN, D.D.

Vescovo di Reykjavik,Islanda

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58 IL GENOMA UMANO

Introduzione

La terapia genica è una procedu-ra terapeutica relativamente nuovasviluppatasi negli ultimi vent’annie ancora sottoposta a intensa ricer-ca sperimentale. Essa può esseredefinita il processo attraverso ilquale una copia di un gene normal-mente funzionante viene trasferitanelle cellule di un individuo alloscopo di correggere una malattiacausata da un difetto del gene inquestione [1,2]. La terapia genicapromette di offrire uno strumentopreciso per curare, in maniera per-manente, una delle oltre 4000 ma-lattie attualmente conosciute cau-sate da un errore in un solo gene.Esse includono, ma non sono cer-tamente limitate, l’emofilia, malat-tie dovute a un deficit dell’enzimalisosomale come quelle di Gau-cher e Hurler, disturbi dell’emo-globina quali la talassemia e l’ane-mia falciforme, malattie del siste-ma immunitario quali il deficit del-l’adenosina deaminasi (ADA), e lafibrosi cistica. Si prevede ancheche la terapia genica permetterà,un giorno, di trattare un gran nu-mero di malattie ereditate o acqui-site quali il cancro, l’AIDS, e mol-te altre per le quali, attualmente,non esiste cura. A differenza delleesistenti opzioni terapeutiche, qua-li la sostituzione di proteina, cherichiedono una terapia per tutta lavita per prevenire la ricomparsadei sintomi, la terapia genica pro-mette di curare la malattia in ma-niera permanente inserendo unacopia sana del materiale genetica-mente difettoso nelle cellule delpaziente, cura che idealmente per-durerà per tutta la vita con un sin-golo trattamento.

Poiché scienziati e medici desi-derano che un singolo trattamento

con la terapia genetica forniscauna cura definitiva, buona partedella ricerca in materia di terapiagenica è stata focalizzata sul cerca-re di trasferire il materiale geneticocorrettivo nelle cellule staminalidel paziente. Queste cellule rap-presentano un “veicolo” ideale perl’introduzione del gene, in quantohanno la capacità di auto-rinnovar-si, o di dividersi in due copie iden-tiche. Tale loro caratteristica fa sìche il pool di cellule staminali al-l’interno di una persona non siesaurisca durante la sua vita, e, dalpunto di vista della terapia genica,garantisce al paziente una fornituraper tutta la vita di cellule genetica-mente corrette. Un altro aspettochiave delle cellule staminali chele rende ideali per la terapia genicaè la loro capacità di differenziarsiper dare vita a un ampissimo nu-mero di vari tipi differenti di cellu-le mature. Se si pensa al sistemaematopoietico, il vasto potenzialedi cellule staminali come un veico-lo di introduzione del gene diventapresto evidente l’avvicendamentodi cellule nel sistema ematopoieti-co in un uomo che pesa 70 kg è vi-cino a un trilione di cellule al gior-no [3]. Questo notevole processodi rinnovamento cellulare è soste-nuto da una piccola popolazione dicellule estremamente rare che sitrovano, normalmente, nel midollospinale di adulti, note come cellulestaminali ematopoietiche, o HSC.Esse sono capaci di un auto-rinno-vamento così esteso che perfinopoche di loro possono ricostituirel’intero sistema ematopoietico diun paziente dopo un trapianto sen-za esaurimento. Questa proprietàdella cellula staminale può per-mettere a un unico trattamento diterapia genica riuscito di corregge-re per sempre un difetto genetico.

Inoltre, si ritiene in genere che, al-lo stadio stazionario, solo alcuneHSC in attivo ciclaggio fornisconotutte le cellule ematopoietiche inun determinato momento. La ca-pacità di fornire tutte queste cellu-le rivela una seconda importantecaratteristica delle HSC, o cellulestaminali in generale; esse sonomultipotenti, capaci cioè di diffe-renziarsi per produrre tutti i nume-rosi tipi di cellule ematiche maturein circolazione. Queste capacità diauto-rinnovarsi e di dare origine apiù linee si combinano per permet-tere ad una singola cellula stami-nale di produrre centinaia di cellu-le progenitrici, che, a loro volta,danno vita a migliaia di celluleematopoietiche differenziate. Per-tanto, anche poche cellule stami-nali geneticamente modificate po-trebbero esercitare un effetto tera-peutico pronunciato in molte ma-lattie genetiche [4-6].

Limiti della terapia genica post-natale

Purtroppo, attualmente, l’appli-cazione riuscita della terapia geni-ca alla maggioranza delle malattiecandidate è stata ostacolata da di-versi fattori, molti dei quali colle-gati alla scelta di HSC come cellu-le target. Il primo di questi fattori èche le HSC sono normalmente inuno stato quiescente, che le renderesistenti alla modificazione gene-tica con vettori basati su retrovirusche vengono correntemente usatiin molti tentativi di terapia genicasperimentale e clinica [7]. Comerisultato, i livelli di correzioni ge-niche osservate sono molto bassi.Un altro problema che ha disturba-to la terapia genica post-natale è larisposta immunitaria tanto del vet-

CHRISTOPHER D. PORADA, GRAÇA ALMEIDA-PORADA, PAUL PARK,FERHAT OZTURK, JOE TELLEZ, ESMAIL D. ZANJANI

11. Stem cell: cellule staminali Terapia genica in utero

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tore di introduzione del gene quan-to della proteina prodotta. È impor-tante notare che molti pazienti sof-frono di malattie genetiche trattatecon la terapia genica perché nonhanno mai prodotto una singolaproteina specifica. Ne risulta che illoro sistema immunitario non haimai “visto” questa proteina, e, se-guendo la terapia genica, le celluledel sistema immunitario cercano dieliminare ogni cellula nel corpoche esprime proprio quella protei-na che potrebbe curare la malattiadel paziente. I bassi livelli di distri-buzione dei geni alle cellule stami-nali e la risposta immunitaria sicombinano a produrre livelli moltobassi di espressione della proteinaterapeutica; inoltre le piccole quan-tità prodotte lo sono spesso soloper un breve periodo. Un altroaspetto importante della terapia ge-nica post-natale che potrebbe limi-tarne la capacità di fornire una curadefinitiva è il fatto che molte ma-lattie che potrebbero essere trattatecon la terapia genica produconouna quantità significativa di danniirreversibili al paziente prima dellanascita, durante lo sviluppo em-brionale e fetale. Ad esempio, undanno neurologico irreversibile èassociato a malattie metabolicheereditarie quali la malattia di Gau-cher, Lesch-Nyhan e Tay Sachs. Inquesti pazienti, la terapia genicapost-natale, pur se potenzialmentein grado di correggere il disturbometabolico, avrebbe solo un bene-ficio terapeutico limitato, in quantonon potrebbe annullare il dannoprodotto dal gene difettoso durantelo sviluppo. Ciò è chiaramente incontrasto con quanto avviene perbambini nati con il deficit dell’A-DA o molte altre disfunzioni gene-tiche, che sono essenzialmentenormali alla nascita, e potrebberopertanto essere curati dalla terapiapost-natale. Tuttavia, anche nellemalattie che possono essere curatedopo la nascita, esistono beneficiscientifici, psicologici e finanziariche inducono ad attuare una corre-zione genetica in utero, in quanto iltrattamento in utero permetterebbela nascita di un bambino sano.

Terapia genica in utero

Diverse caratteristiche del fetoin via di sviluppo ne fanno un tar-

get ideale per la terapia genica inutero. Durante lo sviluppo, quasitutti i tessuti del feto sono sottopo-sti a una enorme espansione, e lecellule staminali presenti nei varitessuti fetali sono incluse in questaesplosione proliferativa [8,9]. Per-tanto, è possibile che le cellule sta-minali fetali siano più atte a untransfer genico con retrovirus ri-

spetto a un paziente adulto. Un al-tro aspetto di sviluppo fetale cherende la gestazione precoce il tem-po ideale per l’applicazione dellaterapia genica è la grande espan-sione che avviene all’interno deisistemi organici del feto durante lagestazione. Se anche numeri limi-tati di cellule staminali possono es-sere corretti precocemente durantela gestazione, queste cellule do-vrebbero auto-rinnovarsi e diffe-renziarsi per produrre migliaia dicellule staminali sorelle e una pro-genie matura con gene corretto,permettendo così perfino che untrasferimento di geni inefficientenelle cellule staminali fetali forni-sca un beneficio terapeutico so-stanziale. Un terzo aspetto chiavedel feto in stato gestazionale è ilsuo silenzio immunologico, chepermette l’accettazione di cellule evettori senza bisogno di immuno-soppressori se il trasferimento puòessere effettuato prima del proces-so timico di maturazione dei linfo-citi. Inoltre, l’esposizione ad anti-geni estranei sulle cellule/proteinedurante questo periodo può spessorisultare in una tolleranza immuni-taria sostenuta, che può diventarepermanente se la presenza dell’an-tigene è mantenuta [10,11]. Il pos-sibile sviluppo di tolleranza al vet-tore e al prodotto del gene può,teoricamente, permettere il tratta-mento post-natale del paziente, se

richiesto, senza il rischio di rigettodelle cellule e delle proteine tera-peutiche.

Il modello della pecora

Sapendo che la terapia genica inutero fornirebbe questi vantaggisugli approcci post-natali esistenti,abbiamo trascorso gli ultimi 15 an-ni esplorando la possibilità di ef-fettuare questa terapia usando, co-me modello, il feto della pecora.Le pecore rappresentano un mo-dello ideale per un approccio spe-rimentale al problema della fattibi-lità dell’esecuzione in utero dellaterapia genica delle cellule emo-poietiche. Oltre ad avere una gran-dezza notevole (da permettere unamanipolazione precoce durante lagestazione), il feto della pecoracondivide molte e importanti ca-ratteristiche fisiologiche e di svi-luppo con il feto umano. Ad esem-pio, il tipo di passaggio dall’emo-globina fetale a quella adulta, e icambiamenti naturali che avven-gono nelle sedi primarie dell’ema-topoiesi (dal sacco vitellinico al fe-gato/milza e al midollo osseo) so-no simili in entrambi. In più, losviluppo del sistema immunitariodella pecora è stato studiato in det-taglio, rendendo la pecora un mo-dello ideale per lo studio degliaspetti immunologici della terapiagenica [12]. Non sorprende che ilfeto della pecora sia stato usato co-me modello nello studio della fi-siologia fetale dei mammiferi, e irisultati ottenuti sono stati diretta-mente applicabili alla comprensio-ne della crescita e dello sviluppofetale in altri mammiferi, compre-so l’uomo.

L’approccio cellulare

Il nostro primo tentativo di tera-pia genica in utero nella pecora[13,14] utilizzava un metodo basa-to sul trapianto di cellule stamina-li, raccolte dal sangue periferico difeti di 110 giorni, esposte per unanotte a un vettore retrovirale a cuiera stato legato il gene di resisten-za alla neomicina (Neo®), poi lava-te e reinfuse nel feto. I neonati fu-rono analizzati per la presenza edespressione delle sequenze del vet-tore mediante tecniche molecolari

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e di colture cellulari. Durante que-sti studi, avvenuti nel corso di 5anni, nel midollo osseo e nel san-gue di molti di questi animali erastata consistentemente trovata lasequenza del Neo®, dimostrandoche il trasferimento del gene nellecellule staminali progenitrici ema-topoietiche con la capacità di per-sistere per lunghi periodi in vivo,aveva avuto successo.

Questi studi hanno dimostratoche un approccio in utero alla tera-pia genica, almeno nella pecora,potrebbe risultare nel trasferimen-to e nell’espressione a lungo termi-ne di geni vettorizzati con una piùalta efficienza di quella riportatacon altri modelli animali. Tutta-via, questa tecnica possedeva di-versi difetti potenziali. Il primo erala quantità di manipolazione fetalerichiesta per ottenere e reinfonderecellule ematiche dopo la modifica-zione in vitro dei geni. Tale mani-polazione ha portato a tre proble-mi: un maggiore grado di esperien-za tecnica richiesto per attuare laprocedura, il rischio per il feto re-lativamente alto, e il trasferimentodel gene poteva esser effettuato so-lo su feti più adulti. Tutto ciò limi-ta l’utilità di questa tecnica a uncerto grado in quanto, a quel puntodello sviluppo, un errore congenitodel metabolismo avrebbe già eser-citato molto dei suoi effetti delete-ri su un feto in via di sviluppo.

L’approccio dell’iniezione diretta

Per ovviare a queste mancanze,abbiamo sviluppato una nuova tec-nica in cui il vettore del gene datraferire è stato iniettato diretta-mente nella cavità peritoneale delfeto in sviluppo. I risultati hannodimostrato finora che questo ap-proccio è tecnicamente molto piùsemplice del metodo precedente,in quanto comporta un’unica inie-zione nel peritoneo del feto, elimi-nando così essenzialmente ogni ri-schio al feto. Inoltre, l’iniezionepuò essere fatta sotto guida ultra-sonica, ovviando al bisogno diun’operazione sulla madre per ac-cedere al feto, e aumentando con-siderevolmente l’applicabilità cli-nica dell’approccio. In più, ci hapermesso di attuare il trasferimen-to del gene a soli 55 giorni, circa

metà dell’età fetale dell’approcciocellulare, migliorando le possibi-lità di ottenere un beneficio clinicoin malattie con inizio precoce, epermettendo l’induzione di tolle-ranza immunitaria al gene vetto-rizzato. Inoltre, ponendo il vettoredirettamente nel feto dovrebbeesporre concepibilmente tutte levarie cellule staminali presenti nelfeto al vettore, invece di quelle so-le cellule ematiche che potrebberoessere rimosse in maniera sicura,incrementando potenzialmente illivello di trasferimento del gene al-

le cellule target desiderate. Infattiabbiamo osservato che i livelli ditrasferimento del gene alle celluleematopoietiche sono parecchievolte più alti con questa iniezionediretta che con il precedente meto-do, raggiungendo spesso livelli del2-3% di cellule portatrici del genein circolazione. Poi, variando l’etàdel ricevente al momento del tra-sferimento del gene, possiamoconsiderevolmente accrescere i li-velli di cellule ematopoietiche chehanno incorporato il gene terapeu-tico [18], ottenendo spesso livellidi trasferimento del 5-6% nel san-gue periferico se il trasferimentodel gene viene effettuato a soli 57giorni di gestazione, un livelloquesto che potrebbe esercitare uneffetto benefico almeno in alcunemalattie genetiche. Il fatto che lecellule portatrici del nuovo geneabbiano perdurato in queste pecorenel corso dei 5 anni di studio e chequeste cellule abbiano inscritto ilsistema ematopoietico di riceventisecondari in seguito a ritrapianto,mostra come questo approccio cipermette di inserire con successodei geni nelle cellule staminali delsistema ematopoietico, suggeren-do che questo metodo può fornire

una correzione genetica per tutta lavita.

Quando abbiamo esaminato altritessuti del ricevente, abbiamo,senza sorpresa, trovato che il tra-sferimento del gene non era limita-to alle cellule del sistema emato-poietico, ma era avvenuto essen-zialmente in tutti gli organi esami-nati, compresi numerosi tipi di cel-lule nel fegato e nel polmone[15,16,19]. Mentre questa scoper-ta ha sollevato l’eccitante possibi-lità che questo metodo possa po-tenzialmente essere usato per iltrattamento di numerosi disfunzio-ni genetiche che colpiscono tessutidiversi dal sistema ematopoietico,esso ha anche sottolineato la ne-cessità di esaminare con attenzio-ne la sicurezza di questo approccioalla terapia genica, in quanto l’e-spressione del materiale geneticotrasferito in tutti i tessuti può nonessere sempre desiderabile, e in al-cuni casi, infatti potrebbe esseredeleterio. Sulla base delle nostreosservazioni nel sistema emato-poietico, abbiamo prima esamina-to se lo stadio di sviluppo del rice-vente possa influire su quali tessu-ti siano stati modificati dopo la te-rapia genica in utero. I nostri risul-tati iniziali hanno rivelato che il fe-gato, come il sistema ematopoieti-co, è più adatto al trasferimentogenico ai primi stadi di sviluppofetale, il che ci ha portato a credereche forse il trasferimento genicoera sempre più efficiente se effet-tuato precocemente nella gestazio-ne. Tuttavia, quando abbiamo esa-minato i polmoni della stessa per-sona, abbiamo scoperto che ciò erainfondato. Nei polmoni abbiamoosservato esattamente l’opposto diquanto visto nel sistema emato-poietico e nel fegato, e cioè che ilivelli di cellule portatrici del geneerano molto più alti se il trasferi-mento avveniva in un periodo ditempo successivo nella gestazione,suggerendo così che ogni tessutopossiede un proprio stadio di svi-luppo unico durante il quale il tra-sferimento del gene è ottimale.Queste scoperte ci hanno anche in-dicato che forse i tessuti da modifi-care potrebbero essere scelti, a uncerto grado, secondo l’età in cui iltrasferimento dovrebbe essere ef-fettuato [19].

Mentre il trasferimento genico amolti tessuti fetali può essere desi-

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derabile per correggere malattieche colpiscono specifici sistemiorganici, la nostra analisi ha ancherivelato che i tessuti riproduttivifetali spesso contengono le se-quenze del vettore della genetera-pia, sollevando la preoccupantepossibilità che la linea germinalein sviluppo sia modificata comerisultato di una terapia genica inutero. Abbiamo usato tre approcciper esaminare questa importantequestione in dettaglio [20]: 1) ab-biamo attuato una colorazione im-munoistochimica su sezioni di tes-suto preparati da animali trattati inutero; 2) abbiamo realizzato un’a-nalisi genetica sulle cellule dellosperma dei maschi trattati; 3) ab-biamo realizzato esperimenti diincrocio su un numero limitato dianimali. Questi studi hanno indi-cato che benché le ovaie fetali nonapparissero affatto colpite dal tra-sferimento di geni in utero, nume-rose cellule nei testicoli fetali insviluppo erano state modificate,comprese le cellule interstiziali, lecellule del Sertoli, e un piccolo nu-mero di cellule germinali immatu-re e le risultanti cellule spermati-che. La cosa importante, tuttavia,era che le cellule germinali geneti-camente modificate erano state os-servate solo in 2 dei 6 animali esa-minati, e, in questi due animali,l’incidenza di modificazione dicellule germinali era approssima-tivamente 1 su 6250, una frequen-za questa che è ben al di sotto deilivelli teorici di mutazione sponta-nea nel genoma umano [21]. Que-sta bassa frequenza di modifica-zioni unita all’ osservazione che lealterazioni genetiche nelle cellulegerminali possono produrre effettideleteri, ponendole in svantaggiodurante la fertilizzazione, suggeri-sce che la probabilità che ogni al-terazione genetica presente passi asuccessivi discendenti sarebbeestremamente improbabile. Sullabase di questa supposizione, nonabbiamo osservato un trasferi-mento delle sequenze portate dalvettore in nessuno dei 10 figli stu-diati, anche quando entrambi i ge-nitori avevano ricevuto un trasfe-rimento di geni in utero. Questa èchiaramente una questione che do-vrà essere studiata in maggioredettaglio prima di introdurre la te-rapia genica in utero in sperimen-tazioni cliniche.

Conclusione

In conclusione, abbiamo datoprove che la terapia genica in uteropossiede molti vantaggi rispettoalla terapia genica postatale, tantoda un punto di vista scientificoquanto da quello socioeconomicoe psicologico, in quanto è una del-le uniche terapie che possono pro-mettere la nascita di un bambinosano dopo una diagnosi prenataledi malattia. Non abbiamo osser-vato nessuna patologia come risul-tato di questa procedura, e il ri-schio per il feto appare minimo.Abbiamo dimostrato il trasferi-mento e l’espressione a lungo ter-mine (oltre i cinque anni) deltrans-gene in molti tessuti del rice-vente, suggerendo che questo ap-proccio può essere utile nel tratta-mento di numerose malattie checolpiscono vari sistemi organici.Non di meno, come hanno eviden-ziato gli studi finora effettuati sullapecora, è importante rendersi con-to che la terapia genica in utero èancora a livello sperimentale emolte questioni necessitano dichiarimento prima che una terapiadi questo tipo possa essere tentatasu soggetti umani.

Prof. CHRISTOPHER D. PORADA, Prof. GRAÇA ALMEIDA-PORADA,

Prof. PAUL PARK, Prof. FERHAT OZTURK,

Prof. JOE TELLEZ,Prof. ESMAIL D. ZANJANI,

College di Agricoltura, Biotecnologia e Risorse naturali

Dipartimento di Biotecnologia animaleUniversità del Nevada,

Reno, USA

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19. PORADA C.D., PARK P.J., ALMEIDA-PO-RADA G., LIU W., OZTURK F., GLIMP H.A.,ZANJANI E.D., Gestational age of recipient de-termines pattern and level of transgene ex-pression following in utero retroviral genetransfer, Mol. Ther. 11(2):284-93, 2005.

20. PORADA C.D., PARK P.J., TELLEZ J.,OZTURK F., GLIMP H.A., ALMEIDA-PORADAG., ZANJANI E.D., Male germ-line cells are atrisk following direct-injection retroviral-me-diated gene transfer in utero, Mol. Ther.12(4):754-62, 2005.

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62 IL GENOMA UMANO

La globalizzazione ha permessola diffusione, in tutto il mondo,non solo dei progressi scientifici etecnologici, ma anche delle que-stioni che riguardano il campo del-la bioetica. Come dimostra l’esem-pio della clonazione umana, quan-do in un Paese si sviluppa una nuo-va tecnologia, questa può essereapplicata anche altrove, malgradoil fatto che alcuni Paesi ne proibi-scano l’uso. La ricerca medica èsempre più multicentrica e interna-zionale, con un numero sempremaggiore di oggetti di ricerca re-clutati nei Paesi in via di sviluppo.Anche le pratiche sanitarie sonoglobali, ma gli orientamenti e icontesti legali differiscono e, avolte, sono perfino assenti. Le nor-me per il trapianto e le procedureper la donazione di organi, adesempio, variano da Paese a Paesee questi diversi approcci hannoportato ad abusi quali il traffico diorgani e la commercializzazionedelle pratiche di trapianto.

1. Identificazione dei principi in bioetica

Molti Paesi hanno solo una in-frastruttura limitata in materia dibioetica, poiché mancano di espe-rienza, di programmi educativi, dicomitati di bioetica e di un ambitolegale. La natura globale dellascienza e della tecnologia rendenecessario un approccio globalealla bioetica. Gli Stati membrihanno affidato all’UNESCO ilcompito di stabilire criteri eticiuniversali che coprano le questionisollevate nel campo della bioetica.È loro desiderio lavorare in modocongiunto per identificare i princi-pi basilari e condividere i valoriche riguardano la scienza, la tec-nologia e la salute. La necessità distabilire criteri etici nel campo del-

la bioetica è condivisa a livello in-ternazionale, ed è stata spessoespressa dagli stessi scienziati emedici, nonché da legislatori, poli-tici e cittadini.

In questo contesto, nell’ottobre2003, sulla base di studi prelimina-ri di fattibilità gli Stati membrihanno affidato all’UNESCO ilcompito di redigere una dichiara-zione che stabilisse i principi fon-damentali nel campo della bioeti-ca. Dopo due anni di intenso lavo-ro, il 19 ottobre 2005 quegli stessiStati membri hanno adottato, all’u-nanimità e per acclamazione, la Di-chiarazione universale sulla Bioe-tica e i Diritti Umani, affermandocosì, in maniera solenne, l’impe-gno della comunità internazionalea rispettare un certo numero diprincipi fondamentali per l’uma-nità nello sviluppo e nell’applica-zione della scienza e della tecnolo-gia. Con questa nuova dichiarazio-ne, l’UNESCO si sforza di rispon-dere in particolare ai bisogni speci-fici dei Paesi in via di sviluppo,delle comunità autoctone e dellepopolazioni vulnerabili; tutti og-getto di particolare menzione neltesto.

2. Identificazione dei principi e genetica

Senza dubbio, l’UNESCO è sta-to considerato dagli Stati il forumpiù appropriato per l’elaborazionedi tale testo, perché è stato in gradodi confermare il proprio ruolo nel-l’identificazione dei principi nelcampo della bioetica. L’UNESCO,unica istanza specializzata nel si-stema delle Nazioni Unite che ab-bina educazione, cultura, scienza escienze sociali nel campo di suacompetenza, ha sviluppato, nel tra-scorso decennio, un programma dibioetica che riflette la dimensione

multidisciplinare e transculturaledi questo dibattito. È impegnatoinoltre nella realizzazione di azionitese a coinvolgere tutti i Paesi inquesta discussione internazionale,al fine di stabilire dei principi fon-damentali comuni a tutti, nel ri-spetto della diversità culturale del-le nostre società. Il successo dellaDichiarazione universale sul Ge-noma Umano e i Diritti Umani,adottata nel 1997, e della Dichia-razione internazionale sui dati ge-netici umani, adottata nel 2003,hanno accentuato gli sforzi dell’U-NESCO nell’opera di identifica-zione dei principi etici nel campodella bioetica e ha permesso agliStati di avere fiducia nell’Organiz-zazione per finalizzare la Dichiara-zione universale.

La Dichiarazione universale sulGenoma Umano e i Diritti Umaniformula importanti principi perguidare lo sviluppo della cono-scenza genetica e l’applicazionedelle tecnologie genetiche. Unconcetto basilare è che il genomaumano “sottende l’unità fonda-mentale di tutti i membri della fa-miglia umana, come pure il rico-noscimento della loro dignità edella loro diversità”; esso pertantodovrebbe essere considerato, insenso simbolico, come “patrimo-nio dell’umanità” (Articolo 1). Perquesta ragione, il genoma umanonel suo stato naturale “non daràorigine a guadagni economici”(Articolo 4); si afferma anche che ibenefici derivanti dai progressi inbiologia, genetica e medicina “sa-ranno messi a disposizione di tutti”(Articolo 12a).

La Dichiarazione sottolineainoltre il ruolo fondamentale delladignità umana e dei diritti umani.Si tratta di un principio basilare:“Tutti hanno diritto al rispetto del-la loro dignità e dei loro diritti sen-za distinzione delle loro caratteri-

HENK A.M.J. TEN HAVE

12. Bioetica internazionale e genetica umana.L’attività dell’UNESCO

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63DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

stiche genetiche” (Articolo 2a).Tale principio implica che il ridu-zionismo genetico deve essere re-spinto; gli individui non possonoessere ridotti alle loro caratteristi-che genetiche. Esso, inoltre, impli-ca la non discriminazione; nessunodeve essere soggetto a discrimina-zione sulla base di tali caratteristi-che (Articolo 6). Un’altra implica-zione importante è che le praticheche sono contrarie alla dignitàumana non devono essere permes-se; il testo dell’Articolo 11 si riferi-sce in maniera esplicita alla clona-zione finalizzata alla riproduzionedi esseri umani, come esempio diuna tale violazione della dignitàumana.

3. La Dichiarazione universale sulla Bioetica e i Diritti Umani

Sotto l’egida del rispetto per ladignità umana, i diritti umani e lelibertà fondamentali, la Dichiara-zione universale sulla bioetica e iDiritti Umani ha una portata moltopiù ampia delle precedenti Dichia-razioni che vertevano sulla geneti-ca. Essa tratta di questioni etichesollevate dalla medicina, dallescienze della vita e dalle tecnolo-gie associate applicate all’essereumano, tenendo conto delle lorodimensioni sociale, legale e am-bientale. La Dichiarazione univer-sale intende definire le norme uni-versalmente accettate, i principi ele procedure nel campo della bioe-tica, in conformità con i Dirittiumani, come garantito dalla legi-slazione internazionale. È pertan-to concepita come una serie diprovvedimenti e principi generaliche permettono una migliore valu-tazione dell’implicazione dellequestioni etiche in gioco e di forni-re assistenza alle decisioni daprendere in questo campo. Essanon pretende di risolvere tutte lequestioni bioetiche attualmentesollevate e che si evolvono giornodopo giorno. Piuttosto, intendecostituire una base per guidare gliStati nell’adozione di una legisla-zione o di una politica nel campodella bioetica. Inoltre intende, perquanto possibile, iscrivere decisio-ni e pratiche scientifiche nell’am-bito e nel rispetto di un certo nu-mero di principi generali comuni atutti. Essa mira a sviluppare il dia-

logo tra le società sulle implicazio-ni della bioetica e la condivisionedella conoscenza nel campo dellascienza e della tecnologia.

Al fine di raggiungere questiobiettivi, la Dichiarazione univer-sale presenta un diritto acquisitoriflesso nel suo titolo: fissa i prin-cipi sanzionati nelle norme che igoverni rispettano per la dignitàumana, i diritti umani e le libertà

fondamentali. Nel tracciare nel1948 la Dichiarazione universaledei Diritti Umani, esso chiaramen-te racchiude la bioetica nella leggeinternazionale dei diritti umani, al-lo scopo di applicare questi ultimial campo specifico della bioetica.

Oltre ai principi già ben stabilitinella comunità scientifica quali ilconsenso informato, il principio diautonomia e di responsabilità indi-viduale, il rispetto per la privacydelle persone e la riservatezza perquanto riguarda i loro dati perso-

nali (articolati anche nelle due pre-cedenti Dichiarazioni adottate dal-l’UNESCO), la Dichiarazioneuniversale sulla bioetica e i DirittiUmani solleva le questioni dell’ac-cesso alle cure sanitarie di qualità ealle medicine essenziali, alla nutri-zione e alla fornitura di acqua puli-ta, al miglioramento delle condi-zioni di vita e dell’ambiente e allariduzione della povertà. La Dichia-razione universale, pertanto, apreprospettive d’azione che vanno ol-tre la pura etica medica e ribadiscela necessità di porre la bioetica nelcontesto di una riflessione apertaal mondo politico e sociale. Oggila bioetica va ben oltre il codiced’etica delle varie pratiche profes-sionali interessate. Essa implica lariflessione sull’evoluzione dellasocietà, anzi sulla stabilità delmondo, indotta dallo svilupposcientifico e tecnologico. La Di-chiarazione universale apre la stra-da a un nuovo programma di bioe-tica a livello internazionale.

4. Verso la bioetica internazionale

Benché la Dichiarazione univer-sale costituisca uno strumento nonvincolante agli occhi della norma-tiva internazionale, il suo valore ela sua forza non sono affatto dimi-nuiti. Per la prima volta nella storiadella bioetica, tutti gli Stati dellacomunità internazionale si impe-gnano solennemente a rispettare ea mettere in atto i principi basilariesposti all’interno di un singolo te-sto. Anche attraverso la Dichiara-zione universale, la bioetica quinditrova posto nell’agenda degli Stati.Inoltre, per la trasparenza e l’attivapartecipazione di tutte le parti inte-ressate, il processo di elaborazionedella Dichiarazione universale,che ha coinvolto estese consulta-zioni, ha già ampiamente contri-buito alla notorietà del testo e allasua accettazione generale. La di-mensione innovativa della Dichia-razione sta nel fatto che essa costi-tuisce per la prima volta un impe-gno da parte dei governi che siadoperano per stabilire principibioetici. Le precedenti dichiarazio-ni internazionali, talvolta moltoautorevoli, come la Dichiarazionedi Helsinki, sono state adottate daorganizzazioni professionali (co-

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64 IL GENOMA UMANO

me la World Medical Association).Il programma relativo all’elabo-

razione della Dichiarazione preve-deva un primo anno dedicato al la-voro di stesura da parte del Comi-tato internazionale di Bioetica del-l’UNESCO (IBC) – un comitato diconsultazione composto di espertiindipendenti – e un secondo annodedicato alle negoziazioni intergo-vernative sulla base del testo redat-to dall’IBC. Tuttavia, furono rea-lizzate, a livello internazionale,consultazioni, udienze e conferen-ze estese mediante il processo dielaborazione allo scopo di associa-re Stati, agenzie specializzate delleNazioni Unite e altre organizzazio-ni intergovernative, organizzazioninon-governative che si sono fatteportavoce di singoli individui e digruppi vulnerabili, importanti entinazionali e specialisti. Mediante ilsito Internet, che ha permesso direndere pubblici e di mettere rego-larmente on line i risultati di ogniincontro o consultazione, tutti sisono sentiti liberi di presentare le

proprie osservazioni e commentiall’IBC sulle varie versioni del te-sto. Quindi, fin dall’inizio del pro-cesso di elaborazione, la Dichiara-zione universale ha promosso unriconoscimento generale dellepreoccupazioni bioetiche e ha sti-molato il dibattito in materia dibioetica ai quattro angoli del mon-do, dando e nutrendo il dialogo in-terculturale su questi argomenti.

5. Conclusione

La Dichiarazione universale sul-la bioetica e i Diritti Umani do-vrebbe essere vista pertanto, noncome frutto della riflessione di po-chi, ma come il risultato di unosforzo comune, lungo e sostenuto,che ha visto la partecipazione ditutte le parti interessate. Essa è an-che il primo strumento normativoadottato dagli Stati membri e per-tanto esprime un impegno dei go-verni nel campo della bioetica in-ternazionale. I principi articolati

nella Dichiarazione universale so-no, in alcuni casi, già espressi nel-le precedenti Dichiarazioni adotta-te dall’UNESCO, ma la portata diquesti principi è stata ora ampliataallo scopo di coprire le scienzemediche e della vita nel loro com-plesso. Altri principi articolati nel-la Dichiarazione universale sonorelativamente nuovi. Coprono unamaggiore area di interesse, non so-lo dei Paesi industrializzati ma an-che, in particolare, dei Paesi in viadi sviluppo, tenendo conto dellediverse culture, religioni e scuoledi pensiero.

Prof. HENK A.M.J. TEN HAVEDirettore della Divisione d’etica della Scienza e della Tecnologia

UNESCO, Parigi, Francia

Note

Ulteriori informazioni sulla DichiarazioneUniversale e sul processo relativo alla sua ela-borazione, possono essere trovate su Internetall’indirizzo: www.unesco.org/bioethics

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65DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Mentre mi unisco al coro di feli-citazioni formulate agli infaticabi-li organizzatori di questa impor-tante Conferenza, vorrei ringrazia-re il Cardinale Javier Lozano Bar-ragán per avermi invitato a inter-venire. Invito che mi onora e mi ri-porta ad alcuni tra i momenti pro-fessionali più intensi del mio ser-vizio alla Santa Sede: il dibattito el’adozione della Convenzione sul-la biomedicina e i Diritti Umanidel Consiglio d’Europa, che ho se-guito personalmente dal 1992 al1995 a Strasburgo e la risoluzionedell’Assemblea generale dell’O-NU sulla clonazione umana, adot-tata il 3 marzo scorso. Fin dai pri-mi giorni della mia missione al-l’ONU sono stato partecipe diquesto dibattito che abbiamo por-tato avanti con tenacia e passione.In tre anni di attività all’ONU aNew York non ho mai visto un’au-la di riunioni così partecipata, pernumero e alto livello delle delga-zioni, e direi anche sofferta. Siaveva davvero l’impressione e lasoddisfazione di assistere a unodei dibattiti del secolo.

1. Ricognizione del processo regolativo della cooperazioneinternazionale nella ricerca genetica

Per poter delineare un quadrogenerale dei principi e delle dispo-sizioni che sostanziano e regolanola cooperazione internazionale nel-la ricerca genetica, occorre presen-tare una ricognizione, ancorchésommaria, per forza di cose, delprocesso regolativo della materia.

Dovendo trattare qui della “ri-cerca genetica e cooperazione in-ternazionale”, vorrei anzitutto deli-mitare l’oggetto di esame. Il temadella ricerca genetica copre due di-versi campi: la genetica vegetale e

animale e la genetica umana. Duecampi distinti, per i quali anche lanormativa internazionale si bifor-ca. La ricerca genetica vegetale eanimale è regolata dalla Conven-zione sulla biodiversità, la quale,appunto, non si applica ai geniumani ma solo a quelli vegetali eanimali. La genetica umana e i pro-blemi connessi di tutela dei dirittiumani vengono invece trattati es-senzialmente nella Dichiarazioneuniversale sul genoma umano e suiDiritti dell’Uomo e nella Dichiara-zione universale su bioetica e dirit-ti umani, dell’UNESCO, oltre chenella Convenzione sulla biomedici-na e i Diritti Umani del Consiglio

d’Europa e nel recente Protocollosulla ricerca biomedica annesso atale Convenzione. Il contesto nelquale si inserisce il mio intervento– cioè, una conferenza internazio-nale sul genoma umano – non la-scia dubbi: tratterò, pertanto, uni-camente della cooperazione inter-nazionale riguardante la ricerca ge-netica umana.

Nell’ambito internazionale, apartire dal Codice di Norimbergadel 1947, fino alle Direttive eticheinternazionali per la ricerca bio-medica condotta sui soggetti uma-ni, elaborata nel 1993 dal Consi-glio per le Organizzazioni interna-

zionali delle Scienze mediche(CIOMS) in collaborazione conl’Organizzazione Mondiale dellaSanità (OMS), si sono susseguitevarie raccomandazioni, leggi e rap-porti. Tuttavia, il ruolo leader lodetiene l’UNESCO, con la Dichia-razione universale sul genomaumano e i Diritti Umani, adottatanel 19971.

2. Principi e disposizioni

a. Ambito internazionale: UNESCO

Fondamentalmente, la Dichiara-zione dell’UNESCO enuncia unquadro di principi intesi a realizza-re l’equilibrio fra la garanzia del ri-spetto dei diritti fondamentali e lanecessità di assicurare la libertà diricerca. Per il nostro tema, trovia-mo, però, una affermazione moltoimportante che in certo modo vienea fondare, motivare e incentivare lacooperazione internazionale nellaricerca genetica.

Nell’Art. 1 si afferma che: “Il genoma umano sottende l’u-

nità fondamentale di tutti i membridella famiglia umana, come pure ilriconoscimento della loro dignità edella loro diversità. In un sensosimbolico esso è il patrimonio del-l’umanità”. Abbiamo qui tre affer-mazioni che meritano di essereesaminate. Anzitutto, la coopera-zione scientifica, culturale e giuri-dica in oggetto, trova il suo fonda-mento nell’unità di tutti i membridella famiglia umana, significataappunto dal genoma. Asserire cheesso sottende anche il riconosci-mento della dignità e della diver-sità degli esseri umani, sembrereb-be voler dire che la persona trova ilfondamento della propria dignitànel genoma. “In realtà – come silegge in una nota della Segreteria

CELESTINO MIGLIORE

13. Ricerca genetica e cooperazione internazionale

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66 IL GENOMA UMANO

di Stato della Santa Sede del 24maggio 1998 – sono la dignità del-l’uomo e l’unità della famigliaumana che conferiscono al genomaumano il suo valore ed esigono cheesso sia protetto in modo particola-re”.2 In questo senso, anche la coo-perazione internazionale viene in-vestita di questo particolare valore,compito e servizio. Il fondamentodella cooperazione viene poirafforzato con l’affermazione delgenoma quale patrimonio dell’u-manità. La Nota esplicativa allaDichiarazione precisa che questaformula intende significare la re-sponsabilità dell’umanità intera,escludendo ogni appropriazionecollettiva (n. 20). Anche a questoproposito, credo utile riportarel’osservazione pertinente che silegge nella citata nota della Segre-teria di Stato: “La frase resta tutta-via vaga e poco chiara; sarebbemeglio, evitando nozioni come‘patrimonio dell’umanità’, affer-mare che ‘L’umanità intera ha laresponsabilità particolare di pro-teggere il genoma umano’. Il geno-ma, inoltre, ha due dimensioni: unagenerale, in quanto è una caratteri-stica di tutti coloro che appartengo-no alla specie umana, e un’altra in-dividuale, in quanto è differenteper ogni essere umano, che lo rice-ve dai suoi genitori al momentodella concezione: è in quest’ultimosenso che si parla comunemente diun ‘patrimonio genetico’ dell’esse-re umano. Sembra evidente che è aquesto ‘patrimonio’ che si deve ap-plicare una protezione giuridicafondamentale, poiché questo ‘pa-trimonio’ appartiene concretamen-te e singolarmente a ciascun essereumano”.

Più in particolare, la Dichiara-zione sul genoma umano dedica trearticoli (17, 18, 19) alla solidarietàe alla cooperazione internazionalenella ricerca genetica. La solida-rietà va esercitata a due livelli: unopersonale, e cioè, permettere a in-dividui, famiglie e gruppi partico-larmente vulnerabili o affetti damalattie di natura genetica di avva-lersi dei propri diritti in piena li-bertà e con dignità; e uno pubblicoche pone agli Stati il dovere di fa-vorire la diagnosi, la prevenzione ela terapia delle malattie genetiche,in particolare di quelle rare ed en-demiche che affliggono ampi setto-ri della popolazione mondiale. Il

testo sottolinea, poi, la cooperazio-ne scientifica e culturale nei campidel genoma umano, della diversitàumana e della ricerca genetica, pre-cisando che l’obiettivo è quello divalutare i rischi e i benefici della ri-cerca genetica e di prevenirne glieventuali abusi. Viene anche dettoche i benefici della ricerca, matura-ti soprattutto nei Paesi sviluppati,debbono servire a promuovere ilprogresso economico e sociale pertutti. Le successive Direttive perl’implementazione della Dichiara-zione incoraggiano la cooperazio-ne tra Nord e Sud del mondo e pre-vedono che il Comitato internazio-nale di bioetica, a scadenze perio-diche, ne verifichi e rimuova glieventuali ostacoli.

Di particolare importanza sono iRapporti del Comitato internazio-nale di bioetica, sempre dell’UNE-SCO. Cito solamente quelli chepossono avere maggior attinenza alnostro tema3.

Il Rapporto su bioetica e ricercagenetica sulla popolazione umana,stilato nel 1995, mentre offre prin-cipi e orientamenti per una terapiagenetica mirata, mette in guardia einvoca misure giuridiche per evita-re un uso improprio e inaccettabiledella ricerca genetica a fini discri-minatori, commerciali o determini-stici.

Il Rapporto su solidarietà e coo-perazione internazionale riguar-danti il genoma umano tra paesisviluppati e in via di sviluppo rap-presenta probabilmente il testomaggiormente esteso e completoper il nostro tema. Esso dedica unaintera sezione alla solidarietà e allacooperazione internazionale nel-l’ambito del genoma umano. Perquanto attiene alla ricerca genetica,riconosce che essa presuppone in-vestimenti, tecnologia e personalealtamente specializzato e incorag-gia le organizzazioni internaziona-li, la Banca mondiale e quelle re-gionali, così come i Paesi sviluppa-ti a creare meccanismi internazio-nali e fondi per sostenere la ricercanei Paesi che non possono altri-menti permettersela. Assai illustra-tiva è la lista dei sistemi di coope-razione bilaterale, multilaterale eregionale già operanti in questosettore. Anche se la conclusionetradisce un sapore amaro: “Gli Sta-ti hanno prontamente riconosciutole implicanze dei nuovi progressi

scientifici, ma non si sono mostratialtrettanto pronti a intraprendereprogetti di solidarietà e di coopera-zione internazionale, come propo-sto nella Dichiarazione universalesul genoma umano e diritti umani”.

Il Rapporto sui dati geneticiumani: studio preliminare del Co-mitato internazionale di bioeticasulla loro raccolta, processo, stoc-caggio e uso, del 2002, rilevavache le nuove condizioni in cui vie-ne svolta la ricerca genetica, e inparticolare il crescente coinvolgi-mento del settore privato, l’aumen-to dei dati genetici umani di base,la natura talora controversa del lo-ro impiego, la varietà dei parametriadottati dalla ricerca internaziona-le, e l’urgenza di proteggere le po-polazioni vulnerabili nella raccoltadei dati genetici, invocano un nuo-vo e adeguato strumento interna-zionale in materia. La medesimaosservazione e raccomandazionericorreva nell’esplicito Rapportosulla possibilità di elaborare unostrumento universale sulla bioeti-ca, del 2003.

In conseguenza, è stata istituitauna Riunione intergovernativa diesperti per la revisione del testodella Dichiarazione universale subioetica e diritti umani che, nelgiugno scorso, ha tenuto a Parigi laseconda sessione di lavoro conl’intento di finalizzare il testo e sot-toporlo all’approvazione della 33ªConferenza generale dell’UNE-SCO.

Per quanto concerne il nostro te-ma, è interessante partire dal dibat-tito sul titolo del nuovo strumento.La proposta maturata in seno alCIB era di intitolarlo Dichiarazio-ne su norme universali di bioetica.L’esitazione a fissare norme uni-versali in una materia così delicata

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e controversa ha fatto optare per untitolo meno impegnativo ed espli-citamente ancorato ai diritti del-l’uomo: Dichiarazione universalesu bioetica e Diritti Umani.

Nel testo – adottato per acclama-zione il 19 ottobre scorso4 – vienedato ampio rilievo alla cooperazio-ne internazionale, trattata almenoin tre capitoli. Laddove si parla del-la condivisione dei benefici (Art.15), si dichiara che i benefici risul-tanti dalla ricerca scientifica e dallesue applicazioni “dovrebbero” es-sere generalmente condivisi all’in-terno della società e nella comunitàinternazionale, in particolare con iPaesi in via di sviluppo. Afferma-zione olistica, ma con un bemolle:si usa, infatti, il verbo “should” alcondizionale e non il futuro sempli-ce “shall” che, anche nel linguag-gio giuridico, riveste una valenzaimperativa. A questo riguardo, se sileggono comparativamente la Di-chiarazione sul genoma umano e ilprogetto di Dichiarazione univer-sale su bioetica e Diritti Umani,balza subito all’evidenza che, men-tre la prima fa uso quasi regolaredel verbo “shall”, l’altra privilegiaabbondantemente il “should”.

Trattando delle pratiche transna-zionali, all’Art. 21, sempre al con-dizionale, si dice che le ricerchetransnazionali in materia di salutedovrebbero tener conto delle neces-sità del Paese dove vengono con-dotte e riconoscere l’importanza nelcontribuire all’alleviamento dellequestioni relative alla salute urgentie di carattere globale. Inoltre, sug-gerisce l’equa partecipazione agliutili della ricerca per tutte le partiche stipulano un contratto o un ac-cordo. L’Articolo 24 è interamentededicato alla cooperazione interna-zionale, ma sempre al condizionale:

a. gli Stati dovrebbero promuo-vere la disseminazione internazio-nale dell’informazione scientificae incoraggiare il libero flusso econdivisione delle conoscenzescientifiche e tecnologiche;

b. nel quadro della cooperazioneinternazionale, gli Stati dovrebberopromuovere la cooperazione cultu-rale e scientifica e pervenire ad ac-cordi bilaterali e multilaterali chepermettano ai Paesi in via di svi-luppo di rendersi in grado di parte-cipare alla creazione e condivisio-ne della conoscenza scientifica, edei relativi sapere e benefici;

c. gli Stati dovrebbero rispettaree promuovere la solidarietà intra einterstatale, e con gli individui, lefamiglie, i gruppi e le comunità, ri-servando speciale riguardo per co-loro che sono resi vulnerabili dallamalattia, dalla disabilità o da altrecondizioni personali, sociali e am-bientali e per i meno abbienti.

È evidente che questa Dichiara-zione riflette le raccomandazionidel Comitato internazionale dibioetica e rappresenta un passo inavanti nella codificazione dellenorme relative alla cooperazionenella ricerca genetica.

b. Ambito internazionale: Assemblea generale dell’ONU

Nel campo internazionale l’ini-ziativa rimane, dunque, prevalen-temente nell’ambito dell’UNE-SCO. È da rilevare, comunque, chel’ONU ha adottato la Dichiarazio-ne universale sul genoma umanocon una Risoluzione dell’Assem-blea generale nel 19985. Accennialla cooperazione internazionale inmateria più ampia, ma che includela ricerca genetica, si riscontranonella Risoluzione sulla clonazioneumana, adottata nel marzo scorso6,laddove si invitato gli Stati membria includere le questioni globali del-l’AIDS, tubercolosi e malaria cheinteressano in particolare i Paesi invia di sviluppo nei programmi difinanziamento della ricerca medicae delle scienze della vita.

c. Ambito regionale: Consiglio d’Europa

A livello regionale la pietra mi-liare rimane per ora la Convenzio-ne sulla biomedicina e i DirittiUmani del Consiglio d’Europa,adottata il 19 novembre 19967, conil Protocollo sulla ricerca biomedi-ca annesso a tale Convenzione,aperto alla firma lo scorso 25 gen-naio8. La Convenzione delineaun’ampia serie di principi fonda-mentali e di norme che costituisco-no la base di un diritto comune eu-ropeo della bioetica medica, dellatutela dei diritti umani e dellescienze mediche. La cooperazioneinternazionale viene menzionatanel preambolo come una necessitàfinalizzata alla fruizione dei bene-fici della biologia e della medicina

da parte di tutta l’umanità. Nell’ar-ticolato, si dedica un paragrafo aldibattito pubblico su questioni dibiomedicina e sulle rispettive ap-plicazioni, che, seppur collocate al-l’interno degli Stati che fanno par-te della Convenzione, rappresentaun aspetto importante anche per lacooperazione internazionale.

Di notevole importanza sono lesoluzioni adottate nel Protocolloche dedica un capitolo alla ricercacondotta in Stati, che non fannoparte dello strumento giuridico.Nel Rapporto esplicativo9 si legge:“Al presente, un gran numero diprogetti di ricerca sono condotti subase multinazionale. Singoli pro-getti possono essere seguiti dagruppi di ricercatori di Stati diver-si. Inoltre, organizzazioni dotate distatuto internazionale possono sce-gliere in quale Stato realizzare unprogetto da esse avviato e finan-ziato. La cosa solleva qualchepreoccupazione, attesta la possibi-lità che le norme di protezione ap-plicate ai partecipanti variano so-stanzialmente da Paese a Paese. Inparticolare desta preoccupazionel’eventualità che una ricerca, con-siderata decisamente inaccettabilein un Stato, venga condotta in unaltro Stato che adotta criteri assaifluidi”.

L’Articolo 29 fissa pertanto lecondizioni alle quali si debbono at-tenere i promotori e i ricercatori diuno Stato parte che intendono ef-fettuare o finanziare una ricerca inuno Stato non parte al Protocollo.In sostanza, essi debbono rispettarele condizioni dettate dal Paeseospitante ma anche i principi suiquali si basano le disposizioni delProtocollo. Si parla dei principisottesi e non delle disposizioniconcrete, perché spesso queste, perla diversità della situazione, sonoirrealizzabili. Il Rapporto esplicati-vo porta l’esempio delle istanze in-dipendenti di valutazione scientifi-ca ed etica di un determinato pro-gramma. Anche se quelle non esi-stessero nel Paese ospitante, l’ot-temperanza ai principi stabiliti nelprotocollo esige che una valutazio-ne scientifica ed etica venga co-munque compiuta da una istanzaabilitata e indipendente. Così valeper i principi del consenso infor-mato, della protezione dell’incapa-ce, della confidenzialità, della pro-porzione tra rischio e beneficio.

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Il medesimo Protocollo stabili-sce anche un’altra misura rilevanteper la cooperazione in generale eper quella internazionale. L’Artico-lo 28 ingiunge ai ricercatori di sot-tomettere al rispettivo comitato eti-co o istanza competente, un rap-porto o un sommario della ricerca edi dare pubblicità ai risultati dellaricerca, anche qualora questi risul-tassero negativi. La pubblicazionedei risultati è da considerarsi effet-tiva quando è accessibile ad altri ri-cercatori. Infatti, lo scopo dell’Ar-ticolo è quello di evitare l’inutileripetizione di ricerche su persone ela soppressione di risultati, sia po-sitivi che negativi, a fini commer-ciali o comunque non scientifici.

S.E. Mons. CELESTINO MIGLIORENunzio Apostolico,

Osservatore permanente presso le Nazioni Unite

Note

1 Il documento è riportato in http:// portal.unesco.org/shs/en/ev.php-URL_ID=1881&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html.

2 Cfr. http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=694.

3 Si citano di seguito i Rapporti pubblicatinel sito Internet dell’UNESCO: http://portal.unesco.org/shs/en/ev.php-RL_ID=2038& URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION= 201.html.

Report of the IBC on the Possibility of Ela-borating a Universal Instrument on Bioethics(2003), Rapporteurs: Giovanni Berlinguer andLeonardo De Castro; Report of the IBC onPre-implantation Genetic Diagnosis andGerm-line Intervention (2003), Rapporteur:Hans Galjaard; Human Genetic Data: Preli-minary Study by the IBC on its Collection,Processing, Storage and Use (2002), Rappor-teurs: Sylvia Rumball and Alexander McCallSmith; Report of the IBC on Ethics, Intellec-tual Property and Genomics (2002), Rappor-teur: Judge Michael Kirby; Report of the IBCon Solidarity and International Co-operationbetween Developed and Developing Countriesconcerning the Human Genome (2001), Rap-porteur: Mehmet Öztürk; The Use of Embryo-nic Stem Cells in Therapeutic Research

(2001), Rapporteurs: Alexander McCall Smithand Michel Revel; Report on Confidentialityand Genetic Data (2000); Report of theWorking Group of the IBC: Ethical Conside-rations Regarding Access to ExperimentalTreatment and Experimentation on HumanSubjects (1996), Rapporteurs: Harold Edgarand Ricardo Cruz-Coke; Food, Plant Biotech-nology and Ethics (1995), Rapporteur: DarrylMacer; Bioethics and Human Population Ge-netics Research (1995), by Chee Heng Leng,Laila El-Hamamsy, John Fleming, NorioFujiki, Genoveva Keyeux, Bartha MariaKnoppers and Darryl Macer; Genetic Coun-selling (1995), Rapporteur: Michel Revel;Ethics and Neurosciences (1995), Rapporteur:Mr Jean-Didier Vincent; Report on HumanGene Therapy (1994), Rapporteurs: Mr Ha-rold Edgar and Mr Thomas Tursz; Report onGenetic Screening and Testing (1994), Rap-porteur: Mr David Shapiro .

4 Cfr. http://portal.unesco.org/shs/en/file_download.php/b0f1e8f1dc4a4e8990faff370608cac2declaration.pdf

5 A/RES/53/152, 9 December 1998 .6 A/RES/59/280, 23 March 2005.7 Cfr. http://conventions.coe.int/Treaty/en/

Treaties/Html/164.htm8 Cfr. http://conventions.coe.int/Treaty/EN/

Treaties/Html/195.htm9 Cfr. Ibidem.

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“I nuovi sviluppi, che si verifi-cano di tanto in tanto nella scienza,traggono generalmente originedall’invenzione di un nuovo meto-do, dalla scoperta di un fatto nuovoda cui derivano rilevanti conse-guenze, o dall’elaborazione di unnuovo principio teorico che sugge-risce nuove linee di ricerca […] Ilcaso della genetica non corrispon-de a nessuna di queste tre possibilialternative, dal momento che essaebbe inizio con la scoperta di unascoperta avvenuta trentacinque an-ni prima. Possiamo infatti datare lanascita della genetica dalla risco-perta, nel 1900, dell’articolo diMendel”. Questo scriveva sul pe-riodico “Science” nel 19321 Tho-mas Hunt Morgan, direttore delgruppo di ricerca sulla Drosophila,il moscerino della frutta, alla Co-lumbia University di New York epoi al California Institute of Tech-nology, nonché promotore del col-legamento di citologia e mendeli-smo. Il giudizio citato presenta ildifetto della semplificazione ec-cessiva. Perché la riscoperta diMendel non ebbe la stessa sortedella scoperta mendeliana? Si trat-tava, è vero, di personalità rinoma-te: il tedesco Carl Correns (1864-1933), l’austriaco Erich Tscher-mack (1871-1962) – entrambi bo-tanici –, e l’olandese Hugo deVries (1848-1935), fisiologo vege-tale e in anni successivi autore diun’ampia opera sulla “mutazio-ne”2. Ma gli Autori citati, nel risco-prire Mendel, offrirono alle sue os-servazioni l’ampio contesto che

trent’anni prima era mancato e leintrodussero nella “biologia”: lateoria della vita in genere e del-l’uomo in particolare, secondol’incisiva definizione di un termi-ne entrato nell’uso all’inizio delsecolo, dovuta al fisiopatologo Ru-dolf Virchow3.

La risposta alla domanda cheabbiamo enunciato è dunque dacercarsi nel rapporto fra il mo-mento concettuale-problematico equello osservativo-sperimentaledella ricerca scientifica. Quandouscirono sulle “Verhandlungen”dell’Unione morava dei naturalistidi Brünn, le due memorie di Gre-gor Mendel (1822-1884) – la pri-ma e più nota del ’66 su Pisum sa-tivum, la seconda su Hieraciumdel ’69, con l’enunciazione delladominanza, dell’indipendenza edella segregazione dei caratteri –le scienze della vita affrontavanoun’intensa stagione di idee nuoveintorno alla “teoria della discen-denza”, alla “teoria cellulare” e al-la nozione di “fisiopatologia” co-me sintesi di normalità e malattia:un ampio arco tematico, protesodalla storia naturale della tradizio-ne alla realtà emergente della bio-medicina. Nel 1859 la darwinianaOrigine della specie si era esauri-ta, appena edita, in una giornata, evivente Charles Darwin, avrebbeavuto sei edizioni4: l’ultima nel’72, con modifiche e aggiunte as-sai significative. L’embriologia,osservava Darwin, nel capitoloconclusivo, ci rivelerà la strutturain parte offuscata dei prototipi di

ciascuna grande classe. E conclu-deva segnalando l’aspetto gran-dioso di una concezione della vita,con le sue diverse forze, all’origi-ne alitate, breathed, dal Creatorein poche forme. Ma è del ’68 l’o-pera del Darwin che potrebbe con-siderarsi la sua più importante perl’avanzamento della teoria gene-rale dei viventi: La variazione de-gli animali e delle piante in regimedi domesticazione5. Assetti e strut-ture degli organismi cambiano peruna proprietà o forza intrinseca, esecondo specifiche leggi quandola variazione concerne più organio funzioni, sia cioè “correlata”.Jean Baptiste Lamarck, nella Filo-sofia zoologica del 1806, avevasostenuto che l’ambiente provocamodificazioni agli organismi tra-smissibili alla discendenza, agen-do sul “sentimento interiore” doveesista un “organo del sentimento”,o semplicemente intensificandol’uso. L’allungamento del collodella giraffa costretta a brucare lefoglie degli alberi in ambienti pri-vi d’erba è il caso più probativoche il Lamarck, acuto naturalista,sommo malacologo, aveva citato afavore delle proprie tesi trasformi-stiche. Nell’individuo che si tra-sforma c’è la specie e nella speciela natura, da cui hanno tratto origi-ne tutti i corpi organizzati “conl’aiuto di un tempo sufficiente”.Una duplice serie di trasformazio-ni, dunque: creative quelle natura-li, adattative quelle individuali especifiche.

Una nuova prospettiva si era

Seconda Sessione

Illuminazione

VINCENZO CAPPELLETTI

1. Percorso storico della genetica umana

venerdì18

novembre

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aperta con Lamarck per le scienzedella vita, intorno al problema di“trasformazione”, “discendenza”,“evoluzione”: caratterizzata dalproposito di archiviare Linneo e disostituire alla sua classificazionedi animali e piante una storia dellanatura che fosse veramente tale,fondata su nascite, morti e durate,su incrementi sostanziali e incre-menti strutturali. La geologiauniformistica di Charles Lyell(1797-1875), con le undici edizio-ni dei Princìpi, tra il 1830 e il ’756,avevano fornito al paradigma tra-sformistico un ingrediente nonunico e neppure sufficiente, masenza dubbio indispensabile, iltempo: le migliaia di anni erano di-venute milioni. Malgrado vigorosee rigorose opposizioni, in nomesoprattutto di diversità strutturalioriginarie nell’uno e nell’altro re-gno della natura vivente; sostituitala darwiniana Origine della speciealla Filosofia zoologica lamarckia-na; acquisito un nuovo prestigiosoadepto nel “profeta di Jena”, ErnstH. Haeckel (1834-1919), il trasfor-mismo celebrava proprio negli an-ni delle memorie mendeliane, iSessanta dell’Ottocento, la propriaora meridiana, assaporando untrionfo che si giudicava irreversi-bile. Allo Haeckel, che nel 1868pubblicava una Storia della crea-zione naturale tradotta in undicilingue, va riconosciuto il merito diaver dichiarato apertamente l’im-plicazione ultima del trasformi-smo: la capacità di ottenere l’esse-re dal non essere, capacità di crea-re, togliendola al Dio di Linneo,come lo Haeckel esplicitamentedichiara, e attribuendola alla realtàspaziotemporale, al mondo.Darwin non lo segue – a dir me-glio, non lo aveva preceduto – suquesta strada: tanti aspetti e mo-menti della natura non gli sembra-vano riconducibili a un disegnotrascendente, ma “questo meravi-glioso universo e in particolare lanatura dell’uomo” è arduo conce-pirli come il risultato di una forzabruta, scriveva il 22 maggio 1860al botanico americano Asa Gray.Herbert Spencer (1820-1903),mentre conferiva al termine evolu-tion, evoluzione, un significato op-posto a quello originario, prefor-mistico, di passaggio dall’avvilup-pato allo sviluppato e perciò dalpiccolo al grande, nei Princìpi di

biologia del ’647 si cautelava conun rinvio all’Inconoscibile causaocculta della realtà.

Assistevano a una tenzone di gi-ganti gli anni nei quali il monacoagostiniano Gregor Mendel (1822-1884), ormai quarantenne, già stu-dente di scienze naturali a Viennanon giunto a conseguire la laurea,con forte inclinazione per la fisicae per il formalismo logico, con orelibere della giornata da dedicareall’orto del monastero, pubblicavale memorie citate. I risultati eranorilevanti, tali da configurare l’ere-dità come un processo disconti-nuo, all’opposto di quanto suppo-nevano Darwin e il biometricoFrancis Galton (1822-1911), mas-sima autorità sugli aspetti quantita-tivo-statistici della biologia. Men-del affermava che gli ibridi sono

portatori di determinanti ereditarieduplici per un determinato caratte-re, che si segregano nella secondagenerazione e possono ricombi-narsi secondo le varie possibilità.Coppie di caratteri distinti si com-portano in maniera autonoma nel-l’ibridazione. Erano, quelli men-deliani, protocolli rilevanti, impo-stati con esemplare chiarezza, maprivi di contesto: tanto più neces-sario, quest’ultimo, in un momen-to d’intensa problematicità dellascienza. C’è un cenno a Darwinnel testo della prima memoria diMendel, ma non più che questo.Mendel fu in rapporto con un insi-gne botanico, Carl Wilhelm Näge-li (1817-1891), interessato alla di-stinzione di parti e funzioni diver-se del plasma cellulare, partendodal presupposto meccanico, anzimeccanicistico, che cadeva in unacrisi irreversibile proprio mentreusciva del Nägeli, nel 1884, la Teo-

ria meccanico-fisiologica della fi-liazione8. Il termine che l’Autoreusa non è più Descendenz, ma Ab-stammung, che parrebbe indicare ilcostituirsi di un paradigma distintodalla teoria dell’evoluzione. In nu-ce è la teoria dell’eredità, che a fi-ne secolo sarà capace di riscoprirela scoperta mendeliana. Intanto sitrattava di continuare la costruzio-ne del contesto concettuale, e a talfine serviva una ripresa del con-fronto dialettico tra le grandi pro-spettive sul “mondo della vita”,per usare la luminosa espressioneconiata dal fenomenologo Ed-mond Husserl nella Crisi dellescienze europee 9.

In primo piano, troviamo la“teoria cellulare”, legata al nomedi Rudolf Virchow (1821-1902), eal prestigio da lui conseguito conla sintesi di fisiologia e patologianella biologia intesa come “dottri-na della vita in generale e dell’uo-mo in particolare”. La virchowia-na Patologia cellulare era uscitanel ’5910, ma negli anni Sessanta siera riproposta come programma diricerca, per annettersi l’arduo ter-ritorio delle neoplasie. Se tutta lavita è cellulare, Deszendenz e Ab-stammung, evoluzione e filiazio-ne, non potevano non introdurre lacellula nell’edificio ontogeneticoe filogenetico, come fondamento eriferimento. Abbiamo fatto cennoal Nägeli interlocutore di Mendel:è sua la distinzione fra il “trofopla-sma” nutritivo e l’“idioplasma”portatore dei caratteri specifici.Ma la già citata Teoria della filia-zione è dell’84, l’anno successivoalla memoria di August Weismann(1834-1914) Sulla ereditarietà11:non solo atto di nascita del para-digma scientifico che si chiameràgenetica, ma punto di svolta razio-nale dell’intera biologia, compre-sa la teoria cellulare. Medico al-l’origine, ma dal 1867 professoredi zoologia a Friburgo, ferventedarwiniano, Weismann avvertìacutamente l’antitesi fra lamarcki-smo e darwinismo , e la superòimpostando il problema in terminicellulari. La cellula, affermavaWeismann recisamente, non con-tiene alcuna struttura che si dimo-stri fatta per incorporare i caratteriacquisiti e trasmetterli alla discen-denza. Si superava in tal modo unalettura semplificata della vita e deiviventi, una concessione al buon-

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senso che aveva sedotto la mag-gioranza dei naturalisti, non esclu-so l’Autore dell’Origine della spe-cie, e alla quale lo stesso Wei-smann era stato incline prima del-la memoria citata. Utilizzando la“variazione” intesa nel senso delDarwin, Weismann giunse invecea inferire l’autonomia e la conti-nuità del plasma germinale nelcorso delle successive generazio-ni. Nasceva in tal modo una delleprospettive più ampie, rigorose econtrointuitive – per usare un ter-mine della logica odierna – nellastoria della scienza biologica.Mentre una successiva memoriadel ’92: Sul plasma germinativo:una teoria dell’ereditarietà12, se-gnava l’atto di nascita di un para-digma conoscitivo che nel 1906,su proposta dello zoologo WilliamBateson (1861-1929), professore aCambridge, si sarebbe chiamato“genetica”. Mendel era stato in-tanto riscoperto nel 1900, dai trebotanici già segnalati: il Batesonsui polli e Lucien Cuénot (1856-1951) dell’università di Nancy suitopi estesero il mendelismo al re-gno animale. La botanica reinter-venne con le ricerche, classica-mente rigorose, del fisiologo ve-getale di Copenhagen, WilhelmLudvig Johannsen (1857-1927)sulla variabilità dei fagioli: le dif-ferenze della dimensione e del pe-so derivanti da cause ambientalinon si ereditano. Era una nuovaconfutazione sperimentale, del la-marckismo, coerente con l’impo-stazione weismanniana e con ilcontesto della sperimentazionemendeliana.

I protocolli di Mendel erano en-trati in una complessa e compattacostruzione teorica, che li avevaresi significativi e ne aveva facili-tato la riscoperta. La convergenzadi teoria dell’evoluzione e teoriacellulare ne era stata il presuppo-sto, non esaurito nella feconditàconoscitiva di entrambi i momenti.Sullo scorcio del secolo, vediamoil botanico Edouard Strasburger(1844-1912) di Bonn e l’anatomi-co Walter Flemming (1843-1905)di Praga e Kiel tornare sulla ripro-duzione delle cellule, già studiata edescritta dal Virchow – è suo ilprincipio citogenetico fondamen-tale: Omnis cellula e cellula –, uti-lizzato descrivendo la divisione delnucleo o “cariocinesi”, la presenza

dei “cromosomi” nella sostanzanucleare, la loro fissione e migra-zione nelle cellule neoformate.Edouard van Beneden (1846-1910), professore a Leida e a Liegi,osserva e descrive nelle cellulegerminali la “meiosi”, per cui il nu-mero dei cromosomi si riduce ametà per ricostituirsi con l’appaia-mento dei cromosomi omologhinella fecondazione. In essa, comescoperto nel ’75 da Oskar Hertwig(1849-1922) dell’università di Ber-lino nell’uovo del riccio di mare, igameti maschile e femminile sifondono in un unico nucleo. Le co-noscenze osservative e l’elabora-zione teorica hanno proseguito illoro corso molto oltre l’assioma ci-tato del Virchow: nella citologia siè costituita la “cariologia”, unospecifico paradigma di conoscenzesul nucleo cellulare, le sue funzionie i suoi comportamenti. Non solo,giunti a tal punto, si poteva risco-prire Mendel, era anche possibileallogare e strutturare l’“ibridazio-ne” da lui analizzata e formalizzatacon mirabile chiarezza. Germanicanella sua origine e nei suoi sviluppifino allo scorcio del secolo, conun’imprevista deviazione, la cito-logia varca l’Atlantico portandocon sé non soltanto le ultime risul-tanze osservative sulla divisionecellulare, sul nucleo e sui cromoso-mi, ma anche il nesso problematicocon l’embriologia attraverso lecontrastanti posizioni sullo svilup-po dell’uovo fecondato di rana: lapreformazione “a mosaico” diWilhelm Roux (1850-1924) e la re-golazione inerente a un “sistemaarmonico equipotenziale” di OskarHertwig (1849-1922) e Hans Drie-sch (1867-1941). Altra ricca fontedi sviluppi concettuali, variamenteaccolta in America, era rappresen-tata dalla elaborazione teorica delWeismann, ricaduto nei disturbioculari che gl’impedivano di appli-carsi alla microscopia. I cromoso-mi dei gameti devono subire una“divisione riduttiva” per conserva-re il numero proprio della speciedopo essersi ricombinati nella fe-condazione. A questa geniale ipo-tesi, confermata dalla già citatascoperta della “meiosi”, se n’eraaccompagnata un’altra, dello stes-so Weismann, sui “determinanti”allogati nel plasma cromosomico eattivi su caratteri morfofunzionalidell’organismo: un passo verso la

ricerca e il riconoscimento dei “ge-ni” – il termine sarà proposto dalloJohannsen negli Elementi di un’e-satta dottrina dell’ereditarietà,editi nel 1909 e più volte ripubbli-cati13.

L’interazione tra cellula ed ere-ditarietà si sarebbe riproposta talee quale alla Columbia Universitydi New York, dopo l’accennata mi-grazione, forse più esattamentepropagazione, della ricerca citolo-gica. Il citologo dell’ateneo ameri-cano è Edmund B. Wilson (1856-1939): dopo una lunga elaborazio-ne, esce nel ’96 il suo volume Lacellula nello sviluppo e nell’ere-dità, che viene ripubblicato nel1900 e nel ’25, e rappresenterà an-che in Europa il nuovo testo di ri-ferimento14. La massa cromatinicadi significato sconosciuto, indivi-duata da precedenti studiosi e per-ciò nominata con la lettera X, vie-ne identificata dal Wilson con icromosomi sessuali o “eterocro-mosomi”, diversi nel maschio enella femmina. Il passo successivonon poteva non essere l’allogazio-ne dei geni nei cromosomi, o per lomeno un tentativo in tal senso. Ba-sandosi sul dimostrato rapporto sucromosomi e sessualità, il Wilsonincoraggia le ricerche dello zoolo-go Thomas H. Morgan (1866-1946), inizialmente contrario almendelismo e alla teoria cromoso-mica, sospettati di preformismo daun ricercatore che guardava consimpatia alle posizioni epigenisti-che dell’embriologo Driesch. Co-me materiale di esperimento, airatti e ai piccioni viene sostituito ilmoscerino delle frutta, la Dro-sophila melanogaster , con un bre-ve ciclo di vita e un minimo spaziodi coltura. Sul nuovo materiale daesperimento affiora un rapportofisso fra determinati caratteri ecromosomi sessuali: nella variantedella Drosophila maschio a occhibianchi anziché rossi, si mostraesistente un linkage tra determi-nante del sesso e determinante delcolore oculare. Al manifestarsi dialtre analoghe varianti, corrispon-de un intensificarsi delle ricercheimpostate ed eseguite dal Morgancon gli allievi Alfred H. Sturtevant(1891-1970), Calvin B. Bridges(1889-1938) e Hermann JosephMuller (1890-1967): il cosiddettogruppo della Drosophila. Il men-delismo cromosomico trionfa ri-

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spetto a schemi alternativi, propo-sti dal Bateson pur mendelianoconvinto, ma con rilevanti adatta-menti in materia di eredità parzia-le, poligenica, quantitativa. Ciòche viene chiamato espressionegenica, assurge a problema centra-le di un paradigma che ormai ha unnome e una larga autonomia speri-mentale e teorica. Nel ’15 esce unampio volume del Morgan e dei ci-tati collaboratori: Il meccanismodell’eredità mendeliana,15 seguenel ’26 La teoria del gene16 e anco-ra, nel ’33, il premio Nobel: eventiche suggellano, al di là del succes-so personale, una durata ormailunga, da cui è nato un fondamen-tale progetto conoscitivo nellascienza della natura.

Con la localizzazione cromoso-mica dei geni, il gruppo di Morganalla Columbia aveva ottenuto ilcollegamento fra la teoria dei pro-cessi ereditari e il paradigma cellu-lare. Ma altra necessaria correla-zione doveva cercarsi, con il para-digma evolutivo. Nel ’90 Morganera stato alla Stazione zoologica diNapoli, dove aveva incontratoDriesch e impostato un program-ma di ricerche sull’embriologiadegli ctenofori e di altri gruppi; glierano presenti i problemi della fi-logenesi, compresa la condizionerestrittiva posta dal Weismann conil postulato della continuità idio-plasmatica. Nel 1928, chiamatodal California Institute of Techno-logy, Morgan lasciava New Yorkper Pasadena, ma l’anno preceden-te uno degli allievi, Hermann J.Muller (1890-1967), aveva resonota la scoperta che i raggi X in-crementano la frequenza delle mu-tazioni con un articolo sul periodi-co “Science”17. Mutamenti delladotazione ereditaria erano già statiindividuati dal botanico de Vries,uno degli scopritori delle memoriemendeliane del 1866 e ’69: su unapianta di provenienza americana,Oenothera lamarckiana, dai giardi-ni botanici propagatisi nell’am-biente, egli riscontrò individui chepresentavano una variabilità ac-centuata nella dimensione, nei ca-ratteri delle foglie, nella colorazio-ne, e considerò ciascuna di questevariazioni costanti una “mutazio-ne”. È il termine che il de Vriesscelse come titolo per l’opera cita-ta in due volumi, La teoria dellamutazione, che avrebbe dovuto

rappresentare il necessario com-plemento alla darwiniana Originedella specie. L’opinione correnteera che le specie si trasformasserolentamente in altre diverse. Il mu-tazionismo sosteneva invece chespecie e varietà nuove derivano daforme preesistenti per salti, bru-scamente. Gradualista era stato in-vece Darwin, che pure aveva regi-strato l’esistenza di variazioni dra-stiche, designate come sports:scherzosamente l’amico ThomasH. Huxley gli rimproverava di es-sersi addossato una difficoltà nonnecessaria accettando l’idea cheNatura non facit saltum. I risultatisperimentali del Muller rendevanopossibile un ritorno alla variazioneparcellare del corredo genico, mala distanza concettuale fra micro emacroevoluzione doveva esserecolmata altrimenti: e lo sarà con ilricorso alla selezione congiuntacon la riproduzione sessuale, vistacome strumento di ricombinazio-ne. Ancora una volta i biologi sitrovavano a ripercorrere il cammi-no teorico del Weismann, che allasessualità in funzione selettivaaveva dedicato un’apposita me-moria dell’86, tre anni dopo il la-voro sulla continuità del plasmagerminale18.

Alla fine degli anni Trenta la ge-netica assurge a ponte fra i due pa-radigmi biologici dominanti, cellu-larismo ed “evoluzione”, quest’ul-tima prevalsa su “discendenza” peril sostituirsi di inglese e francese altedesco come lingue scientifichedominanti. Le opere che compen-diano risultanze e problemi sonoLa genetica e l’origine delle spe-cie19 di Theodosius Dobzhansky(1900 - 1975) – edito nel ’37, nel’41 e nel ’51, ripubblicato nel ’57 –ed Evoluzione. La sintesi modernadi Julian Sorell Huxley (1887-1975), edito nel ’42 e riedito nel’6320. Mutazioni e riproduzionesessuale possono generare un’illi-mitata varietà di genotipi, ma l’ap-pello al caso è ingiustificato. Ognimutazione ha una probabilità de-terminata, si verifica a prescinderedalla sua utilità, e i cambiamentimendeliani delle popolazioni “so-no tutt’altro che risultati automati-ci di lanci fortunati dei dadi geneti-ci, o finanche delle richieste am-bientali… il processo evolutivopuò essere descritto come creati-vo”. Dobzhansky ha percorso a ri-

troso l’itinerario accademico delMorgan, dal Caltech alla Colum-bia, assicurando al prestigioso ate-neo americano il merito di ulterioriprogrammi di ricerca che vi avreb-bero trovato mezzi e sede. Il passocitato è uno dei pochi dove affiorila predizione della crisi che inve-stirà gene, genetica, evoluzione eselezione. Anche il Morgan, nellaconferenza per il premio Nobel,nel ’33, aveva osservato che nonc’era consenso tra i genetisti, se igeni dovessero considerarsi reali oconvenzionali. Nel biologo Hux-ley troviamo invece la fiducia nel-la sintesi multidisciplinare intornoalla genetica, con l’emergenza delconcetto di “popolazione” e conl’apporto di due discipline nuove,ecologia e statistica. A rimanereentro questi limiti, si accentuanocertamente i nuovi sviluppi, ma alprezzo elevato di perdere la sostan-za del problema, posto dall’ereditàbiologica. Il gene è un’entità spa-ziale, nella struttura del genoma. Ilgene tuttavia non è solo, nel patri-monio genico umano se ne conte-ranno decine di migliaia, e l’ideaaffiorata qua e là, all’inizio delVentesimo secolo, di correlare unoa uno geni e cromosomi, finirà conl’apparire un’ingenuità che fa sor-ridere. Ciascuno dei ventisei cro-mosomi di Homo sapiens sapienssi rivelerà portatore di centinaia diunità geniche. Che cosa li unificanella matrice dell’organismo, an-che perché, anticipando il futuro,singoli organi e funzioni mostre-ranno di dipendere da centri dicontrollo genico situati su cromo-somi diversi? La “sintesi moder-na”, alla quale Huxley intitolava ilvolume sopra citato, definiva unrapporto inedito tra paradigmi di-sciplinari per spiegare il controver-so problema dell’evoluzione, matrascurava il punto di partenza, li-mitandosi a prendere atto che lacompetenza sull’entità genica eraormai passata alla chimica macro-molecolare, con la cancellazione diuna vecchia terminologia, doveerano radicati termini come proto-plasma, trofoplasma, idioplasma ealtri, sentiti peraltro dagli Autoripiù consapevoli come denotazioniprovvisorie.

Tra gli Autori citati, ai quali ap-partiene il merito di aver suggella-to un percorso cinquantennale del-la genetica, dallo Hertwig e dal

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von Beneden attraverso Mendel eMorgan fino ai popolazionisti neo-darwiniani – Ronald A. Fischer(1870-1962) di Londra, SewallWright (1889-1988) di Chicago eJohn B.S. Haldane (1892-1964) diLondra –, sarà il Dobzhansky a in-tuire il bisogno di un avanzamentoe rinnovamento sostanziali delleconoscenze. Intanto l’Europa haripreso l’iniziativa accanto agliStati Uniti con il John Innes Insti-tute di Cambridge, il KaiserWilhelm Institut di Berlino, l’Insti-tut de Biologie physicochimiquedi Parigi. Vivo ancora Morgan, sidiffonde insoddisfazione per la ge-netica formale che gli viene attri-buita, e si cerca nella chimica ciòche la morfologia non riesce a da-re. Uno spiraglio si apre per meritodei microbiologi del RockefellerInstitute di New York, dove ilgruppo di lavoro di Oswald T.Avery (1877-1955), con Colin M.MacLeod e Maclyn McCarty, la-vorava sullo pneumococco e veni-va acquisendo la prova che la viru-lenza batterica può essere trasmes-sa da un ceppo all’altro e divenireereditaria con un “principio tra-sformante” rappresentato dall’aci-do desossiribonucleico – DNA. LoAvery ne avrebbe riferito sul“Journal of exeperimental medici-ne”, nel ’4421. Mentre prenderà at-to della nuova genetica, post-mor-ganiana, il Dobzhansky nella terzaedizione della sua opera annotavache il potere di trasformazione del-la nuova sostanza si conservava fi-no a diluizioni estreme. In via pa-rallela ma autonoma dalle ricerchesul pneumococco, si erano svilup-pate quelle sui virus batterici aopera del gruppo del fago, costitui-tosi al Caltech di Pasadena intornoa Max Delbrück (1906-1981), conla partecipazione di Salvador Lu-ria e Alfred Herschey. Delbrückdimostrò che le particelle ultrami-croscopiche, costitutive dei fagi, siriproducono in gran numero entrotempi brevi. Luria introdusse nelgruppo il suo allievo James Wat-son, uno dei futuri scopritori della“doppia elica”, nel ’53. In sintesi,gli anni Quaranta del secolo ave-vano fatto entrare la chimica nelparadigma dei processi ereditari,identificando la natura, non ancorala struttura, delle sostanze in essacoinvolte e, a distanza di decenni,annodando un rapporto tra con-

temporanei che si erano ignorati: ilbotanico Mendel e il patologoJohann F. Miescher (1811-1887)di Basilea, scopritore della sostan-za acida contenuta nei nuclei cellu-lari. Nel lavoro citato dello Avery,il DNA della cellula batterica eradefinito “funzionalmente attivo”:restava da precisarne la funzionerispetto al gene. George Baedle eEdward Tatum, tra il ’43 e il ’45,avevano formulato l’ipotesi che ilprincipio genico avesse natura en-zimatica. Ma il DNA doveva esse-re identificato con il gene, e in talcaso rientrare nell’ipotesi enzima-tica, condivisa da molti ricercatori,o era invece un agente mutagenoche aveva nel materiale genico ilproprio terreno d’elezione? Su talequesito intervenivano gli esperi-menti del Delbrück a carico dei fa-gi, paralleli alla sperimentazionedello Avery, rivolta allo pneumo-cocco: l’elevata velocità di conver-sione di un ceppo in altro esclude-va il riferimento a un processo dimutazione casuale con successivaselezione.

Per la decrittazione anzituttostrutturale degli acidi nucleici,Erwin Chargaff (1905-2002) e ilsuo gruppo di lavoro alla Colum-bia University hanno il merito diaver dato un apporto fondamenta-le. Sul DNA si era creata “un’enor-me reviviscenza d’interessi”. Ven-gono descritte due classi di acidinucleici – DNA e RNA – e indivi-duati i loro costituenti: purine, piri-midine, pentosio e acido inorgani-co. In due tipici acidi nucleici, ilDNA da sperma di salmone e l’R-NA da lievito, variano soltanto unadelle pirimidine, rispettivamenterappresentate dalla timida e dall’u-racile, e lo zucchero dove al 2 –Deisossi – D ribosio del DNA si

sostituisce D – ribosio dello RNA.Chargaff si sarebbe in seguito rife-rito alla sperimentazione sulla vitacon parole di esemplare consape-volezza: “Eppure, resta sempre ilfatto che abbiamo distrutto una im-palcatura incredibilmente raffina-ta; che abbiamo interferito con unordine il cui grado è insondabile;che, con il fatto stesso di separare icomponenti cellulari, abbiamo di-strutto la loro connessione entele-chiale”22. Caduta l’ipotesi mera-mente strutturale del “tetranucleo-tide”, per cui pirine e pirimidinedel DNA si sarebbero ripetute nvolte nella forma (AGCT), l’acidodesossiribonucleico avrebbe as-sunto il ruolo di agente in una co-municazione non verbale ovveronella “informazione biologica”.Ma con gli anni Quaranta, entratinel paradigma della chimica ma-cromolecolare, acquistava unaspecifica rilevanza la configura-zione sterica del composto. Il 25aprile 1953 usciva su “Nature” unabreve memoria sulla Struttura mo-lecolare degli acidi nucleici di Ja-mes D. Watson (1928-) e FrancisCrick (1916-2004), con lo schemadella doppia elica, “che immedia-tamente suggeriva un possibilemeccanismo di copiatura per ilmateriale genetico”, osservavanogli Autori23. La “teoria del gene”,per tornare all’espressione delMorgan, poteva considerarsi giun-ta al suo compimento? E doveva ono supporsi esistente una teoriadella vita dietro quella del gene,distinta da essa? Si delinea, tra ibiologi, un orientamento contrad-dittorio. Al di sotto della doppiaelica c’è un ampio margine di si-tuazioni reali da acquisire e defini-re. Ma il DNA, nell’immaginariocollettivo, s’identifica ormai con lavita, e la genetica è il nuovo e ag-giornato nome della biologia. Tan-to più che si comincia a fare uso diuna terminologia, estranea nel re-cente passato al vocabolario biolo-gico, e desunta da un paradigma infase di rapida ascesa a un’autore-volezza indiscussa: la teoria del-l’informazione. L’informazionenon è materia e non è spazio, e puòessere invece identificata con ilconfine tra i due massimi concettidella filosofia e della scienza:quelli di “natura” e di “essere”. Senel gene c’è il compendio informa-zionale della vita, si giustifica la

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transizione terminologica da “ge-netica” a “genomica”, insieme al-l’accennata identificazione dei dueparadigmi, genomico e biologico.

I progressi della genomica nellacomprensione della sintesi protei-ca, durante il trentennio successivoa Watson e Crick, o meglio nelquarantennio successivo alloAvery, hanno dato forma e sostan-za a sviluppi d’imprevista esten-sione. L’RNA, da trasmettitore delmessaggio stereochimico dalDNA alle proteine, ha acquistatoun’autonoma rilevanza di replica-tore originario, nonché di trasmet-titore originario del massaggio ge-nomico, nella storia della naturavivente. La mappatura di fine ven-tesimo secolo del genoma umanoha occultato questa vicenda retro-stante, capace di parlare soprattut-to alle menti, alle coscienze, allepersone che sentono di ospitare insé stesse il segreto originario delmondo. E tale segreto si nascondenon nel gene, ma nella vita, che direcente è sembrata riacquistareuna priorità ontologica e logica. Ilritorno alla priorità di vita-viventesu gene-genoma si riflette anchesul passato, rivalutando il signifi-cato del paradigma cellulare e del-l’esigenza definitoria in esso im-plicita rispetto all’evoluzione inquanto matrice dell’evoluzioni-smo. S’incrinano una dopo l’altraposizioni teoriche riferentisi a ge-ne-genetica-genomica. Secondo ilgenetista William Gelbart, “siamoforse giunti al punto in cui l’usodel termine ‘gene’ […] potrebbeintralciare la nostra conoscenza”24:a differenza dei cromosomi, i genisono concetti più che oggetti mate-riali. Patologie legate a un singologene-morbo di Tay Sachs, corea diHuntington, fibrosi cistica, talasse-mia, fenilchetonuria – differisconoda altre, e sono la maggioranza,dove sono coinvolti più geni – ma-lattie cardiovascolari, ictus, diabe-te. Il genetista molecolare diOxford, David J. Weatherall, hamesso acutamente in luce l’impos-sibilità di prescindere dai diversimeccanismi di regolazione, entro iquali uno stesso gene può esseretrasferito. Il Progetto genomaumano, osserva Evelyn Fox Kel-ler, storico della scienza del MIT aBoston, ha deluso quanti sperava-no che la conoscenza delle sequen-ze sarebbe bastata a capire l’orga-

nismo: ma è stato prezioso perchéha tracciato una via più realisticaverso la comprensione della fun-zionalità organica25. La crisi delmodello un gene – un enzima è pe-raltro di origine non recente, e risa-le alla distinzione dei geni in“strutturali” e “regolatori”: i se-condi attivano e regolano i primi,responsabili della trascrizione inproteine26. Nasceva il modellodell’“operone”, presenti in essotutti i fattori che, coordinati da ungene regolatore, concorrono allasintesi proteica: ma si tratta di ele-menti spesso lontani dalle sequen-ze codificatrici. La stabilità della

struttura del gene risulta non ilpunto di partenza, ma il prodottofinale di un processo ipercomples-so, che richiede la partecipazionedi un gran numero di enzimi orga-nizzati in reti metaboliche. Mentrela replicazione del DNA implical’intervento di molte diverse pro-teine, con un processo di altissimacomplessità e stupefacente preci-sione. Il frutto entelechiale dellavita e del vivente, citato, come ab-biamo visto, dal Chargaff, sembrariemergere con una primaria, inne-gabile evidenza durante il “sognodel genoma umano”, per dirla conil genetista della Harvard Univer-sity Richard C. Lewontin27, masenza il suo apparente sarcasmo.Quel sogno non va dimenticato,come di solito accade all’esperien-za onirica, ma consegnato a una lu-

cida riflessione che lo riesamini econcretamente l’inserisca in unadiversa filosofia della natura.

Prof. VINCENZO CAPPELLETTIPresidente della Società italiana

di Storia della ScienzaRoma, Italia

Note1 MORGAN T.H., The rise of genetics, in

Science, 76, 1932, p. 261.2 DE VRIES H., Die Mutationstheorie. Ver-

suche und Beobachtungen über die Entstehungder Arten im Pfanzenreich, Leipzig 1901.

3 VIRCHOW R., Die Cellularpathologie, Ber-lin, 1858.

4 DARWIN CH., On the origin of species bymeans of natural selection, 1859 (18602, 18613,18664, 18695, 18726).

5 DARWIN CH., The variation of animals andplants under domestication, 2 voll., London,1868.

6 LYELL CH., Principles of geology, 3 voll.London, 1830-33.

7 SPENCER H., The principles of biology, 2voll. London, 1864.

8 NAGELI K.W., Mechanisch-physiologischeTheorie der Abstammungslehre, München,1884.

9 HUSSERL E., Die Krisis der europäischenWissenschaften, in Husserliana, VI, Dordrecht-Boston-London, 1954.

10 VIRCHOW R., Die Cellularpathologie inihrer Begründung auf physiologische undpathologische Gewebelehre, Berlin, 1859

11 WEISMANN, A., Über die Vererbung, Jena,1883.

12 WEISMANN A., Das Keimplasma: eineTheorie der Vererbung.

13 JOHANNSEN W.L., Elemente der exactenErblichkeitslehre, Jena, 1909.

14 WILSON E.B., The cell in development andheredity, New York, 1896.

15 MORGAN TH.H. ET AL., The mechanism ofmendelian heredity, New York 1915.

16 MORGAN TH. H., The theory of the gene,New York, 1926.

17 MULLER H. J., Artificial transmutation ofthe gene, in «Science», 46, 1927, pp. 84-87.

18 WEISMANN A., Die Bedeutung der sexuel-len Fortpfanzung für die Selektionstheorie, Je-na, 1886.

19 DOBZHANZKY TH., Genetics and the ori-gin of species, New York, 1937.

20 HUXLEY J.S., Evolution. The modernsynthesis, London, 1942.

21 AVERY O.T. ET AL., Studies on the chemi-cal nature of the substance inducing transfor-mation of pneumococcal types, in Journal ofexperimental medicine, 74, 1944, pp. 137-157.

22 CHARGAFF E., Acidi nucleici, in Enciclo-pedia del Novecento, 1975, I, p. 2.

23 WATSON J.D., CRICK F.H.C., Molecularstructure of nucleic acids, in Nature, 171,1953, pp. 737-738.

24 GELBART W., Data bases in genomic re-search, in Science, 1998, 282, p. 660: citato inE. FOX KELLER, The century of the gene, Cam-bridge-Mass, 2000, p. 53 tr. it.

25 Op. cit., tr. it. p. 55.26 MONOD J., JACOB F., Teleonomic mecha-

nisms in cellular metabolism, growth and diffe-rentiation, in Cold Spring Harbor Symposiumon quantitative biology, 26, 1961, pp. 389-401.

27 LEWONTIN R.C., Il sogno del genomaumano e altre illusioni della scienza, Bari,2002.

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Spetta a me il compito di illu-minare il tema della geneticaumana alla luce della Parola diDio. Ad una prima lettura, sembrache nelle Sacre Scritture non sitrovi nulla di genetica, cioè dellascienza biologica che studia i fe-nomeni dell’eredità e la variazio-ne nelle specie animali1. Certa-mente nella Parola di Dio non c’èun’intenzione scientifica. Le ve-rità contenute non sono propostescientifiche nel senso proprio deltermine, non sono cioè enunciatiempirici teorici, benché contenga-no verità teologiche e la teologiasia, in sé, una scienza. La parola diDio non trasmette verità rivelateper la nostra salvezza. “I libri del-la Scrittura insegnano con certez-za, fedelmente e senza errore laverità che Dio, per la nostra sal-vezza, volle fosse consegnata nel-le sacre Scritture”2. Proprio perquesto, nelle Sacre Scritture sco-priamo il mistero di Dio e il suodisegno d’amore sulla creazione.Questa ricchezza teologica illumi-na e chiarisce i fondamenti dellagenetica.

D’altro lato, il genoma e la ge-netica sono, a modo loro, ancheun modo di rivelarsi di Dio, inquanto portano in sé un messag-gio meraviglioso e affascinanteche Dio ha “scritto” per l’uomonella creazione. Il messaggio d’a-more di Dio che si trova nella Ge-nesi e il messaggio d’amore diDio che scopriamo nella geneticaprovengono da Dio stesso. Perquesto, il primo libro della Scrit-tura ci offre lezioni meravigliosedi teologia che servono per illu-strare e arricchire la scienza deigenetisti, così come la genetica cimostra l’impronta di Dio nellacreazione per completare il lavorodei teologi. Le connessioni sonomolteplici e in questa conferenzaho voluto scegliere solo alcune le-

zioni fondamentali in cui la Gene-si illumina la genetica e la geneti-ca spiega la Genesi.

1. La prima lezione è che Ada-mo, il figlio della Terra – è questoil significato del suo nome inebraico –, diventa uomo solo me-diante l’azione di Dio: “Allora ilSignore Dio plasmò l’uomo conpolvere del suolo e soffiò nelle suenarici un alito di vita e l’uomo di-venne un essere vivente”3.

Dio è causa dell’uomo, la suaCausa Suprema. Ogni essere uma-no ha come origine una causaumana e una causa divina. L’infor-mazione genetica, di per sé, nonpuò essere causa dell’essere uma-no se accettiamo che l’essere uma-no è un essere spirituale, dotato diragione e libera volontà. L’animaspirituale non è presente nella ge-netica, bensì è creata individual-mente da Dio. L’anima, come ilgenoma, è irripetibile ma creata enon generata, come, invece, è ilcaso del genoma. La genetica spie-ga l’essere umano, però non spie-ga tutto nell’essere umano; non nespiega la causa, benché ne indichil’origine.

È vero che “la moderna cono-scenza della biologia molecolareci permette di constatare che ogniessere vivo ha un genoma propriodella sua specie; ed è precisamenteciò che lo definisce come membrodi quella specie e non di un’altra”4.Però, quantunque il genoma ci in-segni l’appartenenza alla specieumana, non ci dà in sé la condizio-ne di persona5; basti vedere comemolte cellule del nostro corpo, an-che da esso separate, pur posse-dendo la carica genetica completa,non sono, tuttavia, persone. Il ge-noma è un documento d’identità,però la ragione ultima di tale iden-tità va cercata oltre, e cioè nelCreatore del genoma.

Dio è l’autore della vita umana,di ogni vita umana. La vita è un re-galo d’amore di Dio all’uomo.“Perché la vita è un bene? La do-manda ricorre in tutta la Bibbia, egià dalle prime pagine trova una ri-sposta efficace e ammirevole. Lavita che Dio dona all’uomo è origi-nale e diversa da quella delle altrecreature viventi, in quanto l’uomo,benché provenga dalla polvere del-la terra6, è manifestazione di Dionel mondo, segno della sua presen-za, splendore della sua gloria7. Èciò che ha voluto accentuare ancheSant’Ireneo di Lione con la sua ce-lebre definizione: “La gloria diDio è l’uomo che vive”8. All’uomoè stata data un’altissima dignità,che ha le proprie radici nel vincolointimo che lo unisce al suo Creato-re: nell’uomo si riflette la realtàstessa di Dio”9.

2. Ed ecco la seconda lezioneche ci offre la Sacra Scrittura: ilgenoma non è l’essere umano. Loidentifica, ma non lo definisce.Nell’essere umano ci sono un’in-telligenza, una responsabilità e unalibertà che non sono frutto delmondo organico, bensì apparten-gono al mondo dello spirito. L’es-sere umano è molto più che un ge-noma. È l’anima spirituale a con-ferire dignità al genoma, non ilcontrario. La Dichiarazione uni-versale dell’UNESCO sul genomaumano e i Diritti dell’Uomo affer-ma che il “genoma umano è allabase dell’unità fondamentale ditutti i membri della famiglia uma-na e del riconoscimento della suadignità e diversità intrinseche”10.Così come è formulato, il testosembra far intendere che l’essereumano ha, nel menoma, il fonda-mento della propria dignità. Inrealtà, sono la dignità dell’uomo el’unità della famiglia umana a con-ferire valore al genoma umano e a

DARÍO CASTRILLON HOYOS

2. La genetica umana alla luce della parola di Dio

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esigere che questo sia protetto inmaniera particolare.

Accettando il concetto biologicodi specie, la domanda può essereformulata nel seguente modo: cosacaratterizza gli individui della spe-cie umana e li differenzia dalle al-tre specie? Si potrebbe pensare chela risposta sia proprio il genoma,però i dati sperimentali ci diconoche le informazioni genetiche dientrambi contengono oltre il 90%di geni comuni e che l’organizza-zione cromosomica coincide nel99%, od oltre. È, quindi, ciò chesta nel DNA11 della specie umana aconferirgli la sua singolarità? Cer-tamente, oggigiorno sembra im-possibile giungere a identificare,isolare e caratterizzare all’internodel genoma umano l’informazionegenetica che ci conferisce la cate-goria di essere umani. In un dibat-tito riguardante il Progetto Geno-ma Umano12, il Dott. J. Craig Ven-ter alluse all’interesse che potevaavere la realizzazione parallela diun Progetto Genoma Scimpanzéche avrebbe permesso di compara-re le sequenze del genoma dell’uo-mo e di quello dello scimpanzé e,forse, scoprire qualche differenzarilevante nei rispettivi DNA.

Sembra che, invece, ciò che de-termina geneticamente un essereumano, differenziandolo da qual-siasi altra specie animale, siaespresso nel suo comportamento.L’essere umano, nel suo agire,esprime delle capacità che lo diffe-renziano dalle altre specie animali.Le capacità che sviluppa vannoben oltre qualsiasi informazionegenetica. Ci sono in lui, infatti, ca-pacità di riflessione, di decisione edi ragionamento che lo rendonounico.

Per questo, si può dire che nel-l’essere umano il genoma è il mar-chio d’identità, ma non l’identità.Nella genetica troviamo l’immagi-ne e la somiglianza di Dio presentiin ogni essere umano. “La voca-zione all’amore è ciò che fa del-l’uomo l’autentica immagine diDio: egli diventa simile a Dio nel-la misura in cui diventa qualcunoche ama”13.

“L’uomo è infatti anima che siesprime nel corpo e corpo che è vi-vificato da uno spirito immortale.Anche il corpo dell’uomo e delladonna ha dunque, per così dire, uncarattere teologico, non è sempli-

cemente corpo, e ciò che è biologi-co nell’uomo non è soltanto biolo-gico, ma è espressione e compi-mento della nostra umanità”14.

Il soggetto non è il genoma, mala persona. È l’“io” personale a so-stenere il genoma, non il contrario.L’anima umana, che è spirituale,dà vita al genoma e conferisce al-l’essere umano facoltà proprie: in-telligenza e libera volontà. Perquesto, Gesù Cristo, vero Dio, èvero uomo non solo perché condi-vide il genoma umano, ma ancheperché assume la natura umana.Cristo è umano per la sua genetica,ma lo è, anche e soprattutto, per-ché ha un’anima spirituale che lorende capace di amare, capace dipensare, capace di decidere libera-mente.

3. La terza lezione è che l’esse-re umano è un essere profonda-mente dipendente da Dio. Dio èl’origine della vita umana, ma an-che il modello al quale tende.

Nella Genesi, di tutti gli essericreati, l’essere umano è l’unico aricevere un comandamento diretta-mente dal Signore: “Siate fecondie moltiplicatevi”15. Il compito ap-pare come un gesto d’amore pienodi fiducia verso l’essere umano:“Siate fecondi e moltiplicatevi,riempite la terra; soggiogatela edominate sui pesci del mare e sugliuccelli del cielo e su ogni esserevivente, che striscia sulla terra”16.È come un foglio di istruzioni sul-la creazione: “Ecco, io vi do ognierba che produce seme e che è sututta la terra e ogni albero in cui èil frutto, che produce seme: saran-no il vostro cibo. A tutte le bestieselvatiche, a tutti gli uccelli delcielo e a tutti gli esseri che striscia-no sulla terra e nei quali è alito divita, io do in cibo ogni erba ver-de”17. Dio pone la sua opera nellemani dell’essere umano e, allostesso tempo, lo invita a curarlacome una cosa che è stata creataper il suo bene. Il modo in cui lodice, rivolgendosi a una pluralitàdi persone, evidenzia maggior-mente il riferimento alla specieumana, a tutti gli esseri umani.

Perché il Signore fa questo?Perché l’essere umano è l’unico aricevere istruzioni esplicite da par-te di Dio? Perché gli altri esserino? In questi le istruzioni sonoscritte nell’istinto, sono predeter-

minate; l’essere umano è l’unicoche può comprendere le istruzionidi Dio e collaborare attivamentecon Lui, in maniera consapevole elibera. È questa la differenzaprofonda. La vita, ogni vita, hauna lunga storia; ciascun indivi-duo di qualsiasi specie animale haun inizio molto preciso: il momen-to del suo concepimento. L’essereumano, però, è l’unico che, daquesto inizio, comincia un compi-to di autocostruzione e di uso re-sponsabile del resto della creazio-ne. Ciascun essere umano, comequalsiasi animale, dall’inizio dellasua vita, dalla sua prima cellula,inizia a farsi, a costruirsi. Egli peròè l’unico a proseguire questo cam-mino in modo cosciente, come uncompito del quale è responsabile.

“In questo modo si riafferma ilprimato dell’uomo sulle cose, lequali sono ordinate a lui e affidatealla sua responsabilità, mentre pernessun motivo l’uomo può esseresottomesso ai suoi simili e ridottoal rango di cosa. Nel racconto bi-blico, la distinzione tra l’uomo e lealtre creature si manifesta soprat-tutto nel fatto che solo la sua crea-zione si presenta come frutto diuna decisione particolare da partedi Dio, di una deliberazione chestabilisce un legame particolare especifico con il Creatore: “Faccia-

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mo l’uomo a nostra immagine, anostra somiglianza”18. La vita cheDio offre all’uomo è un dono concui Dio condivide qualcosa di sécon la creatura. Israele si chiederàper molto tempo sul senso di que-sto vincolo particolare e specificodell’uomo con Dio. Anche il librodel Siracide riconosce che Dio, nelcreare gli uomini, “secondo la suanatura li rivestì di forza, e a sua im-magine li formò”19. Con questo ilsacro autore manifesta non solo ilsuo dominio sul mondo, ma anchele facoltà spirituali più caratteristi-che dell’uomo, come la ragione, ildiscernimento del bene e del male,la libera volontà: “Li riempì di dot-trina e d’intelligenza, e indicò loroanche il bene e il male”20. La capa-cità di conoscere la verità e la li-bertà sono prerogative dell’uomoin quanto creato a immagine delsuo Creatore, il Dio giusto e retto21.Solo l’uomo, tra tutte le creaturevisibili, è “capace di conoscere e diamare il suo Creatore”22. La vitache Dio dona all’uomo è molto piùche un esistere nel tempo. È ten-sione verso una pienezza di vita, ègerme di un’esistenza che superagli stessi limiti del tempo: “Dio hacreato l’uomo per l’immortalità; lofece a immagine della propria na-tura”23-24.

4. La quarta lezione si riferiscealla natura umana. È vero che lavolontà filosofica modernista di“liberare” la natura dal peso di Dioporta a perdere di vista la realtàstessa della natura, inclusa la natu-ra dell’uomo, riducendola a un in-sieme di funzioni, di cui si può di-sporre secondo i propri gusti percostruire un presunto mondo mi-gliore e una presunta umanità piùfelice; invece si distrugge il dise-gno del Creatore e, allo stesso tem-po, la verità della nostra natura.

Oggi sappiamo che la mappagenetica dimostra che gli esseriumani sono come fratelli gemelligiacché, dei tre milioni di caratteriche portiamo iscritti nei nostri cro-mosomi, solo poche migliaia di es-si variano. In altri termini, oltre il99,9% della mappa genetica diogni individuo è identica. L’infor-mazione genetica contenuta inogni cellula occuperebbe circacentomila pagine di un periodico.Circa 99.900 pagine sarebberouguali per tutti gli esemplari di es-

seri umani. Le cento restanti sareb-bero quelle che formano la nostrastatura, il nostro metabolismo e ilcolore della pelle. Per questo, lescoperte di Craig Venter, FrancisCollins e degli altri ricercatori delProgetto Genoma Umano relati-vizzano categorie che fino a pocofa erano considerate miti sociali,come ad esempio, il concetto dirazza. Non esiste un codice geneti-co che distingua gli slavi dai bosci-mani. Le differenze e le similitudi-ni tra le due razze sono tanto de-bolmente marcate come possonoesserlo due persone nate nello stes-so villaggio25.

Tutti gli esseri umani hanno unastessa natura, una stessa dignità.Le differenze tra di loro sono solocontingenti. La natura umana gui-da verso un modo di comporta-mento. È una natura che non si ri-duce – come si è visto – a una di-mensione biologica, ma va oltre.L’essere umano si distingue daglialtri esseri della creazione per que-ste capacità spirituali proprie dellasua natura, che superano il pianomateriale: la capacità di amare, lalibertà di scelta, la capacità dicomprendere e seguire il mandatoricevuto da Dio. E questa naturacontrassegna una direzione eticanell’essere umano che è l’unicocorresponsabile della Creazioneassieme a Dio.

5. Giunti a questo punto, possia-mo fare un cambiamento di pro-spettiva e partire dalla genetica perscoprire nuovi elementi utili perapprezzare la meravigliosa identitàe dignità dell’essere umano.

Trentacinque anni fa, negli StatiUniti, la sentenza del tribunale Su-premo nel caso Roe versus Wadeaffermò che, dato che non cono-sciamo il momento in cui inizia lavita umana, siamo liberi di decide-re una cosa o l’altra. Da allora lascienza ha compiuto un progressovertiginoso. Oggi sappiamo che lavita ha una storia molto lunga; èstata trasmessa millenni fa nel ge-nere umano, tuttavia, ciascuno dinoi ha un momento di inizio preci-so, che è quello in cui tutta l’infor-mazione genetica, necessaria esufficiente, si riunisce in una cellu-la, l’ovulo fecondato. Quel mo-mento è il momento della feconda-zione e non esiste il minimo dub-bio su questo26.

Di un embrione di una settima-na d’età possiamo dire che “è unuomo” o che “è una donna”. Vaoltre l’immaginabile che i legisla-tori, riconoscendo freddamenteche questo embrione di una setti-mana è un bambino o una bambi-na, non vogliano riconoscere allostesso tempo che è una personaumana27.

La vita è scritta in un linguaggiofantasticamente ridotto. Quandovenne emesso il verdetto del casoRoe versus Wade, pur sapendoche all’interno della prima cellulasi trovava l’informazione geneti-ca, nessuno poteva leggerla e nes-suno era in grado di anticipare ilmodo con cui si sarebbe manife-stata perché diventasse un esserevivente che ci dicesse: “Sono unessere umano”. Oggi sappiamoche la vita è molto simile a ciò cheavviene con un nastro magneticoin cui è stata registrata della musi-ca. Nel nastro non ci sono note.Nel registratore non ci sono musi-cisti né strumenti. Pur tuttavia,poiché l’informazione è stata co-dificata nel momento in cui è stataricevuta da un microfono e poitrasmessa al nastro, la puntina puòleggerla, dare impulso agli alto-parlanti e così ciò che si riproducenon sono i musicisti né le notedella partitura. Ciò che si trasmet-te, se ascoltate la “La Piccola Se-renata”, è il genio di Mozart28.

Siamo in grado di individuare,al di là di ogni dubbio, chi è il pa-dre biologico. La società, invecedi considerare il bebè come un cri-minale da eliminare mediante l’a-borto, deve riconoscerlo come unessere umano. Se si conoscono igenitori, l’essere umano con unpadre indegno deve essere preoc-cupazione e non vittima della na-zione29.

Da questi dati si deduce unaquinta lezione: Dio ha concessoall’essere umano una capacità in-tellettuale che gli serve per scopri-re le proprie tracce nella creazio-ne, specialmente in se stesso, perargomentare, dall’esperienza, leleggi morali che il Signore gli hadettato mediante la Rivelazione.In questo tratto si scoprono nuo-vamente l’immagine e la somi-glianza di Dio30 esistenti nell’esse-re umano, tema centrale della Ge-nesi. Tuttavia, l’essere umano puòagire contro queste evidenze.

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78 IL GENOMA UMANO

6. La sesta lezione sottolineal’importanza che acquisiscono ladifferenziazione e la complementa-rietà sessuale nel piano di Dio.

Il testo della Sacra Scrittura, neidue racconti della creazione del-l’essere umano, parla di una com-plementarietà sessuale: “Maschioe femmina li creò”31. Questa diffe-renziazione sessuale segna profon-damente l’essere umano, e la gene-tica ci svela che questa stessa dif-ferenza sta scritta in ogni celluladel corpo, dal primo momento delconcepimento. La natura umanaporta il timbro della sessualità co-me segno di complementarietà,come ambito dell’amore. In questomodo, Dio iscrive nell’umanitàdell’uomo e della donna la voca-zione e, di conseguenza, la capa-cità e la responsabilità dell’amoree della comunione32. Una volta dipiù, ciò che ci insegna la SacraScrittura ce lo dice la genetica.

Il Dott. Sir Alec Jeffries, un emi-nente specialista nel DNA, scoprìche il messaggio genetico dellospermatozoide era accentuato informa differente al messaggio ge-nerico trasportato dall’ovulo.Quando si studia qualcosa e si leg-ge un libro, molto spesso si prendeuna matita e si sottolinea una fraseche si pensa di dover ricordare per-ché è molto importante. E a volte,si fa una X su un altro passaggioperché non se ne ha bisogno im-mediatamente. È esattamente ciòche la natura fa con la totalità delmessaggio genetico33.

Al principio della nostra vita ab-biamo due metri “di nastro”, e laquantità di lettere scritte in questidue metri è cinque volte più gran-de di quelle dell’Enciclopedia Bri-tannica. Ossia, per imprimere ilnome di tutte le basi esistenti nelnostro codice genetico, avremmobisogno di cinque collane di volu-mi della grandezza dell’Enciclope-dia Britannica. Comprendiamocosì perché è molto prudente chela natura sottolinei alcune frasi,perché devono essere decifrate im-mediatamente dalla prima cellula ecollochi una X in altre che sarannousate molto più tardi nella vita. Lacellula non può farlo tutto allostesso tempo, deve iniziare da unaparte34.

Negli uomini è sottolineata unaparte del messaggio e nelle donneun’altra parte distinta. […] Ciò

che è stato sottolineato del mes-saggio maschile dice alla primacellula come costruire la membra-na che proteggerà il bebè e comecostruire la placenta che prenderàle scorte di sangue dalla madre;così, di fatto, l’uomo ha nella pri-ma cellula il dovere di procurarel’alimento e costruire l’albergo, dicostruire la capanna e andare acaccia. Al contrario, il messaggiofemminile è quello di come for-mare differenti parti che, una voltaassemblate, formeranno un bam-bino. È veramente straordinarioche la divisione dei compiti chetroviamo negli adulti, sia già scrit-ta nel linguaggio ridotto della ge-netica nella prima cellula di unmillimetro e mezzo di larghezzache è l’epitome, il compendio, ladiminuzione alla minima espres-sione della persona umana35.

La differenziazione sessuale cheil genoma ci mostra è, allo stessotempo, indicativa e normativa; èun dato genetico che segnala ognicellula dell’essere umano. Questoriceve tale differenziazione ses-suale come un dono che Dio gli fa,in funzione della sua vocazione al-l’amore di complementarietà. Ineffetti, “Dio ha creato l’uomo a suaimmagine e somiglianza36: chia-mandolo all’esistenza per amore,l’ha chiamato nello stesso tempoall’amore. Dio è amore37 e vive inse stesso un mistero di comunionepersonale d’amore. Creandola asua immagine e continuamenteconservandola nell’essere, Dio

iscrive nell’umanità dell’uomo edella donna la vocazione, e quindila capacità e la responsabilità del-l’amore e della comunione 38. L’a-more è, pertanto, la fondamentalee nativa vocazione di ogni essereumano. In quanto spirito incarna-to, cioè anima che si esprime nelcorpo e corpo informato da unospirito immortale, l’uomo è chia-mato all’amore in questa sua tota-lità unificata. L’amore abbracciaanche il corpo umano e il corpo èreso partecipe dell’amore spiritua-le”39. Nel piano di Dio sull’uomoc’è una differenziazione sessualeorientata all’amore di reciprocadonazione nella complementa-rietà.

L’attuale volontarismo suggeri-sce e permette la possibilità del co-siddetto “cambiamento di sesso”,per riorientare l’essere umano se-

condo le proprie tendenze sessuali.Questo cambiamento, però, nonarriva a modificare il codice gene-tico di ogni cellula che porta scrit-ta in sé la differenziazione sessua-le. Si tratta di un cambiamento disesso gonadico, morfologico, fe-notipico, per adattarsi al sesso psi-chico, però non può cambiare ilsesso genetico, quello che contras-segna la sessualità umana intesacome una caratteristica essenzialedella persona, non solo comeun’attività accidentale. È vero chela sessualità umana è molto piùche genetica, però si deve rispetta-re ciò che la natura ha scritto nellagenetica.

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7. La settima lezione ci insegnaqualcosa circa la relazione tra ge-netica e predeterminazione ed èche il genoma non predeterminal’essere umano, benché contrasse-gni molte delle sue caratteristichesomatiche. Craig Venter, fondatoredi Celera Genomics, la compagniaprivata leader nella ricerca geneti-ca integrata nel Progetto “GenomaUmano”, trae la conclusione che“la meravigliosa diversità degli es-seri umani non sta tanto nel codicegenetico inciso nelle nostre cellulebensì in come la nostra eredità bio-logica si relaziona con l’ambien-te”40. “Non abbiamo geni suffi-cienti per giustificare la nozione dideterminismo biologico”41, diceCraig Venter, che sottolinea comealtamente improbabile che possa-no esistere geni specifici sull’alco-lismo, l’omosessualità o la crimi-nalità.

Se una conclusione si può trarredalle conoscenze della mappa ge-netica è che l’uomo è molto pocodeterminato dai suoi geni, dato cheuna grande diversità di comporta-menti umani si contrappone allastraordinaria similitudine geneticadi ognuna delle loro cellule.

Proseguendo con le deduzioniprecedenti, la Sacra Scrittura cipresenta Caino e Abele, due esserimolto simili per la genetica e mol-to differenti per le loro scelte piùprofonde, per la loro relazione conil Creatore.

Caino e Abele erano quasi ugua-li dal punto di vista genetico, perònella storia della salvezza sono ri-masti collocati – se così si può dire– in categorie radicalmente distin-te: quella dell’uomo buono e rettoe quella dell’uomo che uccide ilproprio fratello. Caino commette ilcrimine di attentare alla vita uma-na. La domanda: “Che hai fat-to?”42, con cui Dio si rivolge a Cai-no dopo che questi ha ucciso il fra-tello Abele, traduce l’esperienza diogni uomo: nel profondo della suacoscienza, egli viene sempre ri-chiamato all’inviolabilità della vi-ta – la sua e quella degli altri –, co-me realtà che non gli appartiene,perché proprietà e dono di DioCreatore e Padre”43. Perché Cainoarriva a fare questo? Era già neisuoi geni?

Già i filosofi greci discutevanosul primato della natura o dellacultura nella formazione della

personalità. Le ultime scoperte ge-netiche riaffermano l’importanzadella cultura. L’individuo nascecon alcuni condizionamenti biolo-gici, ma sono la famiglia, la scuolae l’ambiente a orientarlo nellascelta di un cammino tra le mi-gliaia di possibilità offerte dall’esi-stenza, e questa scelta del cammi-no è, in sé, libera, benché possa es-sere molto influenzata. Pertanto, igeni sono responsabili solo del fat-to che siamo biondi o bruni, e nondei nostri insuccessi o dei nostri er-rori, così come non spiegano ilsuccesso o il genio. La cosa piùprobabile è che nei geni di Miguelde Cervantes, Dante Alighieri,William Shakespeare, Leonardoda Vinci, Michelangelo Buonarrotio Wolfgang Amadeus Mozart, nonci fosse nulla che li differenziassedai loro progenitori o fratelli. Ilche dimostra che, nell’essere uma-no, al di sopra dei geni ci sono, so-prattutto, il gusto personale e la li-bertà di scegliere.

Gli studi sul genoma umano cidicono che, anche se migliora lanostra conoscenza dell’essereumano, questo continua a essereun grande mistero. I geni di unsanto possono essere gli stessi diquelli di un criminale. La differen-za tra la condotta dell’uno e del-l’altro sta negli stimoli che ha rice-vuto dall’esterno e, soprattutto,nella propria capacità di scegliereliberamente. È una cosa che giàappare tristemente nella Genesi, ildramma di un essere umano cheuccide il proprio fratello di sangue,il figlio degli stessi genitori, edu-cato nello stesso ambiente, creatonello stesso modo. E portiamoquesta eredità fin dalla nascita.

8. Dopo aver contemplato l’ere-dità del peccato nell’essere umano,l’ottava lezione ci riempie di spe-ranza quando scopriamo che il ge-noma umano è il marchio di un li-gnaggio destinato a vincere sulmale. Il cosiddetto protoevangeliodella Genesi ci presenta una profe-zia che si riferisce a tutta la discen-denza umana nata da Eva: “Ioporrò inimicizia tra te e la donna,tra la tua stirpe e la sua stirpe: que-sta ti schiaccerà la testa e tu le insi-dierai il calcagno”44. È il primo an-nunzio della redenzione. Segnalauna chiara inimicizia tra il serpen-te e l’umanità che durerà nel tem-

po fino a che il lignaggio umanoschiaccerà la testa del serpente.Purtroppo, la traduzione greca fainiziare l’ultima frase con un pro-nome maschile che pare attribuirela vittoria non al lignaggio delladonna in generale, bensì a un uo-mo della sua discendenza, ma nonè questo ciò che viene detto nel te-sto ebraico che segnala chiaramen-te che la vittoria sarà di tutta la di-scendenza. In latino è stato inter-pretato con il famoso ipsa contene-ret caput tuum45, che i Padri riferi-scono sempre a Maria. Ella è coleiche genera come Madre la nuovaumanità che ha superato il male,che lo ha vinto. La donna si fa cen-tro e testa dell’umanità salvata.Maria è la nuova Eva perché è laMadre dei viventi, viventi nellagrazia; non solo mediante la vitabiologica, ma anche attraverso lavita di grazia, che è presenza dellavita divina nell’anima.

Maria, discendente di Eva nel li-gnaggio genetico, è la prima di unnuovo lignaggio spirituale, che èinvitato a nascere nuovamente nel-la santità. A lei siamo chiamati dal-l’eternità.

S.Em.za Card. DARIO CASTRILLÓN HOYOS

Prefetto della Congregazione per il Clero,Santa Sede

Note1 La genetica attuale può essere divisa per

oggetto e metodi in vari rami: la genetica for-male e citologica, che studia le leggi della tra-smissione dei caratteri ereditari e dei meccani-smi citologici responsabili; la genetica fisiolo-gica, che ricerca il modo d’azione dei geni e iprocessi fisiologici e biochimici mediante iquali si manifestano; la genetica di popolazio-ni e la genetica evolutiva, che studiano le rela-zioni e la distribuzione dei geni e le loro varia-zioni nelle popolazioni.

2 CONCILIO VATICANO II, Costituzione dog-matica Dei Verbum, 11.

3 Gen 2,7.4 PILAR CALVA, Genoma humano, en J. M.

SEPTIÉN (coord.), El aborto. Ética, verdad yjusticia, Diana, México 2003, p. 34.

5 Cfr. M. CRESPO, Menschenwürde: Me-taphysik und Ethik, Universitätsverlag C.Winter, Heidelberg 1998; J. F. CROSBY, TheSelfhood of the Human Person, The CatholicUniversity of America Press, Washington1996; R. GUERRA, Afirmar a la persona por símisma, CNDH, México 2003; R. GUERRA,Volver a la persona, Caparrós, Madrid 2002;J. SEIFERT, Essere e Persona, Vita e Pensiero,Milano 1983; M. SERRETI, Conoscenza di sé etrascendenza, ISTRA-CSEO Saggi, Bolgona1984; R. SPAEMANN, Personas. Acerca de la

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80 IL GENOMA UMANO

distinción entre “algo” y “alguien”, EUNSA,Pamplona 2000; K. WOJTYLA, Persona e At-to, Bompiani, Milano 2001.

6 Cfr. Gen 2,7; 3,19; Gb 34,15; Sal103/102,14; 104/103,29.

7 Cfr. Gen 1,26-27; Sal 8,6.8 Gloria Dei vivens homo: Ad. Haer., IV,

20, 7.9 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica

Evangelium vitae, 34.10 UNESCO, Dichiarazione universale sul

genoma umano e i Diritti Umani, Parigi, 11novembre 1997, art. 1.

11 Abbreviatura dell’acido desossiribonu-cleico.

12 DOTT. SANTIAGO GRISOLÍA (coord.), ElDerecho ante el Proyecto Genoma Humano,Bilbao, España, 1993.

13 BENEDETTO XVI, Discorso al CongressoEcclesiale della Diocesi di Roma, 6 giugno2005.

14 BENEDETTO XVI, Discorso al CongressoEcclesiale della Diocesi di Roma, 6 giugno2005.

15 Cfr. Gen 1,22.16 Gen 1,28.17 Gen 1,29-30.18 Gen 1,26.

19 Sir 17,3.20 Sir 17,6.21 Cfr. Dt 32,4.22 CONCILIO VATICANO II, Costituzione pa-

storale Gaudium et spes, 12.23 Sap 2,23.24 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica

Evangelium vitae, 34.25 Cfr. Diario El Mundo, Madrid, 12 de fe-

brero de 2001, Opinión Editorial: El mapa delser humano reafirma la libertad individual.

26 Il verdetto del caso Roe vs. Wade, 22gennaio 1973, legalizzò l’aborto negli StatiUniti.

27 Cfr. JEROME LEJEUNE, Discurso ante laAsamblea Legislativa del Estado de Louisia-na (USA), 7 de junio de 1990: Revista “AllAbout Issues”, vol 5, otoño de 1991, pp. 17-20. Derechos registrados por la American Li-fe League. Traducido por el DOTT. ARMANDOCIFUENTES RAMÍREZ, Cali, Colombia.

28 Cfr. JEROME LEJEUNE, o.c.29 Cfr. JEROME LEJEUNE, o.c.30 Cfr. JEROME LEJEUNE, o.c.31 Cfr. Gen 1,26.32 Gen 1,27.33 Cfr. JUAN PABLO II, Exhortación apostó-

lica postsinodal Familiaris Consortio, 11; Cf.

CONCILIO VATICANO II, Constitución pastoralGaudium et spes, 12.

34 Cfr. JEROME LEJEUNE, o.c.35 Cfr. JEROME LEJEUNE, o.c.36 Cfr. JEROME LEJEUNE, o.c.37 Cfr. Gen 1,26 ss.38 Cfr. 1Jn 4,8.39 CONCILIO VATICANO II, Costituzione pa-

storale Gaudium et spes, 12.40 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione aposto-

lica postsinodale Familiaris Consortio, 11.41 Diario EL MUNDO, Madrid, 12 de febre-

ro de 2001, Opinión Editorial: El mapa delser humano reafirma la libertad individual.

42 Cfr. Diario EL MUNDO, Madrid, 12 defebrero de 2001, Opinión Editorial: El mapadel ser humano reafirma la libertad indivi-dual.

43 Gn 4,10.44 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica

Evangelium vitae, 40.45 Gen 3,15.46 Nell’edizione latina della Nea Vulgata,

“ipsa” è stato sostituito con “ipsum” sottoli-neando così il riferimento al lignaggio gene-tico: Inimicitias ponam inter te et mulierem etsemen tuum et semen illius; ipsum conteretcaput tuum, et tu conteres calcaneum eius.

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Sono molto onorato, anche se unpoco intimorito, di trovarmi quioggi in un gruppo di studiosi tantoillustri. Sono, in modo particolare,intimidito dal lavoro di coloro che,nella situazione attuale, si sono de-dicati alla “realtà” della scienzagenetica. Meritano in modo parti-colare la nostra gratitudine ed ilnostro rispetto gli scienziati che,attraverso l’esplorazione del po-tenziale terapeutico della ricercasui genomi, hanno dedicato la pro-pria vita al servizio degli altri. Ilmio compito, tuttavia, è legger-mente diverso da quello della mag-gior parte dei relatori che mi hannopreceduto in questa conferenza. Ilmio discorso rientra nella sezionesull’ “Illuminazione”, che è dedi-cata alla riflessione sulla dimen-sione spirituale ed etica del lavorosul genoma umano. Perciò, benchéio creda che quando la medicinagenomica viene gestita in modo re-sponsabile sia in grado di offriregrandi speranze nel curare gli am-malati e nel dare sollievo a chi sof-fre, ritengo mio dovere presentarealcuni dei rischi morali a cui siamoesposti nel perseguire un futuro dimedicina genomica.

Permettetemi di iniziare formu-lando i miei commenti in terminidi due riserve generali. Innanzi tut-to, non vorrei riflettere solo sulledimensioni etiche e spirituali dellaricerca genetica e della medicinaintese in modo limitato, ma vorreiinvece porre questa ricerca nelcontesto più ampio di ricerca bio-tecnologica e di medicina rigene-rativa in senso più generale. Io cre-do, cioè, che nel pensare alle im-plicazioni etiche e spirituali dellamedicina genomica dobbiamo pre-stare attenzione ad una vasta gam-ma di questioni legate all’incarna-zione, alle limitazioni della specie

e alla natura umana che vengonosollevate dai recenti sviluppi inquello che Bruce Jennings chiamail “regime di biopotenza”1. In se-condo luogo, benché io creda chequello che dirò sia pertinente, insenso generale, con la riflessionesu questo regime di biopotenza, imiei commenti scaturiscono dallamia esperienza nel contesto ameri-cano. Come sapete, la particolareossessione americana per l’auto-nomia individuale è spesso in con-trasto con l’attenzione verso il be-ne comune e la solidarietà verso ipoveri e gli emarginati della so-cietà. Perciò, alcune delle preoccu-pazioni che solleverò potrebberoessere particolarmente acute negliStati Uniti, anche se esse meritanol’attenzione di tutti.

Con queste riserve in mente, misi permetta di iniziare con un passodel meraviglioso saggio di C.S.Lewis The Abolition of Man.Lewis scrive: “La fase finale è ar-rivata quando l’uomo, attraversol’eugenetica, il condizionamentoprenatale e una educazione e unapropaganda basate sulla psicologiaperfettamente applicata, ha rag-giunto il pieno controllo su se stes-so. La natura umana sarà l’ultimaparte della natura ad arrendersi al-l’uomo2. Quando questo accadrà –dice Lewis – gli uomini non saran-no più uomini; saranno invece ma-nufatti. La conquista della naturada parte dell’umanità si sarà “rive-lata come l’abolizione dell’uomo”.

La preoccupazione di Lewis, perla trasformazione degli esseriumani in manufatti, fornisce loscenario per il primo tema che de-sidero esplorare, e precisamentel’importanza del fatto che il regi-me di biopotenza offre la prospet-tiva di mutare in modo basilare ilsignificato dell’incarnazione uma-

na, trasformando in modo signifi-cativo i confini della vita umana.

Per avere un’idea del tipo di pro-blema connesso al mutamento deiconfini dell’esistenza umana, siconsideri il concetto della naturaletraiettoria di una vita. Benché taleconcetto abbia avuto un suo ruoloin alcuni dibattiti sulla bioetica, letecnologie genetiche mettono inquestione la nozione stessa di unatale traiettoria e i concetti della na-tura umana in cui il processo di in-vecchiamento, tipico della specie,riveste un significato normativo.

Si pensi, ad esempio, come ilteologo morale Luterano, GilbertMeilaender, utilizza l’idea di unatraiettoria di vita umana per illu-strare questioni fondamentali dellabioetica3. Secondo Meilaender, incampo bioetico negli ultimi tren-tanni i due punti di vista di cosa si-gnifica avere una vita ed essereuna persona sono sempre stati incontrasto ed entrambi sostengonodecisamente posizioni diverse supraticamente ogni questione mora-le che si può incontrare in questoambito. Per Meilaender, avere unavita significa esattamente che esi-ste una traiettoria che traccia un“disegno naturale” nella vita incar-nata che “attraverso la giovinezzae l’età adulta si sposta verso la vec-chiaia e, infine, il declino e la mor-te”4. In parole sue, “avere una vitasignifica essere terra animata, uncorpo vivente la cui storia naturalepossiede una traiettoria”5. BenchéMeilaender sviluppi il concetto diuna traiettoria naturale della vitacorporea principalmente per af-frontare la questione dell’eutana-sia e non delle tecnologie geneti-che, il suo parlare di “storia natura-le”, “disegno naturale” e “traietto-ria naturale” attira l’attenzione suuna delle più significative questio-

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3. L’etica della genetica medica: la sfida dellaconcretizzazione delle potenzialità della medicinagenetica senza dover fare ricorso a manufatti

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ni sollevate dalla scienza biomedi-ca contemporanea: il concettostesso di vita umana, confinata dalnaturale processo di invecchia-mento dell’esistenza corporea,sarà mutato dalla ricerca genomicae relative tecnologie? E se sì, si do-vrebbe opporre resistenza morale aquesto cambiamento?

Meilaender non solleva esplici-tamente questo problema, ma pen-so che sia indubbio che egli vor-rebbe opporsi a qualsiasi cambia-mento che alteri in modo significa-tivo la traiettoria naturale dell’esi-stenza corporea. Né in questo è so-lo. Altri membri del Council ofBioethics del presidente GeorgeW. Bush, in modo particolare LeonKass e Francis Fukuyama, hannosollevato preoccupazioni similari6.Benché coloro che si oppongonoagli interventi biotecnologici chepossano cambiare il ciclo vitaleumano siano a volte consideratitutti alla stessa stregua come “tra-dizionalisti del ciclo vitale”, è im-portante osservare che cambiare latraiettoria di una vita propone duequestioni distinte.

La prima è una preoccupazionepiù o meno esplicita per le conse-guenze sociali dell’alterazione delciclo della vita umana ed è benespressa dalla disamina di FrancisFukuyama sulle implicazioni so-ciali derivanti dal notevole allun-gamento della durata della vitaumana nel suo libro Our Post-hu-man Future. Supponete – dice –che la medicina rigenerativa man-tenga la sua promessa. Supponeteche la durata media della vita sisposti da 70 a 110 anni o più. Qua-li disorganizzazioni sociali ci pos-siamo aspettare? Tra le altre conse-guenze - scrive Fukuyama – chi ha65 anni o più, “avrà un rapportocon la famiglia e con il lavoro mol-to più attenuato. Avrà superatal’età riproduttiva, con legami prin-cipalmente con antenati e discen-denti.” Quelli tra i 65 e gli 85 “pos-sono scegliere di lavorare, mal’obbligo di lavorare e il tipo di le-gami sociali inevitabilmente pro-dotti dal lavoro saranno ampia-mente sostituiti da una grandequantità di occupazioni elettive.”Quelli di 85 anni e oltre “non si ri-produrranno, non lavoreranno, evedranno in effetti un flusso di ri-sorse e obblighi muoversi in un’u-nica direzione: verso di loro”7.

La seconda preoccupazione vie-ne spesso espressa in termini diminaccia all’identità umana o a ciòche significa essere umani; e ben-ché questa preoccupazione abbiafrequentemente uno stampo con-sequenzialista, essa si presenta an-che in una forma ampiamente non-consequenzialista. A parer mio,Walter Glannon ha sviluppato l’a-spetto più interessante sull’argo-mento dell’identità. SecondoGlannon, una conseguenza direttadell’aumento significativo delladurata della vita umana sarebbequella di attenuare il rapporto tragli stati mentali passati, presenti efuturi di un individuo, indebolendocosì il terreno psicologico dell’i-dentità personale. Poiché un sensodi associazione psicologica tra ilpresente e il futuro è necessarioper creare una base per i desideririvolti al futuro, l’inevitabile ero-sione che deriverebbe da una vitamolto più lunga risulterebbe, para-dossalmente, nell’annientamentodel desiderio di una vita più lunga.Senza un ragionevole senso di as-sociazione psicologica ad un qual-che futuro se stesso, ci sarebbe unascarsa motivazione ad interessarsiai potenziali progetti di questa per-sona futura. Così, anche se ci fossecontinuità biologica tra un sé pre-sente e uno nel lontano futuro, nonci sarebbe continuità psicologica.Come dice Glannon: “Ci sarebbeuna divergenza tra la nostra biolo-gia e la nostra psicologia”8.

A rigor di termini, sarebbe piùaccurato dire che una nuova biolo-gia risulterebbe in una nuova psi-cologia. E infatti, una tale esposi-zione è più coerente con l’analisidi Glannon, un aspetto della qualeimplica lo studio del processo diformazione-immagazzinamento-recupero, attraverso il quale il cer-vello mantiene l’equilibrio tra il ri-cordare e il dimenticare, che è es-senziale per l’armonia psicologica.Discutendo la funzione dell’attiva-tore e inibitore CREB (proteinaelemento binario risposta AMP ci-clico), Glannon scrive: “La funzio-ne di questa proteina suggerisceche l’indispensabile unità tra que-sti stati può reggere solo per un pe-riodo limitato di tempo. L’antici-pazione non può estendersi moltonel futuro senza indebolire la me-moria del passato. Per la stessa ra-gione, non può essere immagazzi-

nata tanta memoria degli eventipassati se non a prezzo della nostracapacità di anticipare e progettareil futuro. Una frattura in questoequilibrio… minerebbe la nostracapacità di sostenere progetti alungo termine, spezzando l’armo-nia delle capacità di anticipazionee retrospettiva necessarie per dareuna base a questi progetti9.

Spero che questo passaggio ren-da chiaro il perché del mio suggeri-mento di riformulare la massima diGlannon. Non è che l’allungamen-to della durata della vita faccia sìche psicologia e biologia si separi-no. Il punto è, piuttosto, che cam-biare la biologia dell’invecchia-mento umano cambierebbe profon-damente la psicologia umana.

Da una parte, quindi, la preoccu-pazione di Glannon per l’uso di te-rapie rigenerative per aumentare ladurata della vita umana in modosignificativo è una preoccupazioneconsequenzialista, relativa agli ef-fetti psicologici che gli esseri uma-ni avrebbero di dissociare il pre-sente dal passato lontano e dal fu-turo remoto. Secondo Glannonnon possiamo, a livello razionale,desiderare di allungare in mododrammatico la durata della vitaumana perché, facendo questo,avremmo conseguenze disastroseper la nostra capacità di intrapren-dere progetti, accettare la respon-sabilità delle nostre azioni passatee future, o persino avere un grandeinteresse per il “nostro” futuro.

Va notato, comunque, che esisteun corollario della nostra massimariformulata. Se una nuova biologiacausa la nascita di una nuova psi-cologia, produce anche una nuovaetica. O, per vedere la questione daun punto di vista negativo, unanuova biologia minaccia le nostreresponsabilità etiche esistenti. Ri-tengo, infatti, che sia proprio unapreoccupazione di questo tipo cheanima l’opposizione dei tradizio-nalisti del ciclo vitale a diverse tec-nologie genetiche che potrebberoalterare la traiettoria di una vitaumana. Ad esempio, quando LeoKass dice che ci sono “molte qua-lità umane che sono inseparabilidai nostri corpi che invecchiano,dal nostro vivere nel tempo e dalciclo vitale naturale”, egli ha senzadubbio in mente questa preoccupa-zione10. È anche la preoccupazionesollevata da Francis Fukuyama nel

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suo libro Our Post-human Future.Secondo Fukuyama, esiste un le-game indissolubile tra il concettodi “natura” e qualsiasi discorso si-gnificativo sui diritti umani e, unavolta riconosciuto il rapporto tradiritti umani e natura umana, ca-piamo perché persino alcuni eticilaici sono preoccupati dallo spo-stamento verso un futuro post-umano. Il timore è che la biotecno-logia ci indurrà a perdere la nostraumanità, nel senso che potrebbecambiare le caratteristiche tipichedella specie, condivise da tutti gliumani in quanto tali. Se ciò acca-desse, e se i diritti umani fossero,per molti, collegati più o meno di-rettamente, a un concetto della na-tura umana, allora la biotecnologiaminaccerebbe le fondamenta stes-se della moralità umana così comela conosciamo.

Il secondo tema che intendoanalizzare qui oggi può essere in-trodotto con una citazione da unalettera che Giovanni Paolo II scris-se al Nunzio Apostolico in Poloniain occasione della conferenza in-ternazionale del 2002 intitolata“Conflitto di interessi e il suo si-gnificato nella Scienza e nella Me-dicina”11. Come sempre, il Papaera preoccupato dai temi della giu-stizia sociale e, in relazione agli ar-gomenti della conferenza, era par-ticolarmente preoccupato di comei profitti e la cura dei pazienti nonsiano sempre allineati.

“Sebbene sia certamente giustoche un’azienda nel campo della ri-cerca biomedica o farmaceuticacerchi un lecito profitto sugli inve-stimenti – scriveva il Papa – tal-volta accade che gli interessi eco-nomici prevalenti portino a deci-sioni contrarie ai valori umani au-tentici e alle esigenze di giustizia,esigenze che non possono esserescisse dal fine stesso della ricerca.Il risultato può essere un conflittotra gli interessi economici da unaparte e la medicina e l’assistenzasanitaria dall’altra. La ricerca inquesto ambito deve essere svoltaper il bene di tutti, compresi coloroche sono privi di mezzi.” Quando iprofitti vengono messi prima dellepersone, dice il Papa, “la scienzaviene privata del suo carattere epi-stemologico, secondo il quale ilsuo fine principale è la scopertadella verità. Il rischio è che quandola ricerca prende una svolta utilita-

ristica, la sua dimensione specula-tiva, che è la dinamica interiore delpercorso intellettuale dell’uomo,viene ridotta o soffocata”.

Sia la conferenza sui conflitti diinteresse nella scienza e nella me-dicina, sia la lettera del Papa, met-tono in risalto il secondo gruppo dipreoccupazioni di cui voglio di-scutere oggi, e che possono andaresotto il nome di problemi relativialla mercificazione della ricercabiomedica e dell’assistenza sanita-ria. Il tema della mercificazionedell’assistenza sanitaria è un argo-

mento immenso al quale gli scrit-tori cattolici hanno dedicato ampicontributi. Ad esempio, una dellemigliori discussioni sulla mercifi-cazione nella letteratura bioetica ininglese è una raccolta di saggi cheapparve in un numero del Journalof Medicine and Philosophy, editoda M. Cathleen Kaveny, teologacattolica e studiosa di legge all’U-niversità di Notre Dame12. E unodei migliori saggi in quel numero èscritto dall’illustre medico e bioe-tico cattolico Edmund Pellegrino,che è stato recentemente chiamatoa presiedere il Council onBioethics del presidente Bush. Pel-legrino concentra la sua attenzionesulla minaccia che il concepirel’assistenza sanitaria in termini dimercato pone al rapporto medico-paziente. Egli fa giustamente nota-re che, quando medici e pazienti

agiscono come compratori e ven-ditori in un mercato, il rapportomedico-paziente quasi sempre nesoffre: la comunicazione si inter-rompe, la continuità della cura si fadifficile e il sospetto sostituisce lafiducia. Esistono anche altri pro-blemi che coinvolgono in modoparticolare questioni di giustiziasociale. Ecco come Pellegrinoespone questo punto: “Non c’èspazio in un libero mercato per ilnon-attore, il non-assicurato, ilnon-assicurabile. Le particolari ne-cessità degli ammalati cronici, deidisabili, gli infermi, gli anziani e dicoloro afflitti emotivamente nonrappresentano più validi diritti adattenzioni particolari. Sono piutto-sto un’opportunità di premi più al-ti, maggiori detrazioni o l’esenzio-ne dall’arruolamento”13 (Pellegri-no, p. 253).

Questi tipi di problemi non so-no, naturalmente, nuovi ed è im-portante porre fine alla vergognamorale del terribile stato dell’assi-stenza sanitaria ai poveri di tutto ilmondo. E Pellegrino e altri hannocertamente ragione nell’asserireche la mercificazione dell’assi-stenza sanitaria ha contribuito aquesto deplorevole stato di cose.

Ma la mia attenzione è rivolta aun’altra sfera dell’assistenza sani-taria che è stata colpita in modo ri-levante dalla mercificazione dellamedicina, e per la precisione dellaricerca biomedica. Benché la lette-ratura medica si sia occupata sem-pre più della crisi causata dallamercificazione della ricerca, essaha ricevuto di gran lunga troppopoca attenzione al di fuori delle ri-viste mediche. Uso qui il termine“crisi” in modo piuttosto delibera-to; non voglio essere accusato diesagerazione, ma ritengo che ci siauna crisi nella ricerca medica dellaquale ci dovremmo tutti preoccu-pare. E se “crisi” sembra un termi-ne forte, non è forte quanto quellousato da altri. Pensate, ad esempio,a come Jerome Kassirer, l’ex diret-tore del “New England Journal ofMedicine”, espone questo punto.Nel suo libro, On the Take, HowAmerica’s Complicity with Big Bu-siness Can Endanger Your Health,pubblicato nel 2005, Kassirer do-cumenta il modo in cui le forze dimercato hanno influenzato la ri-cerca medica in questo paese14.Kassirer non usa giri di parole:

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“Intenzionalmente o no – dice –troppi medici si sono trasformati inprostitute del mercato, semplicistrumenti degli sforzi promoziona-li dell’industria”.

Oppure si considerino alcunedelle osservazioni di Richard Hor-ton sulla corruzione nell’ambientemedico, pubblicate lo scorso annosul New York Review of Books.Scrivendo delle conferenze medi-che sponsorizzate dall’industria,Horton scrive: “È difficile conci-liare la venalità di chi prende partea questo accordo corrotto con unaprofessione che è pronta a prote-stare al semplice suggerimentodell’intrusione del governo nellagestione dell’assistenza sanitaria.Qualsiasi affermazione che lascienza e la pratica della medicinasiano disinteressate è assolutamen-te infondata”. Delle riviste medi-che dice: “si sono trasformate inimprese di riciclaggio dell’infor-mazione a favore dell’industriafarmaceutica”15.

Se passiamo a esaminare le im-plicazioni della ricerca genomica ela crescente mercificazione dellascienza e della medicina, non pos-siamo non essere colpiti da quantola ricerca biomedica è profonda-mente cambiata negli ultimi venti-cinque anni, specialmente negliStati Uniti. Non posso ora fornirviun pieno resoconto di quei cam-biamenti, ma vale particolarmentela pena notare come la ricerca a fi-nanziamento pubblico si sia spo-stata verso quella a finanziamentoprivato.

L’incremento è incredibile.Mentre nel 1980 solo il 32% dellaricerca biomedica era finanziatodall’industria, nel 2000 l’industriane finanziava il 62%. Ad esempio,nel 2000, l’industria farmaceuticaha speso circa 4 miliardi di dollariin sovvenzioni per sperimentazio-ni cliniche contro i soli 750 milio-ni di dollari del National Institutesof Health16.

Almeno negli Stati Uniti, questicambiamenti sono stati favoriti dadue eventi, e vale la pena di direqualche parola su ciascuno di essi.Il primo è l’approvazione dellalegge Bayh-Dole, che ha formaliz-zato la procedura per cui i ricerca-tori che stavano svolgendo lavorifinanziati pubblicamente potevanochiedere i diritti di brevetto suifrutti della loro ricerca sponsoriz-

zata dal governo. Benché a volte leuniversità riuscissero già a brevet-tare prodotti che provenivano daricerche a finanziamento pubblico,la legge Bayh-Dole ha reso il tuttomolto più facile. Infatti, il veroscopo della legge era quello di for-nire incentivi e una struttura per fa-vorire il passaggio della ricerca afinanziamento pubblico dal labo-ratorio al mercato. E certo non cipuò essere alcun dubbio che inquesto senso la Bayh-Dole ha avu-to risultati positivi. Dal 1979 a og-gi, il numero di brevetti detenutidalle università è aumentato di die-ci volte.

Anche il secondo evento risaleal 1980, infatti nel giugno 1980 laCorte Suprema degli Stati Uniti,

nel caso Diamond contro Chakra-barty, ha decretato che l’U.S. Pa-tent Office poteva rilasciare unbrevetto su un batterio prodottoper distruggere le chiazze di petro-lio galleggianti. Benché la cosid-detta dottrina del “prodotto di na-tura” fosse stata storicamente uti-lizzata per impedire di brevettareoggetti trovati in natura od organi-smi viventi, la corte decretò, 5 a 4,che il batterio prodotto da AnandaChakrabarty non era un prodottodi natura ma un’invenzione uma-na, che quindi poteva essere bre-vettata. Nei termini usati dal Giu-dice Burger, “la distinzione rile-vante non era tra cose viventi e

inanimate, ma tra prodotti di natu-ra, viventi o no, e invenzioni uma-ne.” Come la legge Bayh-Dole,questa sentenza ha accelerato il rit-mo dei brevetti nell’industria bio-tecnologica e ha aperto la porta al-la possibilità di brevettare forme divita e le loro componenti.

Sfortunatamente, la maggiorparte dell’evidenza suggerisce chequesto passaggio dalla ricerca a fi-nanziamento pubblico a quella fi-nanziata dall’industria si è dimo-strato molto problematico. Adesempio, numerosi studi hannodocumentato una riduzione dellatradizionale collaborazione scien-tifica aperta, poiché un volumesempre maggiore di ricerca vienesvolto con lo scopo di rivendicarediritti esclusivi di brevetto. Comedocumentato da questi studi, quan-do la ricerca è finanziata dall’indu-stria e quando è in gioco la tuteladel brevetto, si riscontrano ritardinella pubblicazione e un certa reti-cenza a condividere i dati17. Inol-tre, sembra anche che i rapporti fi-nanziari tra industria e singoliscienziati abbiano un effetto dele-terio sull’obiettività della ricerca.Come risulta da uno studio pubbli-cato dal “Journal of the AmericanMedical Association”, “prove con-sistenti e pertinenti mostrano chela ricerca sponsorizzata dall’indu-stria tende a trarre conclusioni a fa-vore di quest’ultima”18.

Inoltre, da quando le universitàsono giunte a considerare la ricer-ca di base come un potenziale flus-so di entrate, esse hanno, non solorichiesto a valle la tutela del bre-vetto per il prodotto commercialefinito, ma anche la tutela a montedegli strumenti necessari a effet-tuare la ricerca stessa. Rai e Eisen-berg espongono così questo punto:“Le università hanno colto l’op-portunità per presentare richiestedi brevetto sulle scoperte della ri-cerca di base, come nuove sequen-ze di DNA, strutture di proteine epercorsi di malattie, che sono utiliprincipalmente come input per ul-teriori ricerche…”. Rai e Eisen-berg osservano, ad esempio, che il50% dei brevetti rilasciati alla Co-lumbia University si riferiscono astrumenti di ricerca, e precisamen-te a “materiali, dati e metodi im-piegati nello studio che porta a unprodotto finito19.

La crescente imprenditorialità

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medica ha così prodotto una situa-zione estremamente allarmante, incui l’integrità di molta parte dellaricerca è attualmente messa in di-scussione. I problemi che sonosorti attorno alla ricerca sponsoriz-zata dall’industria sono così seriche, nel 2001, gli editori di 13 trale più illustri riviste mediche delmondo hanno annunciato che nonavrebbero più pubblicato relazionidi ricerche su farmaci, a meno chegli autori non garantissero di averepieno accesso a tutti i dati dellostudio e di essere in effetti respon-sabili del lavoro per il quale stava-no presentando la relazione20.

E, stabilito quanto sia diffuso ilrapporto finanziario tra industria,associazioni mediche, riviste e sin-goli medici, i problemi sul conflit-to di interessi sono onnipresenti.Prendiamo in considerazione alcu-ni numeri:

– il 43% dei ricercatori riceveomaggi connessi alle ricerche, in-clusi fondi discrezionali daglisponsor industriali;

– il 23-28% dei ricercatori uni-versitari di biomedicina ricevefondi per la ricerca dall’industria;

– 1/3 dei ricercatori nelle istitu-zioni accademiche ha legami fi-nanziari personali con gli sponsorindustriali21.

Addirittura, nel 2002, gli estesicoinvolgimenti finanziari tra ricer-catori e industria hanno costretto il“New England Journal of Medici-ne” ad abbandonare la sua politicache non consentiva agli Autori direcensire articoli che fossero colle-gati ad aziende farmaceutiche i cuifarmaci erano a loro volta oggettodi recensione, perché non riuscì atrovarne un numero sufficiente chenon avesse legami di questo tipo22.

Ora, se vogliamo capire perchéquesta crescente mercificazionedella medicina dovrebbe essere in-quietante per quanto riguarda la ri-cerca genomica, non dobbiamoguardare oltre le parole di Giovan-ni Paolo II nella sua enciclica,Evangelium Vitae. Quando lascienza viene intesa in terministrettamente utilitaristici che enfa-tizzano l’efficienza economica, ilPapa scrive: “L’uomo non riescepiù a percepirsi come ‘misteriosa-mente altro’ rispetto alle diversecreature terrene; egli si consideracome uno dei tanti esseri viventi,

come un organismo che, tutt’alpiù, ha raggiunto uno stadio moltoelevato di perfezione. Chiuso nelristretto orizzonte della sua fisicità,si riduce in qualche modo a ‘unacosa’ e non coglie più il caratteretrascendente del suo ‘esistere co-me uomo’”.

Come C.S. Lewis prima di lui,Papa Giovanni Paolo II ha alzatouna voce profetica per richiamarela nostra attenzione sul futuro ver-so il quale la ricerca genetica sem-bra sospingerci. Come Lewis, Gio-vanni Paolo II era preoccupato del-l’atteggiamento “prometeico” ver-so la natura e la vita umana, chenon batte ciglio davanti alla pro-spettiva di ridurre tutto il mondonaturale a semplice materiale dausare e manipolare o di creare ge-neticamente un futuro post-uma-no. A differenza di Lewis, tuttavia,Giovanni Paolo II viveva, e noi vi-viamo, in un mondo dove le tecno-logie genetiche già esistono per ri-durre il mondo intero, noi inclusi,allo stato di pura materia. In altreparole, viviamo in un mondo in cuitutto corre il rischio di diventare unsemplice manufatto.

Chiudendo, vorrei proporre dueesempi dell’atteggiamento prome-teico che riduce il mondo allo statodi manufatto. In un certo senso, gliesempi possono sembrare strani. Arigor di termini, essi non proven-gono dal mondo della scienza. Ad-dirittura, essi non sono, in un certosenso, esempi “seri”; sono forsepiù scherzosi che profondi. Tutta-via, a mio modo di vedere, essicolgono lo spirito di un’epoca, evale la pena di meditarci su. En-trambi gli esempi sono tratti dal la-voro di un artista, brasiliano di na-scita e residente a Chicago, che sichiama Eduardo Kac. Kac ha svi-luppato un tipo di arte alla qualeegli si riferisce chiamandola “artetransgenica”. Secondo Kac, l’artetransgenica è “una nuova forma diarte basata sull’uso dell’ingegneriagenetica per trasferire geni natura-li o sintetici a un organismo, percreare esseri viventi unici”23.

Allora, il primo esempio si rife-risce a una mostra allestita da Kac,in cui egli affrontava specifica-mente il ruolo che gli esseri umanisvolgono nel lavoro di creazione incorso, in quanto noi usiamo le tec-nologie genetiche per manipolareil mondo che ci circonda. Nella sua

opera chiamata Genesi, Kac hacreato un gene sintetico traducen-do una frase del libro della Genesidella Bibbia in codice Morse e tra-sformando poi il codice Morse incoppie di base di DNA secondo unprincipio di conversione che l’arti-sta ha perfezionato per quest’ope-ra. La frase della Genesi recita:“…dominate sui pesci del mare esugli uccelli del cielo e sopra ognianimale che si muove sulla terra”.Il gene della Genesi è stato incor-porato in batteri che potevano es-sere visti sia nella galleria che on-line.

Nella galleria, i visitatori dellamostra potevano accendere una lu-ce ultravioletta, provocando vere eproprie mutazioni biologiche neibatteri, cambiando, di fatto, i ver-setti biblici codificati nel batterio.Secondo Kac, la capacità di cam-biare i versetti “è un gesto simboli-co: significa che non accettiamo ilsignificato di Genesi (o natura)nella forma in cui l’abbiamo eredi-tata, e che mentre cerchiamo dicambiarla facciamo emergere nuo-vi significati”24.

O considerate un secondo esem-pio dal lavoro di Kac, una mostrarealizzata anni fa che suscitò gran-de scalpore. Questa mostra d’artepubblica includeva Alba, la coni-glietta GFP (proteina fluorescenteverde). Alba era un coniglio albinoche sotto un certo tipo di luce ac-quistava una luminosità verde per-ché era stato geneticamente modi-ficato, inserendo nel suo embrioneun gene di medusa che fungeva dacodice genetico per una proteinache assume una luminosità fluore-scente verde quando viene espostaa una particolare intensità di luce.

Molte persone si sentirono ol-traggiate dalla creazione di Kac emolti considerarono il suo lavorocome una trovata pubblicitaria. Main realtà parte dello scopo del“progetto Alba” era quello di pro-vocare un pubblico dibattito sulleimplicazioni etiche e culturali del-l’ingegneria genetica. SecondoKac: “La creazione di un animalechimerico ci costringe ad esamina-re nozioni di normalità, eteroge-neità, purezza, ibridismo e diver-sità”25. Il lavoro di Kac ci invita ariflettere sulle implicazioni dellatrasformazione di animali nonumani in manufatti. In modo parti-colare, la creazione di Alba da par-

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te di Kac ci costringe a chiederci seè moralmente giustificabile creareesseri viventi unici per il nostro di-vertimento o edificazione filosofi-ca. La mia risposta è che non lo è.In realtà, io vedo la nostra propen-sione a produrre organismi tran-sgenici di questo tipo come sinto-matica di una dinamica culturalemolto profonda, in base alla qualecreature senzienti vengono ridottea meri oggetti di manipolazione26.

Temo, infatti, che ci stiamomuovendo sempre più verso unavisione della vita umana in terminialtrettanto riduzionisti. La sfidamorale che ci troviamo ad affron-tare è come procedere alla concre-tizzazione della grande promessadella ricerca genomica senza tra-sformare noi stessi e il resto delmondo naturale in meri manufattidella nostra creatività fuorviata.La mia speranza è che conferenzecome questa possano mostrarci lavia.

Prof. PAUL LAURITZENDirettore del Programma

di Etica applicata,University Heights OH, USA

Note1 JENNINGS B., The Liberalism of Life:

Bioethics in the Face of Biopower, Raritan 22,no. 4 (Spring, 2003): 133-46.

2 LEWIS C.S., The Abolition of Man, NewYork: The Macmillan Company, 1947.

3 MEILAENDER G., Terra es animata: OnHaving a Life, Hastings Center Report, vol.23, no. 4 (July-August 1993): 25-32.

4 Ibid., 29.5 Ibid., 31.6 Il sito web del Council of Bioethics è:

www.bioethics.gov7 FUKUYAMA F., Our Posthuman Future,

New York: Farrar, Straus and Giroux,2002:70-71.

8 GLANNON W., Identity, Prudential Con-cern, and Extended Lives, Bioethics, vol. 13,no. 3 (2002): 276.

9 GLANNON W., Identity, Prudential Con-cern, and Extended Lives, 279-280.

10 KASS L., Ageless Bodies, Happy SoulsThe New Atlantis, vol. 1 (Spring 2003): 12.

11 Questa lettera si può trovare su:http://212.77.1.245/news_services/bulletin/news/10511.php?index=10511&po_date=11.04.2002&lang=po

12 CATHLEEN KAVENY M., Commodifyingthe Polyvalent Good of Health Care, Journalof Medicine and Philosophy 24/3 (1999): 207-223.

13 PELLEGRINO E., The Commodification ofMedical and Health Care: The Moral Conse-quences of a Paradigm Shift from a Professio-nal to a Market Ethics, Journal of Medicineand Philosophy 24/3 (1999): 253.

14 KASSIRER J.P., On the Take: How Ame-rican’s Complicity with Big Business CanEndanger Your Health, New York: Oxford

University Press, 2005. 15 HORTON R., The Dawn of McScience,

The New York Review of Books 51/4 March11, 2004, p. 6.

16 Angel & Relman, 2002: 103.17 Vedi Bekelman, Li, e Gross.18 BEKELMAN J.E., LI Y., GROSS C., Scope

and Impact of Financial Conflicts of Interestin Biomedical Research, Journal of the Ame-rican Medical Association 289/4 (2003), 463.

19 RAI A.K., EISENBERG R.S., Bayh-DoleReform and the Progress of Biomedicine, Lawand Contemporary Problems 66/1.

20 Vedi Marcia Angell e Arnold S. Relman,Patents, Profits and American Medicine:Conflicts of interest in the Testing and Marke-ting of New Drugs, Daedalus (Spring, 2002).

21 BEKELMAN J.E., LI Y., GROSS C., p. 456.22 Vedi NEWMAN N., Big Pharma, Bad

Science, The Nation July 25, 2002. 23 Informazioni sui lavori di Kac si possono

trovare su: http://www.ekac.org/gfpbunny. html24 Per ulteriori informazioni sul suo lavoro,

vedi: http://www.ekac.org/transgenicindex .html25 Per una discussione sul lavoro di Kac ve-

di, The Eighth Day: the Transgenic Art ofEduardo Kac. Sheilah Britton and Dan Collinsed. (Tempe, Az: Arizona State University,2003). Vedi anche il lavoro dell’artista PatriciaPiccinini at: http://www.patriciapiccinini.net/.

26 W. S. Merwin ha catturato l’insidia diquesto tipo di riduzionismo in un poema inti-tolato, Dog: “…Qualsiasi cosa dovesse pro-teggere/Non c’è più. Inoltre i suoi occhi vi-trei/Fissi con forza davanti a sé guardano in-tensamente oltre te/Senza notare nulla; non tivede. Ma sbagliato:/Guarda ancora: è attra-verso di te/Che guarda, e l’insidia dei suoi oc-chi/È che in essi tu non ci sei…” in Green withBeasts (London: Hart-Davis, 1956).

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La scienza conosce ormai sem-pre di più qual è il segreto della vi-ta; essa è riuscita a decifrare il gi-gante testo che, in tre miliardi dilettere, sta scritto nelle cellule del-l’uomo. Questa mappa del genomacontiene le istruzioni per crescere,svilupparsi, riprodursi e morire. Sitratta di una conoscenza che, in unprossimo futuro, non solo renderàquasi tutte le malattie diagnostica-bili, ma anche certe patologie mul-tifattoriali curabili come il diabete,la predisposizione ai disturbi vege-tativi e cardiocircolatori. Le tecni-che di ingegneria genetica, infatti,sono già in grado di curare malat-tie su base genetica, sostituendo igeni difettosi con geni normali,che vengono introdotti mediantedei vettori nell’organismo malato.Aggiungo, per rilevare ancora dipiù il progresso in campo sanita-rio, che una più recente modalitàd’intervento terapeutico consistenel tentare di agire sull’espressio-ne dei geni, piuttosto che sostituirequelli difettosi. Da questa breve in-troduzione, piena di speranza, sul-la finalità terapeutica della cono-scenza del segreto della vita, passoadesso, perché è il mio compito,alle cosiddette finalità “migliorati-ve” (gene enhancement). Articoloil mio intervento in due momenti:il primo, di taglio storico, va dalmovimento eugenetico all’eugeni-smo; il secondo, di indole dottrina-le, tratta di una valutazione etica.

Dalla eugenetica migliorativa all’eugenismo liberale

Parto dal fatto che il tema di ge-netica ha riproposto, in termini rin-novati, la questione della eugeneti-ca, perché è cambiato il significatodel termine stesso. Il movimentoeugenetico risale al 1870 e fino al

1950 ruotava intorno al tentativodi “migliorare il patrimonio gene-tico dell’umanità”, principalmenteattraverso tecniche e strategie diselezione riproduttiva e di promo-zione della generazione di indivi-dui con una “buona” dotazione ge-netica1. Questa fase iniziale si ri-collega al nome di Galton e pos-siamo definirla “eugenetica socia-le” . Ecco quanto leggiamo in unoscritto del 1873: “Il suo compito èquello di “anticipare il lento e sta-bile processo della selezione natu-rale sforzandosi di eliminare le co-stituzioni deboli e gli istinti igno-bili e deprecabili e conservarequelli che sono forti, nobili e pro-sociali”. Da questa fase passiamoalla “eugenetica razzista” descrittain Mein Kampf (1925) di Hitler.Cito: “Lo Stato nazionale... devemettere la razza al centro della vitagenerale... Lo Stato deve presen-tarsi come il preservatore di unmillenario avvenire, di fronte alquale il desiderio e l’egoismo deisingoli non contano nulla e debbo-no piegarsi. Lo Stato deve valersi atale scopo delle più moderne risor-se mediche... Chi non è sano e de-gno di corpo e di spirito, non ha di-ritto di perpetuare le sue sofferen-ze nel corpo del bambino... Baste-rebbe impedire per sei secoli la ca-pacità e la facoltà di generare neidegenerati di corpo e nei malati dispirito per liberare l’umanità daun’immensa sventura e per con-durla a uno stato di sanità oggiquasi inconcepibile. Quando saràrealizzata, in modo cosciente emetodico, e favorita la feconditàdella parte più sana della nazione,si avrà una razza che, almeno inprincipio, avrà eliminato i germidell’odierna decadenza fisica emorale”. Siamo arrivati alla fasedel dopo il completamento delProgetto Genoma e ci avviciniamo

all’eugenismo liberale dei metodidi diagnosi prenatale di feconda-zione artificiale. Notiamo la fon-damentale differenza; mentre nellefasi precedenti la “buona genera-zione” era il compito delle istitu-zioni pubbliche, adesso, nelle so-cietà liberali le decisioni genetichevengono affidate alle opzioni deisingoli genitori o, come si suole di-re nelle società di mercato guidateda interessi, profitti e preferenze,le decisioni sono lasciate ai “desi-deri anarchici di clienti e consuma-tori”. Insomma, la caratteristica ri-levante della nuova genetica libe-rale è la neutralità dello Stato. Unavolta messi a conoscenza dell’inte-ro ventaglio delle terapie geneti-che, i genitori del futuro potrannofar riferimento ai loro valori perscegliere quali migliorie dare ai lo-ro bambini”2. Per avere una ideacosa significa l’eugenismo liberalecito: “Le donne hanno un nuovodovere: rifiutare la prosecuzionedella gravidanza di un feto, desti-nato a divenire un essere umanocondannato a menomazioni e sof-ferenze”. Si tratta di un diritto chesi configura in qualche misura co-me un dovere della donna nei con-fronti di suo figlio. Se poi “noidonne facciamo nascere il bambi-no malato, allora dobbiamo alme-no dargli tutta la nostra assistenzanel caso volesse, una volta cresciu-to, suicidarsi. Perché: “L’idea chel’imperfezione umana vada co-munque accettata appartiene ad al-cune religioni, come quella cristia-na, che propone la sofferenza co-me valore”; invece, l’umanesimoliberale può farne tranquillamentea meno, e puntare dritto su edizio-ni tecnologicamente aggiornate.Notiamo bene: non si tratta piùdella politica di “igiene sociale” o“razziale”. Nessuno oggi proponela genetica come strategia per la

BONIFACIO HONINGS

4. Verso l’eugenismo liberale.Una valutazione etica

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“pulizia etnica”, perseguita con fi-deismo prometeico da progressistie fautori della libera scelta indivi-duale3.

Una valutazione etica

Inizio con l’augurio che lascienza e la tecnica delle terapiegeniche progrediscano sempre dipiù. Perché, in linea di principio,se la finalità con cui si intervienesul genoma di un essere umano,modificandolo, è strettamente te-rapeutica, ossia, indirizzata allacorrezione di un difetto, oppure alcontrasto di un fattore patogeno,tale intervento risulta moralmentelecito. Infatti, non si tratta qui diagire su un soggetto umano al finedi mutare la sua identità genetica,né di introdurre presunti “miglio-

ramenti” o “amplificazioni” allesue qualità naturali, che del resto sifondano su criteri inevitabilmentearbitrari e opinabili. Gli interventistrettamente terapeutici sul geno-ma umano mirano, al contrario, diripristinare la normale configura-zione genetica del soggetto o dicontrastare i danni derivanti dalleanomalie genetiche presenti o daaltre patologie correlate4.

Quanto all’eugenismo liberalepreciso che esso non prevedeesplicitamente l’obiettivo dell’eli-minazione degli individui con pa-trimonio genetico “patologico”;tuttavia va chiaramente detto cheuna certa selezione degli individuisu base genetica tende a manife-starsi. Basta pensare alla diffusio-ne sistematica della diagnosi gene-tica preimpianto e prenatale, dovela possibilità di analizzare il geno-ma di embrioni e feti, si connettealla possibilità di non impiantare iprimi e abortire i secondi. Questaconnessione configura una situa-

zione che spontaneamente riducele nascite di individui con difettigenetici. La diagnosi prenatalecomporta una selezione eliminato-ria dei portatori sia pure allo statoembrionale o fetale. Dal punto divista etico è luce clarius che il pro-getto dell’eugenismo liberale èmoralmente illecito, appunto, per-ché è costituito dall’obiettivo diselezionare le dotazioni genetichemigliori, eliminando o sterilizzan-do i portatori di patrimoni geneticiritenuti peggiori o “difettosi”5.

Tuttavia la questione, di fondo,che va posta è questa: “Possiamoconsiderare l’autotrasformazionegenetica della specie come unmezzo per accrescere l’autonomiaindividuale, oppure questa stradametterà a repentaglio l’auto-com-prensione normativa di personeche conducono la loro vita portan-

dosi mutuo ed eguale rispetto?”6.Può l’umanità presente imprigio-nare l’umanità futura; a chi appar-tiene questo potere? E su chi o checosa questo potere si esercita?7. Larisposta è evidente: i viventi diadesso non possono esercitare unpotere sugli uomini venturi, perchésarebbero degli oggetti inermi didecisioni prese in anticipo da chipianifica oggi. Formulata in unadomanda, la risposta è questa:“Che cosa potrebbe succedere inuna persona quando dovesse sco-prire che il “suo” corpo è il risulta-to non solo di un processo natura-le, ma anche di una produzionetecnica voluta e condotta da altrisoggetti umani? Il giovane che siastato geneticamente manipolatoscoprirà il proprio corpo comequalcosa di tecnicamente prodotto.La prospettiva della vita vissutadel soggetto entra in collisione conla prospettiva oggettivante dei suoiproduttori e sperimentatori8. In-somma, e concludo, la ragione di

fondo della illiceità dell’eugeni-smo, liberale o meno, quando simodifica la natura della natalità, simodifica, con essa, anche la naturaprofonda dell’agire umano. La li-bertà della persona non consiste-rebbe più nella possibilità di esserelui o lei “autore o autrice” delleproprie azioni, ma lui o lei sareb-bero solo “un ripetitore” o “una ri-petitrice” di processi tecnicamentemanipolati. Ma vi è ancora un’al-tra preoccupazione e, cioè, quellariguardante il futuro dell’ugua-glianza tra gli uomini. C’è il ri-schio d’introdurre nell’umanitàuna relazione interpersonale “sen-za precedenti”. I figli dipendono,quanto alla loro nascita, dai genito-ri e quindi il loro rapporto non puòessere invertito. Questa dipenden-za riguarda la pura esistenza e nonla loro natura. San Tommasoavrebbe detto che si tratta di unadipendenza “in fieri”, ma non“nell’essere”. Non si tratta di unrapporto paritario; I genitori nonsono la “causa essendi” dei loro fi-gli. Perciò qualunque eugenismo,sociale, razzista, liberale, toglienon solo la libertà e l’ uguaglianza,proprie della natura umana, ma an-che la stessa vita morale.

P. BONIFACIO HONINGS, O.C.D.Professore emerito di Teologia morale alla Pontificia Università Lateranense,

Roma; Consultore del Pontificio Consiglio

per la pastorale della Salute, Santa Sede

Note

1 Cfr. VALENSISE M., Bioetica, ma senzadogmi, Il Foglio, 13 marzo 2003.

2 AGAR N., Liberal Eugenics, in H. KUHSE-P. SINGER (ed.), Bioethics, Blackwell, Londo-no 2000, p. 171. Cfr. BUCHANAN, BROCK, DA-NIELS, WIKLER, From Chance to Choice: Ge-netics and Justice, Cambridge UniversityPress, Cambridge 2000.

3 Cfr. ROCCELLA E., Eugenetica liberale. Seper la donna il diritto di rifiutare il feto difet-toso diventa un dovere. Il Foglio, 20 luglio2005.

4 Cfr. CUYÁS M., Problematica etica dellamanipolazione genetica, in Rassegna di Teo-logia, 1985, 5, 471-497.

5 Cfr. Etica ed eugenetica, http.://www.univ. trieste. it/-etica / 2004 2/ mordacci. htm

6 HABERMAS J., Il futuro della natura uma-na .I rischi di una genetica liberale. Einaudi,Torino 2002, p.31.

7 Cfr. JONAS H., Tecnica, medicina ed eti-ca: prassi del principio responsabilità, trad.it. a cura di Paolo Becchi, Einaudi. Torino1997.

8 Cfr. HABERMAS, o.c. p. 52.

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1. Introduzione

Nel 2004 l’opinione pubblica èstata sorpresa dalla notizia, sei an-ni dopo la creazione del ProgettoGenoma e cinque anni prima delprevisto, che il patrimonio geneti-co umano era stato quasi comple-tamente decodificato (vedi “Natu-re” del 21-10-2004). Il genomaumano comprende in totale 2,85milioni di coppie di basi e infor-mazioni per 20000-25000 geni. Seancora dieci anni fa si riteneva chel’essere umano disponesse di100.000 geni, si parla ormai ades-so di un quinto o di un quarto diquesta cifra. Sulla base della se-quenza quasi completa ora a dispo-sizione si possono fare studi piùprecisi sui geni e si possono indivi-duare con maggiore sicurezza lealterazioni che sono causa di ma-lattie. Non bisogna sottovalutarel’inserimento di questi dati nellaricerca clinica, nella ricerca del-l’industria farmaceutica e anchedirettamente nella nostra vita enella nostra salute. Dall’ingegneriagenetica si ottengono valide infor-mazioni che possono prevenire lemalattie e alleviare il dolore.

La conclusione positiva del Pro-getto Genoma Umano è stata cele-brata come “completamento e co-ronamento della storia centenariadella genetica”(Zoglauer, 13). Allesperanze si contrappongono peròmolteplici rischi e problemi eticinon ancora completamente chiari-ti, quesiti come l’obbligo della fat-tibilità, della possibilità della ricer-ca genetica, il trattamento di datigenetici sensibili, la riduzione del-l’essere umano ai suoi geni, la stig-matizzazione dei malati e dei disa-bili, nonché il pericolo di tendenzeeugeniche (Habermas 2001a, p. 34segg, p. 105 segg).

Per poter valutare adeguatamen-te le chance e i rischi del Progetto

Genoma bisogna dapprima guar-dare con occhio critico l’oggettodella ricerca: il gene umano. Lateoria che l’essenza di un essereumano è riconducibile ai suoi geni,che l’essere umano non è nulla dipiù della somma dei suoi geni, eche sia quindi determinabile trami-te il controllo della sua strutturagenetica: questa idea suggerisce diimputare le forme di vita e diespressione che deviano dalla nor-ma a difetti di questa struttura ge-netica. L’ingegneria geneticaavrebbe dunque il compito di pre-diligere caratteristiche positive e dieliminare impianti svantaggiati.Così come siamo già in grado diconsiderare singoli geni come fat-tori scatenanti di determinate ma-lattie ereditarie come la fibrosi ci-stica, la distrofia muscolare o lacorea degenerativa, e di individua-re i geni dell’obesità e del cancrodella mammella, si spera di poterpresto spiegare geneticamente an-che altre malattie (psicosi, schizo-frenia, tendenza all’alcolismo,ecc.).

Questo però presuppone che ungene sia sempre responsabile di undeterminato impianto: il gene X èresponsabile per i capelli castani, ilgeneY per l’intelligenza, un geneZ per l’obesità. La ricerca ha inve-ce dimostrato che i geni “ non sonoresponsabili di qualcosa” bensìprovocano qualcosa.

Un gene può codificare diverseproteine ed essere quindi respon-sabile di varie caratteristiche. Cisono invece dei caratteri che sonoil risultato dell’interazione di piùgeni. In questo modo circa 20000geni umani possono produrre piùdi un milione di diverse proteine(crf. Zoglauer, 14). Analogamenteci sono malattie che non possonoessere associate direttamente echiaramente a un determinato ge-ne, tanto più che la maggior parte

delle malattie ereditarie non è dinatura monogenetica, ma è in-fluenzata da più geni.

A questo si aggiunga che nonsoltanto determinati geni o intera-zioni tra vari geni decidono se e inquale misura si sviluppa una ma-lattia, un determinato aspetto ocomportamento. Fattori ambientalisvolgono qui un ruolo significati-

vo: l’ambiente sociale dove cresceun essere umano, come pure lo sti-le di vita, le abitudini alimentari, lacultura, l’educazione e altri fattoriancora. Già da questo si capisceche non è valida la teoria secondola quale l’uomo non è nulla di piùdella somma dei suoi geni. “L’uo-mo non è il prodotto dei suoi genio dell’ambiente, bensì il risultatodell’interazione di entrambi cheinizia già nell’utero e viene in-fluenzato per esempio dagli ormo-ni materni” (Zoglauer, 15). La teo-ria secondo la quale il gene è “ilvero padrone dell’essere umano”(R. Dawkins) e che questi nella suaessenza e comportamento non è al-tro che una marionetta determinatada geni egoisti, è troppo limitativae non rende giustizia ai risultaticomplessi della ricerca.

I biologi sono sempre più del pa-rere che l’essere umano può essereinfluenzato nel suo comportamen-to, ma che non viene completa-mente determinato dai suoi fattori

KARL LEHMANN

5. La prevenzione delle malattie genetiche dal punto di vista della Pastorale

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ereditari. A questo si aggiunge ilfatto che, già nella fase prenataledella sua esistenza, i fattori occa-sionali hanno un’influenza deter-minante sulla replicazione dei ge-ni, la divisione cellulare, la cresci-ta cellulare, lo sviluppo del cervel-lo. Il fattore ereditarietà non devequindi essere sopravvalutato. Seun essere umano nella sua vita de-ve confrontarsi con malattia e disa-bilità e come reagisce a sviluppicaratterizzati come “patologici” e“abnormi” non dipende esclusiva-mente dai suoi fattori ereditari. Igeni difetti non devono necessaria-mente portare alla comparsa di unamalattia, ma sono eventualmentefattori supplementari di rischio. “Ilfenotipo di un essere umano non èuna conseguenza causale del suogenotipo. Poiché il genotipo non èla copia esatta del fenotipo” (Zo-glauer, 20).

Bisogna riflettere su queste rela-zioni per una valutazione dal pun-to di vista pastorale del ruolo chesvolge l’ingegneria genetica nel-l’evitare le malattie. E proprio daquesta situazione derivano le sfidee i doveri della Pastorale che corri-spondono al suo compito origina-rio.

2. Diagnosi genetica e medicina predittiva

La prospettiva di poter ricono-scere, con l’aiuto del progetto ge-noma anche le predisposizioni allemalattie, offre la possibilità di pre-venire in modo mirato queste ma-lattie attraverso uno stile di vitaadeguato.Tuttavia una predisposi-zione non porta obbligatoriamentealla malattia corrispondente. E ilfatto che ogni essere umano pos-sieda un certo numero di geni di-fettosi fa sì che la società si chiedase in futuro bisognerà intenderecon la parola “malattia” ogni de-viazione dalla norma genetica.Esiste quindi il pericolo che con-cetti come salute, malattia e disabi-lità, caratterizzati da nuovi conte-nuti, possano essere parzialmenteridefiniti in modo arbitrario e che ilconcetto di “malattia genetica”venga ampliato sempre di più.Concetti come salute, malattia edisabilità potrebbero essere inter-pretati come standard biologico-genetici e anche come deviazioni.

L’essere umano diventerebbe unsemplice oggetto, che dovrebbe epotrebbe essere valutato.

L’analisi del genoma umano e lastesura di una mappa genica sonoil presupposto della cosiddetta me-dicina predittiva. Contribuisce alsuo sviluppo all’interno dell’inge-gneria genetica il riconoscimentodel fatto che determinate malattiesono programmate nei geni e chepiù malattie di quanto si pensassefinora derivano da interazioni trageni e ambiente. La medicina pre-dittiva ha l’obiettivo di prevederela biografia della malattia di un es-sere umano e di riconoscere la pre-disposizione genetica a determina-te malattie, per evitarne la compar-sa o almeno per influenzarne inmodo positivo il decorso. Mentrela diagnosi tradizionale può con-statare un’alterazione patologicasolo dopo la sua comparsa, unadiagnosi genetica è caratterizzatadal fatto di poter prevedere unamalattia o la predisposizione aun’affezione anni e decenni primadel suo insorgere. La diagnosi pre-coce fatta con la medicina preditti-va offre possibilità di trattamentoche forse non ci saranno più dopola comparsa della malattia.

La medicina predittiva vuole an-che evitare la trasmissione di ma-lattie genetiche. Viene così dimi-nuito il rischio di un’affezione. Adesempio si potrebbero preveniremalattie cardiocircolatorie con unacorretta alimentazione e con losport, il cancro della pelle evitandol’esposizione a raggi solari intensi.Almeno ci sarebbe la possibilità dimitigare nel loro decorso le malat-tie di origine genetica o correlate.Non si dovrebbero però sopravva-lutare la possibilità e la capacità dimodificare il comportamento, co-me dimostra l’esperienza dellapratica medica.

Si prevede che i dati e le infor-mazioni ottenute col Progetto Ge-noma aumenteranno enormementele possibilità di diagnosticare lecaratteristiche genetiche, soprat-tutto quelle che sono responsabilidell’insorgere di malattie. In Ger-mania esistono attualmente testgenetici per oltre 100 malattie ere-ditarie. Tra questi troviamo l’anali-si genetica per il retinoblastoma,per riconoscere un raro tumoredell’occhio che si presenta solo neibambini. La predisposizione a

questa malattia può essere testataimmediatamente dopo la nascita.Se c’è predisposizione, l’occhioverrà esaminato a intervalli regola-ri, per riconoscere precocementegli stadi prodromici del tumore edeliminarli. La poliposi familiare èuna forma ereditaria di cancro del-l’intestino. Con un test genetico imedici possono individuare il geneAPC mutato e adottare tempesti-vamente misure salvavita. Un altroesempio nel campo della diagnosigenetica predittiva è poter preve-dere con quale probabilità unadonna può contrarre un tumore alseno a carattere ereditario. Nel1994 sono stati descritti come genipredisponenti entrambi i geni an-tioncogeni BRCA1 e BRCA2. Ladifficoltà del test genetico per ilcancro alla mammella risiede nelfatto che non si può ancora fareuna differenziazione certa tra levarianti innocue nella sequenza dibasi dei geni del cancro dellamammella e le mutazioni patologi-che. Normalmente questi geni im-pediscono la formazione del can-cro della mammella. Nelle donneinvece con un gene difetto del can-cro della mammella il rischio diammalarsi un giorno di questo tu-more aumenta dell’85% Per que-sto motivo alcune di queste donneper paura del cancro al seno si fan-no amputare a titolo preventivo en-trambe le mammelle. L’analisi ge-netica serve qui soltanto a preveni-re le malattie: “Ci sono stati casi incui dopo un tale intervento (ci si ri-ferisce all’asportazione preventivadelle mammelle) nei residui rima-nenti dell’epitelio di rivestimento(una specie di pelle dell’organo) onel peritoneo è scoppiato ‘il cancrodella mammella’, o almeno uncancro provocato dal gene mutatoBRCA-1” (vedi Zoglauer, 27).

A proposito ora dei rischi dellamedicina predittiva: c’è da temereche nella nostra società diminuiscaancora l’accettazione della malat-tia e della disabilità a causa dellamedicina predittiva stessa. La ma-lattia e la disabilità o, in terminipiù duri: i malati e i disabili posso-no essere evitati. Già oggi si arrivaagli aborti a causa degli esami pre-natali. Fin dall’inizio un bambinomalato o disabile non verrà accet-tato. Questo dal punto di vista eti-co è “uno sviluppo molto preoccu-pante che non può essere accetta-

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to”. È imprevedibile l’impatto suidisabili di una tale valutazione daparte dei contemporanei. Conl’impiego coerente della medicinapredittiva si creerebbe un’ulterioreoccasione per circoscrivere lacomplessa insorgenza della malat-tia a pochi fattori insiti nell’indivi-duo. La causa della malattia ver-rebbe spostata sui singoli e diven-terebbe quindi un destino persona-le e privato. Altri fattori, come unambiente malsano e morbigeno,potrebbero essere trascurati. Il ma-lato sarebbe colpevole della suamalattia. Si creerebbe anche il pe-ricolo di classificare e di discrimi-nare gli esseri umani secondo varipunti di vista. Si potrebbe anchetemere che l’essere umano venga

considerato in modo biologistico,che venga ridotto soltanto alla suadotazione genetica. Viene cosìprogrammata una contraddizioneall’immagine cristiana dell’essereumano nella sua interezza.

Un altro campo in cui si possonoprevenire le malattie con metodi diingegneria genetica sono le analisigenetiche sui lavoratori. Permetto-no di constatare pericoli geneticiprofessionali e possono contribui-re al miglioramento della tutela dellavoro individuale, alla medicinadel lavoro preventiva, e alla pre-venzione di malattie professionali.D’altro canto esiste anche la possi-bilità di usare l’analisi contro i la-voratori, se la costituzione geneti-

ca viene adoperata come criterioimportante di selezione e vengonocosì ridotte significativamente lepossibilità di ottenere il posto di la-voro. Si intravede anche il pericoloche le informazioni raccolte sul la-voratore vengano adoperate in unmodo che vada oltre la constata-zione di idoneità per il posto di la-voro.

Dal punto di vista etico bisognapoi anche dire che l’analisi geneti-ca può essere effettuata solo previaautorizzazione da parte del lavora-tore. Possono inoltre essere rileva-te soltanto le predisposizioni gene-tiche che fanno temere un gravedanno per la salute del lavoratore odi terzi. L’analisi genetica dovreb-be essere autorizzata soltanto qua-

lora gli altri metodi diagnosticinon permettano di ottenere infor-mazioni paragonabili. Inoltre il di-ritto alla personalità del lavoratorevieta di acquisire un profilo com-pleto delle sue caratteristiche ge-netiche. Ogni essere umano ha di-ritto all’autodeterminazione infor-mativa e non può essere stigmatiz-zato o discriminato da una divul-gazione sconsiderata della sua di-sposizione genetica. Nessuno deveessere sfavorito a causa delle suecaratteristiche genetiche.

Dovrebbe essere chiaro che l’a-nalisi e l’esame sequenziale delgenoma umano, collegati alla me-dicina predittiva, mettono a dispo-sizione un grande potenziale di po-

tere. E come ogni potere può nonsoltanto aiutare, ma anche distrug-gere. La ricerca biologica e le suescoperte influenzano già ampia-mente l’idea che ci facciamo del-l’essere umano. Inoltre, per la so-pravvivenza dell’umanità sarà in-dispensabile ulteriore ricerca, an-che se questa sopravvivenza saràpotenzialmente minacciata propriodalla ricerca.

3. A proposito del “diritto a non sapere”

Poiché nel campo dell’analisigenetica la distanza tra diagnosi eterapia aumenta sempre più, il me-dico e il paziente si trovano davan-ti al grave problema di dover giu-dicare ciò che è più degno dell’es-sere umano: se l’essere a cono-scenza di un’imminente malattiaincurabile oppure rimanerne igna-ro. Ci sarà una molteplicità di ma-lattie o predisposizioni diagnosti-cabili, senza che sia disponibileuna terapia efficace . È stata fattala proposta, secondo il “criterio delvantaggio preventivo”, di non dia-gnosticare nemmeno le malattie diorigine genetica che non possonoessere trattate.

Al diritto riconosciuto di saperesi contrappone qui la misericordiadell’ignoranza. Per malattie chepossono essere diagnosticate manon curate, il vantaggio di sapere,ottenuto grazie all’analisi genetica,permette di organizzare adeguata-mente il proprio stile di vita, di pia-nificarla e di cambiare il propriomodus vivendi. Esiste però d’altrocanto lo svantaggio della cono-scenza con la perdita di energia vi-tale, speranza nel futuro e felicitàdella gioia di vivere senza la pauradelle malattie.

Inoltre, la conoscenza del patri-monio genetico dei singoli e deigruppi, se finisce in mani sbagliatepuò causare danni, distruggereprospettive e progetti di vita. Il di-ritto di sapere e il diritto di non sa-pere sono due lati della stessa me-daglia. Sia l’uno che l’altro deriva-no dall’idea insita nella storia edella civiltà occidentale secondocui l’essere umano è una personacol diritto all’autodeterminazione.Questo concetto contiene, comeaspetto essenziale dell’idea delladignità umana, anche il divieto di

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strumentalizzazione, l’obbligo difinalismo (Kant), il diritto alla sfe-ra privata e alla libertà della perso-na. Tutte le riflessioni tendenti aevitare le malattie genetiche devo-no tener conto di queste esigenze.L’ignoranza può essere una “con-dizione preliminare della libertà”(H. Jonas), perché “la predestina-zione del dolore futuro, già solo lapresunta conoscenza del proprioavvenire (…) possono ostacolarelo sviluppo libero e spontaneo del-la personalità” (Zoglauer, 37). An-che la massima conoscenza possi-bile della disposizione genetica al-la malattia non è di per sé garanziadi salute e vita felice; così non ven-gono neppure scardinati gli ele-menti naturali e fondamentali di fi-nitezza della natura umana. “Conla diagnosi genetica viene solleva-to un po’ di più “il velo naturaledell’ignoranza” e con la terapia ge-nica l’essere umano può modifica-re il destino che gli era stato asse-gnato. Non ha importanza come lomodifica: nuovi geni danno soltan-to un nuovo destino, a cui ci si de-ve accomodare. Queste riflessioni,fatte essenzialmente da H. Jonassul “diritto di non sapere”, sonodegne di nota se ci si chiede, inconsiderazione della razionalità dioggi, come mai tante persone arri-vano a questo atteggiamento e lomantengono. Questa è però una ri-nuncia in assoluta armonia con lacreazione intesa in senso biblico.

4. Consulenza genetica: possibilità e conseguenze

La consulenza genetica e la dia-gnosi prenatale hanno il compitodi valutare i rischi di insorgenza dideterminate malattie ereditarie e dirilevare o escludere precocementelesioni. Tutto questo è strettamentecollegato alla ricerca sul genomaumano.

Consulenza genetica

La consulenza genetica puòinformare anche prima della pro-creazione, se e con quale probabi-lità si trasmetteranno al bambinodeterminate malattie ereditarie.Nei casi in cui si possa già esclude-re con la consulenza genetica cheun futuro bambino soffrirà di unadeterminata malattia ereditaria la

decisione di avere un figlio verràmolto facilitata. Se invece durantegli esami si riscontra un maggiorrischio, chi ha chiesto consiglio po-trà prendere una decisione respon-sabile pro o contro la procreazioneconoscendo le probabilità di malat-tia. La consulenza genetica puòquindi evitare un conflitto per unagravidanza futura. Può anche con-tribuire a far sì che i partner si pre-parino in tempo al rischio di avereun bambino disabile e possano uti-lizzare tutte le possibilità di aiuto.La libera volontà è la premessa irri-nunciabile per la moralità dellaconsulenza genetica. Deve esserequindi esclusa qualsiasi normativache faccia dipendere le prestazionidello Stato, dell’assicurazione ma-lattia e della previdenza sociale dalfatto che sia stata effettuata unaconsulenza genetica. Nelle discus-sioni pubbliche si sente talvolta af-fermare che la società ha un inte-resse legittimo a evitare la procrea-zione di bambini gravemente disa-bili. Da un lato la società dovrebbesostenere i costi dell’assistenza,dall’altro, a lungo termine peggio-rerebbe il patrimonio genetico del-la popolazione. Ci si deve opporrefermamente a queste affermazionieugeniche.

Diagnosi prenatale

A differenza della consulenzagenetica, la diagnosi prenatale(DP) – il maggior campo di appli-cazione del test genetico – deter-minerà in una gravidanza già incorso se il feto è affetto dalla temu-ta malattia o disabilità. Dato chesempre più neonati vengono almondo con una o più gravi lesionigenetiche o insorte durante la gra-vidanza – le indicazioni variano trail due e il tre per cento – bisogna ri-conoscere il bisogno, per una geni-torialità responsabile, di informa-zione completa e di consulenza co-me aiuto alla decisione. Questospecialmente se gravi affezioni ge-netiche familiari o fattori esternifanno temere un maggior rischiogenetico.

Nella diagnosi prenatale conl’amniocentesi e biopsia corialevengono prelevate dall’utero cel-lule fetali che vengono poi esami-nate con metodi citogenetici e dianalisi diretta del DNA per ricerca-re deviazioni genetiche. In caso di

conferma delle temute deviazionigenetiche possono essere applicateil più tempestivamente possibilemisure terapeutiche e possono es-sere offerti alle gestanti quegli aiu-ti che permetteranno loro di adat-tarsi a una eventuale malattia delbambino. Attualmente per moltemalattie ereditarie esistono opzio-ni terapeutiche solo in casi ecce-zionali. Nel 1998 è stato ottenutonegli Stati Uniti un successo tera-peutico. Con un’operazione sul fe-to nel grembo materno è stato pos-sibile correggere almeno in partela malformazione genetica dellaspina bifida.

Dal punto di vista etico la DPpone un conflitto tra la vita e il be-nessere del nascituro e i bisogni, idesideri e forse i diritti dei genito-ri, poiché si evidenzia la divergen-za tra diritto ed etica. Il giudizioteologico ed etico della DP è uni-voco. La DP è di per sé neutra dalpunto di vista etico. Una qualifica-zione etica interviene nella sua ap-plicazione concreta. Se favorisce i

metodi di salvaguardia della salutee la terapia del nascituro; se serve atranquillizzare dei genitori preoc-cupati, è moralmente utile. Se puòfacilitare la decisione di avere unfiglio anche nei casi di gravidanzaa rischio; nel 97 per cento dei casii genitori già dopo un mese posso-no essere liberati dalla paura ingiu-stificata di un bambino disabile.Non bisogna dimenticare questoaiuto liberatorio e positivo.

Negli altri casi i genitori posso-no abituarsi in tempo all’idea di unbambino disabile. La diagnosi pre-natale può inoltre evitare che ven-gano interrotte delle gravidanzesemplicemente per il sospetto diprobabili lesioni del nascituro. E

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infine serve anche alla lotta dellamedicina contro le malattie fetali,poiché permette molto presto – giàdurante la gestazione, al momentodel parto o subito dopo il parto –un trattamento preventivo o tera-peutico ottimale. Se invece la dia-gnosi prenatale viene eseguita perprocedere a un aborto in caso dimalattia o di menomazione del na-scituro, non può avere una giustifi-cazione etica. Giovanni Paolo IIosserva nella sua enciclica Evan-gelium Vitae nel 1995 (Nr. 63):“Poiché le possibilità di applica-zione prima del parto non sono og-gi ancora ben definite, succedenon di rado che questa metodolo-gia venga usata con una mentalitàeugenistica, che accetta sempre dipiù l’aborto selettivo, per evitare lanascita di bambini affetti damalformazioni o da malattie di va-rio tipo. Una tale mentalità è igno-bile ed estremamente riprovevole,perché pretende di giudicare il va-lore di una vita umana soltanto se-condo criteri come “normalità” ebenessere fisico, aprendo in questomodo la strada alla legittimazionedell’infanticidio e dell’eutanasia.

Riguardo alla pesante problema-tica che accompagna la DP si deli-nea nei dibattiti attuali un nuovomodo di pensare, partito soprattut-to dal movimento femminile, dalleassociazioni dei disabili e dalleChiese. Emergono forti tendenze ariconsiderare la regolamentazionedell’applicazione della DP.

Diagnosi genetica pre-impianto (PID)

La diagnosi pre-annidamento(PID) è un’ulteriore possibilità diapplicazione dell’analisi geneticain campo prenatale. Con la PID ladiagnosi genetica ha fatto un nuo-vo passo avanti. Grazie a questometodo di analisi, le coppie conmalattie ereditarie verranno aiutatead avere un figlio. L’embrioneconcepito in vitro verrà esaminatogià allo stadio di 8 cellule primadel suo trasferimento nell’utero,per determinare se è geneticamen-te sano o se ha ereditato dai suoigenitori il carattere patologico,cioè il temuto difetto genetico. Incaso di referto positivo l’embrionenon verrà trasferito, bensì distrut-to. Essendo ovvia la caratteristicadella selezione di questa metodo-

logia, si delinea già il passaggio dauna selezione negativa, che impe-disca lo sviluppo di esseri umanicon un difetto genetico, a una sele-zione positiva ispirata all’eugene-tica, con lo scopo di lasciar soprav-vivere solo quegli embrioni chepresentano determinati caratteripositivi desiderati. Quali malattie,caratteri, disposizioni debbano es-sere ripresi in un catalogo di indi-cazioni per una PID sembra dipen-dere più dalla discrezionalità e davari interessi, piuttosto che da ar-gomentazioni rigide, condivisibiliobiettivamente e sostenibili, siadal punto di vista etico e medicoche da quello socio-politico. “Cisono indicazioni di un disperatotentativo di evitare la rottura di unargine morale” (Zoglauer, 44). An-che se agganciata a un rigido cata-logo indicativo, la PID si declassaa causa dell’immanente metodolo-gia della selezione e diventa asso-lutamente insostenibile eticamen-te, fallendo anche come misura perevitare malattie genetiche.

Nuove possibilità terapeutiche:terapia genica

Con la possibilità di riconoscerei difetti genetici aumenta la proba-bilità di ripararli. La terapia genicaha l’obiettivo di curare malattiegenetiche o correlate o di far sì chenon compaiano neppure. Questoavviene o con l’eliminazione deisintomi, o con la rimozione dellacausa della malattia. Attualmentela terapia genica è adatta soltantoal trattamento di malattie ereditariemonogene, dipendenti dalla strut-tura modificata di un singolo gene.Se la malattia dipende da più genidifettosi o da un’interazione di di-fetti genetici e di fattori ambientalisi parla di malattia con cause mul-tifattoriali. Attualmente e anchenel prossimo futuro è escluso dicurare le malattie con cause multi-fattoriali con una terapia genica.

La terapia genica come comple-mento delle forme terapeutiche giàesistenti ha una legittimazionefondamentalmente etica grazie alladignità della prevenzione e del ri-stabilimento mirato della saluteumana e grazie alla riduzione au-spicata del dolore. Entrambi gliapprocci terapeutici sono però rile-vanti per un più approfondito giu-dizio etico.

In caso di terapia genica somati-ca, diretta a cellule del corpo chenon funzionano in modo regolare,non ci sono, in linea di massima,nuovi problemi etici rispetto alleforme terapeutiche tradizionali.Deve essere valutata come gli altrinuovi metodi terapeutici. Ciò si-gnifica che il metodo deve esseresicuro; deve essere proporzionatoe il paziente deve dare il consensoinformato. La terapia genica dellalinea germinale è invece un inter-vento nell’informazione geneticadi quelle cellule da cui provengonole cellule germinali (linea germi-nale). Può formare anche celluletotipotenti sulle stesse cellule ger-minali, sulle cellule fecondate edembrionali. Contrariamente allaterapia genica, la terapia della li-nea germinale provoca non soltan-to un cambiamento negli esseriumani, su cui viene eseguita, madetermina anche le caratteristichegenetiche dei discendenti di questiindividui. La terapia della lineagerminale non è praticamente fat-tibile né adesso né in un futuroprossimo. La sua insostenibilitàetica discende da argomentazionipragmatiche e categoriche. Le ar-gomentazioni pragmatiche ne mo-strano soprattutto i rischi: non sipotrebbe escludere che questi in-terventi causino danni irreparabilie provochino modifiche della per-sonalità. Ci sarebbe poi il pericoloche queste vengano usate in modoillecito per colture di esseri umani.Inoltre per sviluppare questa tera-pia sono necessari esperimenti conembrioni umani, che si dovrebberorifiutare nell’interesse della prima-zia della protezione della vita sullaprotezione della salute. Gli argo-menti categorici addotti contro laterapia della linea germinale affer-mano che questa è un’offesa alladignità dell’essere umano, poichémodifica la base genetica dell’in-dividualità e quindi l’integrità per-sonale.

Ogni essere umano entra nellasocietà… come generato e nato,non come fatto e selezionato. Ha isuoi diritti, senza dover ringraziarenessuno. Se in una cellula fecon-data viene effettuato un interventodi ingegneria genetica, anche se ascopo medico, non viene curatauna persona esistente, ma vienemanipolata la sua identità. Violan-do le generazioni, le conoscenze di

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ingegneria genetica del nostrotempo potrebbero portare a un po-tere sempre crescente sulle genera-zioni future. Questo significa dalloro punto di vista: la conoscenzapotrebbe portare al dominio deimorti sui vivi e ciò sarebbe assolu-tamente irreversibile.

Nuovi farmaci

Ci sono possibilità di applica-zione dell’ingegneria genetica nelcampo dello sviluppo farmacolo-gico che hanno lo scopo di preve-nire o di curare le malattie. Dalpunto di vista della protezione eti-ca della salute sarebbe irresponsa-bile rinunciare alle nuove possibi-lità di produzione di farmaci aper-te dall’ingegneria genetica o a mi-gliori possibilità terapeutiche. Losviluppo di nuove sostanze attivepotrebbe essere molto rilevanteper la lotta ai tumori e la cura deimalati di Alzheimer.

I cosiddetti farmaci proteicirientrano in quei farmaci di nuovotipo prodotti coll’ingegneria gene-tica. Forniscono al malato le pro-teine che questi non è in grado diprodurre in modo sufficiente. Unaltro medicinale genico, oggi co-nosciuto sul mercato farmaceuti-co, è l’insulina umana per la curadel diabete.

5. Aiuti pastorali.Ripercussioni soprattutto nei rapporti con la disabilità

Con l’analisi del genoma e lamedicina predittiva la vita è diven-tata in un certo qual modo più pre-vedibile. Quanto più però la medi-cina è in grado di dare qualcosa disimile a delle “garanzie” per unbambino sano, ad esempio condiagnosi prenatale e preimpianto,tanto più si rafforza il rifiuto dellavita danneggiata o disabile. Ci sipuò senz’altro aspettare che dimi-nuisca la disponibilità ad accettarefin dalla nascita degli esseri umanimenomati e a vedere in essi uncompito di tutta la vita. Forse ungiorno la società non accetterà pro-prio più bambini menomati. Si sache sarebbero potuti rimanere nonnati, e in fin dei conti erano statemesse a disposizione tutte le possi-bilità legali di una eliminazioneprima della nascita. Si potrebbe

addirittura rivendicare il diritto diavere un bambino sano.

Il peso che rappresenta per unafamiglia un bambino disabile, è se-rio e gravoso. Ma anche in una ta-le famiglia non sono escluse lagioia e la felicità, anche se la lorovita è marcata pur sempre dalla di-sabilità. Come si può conciliare ilprincipio che la vita è una benedi-zione e un dono se le condizioni divita di un bambino disabile oppri-mono talvolta una famiglia in mo-do indicibile?

Nel messaggio cristiano è Dio,che benedice e dà la vita, a dare larisposta. Gesù Cristo ha sperimen-tato nella propria vita dolore e sof-ferenza fino all’abbandono di Diosulla croce.

In questo mondo vediamo conti-nuamente, talvolta in modo dolo-roso, che anche la creazione èspezzata. Ma Dio la condivide, equindi possiamo sperare. Contra-riamente ai nostri desideri naturalipossiamo accettare e apprezzare ildebole, l’incompleto, il sofferente.Così inizia un percorso di umaniz-zazione, di profondo rispetto per lavita, che ci è stato indicato come ilcammino della salvezza. Ovunqueci sia qualcuno che per fede o peronestà umana sta dalla parte diquesto destino e non se ne sottrae,distruggendo la vita, realizza pos-sibilità di maturazione umana, ir-raggiungibili senza la sofferenza.Ogni pastore di anime conosceesempi in cui questo si può quasitoccar con mano. Tutti noi dobbia-mo a quei genitori e a quelle fami-glie che hanno iniziato e continua-no a seguire un tale cammino rico-noscenza, considerazione e aiutoattivo. Questo è un compito impor-tante, spesso trascurato dell’assi-stenza spirituale.

Laddove la medicina e l’inge-gneria genetica si scontrano con iloro limiti, perché anch’esse nonpossono garantire una vita esenteda sofferenza, malattia e menoma-zioni, è compito prioritario dellaChiesa e della Pastorale non la-sciar sole nel loro difficile cammi-no le persone colpite, aiutarle adaccettare il destino della malattia edella disabilità e incoraggiarle, no-nostante tutte le avversità, a nonperdere la fede nel senso e nella di-gnità di ogni vita umana. Non puòessere compito della pastoraleaspettarsi la salvezza soltanto dalla

moderna bioscienza. La Chiesanella sua predicazione e nel suoservizio ai malati deve mostrareche l’essere umano può sperimen-tare la guarigione finale e definiti-va solo nella fede in Dio. Nella suaassistenza spirituale non deve tra-lasciare di stare vicino soprattuttoa quelli che non possono essereaiutati dalla medicina.

I cristiani credono che l’essereumano abbia la sua origine nel mi-stero che gli uomini intuisconocon la loro ricerca e con le loro do-mande dietro la loro vita e che icristiani chiamano Dio Gesù Cri-sto. Per i cristiani una vita umana,in qualsiasi forma essa sia, non èmai assurda e inutile. L’essereumano non è un prodotto del caso.Non si è fatto da solo e non esistein assoluta autonomia. Per questonon può garantire da solo il sensoe il valore della propria vita. Il cre-do dei cristiani secondo cui l’uo-mo è creato da Dio contiene ilmessaggio che ogni essere umanoè voluto e accettato e amato daDio, ed è chiamato a trovare la fe-licità della sua vita nell’unionecon Dio. Per i cristiani, la dignitàinalienabile dell’essere umano sibasa sul fatto che al di là di tutte lesue prestazioni, capacità e incapa-cità, è amato incondizionatamenteda Dio ed è da Lui accettato in mo-do definitivo. I cristiani credonoche Dio garantisca il valore e il si-gnificato di ogni vita umana. L’es-sere umano può solo farsi dire daDio quali sono il senso e il valoredella vita e accettarlo con fede. Icristiani credono che Dio non ab-bandona gli uomini, ma rimane lo-ro fedele. Dio ha spezzato il cer-chio infernale della disperazione,dell’inutilità e della colpa con lanascita, la vita, la morte e la risur-rezione di Gesù Cristo. Facendosiuomo, Dio si è messo definitiva-mente dalla parte di ogni uomo eha confermato in modo insupera-bile la dignità umana. In Gesù,Dio stesso condivide il destinodell’essere umano nella gioia enella speranza, nell’insuccesso enella sofferenza fino alla dispera-zione della morte. Dio, in GesùCristo, è accanto all’uomo che nonviene riconosciuto, che soffre, cheè inchiodato al destino della suamenomazione, che apparentemen-te non può più dare nulla, che èsconfitto nella sua vita, che muore.

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Quando Dio risuscita Gesù Cristodalla morte alla pienezza della vi-ta, viene data al credente la certez-za e il senso che Dio gli è fedele,che non lo abbandona nemmenonella sofferenza e nella morte. Nelsuo credo in Dio l’uomo trova ilfuturo e il senso della propria vita(Lehmann 2005).

Se la Chiesa si erge contro l’a-borto per malattia o menomazionedel bambino deve anche impe-gnarsi umanamente per i genitoridi bambini disabili ed essere soli-dale con loro. I genitori devonosentire la stima per l’amore chedanno al proprio bambino disabileanche nell’ambiente che li circon-da. Se lasciamo che non succeda,pecchiamo contro di loro e controil loro bambino disabile, e contro ildono divino della vita, che la mag-gior parte di noi ha ricevuto senzauna tale menomazione. Dovrem-mo tutti creare un’atmosfera di fi-ducia e di accettazione per il bam-bino portatore di handicap e per isuoi genitori. Ognuno di noi do-vrebbe fare tutto il possibile affin-ché le nostre parrocchie diventino

comunità della gioia di vivere e difiducia nella vita. I gruppi di con-tatto e i gruppi di aiuto possonocontribuire a far sì che i bambinidisabili e i loro genitori non venga-no trascurati nelle loro difficoltà.

Significa aiutare con un’assi-stenza mirata ad alleviare il pesodei molteplici compiti che presi in-

sieme fanno sembrare una situa-zione difficile da sopportare epressoché disperata. Questo puòesser fatto anche dando nella vitaquotidiana tanti piccoli aiuti, cheaiutano a superare molte situazionidifficili. La Chiesa dovrebbe an-che cercare nella misura del possi-bile, con la predicazione e il servi-zio che svolge, di rafforzare lacomprensione, la responsabilità ela solidarietà, e dovrebbe provve-dere in modo non burocratico aibisogni urgenti. Gli assistenti spiri-tuali non dovrebbero stancarsi dicercare la strada per avvicinarsi aidisabili e alle loro famiglie.

Per una comunità cristiana nes-suna sofferenza deve rimanereestranea, se si prende sul seriol’immagine data da Paolo della co-munità come “Corpo di Cristo”(Rom 12; Cor 12). Ogni essereumano è membro di tale corpo. Ildolore di una parte è il dolore ditutti. Il distacco dalla sofferenzadell’altro deve essere quindi intesocome distacco dal corpo di Cristo.Compassione e solidarietà coi sof-ferenti sono elementi essenziali

dell’esistenza cristiana. Da questoconcetto di comunità come corpodi Cristo deriva non soltanto ladiaconia per i malati e i disabili,bensì anche la diaconia dei malatie dei disabili per la società . “ Pao-lo non pensa che questo Corpo diCristo scoppi di salute. Ci sonomembra deboli e ci sono membra

gracili. E Dio dà al membro graci-le la massima considerazione e ilmassimo splendore (1Cor 12,24)poiché ha bisogno delle membradeboli e gracili per il suo Regno.Perché? Perché la comunità delCorpo di Cristo non è soltantoquella del Cristo risorto, ma anchequella del Cristo crocefisso… IlCorpo di Cristo – è anche il corpodel Figlio dell’uomo debole, iner-me e crocefisso. E la forza del Cri-sto risorto è sempre nell’unionecolle sofferenze del Crocifisso” (J.Moltmann).

I malati e i disabili e i loro fami-liari non vengono ancora abba-stanza considerati in pubblico. Quile Chiese, ora più che mai, devonoalzare la voce e parlare per i muti(Spr 31,8), parlare come un avvo-cato, per quanti la malattia e la sof-ferenza ha fatto ammutolire. Lamalattia e i suoi bisogni devonoessere pubblicizzati, perché l’aiutonon attraversa da solo le portechiuse. Le Chiese e soprattutto lecomunità locali devono accorgersidi tutte quelle incombenze che nonsono state ancora scorte dalla so-cietà e dall’assistenza sociale. Tra-mite le comunità si può offrire di-rettamente aiuto personale ai ma-lati e ai loro familiari. In tal modosi rafforza l’incontro col prossimo,e i malati e i loro familiari speri-mentano nella comunità la pro-messa e il senso della vita.

6. Conclusione

L’analisi del genoma presentameno problemi etici e pastoralidelle possibilità che essa schiude.Queste possibilità devono esserecontrollate, per vedere se servonoa proteggere e a promuovere la vi-ta umana, a migliorarne le possibi-lità e a tutelare valori etici impor-tanti, oppure se sono in contrastocon tutto ciò. Come prima regola sipropone di non diagnosticare piùdi quanto si possa fare dal punto divista della prognosi e della terapia.La fortuna dell’analisi genetica ri-siede nel fatto che permette agli in-dividui di agire in modo responsa-bile per quanto riguarda la propriasalute o quella della propria di-scendenza. Questo non significaperò che altri possano essere obbli-gati a sapere di più di sé di quantonon vogliano sapere (diritto di non

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sapere). L’uso dell’analisi geneticaper la selezione è eticamente irre-sponsabile e problematico. La dia-gnosi prenatale porta spesso all’a-borto; lo screening dei lavoratori apreferire manodopera genetica-mente robusta; nelle assicurazionil’analisi genetica può portare a di-sparità preoccupanti dal punto divista socio-politico. Poiché i datiottenuti con l’analisi genetica ri-guardano il nucleo della sfera pri-vata, nessuno può essere obbligatoa rivelarli (protezione dei dati) sal-vo che si temano gravi danni perterzi. Oltre ai rischi nella sfera in-dividuale troviamo anche dellechance. Lo sviluppo di nuovi me-todi diagnostici, medicinali e tera-pie. Per questo non è soltanto con-sigliabile, ma corrisponde anchealla natura e al compito creativodell’essere umano che prende inmano, in modo ragionevole, il suodestino genetico e non lo lasciasemplicemente nelle mani dellanatura o dell’evoluzione biologica.I rischi devono essere limitati daazioni responsabili, direttive edeventuali leggi.

Sulla base delle possibilità indi-cate non sembra né possibile né ra-gionevole, né etico non accettare odemonizzare la moderna ingegne-ria genetica, il progetto genomaumano, e la medicina predittiva aessi collegata. Riconoscere tempe-stivamente malattie in parte miste-riose e le eventuali possibilità tera-peutiche può evitare molta soffe-renza. Bisognerà però chiedersi,considerando l’effetto generaledelle opzioni di ingegneria geneti-ca, e in ogni singolo intervento, inche misura la vita è protetta, tutela-ta e salvata e se si aiuterà l’essereumano ad avere una vita degna diun uomo. In questo contesto biso-gna aprire un dibattito sulla malat-tia e la disabilità, poiché solo inquesto modo si possono evitare lastigmatizzazione e la discrimina-zione dei malati, dei disabili e del-le persone con fattori ereditari sfa-vorevoli.

Anche con così tanti dati geneti-ci sulla struttura dell’essere umanonon riusciamo a trovare il sensodella sua esistenza. Gli esseri uma-ni trovano il senso della loro vitanon nei loro geni, bensì da come sipongono con la loro “natura” neirapporti sociali, personali e reli-giosi. Il senso della vita è più che

un semplice funzionamento. Non èfatto, ma oggetto di fede. Chi lapossiede , può spostare le monta-gne. Concetti come “gene” o an-che “umanità” non sono soggetti acui sacrificare l’individuale, bensìstrumenti astratti di informazionerazionale. La conoscenza biologi-ca può sì permettere delle azioniumane più consapevoli, ma nonpuò sostituire le prospettive perso-nali di vita.

S. Em.za Card. KARL LEHMANNVescovo di Mainz,

Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca,

Germania

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Page 96: Atti della XX Conferenza Internazionale

97DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Il progresso senza precedenticonseguito dalla ricerca genetica ebiomedica negli ultimi decenninon ha prodotto soltanto nuoveprospettive per quanto concerne lanatura della vita e quelli che costi-tuiscono i suoi più intricati proces-si; si è assistito infatti a cambia-menti rivoluzionari nella praticadella medicina e della ricerca ap-plicata. Essendo la vita dell’uomoal centro di tanta attenzione, è evi-dente che la religione ebraica nonpuò rimanere estranea alle innova-zioni e deve essere attenta ad af-frontare le specifiche implicazionied esprimere il proprio parere suiseri e numerosi problemi che, quo-tidianamente, vanno sorgendo.

La conoscenza e il suo persegui-mento costituiscono attività legitti-me per gli esseri umani e non co-stituiscono interferemze sulle pre-rogative divine. Ma il dibattito sul-la genetica diventa sempre più va-sto, e spesso sempre più drammati-co, di fronte alle prospettive offer-te dal progresso delle tecnologiegenetiche.

A mio parere è difficile fare almomento un discorso univoco eassoluto dal punto di vista ebraicorispetto ai problemi posti dalla ge-netica. È necessario infatti esami-nare singolarmente i vari aspetti dicui questa scienza si occupa e riu-scire a formulare un giudizio chenon può essere generalizzato. Èdifficile seguire questo percorsonel poco tempo messo a disposi-zione. Ogni caso va studiato e di-scusso singolarmente per vedere le

implicazioni e le sfumature impli-cite.

Grazie alla ricerca in campo ge-netico è possibile diagnosticare ecomprendere sempre meglio e an-che in epoca prenatale quelle ma-lattie ereditarie con le quali la no-stra società è costretta purtroppo aconfrontarsi ogni giorno.

Ma potrebbero esserci specula-zioni illecite nell’ambito di tale di-sciplina che possono condurre avere e proprie aberrazioni. Che co-sa dire infatti di quella che comu-nemente viene chiamata “ingegne-ria genetica”, oppure delle tecni-che di clonazione degli essereumani e delle enormi implicazionimorali e sociali che ne potrebberoderivare?

L’esame dei tanti aspetti dellabiomedicina, dal trapianto degliorgani all’inseminazione in vitro,dalla refrigerazione dei corpi al-l’eutanasia, e così via, oltre che es-sere di estremo interesse, compor-tano, come già si è detto, una inda-gine abbastanza complessa. Quel-lo che, a mio avviso, è importante,è rifarsi ad alcuni principi fonda-mentali per ribadire un’etica preci-sa e regole di comportamento allequali il ricercatore deve attenersi.Se ogni comportamento umanodeve essere regolato da norme,questo vale ancora di più per quel-le scienze che, incontrando la vita,si trovano di fronte alla dimensio-ne del sacro.

Il primo principio a cui intendoriferirmi è la massima rabbinica ri-portata dal Talmud secondo cui

“salvare una vita umana equivale asalvare il mondo intero”. Da que-sta considerazione impariamo co-me il valore della vita umana siainfinito e nulla nel creato supera intermini di valore generale e soprat-tutto morale la vita dell’uomo.Questa idea circa la sacralità dellavita trae la sua origine e il suo fon-damento da tante pagine della Bib-bia e in particolare dal raccontodella creazione dell’uomo fatto aimmagine e somiglianza di Dio.

Numerose sono le implicazioniche discendono da questo princi-pio assoluto. Ad esempio il dovereper l’uomo di difendere la propriaincolumità fisica e provvederequindi alla propria salute. Al medi-co spetta intervenire con tutta lapropria scienza e intelligenza in fa-vore dell’ammalato al fine di otte-nere la sua guarigione.

6. Dialogo interreligioso sull’applicazione della conoscenza della genetica umana

ABRAMO ALBERTO PIATTELLI

6.1 La prospettiva ebraica

Page 97: Atti della XX Conferenza Internazionale

98 IL GENOMA UMANO

Il comandamento biblico “nonrimanere inerte di fronte al perico-lo del tuo prossimo” è normalmen-te interpretato dai maestri ebrei co-me un invito e un incoraggiamentoa intraprendere quella ricercascientifica che a lungo andare puòrisultare benefica e utile alla salutee alla vita dell’uomo. È implicitoperò che la sua applicazione nondeve comportare un pericolo per laesistenza dell’uomo stesso.

L’Ebraismo, nella sua lunga e se-cololare storia, non ha mai provatocomplessi di inferiorità sia nei con-fronti della ricerca scientifica chedel progresso umano. All’uomo siriconosce la capacità di progrediree di raggiungere livelli altissimi,proprio come afferma l’ottavo Sal-mo: “Che cosa è l’uomo perché tulo ricordi, e l’essere umano che tune tenga conto? Eppure lo hai crea-to di poco inferiore a Dio. Tu lo haicoronato di gloria e di magnificen-za”. E a questo proposito il Talmudspiega come l’uomo sia superioreaddirittura alle creature celesti inquanto queste non posseggono lalibertà, mentre l’uomo possiede lalibertà di scegliere ed è la sola crea-tura capace di dialogare con il pro-prio Creatore.

Manifestazione di questa supe-riorità, sia intellettiva che cultura-le, si ritrova, secondo il pensierobiblico, nell’inserimento dell’uo-mo all’interno del processo creati-vo sin dalla primordialità. Ovveronella capacità oltre che nel dovere

dell’uomo di correggere e di porta-re a perfezione quelle carenze eimperfezioni che si ritrovano nelmondo fisico. Espressione signifi-cativa di questa prospettiva è datada un riferimento famoso della let-teratura rabbinica secondo cui ilromano Turnus Rufus e l’ebreoRabbi Akivà dissertano sulla qua-lità delle opere umane e divine perstabilire quali debbano ritenersisuperiori.

Il confronto tra i semi di grano(opera delle mani di Dio) e una pa-gnotta di pane appena sfornata di-mostra la dimensione dell’uomo ela sua positività nell’economiadella creazione. L’uomo collaboracon la divinità e agisce per il con-seguimento della perfezione delcreato.

L’uomo che è stato creato “dipoco inferiore a Dio” è pure porta-tore di speranza. Qualunque medi-co, ricercatore, teologo, personainvestita di responsabilità, uomo difede e di buona volontà, fornisce laprova a Dio che la creazione vale-va la pena di essere tentata e che laguarigione degli ammalati e il sol-lievo della sofferenza rappresenta-no il più bell’atto di fede che lecreature possono dedicare al loroCreatore.

Dopo quanto si è fin qui detto, èchiaro che un posto importante oc-cupa la persona investita nella ri-cerca e nell’uso che egli vorrà faredei risultati della sua ricerca e deisuoi studi. Come si è detto, tutto è

nelle mani dell’uomo, ogni cosa ècondizionata dalla sua condottamorale, dal suo timore verso ilCreatore, dal rispetto della Sua vo-lontà per quanto concerne i rappor-ti con il prossimo, ovvero l’uomoche è stato creato a immagine e so-miglianza di Dio.

Nel libro biblico del Levitico sitrova scritto: “Nessuno inganni ilproprio fratello” e il testo aggiunge“e temerai il tuo Dio, perché Io so-no il vostro Dio”. Venendo a spie-gare la relazione tra le due parti deltesto, il grande esegeta della Bib-bia, Rashi, Rabbi Shelomò figliodi Izchak, aggiunge questa postil-la: “E temerai il tuo Dio”, cioè co-lui che conosce i pensieri dell’uo-mo. Tutto quanto riguarda i pen-sieri dell’uomo, conosciuti dall’U-no che conosce tutti i pensieri del-l’uomo, sia soggetto al principio“e temerai il tuo Dio”.

L’intelligenza che Dio ha donatoall’uomo, consente a questi di su-perare tutti gli ostacoli che si op-pongono al progresso scientifico.Nello stesso tempo però l’uomodeve possedere la saggezza di nonlasciarsi prendere dalle vertiginidelle proprie scoperte e dei risulta-ti raggiunti.

Prof. ABRAMO ALBERTO PIATTELLI

Rabbino capo pressola Comunità ebraica di Roma;

Docente di ebraismo post biblico alla Pontificia Università Lateranense,

Roma

Nel complesso e variegato cam-po della bioetica, il mondo islamicoè anch’esso confrontato alle sco-perte scientifiche e alle multiplesfide che si intravedono nelle ricer-che biologiche e mediche, comequelle del genoma umano. Il rap-porto tra scienza, etica e fede conti-nua a essere argomento di dibattito,discussione, studio e ricerca. In unsenso più ampio, il rapporto tra re-ligione e modernità è di fatto al

centro delle questioni più spinosedel mondo islamico. Le società mu-sulmane non possono sfuggire aiproblemi della bioetica e del suorapporto con i principi dell’eticamusulmana, fondata sugli articolidella fede islamica e della legge re-ligiosa dell’Islam.

È importante e necessario sotto-lineare il fatto che nessuno si puòsottrarre ai quesiti della scienza.Essa è in costante ebollizione, in un

movimento senza sosta e fa partedel divenire umano dei nostri tem-pi. Le religioni, e l’Islam non è unaeccezione, si interrogano sugliaspetti etici, sulle risposte adegua-te, sull’armonia tra sapere religiosoe sapere scientifico.

La mia intenzione è quella diesporre alcuni aspetti essenzialidella legge religiosa dell’Islam,chiamata Shari‘a. Essi, in un certosenso, riflettono i punti cardini del-

JUSTO LACUNZA BALDA

6.2 La prospettiva islamica

Page 98: Atti della XX Conferenza Internazionale

99DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

la fede islamica e i principi dell’eti-ca musulmana.

Questi sono gli aspetti principalidella legge religiosa dell’Islam(Shari‘a), che guidano il percorsoumano, regolano la visione islami-ca della persona e stabiliscono iprincipi dell’etica musulmana.

1. La storia e la vita nelle societàmusulmane è sempre stata plasma-ta dai precetti, dai valori e dall’or-dinamento giuridico della legge re-ligiosa dell’Islam, conosciuta con iltermine arabo di Shari‘a. Per i mu-sulmani la legge religiosa è di ori-gine divina, fondata sui testi delCorano, elaborata dai giuristi (fu-qaha’) secondo la tradizione e con-tinuamente discussa dagli esperti(‘ulama’) nel corso della storia.

2. Come base e fondamento dellaShari‘a troviamo le quattro “radicidel diritto” (usul al-fiqh) o fonti dacui sono stati tratti i principi dellalegge religiosa dell’Islam. Questefonti sono il Corano (a), La Tradi-zione (Sunna) (b), l’Ijma‘ (consen-so degli esperti) (c) e il Qiyas (ra-gionamento analogico) (d).

3. I dibattiti istituzionali, le di-scussioni intellettuali e le opinionipopolari sull’interpretazione e l’ap-plicazione della Shari‘a continuanoa suscitare un grande interesse. Tresono le grandi tesi, considerandodelle costituzioni degli Stati indi-pendenti: la Shar‘ia è la fonte deldiritto musulmano e civile (a), ladefinizione degli spazi privati epubblici dove va applicata la Sha-ri‘a (b).

4. Il ruolo della Shari‘a negli sta-ti moderni a maggioranza musul-mana continua a essere uno deipunti forti del dibattito istituzionaleper rispondere a due quesiti fonda-mentali: come armonizzare le leggi

civili e le leggi religiose in un Statomoderno (a) e quali sono i rapportifra autorità religiosa e potere politi-co nelle nazioni a maggioranza mu-sulmana (b).

5. Occorre sottolineare che laShari‘a è dotata di una notevole ca-pacità di adattamento ai cambia-menti e alle varie situazioni. Que-sto fatto è dovuto all’assenza di unaautorità suprema come custode uni-versale dell’ortodossia musulmana.Il problema reale è quello delle ga-ranzie istituzionali e legali conces-se alle minoranze musulmane neglistati a maggioranza musulmana.

6. La Shari‘a è strutturata in unsistema globale, quasi omnicom-prensivo. Esso regola il livello fa-miliare (proprietà, matrimonio, ere-dità) incide nei rapporti sociali(educazione, tutela, culto) e fa daguida istituzionale nello spaziopubblico (leggi dello Stato, giusti-zia, moralità pubblica, non musul-mani).

7. Per il diritto musulmano ogniatto umano trova la sua collocazio-ne sotto la Shari‘a e rientra in unadelle seguenti categorie: obbligato-rio (fard, wajib) (a), raccomandato(mandub, mustahabb), (b), libero(mubah) (c), sconsigliato (makruh)(d) e proibito (haram) (e).

I problemi sui temi della bioeticaelaborati nei vari stati del mondomusulmano corrispondono, quasisempre, a posizioni elaborate daivari organismi, congressi e confe-renze. [La Lega del Mondo Musul-mano, l’Organizzazione della Con-ferenza Islamica, Comitati nazio-nali degli editti legali (fatawa)].Vanno documentati e studiati inquesto senso i rapporti e documentiemessi dai vari organismi biomedi-ci in quanto non sono esclusi con-trasti e le divergenze tra le posizio-ni dei ricercatori e quelle emessedalle autorità religiose. Una dellegrandi difficoltà è quella di trovareposizioni rappresentative della plu-rale e vasta comunità dei fedeli mu-sulmani.

L’aspetto più interessante delrapporto tra bioetica e legge reli-giosa (Shari‘a) è quello di costatareche i problemi della bioetica spin-gono le istituzioni islamiche versoun aggiornamento del diritto mu-sulmano per quanto sempre piùspesso trascurato, o dimenticato,dal diritto positivo vigenti nei sin-

goli Stati musulmani. In questosenso, è necessario tener conto cheogni regola non espressa nel Cora-no o nei “detti” profetici (Hadith),o non legittimamente dedotta da lo-ro, è una “innovazione” (bid‘a),termine diventato sinonimo di ere-sia e di mutamento eterodosso.Quando mancano le indicazionichiare nella tradizione musulmana,si presentano come valide rispostedifferenti e anche talvolta opposte.

Il dibattito sulla bioetica nei Pae-si tecnologicamente avanzati, conle proposte “di frontiera”, si è rapi-damente diffuso attraverso i mediae i mezzi di comunicazione. Il di-battito che ne è seguito ha indottoprogressivamente a un approfondi-mento e aggiornamento a tre livel-li: teorico (a), deontologico (b), le-gislativo (c). Dal punto di vistaislamico, la persona umana hal’impronta della creazione, concet-to fondamentale nel legame tra fe-de e scienza, comportamenti etici elegislazione giuridica. La vitaumana, dalla nascita alla morte,dalla concezione alla risurrezionefinale, è guidata dal Dio Creatore.Perciò la religione musulmana sot-tolinea l’aspetto sacrosanto dellavita umana. L’essere umano e lacreazione appartengono a Dio.L’uomo non può, in principio, dapropria iniziativa modificare, ma-nipolare, cambiare, interrompere,il corso naturale dell’ordine divinostabilito dal Creatore. Dal punto divista islamico i così detti “cambia-menti genetici” o “le formule gene-tiche” vanno contro l’armonia e ildecorrere della vita secondo i prin-cipi della fede fondati sulla rivela-zione coranica e la raccolta delletradizioni profetiche. L’aspetto,però, che sembra essere di notevo-le importanza, è il fatto che il di-scorso intorno alla bioetica e al ge-noma umano sta portando le so-cietà musulmane e conducendo gliorganismi islamici a una progressi-va rivisitazione dell’ordinamentogiuridico del diritto musulmanosotto la guida dei giuristi ed espertimusulmani. Un compito laborioso,un lavoro arduo, una sfida reale trai principi della fede islamica e lescoperte della scienza.

P. JUSTO LACUNZA BALDAPreside del Pontificio Istituto di Studi arabi e d’islamistica,

Roma

Page 99: Atti della XX Conferenza Internazionale

100 IL GENOMA UMANO

La vita è uno strano fenomeno.È piena di miracoli inaspettati. Unimprovviso caso del destino, dovu-to a un cambio di programma del-l’ultim’ora del mio direttore gene-rale, mi offre l’opportunità di tene-re un discorso su “Induismo e Ge-noma Umano” nella città eternadel Vaticano, di fronte a una solen-ne assemblea di persone erudite.Questo si ricollega molto bene allafilosofia induista del “PrarabdhaKarma”, secondo la quale ogniazione è destinata ad accadere se-condo il volere di Dio, l’onnipo-tente, l’onnipresente. Infatti, l’In-duismo non è una religione nelsenso della normale accezione deltermine. Non prescrive rigidi “fa-re” e “non fare”, ma descrive un“modo di vivere universale” attra-verso la filosofia cosmica dei Vedae i grandi poemi epici di Ramaya-na e Mahabharata. Si tratta di unavisione e di un modo di vita basatisull’aspirazione alla luce, all’illu-minazione, all’essere sempre inmovimento verso la luce allonta-nandosi dall’oscurità, rifiutandotutto ciò che è oscurità1. Il signifi-cato della vita trascende qualsiasioscurità e ignoranza. Secondo ilDharma Indù, nessuno può modi-ficare il ruolo che deve svolgerenella creazione di Dio, in nessunluogo e in nessun momento in undeterminato contesto spazio-tem-porale, e ognuno dovrebbe svolge-re il proprio ruolo in modo signifi-cativo, senza preoccuparsi dei ri-sultati. Infatti, secondo la teoriadel “Karma”, narrata in modosplendido da Lord Krishna nelBhagavad Gita, il “Karma Yoga” èlo svolgere dell’azione come offer-ta al Signore, accettandone il risul-tato senza aspettative, ma comeuna Sua grazia; ciò elimina simpa-tie e antipatie e genera una menteserena e aperta – una mente voltaall’apprendimento2. Se si assimila

l’essenza del Gita, non ci sarà esi-tazione nel fare ciò che deve esse-re fatto. Ecco perché l’Induismoprescrive i doveri che devono esse-re assolti dall’intera società, preoc-cupandosi dei diritti degli altri sen-za fornire alcun diretto riferimentoal termine “diritti”. Perciò l’Indui-smo è religione basata sul dovere,il Dharma Induista.

Dall’inizio del viaggio dell’uo-mo sulla terra, egli ha cercato ditrovare risposte alla domanda dicosa egli sia veramente; le eternedomande di cosa è la vita, quandoinizia e quando finisce, cosa suc-cede all’anima quando lascia ilcorpo dopo la morte. Esiste un al-tro mondo? E l’anima ricorda lasua vita precedente quando entrain un altro corpo o rinasce sottoforma di vita? Secondo l’ideologiacosmica induista, l’anima non è al-tro che una parte e un granello delCosmo, o suprema coscienza, conil quale si sforza di fondersi attra-verso ripetuti processi di creazio-ne, crescita e distruzione, conside-rati come suprema verità e supre-ma realtà. Questa teoria dell’auto-conoscenza e dell’auto-realizza-zione rappresenta l’essenza del-l’Advaita Vedanta, filosofia codifi-cata da Adi Sankaracharya3. Se-condo Adi Sankaracharya, l’animaè un granello dell’energia cosmicache assume la forma di un corpo fi-sico nel quale temporaneamenterisiede. Non appena il corpo fisicosi disintegra, l’anima viene libera-ta e si muove verso la Suprema di-mora per divenire un tutt’uno conil Centro dell’energia cosmica.Durante questo viaggio, attraversoun effetto magnetico, essa incontraaltre forze e può assumere unanuova vita o una nuova forma epuò provare la gioia, la sofferenzafisica e il dolore di quel corpo fisi-co, sino a che viene il momento incui sfugge da questa forza magne-

tica e si unisce con l’energia co-smica. Questo si spiega con il con-cetto di Trimurti – Brahma, Vishnue Mahesh – un tentativo di spiega-re le forme cosmiche dell’energia.Brahma è un’energia cosmica re-sponsabile della creazione di mon-di diversi, cioè costellazioni, ga-lassie e Via Lattea, per un certo pe-riodo di tempo. La funzione del te-nere insieme questi mondi, o allostesso modo una vita, viene attri-buita a Vishnu, il protettore dellavita. La disintegrazione finale e lareintegrazione con l’energia co-smica a Mahesh, il Signore dell’e-nergia della distruzione. Le attivitàcosmiche, sotto forma di creazio-ne, protezione e distruzione, sonostate descritte nel Bhagavad Gitache, in termini moderni, corrispon-de alla teoria del Big Bang dellacreazione del nostro mondo. Con ilprogredire della scienza e la ricer-ca delle risposte sulla vera naturadell’energia nucleare, ci stiamoavvicinando alla filosofia cosmicainduista. La filosofia e i principicosmici consentono a un essereumano di crescere oltre i limiti po-sti dal sistema organico. Per com-prendere l’unione dell’anima conl’Universo, o il concetto filosoficoche sono al tempo stesso unici e lastessa cosa, si deve predisporre lamente ad accettare l’unificazionedella scienza esteriore con lascienza interiore. Le Upanishad,che sono commenti alla filosofiacosmica induista, hanno approfon-dito la grande scienza dell’essereumano. Che si tratti dell’elitarioInduismo superiore della tradizio-ne dei Veda o del democratico In-duismo minore della tradizione“puranica”, la verità ultima è cre-dere che lo scopo della vita su que-sto pianeta sia quello di raggiunge-re la fusione dell’anima individua-le (atman) con l’anima universale(Brahman o Paramatman) per

VASANTHA MUTHUSWAMY

6.3 L’Induismo e l’applicazione delle conoscenzesulla genetica umana

Page 100: Atti della XX Conferenza Internazionale

101DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

sfuggire al ciclo vitale di nascite erinascite che viene determinatodalle azioni passate (Prarabdha).Questi concetti basilari spieganochiaramente le sfumature della ge-netica e della genomica umana ba-sate sui principi di ereditarietà e dieredità dei tratti e delle qualità. Imoderni studi genomici sono ingrado di dimostrare che in un em-brione i geni sono firme della vitapassata o, in altre parole, sono ere-ditari in natura. Uno sguardo alleantiche scritture e ai poemi epiciRamayana e Mahabharata, mostrainnumerevoli esempi di scopertescientifiche che vengono ora con-siderate come nuovi progressi, di-mostrando così la ricchezza del-l’immaginazione scientifica e l’in-gegnosità della mente vedica.

La reincarnazione o, in modernitermini scientifici, la clonazione diuna specie, può essere accettata so-lo se accettiamo l’ideologia del Ve-danta secondo la quale, in un corpofisico, l’anima ha un’esistenza se-parata e le caratteristiche fisichesono basate sulla struttura geneticache deriva dalla vita passata di unindividuo. I riferimenti fatti nei te-sti antichi a diversi tipi di riprodu-zione asessuata, come la fertilizza-zione in vitro, l’ingegneria geneti-ca, il trapianto e la clonazione, so-no stati ora raggiunti dagli attualiprogressi scientifici, ma esistonomolti altri esempi che sono ancoraal di là della portata della scienzamoderna. In base a questi testi, ilmodo in cui sono stati procreati idue figli di Lord Shiva/Maheshsembrano esempi di trasferimentonucleare di cellula somatica(SCNT) dall’ovulo e dallo sperma,come nella tecnologia della clona-zione, quest’ultima non ancoraraggiunta dagli scienziati moderni.

L’insorgere, attraverso la clona-zione, di diversi “asura” (caratterinegativi) indica chiaramente comel’uso improprio della tecnologiaper scopi errati sia una lezione pergli esseri umani e come qualsiasitecnologia possa causare danno in-vece di beneficio se cade nelle ma-ni sbagliate. Nel Markandeya Pu-rana, ne è esempio la storia di“Raktabij”, un demone mitologicoche dà vita a un altro clone di sécon ogni goccia di sangue versata.

La più interessante connessionetra la filosofia cosmica induista ela moderna genomica è il simbolo

OM. OM è l’essenza della vita, èla saggezza che, una volta acquisi-ta, non lascia nulla di non realizza-to (\). Il concetto di OM ha as-sunto il predominio nella filosofiacosmica induista poiché vieneproiettato come una forza total-mente permeante in tutto il mondomateriale, che è visibile, e nelleforze invisibili che sono responsa-bili della procreazione delle diver-se forme del mondo, ivi inclusi icorpi fisici grossolani, i corpi sotti-li e i corpi causali. Infatti il concet-to di Trinità – Brama, Vishnu eMahesh – sono considerati comele versioni causali dell’OM.

Si dice che l’OM sia per l’Indui-smo ciò che “Amen” è per i cristia-ni, “Amin” per i mussulmani e

“Hum” per i buddisti. Si crede cheil salmodiare dell’OM e la medita-zione sul simbolo dell’OM confe-riscano all’aspirante spiritualebuona salute, prosperità, serenitàmentale. È interessante notare chela scienza moderna, tentando di ri-solvere il mistero della vita4, si stalentamente muovendo verso l’eradell’omica – genomica, proteomi-ca, genomica mitrocondriale, tra-scrittomica, metabolomica, ecc.

Ora, per venire ad argomenti piùterreni, vedendo la portata dellemalattie genetiche nel mondo e lesofferenze che ne derivano per co-loro che ne sono affetti, è vitaleche gli scienziati sentano il doveredi trovare nuove tecnologie in gra-do di alleviare le sofferenze dell’u-manità. Tuttavia, come indicatonegli antichi testi, i demoni tra dinoi possono fare cattivo uso diqueste tecnologie per scopi distrut-tivi piuttosto che costruttivi, comeevidenziato da alcuni recentiesempi come i bombardamentiatomici, le tecnologie per la sele-zione del sesso – che in India han-no dato come risultato le “Missing

girls” – ecc. Tutto ciò esige ade-guate tutele per l’uso delle tecno-logie potenzialmente pericolose,per cui è necessario dotarsi di lineeguida idonee alle nuove tecnolo-gie, come ad esempio l’ingegneriagenetica. Tecnologie di riprodu-zione assistita, tecniche di trapian-to, ricerca sulle cellule staminali,clonazione, ecc., devono essere so-stenute da leggi adeguate. Le sfidee le opportunità delle nuove tecno-logie sono enormi, ma dovrebberoessere affiancate da un appropriatocontrollo e da organismi di super-visione.

Nell’era della genomica, l’Indiaè pronta ad affrontare le nuove in-novazioni tecnologiche con oppor-tune linee guida emanate dall’In-

dian Council of Medical Researchand Department of Biotechnology,che saranno seguite da una legisla-zione idonea. Qualsiasi nuova tec-nologia, se possiede il potenzialeper salvare l’umanità dalla soffe-renza, dovrebbe essere accolta confavore da qualsiasi religione. Inquesta ottica, l’Induismo è un fortesostenitore delle innovazioniscientifiche del tipo giusto, perchéesso è più di una religione, è un’in-tera civiltà. È la storia dell’uomodall’inizio dei tempi, tesa a trovaresoluzioni ai problemi della vita, èla storia della più grande di tutte leavventure, quella dello spiritoumano che cerca di scoprire la pro-pria vera identità. Il punto crucialedell’Induismo è l’accettazione del-la diversità e la tolleranza versotutte le religioni. Prova ne sia l’at-tuale scenario politico del Paese,dove una cattolica italiana è presi-dente del partito al potere, che hasostenuto un Sikh, cui ha fatto pre-stare giuramento un mussulmano,presidente di un Paese in cui l’82%della popolazione è indù.

Per concludere, le innovazioni

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102 IL GENOMA UMANO

scientifiche del tempo presenteerano già state anticipate nei testivedici migliaia di anni fa, e qual-siasi nuova invenzione che possaoffrire speranza all’umanità soffe-rente per un futuro migliore puòessere accolta con favore, purchéla libertà della ricerca scientificapossa essere regolata in modo taleda produrre solamente beneficitangibili e non catastrofi o caosnell’universo. Come è stato asseri-to da molti leader religiosi e stu-diosi del nostro tempo, l’Induismo

sarà un grande sostenitore dellascienza moderna.

Dott. VASANTHA MUTHUSWAMY

Vicedirettore generale seniorIndian Council of Medical Research,

New Delhi, India

Note1 SWAMI CHIDANANDA, Ponder these truths,

Divine Life Society Publication, Rishikesh,1995.

2 SWAMI DAYANANDA, The teaching of the

Bhagavad Gita, Vision Books, New Delhi1989, 2003.

3 PANDIT ATRE, [email protected], FusionBooks, New Delhi 2004.

4 Comunicazione personale del Dott. P. S.Chauhan, Mumbai.

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Desidero anzitutto ringraziare ilPontificio Consiglio per avermi in-vitato a partecipare a questa Confe-renza. Il conto alla rovescia percompletare la decodificazione delgenoma umano iniziò con il 21°cromosoma. La sua sequenza di-sposta a coppie di basi fu pubblica-ta sulla rivista “Nature Magazine”nel maggio del 2000 da un gruppomisto giapponese e tedesco, men-tre l’intera sequenza di base vennescoperta dall’ International HumanGenome Sequencing Consortium,composto da 2800 ricercatori pro-venienti da: Stati Uniti, RegnoUnito, Giappone, Francia, Germa-nia e Cina. La versione d’insiemedi tutte le sequenze a coppie di ba-si fu pubblicata nel febbraio del2001 e l’edizione completa nell’ot-tobre del 2004. I dati sono statipubblicati per consentire a chiun-que di poterli usare liberamente,divenendo pertanto una proprietàintellettuale dell’intera razza uma-na, e impedendo alle società priva-te di brevettarla. Gli scienziati nondovrebbero rimanere ancorati alleproprie teorie, ma andare sistema-ticamente alla ricerca dei propri er-rori. Ciò è valido anche per il Bud-dismo, dove si tende ad abbando-nare l’attaccamento a se stessi. Seuna scoperta scientifica viene pub-blicata, in modo da consentire a

chiunque di farne uso, ciò può con-tribuire largamente al benessere ditutti gli esseri umani. Invece, quan-do viene brevettata il suo contribu-to è limitato. È scoraggiante vederecome negli ultimi tempi si tenda abrevettare i risultati di ricerche me-diche. La scoperta dell’ Internatio-nal Human Genome SequencingConsortium ha aiutato la scienza aritrovare parte della propria inte-grità.

La scienza non è utile quando sidibatte di questioni che riguardanoi valori o l’etica. Essa può soltantodeterminare se qualcosa è vero ofalso attraverso esperimenti o esa-mi. Ciò che non può essere prova-to con gli esperimenti o con gliesami non appartiene alla scienza.Quando discutiamo di questionioppugnabili, dovremmo usare laconoscenza scientifica; quando in-vece dibattiamo di questioni chesono inconfutabili, dovremmoconsiderarle in termini di umani-smo e rapportandoci ai classici.Noi esseri umani analizziamo inmaniera critica questioni nonscientifiche servendoci della storiae del tempo attraverso la letteratu-ra. Le opere che vengono sceltepiù di frequente diventano i nostriclassici. Parte della letteraturaclassica comprende questioni chesono oppugnabili. La sua impor-

tanza non diminuirebbe persino sequeste parti oppugnabili fosseroaggiornate mediante la conoscenzascientifica. Il dogma centrale delBuddismo è quello di non rimane-re avvinghiati a se stessi, di modoche si possa accettare positiva-mente una revisione dei classicidel Buddismo attraverso la cono-scenza scientifica, come interpre-tare l’illuminazione del Buddhadal punto di vista della genetica, ola comprensione del Buddha libe-randolo dal controllo dei suoi geni.Gli animali sono dominati dai genie si limitano a ripetere il ciclo del-la vita: nascita, riproduzione emorte. Gli uomini, invece, deside-rano qualcosa che vada oltre il me-ro fatto di far proliferare i proprigeni. È proprio questo che rendediversi gli uomini dagli altri ani-mali. Per poter superare la condi-zione dell’animale, l’uomo vuoleessere libero dalla restrizione deipropri geni.

Una notte, Buddha ebbe tre illu-minazioni. La prima fu che egli sirese conto di aver avuto molte viteprecedenti, e ciò viene chiamato“la saggezza della propria reincar-nazione”. Poi si rese conto che al-tre persone avevano avuto vite pre-cedenti, e ciò viene chiamato “lasaggezza della reincarnazione del-le persone”. Nell’ultima parte del-

MASAHIRO TANAKA

6.4 Il Buddismo e il genoma umano

Page 102: Atti della XX Conferenza Internazionale

103DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

la notte realizzò come si fosse libe-rato dal ciclo della reincarnazione,e ciò viene chiamato “la saggezzadi eliminare completamente lacontaminazione”. Se la reincarna-zione viene considerata da unaprospettiva genetica, ciò che sireincarna sono i geni. Il Buddha sirese conto che tutte le vite vannooltre la nascita, la riproduzione e lamorte, e ciò all’infinito, regolatedai geni e dalle forze per riprodur-li. “La saggezza per eliminarecompletamente la contaminazio-ne” viene espressa da Buddha co-me “le quattro nobili verità”, chesono la sofferenza, la causa dellasofferenza, il superamento dellasofferenza (conosciuta come Nir-vana) e la via per il Nirvana. Lasofferenza deriva dal sanscrito‘dukkha’ che letteralmente signifi-ca “negare ciò che si desidera”.Buddha affermava che ci sono ottosofferenze. Le prime quattro sono:nascita, vecchiaia, malattia e mor-te. L’ultima racchiude tutte le sof-ferenze. È l’attaccamento a se stes-si. La “causa della sofferenza” è lapassione, come quella per il sesso,per la vita e per la morte. Questetre passioni corrispondono ai treelementi della vita in biologia, chesono la riproduzione, l’equilibriodinamico e la morte. Questi sonogli ordini fondamentali di geni perla proliferazione dei geni stessi. Ilsuperamento della sofferenza è lostato del Nirvana, in cui le passio-ni sono estinte ed eliminata anchela sofferenza, cioè l’attaccamentoa sé. Questo stato porta la libertàdalla limitazione dei geni. Nellavia per il Nirvana le passioni sonocompletamente controllate. L’at-taccamento a sé è controllato op-ponendosi agli ordini dei geni, ecompare così la compassione perl’umanità. Il Buddha, usando unazattera come metafora, mostrò chel’essenza della dottrina era abban-donare i legami. Dopo aver attra-versato il fiume, arrivando sullasponda della felicità, la persona silibera dal fardello della zattera chelo ha trasportato. In questo caso, lazattera rappresenta in una metafo-ra lo stesso Buddismo. Un buddi-sta non rimane attaccato al Buddi-smo. Lo stesso Buddha disse checiò che non può essere controllatosecondo i nostri desideri non faparte di noi. Poiché non controllia-mo i nostri corpi per ciò che ri-

guarda la nascita, la vecchiaia, lamalattia e la morte, per controllarenoi stessi dobbiamo riconoscereche il nostro corpo non ci appartie-ne. Questo corpo non appartiene ame, quindi non si può dire chequalcosa di lui sia mio. Se una per-sona si considera in questo modo,non discriminerà gli altri.

Nell’ottavo secolo, in Cina, il fa-

moso poeta Li Bo infastidiva unvecchio monaco che stava medi-tando, rivolgendogli questa do-manda: “Che cosa stai facendo?”.Il monaco gli rispose: “Sto facen-do lo yoga del Buddismo”. “Cos’èil Buddismo?” – gli chiese Li Bo.“Non compiere il male, fai soltan-to buone azioni, e per farlo purifi-ca il tuo cuore da te stesso: questoè l’insegnamento di tutti iBuddha”. “Persino un bambino disette anni sa che non deve fare ilmale ma solo ciò che è buono”,disse Li Bo. Il monaco allora gli ri-spose: “Persino un bambino di set-te anni lo sa, perciò non posso far-lo neanche a sette anni”. Li Bo aquesto punto lasciò in pace il vec-chio monaco. Per quanto riguardala purificazione del proprio cuore,tradizionalmente sono menzionatitre veleni: l’ingordigia, l’ira e lastupidità. Qui stupidità non signifi-ca mancanza di conoscenza, ma ilnon rendersi conto che la propriaira non è dovuta a un altro male ma

all’insoddisfazione della propriaingordigia. L’etica medica che sibasa sugli insegnamenti delBuddha ci dice di “non commette-re il male”, il che si traduce nel noncausare danno al malato, ma nel“fare solo cose buone”, vale a diredare priorità al benessere di un pa-ziente o della sua famiglia. Purifi-care il proprio cuore corrisponde alprincipio di trattare tutti i pazientiin modo imparziale. Il Buddhaaveva compassione per tutte lepersone, senza attaccamento a sestesso. Perciò il Buddismo affermache tutte le religioni possono so-stenere l’autodeterminazione diuna persona basata sul proprio mo-do di vivere.

Il diritto all’autodeterminazionecome principio dell’etica modernaderiva dal testo Della libertà scrit-to da John S. Mill. Egli indicava la“tirannia della maggioranza” par-lando del modo in cui Socrate futrattato in Apologia. Socrate fu ac-cusato di empietà, per aver rinne-gato gli dei riconosciuti dallo Sta-to, e di immoralità per aver corrot-to dei giovani attraverso i suoi in-segnamenti. Mill scrisse: “Di que-ste accuse il tribunale, e c’è ragionedi crederlo, lo riconobbe colpevo-le, e condannò l’uomo che proba-bilmente meritava, tra tutti, di esse-re trattato bene dall’umanità, quan-do invece fu messo a morte comeun criminale”. La corte emise ilverdetto di colpevolezza con 281voti a favore e 220 contrari. Pur sa-pendo che non sarebbe stato giusti-ziato se avesse ammesso pubblica-mente le proprie colpe, Socrate nonlo fece. Dato che scelse la morte, cidev’essere stato qualcosa per luipiù importante della propria vita.Se la religione di una persona èqualcosa che ha più valore dellapropria vita, allora la filosofia diSocrate era per lui come una reli-gione. Questa filosofia approvauna libertà religiosa che è la formaideale del diritto all’autodetermi-nazione. Un adulto che abbia la ca-pacità di autogiudicarsi, può farequalsiasi cosa gli appartenga, perquanto però non deve arrecare dan-no agli altri, persino qualora si trat-ti di una decisione assurda.

In una società democratica,l’informazione pubblica dev’esse-re trasparente. Per quanto riguar-da un’informazione personale,dev’essere osservata la privacy e a

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104 IL GENOMA UMANO

ogni persona dev’essere garantitoil diritto all’autodeterminazionenel trattarla. Dunque, una personache ha subito un esame geneticopuò affidarsi all’autodeterminazio-ne e decidere se il risultato delladiagnosi può essere comunicato omeno ai suoi parenti? Questo geneappartiene soltanto a lui? Qualcu-no potrebbe dire che il gene appar-tiene anche a tutti i membri dellafamiglia che possiedono lo stessogene. Perciò, il diritto a trattarel’informazione genetica non è la-sciato alla sola autodeterminazio-ne. Specialmente quando l’infor-mazione genetica rivela una malat-tia ereditaria, l’idea dell’autodeter-minazione non dovrebbe essereusata per negare questa informa-zione ai membri della famiglia chepossiedono lo stesso gene malato.I monaci buddisti devono faresforzi continui per eliminare l’at-taccamento a sé. Essi devono an-che eliminare l’attaccamento allostesso Buddismo, come mostratocon la metafora della zattera, e nonvincolare gli altri agli insegnamen-ti del solo Buddha. Essi accettanoanche altri modi di vivere, comeatti di autodeterminazione.

Il romanzo intitolato Kappa fuscritto nel 1927 dal romanzieregiapponese Ryunosuke Akuta-gawa, che è diventato famoso per

aver scritto Rashoumon. Kappa èuna creatura dei vecchi raccontigiapponesi, che viveva in un fiu-me. Nella versione di Akutagawa,il mondo di Kappa è una caricatu-ra della società umana. Nella so-cietà di Kappa, il diritto all’autode-terminazione è assicurato in modototale. Ad esempio, quando la mo-glie di Kappa è incinta, egli chia-ma il bambino nel ventre della ma-dre come se stesse usando il corpodella donna come un telefono.Chiede al bambino se vuole nasce-re. Il bambino, nel grembo dellamadre, risponde con voce tituban-te: “Non voglio nascere perché l’e-redità di mio padre è orribilmentepriva di valore e…”. Il diritto delbambino all’autodeterminazioneviene rispettato, e alla fine egli nonnascerà. Per gli esseri umani, il fat-to di nascere o meno non può esse-re determinato dallo stesso bambi-no. Buddha affermò che la “nasci-ta” era la prima sofferenza, la sof-ferenza di essere mentre ci vienenegato ciò che si desidera. La sof-ferenza della nascita è un aspettomutevole rispetto a quello che eraal tempo di Buddha.

Gli esseri umani che cercavanola libertà dalla limitazione dei pro-pri geni, ora conoscono le sequen-ze di base del codice genetico cheimponevano limitazioni alla loro

esistenza. Anche se ne abbiamotrovato tutte le lettere, decodificar-ne il significato profondo è un pro-blema per il futuro. È necessariaun’ulteriore ricerca per la spiega-zione particolareggiata dell’azionegenetica che causa in noi la passio-ne per la riproduzione, la vita o lamorte. Ogni nuovo problema eticoche coinvolge la ricerca dei geniumani dovrebbe essere dibattutonell’ambito dei Comitati di studioIstituzionali, che comprendano an-che i membri delle religioni mon-diali. I principi etici che si basanosul Buddismo sono, come descrit-to prima, il controllo dell’attacca-mento a sé e desiderare che tuttiraggiungano la felicità, e in questocaso specifico, limitare la tendenzaa ottenere i brevetti.

Per concludere, desidero ringra-ziare l’International Human Ge-nome Sequencing Consortium peraver divulgato i dati che riguarda-no il genoma umano. Mi auguro,per il bene di tutti, che quando ibrevetti sono impropri per la ricer-ca in campo medico, venganobloccati, e ciò anche nel futuro.

Dott. MASAHIRO TANAKASacerdote bonzo responsabile presso

il “Buddhist Temple Saimyouji”, Medico presso la Clinica “Fumon-in”

Mashiko, Giappone

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Introduzione

Illuminare il rapporto tra geneti-ca e postmodernità sicuramenterappresenta una visione originale.Per poter capire meglio le tenden-ze nella genetica contemporanea,sembra che sia molto utile presen-tare prima le caratteristiche cultu-rali ed antropologiche dell’uomopostmoderno. Dopo questo primopasso saranno esaminati i compor-tamenti dell’uomo postmodernonel campo della genetica.

1. Postmodernità

Il fenomeno complesso della po-stmodernità è già stato caratteriz-zato da parte di diversi pensatori.Rimangono però ancora alcuniaspetti che richiedono chiarimenti.Il carattere sostanziale della cultu-ra postmoderna si esprime tramiteun individualismo che è possessi-vo e anarchico, e perciò mira con-tro ogni tipo di autorità. Questo ti-po di individualismo si manifestain una serie di negazioni: anti-fa-miliare e anti-militarista, ateo e an-ti-clericale, anti-partitico e anti-statale. Tali posizioni riflettonouna concezione antropologica chemette al suo centro l’individuo as-soluto1. In sintesi, la cultura post-moderna o radicale può essereconsiderata come una “anti-cultu-ra”. Cercheremo di descrivere lecaratteristiche più importanti del-l’uomo postmoderno2.

a. L’uomo non è una persona, ma solo un individuo

La cultura postmoderna ha im-poverito la concezione di persona.Questa cultura ha abbandonato ledefinizioni di Boezio e di SanTommaso e privilegia una defini-zione di tipo psicologico e sociolo-gico secondo cui solo chi si sentepersona può essere considerato

persona o chi è riconosciuto cometale dagli altri. Al posto delle con-cezioni “forti” od ontologichestanno concezioni “deboli”, fun-zionaliste ed empiriste che accetta-no come statuto di persona solol’insieme di certe attività o pro-prietà, come le operazioni mentali,l’autocoscienza, la sensorialità, lacapacità comunicativa e di rappre-sentazione simbolica. Così si aprela strada agli atteggiamenti perico-losi verso l’uomo, tra cui la clona-zione umana e lo sfruttamento delgenoma umano. Questa posizionepuò portare a qualsiasi manipola-zione e qualsiasi trattamento (an-che uccisione) – dell’uomo comefosse un oggetto3, perché secondola cultura radicale con essi non siuccide una persona, ma si soppri-me “solo” un individuo. Al centrodell’umanesimo radicale sta “l’in-dividuo assoluto”4 che crea il nu-cleo dell’individualismo. Questosegno è molto importante per com-prendere l’uomo postmodernoperché esso penetra e influisce an-che nelle altre sue caratteristiche.

b. L’uomo è sostanzialmente buono

L’uomo è buono per natura: lasua volontà, la sua ragione, i suoisensi, i suoi istinti, le sue passionisono buone. La sua libertà si limitaa obbedire solo a se stessa e alleleggi che provengono da essa.L’antropologia postmoderna negala realtà del male morale, rifiutal’ordine soprannaturale e misuratutte le cose secondo l’individuoassoluto5.

c. Una autonomia piena

Essa viene giustificata dalla po-sizione della filosofia postmoder-na secondo cui non c’è un ordinemetafisico dell’essere e nel casoesso esistesse, l’intelligenza uma-na è così indebolita che non sareb-

be capace di riconoscerlo. Questofonda una diversità caotica in cam-po etico-morale: il soggetto agiscein base a ciò che è buono per lui,ciò che egli vuole, e non ciò che èbuono in sé e per sé6.

d. Il piacere fonda felicità, non virtù

La cultura postmoderna per feli-cità intende il potenziamento diogni forma di piacere, in modoparticolare la piena liberazione deidesideri, la soddisfazione di tutti ibisogni, fuga dalla sofferenza, go-dimento della vita... Questa ten-denza viene nutrita soprattutto daimass media.

e. Vincola solo il contratto, non la legge

L’individuo assoluto considerase stesso come l’unico riferimento.E, quindi, tutti i valori devono es-sere sottoposti a tale individuo.

JÁN DACOK

7. Genetica e postmodernità

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106 IL GENOMA UMANO

Siccome nella mentalità radicalenon si accetta la superiorità del be-ne comune su quello individuale,l’uomo radicale non si sente vinco-lato dalla legge, ma soltanto dalcontratto7. Egli è un contrattuali-sta. Se qualche contratto è vantag-gioso per lui, lo fa o lo rinnova; seesso non ha o ha già perso la suautilità e vantaggiosità, non lo fa onon lo rinnova.

f. Mancanza della memoria storica

La tradizione e la memoria stori-ca, da parte della cultura postmo-derna, sono fortemente rifiutate8.La cultura e la società postmoder-ne vivono solo nel presente chiu-dendosi alla dimensione integraledella storia che collega in sé il pas-sato e il presente e prepara al futu-ro. Con questo però sono collegateanche altre realtà, in modo partico-lare quella cui accenna V. Possenti:“Là dove non c’è alcuna tradizio-ne, ivi comincia il tempo della po-vertà e il cammino verso la disu-manità”9.

In sintesi, se Dio scompare dallascena del mondo, anche quest’ulti-mo diventa “debole”: non si inten-de come la creatura di Dio, ma unoggetto, una cosa; anzi, un deposi-to di cose. Tale mondo viene espo-sto all’uomo che tramite esso puòsoddisfare, non solo i suoi bisogni,ma anche i diversi desideri, e per-ciò – in visione di un vantaggio –può essere sfruttato senza limiti.Un mondo indebolito offre all’uo-mo la possibilità di esercitare la suavolontà di potenza. L’uomo vivenell’assenza di Dio e di verità sulproprio essere. Da qui scaturisce lasua crisi di senso e di orientamentoetico-morale. L’uomo postmoder-no è diventato “debole” nel suo in-sieme. Egli ha perso il senso reli-gioso e sacrale della vita che perce-pisce in modo spersonalizzato: so-lo come materiale da analizzare,produrre e anche sfruttare.

2. Genetica

Come si presentano la postmo-dernità e l’uomo postmodernonelcampo della genetica? Cerche-remo di mostrarlo con alcuniesempi.

a. Clonazione e ricerca di cellulestaminali embrionali

Clonazione che mira al parto diun bambino, cambia quest’ultimoin un prodotto. L’intenzione diDio è che tutti i bambini sianoconcepiti, nati e abbracciati dallebraccia amorevoli dei genitori epercepiti come un dono. Un bam-bino clonato è, invece, prodotto inun laboratorio sterile. Un essereclonato è fatto con un contributofinanziario ed è oggetto di un con-trollo di qualità. Questo cambial’approccio in modo radicale: unbambino clonato viene inteso solocome un individuo, anzi una mer-ce, senza nessun valore e dignità10.Da questo si può affermare chel’approccio postmoderno in gene-tica conduce a una strada verso ilfuturo che è connessa con moltetrappole per la razza umana. Clo-nazione e ricerca di cellule stami-nali embrionali possono essereconsiderate come un ponte a pro-blemi molto seri che meritano diessere presi in maniera molto piùresponsabile11.

b. Ingegneria genetica e intervento sulle cellule germinali

L’ingegneria genetica si dividein due gruppi principali, a secondadel tipo della modificazione cellu-lare: a. ingegneria genetica somati-ca e b. ingegneria genetica germi-nale. Quella prima modifica o so-stituisce i geni solo nelle cellulesomatiche, ma non nelle cellulegerminali. L’ingegneria geneticagerminale modifica i geni neglioociti, spermatozoi, nei loro pre-cursori, nella zigote o nell’embrio-ne. Essa può condurre anche a unaselezione delle caratteristiche ge-netiche in un “bambino program-mato” producendo un “bambino diprogetto – designer baby” con i se-gni desiderati12. L’intervento sullecellule germinali può diventareuna questione molto pericolosa pertutta l’umanità: i cambiamenti chepasseranno alle generazioni future,potranno cambiare la propria spe-cie umana. Per questi motivi alcu-ni pensatori già parlano di una na-tura “post-umana” quando “siprende sotto controllo” l’identitàumana tramite un controllo del pa-trimonio genetico13.

c. Patente di geni

È già possibile avere una paten-te per i geni umani e per gli altritessuti umani, vuol dire “avere co-me proprietà” una parte della no-stra natura umana. Questo signifi-ca che è già iniziato un cambia-mento nel modo di intendere la na-tura umana: quest’ultima viene in-tesa come una proprietà privata enon più come quella che appartie-ne a tutti in modo uguale. Lo sfrut-tamento dell’informazione geneti-ca aprirà la porta per le compagnieassicurative e per gli imprenditoriche potranno mettere in pratica di-verse forme di una discriminazio-ne genetica14.

d. Cibernetica

Essa viene definita come lascienza dei sistemi di controllo e dicomunicazione che si serve parti-colarmente di analogie fra le mac-chine e il sistema nervoso deglianimali e dell’uomo. Nell’ultimo

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107DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

periodo si riscontrano notevoliprogressi in questo campo, parti-colarmente nella neuroscienza enelle tecnologie computerizzateche permettono una relazione di-retta tra un sistema nervoso anima-le o umano con le apparecchiatureeletromeccaniche. Altri esempipossono essere: neuro-chips, me-mory-chips, impiantati in cervello,tecnologie cibernetiche in diversicampi, una realtà aumentata, ecc15.Essi possono aiutare l’uomo in lot-ta contro diverse malattie, ma pos-sono anche condurre a una mani-polazione e sfruttamento dei sin-goli e di tutta l’umanità.

e. Nanotecnologie

Si pensa che esse possano dareun contributo maggiore allo svi-luppo dei mezzi cibernetici e allamodificazione del genoma umano.Nanotecnologie sono le tecnologiein senso di ingegneria o manipola-zione di materia (e vita) alla scaladi nanometro, che significa un mi-liardesimo di metro. Basti notareche una molecola di DNA ha dia-metro di 2,3 nanometri. Se le na-notecnologie si muovono in di-stanze tanto piccole, sarebbe im-maginabile che le strutture del no-stro corpo potrebbero essere cam-biate. Alcuni considerano ciberne-tica e nanotecnologie come mezzitramite i quali l’umanità potrà arri-vare a una “immortalità tecnologi-ca”. La tendenza di estendere la vi-ta umana, tramite i mezzi tecnolo-gici, viene fortemente appoggiatada un crescente movimento filoso-fico e sociale, noto come “transu-manismo”16.

f. Transumanismo e postumanismo

Il transumanismo viene definitocome “uno studio dei mezzi e de-gli ostacoli per l’umanità che uti-lizza i mezzi sia tecnologici chegli altri razionali per diventare po-stumani, e dei problemi etici coin-volti. ‘Postumani’ è un termineper gli esseri umani molto più svi-luppati di quelli di oggi”. Agli“esseri postumani” si potrà arriva-re se “saremo capaci di governarela nostra odierna natura a una qua-lità superiore e di estendere le no-stre capacità in modo radicale”17.Gli “esseri postumani” non sono

più gli esseri umani perché sonostati tanto modificati che non rap-presentano più la specie umana.L’ideale filosofico di questi duemovimenti è quello di rinasci-mento, mescolato però con il rela-tivismo etico postmoderno e scet-ticismo etico postmoderno. Dal ri-nascimento proviene una visionecompletamente riduzionista dellavita umana. A questa visione siaggiunge una sostituzione di Diodi stampo triumfalistico, utopico earrogante. Il pensiero transumani-sta rifiuta l’affermazione secondocui la natura umana è costante.Nella natura, e particolarmentenella natura umana, non c’è nien-te di sacro, degno di rispetto e diprotezione dai cambiamenti artifi-ciali. Per questo non si può rifiuta-re la critica di modificare la natu-ra come espressione di un “diogioco” o di un orgoglio umano su-premo18.

Conclusione

Alcuni esempi che abbiamopresentato sopra confermano l’in-flusso forte della postmodernitànella genetica contemporanea:mancanza del rispetto verso l’uo-mo e del suo patrimonio geneticoda parte del “Superuomo tecnolo-gico” che può permettersi quasitutto… Le pratiche menzionatesopra richiedono un rifiuto fermoche mirerà alla protezione dell’uo-mo e bloccherà il processo di“abolizione dell’uomo”. La post-modernità non offre gli strumentidi capire meglio il genoma umanoe il suo rispetto. Anzi, apre unastrada allo sfruttamento del patri-monio genetico umano. Per poterammirare, rispettare e proteggereil genoma umano è necessario cer-care le soluzioni in altri modi dipensiero, particolarmente in quel-lo cristiano. Quest’ultimo insegnache non c’è bisogno di cambiare esfruttare la natura umana perchéproprio Gesù Cristo ha accettato lanostra natura. Questa realtà dà allanatura umana lo stampo della piùalta dignità.

P. JÁN DACOK, S.J.Docente di Teologia morale ed etica

Facoltà Teologica dell’Università di Trnava,

Bratislava, Slovacchia

Note1 Cfr. BOTTURI F., Desiderio e verità. Per

una antropologia cristiana nell’età secolariz-zata, Milano 1985, pp. 52-58.

2 A questo scopo seguiremo, come le linee diguida, in modo particolare il pensiero di POS-SENTI V., SANNA I., MORRA G. (Il quarto uomo.Postmodernità o crisi della modernità?, Roma1992, 19962) e BRUNI G. (Dire Dio agli uominid’oggi. Linee di discussione in Parlare di Dioall’uomo postmoderno, Ed. P. Poupard, Roma1994, pp.23-35). Per alcuni aspetti della spiri-tualità postmoderna si veda: MULDOON T., Po-stmodern spirituality and the Ignatian funda-mentum, in The Way, vol. 44, 2005, No. 1, pp.88-100.

3 Cfr. SANNA I., L’antropologia cristiana tramodernità e postmodernità, Brescia 2001, pp.365-372; si veda anche BOTTURI F., Desiderio everità, pp. 112-127.

4 Cfr. POSSENTI V., Filosofia e società. Studisui progetti etico-politici contemporanei, Mila-no 1983, p. 103.

5 Cfr. POSSENTI V., Filosofia e società, pp.103-104.

6 Cfr. SANNA I., L’antropologia cristiana tramodernità e postmodernità, pp. 373-374.

7 Cfr. POSSENTI V., Filosofia e società, pp.121-124.

8 V. Possenti sottolinea l’ispirazione anti-storicista che si presenta in modo chiaro nellasocietà radicale: “L’individuo radicale non cre-de o non crede più alla razionalità della storia,stabilendo tra storia e natura, tra cultura e natu-ra un dissidio spesso invalicabile”. ID., Tra se-colarizzazione e nuova cristianità, Bologna1986, p. 72.

9 Cfr. POSSENTI V., Filosofia e società, p. 126.10 Cfr. COLSON CH.W., Can We Prevent the

‘Abolition of Man’?, in COLSON CH.W. – CA-MERON N.M.DE S., Ed., Human dignity in theBiotech Century, InterVarsity Press, DownersGrove, Illinois 2004, p. 16.

11 Cfr. LABAT M.-L., Human stem cells:Scientific and ethical aspects, in Ethics of hu-man genetics. Challenges if the (Post) GenomicEra, J. Glasa, Ed., Charis-IMED Fdn., Bratisla-va 2002, pp. 67-78.

12 Cfr. PRENTICE D.A., The Biotech Revolu-tion, in COLSON CH.W. – CAMERON N.M.de S.,Ed., Human dignity in the Biotech Century, pp.56-59; si vedano anche: TRE RE G., Voce: “In-gegneria genetica”, in Dizionario di Bioetica,S. Leone – S. Privitera, Ed., Istituto Siciliano diBioetica – Centro Editoriale Dehoniano, Aci-reale – Bologna, 1994, pp. 489-492; ROTHSTEINM.A., Ed., Pharmacogenomics. Social, Ethi-cal, and Clinical Dimensions, Wiley-Liss, Ho-boken, New Jersey, 2003.

13 Cfr. COLSON CH.W., Can We Prevent the‘Abolition of Man’?, p. 19; si veda anche: BUC-CI L.M., PAGANELLI M., VENTURA A., VENTURAF., CELESTI R., “Osservazioni etiche e implica-zioni medico-legali in materia di ‘test genetici’,in Medicina e Morale, No. 4, 2005, pp. 799-810.

14 Cfr. COLSON CH.W., Can We Prevent the‘Abolition of Man’?, p. 19.

15 Cfr. HOOK C.CH., Techno sapiens, in COL-SON CH.W. – CAMERON N.M.DE S., Ed., Hu-man dignity in the Biotech Century, pp. 76-80.

16 Cfr. HOOK C.CH., Techno sapiens, pp. 80-85.

17 BOSTROM N., What Is Transhumanism?,(2001) <http:/ /www.nickbostrom.com/old/transhumanism.html>.

18 Cfr. HOOK C.CH, Techno sapiens, pp. 85-87. A livello pratico è molto significante che ilGoverno degli Stati Uniti ha abbracciato gli“ideali” del transumanismo ed attivamente ap-poggia lo sviluppo delle tecnologie transumaneche mirano a “rifare”, “migliorare” o “rigenera-re” l’umanità… Cfr. ID., Techno sapiens, pp.87-88.

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1. Il percorso della ricerca ge-netica, da Mendel (1822-1884)fino a oggi, ha aperto nuovi oriz-zonti alla scienza e alla tecnologiain continuo avanzamento: un saltodi qualità nella conoscenza dellastruttura dei geni, nell’applicazio-ne delle metodiche del DNA ri-combinante alla produzione di so-stanze di elevata importanza far-macologica e terapeutica, nelladiagnosi di malattie genetiche enell’introduzione di queste nuovetecniche nell’ambito dell’embrio-logia sperimentale1.

Inoltre, i grandi progressi dellagenetica hanno aperto e continua-no ad ampliare gli spazi della “ri-voluzione” genomica, dalla qualesi attendono notevoli benefici perl’umanità. Fondamentali, a riguar-do, sono le importanti applicazioniche stanno maturando nel campodella medicina.

È un fatto evidente come, negliultimi decenni in particolare, ilcammino della biomedicina abbiaconosciuto uno sviluppo straordi-nario, sostenuto anche dall’avan-zamento della tecnologia e del-l’informatica che hanno aumentatoenormemente le possibilità d’in-tervento sui viventi e, in particola-re, sull’uomo. Grandi conquiste,inoltre, sono state ottenute nelcampo della genetica, della biolo-gia molecolare, così come nelcampo della trapiantologia e delleneuroscienze.

Ogni nuova scoperta nel campodella biomedicina, nel contesto at-tuale, sembra ormai destinata aprodurre effetti “a cascata”, apren-

do orizzonti nuovi in ordine allapossibilità di diagnosi e di terapiaper tante patologie ancora oggi in-guaribili.

L’acquisizione di una crescentepossibilità tecnica d’interventosull’uomo, sugli altri esseri viventie sull’ambiente, ottenendo per dipiù effetti sempre più incisivi e du-raturi, esige, da parte degli scien-ziati e della società tutta, l’assun-zione di una responsabilità tantomaggiore quanto più grande si di-mostra la potenza dell’interventostesso. Ne deriva che le scienzesperimentali, e quindi anche labiogenetica, in quanto strumentinelle mani dell’uomo, non bastanoa se stesse, ma necessitano di esse-re orientate a determinati fini econfrontate con il mondo dei valo-ri.

Nell’impegno a ricercare e a ri-conoscere la verità oggettiva nellaricerca genetica e sull’uso deimezzi e dei fini da raggiungere, unruolo di particolare rilievo occupa-no gli scienziati dell’area geneticae biomedica, i quali sono chiamatia operare per il benessere e la salu-te degli esseri umani. Quindi ogniattività di ricerca in questo campoè auspicabile abbia sempre comefine ultimo il bene integrale del-l’uomo e, nei mezzi utilizzati, ri-spetti pienamente in ciascun indi-viduo la sua inalienabile dignità dipersona, il diritto alla vita e l’inte-grità fisica sostanziale. Pertanto,“la Chiesa rispetta e appoggia la ri-cerca scientifica, quando essa per-segue un orientamento autentica-mente umanistico, rifuggendo da

ogni forma di strumentalizzazioneo distruzione dell’essere umano emantenendosi libera dalla schia-vitù degli interessi politici ed eco-nomici”2.

Da ciò si capisce l’importanza diun’etica della ricerca genetica che,di fatto, si è andata sviluppando earticolando sempre più, con il pre-zioso e insostituibile contributodella riflessione cristiana, che hafatto emergere alcune problemati-che nuove, alla luce della sua ori-ginale visione antropologica: il ri-spetto della persona, quando essadiviene soggetto di ricerca, spe-cialmente nel caso della sperimen-tazione non direttamente terapeuti-ca; la sottolineatura dello strettolegame esistente tra scienza, so-cietà e persona, presente nell’inte-ro processo della ricerca.

2. Nell’elaborazione di un iti-nerario di ricerca genetica, ri-spettoso del vero bene della per-sona, è quindi necessario far con-vergere in sinergia le diverse disci-pline coinvolte con una metodolo-gia integrativa, che renda ragionedella unità complessa costitutivadell’essere umano. A tal fine risul-ta utile il cosiddetto metodo trian-golare, articolato in tre momenti:l’esposizione dei dati genetici;l’approfondimento del significatoantropologico e l’individuazionedei valori in gioco che tale fattocomporta; l’elaborazione dellenorme etiche che possano guidareil comportamento degli operatori,nella specifica situazione, secondo

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Terza Sessione

Azione

PAUL POUPARD

1. La genetica e la nuova cultura

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i significati e i valori precedente-mente individuati.

Le conoscenze ottenute attraver-so le ricerche nel campo della ge-netica applicata all’uomo sonomolto importanti e significative. Ilvalore positivo della conoscenzadel genoma della specie umana, eanche in alcuni casi di quello indi-viduale, va riconosciuto. La positi-vità della acquisizione di informa-zioni genetiche si fonda non solosul valore della conoscenza scien-tifica in quanto tale, ma soprattuttosulle possibilità che essa possa ser-vire per il bene della persona, inordine alla prevenzione, alla dia-gnosi e anche alla terapia di malat-tie di base genetica, quando ciò siapraticabile senza rischi spropor-zionati per i pazienti stessi. Del re-sto il legame intrinseco del geno-ma dell’uomo con il costituirsi del-la persona lo distingue essenzial-mente da quello di ogni altra spe-cie vivente e ne fonda la sua inalie-nabile dignità in relazione a quelladella stessa persona umana. Per-tanto, il genoma umano, in forzadell’unità sostanziale del corpocon lo spirito, non ha unicamenteun significato biologico, ma esso èportatore di una dignità antropolo-gica, che ha il suo fondamento nel-l’anima spirituale che lo pervade elo vivifica.

3. Un altro aspetto di granderilevanza etica e culturale, nel-l’ambito della ricerca genetica,riguarda gli sviluppi biotecnologi-ci in atto nel campo della vita e leloro ricadute sulle persone e sullecomunità di persone, provocandointerrogativi e dilemmi bisognosidi nuovi equilibri e nuove sicurez-ze. Tali progressi in atto comporta-no rivolgimenti di senso e di azio-ne tali da costituire ed essere con-siderati nei termini di una vera epropria “questione” per la società eper la Chiesa oggi3. In presenza diuna “questione”, il cristiano e lacomunità cristiana sono chiamati aporsi non nei tradizionali modi or-dinari di “vedere, giudicare, agi-re”, ma nei modi radicalmentenuovi indotti e sollecitati dalle resnovae.

La vita oggi, sotto il dominio deicrescenti poteri biotecnologici edelle loro ambivalenze da una par-te, e dei modelli di pensiero e di

comportamento dall’altra, è “inquestione”. Come tale è appello al-la profezia: il bene della vita è daconsiderare e assumere con losguardo e l’investimento profeticocon cui la Chiesa discerne e si facarico di una “questione” nella sto-ria. Non ha esitato Giovanni PaoloII a usare il termine “mobilitazio-ne” per darci la consapevolezzaesplicita della posta in gioco e del-l’impegno che sollecita: “Urgonouna generale mobilitazione dellecoscienze e un comune sforzo eti-co, per mettere in atto una grandestrategia a favore della vita”4.

4. Il grande progresso fatto inquarant’anni di ricerca nel cam-po della genetica umana, i traguar-di raggiunti e le prospettive apertesuscitano una duplice domanda:sapremo utilizzare questo grandeprogresso e tutte le possibilitàaperte, solo a favore dell’uomo,cioè dell’esclusivo bene dell’uomoin quanto persona e dell’umanitàcome società? Di fatto, questostraordinario progresso non è forsegià utilizzato – in parte almeno –contro l’uomo? Sono domande chesi impongono perché sia la ricercache le applicazioni dei risultati daessa raggiunti, quando hanno co-me obiettivo l’uomo, non possonoprescindere, nel loro realizzarsi,dal suo particolare stato: stato chegli conferisce dignità e diritti chenon possono essere trascurati oconculcati, a meno di ledere i prin-cipi etici stessi su cui si fonda il ve-

ro benessere dell’uomo e della so-cietà. Ma è precisamente su questiprincipi che spesso viene a manca-re il consenso, a cui segue – quasinecessariamente – una forte ten-sione che tende a dividere pensieroe comportamenti. I problemi es-senziali possono essere ricondottia tre classi: problemi connessi conla ricerca considerata come tale;problemi connessi con le applica-zioni diagnostiche; problemi con-nessi con le applicazioni terapeuti-che. La nostra prospettiva ha comefondamento quattro principi:

a. La scienza, cioè la conoscen-za sempre più ampia e profondadella struttura e delle funzioni delgenoma umano, è un bene inesti-mabile. Come tale, cioè comecomplesso di conoscenze, di strut-ture, funzioni e leggi, essa è unpreziosissimo valore in sé.

b. Il fare scienza non può pre-scindere da criteri di comporta-mento fondati su una riflessioneetica. La costruzione della scienzaesige di osservare, analizzare, ipo-tizzare, sperimentare, e implica unapporto personale da parte delloscienziato ricercatore, cioè un attoresponsabile.

c. La tecnologia, cioè l’applica-zione delle conoscenze acquisitedalla scienza, è un grande poteredell’uomo, che deriva dal suo di-ritto di utilizzare i risultati della ri-cerca e il dovere di tradurli a van-taggio dell’uomo stesso. Ma anchel’esercizio del potere, ancor piùche il fare ricerca, necessita di unanorma radicata nell’interiorità dichi lo esercita.

d. La persona umana, la sua na-tura e la conseguente sua dignità,cioè la realtà integrale che è ogget-tivamente l’uomo, stabilisce dallasua interiorità stessa, la norma delsuo agire. È questa interiorità, chefa una cosa sola col suo “biologi-co” ma lo trascende, la quale – dalui stesso interrogata – gli indicaciò che è giusto, ciò che è buono5.

Il protagonista di questo proces-so continuo di orientamento etico èinequivocabilmente l’uomo. In-scindibile unità di corpo e di ani-ma, la persona umana si caratteriz-za per la sua capacità di sceglierein libertà e responsabilità il finedelle sue azioni e i mezzi per rag-giungerlo. La sua ansia di ricercadella verità, che appartiene alla suastessa natura e alla sua particolare

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vocazione, trova un aiuto indi-spensabile nella Verità stessa, cheè Dio, il quale viene incontro al-l’uomo, svelandogli il Suo voltoattraverso il creato e, più diretta-mente, attraverso la Rivelazione.In tal modo Egli asseconda e so-stiene gli sforzi della ragione uma-na, consentendole di riconoscere itanti semi di verità presenti nellarealtà e, finalmente, di entrare incomunione con la Verità stessa cheEgli è.

5. L’origine stessa del genereumano può oggi essere studiataattraverso l’evoluzione del geno-ma, ma la realtà della creazione,che si inscrive nel libero atto d’a-more con cui Dio dona l’essere al-l’unica creatura che Egli abbia vo-luto a sua immagine e somiglian-za, resta – al di là di ogni ricercascientifica – una esigenza postula-ta dalla ragione e un’affermazionedella divina rivelazione.

In linea di principio, quindi, nonsussistono limiti etici alla cono-scenza della verità, non vi è cioèalcuna barriera oltre la quale l’uo-mo non dovrebbe mai spingersinel suo sforzo conoscitivo. Così,Giovanni Paolo II, ha definitol’uomo come “colui che cerca laverità”6. Esistono, invece, precisilimiti etici al modo di agire del-l’uomo che ricerca tale verità, poi-ché “tutto ciò che è tecnicamentepossibile non è per ciò stesso mo-ralmente ammissibile”7. È, dun-que, la dimensione etica dell’uo-mo, che egli concretizza attraversoi giudizi della sua coscienza mora-le, a connotare la bontà esistenzia-le della sua vita.

Ancor più importante si rivelal’elaborazione di un insieme di cri-teri in base ai quali si possa discer-nere un vero da un falso personali-smo. Il primo criterio è costituitodall’affermazione della sostanzia-lità dell’io-soggetto umano, altri-menti si perde la visione della irri-ducibile unicità e singolarità dellapersona e quindi della sua dignità.Il secondo è costituito invece dal-l’affermazione della capacità dellapersona di conoscere una verità ri-guardante il bene e il male dell’uo-mo, indipendentemente dai suoiinteressi, dall’utilità, da gusti epreferenze individuali. Il terzo cri-terio consiste nell’affermare che la

persona è in se stessa e per se stes-sa un tutto che non può mai esseresolamente usata come un mezzoper un fine ritenuto superiore – ra-tio partis contrariatur rationi per-sonae – diceva San Tommaso. Ilquarto criterio consiste nell’affer-mare che la persona è orientata persua stessa natura alla “comunione”con le altre persone, che si realizzanel dono di sé, cioè nell’amore. Ilquinto, e decisivo, consiste nell’af-fermazione dell’esclusiva apparte-nenza della persona a Dio. Questoè il criterio più profondo. La misu-ra della dignità della persona è de-terminata dalla risposta alla do-manda “di fronte a chi siamo per-sone?”, cioè soggetti liberi in sen-so pieno. Essere persona di frontea Dio costituisce la persona stessain una dignità infinita. Il sesto cri-terio, infine, è costituito dall’affer-mazione della ragionevolezza del-la scelta della fede in Cristo, Diofattosi uomo8.

6. Una nuova cultura, in riferi-mento alla vita dell’uomo, inspecie, nell’ambito della genetica,è dunque necessaria per prenderecoscienza dell’esatta portata delbene in gioco, provocare e tenereviva in noi la consapevolezza cheazioni e omissioni nei confrontidella vita, oggi esorbitano dall’am-bito della coscienza e dell’agiredei singoli. Esse traboccano dallasfera meramente individuale e pri-vata in cui sono pensate, decise,compiute, e prendono corpo e for-ma di pensiero, di mentalità, d’im-maginario collettivo, di opinionepubblica, di habitat socio-cultura-le, di ethos prevalente da cui le co-scienze sono come avvolte e forte-mente influenzate.

Quando un modo di pensare e diagire prende forma e spessore cul-turale acquista forza performativa,cioè forza di persuasione imme-diata e diretta sulle coscienze, inentrambe le direzioni: vale per letante negligenze e violenze controla vita, che danno luogo a una con-trocultura di morte; vale per la tu-tela e la promozione della vita.Perciò siamo tutti impegnati a rea-lizzare una svolta culturale, perpromuovere una nuova cultura9

della vita. Infatti, se il Vangelo del-la vita non cammina con le gambedella cultura non può reggere la

sfida della controcultura dellamorte. Una sfida che è assai piùcritica dei “morti ammazzati” – difronte ai quali sorge spontaneal’indignazione unanime della gen-te e dei gestori della comunicazio-ne di massa –, perché abbracciatutta i soprusi e i delitti contro lavita: da quelli accettati e tolleraticon distratta e remissiva assuefa-zione a quelli non più percepiti co-me tali o che vengono, addirittura,perpetrati con il favore culturale.In tal modo essi perdono la valen-za di delitti e vengono accreditaticome legittime espressioni della li-bertà individuale, da riconoscere eproteggere come veri e propri di-ritti.

Ad esempio, l’attuale processodi globalizzazione progressiva chesta interessando l’intero pianeta, lecui conseguenze non sempre ap-paiono essere positive, ci spinge aconsiderare l’esigenza dell’equitàe della giustizia in ordine alla ri-cerca genetica anche sotto il profi-lo dei suoi risvolti sociali, politicied economici. Data la limitatezzacrescente delle risorse da poter de-stinare allo sviluppo della ricercagenetica e biomedica, si rivela ne-cessario porre grande attenzione arealizzarne una distribuzione equatra i vari Paesi, tenendo in alta con-siderazione le condizioni di vitanelle diverse aree del mondo e l’e-mergenza dei bisogni primari nellepopolazioni più povere e provate.Ciò significa che a tutti vanno ga-rantiti le condizioni e i mezzi mini-mali sia per poter usufruire dei be-nefici derivanti dalla ricerca stes-sa, sia per poter sviluppare e man-tenere una capacità endogena di ri-cerca.

Il primo nostro impegno di uo-mini e donne di cultura, tesi a inse-rire dentro la storia il dono dellacarità, consiste in un discernimen-to a tutto campo per cogliere l’e-satta e reale portata di come equanto l’ambito della ricerca gene-tica sia in questione oggi e dellasfida culturale cui è sottoposto. Lagenetica, con le sue luci e le sueombre, i suoi appelli urgenti e, tal-volta, drammatici, ben lungi dalcadere fuori o ai margini dell’im-pegno e della missione della Chie-sa, ne è proprio al centro.

In dialogo con il mondo dellascienza e della ricerca la Chiesa of-fre il proprio specifico contributo,

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in quanto partecipe delle sorti del-l’umanità e di ogni singola perso-na. L’uomo, nella sua totalità unifi-cata e perciò indivisibile di corpo eanima10, è la via della Chiesa11. Suquesto fondamento teologico edottrinale noi, uomini e donne difede e di cultura, siamo chiamatiad affrontare la “questione dell’uo-mo” e la grande sfida che essa rap-presenta, su entrambi i versanti,biotecnologico e culturale, così dacomprendere e rispondere, nellaluce del Vangelo, alle opportunità,alle domande e ai problemi dellebiotecnologie e della cultura odier-na.

7. Siamo allora indotti a unapresa di coscienza critica, in gra-do di intercettare le sfide dellebiotecnologie e della cultura, permettere a nudo i ritardi, gli scarti,le insufficienze del nostro impe-gno, ma anche di individuare deipercorsi e delle proposte.

a. Si registra uno sbilanciamen-to d’attenzione sui problemi, sulbisogno di trovare e dare rispostepratiche a questioni e conflitti sol-levati dai risultati e dalle opportu-nità, offerte dalle biotecnologie edalle mutate e mutevoli sensibilitàculturali. Siamo ansiosi di sapere,per esempio, della liceità d’usodelle cellule staminali, della utiliz-zabilità degli embrioni residui,dell’abortività di una pillola, dellaliceità di ricorso a una tecnica difecondazione, della legittimità odoverosità di un intervento di tra-pianto, dell’ammissibilità di unasperimentazione. Ma non ci curia-mo di sapere del valore della vitaumana, del significato della vitaembrionale, della verità del gene-rare umano, della valenza di un at-to manipolatore. Ciò porta a cerca-re la soluzione normativa, ma atrascurare o a rimandare la compe-tenza formativa, concernente que-stioni di metodo, principi primi edirettivi, modelli antropologici ebioetici: conoscenze insomma chesono alla base o a monte, indispen-sabili, per dare ragione delle nor-me, formarsi una mens critica eformulare o aiutare a formulareprudenti giudizi di coscienza. C’èinsomma una polarizzazione; inquesto consiste lo sbilanciamento,dai fondamenti sulle problemati-

che bioetiche: indice di uno slitta-mento dalla formazione all’infor-mazione.

b. Si registra, inoltre, una ten-denziale sfasatura tra magistero ecatechesi. A fronte di un magisterobioetico della Chiesa – ma anchedi una bioetica teologica – all’al-tezza dei tempi e delle sue sfide,c’è una mediazione catechetica euna traduzione operativo-pastoraletalvolta piuttosto faticosa. L’inve-stimento ecclesiale in termini diannuncio della fede in questo am-bito necessita di qualche aggiusta-

mento. Ci sono iniziative pregevo-li, ma risultano appannaggio dellasensibilità e dell’iniziativa di talu-ni soltanto. Sono persone e gruppifortemente impegnati, ma talvoltaavvertono un senso di solitudine,di marginalità, di distanza della co-munità. Si percepisce come nonsia la comunità il soggetto di que-sta attenzione pastorale, ma soloalcuni a titolo, per così dire, piùproprio che ecclesiale.

c. Potremmo individuare un ter-zo nodo problematico in una sortadi pregiudizio laicista da cui è for-temente dominata la cultura in ge-nerale e in particolare la bioetica,la genetica e il settore delle biotec-nologie. Questo atteggiamentoculturale pregiudiziale poggia sulpreconcetto secondo cui la Chiesanon può che esprimere posizionidogmatiche, confessionali e cometali razionalmente irrilevanti e in-comunicabili. Si tratta di un grossovincolo, che condiziona radical-mente, non solo il dialogo cultura-le, ma anche l’accesso ai grandi fo-rum della comunicazione di mas-sa. La difficoltà sta nella assioma-

ticità di questa posizione, espres-sione e frutto di quel lay pride ali-mentato dalla presunzione di avereil monopolio e l’appalto della ra-gione. Sono posizioni che ferisco-no l’intelligenza più che la fede,rendendo più ardui e pazienti ildialogo e l’annuncio.

d. Il pregiudizio laicista trovaparadossalmente una sponda – equesto è un altro nodo – in un fi-deismo della norma, che porta gliinterlocutori a pensare che i catto-lici non hanno ragioni da darsi e daoffrire, professano le norme mora-

li come un credo, e l’autorità attin-ge le norme a una rivelazione e auna fede aliene e incuranti della ra-gione. Questa trascuratezza praticanei riguardi della relazione tra fedee ragione nella tutela e promozionedella ricerca scientifica e della vitaumana, della genetica e delle bio-tecnologie, dà luogo a una sorta di“fideismo bioetico” che sviliscel’annuncio, osteggia il dialogo cul-turale, fomenta il pregiudizio enon svolge un buon servizio al ma-gistero morale della Chiesa.

Legato a questo aspetto, va mes-so in rilievo il problema dell’ina-deguatezza della formazione sulpiano dell’etica e della cultura deldialogo tra Vangelo, scienza e ra-gione, tra fede e ricerca scientifica.Il risultato è che il Vangelo e l’eti-ca della vita restano ai margini.Una situazione che è all’origine divuoti di preparazione, con conse-guente ignoranza di conoscenzebasilari e decisive, nodali e criti-che, indispensabili a misurarsi condomande, provocazioni e conflittidi coscienza con cui le persone ciinterpellano. Il rischio è di attinge-re e dipendere da altre “agenzie

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culturali ed etiche”, che pure nonmancano, specialmente sul grandeproscenio della comunicazione epersuasione mass mediale12.

8. Dopo aver individuato qual-che nodo problematico, vorreitracciare vie percorribili di su-peramento delle difficoltà e di re-sponsabilità effettiva e possibileper un impegno culturale scientifi-co e di fede.

a. Ripartire dal Vangelo della vi-ta e quindi dalla valenza evange-lizzante, missionaria e ministerialedell’impegno per la vita umana daparte di uomini e donne di culturae di scienza quali siamo noi tutti.Un onere e una missione da vivere,non secondo una visione dicotomi-ca e spiritualistica della vita maprofondamente unitaria, in mododa non separare lo spirito dallo psi-co-fisico. Così, si serve la vita se-condo la pienezza della sua verità.La vita umana è un bene uno e uni-co, in ogni dimensione, fase e con-dizione dell’esistere, e perciò indi-visibile e irriducibile nel suo valo-re. Siamo chiamati a servire la vitasu tutti i versanti del suo essere nelmondo e del suo essere oggi pro-blematizzata, disconosciuta e offe-sa: sul versante della violenza bel-lica come di quella criminale, del-lo sfruttamento come dell’aborto,dell’emarginazione come dell’eu-tanasia, del rischio sproporzionatocome della banalizzazione, del-l’accanimento terapeutico come diquello voluttuario.

b. Mettere in luce la valenza an-tropologica del Vangelo della vita.La centratura della verità e del va-lore della vita sul Vangelo allarga ilcampo dell’intelligenza. Infatti, ilVangelo della vita aprendo al sape-re della fede non riduce o chiudequello della ragione, ma lo solleci-ta, lo implica e lo provoca. Di quila valenza universale del Vangelodella vita: esso non è esclusiva-mente per i credenti, ma per tutti,ha una eco persuasiva e profondanel cuore di ogni persona, credentee anche non credente, perché esso,mentre ne supera infinitamente leattese, vi corrisponde in modo sor-prendente. Il Vangelo della vita, in-fatti, racchiude quanto la stessaesperienza e ragione umana dicono

circa il valore della vita e lo porta acompimento. Esso è luogo d’in-contro per tutti in una società mul-ticulturale, multireligiosa e plurali-sta. Perciò è importante mettere inrisalto le ragioni antropologicheche fondano e sostengono il rispet-to di ogni vita umana e diventanoluogo del dialogo culturale e del-l’inculturazione del Vangelo.

c. Suscitare attenzioni e sensibi-lità verso la correttezza metodolo-gica dell’insegnamento bioeticodella Chiesa, aperto alla verità del-la vita su tutti i versanti del sapere,non solo su quelli interpretatividella teologia, della filosofia e suquelli normativi dell’etica, ma an-che, e ancor prima, su quelli rico-gnitivi delle scienze biomediche.Far risaltare la scansione di bios-logos-axios-deon-nomos-telos nel-la elaborazione dell’insegnamentodella Chiesa. Mettere in luce comealla base di tale elaborazione c’èl’attenzione al bios e perciò ai con-

tributi delle scienze biologiche emediche, in cui l’intelligenza illu-minata dalla fede legge un logos,vale a dire un significato profondo,espressione a sua volta di un axios,ossia di un valore, per se stessoportatore di un deon (compito),che prende corpo nel nomos (leg-ge), in vista del telos (fine) realiz-zativo della persona.

In tal modo si può affrontare lagrande sfida culturale, cioè il valo-re della vita in tutte le sue fasi emanifestazioni. In effetti, la tenta-zione e l’insidia oggi sono lo sci-volamento e il cedimento a unacultura del relativo13. In determina-te situazioni la tentazione si fa

molto forte, come nel caso dellamanipolazione del patrimonio ge-netico della persona, dell’utilizzoterapeutico degli embrioni ecce-denti, di malformazioni fetali, digravidanze da stupro, di individuiin stato vegetativo persistente, oaffetti da gravi handicap psicofisi-ci, di malati terminali. In una cul-tura utilitaristica e talvolta emoti-vista “i conti non tornano”, e allo-ra anche la vita viene messa nelcomputo dei beni da fruire e le vie-ne preferito altro.

La vita subisce un vulnus e tuttodiventa relativo a me14, si soggeti-vizza al mio modo di vedere, dipensare e di giudicare. La verità èsurrogata dall’opinione, il valoredal sentimento, la libertà dall’arbi-trio. Ciò, nel mezzo di una culturautilitarista e relativista, richiede ar-dore profetico e audacia intellet-tuale, per suscitare e motivare tra icredenti e i non credenti il ricono-scimento del valore di una ricercascientifica a servizio dell’uomo. E

questo è fondamentale annunciar-lo, pastoralmente e culturalmente,alla gente che vive e pensa etsiDeus non daretur, proprio lungoquelle coordinate antropologichedel Vangelo della vita. Altrimentisi rischia l’afasia, dopo l’amnesia.

d. Investire prima di tutto nellaformazione dei formatori, con l’at-tenzione a non limitare la forma-zione alle molte, impellenti e com-plesse questioni che ci interpellanoe ci sfidano sul terreno della prassie della cronaca, e a imparare ilmessaggio, il linguaggio e la logicadella vita, e su di essa strutturare ipercorsi formativi. Per una prepa-

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razione solida e capace di affronta-re e dirimere tutti i problemi, oc-corre farla cominciare da premessee saldi basamenti di metodo, valo-ri, principi primi e direttivi, elabo-razione normativa, antropologia fi-losofica, biblica e teologica.

e. Annunciare la speranza e col-tivare la virtù. Le sfide della cultu-ra e, in particolare, della scienzagenetica e della biomedicina oggici coinvolgono tutti, ricercatori escienziati, docenti e pastori, perchéquesti impegni non trovano facil-mente largo consenso e favore cul-turale. Decisiva per questo risultala virtù della speranza. Non sonosufficienti l’intelligenza e la fede,occorre la speranza. Senza questa“passione del possibile” viene me-no la molla della verità e dell’amo-re “nonostante tutto”. Occorre unaconversione pastorale alla speran-za e alla virtù, a questa disposizio-ne della mente e del cuore a cono-scere e ad amare il Vero, il Buonoe il Bello. Infatti, il Vangelo e lacultura della vita si annunciano e sipromuovono, mettono radici eportano frutti per le sintonie e gliaffetti coltivati dalla virtù, neglispazi aperti della speranza.

9. Pertanto, il lavoro di voi tut-ti, uomini e donne, dediti alla ri-cerca, alla scienza e alla cultura,assume un’importanza del tuttonuova in questa era segnata dallosviluppo della scienza e della ri-cerca biotecnologica. Si rende ne-cessaria anche una grande respon-sabilità verso la società e l’uma-nità, soprattutto attorno ad alcunequestioni cruciali: a) il chiarimentodel rapporto tra scienza ed etica incampo biomedico – problema epi-stemologico; b) in secondo luogoci si deve domandare a quale bioe-tica ci si debba rifare – questionedella fondazione; c) l’urgenza diun’azione culturale e politica per-ché il diritto e la legge recepiscanoi valori fondamentali che toccanola difesa della vita15.

Infatti, si avverte la sensazioneche una potenza che non è mai sta-ta così grande generi non una mag-giore sicurezza del vivere, ma alcontrario una maggiore insicurez-za e un ingovernabile disordine,quasi una sorta di inquietudine del-l’uomo onnipotente. Egli intrave-

de la reale possibilità di alterare lapropria identità sino al punto darenderla irriconoscibile e dunquedi distruggerla. Sappiamo unirciper mettere questa eredità scienti-fica e culturale a servizio del pro-gresso vero dell’umanità. Il com-pito ci si presenta enorme, anzi,qualcuno potrebbe definirlo utopi-stico. Invece, io desidero incorag-giare la fiducia nell’uomo, controtutte le tentazioni del fatalismo,della passività paralizzante e del-l’abbattimento morale. È un impe-gno, un appuntamento con la storiache il nostro genio intellettuale espirituale può affrontare medianteuna nuova mobilitazione dei talen-ti e delle energie di ognuno e sfrut-tando tutte le risorse tecniche eculturali a nostra disposizione.

Possediamo straordinarie risorseeconomiche, scientifiche e di ri-cerca, grazie alle quali è possibiledare un impulso decisivo alla fa-miglia umana, evitando tra le altrederive, la tentazione dello sviluppobiotecnologico fine a se stesso, co-me se dovesse sempre realizzareciò che è scientificamente e tecni-camente possibile.

Una seconda deriva da evitare èl’asservire lo sviluppo tecnologicoall’utilità economica in conformitàcon la logica del profitto o dell’e-spansione economica senza fine,creando così situazioni di vantag-gio per alcuni e lasciando altri nel-l’indigenza globale, senza preoc-cuparsi del vero bene dell’uma-nità, facendo della ricerca scienti-fica, e della genetica in particolare,uno strumento al servizio dellacultura dell’“avere” a detrimentodell’“essere”.

Voi tutti, uomini e donne di cultu-ra, ricerca e scienza, godete di unaimmensa credibilità morale per in-tervenire in tutti i centri decisionali,sia privati che pubblici, e influiresulle politiche dei Paesi. Usandotutti i mezzi onesti ed efficaci, fateprevalere una visione totale dell’uo-mo e una cultura dell’umanesimointegrale, in cui scienza e ricercatrovano la loro giustificazione nelservire l’uomo e l’umanità. Uominie donne di scienza, negli ambientidi ricerca e nelle università, nei cen-tri culturali e nei laboratori, siatefortemente impegnati a studiare eproporre risposte alle domande e al-le esigenze della società. Per realiz-zare ciò, oltre alle capacità tecnolo-

giche, ci occorre una elevata ispira-zione, una coraggiosa motivazione,una grande fiducia animata dallasperanza nel futuro dell’uomo enella sua dignità.

S.Em. Card PAUL POUPARDPresidente del Pontificio Consiglio

della Cultura,Santa Sede

Note1 Cfr. SERRA A., La “Nuova Genetica” At-

tualità, Prospettive, Problemi, in AA.VV., Me-dicina e genetica verso il futuro – QuestioniAperte - Quaderni dell’Istituto Accademico diRoma, L’Aquila – Roma 1986, pp. 9-12.

2 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai parteci-panti alla IX Assemblea Generale della Pontifi-cia Accademia per la Vita, 24 febbraio 2003, n.4.

3 COZZOLI M., L’impegno della Chiesa perpromuovere una cultura della vita, in SEGRETE-RIA GENERALE DELLA CEI (a cura di), Coeso diaggiornamento su temi di bioetica, Roma 2003,pp. 187-207.

4 GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 25marzo 1995, n. 95.

5 Cfr. SERRA A., La nuova genetica, per l’uo-mo o contro l’uomo?, in MAZZONI A. (ed.), Asua immagine e somiglianza? Il volto dell’uo-mo alle soglie del 2000. Un approccio bioetico,Roma 1997, pp. 109-113.

6 GIOVANNI PAOLO II, Fides et Ratio, 14 set-tembre 1998, n. 28.

7 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLAFEDE, Donum vitae, 22 febbraio 1987, n. 4.

8 Cfr. CAFARRA C., La persona umana:aspetti teologici, in MAZZONI A. (ed.), op. cit.,pp. 76-90.

9 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membridel Pontificio Consiglio per la Cultura, 12 gen-naio 1990, n. 2.

10 “Corpore et anima unus” afferma la Gau-dium et spes al n. 14.

11 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 4marzo 1979, n. 14.

12 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA,Per una pastorale della Cultura, Città del Vati-cano 1999, n. 9.

13 BENEDETTO XVI, Discorso all’aperturadel Convegno ecclesiale della Diocesi di Romasu famiglia e comunità cristiana, 6 giugno2005. Soprattutto è significativo questo passag-gio: «Oggi un ostacolo particolarmente insidio-so all’opera educativa è costituito dalla massic-cia presenza, nella nostra società e cultura, diquel relativismo che, non riconoscendo nullacome definitivo, lascia come ultima misura so-lo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’appa-renza della libertà diventa per ciascuno una pri-gione, perché separa l’uno dall’altro, rendendociascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio“io”. Dentro a un tale orizzonte relativisticonon è possibile, quindi, una vera educazionesenza la luce della verità; prima o poi ogni per-sona è infatti condannata a dubitare della bontàstessa della sua vita e dei rapporti che la costiu-tuiscono, della validità del suo impegno per co-struire con gli altri qualcosa in comune». Cf.anche GIOVANNI PAOLO II, Evangelium Vitae,25 marzo 1995, n. 70.

14 Cfr. DE ROSA G., Il relativismo moderno,in La Civiltà cattolica vol. III/3726, pp. 455-468.

15 Cfr. SGRECCIA E., Attualità delle proble-matiche bioetiche e contesto culturale, in Cor-so di aggiornamento su temi di bioetica – Atti acura della Segreteria generale della CEI, 14 –16 novembre 2001, pp. 5-20.

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114 IL GENOMA UMANO

1. Delimitazione del concetto di pastorale

Per poter affrontare adeguata-mente il tema che mi è stato asse-gnato, all’interno del percorso diindagine di questa Conferenza –che vi ha già visti impegnati nel-l’analisi dell’attuale status della ri-cerca genetica anche alla luce del-la rivelazione cristiana nel conte-sto di altre cosmovisioni e tenden-ze culturali – mi sembra di partico-lare importanza chiarire anzituttocosa si debba intendere col terminepastorale. Una tale premessa ciconsentirà di riflettere a partire dauno degli apporti fondamentaliche, sulla scia dell’intuizione pro-fetica del Beato Giovanni XXII, ilConcilio Vaticano II ha offerto allaChiesa e, quindi, alla teologia.

L’indole pastorale che caratte-rizza la proposta di Gesù Cristo al-la famiglia umana è ben espressadalla missione stessa della Chiesa:“Dio vuole che tutti gli uomini sia-no salvati e arrivino alla conoscen-za della verità” (1Tim 2, 4). Il Con-cilio Vaticano II e con esso tutto ilmagistero postconciliare hanno in-teso mettere in primo piano – inprofonda continuità con tutte leScritture e la Tradizione – la natu-ra salvifica della Chiesa eviden-ziandone l’indole pastorale.

La chiave salvifico-sacramenta-le della pastorale ha consentito unpeculiare approfondimento dellacategoria dei segni dei tempi. Que-sta potrebbe trovare un ulteriore eurgente sviluppo ontologico e teo-logico nella riflessione circa il va-lore sacramentale delle circostan-ze e dei rapporti che interpellanoquotidianamente la libertà, semprestoricamente situata, dell’uomo.Un simile approccio renderebbe,tra l’altro, efficace il dialogo a tut-to campo: dall’ecumenismo al rap-porto con le altre religioni, dalconfronto appassionato con gli uo-

mini del cosiddetto mondo laico fi-no alla testimonianza eloquentedella carità. Dalla esplicitazionedella dimensione pastorale del fat-to cristiano scaturisce una conce-zione dell’azione ecclesiale piùimmediatamente legata alla testi-monianza diretta della profondacorrispondenza di Gesù Cristo al-l’anelito di salvezza presente nelcuore di ogni uomo e della comu-nità umana.

In questa chiave risulta evidentela pertinenza della riflessione circala visione pastorale della ricercagenetica. Una tale indagine vuolemostrare come le domande chescaturiscono dalla ricerca genetica– una circostanza privilegiata (unsegno dei tempi) della cultura edella società di oggi – intercettanola missione della Chiesa. O, in altritermini, come le questioni antro-pologiche, inevitabilmente postedalla ricerca scientifica in questocampo, richiedono e possono tro-vare risposta adeguata nell’annun-cio di Gesù Cristo, figura compiu-ta dell’umano (cfr. Gaudium etspes, 22).

2. L’odierna ricerca genetica

Per gettare uno sguardo pastora-le – alla luce della missione salvifi-co-sacramentale della Chiesa –,sul dato dell’odierna ricerca gene-tica, occorre anzitutto chiedersiche cosa sia oggi la ricerca geneti-ca stessa. Con questa preoccupa-zione ho elaborato le note che pro-pongo con l’aiuto di un biologo1.

La questione ne apre subitoun’altra, attraversata da tensionidialettiche talora anche aspre: èadeguato ricondurre alla ricerca“genetica” tutto il fronte caldo del-l’odierno avanzamento delle cono-scenze biologiche? Non possiamo,infatti, ignorare che tale tentativo èampiamente perseguito dalla mag-

gioranza dell’informazione mass-mediatica che ascrive alla “ricercagenetica” anche scoperte non stret-tamente riconducibili a essa, oppu-re seleziona solo il lato “genetico”delle scoperte. Il rischio è dunquequello di porre le domande che piùci interessano non sempre agli in-terlocutori adeguati, cadendo in talmodo in un’ottica unilaterale, cheprivilegia il punto di vista stretta-mente genetico, ma perde di vistaun approccio più globale. D’altraparte esula dall’oggetto proprio diquesta Conferenza Internazionaleaffrontare tutti i problemi emer-genti in campo biologico. Per que-sta ragione mi limiterò ad affronta-re – ovviamente da “laico” dellescienze genetico-biologiche – soloqualcuna delle questioni calde del-la ricerca genetica, mettendo in lu-ce anche contributi di altri approc-ci disciplinari soprattutto quandoquesti, partendo da presupposti di-versi, modificano l’interpretazionedei risultati e le conseguenze.

Dire ricerca genetica oggi signi-fica dire qualcosa di molto diversoda ciò che si intendeva fino agliinizi degli anni Ottanta/Novanta.Infatti, grazie all’affinamento e al-l’automazione delle tecniche di se-quenziamento del DNA – ivi com-prese le tecniche ancillari di ampli-ficazione di segmenti di DNA e letecnologie bioinformatiche –, nelgiro di pochi anni sono diventatedisponibili le sequenze di interi ge-nomi. Come è noto la prima se-quenza completa del genoma uma-no è del giugno 2000; attualmentesono sequenziati più di 220 geno-mi di microrganismi e circa unaventina di genomi di organismi su-periori. Si stanno applicando inol-tre metodiche di sequenziamentosempre più innovative basate sureazioni chimiche particolarmentecomplesse, l’utilizzo delle qualiporta a ipotizzare che entro cinqueanni sarà possibile sequenziare

ANGELO SCOLA

2. Visione pastorale della ricerca genetica

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l’intero genoma di un uomo conuna spesa di poco superiore ai1.000 dollari2. Inoltre, i tempi disequenziamento saranno partico-larmente ridotti, assimilando que-sto tipo di analisi, in termini ditempi di attesa del suo esito, aquella di una complessa analisibiochimica attuale: pochi giorni,per intendersi. Così ogni individuopotrà avere una carta d’identità deipropri geni con una spesa relativa-mente esigua e destinata a ridursinel tempo.

È evidente che questo processoporta a compimento uno degliobiettivi principali della genetica“classica”: la conoscenza detta-gliata del genoma. Si sta aprendouna nuova era, non a caso definitapostgenomica, caratterizzata dalladisponibilità per tutti i biologi del-l’informazione contenuta nei ge-nomi. Ne consegue, pertanto, sia larivisitazione di vecchi problemi,sia l’affacciarsi di nuovi.

3. Alcune questioni significative

Come la missione della Chiesa èchiamata in causa da questi proble-mi certo antichi, ma che oggi ac-quistano una forza di novità spessodirompente? A un osservatore at-tento non sfugge un inconvenienteche affligge da sempre ogni praticae teoria sociale e che si è fatto piùacuto nella nostra epoca. Mi riferi-sco alla grande difficoltà di forma-re un consenso di esperienza e cul-tura sui criteri fondamentali dellastessa vita sociale, ivi compresal’irrinunciabile e delicata valuta-zione etica. Questo grave handi-cap spesso giunge fino a impedireagli individui e ai popoli di identi-ficare le cause meritevoli di impe-gno a livello di vita personale e divita pubblica. La ragione di questostato di cose può essere forse rin-tracciata in un’affermazione di uncelebre studio di Franz von Kut-schera: l’etica da sola non basta amuovere il desiderio dell’uomo,anche se “la mediazione tra inte-resse ed esigenze morali è il pro-blema centrale dell’etica”3. Comefar fronte a questo stato di cose?Solo riconoscendo che per condur-re la libertà ad accogliere il suo do-vere (etica) – anche in campo dellaricerca genetica – occorre mostra-re il fascino, la convenienza di

nuovi stili di vita. Ma, come è sta-to più volte ribadito lungo la storiadell’Occidente, “lo stile è l’uomo”.Quindi solo una proposta antropo-logica adeguata è in grado di muo-vere la libertà dei singoli e di so-spingerla, attraverso i corpi inter-medi, nel circolo virtuoso della vi-ta buona a un tempo personale esociale. Quindi prima ancora del-l’etica, la ricerca genetica doman-da antropologia. La ricerca geneti-ca, infatti, mette in campo unaconcezione dell’uomo e della co-munità sociale. Questa è la prima epiù importante condizione per unapertinente visione pastorale dellaricerca genetica.

Possiamo trovare un riscontroobiettivo a quest’affermazione neiproblemi emergenti riguardanti ilgenoma umano? Mi sembra che sipossa rispondere affermativamen-te. Vediamo qualche esempio.

a) Genotipo-fenotipo

La nuova “era” della ricerca ge-netica ripropone una antica do-manda, rivisitata alla luce delle co-noscenze sui genomi: che rapportoc’è tra genoma e organismo (rap-porto genotipo/fenotipo)?

All’impresa di rispondere a que-sto interrogativo partecipano nonsolo i genetisti, ma molti altri bio-logi (biochimici, biologi molecola-ri, fisiologi, embriologi, zoolo-gi…) che ora possono affrontare ilrapporto genoma-organismo di-sponendo dell’informazione conte-nuta nel genoma. Come non potevaessere diversamente, il modo di in-tendere il rapporto genotipo/fenoti-po risente della formazione origi-naria dei vari ricercatori. L’approc-cio genetico classico utilizzal’informazione sui genomi per de-durre da essa il link tra genotipo efenotipo: non più rapporto singologene/singolo carattere, ma interogenoma/intero organismo. Gli ap-

procci metodologici principali mipare siano: il sequenziamento deigenomi (o di parti di esso) di moltiindividui della stessa specie4 e lacomparazione della variabilità a li-vello genomico con la variabilitàfenotipica, dai caratteri più sempli-ci ai più complessi. Alla base diquesto approccio sta l’idea che ilvalore fenotipico di ciascun carat-tere di un individuo è determinatodall’azione di pochi o tanti fattorigenetici, ciascuno dei quali contri-buisce in modo più o meno deter-minante a definirne il valore. Que-sta concezione riflette l’idea di ungenoma parcellizzato in unità di-screte (è l’idea classica della mo-dern synthesis) da cui consegueche l’informazione necessaria perdescrivere l’intero organismo saràraggiungibile una volta che sarànota la funzione di ciascuna unità.Metodo adeguato per raggiungerequesta conoscenza è l’analisi dellacovarianza tra genomi e caratteri(in altre parole, se al variare di undeterminato carattere, per esempiol’altezza, corrisponde la variazionein alcune particolari sequenze ge-nomiche, è probabile che questesiano alla base di quel carattere).Questo tipo di approccio potrebbetra l’altro rivoluzionare il normaleapproccio terapeutico a molti tipidi patologie di comune riscontroquali cardiopatie, diabete, osteopo-rosi… Si ritiene, infatti, che questotipo di patologie non siano causatedall’alterazione di un singolo gene,ma che nelle nostre sequenze geni-che e nella variabilità di alcune del-le unità discrete precedentementemenzionate sia iscritta una mag-giore o minore sensibilità nello svi-luppare le suddette patologie. Tut-tavia queste affermazioni restano,finora, abbastanza generiche e conscarse indicazioni a livello preven-tivo perché occorre un ulterioreimpegno di ricerca sulla covarian-za dei genomi, soprattutto tenendoconto delle specificità dei diversigruppi etnici. Essi però avrannoestrema rilevanza nella prospettivadi interventi eugenetici. Una con-seguenza questa, decisiva per lapastorale.

Un altro approccio al problema,diverso da quello genetico, è quel-lo perseguito da biochimici, biolo-gi molecolari, fisiologi, bioinfor-matici tramite lo sviluppo di nuovetecnologie, chiamate convenzio-

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116 IL GENOMA UMANO

nalmente omics. Per esempio lafunctional genomics ha sviluppatotecnologie per analizzare simulta-neamente come varia l’espressionedell’intero genoma di un individuoa seguito di una particolare condi-zione (stadio di sviluppo, esposi-zione a condizione ambientale,somministrazione di farmaci…)5.Queste tecnologie hanno prodottouna valanga di informazioni chehanno stimolato infine la nascita diuna nuova specializzazione, la sy-stem biology. L’obiettivo di questadisciplina è quello di stabilire il va-lore predittivo del genotipo nei ri-guardi del fenotipo integrando, tra-mite approcci bioinformatici, teo-rici e modellistici, tutte le modifi-cazioni che avvengono nell’indivi-duo a tutti i livelli (genetico ed epi-genetico). Una questione ancorasul tappeto è la seguente: quantol’organismo vivente è totalmentedescritto dal livello genetico equanto invece conta il livello epi-genetico.

È evidente la sostanziale diffe-renza dei due approcci al problemagenotipo/fenotipo: nell’approcciogenetico non interessa cosa sta inmezzo tra il genotipo e il fenotipo,cioè come un determinato genoti-po si esprime finalmente in unospecifico fenotipo. Si assume im-plicitamente il postulato che è ilgenotipo che domina comunque(genetic essentialism) indipenden-temente dalla via di espressione. Ilsecondo approccio invece privile-gia lo studio di “cosa sta tra il ge-notipo e il fenotipo”, quindi comeè regolata l’espressione del geno-ma, come interagiscono tra loro igeni e i prodotti dei geni ecc. Qui èimplicita l’idea che a determinareil “valore fenotipico” siano rile-vanti i fattori epigenetici: il culmi-ne è nella system biology che espli-citamente afferma che in un indivi-duo “tutto si tiene”, cioè le partinon spiegano il tutto.

Le importanti conseguenze teo-riche e applicative dei due approc-ci sono rilevabili a vari livelli. Neconsidero due: la diagnosi preditti-va di predisposizione a malattie ela sociogenomica.

Per quanto riguarda la diagnosipredittiva – di grande rilevanzaper la salute – occorre affermareche essa si fonda sull’assunzioneche l’eziologia di molte malattiedipende da fattori genetici, am-

bientali e di interazione genoti-po/ambiente. Un esempio di inte-razione: l’esposizione al sole – fat-tore ambientale – è più frequente-mente causa di tumore della pellein individui di pelle chiara rispettoa quelli di pelle scura – il coloredella pelle è un fattore genetico.L’obiettivo è di isolare la compo-nente genetica individuando il ge-ne o più frequentemente il com-plesso dei geni alla base della pre-disposizione. Il metodo si basa sulfatto che il genoma umano si dif-ferenzia da un individuo all’altroper una piccola frazione (menodello 0,1%): è possibile quindi ca-ratterizzare il genoma di un indivi-duo in base alla presenza di unospecifico set di varianti (aplotipi);a questo punto si tratta di vedere sela frequenza di alcuni aplotipi èmaggiore in individui che portanouna determinata malattia rispetto a

un gruppo omogeneo di individuisani. Per alcune malattie l’associa-zione con particolari geni è datempo nota (talassemia, emofilia,ecc.), per altre ci sono buoni can-didate genes, per altre ancora sonoin corso genome-wide associationstudies focalizzati principalmentealla tipizzazione aplotipica dellaspecie umana6.

I problemi che tali ricerche pon-gono sono molteplici: ovviamenteproblemi di genetic counseling, di-scriminazione genetica, screeningneonatale, ecc. Per la prospettivapastorale è importante sottolinear-ne due: il primo riguarda lo sposta-mento, favorito da queste ricerche,da un’etica che pone al centro lasingola persona verso un’etica chepone al centro il gruppo (familiare,sociale ecc.). Il secondo aspetto èl’accento, inevitabilmente postoda queste ricerche, sul determini-smo genetico (i geni come essenzadella persona, geneticessentialism). Nel caso particolare

comunque è decisivo chiedersiqual è il grado di affidabilità delladiagnosi predittiva. Esistono aquesto riguardo almeno due tipi diproblemi: il primo è legato al fattoche la predisposizione per una cer-ta malattia dipende frequentemen-te non tanto dalla presenza di una opiù varianti geniche del genoma,ma piuttosto dall’interazione travari geni (in termine tecnico, epi-stasi) e il metodo degli studi di as-sociazione non mette in evidenzaappunto l’epistasi; il secondo di-pende dal fatto che per moltissimemalattie, il fattore ambientale è as-solutamente dominante7. Le con-seguenze di queste limitazioni sul-l’applicazione della diagnosi pre-dittiva sono evidenti.

Col termine sociogenomica ci siriferisce all’ultima evoluzione del-la sociobiologia per la quale si af-ferma che la funzione primaria diun organismo è quella di riprodur-re i suoi geni e costituirne un prov-visorio veicolo (concetto di geneegoista8). Di conseguenza anchel’organizzazione sociale degli in-dividui deve rispondere a questoobiettivo e quindi devono esisteregeni che controllano l’organizza-zione sociale. Scopo della socioge-nomica è comprendere la vita so-ciale nei suoi determinanti geneticio, in altri termini, descrivere le ba-si molecolari della socialità9. I me-todi che utilizza sono le evidenzefinora disponibili sulle basi geneti-che del comportamento in modellisperimentali10 e l’approccio geno-mico descritto precedentementeper le diagnosi predittive, applica-to a gruppi sperimentali (animali)con contrastante comportamentosociale (ad esempio presenza digerarchia di dominanza vs assen-za). La tesi dice: se la socialità hauna base genetica, si devono trova-re associazioni a livello dell’interogenoma tra particolari aplotipi eparticolari comportamenti sociali.È chiaro che le obiezioni metodo-logiche sollevate alla diagnosi pre-dittiva sono altrettanto valide – senon di più – in questo campo cuiperò bisogna aggiungere un altroelemento. È evidente che uno degliobiettivi di questa ricerca è quellodi trovare conferma, a livello dellaspecie umana, delle eventuali as-sociazioni genotipo/comporta-mento sociale riscontrato nei mo-delli animali. In questi modelli tut-

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tavia i comportamenti sociali sonoestremamente rigidi, stereotipici esi perpetuano con pochissime va-riazioni nel corso delle generazio-ni. Nella specie umana invece icomportamenti sociali sono estre-mamente variabili e soprattuttocambiano rapidissimamente con legenerazioni, al punto che è impen-sabile che possano essere condi-zionati da corrispondenti variazio-ni genomiche che si fissano nellapopolazione. Questo semplice da-to dovrebbe condurre a non sotto-valutare il salto qualitativo, dasempre riconosciuto in antoprolo-gia, tra il regno animale e quelloumano. Si apre qui un ambito deci-sivo per l’azione pastorale presen-te e futura.

b) Le teorie evolutive

Il principale riferimento attual-mente a disposizione per le teorieche cercano di dare una risposta al-le forze e ai meccanismi che gui-dano l’evoluzione degli organismiviventi è ancora la modern synthe-sis11. Essa riconduce alle mutazionia livello del DNA le origini dellavariabilità naturale osservata daDarwin e descrive l’azione dellaselezione naturale darwiniana coni metodi della genetica di popola-zione. La teoria ormai presentamolte lacune ma, un po’ perché èmolto “accomodante”, un po’ per-ché mancano sintesi alternativevere e proprie, continua a essere lateoria di riferimento dal punto divista concettuale.

Tra i concetti base della teoriauno dei punti cruciali è che la pro-babilità che avvenga una particola-re mutazione piuttosto che un’altraè del tutto indipendente dalle sueconseguenze fenotipiche. Per que-sto le mutazioni (e quindi la varia-bilità genetica) sarebbero casuali ela selezione naturale sceglierebbetra esse i fenotipi risultanti più“adatti” (vedi “caso e necessità” diMonod). Questo presupposto èben presente in Darwin nella me-tafora dell’architetto: se un archi-tetto costruisse un edificio comodoe bello senza impiegare pietre ta-gliate, ma scegliendo fra quelle ro-tolate al fondo di un precipizio lecuneiformi per le arcate, le più lun-ghe per le colonne, e le piatte peltetto, noi ammireremmo la sua abi-lità e lo riguarderemmo come la

potenza principale. Ora, i fram-menti di roccia, quantunque indi-spensabili all’architetto relativa-mente alla costruzione da lui fatta,stanno nello stesso rapporto dellevariazioni fluttuanti di ogni essereorganizzato rispetto alle confor-mazioni variate e ammirabili chehanno ulteriormente acquistato isuoi discendenti modificati12.

Un altro punto cruciale dellateoria è il programma adattazioni-sta (adaptationist program): se ilmotore dell’evoluzione è la sele-zione naturale, allora ogni partico-lare carattere fenotipico deve avereun valore adattativo in quanto ri-sultato della selezione (si noti co-me questo concetto sia presente adesempio anche nella sociogenomi-ca: anche i comportamenti socialidevono avere valore adattativo equindi dipendere da fattori geniciselezionati). Questo aspetto dellateoria ha provocato in passato furi-bonde polemiche proprio in vistadelle conseguenze “politiche” – eperciò etico-antropologiche – diquesta posizione13. Il problemabiologico di base è se ogni formadi un organismo vivente è possibi-le ma si manifesta solo quella chesi adatta al particolare ambientenaturale dove l’organismo vive.Questa affermazione, alla base delprogramma adattazionista, si è ri-velata falsa in quanto ci sono limi-ti biologici (constraints) ben preci-si nella morfogenesi e nella fisio-logia, che dipendono principal-mente da come procede l’embrio-genesi e dalle leggi della termodi-namica.

Se si vuol essere rigorosi si do-vrebbe dire che al momento attua-le non possediamo una soddisfa-cente teoria evolutiva, anche per-ché viviamo in un tempo di granderivoluzione delle conoscenze bio-logiche, genetiche e non. Non sia-mo quindi in grado di far sedimen-tare la massa di informazioni chearrivano quotidianamente e inizia-re un lavoro di sintesi.

Mi sembra, tuttavia, che non siaazzardato domandarsi se mai si po-trà possedere una soddisfacenteteoria evolutiva se sotto questaespressione si cela un’affermazio-ne meccanicistica dell’origine del-la realtà. In questo senso le diffi-coltà scientificamente riscontrabilidi un evoluzionismo assoluto do-vrebbero rendere più aperti alla te-

si creazionista colta in senso pro-prio nella sua capacità di far spazioa un sano evoluzionismo14. Tale te-si – che per i cristiani ha un valoreuniversale, dal momento che costi-tuisce parte sostanziale del conte-nuto normativo del credo – renderagione in modo plausibile non so-lo dei “salti evolutivi”, ma mostrala non falsificabilità della convin-zione che la realtà celi un disegnointelligibile e, in ogni caso, mani-festa la non verificabilità dell’af-fermazione contraria che la ragio-ne abbia la sua origine dal puro ca-so. Come documenta l’acceso di-battito, in atto soprattutto negliStati Uniti, la pastorale in questoambito è chiamata fortemente incausa.

c) Le cellule staminali

È un problema biologico di basestudiato da decenni da citologi edembriologi e solo in parte da gene-tisti; recentemente ha ricevuto im-pulso dalla postgenomica che hamesso a disposizione marcatorimolecolari in grado di identificareil destino differenziativo di unacellula (le cellule staminali totipo-tenti, multipotenti o unipotenti ini-zialmente sono morfologicamenteidentiche tra loro anche se già ca-nalizzate). Inoltre la postgenomicapermette di individuare geni e pro-dotti genici rilevanti nel determi-nare i pathway differenziativi.

La ricerca più avanzata in que-sto ambito è quella sulle cellulestaminali vegetali.

Nel complesso gli esperimentisulle piante hanno dimostrato laplasticità delle cellule differenziate(gameti o cellule somatiche): essepossono ridirezionarsi nel loroprogramma di sviluppo, tornandoa essere cellule totipotenti in gradodi rigenerare individui adulti (cioèè biologicamente possibile la clo-nazione di individui superiori) e lamoltiplicazione di organi. Non do-vrebbe esserci motivo biologicoper affermare che tutto ciò non siapossibile con i mammiferi: si trattadi imparare a farlo (con le piante cisono voluti migliaia di esperimenticon milioni di cellule).

L’esperienza con le cellule vege-tali ha messo tuttavia in evidenzaanche alcuni problemi seri. In tuttii casi di rigenerazione clonale nel-le piante (milioni di casi ma anche

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118 IL GENOMA UMANO

negli animali nei pochi casi dispo-nibili), si ha una elevata frequenzadi cloni abnormi. Inoltre gli scien-ziati non sono ancora in grado diconoscere che cosa controlli ap-pieno il differenziamento cellula-re: alcuni geni principali o intera-zioni tra geni o tra cellule (adesempio è certo che la posizione diuna cellula rispetto a quelle adia-centi è importante).

In estrema sintesi. Anche se si sache le cellule, a qualunque stadio,non perdono la loro totipotenza esi sono sviluppati metodi che per-mettono (finora in alcune specie)di fargliela riesprimere, non si saancora cosa permette e regola latotipotenza, unipotenza o multipo-tenza, anche se è ragionevole pen-sare che si arrivi a chiarire la que-stione nel dettaglio in quanto esi-stono ottimi modelli sperimentali;a questo scopo servono moltissimiesperimenti.

Quindi la domanda è: perché co-minciare a fare questi esperimentisull’uomo e non, per esempio, sul-l’animale da esperimento? La que-stione etico-antropologica emergecon chiarezza. Si ha l’impressioneche il motivo di questa scelta stianel fatto che gli esperimenti sul-l’uomo costano meno e vengonofinanziati meglio. Essi inoltre am-mantano di nobiltà il sacrificio“per la scienza” degli embrioni so-prannumerari congelati per l’as-senza, nel passato, di regolamenta-zione della “produzione” degliembrioni. (E questo riduce ovvia-mente i costi di mantenimento perquei centri che hanno fatto FIVETda diversi anni).

Di fronte all’eventualità che pri-ma o poi sarà possibile anche perla specie umana clonare con buonaefficienza individui e moltiplicareorgani (anche in vitro, come giàavviene per alcuni tessuti umani –epidermide, cartilagine…–), è dafavorire decisamente l’ipotesi cheanziché creare delle cellule e tra-piantarle in un organismo forse sa-rebbe più ragionevole riattivare eriutilizzare il comparto staminalepresente in ciascun individuo (tra-mite metodiche che si iniziano adapplicare anche in protocolli clini-ci, ad esempio per alcuni compar-timenti cerebrali in seguito a dan-no ischemico).

Soprattutto però è assolutamen-te necessario affrontare in chiave

interdisciplinare il problema diuna precisa definizione di cosa sial’embrione e di come, fin dal con-cepimento, sia un essere umanoche possiede una dimensione per-sonale. Per farlo non si potrà pre-scindere dalla considerazione delsuo sviluppo, poiché – per dirla intermini grossolani ma forse effica-ci – nessuno può negare che io og-gi sono Angelo Scola di 64 anni,perché sono stato quel singolo em-brione.

La strenua difesa della vita dalconcepimento fino alla morte na-turale che la Chiesa, insieme a tan-ti uomini di altre religioni e a tantilaici non cessa di proporre, affer-ma la sua cura pastorale nei con-fronti di ogni singolo uomo e ditutta la famiglia umana.

4. Conclusione

Da questa rapida e osata incur-sione operata da un pastore conl’aiuto di un biologo in campo ge-netico possiamo trarre una sor-prendente conclusione. Oggi, a ur-gere le domande che Comte “vie-tava di porre” in nome della scien-za sono proprio la scienza e le tec-nologie.

Non sono più solo filosofi, teo-logi, studiosi di scienze etico-so-ciali ad arrovellarsi intorno alleimprescindibili questioni che giàGaudium et spes formulava congrande chiarezza: “Cos’è l’uomo?Qual è il significato del dolore, delmale, della morte, che continuanoa sussistere malgrado ogni pro-gresso? Cosa valgono quelle con-quiste pagate a così caro prezzo?Che apporta l’uomo alla società, ecosa può attendersi da essa? Cosaci sarà dopo questa vita?” (GS 10).

Esse fanno irruzione anche neilaboratori degli uomini di scienza,soprattutto di quelli che coltivano isaperi della genetica o della biolo-gia. Le loro scoperte sono di taleimportanza e radicalità che, quasisenza più alcuna mediazione, nel-l’attuale società delle reti impon-gono alle stesse masse di esplicita-re la domanda che con intensa pie-tas il salmista rivolge a Dio: “Checos’è un uomo perché te ne curi?”(Sal 143, 3). Non pochi sono infat-ti gli interrogativi circa l’identità ela natura dell’humanum che, ab-bandonando le aule accademiche,

vengono proposti dalle pagine deiquotidiani e dai talk-show televisi-vi raggiungendo capillarmente ilpopolo.

Per indicare la ragione dell’ine-dita radicalità di questo stato di co-se proprio della post-modernità, ilfilosofo francese Rémi Brague af-ferma che il secolo XXI sarà il se-colo di un’aspra contesa tra l’esse-re e il nulla. Esprime in terminicrudi questa alternativa: “Il proble-ma centrale non è altro che l’esi-stenza dell’uomo sulla terra”15. Ilconnubio scienze-tecnologie (so-prattutto nei campi della biologia edella genetica), accompagnato dal-la precarietà ecologica in cui ab-biamo lasciato precipitare lo statodel pianeta e dal radicalizzarsi diuna situazione di miseria endemi-ca nel Sud del globo in particolarenell’Africa sub-sahariana, fannopercepire a larghissime masse diuomini che alle soglie del XXI se-colo è in gioco una questione di vi-ta e di morte per l’esistenza stessadi ogni specie animata. In sensoletterale e non per modo di dire. Loscontro, a ben vedere, non è tra ci-viltà, e tanto meno tra religioni,non è tra diversi (di razza, popoloo cultura). La linea di demarcazio-ne di un conflitto cosmico passadentro ciascun uomo, ciascun cor-po intermedio, per estendersi allasocietà civile in un tutte le sue di-mensioni locali e mondiali. Ognigiorno in ciascuno di noi irrompecon forza l’interrogativo: Chi miassicura?, chi alla fine assicural’umanità? L’angoscia di heideg-geriana memoria rischia di assu-mere dimensioni universali che neingigantiscono l’aspetto singolare.Soprattutto rischiano di ridurla apura avvisaglia del Nulla strappan-dole quella funzione di apertura al-l’Essere che il filosofo della SelvaNera ancora le assegnava.

Anche questo aspetto del laborio-so travaglio, che caratterizza l’uo-mo postmoderno, domanda il ri-schio della testimonianza cristiana.

La missione salvifico-sacramen-tale della Chiesa, cioè la pastorale,è chiamata a intercettare il fondoantropologico ed etico di questedomande assicurando all’uomoche la mano di Dio è all’originedella storia e continua a invitarloall’esercizio responsabile della sualibertà. Nell’affrontare questo suocompito specifico la Chiesa è aiu-

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tata dal sempre attuale richiamo diSan Paolo: “Esaminate ogni cosa,tenete ciò che è buono” (1Ts 5, 21).Esso continua ad indicare ai cri-stiani la strada da percorrere conumile parresia.

S. Em. Card. ANGELO SCOLAPatriarca di Venezia

Note1 Ringrazio il prof. Carlo Soave, del Dipar-

timento di Biologia dell’Università degli Studidi Milano, per le preziose informazioni e indi-cazioni bibliografiche che ha voluto offrirmi.

2 Cfr. www.soleva.com e www.454.com.

3 VON KUTSCHERA F., Fondamenti dell’eti-ca, Franco Angeli, Milano 1991, 327.

4 Cfr. CAVALLI-SFORZA L., The Human Me-nome Diversità Project: past, present and fu-ture, in «Nature Reviews Genetics» (2005) n.6, 333-340.

5 Analogamente si possono citare la proteo-mica, però a livello delle proteine e non deiprimi prodotti genici, la interattomica a livellodelle interazioni, la metabolomica a livello deivari componenti chimici di una cellula o di unorganismo.

6 Cfr. The International HapMap Project,in “Nature” (2003) n. 426, 789-794.

7 Cfr. KIBERSTIS P. – ROBERTS L., It’s not ju-st the gene, in “Science” (2002) n. 296, 685ss.

8 Cfr. WILSON EO., Sociobiology: the NewSynthesis, Harvard University Press, Cam-bridg 1976; DAWKINS R., The selfish gene,Oxford University Press, Oxford 1975.

9 Cfr. ROBINSON GE., GROZINGER CM.,WHITFIELD CW., Sociogenomics: social life inmolecular terms, in “Nature Reviews Gene-tics” (2005) n. 6, 257-270.

10 Cfr. BUCAN M., ABEL T., The mouse: ge-netics meets behaviour, in “Nature ReviewsGenetics” (2002) n. 3, 114-123; FITZPATRICKMJ., BEN-SHAHAR Y., SMID H., VET LEM.,ROBINSON GE., SOKOLOWSKI MB., Candidate

genes for behavioural ecology, in “TrendsEcol. Evol.” (2005) n. 20, 96-104.

11 Il riferimento è al Princeton Meeting del1946 che vide insieme autori come Huxley,Dobzhansky, Mayr e Simpson.

12 Cfr. DARWIN C., On the origin of species,or the preservation of the favoured races inthe struggle for life, 1985.

13 Cfr. GOULD SJ., LEWONTIN RC., Thespandrels of San Marco and the Panglossianparadigm: a critique of the adaptationist pro-gram, in “Proc. R. Soc. London B. Biol. Sci,”(1979) n. 205, 581-598; PIGLIUCCI M., KA-PLAN J., The fall and rise of Dr. Pangloss:adaptationism and the spandrels paper 20years later, in “Trend Ecol. Evol.” (2000) n.15, 66-70.

14 «L’evoluzione infatti presuppone la crea-zione; la creazione si pone nella luce dell’evo-luzione come un avvenimento che si estendenel tempo – come una “creatio continua” – incui Dio diventa visibile agli occhi del creden-te come Creatore del Cielo e della terra», GIO-VANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alSimposio Internazionale su “Fede cristiana eteoria dell’evoluzione”, 26 aprile 1985.

15 BRAGUE R., D’un transcendental à l’au-tre, IV Forum del Progetto Culturale, Roma 3dicembre 2004.

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1. La seconda metà del Ventesi-mo secolo è senza dubbio un pe-riodo di grandi conquiste scientifi-che e tecnologiche: scienza e tec-nologia hanno consentito di cono-scere la struttura, le funzioni e ledinamiche evolutive degli esseriviventi, aprendo nuove strade permigliorare le condizioni di vitadell’uomo. Scienza e tecnologia:perché la tecnologia deve avvaler-si di un sapere certo, di una “scien-za” dell’operare della natura al fi-ne di imitarla, riprodurla, correg-gerla, fornendo nel contempo glistrumenti per osservare, misurareo riprodurre artificialmente; e lascienza non può fare a meno delsuo braccio operativo, la tecnica.

Splendida testimonianza dellecapacità, della tenacia e dell’intel-ligenza dell’uomo, la scienza e latecnologia possono, però, ritor-cersi contro l’uomo e creare delu-sione e angoscia fino al timore diperdere il controllo sulla realtàcircostante. Sono questi i risultatie i sintomi di un’ipertrofia delsenso di onnipotenza: “L’età mo-derna e quella contemporanea –scrive Bausola – hanno visto dap-prima l’emergere dell’uomo pro-meteico: dell’uomo, cioè, che nonaccetta più di essere fatto, perchénon vuole dipendere, ed esseregrato a nessuno; l’uomo prome-teico vuole dover tutto solo a sestesso. È, come si vede, l’estre-mizzazione dell’homo faber pre-conizzato da Francesco Bacone;è, inoltre, l’uomo che, oggi, me-diante la biologia molecolare el’ingegneria genetica, progetta dimodificare la sua stessa natura”.Questo processo di autoprogetta-zione – continua Bausola – “è oraarrivato a un momento di svolta, edi crisi. Questo ha portato all’or-goglio prometeico, alla vergognaprometeica […] essa è la vergo-gna che si prova di fronte all’umi-

liante altezza di qualità degli og-getti fatti da noi stessi […]”.

Dall’orgoglio alla vergogna pas-sando attraverso il timore delleconseguenze: la genetica è, senzadubbio, l’ambito di ricerca chemette maggiormente in evidenzal’ambivalenza del rapporto del-l’uomo con la scienza e con la tec-nica. Con l’inevitabile consapevo-lezza che, non potendo la solascienza sperimentale né percepirené conoscere gli aspetti qualitatividella realtà e il valore profondodella natura, sia necessaria una ri-flessione etica sulle potenzialitàdell’intervento umano: “…che ingenerale l’etica – scrive Jonas –abbia qualcosa da dire nelle que-stioni della tecnica, oppure che latecnica sia soggetta a considera-zioni etiche, consegue dal sempli-ce fatto che la tecnica è esercizio dipotere umano, vale a dire è unaforma dell’agire, e ogni agire uma-no è esposto a un esame morale”.

Una riflessione etica che trovaproprio nella genetica la spinta adivenire “bioetica”, ovvero – se-condo Pessina – “coscienza criticadella società tecnologica… Il ter-mine coscienza critica indica il li-vello di chiarificazione e di valuta-zione morale dello specifico con-tenuto pratico e teorico introdottodalle tecnoscienze… la bioetica siconfigura come un’attività filoso-fica […]”.

La scoperta della doppia elicadel DNA nel 1953 da parte di Wat-son e Crick e quella degli enzimi direstrizione hanno, infatti, aperto lastrada verso la “manipolazione” to-tale dell’uomo. E già nel 1968 – iltermine “bioetica” appare per laprima volta nel 1970 nelle pubbli-cazioni di Potter – un organismopubblico comincia a occuparsi del-la ricerca genetica: nel corso diun’audizione al Senato degli StatiUniti d’America, il dottor Korn-

berg richiama l’attenzione dei par-lamentari sui rapidi progressi dellabiologia molecolare, sottolineandol’impatto sul piano sociale cheavrebbero di lì a poco determinato.Qualche anno dopo, nel 1971, è lostesso Watson a illustrare ai re-sponsabili politici che le conoscen-ze acquisite sono oramai tali dapermettere una manipolazione ditutti i processi biologici della vita.Si fa riferimento, in modo partico-lare, agli enzimi di restrizione cheavrebbero consentito di portare aconclusione il tentativo di integra-zione nell’Escherichia coli del ge-noma del virus SV40 (responsabiledi tumori nella scimmia ma nonnell’uomo, anche se in quest’ulti-mo era stata evidenziata un’asso-ciazione con tumori cerebrali).Tutto è pronto per eseguire l’espe-rimento, ma all’ultimo momento laconsapevolezza dei rischi divienemolto forte: cosa sarebbe successose l’Escherichia coli, ospite abitua-le dell’intestino umano, così modi-ficato, fosse sfuggito al controllo?E se avesse infettato i ricercatori?Si sarebbero potute scatenare “epi-demie” di cancro?

L’esperimento non viene piùeseguito e la risposta a questepreoccupazioni porta a indire nel1973 la Gordon Conference (Asi-lomar I) nel corso della quale Sin-ger e Soll preparano una lettera(pubblicata su “Science”) con laquale esprimono alla NationalAcademy of Sciences (NAS) e al-l’Institute of Medicine le preoccu-pazioni del Congresso sui rischiper la salute pubblica, chiedendol’emanazione di specifiche lineeguida. La NAS costituisce il primoComitato Etico (presidente: Berg)che elabora alcune raccomanda-zioni fra cui la richiesta ai ricerca-tori di un’autoregolamentazione,sospendendo in modo volontariotutti quegli esperimenti di inge-

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3. Genetica medica e comitati etici negli ospedali

sabato19

novembre

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gneria genetica non controllabiliadeguatamente (per es., diffusionetra i batteri di resistenza agli anti-biotici, produzione di tossine peri-colose, diffusione di oncogeni nel-le popolazioni batteriche, ecc.). LaCommissione Berg raccomanda,inoltre, ai National Institutes ofHealth di costituire un Comitatoetico permanente per elaborare li-nee guida sull’uso del DNA ricom-binante, nonché l’organizzazionedi una Conferenza internazionaleper discutere i rischi connessi. Sitratta della Conferenza di Asilo-mar (Asilomar II) del 1975, duran-te la quale si identificano gli espe-rimenti a rischio sui quali si rendenecessaria una moratoria interna-zionale.

Nel 1978 il Congresso degli Sta-ti Uniti autorizza la creazione dellaPresident’s Commission for thestudy of ethical problems in medi-cine and biomedical and behavio-ral research, che si occupa di esa-minare i problemi emergenti del-l’ingegneria genetica consideran-do anche i punti di vista delle reli-gioni, gli aspetti educativi per ilpubblico, le obbligazioni sociali ele implicazioni medico-legali, eco-nomiche e commerciali. Con il suorapporto Splicing life (1982), laCommissione definisce esageratoil timore nei confronti della inge-gneria genetica, segnalando che lenuove conoscenze vanno incorag-giate perché motivo di arricchi-mento e confronto con nuove egrandi responsabilità.

Negli anni successivi i problemilegati alla ricerca genetica si am-plificano in relazione al progettomondiale di sequenziamento delgenoma umano che consente disvelare tutto il codice genetico conenormi implicazioni etiche e so-ciali, sul piano etico e sociale chetale conoscenza avrebbe portatocon sé. Con la Dichiarazione uni-versale sul genoma umano e i Di-ritti dell’Uomo, l’UNESCO affer-ma, l’11 novembre 1997, che il ge-noma umano è patrimonio simbo-lico dell’umanità, sottendendo l’u-nità fondamentale di tutti i membridella famiglia umana, espressionedel riconoscimento della loro in-trinseca dignità e diversità. Daquesta affermazione preliminarederivano tutte le indicazioni etichesul divieto di discriminazione inbase alle caratteristiche genetiche

individuali, sulla tutela legale dellapersona in caso di ricerca, cura ediagnosi relativa al suo genoma,sul diritto di essere informati o me-no dei risultati e delle sue conse-guenze, sulla riservatezza sui datigenetici identificabili, conservati otrattati a scopo di ricerca o altro,sul divieto di clonazione a scopo diriproduzione degli esseri umani.Anche in merito all’esercizio dellaricerca scientifica la citata Dichia-razione richiama la responsabilitàdei ricercatori nella conduzionedella ricerca, nella presentazione euso dei risultati, come pure la re-sponsabilità di chi ha funzioni de-cisionali in materia di politichescientifiche, sia in ambito pubblicosia privato. Si fa appello, infine, al-la responsabilità degli Stati e allasolidarietà e cooperazione interna-zionali che permettano la libera at-tività di ricerca, l’uso dei risultati afini pacifici, la prevenzione degliabusi, la diffusione internazionaledella conoscenza scientifica sulgenoma anche verso i Paesi in viadi sviluppo.

Da quanto fin qui detto risultaevidente come la ricerca geneticasia divenuta sempre di più argo-mento privilegiato della riflessionebioetica, soprattutto nell’ambitodei Comitati etici istituiti ad hoc edei Comitati etici nazionali e isti-tuzionali come testimoniato – inseguito – dalla molteplicità di in-terventi, di linee guida, di racco-mandazioni.

2. Prima di analizzare alcuni deitemi di riflessione per i Comitatietici, può essere utile una precisa-zione. Le funzioni di un Comitatoetico sono essenzialmente tre: a.

funzione consultiva, che porta ilcomitato etico a esprimere pareriin ordine a specifiche richieste sudeterminati problemi o a emanaredirettive, di valore non vincolantedal punto di vista giuridico ma cer-tamente di forte obbligazionedeontologica e morale; b. funzionedi revisione dei protocolli di speri-mentazione relativi ai diversi cam-pi di ricerca sull’uomo, sull’ani-male o sui microorganismi. In que-sto secondo caso la valutazioneetica segue strettamente la rifles-sione sulle implicazioni scientifi-che che sono presenti in quel parti-colare protocollo; c. funzione for-mativa diretta al personale sanita-rio. Mentre un Comitato etico isti-tuito ad hoc o un Comitato eticonazionale svolge, in modo quasiesclusivo, la funzione consultiva,un Comitato etico istituzionalepuò svolgere la funzione consulti-va, di analisi dei protocolli di spe-rimentazione e di formazione.

A lungo si è discusso se – nel ca-so di Comitati etici istituzionali –le funzioni consultiva e di analisidei protocolli di sperimentazionedevono essere svolte dallo stessoComitato etico o da due Comitatietici, ciascuno preposto a una spe-cifica funzione. Ma a prescindereda questa ancora irrisolta diatriba,sta di fatto che, nel campo dellagenetica, la domanda rivolta ai Co-mitati etici istituzionali può riguar-dare sia la funzione consultiva siala funzione di analisi dei protocol-li. In ambito consultivo la doman-da potrà riguardare gli aspetti eticidella diagnosi e dello screeninggenetico dopo la nascita, o delladiagnosi genetica prenatale con lericadute che questa può avere sulledecisioni della donna o della cop-pia di far continuare o meno la gra-vidanza; in ambito di analisi deiprotocolli di sperimentazione ladomanda riguarda, soprattutto, lalocalizzazione e l’identificazionedei geni, con le ricadute che questopuò avere in ambito diagnostico odi farmacogenetica e la terapia ge-nica.

Entrambe le domande dovreb-bero essere oggetto di riflessionein questa sede: ci soffermeremo adanalizzare solo la domanda relati-va alla ricerca, e in modo partico-lare alla localizzazione e all’identi-ficazione dei geni, dal momentoche – tra l’altro – il sequenziamen-

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to del genoma umano ha apertoampi orizzonti di indagine e vieneavvertita la necessità di convalida-re tali conoscenze sull’uomo attra-verso protocolli di ricerca che ab-biano target preclinici e clinici bendefiniti.

Premesso che il valore ancheetico di una ricerca è sempre con-nesso con il suo valore scientificoe, di conseguenza, il razionale del-la sperimentazione finisce per es-sere anche un presupposto di valu-tazione etica che richiama il valoredella ricerca e richiede una ricercadi un certo valore, nel caso della ri-cerca genetica si pongono questio-ni nuove rispetto ad altri tipi disperimentazione. Ad esempio, laricerca genetica potrebbe condurrealla discriminazione e alla stigma-tizzazione (la cosiddetta “geneti-cizzazione”) di individui e di po-polazioni ed essere usata per pro-muovere un nuovo razzismo; l’ac-cesso alle scoperte potrebbe esserelimitato a causa di interessi di ca-rattere economico; la ricerca gene-tica rischia di ridurre tutti gli esse-ri umani alle loro sequenze diDNA; le analisi genetiche potreb-bero portare a una mancanza di ri-spetto per valori, tradizioni, inte-grità delle popolazioni, famiglie eindividui. Gli interrogativi riguar-dano, poi, l’individuazione deisoggetti della ricerca, la valutazio-ne dei rischi a fronte dei beneficiottenibili, la comunicazione, il riu-tilizzo di dati e di campioni: inter-rogativi, che sembrano far partedel tema generale della sperimen-tazione clinica, ma che in realtà as-sumono caratteristiche diverse.

3. Chi è il soggetto della ricercagenetica? Le famiglie devono es-sere considerate soggetti di ricercao rappresentano solo collegamenticon il soggetto in esame? A che ti-tolo si deve coinvolgere la fami-glia rispetto al soggetto sul qualeviene fatto il test? Il soggetto dellaricerca quando si parla di consen-so, è solo il singolo a cui viene fat-to il prelievo o sono anche gli altriche potrebbero essere interessati airisultati? Fino a che punto si pos-sono usare i dati clinici del sogget-to che partecipa alla ricerca quan-do questi sono relativi anche ad al-tre persone che non sono statemesse al corrente della ricercastessa?

D’altra parte è un dato di fattoche il coinvolgimento del nucleofamiliare e parentale si verificaspesso nella ricerca genetica: diconseguenza, bisogna agire nonsolo rispettando i diritti del sogget-to direttamente interessato, ma an-che quelli di quanti sono coinvoltinella ricerca. Per questo vi è chi hasuggerito la necessità di un allar-gamento dell’informazione ai finidel consenso – accanto all’acquisi-zione del consenso individuale –anche a coloro che non partecipa-no direttamente alla ricerca, mache potrebbero essere identificatiin base ai risultati, appartenendoalla stessa famiglia o allo stessogruppo etnico.

Un caso paradigmatico si è veri-ficato alla Virginia CommonwealthUniversity negli Stati Uniti e vi hapreso posizione l’organismo nazio-nale che controlla la sicurezza deisoggetti che partecipano alle speri-mentazioni (Office for Protectionfrom Research – OPRR). Si tratta-va di uno studio condotto su ge-melli adulti con una indagine voltaa conoscere lo stato di salute deigenitori e di altri familiari. Il padredi una giovane donna gemella chepartecipava alla sperimentazioneha letto casualmente il questionarioinviato per posta dove si chiedevasi indicare patologie da cui eranoaffetti i familiari (come depressio-

ne, anomalie dei genitali, ecc.) e siè preoccupato per la minaccia dellaprivacy che quelle informazionicostituivano. Ha denunciato così ilfatto all’OPRR e alla denunciahanno fatto seguito il richiamo delcomitato etico che aveva approva-to il protocollo di ricerca e la so-spensione dello studio da parte del-la Food and Drug Administration(FDA). La motivazione è stata lamancanza di una richiesta di con-senso anche ai familiari coinvoltinell’indagine genetica.

A commento della vicenda, si èarrivati alla conclusione che i fa-miliari devono essere consideraticome soggetti di ricerca a pieno ti-tolo e deve pertanto essere data lo-ro ogni garanzia, informazione econsenso compresi.

E ancora, sempre in tema di fa-miliari, si pone la questione del lo-ro arruolamento: deve essere con-temporaneo o successivo a quellodel soggetto interessato? Si ritieneche il coinvolgimento debba esse-re più allargato possibile, ma que-sto solleva altre domande. Adesempio: fin dove la privacy medi-ca nei confronti di un soggetto puòessere protetta a fronte di altri fa-miliari che potrebbero fare richie-sta di informazioni personali chelo riguardano? Quanto le pressionidel soggetto interessato potrebberoessere tali da condizionare la par-tecipazione alla ricerca degli altrifamiliari e viceversa?

In alcuni casi si tratta di una que-stione culturale e di una maggiore ominore consapevolezza secondo laquale il progresso scientifico puòessere raggiunto solo a costo di al-cuni sacrifici. Per proteggere la vo-lontarietà della partecipazione oc-corre capire quando la medesimadeve essere sollecitata da un ricer-catore e quando, invece, da altri fa-miliari.

I rischi derivanti dall’allarga-mento dello studio si aggiungono,poi, agli altri rischi della ricercagenetica: rischi non tanto fisiciquanto piuttosto psicosociali edeconomici. Si tratta di rischi accet-tabili? E fino a che punto?

Gli studi genetici potrebbero,infatti, dare informazioni in gradodi provocare ai soggetti ansietà,confusione, difficoltà nelle rela-zioni familiari, conseguenze rile-vanti sui contratti assicurativi e diimpiego. Da ciò la necessità di una

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particolare attenzione da parte deicomitati etici per essere certi che iprotocolli di ricerca non consideri-no il rischio psicosociale e di di-scriminazione economica come undanno minimo.

L’allargamento dei soggetti inte-ressati può portare al coinvolgi-mento – nella ricerca genetica – diminori, quando non sono ovvia-mente essi stessi i pazienti. È così,nella valutazione del rapporto ri-schi/benefici, si dovrà ricompren-dere la vulnerabilità del minore so-prattutto nel caso in cui lo studionon porta un beneficio immediatoper lo stesso. Si fa riferimento alfatto, in alcuni casi, si preferiscafare un indagine sul minore solo alfine di garantire tranquillità al ge-nitore o a un altro adulto che nonvi si vuole sottoporre. In ogni casol’inclusione del minore deve esse-re fatta, oltre in presenza di prova-ti benefici, solo dopo gli adulti:analogamente a quanto avvienenei trial farmacologici, dove siprocede alla fase II e III sui minorisolo dopo che queste due fasi sonostate espletate sugli adulti. Il giudi-zio del ricercatore dovrebbe esse-re, quindi, calibrato sulla tutela delminore e comunque questa deveessere la preoccupazione primariaanche di un comitato etico.

4. A differenza di altri ambitimedici, la genetica ha avuto un’e-spansione notevole in termini diconoscenza ma non di offerta tera-peutica. Talora si tratta di una co-noscenza drammatica, o non di-sponibile o chiara, oppure si pos-sono fare solo ragionamenti in ter-mini probabilistici ai più incom-prensibili e che possono sfociare inansie soggettive e collettive chegenerano anche pressioni difficil-mente controllabili. Questi dativanno comunicati al paziente e sesì quando e come?

Le posizioni non sono univoche:accanto a chi propone di non rive-lare i dati preliminari, vi è chi so-stiene la necessità di comunicarli,perché questo potrebbe consentire,in alcuni casi, un’azione almenopreventiva. Ma anche di fronte auna decisione di comunicazione,bisognerà poi valutare se il sogget-to vuole o non vuole sapere: è,d’altra parte, noto che proprio a se-guito degli studi genetici si è dinuovo aperto il dibattito sul cosid-

detto “diritto a sapere” e “diritto anon sapere”.

Dal punto di vista informativo ecomunicativo, la situazione divie-ne ancora più complessa nel casoin cui si vogliano utilizzare ele-menti raccolti in precedenza: ilsoggetto ha o meno diritto a chie-dere che i dati ricavati dal campio-ne che a suo tempo ha donato ven-gano eliminati dalla ricerca stessa?Se è, infatti, chiaro il diritto di ognisoggetto a ritirarsi da una ricercache comporti un ulteriore coinvol-gimento personale, è meno chiarainvece l’esistenza di un diritto achiedere che i dati già raccolti nonvengano utilizzati. Viene, per que-sta ragione, fatta una distinzionetra le diverse situazioni che si pos-sono configurare:

– se l’uso dei dati è coerente conla ricerca per la quale a suo tempoil soggetto aveva dato il consenso,è evidente che la richiesta di nonfar utilizzare i suoi dati potrebbealterare la ricerca stessa, rendendoinutile la partecipazione degli altrisoggetti e le risorse impiegate fin aquel momento: si può, pertanto, di-re che tale richiesta non è legittima;

– se la ricerca che si intende faresui campioni stoccati è diversa daquella per la quale è stato dato ilconsenso, è necessario che lo spe-rimentatore acquisisca un nuovoconsenso del soggetto e, dunque, èlegittimo che questi possa chiedereche il suo campione non venga uti-lizzato oppure donare il campionedopo che sia stato reso completa-mente anonimo. La nuova ricercaanche con il campione anonimodovrà comunque essere approvatadal comitato etico;

– se prima di iniziare la nuovaricerca sui campioni stoccati non siriesce a rintracciare il soggetto acui appartiene il campione perchiedere il consenso, si può proce-dere con la ricerca dopo aver resoanonimo il campione, a meno chel’anomizzazione stessa non vadacontro un possibile interesse deldonatore (che potrebbe essere suc-cessivamente rintracciato) o un in-teresse pubblico. Anche in tal casoè necessario procedere dopo l’ap-provazione da parte del comitatoetico.

5. I molteplici problemi eticisollevati dalla ricerca genetica sisono tradotti anche in indicazioni

per i comitati etici ospedalieri, chenella valutazione di un protocollodi ricerca genetica non possonoprescindere dal valutare alcuni re-quisiti specifici accanto a quellicomuni con altre sperimentazionicliniche. Alla luce di quanto finqui detto, si possono così riassu-mere questi requisiti:

– che l’informazione sulla natu-ra della ricerca, del rapporto tra ri-schi/benefici e delle alternative,avvenga all’interno di un processodi counselling che deve precederee continuare per la tutta la ricerca;

– che l’informazione sia chiara ecomprensibile e tenga presentenon solo il soggetto, ma anche i fa-miliari eventualmente coinvolti;

– che il consenso sia libero dacoercizioni di natura scientifica,medica o di altra autorità;

– che vengano rispettate le scel-te del soggetto (o dei soggetti) ri-guardo alla conservazione o altriusi del materiale biologico da essoprelevato;

– che venga rispettata la sceltadel soggetto (o dei soggetti) di es-sere informato o meno sui risultatio su eventuali e accidentali sco-perte;

– che si mantenga la piena confi-denzialità sulle informazioni gene-tiche acquisite e che vengano mes-se in atto le indicazioni per la codi-ficazione, il controllo dell’accesso,la pianificazione del trasferimentoe la conservazione di tali campio-ni, come pure le informazioni daessi derivate;

– che vi sia una sorveglianza eun monitoraggio continui.

Tutto questo ha lo scopo di tute-lare i soggetti della ricerca: maun’ulteriore forma di tutela devepassare – e di questo il comitatoetico deve farsi carico nella suafunzione formativa – attraverso laformazione dei ricercatori. Questoperché le linee guida, i codicideontologici, il consenso informa-to, sono solo punti di partenza purse irrinunciabili: la migliore garan-zia di sicurezza per i soggetti dellaricerca è costituita dalla coscienzaetica, opportunamente illuminata,del ricercatore.

Prof.ssa MARIA LUISA DI PIETROProfessore associato di Bioetica,

Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia

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124 IL GENOMA UMANO

Le associazioni di pazienti, i pa-zienti stessi e le loro famiglie sonofra i più entusiasti sostenitori dellaricerca biomedica. È facile intuir-ne le ragioni: scoprire di essereportatore o affetto da una malattiagenetica, il più delle volte moltograve e invalidante, significa tro-varsi ad affrontare un’esperienzadolorosa, vissuta spesso in solitu-dine, e dalla quale non è possibilesottrarsi, almeno allo stato attualedelle conoscenze. La prospettiva èquella di una malattia cronica, diuna disabilità progressiva e, tal-volta, di morte prematura, allequali si assiste impotenti. Poichéle malattie genetiche sono in gene-re rare se prese singolarmente, ipazienti affetti e le loro famigliesono spesso isolati, inconsapevoliil più delle volte che vi siano altrepersone nella stessa condizione edestinati a ricerche estenuanti diluoghi d’assistenza dedicati e spe-cializzati: un medico di base puòsvolgere per un’intera vita la suaprofessione magistralmente senzaincontrare mai una specifica ma-lattia genetica e non essere, quindi,in grado di offrire l’aiuto atteso.

La motivazione iniziale di que-sti pazienti ad associarsi in orga-nizzazioni che li rappresentino,nasce dal bisogno di ridurre l’iso-lamento e trovare supporto socialee assistenziale. La disponibilità diuna cura è comunque l’esigenzapiù urgente e la speranza di soddi-sfarla è riposta nella ricerca. È conquesto obiettivo che le organizza-zioni dei pazienti promuovonoraccolte di denaro destinato a fi-nanziare ricerca. Le Charity che sioccupano di ricerca biomedica so-no diventate negli anni importantiattori sulla scena internazionaledella ricerca scientifica. Rappre-sentano quasi sempre gruppi di in-teresse intorno a malattie e a fami-glie di pazienti.

La loro missione è per lo più ri-cerca finalizzata alla cura, al mi-

glioramento, alla prevenzione del-le malattie di cui si occupano. Ilpeso relativo del loro intervento ri-spetto agli investimenti statali va-ria secondo i Paesi. Negli StatiUniti, per esempio, rappresentanosolo il 2,5% dell’investimento to-tale in ricerca biomedica industria-le e non, mentre in Gran Bretagnail loro contributo ha assuntoun’importanza crescente fino aeguagliare quello governativo1. Sistima che il finanziamento del la-voro che ha dato origine a unapubblicazione scientifica di scien-ziati britannici sia attribuito a unaCharity nel 33% delle pubblica-zioni provenienti da Regno Unitosu stampa specializzata internazio-nale. Anche per questo, le Chari-ties britanniche siedono ormai aitavoli delle grandi strategie e sonointerlocutori privilegiati degli or-gani governativi in materia di ri-cerca.

Poiché il denaro viene raccoltoattraverso campagne rivolte a unpubblico indifferenziato e “laico”rispetto alla ricerca finanziata, lacapacità della società di influenza-re le politiche della ricerca sta di-ventando dominante. Da una ri-cerca esoterica, appannaggio deisoli esperti e decisa in ambiti ri-stretti si è passati a una ricerca in-fluenzata in modo talvolta deter-minante dal gradimento del pub-blico e, quindi, dalla capacità dichi raccoglie fondi di essere con-vincente e credibile.

Per queste ragioni, la responsa-bilità in capo a chi amministraqueste Charity è assai elevata, sianei termini di una corretta e rigo-rosa allocazione dei fondi raccoltisia in quelli dalla rendicontazioneprecisa, documentata e mai sensa-zionalistica dei risultati raggiunti.

Di seguito viene riportata l’e-sperienza di una Charity italiana,la Fondazione Telethon.

Nata per volontà della Unioneitaliana per la Lotta contro la di-

strofia muscolare (UILDM), Te-lethon è una organizzazione senzascopo di lucro che raccoglie fondiper la ricerca contro le malattieneuromuscolari e le altre malattiegenetiche. È conosciuta principal-mente per l’evento televisivo espesso si crede erroneamente cheTelethon sia esclusivamente unamaratona televisiva. La sua mis-sione invece è fare avanzare la ri-cerca scientifica verso la cura del-la distrofia muscolare e delle altremalattie genetiche, dando prioritàa quelle malattie che per la loro ra-rità sono trascurate dai grandi in-vestimenti pubblici e industriali,attraverso il finanziamento di ec-cellenti progetti di ricerca e dei mi-gliori ricercatori in Italia. Dalla na-scita avvenuta alla fine del 1990 aoggi, grazie ai fondi raccolti, sonostati investiti in ricerca 208 milio-ni di euro per 1450 progetti, 2 isti-tuti (Tigem e HSR-Tiget) e 27 po-sizioni di Telethon Scientists, 64borse di studio e 68 servizi alla ri-cerca.

La promozione della ricerca daparte di Telethon è rivolta princi-palmente a università e centri di ri-cerca di stampo accademico.

Un percorso ideale per arrivarea una cura per una malattia geneti-ca implica diverse fasi di ricerca.La ricerca di base passa dal rico-noscimento del difetto – l’identifi-cazione del gene –, allo studio del-la fisiopatologia, del suo meccani-smo d’azione. E per fare questobisogna mettere a punto dei mo-delli di laboratorio che devono ri-produrre la malattia. Questa ricer-ca è ancora molto lontana dall’ap-plicazione sul paziente, ma è difondamentale importanza per lacomprensione della malattia e lamessa a punto di strategie terapeu-tiche. Le terapie potenziali vengo-no testate prima in laboratorio epoi sui pazienti mediante speri-mentazione clinica (Fig.1, scaladella ricerca).

FRANCESCA PASINELLI

4. Genetica e società

Page 124: Atti della XX Conferenza Internazionale

125DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Per una visione d’insieme deiprogetti finanziati ed al fine di ef-fettuare una gestione del portafo-glio che vada nella direzione indi-cata dai pazienti fondatori, i pro-getti finanziati da Telethon sonostati etichettati in modo da poterlicollocare su uno dei gradini dellascala della ricerca (Fig. 2). È inte-ressante notare come negli anni ilfinanziamento si sia spostato pro-gressivamente dai gradini più bas-si verso quelli più tipici della ricer-ca cosiddetta traslazionale, quella,cioè, tesa a mettere a punto appli-cazioni delle terapie sul paziente.Passare “dal banco di laboratorioal letto del paziente” è l’obiettivoperseguito da Telethon e questi da-ti confortano sulla bontà della stra-tegia che, se da un lato non transi-ge sulla qualità della scienza, dal-l’altro privilegia quei progetti chemuovano nella direzione della te-rapia.

Come la maggior parte delleCharity che vivono di raccolta fon-di, anche Telethon opera principal-mente finanziando progetti attra-verso bandi competitivi. Mediantequeste modalità vengono erogatifondi per carriere di giovani scien-ziati che non abbiano una posizio-ne permanente in Italia e che vo-gliano iniziare una propria ricercaindipendente e progetti di ricercadi scienziati che operino già nellestrutture di ricerca pubbliche o pri-vate non profit in Italia. Senza pre-tesa di perfezione, anzi con la co-scienza della possibilità d’errore, ilsistema adottato per la scelta e lavalutazione dei progetti da finan-ziare è l’unico ritenuto attendibilea livello internazionale, quello cheutilizza il peer review. Con questadicitura inglese si intende la revi-sione dei progetti effettuata dascienziati esperti della materia davalutare i quali non abbiano con-

flitti d’interesse rispetto a chi hapresentato il progetto. Un processodi selezione mediante peer reviewè strutturato in modo da non pre-tendere l’assoluta oggettività delgiudizio, ma proprio la minimizza-zione dell’errore.

Mediante un bando competitivoe attraverso una valutazione accu-rata si punta a finanziare ricercaeccellente, che sia in grado di com-petere nell’arena internazionaledella ricerca.

La rendicontazione trasparentesull’impiego dei fondi e i risultaticonseguiti è uno dei punti dellamissione di Telethon: è obbligo diuna fondazione misurare e valuta-re costantemente l’utilità socialedelle attività svolte.

Fermo restando che l’obiettivoprincipale è la messa a punto di te-rapie, la valutazione dei risultati initinere è legata a un insieme di in-dici. I risultati di un lavoro scienti-fico devono essere comunicati me-diante pubblicazione su rivistespecializzate.

Gli indici bibliometrici si basa-no principalmente sul conteggiodelle citazioni degli articoli scien-tifici riportate in altre pubblicazio-ni scientifiche.

La citazione scientifica, ossia ilrichiamo a un risultato pubblicatoin precedenza, rappresenta una mi-sura dell’impatto che quel risultatoha avuto sulla comunità scientifi-ca. In altri termini, tanto più un ar-ticolo viene citato, tanto più è ve-rosimile che quell’articolo abbiaprodotto un effetto nel mondo

Fig. 1 - La scala della ricerca

Fig. 2 - Distribuzione percentuale dei finanziamenti ai progetti di ricerca Telethon sulla scala della ricerca, per trienni mobili tra il 1991 e il 2004. Fonte: Centro Studi Telethon

Studi clinicidiagnostici, osservazionali e palliativi CURA

Studi clinici terapeutici

Approcci terapeutici in vivo

Approcci terapeutici in vitro

Studi sul meccanismo

Identificazione genica

MALATTIA

Page 125: Atti della XX Conferenza Internazionale

126 IL GENOMA UMANO

scientifico, rappresentando la basedi ricerche successive.

Per misurare correttamentel’impatto di un singolo articolo,quindi, occorre utilizzare il cita-tion index (indice di citazione),cioè il numero di citazioni ottenutoda quel lavoro. Il calcolo del cita-tion index deve essere commissio-nato all’Institute for ScientificInformation (Thomson ISI, Phila-delphia).

Usando l’indice di citazione me-dio come indicatore, le pubblica-zioni generate da finanziamenti diTelethon si comportano meglio dipubblicazioni generate nei princi-pali campi della biomedicina inItalia, Europa e globalmente,eguagliando il dato statunitenseche rappresenta lo standard piùelevato. Questo risultato fornisceun’indicazione molto importante,vale a dire: il sistema di valutazio-ne dei progetti da finanziare fun-ziona come atteso nella selezionedi quelli davvero eccellenti e conottime probabilità di successo.

Il principale risultato raggiuntofino a oggi è tuttavia la terapia ge-nica effettuata con successo in 6bambini affetti da una grave im-munodeficienza congenita (ADA-

SCID). Si tratta del primo inter-vento al mondo su questa malattiae insieme del primo protocollo diterapia genica in cui questa tecno-logia molto innovativa sia dimo-strata contemporaneamente effica-ce e sicura. Il protocollo, messo apunto presso l’Istituto Telethon diTerapia genica, a Milano, è statorecentemente indicato dalla Foodand Drug Administration statuni-tense come il protocollo di riferi-mento per tutti quei centri che in-tendano curare questa grave malat-tia genetica.

Recentemente la FondazioneTelethon ha ottenuto dall’EMEA,l’ente regolatorio europeo respon-sabile, fra l’altro, delle registrazio-ni dei farmaci orfani, il riconosci-mento di farmaco orfano per la te-rapia genica dell’ADA-SCID. Ilprocesso per ottenerne la registra-zione è in corso. L’obiettivo èquello di fare uscire la terapia dal-la fase di ricerca e renderla acces-sibile ai pazienti nell’ambito diuna normale, seppur sempre rigo-rosamente specialistica, assistenzamedica.

La disponibilità di percorsi pri-vilegiati per la registrazione di far-maci orfani, così come l’introdu-

zione nei programmi industriali disviluppo di prodotti quali i vettoriper la terapia genica, o ancora larimborsabilità di certi trattamentianche molto costosi da parte deigoverni, costituisce indubbiamen-te un successo delle associazioni dipazienti.

In tutto ciò il coinvolgimentodell’opinione pubblica è stato ed èdeterminante. Anche per questo, ènecessario che le Charity che fi-nanziano ricerca per conto dei pa-zienti operino attraverso una ge-stione rigorosa e un processo dipeer review che consentano il per-seguimento dell’eccellenza scien-tifica: il pubblico, che fa offertegenerose, e i pazienti devono esse-re rassicurati dalla consapevolezzadi un monitoraggio accurato delleattività e dal loro continuo orienta-mento verso gli obiettivi strategici.

Dott.ssa FRANCESCA PASINELLIDirettore scientifico Fondazione Telethon

Milano, Italia

Nota1 USA: MOSES ET AL., JAMA, 294: 11

(2005); UK: AMRC website (www.amrc.org.uk)

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127DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

Vorrei prima di tutto salutarvi anome dell’Ordine di San Giovannidi Dio e a mio nome per aver vo-luto la nostra partecipazione aquesta XX Conferenza Internazio-nale, che a nostro parere affrontauna delle sfide più complesse ebelle che pone attualmente la so-cietà. Allo stesso tempo credo siagiusto congratularsi con la SantaSede per il coraggio di impegnarsiin un tema di avanguardia tecnolo-gica, per offrire uno spazio apertodi dibattito multidisciplinare e so-prattutto per coinvolgersi, rappre-sentare e dirigere il dibattito etico-morale di un tema che genera di-scussioni in alcuni fori.

Nei giorni passati abbiamoascoltato scienziati che dai loroambiti ci hanno illustrato la com-plessità del sistema genetico e del-le sue manifestazioni patologiche;teologi, etici e uomini di Chiesa edi altre religioni che ci hanno illu-minato sulle implicazioni morali,etiche e pastorali della conoscenzae dell’uso dell’informazione con-tenuta nei geni; vorrei esporre gliaspetti comunemente dimenticatidalla comunità scientifica; quellidella ripercussione reale delle co-noscenze sulla popolazione reale,o quelli che in termini di salutepubblica chiameremo “il passag-gio dalla efficacia alla effettività”.In questa società nella quale è qua-si impossibile tenersi informati acausa della estrema velocità degliavvenimenti, è bene poi ricordareche l’introduzione di questa nuovatecnologia nella pratica assisten-ziale abituale ha delle conseguen-ze, buone e cattive, oltre a ciò cheè rigorosamente clinico o scienti-fico, e ciò che è sanitario.

Le trasformazioni che la geneti-ca indurrà nei campi legale, socia-le ed educativo verranno dalle ri-percussioni economiche che loschiudersi di questa nuova indu-stria può generare. Quando parlia-mo delle ripercussioni economi-

che, dobbiamo tener presente qua-li saranno gli impatti positivi e ne-gativi, ma senza dimenticare qualisono le politiche che in base a que-ste previsioni dovremmo proporreperché l’impatto negativo sia mi-nimo e il positivo massimo. Ten-terò poi di accennare questi duegrandi temi: le fonti dei costi e in-dicare politiche possibili nell’am-bito economico.

L’introduzione di qualsiasi nuo-va tecnologia nella sfera economi-ca genera abitualmente sentimentiopposti: da una parte vi sono gliimprenditori che vedono le possi-bilità di affari e di mercato e dal-l’altra vi è l’amministrazione cheinizialmente vede solo il sovrac-costo che questo genera.

La mia prima impressione èche, se il mercato biotecnologico –tra ciò che la genetica e l’ingegne-ria genetica sottolineano – si orga-nizza adeguatamente, il bilanciotra i costi e i guadagni deve esserepositivo non solo economicamen-te, ma anche socialmente. E credoche le principali fonti di costo ver-ranno determinate dall’incremen-to del costo del processo della dia-gnosi, dall’aumento nella preva-lenza della malattia e finalmenteanche dall’incremento del costodel trattamento.

L’incremento nel costo delladiagnosi sembra un fenomenochiaro e lineare, perché si va adaggiungere una tecnica diagnosti-ca all’arsenale attualmente presen-te. Sarebbe ragionevole pensareche queste tecnica diagnostica vaa sostituire quelle già esistenti per-ché è più sensibile, cioè perchépermette un maggior grado di cer-tezza nella presenza o assenza del-la malattia in funzione del risulta-to del test.

Tuttavia, né la logica sanitariané probabilmente gli studi di effi-cienza ci daranno ragione. Da unpunto di vista esclusivamente eco-nomico, e poiché il costo delle tec-

niche genetiche si mantiene tantoalto, sarebbe ottimo adottare stra-tegie che incrementino il processodi diagnosi, utilizzando inizial-mente quelle tecniche che senzaessere quelle più evidenti (ciò checolloquialmente potremmo chia-mare più affidabili) sono peròquelle più efficienti (maggior ren-dimento a un minore costo). Pen-siamo a un paziente affetto da unalesione al colon: l’uso della tomo-grafia computerizzata non ha so-stituito l’uso sistematico della ra-diologia semplice, allo stesso mo-do che se esistesse una sonda ge-netica neppure questa sostituireb-be la tomografia.

Ugualmente, supponendo che laprova genetica ci potrebbe garan-tire la presenza (assenza) di unamalattia non annulla la necessitàdi quelle altre prove che permetto-no di analizzare la morfologia,estensione o gravità della malattia.Continuando con l’esempio delcancro al colon, la presenza di ma-teriale genetico, identificabile co-me proveniente da cellule cance-rogene non eliminerà la necessitàdi uno studio morfologico angio-grafico…

La seconda fonte dei costi èl’aumento della prevalenza. L’in-troduzione di tecnologie più sensi-bili per la diagnosi di alcune pato-logie ha sempre elevato la tassa diprevalenza della condizione a stu-dio e questo sembra anche un ef-fetto logico: siccome il test è piùsensibile si può far la diagnosi apiù persone senza sintomi o consintomi poco chiari. Sembra poianche logico pensare che l’aumen-to della tassa di prevalenza non siagratuito, perché questo nuovocontingente di popolazione richie-de assistenza sanitaria, sotto formadi visite mediche, controlli dia-gnostici, cure… L’osservazionesemplice di questi fatti ci puòconfondere per ciò che si riferisceall’aumento delle spese a lungo

XAVIER POMES

5. Economia e genetica

Page 127: Atti della XX Conferenza Internazionale

128 IL GENOMA UMANO

termine: se disponiamo di un testche permette alle tecniche conven-zionali di andare avanti nella dia-gnosi, significa anche che potre-mo intervenire prima nella pre-venzione, anche quando l’individonon presenta sintomi o questi sonoincipienti.

E in terzo luogo, supponiamoche l’introduzione dei test geneticinella pratica assistenziale vada arincarare il costo del trattamento.Nello stesso modo che con i meto-di diagnostici, potremo parlare delrincaro del “prodotto” per l’au-mento della complessità dellostesso. Sembra anche logico. Tut-tavia dovremo considerare il trat-tamento come qualcosa che va ol-tre l’azione medica più o menocircoscritta nel tempo. Se conside-riamo la malattia in tutta la suaestensione, dalla sua comparsa fi-no alla sua guarigione o alla mortedell’individuo, vedremo che ciòche tradizionalmente consideria-mo l’azione medica non accumulase non una piccola frazione del co-sto totale della malattia (cost of il-lness), alla quale dobbiamo som-mare il costo della riabilitazione, ilcosto del ritiro dal lavoro, il costomorale (se è vero che questo èquantificabile in modo indubbio),il costo per la famiglia e la societànel suo insieme, il costo dell’ina-bilità… Se contempliamo la ma-lattia come un processo a largoraggio e non come un avvenimen-to isolato, sarà più facile capireche il costo di un procedimento inun determinato momento è insi-gnificante con le risorse che ri-sparmia, impedendo che appaianofuture complicazioni.

Mi si permetta di illustrare uncaso molto rilevante: la farmaco-genetica. Sappiamo che il metabo-lismo (la farmacocinetica) di alcu-ni farmaci non è uguale in tutti gliindividui e questo in parte è dovu-to alla composizione del citocro-mo P450 epatico che è determina-to geneticamente. Questa variabi-lità nella farmacocinetica dà luogoa importanti variabilità di dosi-ri-sposta e parallelamente pone a ri-schio la salute di molti pazienti,che essendo “metabolizzatori len-ti”, ricevono dosi standard del me-dicinale pur essendo trattati condosi potenzialmente tossiche perloro. Quindi, la conoscenza dellagenomica ci permette di adattare

la dose all’individuo facendo sìche il trattamento sia più efficien-te, più sicuro riducendo di conse-guenza la probabilità di complica-zioni future per le cure erronee.

Pertanto, credo che il messaggioche si dovrebbe trasmettere, inquanto all’aumento dei costi per lacomparsa della tecnologia è chia-ro: se è certo che inizialmente i co-sti possono aumentare, però a me-dio e lungo raggio credo che l’in-gegneria genetica ci apra un im-portante gamma di possibilità,sempre e quando sappiamo utiliz-zarle in modo razionale ed effi-ciente. Il problema come sempre,non è se costa di più, ma quanto dipiù otterrò pagando un poco dipiù. Nel caso delle tecniche gene-

tiche il sovraccosto è conosciuto ostimabile e ciò che dobbiamo sta-bilire chiaramente è l’efficacia diquesti test, la loro capacità di mo-dificare sensibilmente il corso del-la malattia. Sapere che uno è pre-disposto a soffrire di un male ap-porta solo angoscia se non possia-mo fare nulla per modificare il suocorso.

Non dobbiamo tuttavia restarce-ne solo con questo messaggio re-lativamente ottimista, giacchél’efficienza delle tecnologie nonva a risolvere un altro problema,forse il problema principale, quel-lo dell’accesso a queste prove edella generalizzazione dell’usodelle stesse. Dal nostro punto divista il maggior rischio che pro-spetta la genetica a livello econo-mico e (pertanto sociale) è quellodella non equità di accesso, cioèche come in molte altre occasioni imeno abbienti non hanno accessoa queste tecnoclogie, o detto piùrudemente che i più bisognosicontinuano a non poter beneficiaredelle potenzialità di questa indu-stria.

E non possiamo dimenticare

che, fino al momento attuale, unaparte non disprezzabile della ricer-ca che ha permesso di svilupparequesta industria è stata finanziatacon capitale privato e mentalità dicommercio perché si sono cercatie conseguiti brevetti per i diversiprodotti derivati dalla ricerca.L’assurdo sembra maggiore se te-niamo in conto che si sono brevet-tate sequenze di ADN senza signi-ficato apparente o geni senza unafunzione conosciuta, caso mai ungiorno si conoscesse la funzionedegli stessi.

Il brevetto, ideato come un me-todo per garantire il ritorno del-l’investimento dell’imprenditore ecome metodo per stimolare la ri-cerca e lo sviluppo dei nuovi pro-dotti, va associato in questo casoad alcuni prezzi abusivi, monopo-listici. Continuando una logicaimprenditoriale, questi prezzi si si-tuano oltre il prezzo ottimo, cheinoltre si sarebbe stabilito pren-dendo il riferimento del livello direddito dei Paesi sviluppati, percui immediatamente si escludonola maggioranza delle popolazionidi tutti i Paesi di reddito medio obasso.

La risposta dal punto di vista diregolamentazione del mercato nonè semplice. In primo luogo sem-brerebbe sensato non concederediritti di proprietà (brevetti) aquelle sequenze genetiche che nonhanno una funzione conosciuta. Ilrischio, oltre ad andare controogni istinto morale, sarebbe di ca-dere in ciò che alcuni, parafrasan-do Garret Hardin1, hanno denomi-nato “la tragedia degli anticomu-ni”, nella quale la proliferazionedei diritti di proprietà sulle parti dàluogo a potenti disincentivi perl’uso degli stessi nell’insieme.Cioè, se per sviluppare una tecno-logia devo addebitare il sovraco-sto di infinità di piccoli brevetti, èprobabile che non cerchi mai disviluppare questa tecnologia.

Un secondo punto per ridurrel’impatto dei brevetti sarebbe dicoinvolgere le amministrazioninei progetti di ricerca. L’esempiopiù chiaro di questo è stata l’unio-ne degli sforzi tra l’industria pri-vata e le amministrazioni europeee nordamericane nel Progetto delgenoma umano. Nello stesso mo-do in cui allora si ridussero i costicoinvolgendo ricercatori pubblici

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129DOLENTIUM HOMINUM N. 61-2006

e privati, si dovrebbe facilitare lacapacità dei centri di ricerca pub-blici (essenzialmente i centri uni-versitari) per creare unioni conl’industria privata, in modo che irisultati della ricerca si potesserocommercializzare non a un prezzomonopolistico ma a un prezzo dimercato.

Altre alternative di lotta controil monopolio dei brevetti passe-rebbero perché le amministrazio-ni, in modo unito, comprerebberoi diritti dei brevetti per poter utiliz-zare il prodotto, o almeno partedel beneficio supposto per l’inve-stitore privato perché si commer-cializzi a un prezzo più vicino al-l’ottimale. Risposte come quelladi qualche governo, che autoriz-zando il suo ministro della Sanitàa obbligare le compagnie a vende-re i loro diritti “a prezzi ragione-voli” sembrano poco sensate dalpunto di vista imprenditoriale enell’ambito di una necessaria inte-sa mutua e di collaborazione.

Contro il monopolio, le ammi-nistrazioni devono deregolare ilmercato per facilitare quei piccoliinvestitori a entrare nel mercato econtestare il monopolio od offrirebenefici fiscali a quelle industriedi piccole dimensioni che investo-no nel campo biotecnologico. Of-frire ugualmente benefici fiscali acoloro che investono nella ricercao che non adottano posizioni mo-nopolistiche. Si dovrebbero facili-tare anche le fusioni e acquisizionidi compagnie di piccole dimensio-ni fino a raggiungere un volumesufficiente per essere produttive efinanziare i costi della ricerca e losviluppo di materiale biotecnolo-gico. Ugualmente si può ridurre laburocrazia che rincara il procedi-mento di autorizzazione degli svi-luppi dell’industria o facilitarel’accesso di questi prodotti sulmercato, riducendo i costi perl’imprenditore.

Dal punto di vista amministrati-vo esistono, come vedremo, misu-re da adottare per evitare l’iniquitàdovuta al costo del prodotto, perònon possiamo evitare che il primotimore che ha generato l’informa-zione genetica è l’iniquità oriz-zontale, nella quale gli individuitemono di essere stigmatizzati peressere portatori di una malattia po-tenziale.

I regolatori, nello stesso modo

in cui devono evitare prezzi oltre illoro costo devono impedire il cat-tivo uso dell’informazione conte-nuta in ciascuna delle nostre cellu-le. Esiste un rischio reale dell’usoinadeguato del materiale genetico,specialmente in quei Paesi neiquali il sistema sanitario pubblicoè debole o sostenuto da un potentesettore assicuratore. Il caso degliStati Uniti è molto rivelatore: indue occasioni, il Congresso ha svi-luppato una legislazione che proi-bisce la discriminazione in funzio-ne dei risultati dei test genetici,però queste leggi, forse per la con-sistente trama di interessi non han-no superato le votazioni al Senato.In Europa la tendenza è stata di-versa, essendo le imprese assicu-rative quelle che hanno adottato,con diversi criteri, codici interniper evitare l’uso di questa infor-mazione.

L’equità reale è forse la batta-glia più importante, che sta per ri-solversi. Se non otteniamo chel’accesso ai test genetici sia gene-ralizzato e non ristretto, corriamoil rischio di creare di nuovo unatecnologia per l’élite, un nuovomeccanismo per cui questa si au-toperpetui nella sua posizione, inpiù, tenendo in conto che attual-mente disponiamo solo di tecnolo-gia genetica che ci indica i rischi eci permette di pronosticare che ladisponibilità a pagare delle classimeno abbienti sia minima o nulla.

Prima di tutto, la Chiesa nonpuò né deve rimanere ai margini diquesto processo. Benché sia certoche il suo potere legislatore è limi-tato, questo non la esime dalle sueresponsabilità e molto meno dallasua missione di forgiare individuimoralmente capaci e liberi! LaChiesa deve servirsi della sua im-mensa forza morale e della mobi-litazione per chiedere una ricercaetica, cioè che non serva per di-scriminare ma per integrare o pre-venire. Ugualmente deve promuo-vere il dibattito e avvicinare lanuova tecnologia a tutti, perché inmodo uniforme si reclamino il suouso e la sua generalizzazione, es-sendo il portavoce degli emargina-ti e il flagello degli abusivi.

Non può la Chiesa neppure nonincludere in questo processo leuniversità cattoliche, nelle quali sideve dare la priorità alla ricercadelle tecniche genetiche che suc-

cessivamente abbiano un maggio-re impatto a livello popolare, cioèche risultino più efficienti da unpunto di vista sociale benché indi-vidualmente ottengano solo bene-fici minimi.

Finalmente, a nostro parere laChiesa deve anche prendere parti-to denunciando le iniquità che lenuove tecnologie fanno affiorare emediare per sviluppare soluzioniconcordate – tra l’industria e l’am-ministrazione – perché siano piùfavorevoli per i meno fortunati so-cialmente. Nei Paesi a reddito me-dio o basso, la Chiesa deve farsipromotrice del discorso dell’e-quità perché i governi destininoparte delle loro scarse risorse inquei programmi di prevenzionegeneticamente determinati che sidimostrano efficienti e collaborarecon le amministrazioni per imple-mentare politiche agricole e/o ve-terinarie che tengano in considera-zione i progressi della genetica.

Poco dopo aver fatto conoscerela struttura del doppio elicoide dicui abbiamo terminato la celebra-zione del cinquantesimo anniver-sario, Watson e Crick dicevano:“Non ci sfugge il fatto che lo spe-cifico doppio che abbiamo postu-lato suggerisce immediatamenteun possibile meccanismo di copiadel materiale genetico”2. Ora chesappiamo che il suo uso generaliz-zato ed efficiente non può che por-tare benefici per tutti, potremmodire che “non si sfugge, che lo svi-luppo della genetica suggerisce lapossibilità di una nuova fratturatra ricchi e poveri”. Che questo ac-cada dipenderà in parte dalle no-stra volontà, dalle nostre possibi-lità e dalle nostre azioni future.

Dr. XAVIER POMÉSDirettore della Pianificazione

Assistenza e Cooperazione internazionaleOrdine S. Giovanni di Dio,

Provincia di Aragón,Spagna

Note1 HARDIN G., The Tragedy of Commons, in

Science (1968): 162; 1243-1248.2 “It has not escaped our notice that the spe-

cific pairing we have postulated immediatelysuggests a possibile copying mechanism forthe genetic material”.

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130 IL GENOMA UMANO

Come Chiesa nel mondo

Come Chiesa nel mondo, l’a-gente della Pastorale esiste perevangelizzare; gli agenti della Pa-storale della Salute, particolarmen-te, sono chiamati ad attuare l’azio-ne umanitaria e liberatrice del Re-gno di Dio lì dove l’essere umanosi rivela più vulnerabile nella suadialettica di salute-malattia, nellasua esperienza di dolore e nei suoiprocessi vitali della nascita dell’in-vecchiamento e della morte. Sonogli avvenimenti forti dell’esistenzaumana in cui le persone sono soli-te esporre le questioni ultime intor-no alla vita stessa, e che colpisco-no e interpellano tutti.

Garanzia evangelizzatrice

Nel suo impegno pastorale,conforme ai tempi in cui viviamo econ le questioni nuove che dobbia-mo affrontare, il Papa GiovanniPaolo II richiedeva per gli agentidella Pastorale un processo di for-mazione continuo che li aiutasse aessere garanti di una evangelizza-zione umanitaria e liberatrice inquesto mondo della salute e dellemalattie.

Nel campo sanitario

La Chiesa, mediante la sua azio-ne assistenziale e pastorale, conti-nua a proclamare anche oggi, ilVangelo della vita; nell’ambitoconcreto della sanità, la Chiesa“sente la necessità di approfondirein tutto ciò che è possibile la cono-scenza al servizio della vita perchélì dove la tecnica non sia capace didare risposte esaustive, può mani-festarsi la legge della carità”1. Tut-tavia, questo esige che tutte le per-sone impegnate in qualche modo

con la Pastorale nel mondo sanita-rio siano esse professionisti sanita-ri, o assistenti dei malati o ricerca-tori o scienziati della vita “devonoformarsi adeguatamente nel cam-po della morale e nella bioetica,perché sia manifesto che la scienzae la tecnica, poste al servizio dellapersona umana e dei suoi dirittifondamentali, contribuiscano albene integrale dell’essere umano ealla realizzazione del progetto di-vino della salvezza”2.

Sulle questioni vitali

In tal senso, gli agenti della Pa-storale che si sentono chiamati asvolgere l’azione evangelizzatricenel mondo sono disposti a impe-gnarsi in questo compito con tuttala loro buona volontà e con tutta laloro fede; sebbene, siano coscientiche, oggigiorno, la loro “buona vo-lontà” non sia sufficiente, benchéquesta sia illuminata dalla fede.Sentono la necessità di una forma-zione ogni volta più completa especifica riguardo alle questionivitali che influenzano le persone ingenerale, e insieme alle quali de-vono esercitare la loro missione.Urge poi il dovere di rispondere auna necessità formativa la cui fina-lità sia, non solo far accrescere econdividere la fede, ma ottenereanche che la nostra azione pastora-le vicino a queste persone risultipienamente efficace.

La questione genetica, ambito di riferimento

Riguardo al campo della geneti-ca, che ora ci interessa, siamo co-scienti che la sequenza del genomaumano in particolare, ha suscitatograndi aspettative sociali. Le gran-di questioni della manipolazione

genetica negli aspetti della guari-gione e della prevenzione dellemalattie, della ricerca riguardo al-l’eugenetica in tutte le sue possibi-lità, quella dell’inizio della vitaumana e della riproduzione assisti-ta e quella di stabilire il valore del-la esistenza umana in virtù dellecaratteristiche genetiche, tra le al-tre, hanno superato la capacità de-gli agenti della Pastorale al mo-mento di sviluppare l’evangelizza-zione nell’ambiente sanitario.Questi sono soliti incontrarsisprovvisti di risposte e di capacitàdi dialogo per mancanza di cono-scenza in questo campo della ge-netica; e così si sentono incapaci dioffrire un aiuto su queste questionicome credenti. E sono queste que-stioni, e altre che sono in relazionecon esse, quelle che costituisconoprecisamente l’ambito di riferi-mento, in cui gli agenti della pasto-rale devono svolgere in massimaparte l’azione evangelizzatrice. Daqui la formazione si ritiene urgenteper la necessità di situarci più ade-guatamente in questo contesto co-noscendolo meglio, chiarendo lanostra identità e missione; e cosìpoter dare un aiuto con una coe-renza pastorale.

Bontà del progresso scientifico sul genoma umano

Giovanni Paolo II ci anticipòdurante il suo pontificato che “al-cuni progressi scientifici, comequelli posti in relazione con il ge-noma umano, onorano la ragionedell’uomo, chiamato a essere si-gnore della creazione, e onorano ilCreatore, fonte di tutta la vita…Sebbene questo intervento sul ge-noma si deve realizzare con un ri-spetto assoluto del carattere speci-fico della specie umana, della vo-cazione trascendentale di tutto

FRANCISCO DE LLANOS PEÑA

6. Formazione e aggiornamento dell’agentedella Pastorale nel campo della genetica

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l’essere umano e della sua dignitàincomparabile. Il genoma costitui-sce l’identità biologica di ciascunapersona.

Ancor di più, esprime una partedella condizione umana della per-sona, che Dio amò per se stessagrazie alla missione affidata aisuoi genitori3.

In linea con ciò che ha dettoGiovanni Paolo II, il Prof. AngeloSerra commentava anni fa, peresempio, sull’ingegneria geneticache “l’ingegneria genetica è unadimostrazione evidente delle ca-pacità dell’intelligenza di cui Dioha voluto far partecipe l’uomo. LaChiesa cattolica – dichiarava –mai ha demonizzato la ricerca chemira a scoprire e a impiegare i ge-ni (ossia informazioni codificateche governano tutto lo sviluppo eil funzionamento dell’organismo)per fini buoni come superare lemalattie. Il sì all’ingegneria gene-tica ha tuttavia una condizioneprecisa: la scienza e la tecnologia,una volta scoperti i segreti dellanatura, devono usarli per il benedell’uomo. Il pensiero cattoliconon sottovaluta i vantaggi e i ri-schi che l’ingegneria geneticacomporta”4.

Una cultura della salute piùumana mediante la formazione nella genetica

La fedeltà del Vangelo della sa-lute da parte degli agenti della Pa-storale include la promozione diuna cultura della salute più uma-na. Una cultura che rispetti e rico-nosca effettivamente la dignità e idiritti di tutte le persone, che illu-mini positivamente argomenti tan-to importanti come la difesa, la cu-ra e la qualità della vita umana,soprattutto quando la nuova tecno-logia sta incrementando i conflittimorali intorno all’origine, al fine ealle tappe intermedie della stessa.

Conseguentemente, è necessarioche gli agenti della Pastorale rice-vano una formazione nel campodella genetica e abbiano un’ag-giornamento sulle questioni piu’basilari che influenzano il nostrocomportamento riguardo all’inizioe allo sviluppo della vita umana,riguardo alla manipolazione gene-tica e alla ricerca nella terapia ge-netica.

Descrizioni formative basilari

1. L’“aggiornamento” degli agen-ti della Pastorale nel campo dellagenetica si deve iniziare intorno alconcetto stesso di genoma. Sapereche ci stiamo riferendo all’insiemedi geni che specificano tutti i carat-teri potenzialmente esprimibili diun organismo sia esterni (xenofeno-tipo) o interni (endofenotipo). Nelcaso della specie umana (organismoeucariote) vi è una frazione di DNAche non codifica per nessun gene e,per questo, il suo significato è sco-nosciuto in molti casi.

Sapere che il messaggio geneti-co contenuto nel DNA consistenella sequenza delle sue quattrobasi azotate (adenina, citosina,guanina e timina) in modo che talesequenza determinerà attraverso iprocessi di trascrizione e traduzio-ne, la sequenza di aminoacidi (20)e, pertanto la specificità funzionaledella proteina che codifica e daràluogo a ciascuno degli individuigeneticamente irripetibili5.

E insieme alla conoscenza ele-mentare che si può acquisire suquesta parte della Genetica, cono-sciuta oggi come Genomica pertrattare la dissezione molecolaredel genoma degli organismi, la for-mazione si dovrà accentrare sulgenoma umano in quanto tale; nontanto per conoscere la sua sequen-zialità quanto per tener presente leconseguenze – quelle buone – chesi possono originare per l’umanità;poi i risultati del Progetto genomaumano stanno aprendo le porte al-la medicina genomica e alla farma-cogenomica, allo sviluppo dellagenetica clinica e della consulenzagenetica.

L’importanza della formazionein questo campo della genetica ri-siede nella ripercussione dei suoirisultati sia nella diagnosi, progno-si e terapia clinica, sia nella rela-zione medico-paziente, ambitoproprio dell’azione pastorale.

2. Uno speciale interesse ha su-scitato nel campo della genetica laDichiarazione Universale dell’U-NESCO sul genoma umano e i Di-ritti Umani del 1997, e il cui gran-de catalizzatore fu l’allora diretto-re, Prof. Federico Mayor Zarago-za. Questa Dichiarazione deve es-sere conosciuta anche dagli agentidella pastorale che svolgono l’a-zione evangelizzatrice soprattuttoper i problemi intorno all’iniziodella vita e alla manipolazione ge-netica; poi nel menzionato docu-mento si affrontano le questioni inrelazione alla dignità umana e algenoma umano, le condizioni nel-l’esercizio dell’attività scientifica,la solidarietà e la cooperazione in-ternazionale, il fomento dei princi-pi che sostengono la Dichiarazio-ne stessa e la sua applicazione. So-no questioni che benché redatte intermini generali, implicano unapresa di coscienza universale dellanecessità di una riflessione eticasulla scienza e la tecnologia. Sitratta di una “presa di coscienza”universale che dobbiamo condivi-dere con gli agenti della Pastoraledella Salute chiamati a essere“Chiesa nel mondo”. Il merito del-la Dichiarazione, da una parte,nelle parole del Prof. Mayor Zara-goza, risiede “nell’equilibrio chestabilisce tra la garanzia del rispet-to dei diritti e libertà fondamentalie la necessità di garantire la libertà

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della ricerca”; e dall’altra parte laDichiarazione ci provoca alla ri-flessione, alla discussione e ap-profondimento dei problemi uma-ni nel campo della genetica.

Oltre a questo importante docu-mento dell’UNESCO, la forma-zione dell’agente della pastorale sideve implementare con i docu-menti emanati del Comitato Con-sultivo di ricerche sanitarie sullaGenomica e Salute Mondiale dellaOMS così come con l’ultimo rap-porto della Segreteria dell’OMS(21 Aprile 2005) riferito al “Con-trollo delle malattie genetiche”.

3. Argomento ineludibile nellaformazione degli agenti della Pa-storale della Salute è conoscere ediffondere con fedeltà e precisioneil pensiero della Chiesa riguardo aifatti che stanno accadendo e pos-sono accadere nel campo della ge-netica. In tal senso, è molto illumi-nante il Discorso del Santo PadreGiovanni Paolo II all’AssembleaPlenaria della Accademia Pontifi-cia per la Vita nel febbraio del1998. In tale occasione S.S. Gio-vanni Paolo II diceva: “Sento ildovere di esprimere qui la miapreoccupazione per la creazione diun clima culturale che favoriscal’orientamento della diagnosi pre-natale in una direzione che non èquella della terapia, per una mi-gliore accoglienza della vita delbambino nascituro, ma piuttostoquella della discriminazione di co-loro che non risultano sani nell’e-same prenatale. Al momento attua-le esiste una grande sproporzionetra le possibilità di diagnosi, chesono in fase di espansione progres-siva e le scarse possibilità terapeu-tiche: questo fatto prospetta graviproblemi etici alle famiglie che ne-cessitano di essere sostenute nel-l’accoglienza della vita nascente,perfino quando questa è danneg-giata da qualche difetto o malfor-mazione”. E con più precisione an-cora aggiungeva: “È obbligatoriodenunciare la comparsa e la diffu-sione di una nuova eugenetica se-lettiva, che sopprime embrioni efeti colpiti da qualche malattia. Perquesta selezione a volte si ricorre ateorie infondate sulla differenzaantropologica ed etica dei diversigradi di sviluppo della vita prena-tale: la cosiddetta ‘gradualità dellaumanizzazione del feto’. Altre vol-

te si ricorre a una concezione sba-gliata della qualità della vita, checome si dice, dovrebbe prevaleresul suo carattere sacro. A questoproposito, è categorico esigere cheil soggetto dei diritti proclamatidalle convenzioni e dichiarazioniinternazionali sulla tutela del ge-noma umano, e in generale, sul di-ritto della vita, sia tutto l’essereumano dal momento della fecon-dazione senza discriminazioni, esia che tali discriminazioni sianomesse in relazione con imperfezio-ni genetiche o con difetti fisici, siache si riferiscano ai diversi periodidello sviluppo dell’essere umano”.

Così, è di capitale importanzaconoscere i lavori elaborati dallastessa IV Assemblea plenaria dellaPontificia Accademia per la Vita e,particolarmente il contenuto delsuo Comunicato finale che possia-mo considerare come criterioorientatore per quanto riguardal’attività degli agenti della Pastora-le nel campo della genetica.

E in questo medesimo contestodei contributi della Chiesa per laformazione degli agenti della Pa-storale dobbiamo includere le Os-servazioni della S.C. (Parigi, 11novembre 1997) sulla “Dichiara-zione Universale sul genoma uma-no e i Diritti Umani”, dove si sot-tolineano questioni come quelledel Consenso informato, l’utilizza-zione dei risultati di un esame ge-netico, l’obiezione di coscienzadei ricercatori e degli agenti sani-tari, il rifiuto della clonazione e lenon referenze all’embrione né alfeto in tale Dichiarazione.

4. Insieme ai descrittori obiettiviche possiamo aggiungere alla for-mazione in genetica è importanteche gli agenti della Pastorale assu-mano un atteggiamento esigibile:quello della riconoscenza dellabontà che comporta il progressoscientifico riferito al genoma uma-no. Sebbene, in ciò che concernegli interventi nella sequenzialitàdel genoma, gli agenti della Pasto-rale devono tenere molto presenteche tali interventi si devono realiz-zare con un rispetto assoluto al ca-rattere specifico della specie uma-na, della vocazione trascendentaledi tutto l’essere umano e della suaincomparabile dignità.

Per gli agenti della Pastorale de-ve essere incontestabile, inoltre,

che il fatto di conoscere la mappagenetica non ci permette di ridurrela persona al suo patrimonio gene-tico e alle possibili alterazioni de-scritte in esso. L’essere umano co-me tale oltrepassa l’insieme dellesue caratteristiche biologiche; poi,vi è un’unità fondamentale, in cuil’aspetto biologico non si può se-parare dalla dimensione spirituale,familiare e sociale, senza correre ilrischio grave di sopprimere ciò checostituisce la natura stessa dellapersona e convertirla a sempliceoggetto di analisi. È la personaumana, precisamente quella cheper sua natura e singolarità, è lanorma di tutta la ricerca scientifica.

E in ciò che concerne la dignitàdel genoma umano, è necessarioche gli agenti della Pastorale ab-biano chiaro il fondamento dellastessa. L’articolo 1 della Dichiara-zione dell’UNESCO che dice: “Ilgenoma umano è la base dell’unitàfondamentale di tutti i membri del-la famiglia umana e del riconosci-mento delle sua dignità e diversitàintrinseche” può dar a intendereche il fondamento della dignitàdell’essere umano sia il genoma inquanto tale; quando in realtà è ilcontrario, è precisamente la di-gnità dell’essere umano quella chevalorizza il genoma e, perciò que-sto deve essere protetto. La dignitàche conferisce valore al genoma hail suo fondamento in quello che di-stingue l’essere umano dal restodegli organismi viventi: un sogget-to dotato di libertà, soggetto del ra-gionamento e dialogo, capace dipensare, sentire e scegliere. Perquesto deve essere considerato co-me un fine in se stesso, e mai comeun mezzo. In tal senso, è la nostrastessa fede quella che ci permettedi scoprire il fondamento della di-gnità dell’essere umano e, quindi ilfondamento della dignità del geno-ma umano nell’essere stato creatoa immagine e somiglianza di Dio.“E poiché l’uomo non possiede ungenoma se non quello suo proprionello stesso modo in cui diciamoche non possiede un corpo, se nonil suo proprio corpo, è la dignitàdell’essere umano quella che con-ferisce la sua dignità al genoma”6.

5. Un altro importante atteggia-mento esigibile dagli agenti dellapastorale è quella di riconoscere ilsenso di responsabilità di quelle

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persone che si dedicano alla ricer-ca e alla riflessione sui nuovi datiofferti nei progressi genetici e ge-nomici in vista del miglior benes-sere delle persone e a un migliora-mento della salute umana. Tale at-teggiamento è esigibile previa-mente e assolutamente a quanti so-no impegnati in questi progressiscientifici per il bene di tutti gli es-seri umani; poiché il trattamento diun materiale strettamente umanoriferito alle gravi questioni dellostato delle cellule embrionali e al-l’utilizzazione delle cellule madriembrionali esige assolutamenteche tutti lo affrontino con la massi-ma responsabilità. La responsabi-lità ci obbliga a tener in conto i fat-ti, le conseguenze concrete dellenostre azioni e delle nostre inter-pretazioni.

Questa esigenza di responsabi-lità si aggrava quando si tratta didefinire la costituzione di un nuo-

vo organismo o di un nuovo essereumano, o quando si tratta di priva-re del futuro alcune realtà biologi-che determinate, come sono gli zi-goti che si distruggono.

E in ciò che riguarda la conside-razione dello stato umano dell’em-brione, è ovvio che la nostra so-cietà è chiaramente divisa. Le ra-gioni utilizzate da coloro che pen-sano che lo zigote non sia unarealtà umana in atto, apportanouna logica argomentativa non mi-nore di quella che apportano colo-ro che la affermano. Per questo, èconveniente che gli agenti dellaPastorale riconoscano l’indole diresponsabilità dalla quale si gene-rano queste ragioni; soprattuttoquando si tratta di definire il perio-do costituente.

Allora, senza rinunciare alle no-stre proprie ragioni, senza rinun-ciare alle nostre proprie convinzio-ni e credenze – sempre di grande

valore – siamo aperti a consideraregli altri argomenti sostenuti dai fat-ti, dalle interpretazioni e costruitidalla responsabilità.

Prof. FRANCISCO DE LLANOS PEÑA, C.O.

Professore titolare di Legislazione ed EticaE.U. Scienze della Salute

Università di Siviglia, Spagna

Note1 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica,

Motu proprio Vitae Mysterium, n.2.2 Ibid., n. 3.3 Cfr. Discorso all’Accademia Pontificia

delle Scienze, ne l’“Osservatore Romano”4/11/94, p.20, nn.3-4.

4 SERRA A., in Zenit, 3/5/20005 LACADENA J-R., Genética y bioética, De-

sclèe de Brouwer e U.P. Comillas, Madrid2002, pp. 275-276.

6 NUÑEZ DE CASTRO I., Reflexiones éticasent orno a la declaración universal sobre elgenoma humano, en “La moral cristiana comopropuesta”, ed. San Pablo, Madrid 2004, pp.477-510.

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134 IL GENOMA UMANO

L’espandersi delle conoscenzescientifiche in campo genetico e lenuove possibilità diagnostiche pon-gono il problema di mettere le per-sone – singoli o coppie – in condi-zione di sapere se esistono indica-zioni per eseguire test genetici su sestessi e sui figli e, una volta postauna diagnosi, richiedono di aiutaregli interessati a comprendere il sen-so e il grado di affidabilità di essa,di informarli su eventuali terapie,di chiarire i rischi connessi con leloro scelte riproduttive.

Accompagnare le persone inquesto campo così delicato e com-plesso è appunto compito del coun-selling genetico. La tipologia estre-mamente varia delle situazioni pos-sibili permette di dare soltanto unquadro generale e sintetico deiprincipali aspetti etici del counsel-ling genetico.

1. Counselling prematrimoniale

Una prima fondamentale tipolo-gia è costituita dal counselling pre-matrimoniale. Esiste, infatti, lapossibilità di identificare i portatoriasintomatici di tratti patologici pri-ma che essi possano trasmetterli al-la prole. Soggetti o coppie a rischiodi malattia genetica vengono stu-diati dal punto di vista dell’anam-nesi familiare (counselling retro-spettivo) e del loro stato attuale(counselling prospettico). Una vol-ta posta la diagnosi è compito delcounselling informare gli interessa-ti della natura della patologia di cuisono portatori e dei rischi per laprole.

L’esigenza etica fondamentalenel counsellig è la verità. Non sitratta, però, di una verità puramentescientifica, una verità fredda e di-staccata, perché questa verità puòsconvolgere l’esistenza di una per-sona o di un gruppo familiare. Èuna verità umana, da comunicarenel contesto di un dialogo ispirato a

fiducia, lealtà e sincerità, capace dirispettare i tempi e le reattività pro-prie di ciascuno. Creare allarmismieccessivi, così come minimizzarerischi oggettivi sono atteggiamentiinaccettabili e non rendono unbuon servizio alle persone.

Delicato è poi l’aspetto del coun-selling in riferimento alle scelte ri-sproduttive. Nel nostro contestoculturale pluralista e relativista siinsiste molto sulla neutralità assio-logica (value neutrality) del coun-selling. Compito del conselling nonè – ovviamente – di far produrrequesta o quella scelta, ma di con-durre la coppia a considerare il ri-schio concreto di trasmettere unamalattia genetica e diventare con-sapevole delle conseguenze dellesue scelte sulla prole e su loro stes-si. Se, però, la non-direttività ri-sponde alle esigenze del rispettodella libertà dei pazienti, d’altrocanto il counselling non direttivo sirivela spesso non del tutto adeguatoad aiutare le persone portatrici dimalattie genetiche nell’affrontarealcune scelte più difficili. Si è di-mostrato utile il counselling educa-zionale che prevede un interventopiù attivo dei consiglieri che cerca-no di aiutare la coppia a focalizzarecon precisione le motivazioni checonducono a determinate scelte cir-ca la gravidanza e a identificare ilsignificato esistenziale dei vari tipidi scelta: dalla semplice informa-zione neutrale si passa qui da unachiarificazione dei valori del pa-ziente. Alla luce dei propri valoriesistenziali la coppia si può rendereconto se sottostima la gravità del ri-schio, se le responsabilità derivantidalla procreazione di un figlio ma-lato sono state seriamente valutate,se esiste la volontà di accettare eprendersi comunque cura del bam-bino.

In ogni caso, nessuno ha il dirittodi sostituirsi alla coscienza dellacoppia né di fare pressioni in unadecisione tanto personale, anche se

si verificano non di rado intromis-sioni indebite da parte di sanitariche, nel caso di diagnosi positivaper una malattia trasmissibile, sug-geriscono con consigli molto pres-santi, ai limiti del terrorismo psico-logico, di evitare in modo assolutola gravidanza. In molti Paesi un an-tico paternalismo medico, duro amorire, e una spinta eugenica mol-to diffusa portano non pochi sanita-ri a invadere con sedicenti indica-zioni mediche quello che dovrebbeessere il campo della scelta infor-mata e libera della coppia. In sededi counselling il tema della respon-sabilità sociale nel prevenire la dif-fusione di malattie geneticamentetrasmesse può venire in conflittocon le ponderate motivazioni dellacoppia a favore della procreazionee la autentica neutralità può trasfor-marsi in direttività ispirata a euge-nismo, spesso inconscia o velata.

La diagnosi prematrimoniale e larinuncia a procreare rappresenta,per ora, l’unica possibilità etica-mente accettabile di evitare la tra-smissione di malattie genetiche nonsuscettibili di terapia. Sembra, ineffetti, più rispondente a una visio-ne di responsabilità verso la vital’orientamento che sconsiglia ditrasmettere la vita quando esistonoseri rischi di mettere al mondo unacreatura gravemente lesa nella suaintegrità fisica o psichica. Questoorientamento tendenzialmente ne-gativo non si traduce, tuttavia, in undivieto: resta integro per ogni cop-pia il diritto di decidere di procrea-re assumendosi consapevolmentele proprie responsabilità e una scel-ta in questo senso dovrà essere ri-spettata anche praticamente garan-tendo tutti gli aiuti necessari allacoppia e al concepito.

Questo era in sostanza l’insegna-mento che Papa Pio XII formulavasin dagli anni 50: “Certamente esi-ste il motivo e, nella maggior partedei casi, il dovere di avvertire colo-ro che sono sicuramente portatori

MAURIZIO PIETRO FAGGIONI

7. Etica del counselling genetico

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di gravi malattie ereditarie qualegravame stanno per imporre a sestessi, al partner e alla loro discen-denza. Questo gravame diventeràforse insopportabile. Ma sconsi-gliare non è vietare. Ci possono es-sere motivi, soprattutto morali e diordine personale, di tanta importan-za che autorizzano a contrarre e ausare il matrimonio anche in questecircostanze”1.

Se, infine, è vero che eseguire te-st prematrimoniali o preconcezio-nali risponde a un senso di respon-sabilità verso la vita, bisogna anchesottolineare che questi test non pos-sono essere imposti per legge, nésono da considerarsi moralmenteobbligatori. Sarà compito degli or-gani preposti alle politiche sanitariecercare di fare opera di sensibiliz-zazione presso i giovani, soprattut-to nei contesti e negli ambienti piùa rischio per determinate patologiegenetiche.

2. Counselling nella diagnosi prenatale

Un secondo grande capitolo ri-guarda la diagnosi prenatale, siadurante la gestazione, sia primadell’impianto nelle tecniche di fe-condazione in vitro2.

La diagnosi prenatale è un attomedico che non può essere postoall’unico scopo di lenire l’ansiadei genitori, ma che deve essereeseguito soltanto se esistono preci-se indicazioni verificate dal coun-selling preventivo e codificate nel-la letteratura internazionale. Pur-troppo la forte pressione dei mas-smedia, il segreto desiderio del fi-glio perfetto e la crescente disponi-bilità di test genetici per malattieanche molto rare, stanno facendoaumentare oltre ogni limite ragio-nevole la richiesta di questo tipo diprestazioni. Dato il grande numerodi malattie ereditarie, il counsellingdovrà prima di tutto infrangere l’il-lusione della gente di poter accer-tare l’esistenza di qualunque ma-lattia genetica nel nascituro e tra-smettere la persuasione che l’as-senza di alcune patologie per cui ilfeto è stato esaminato non permet-te di affermare con assoluta certez-za che sia “sano”.

Nel prospettare una diagnosi pre-natale il consulente dovrà, inoltre,tener presenti i rischi cui vanno in-

contro mamma e bambino e, so-prattutto, il rischio di aborto spon-taneo connesso con le tecniche in-vasive, quali l’amniocentesi e lavillocentesi, rischio che è tanto piùgrande quanto più si anticipa l’esa-me. A questo proposito l’IstruzioneDonum vitae afferma che “tale dia-gnosi è lecita se i metodi impiegati,con il consenso dei genitori ade-guatamente informati, salvaguarda-no la vita e l’integrità dell’embrio-ne e di sua madre, non facendo cor-rere loro rischi sproporzionati”3. Inbase al principio di proporzionalità,bisognerà ricorrere alla diagnosi in-vasiva solo in caso di vera indica-zione medica e stabilire se il rischiodell’aborto spontaneo viene bilan-ciato da adeguati benefici per il na-scituro. Non sarebbe infatti giustofar correre un rischio al nascituro senon fosse ragionevolmente spera-bile un beneficio per lui, ma l’unicobeneficio ipotizzabile fosse un be-neficio psicologico per la madre.Pertanto, quando non esistono pro-spettive terapeutiche prenatali è le-cito chiedersi se una diagnosi gene-tica ha senso e se i benefici per ilnascituro davvero superano i rischi,tenendo conto che si parla del ri-schio di aborto.

Neppure l’introduzione di testdiagnostici prenatali non invasivinon risolverà tutti i problemi. La re-lativa semplicità e innocuità di al-cuni test come quello di ricerca dicellule e DNA fetale nel sanguematerno, potrebbero aumentare larichiesta diagnostica con minorecontrollo sulla reale indicazionemedica. L’indole probabilistica e imolti falsi positivi di questi e di al-tri test, come il triplo test per la sin-drome di Down, avranno l’effettodi aumentare il numero di amnio-centesi praticate per definire e con-fermare l’ipotesi diagnostica anchein donne che non sarebbero state al-trimenti candidate all’amniocente-si. Anche nel campo della diagnosiprenatale non invasiva si evidenzia,quindi, il ruolo insostituibile delcounselling. In generale vale il cri-terio morale che si dovrebbe sce-gliere la metodica che comporta ilminore rischio e che possiede lamaggiore affidabilità e precocità4.

Un dilemma morale frequentenell’ambito del counselling è lapossibilità di aborto in caso dell’ac-certamento di una grave patologiagenetica nel nascituro. L’aspetto

etico non cambia sostanzialmente,sia che si tratti di embrioni malatiindividuati con diagnosi preim-pianto, sia che si tratti di embrionigià in gestazione. Si pone la que-stione della condivisione da partedel consulente dell’intenzioneabortiva di chi chiede la diagnosiprenatale. La diagnosi prenatale,infatti, – come insegna Donum vi-tae – “gravemente in contrasto conla legge morale quando contemplal’eventualità, in dipendenza dei ri-sultati, di provocare un aborto”5.

Se l’atto diagnostico si collocaall’interno di programmi di scree-ning su larga scala, finalizzati a in-dividuare ed eliminare embrioni efeti malati, l’eventuale cooperazio-ne del consulente, qualunque sia ilsuo punto di vista, non sarebbe eti-camente accettabile. Diverso è ilcaso in cui il consulente non condi-vide personalmente l’intenzioneabortiva dei richiedenti, ma anzi,nel rispetto della loro autonomia,cerca di portare gli interessati aduna valutazione più oggettiva dellasituazione che tenga conto del valo-re della vita nascente affidata allaloro responsabilità. Un aspetto in-quietante della cultura odierna èproprio la discriminazione verso leesistenze più fragili, messe ai mar-gini della comunità morale, ritenu-te prive di valore e di diritti perchégiudicate vite di troppo bassa qua-lità. Il counselling può allora diven-tare uno strumento della pericolosaderiva eugenetica in cui sta naufra-gando parte della medicina odiernaispirata o può configurarsi comemomento privilegiato di una medi-cina che ha come scopo prioritarioquello di aiutare e sostenere la vitamalata e non combatterla come sesi trattasse di un nemico. Soltantoorientandosi decisamente in questosenso, il counselling potrà coniu-gare i valori del rispetto della veritàinformativa e dell’autonomia con ilfondamentale valore del rispettodella vita e soprattutto della vita piùindifesa e ferita.

3. Verso una medicina nuova

I progressi della genetica, nellesue diverse e articolate espressioni,stanno aprendo la strada a un nuovomodello di medicina, quello dellamedicina predittiva6. Fino a oggi ladiagnosi, infatti, consisteva sostan-

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zialmente nell’accertare lo stato disalute attuale di un soggetto. Lamedicina predittiva, invece, con-sente e sempre più consentirà diprevedere – con un grado più o me-no grande di certezza – quali pato-logie potrà sviluppare un soggettoin futuro.

In molti casi già oggi è possibileprevedere con anticipo l’insorgen-za di malattie ereditarie monogeni-che i cui segni si rivelano in modochiaro solo tardivamente o accerta-re la presenza in un soggetto di unapredisposizione più o meno marca-ta a sviluppare particolari patologiefisiche e psichiche la cui realizza-zione dipende da una serie di con-cause. Dovremo sempre più impa-rare a gestire diagnosi con unacomponente di incertezza alla qua-le non siamo ancora abituati, do-vremo ripensare la conoscenza me-dica in termini di probabilità, do-vremo sviluppare sempre più stra-tegie di prevenzione mirata per cia-scuno sulla base delle sue disposi-zioni.

Quando le informazioni geneti-che di ogni cittadino saranno dispo-nibili e saranno sufficientementeattendibili, si porrà il grave proble-ma della gestione di questi dati. Cisaranno problemi nuovi per la tute-la della privacy derivanti sia dallaorganizzazione di banche dei datisanitari, inclusi quelli genetici, siadalle preoccupazioni delle societàassicurative e dei datori di lavoroper le condizioni di salute futuredei loro clienti e dipendenti. Nellaprospettiva del personalismo pre-vale l’opinione che il profilo gene-tico di ciascuno sia un bene perso-nale e che la sua conoscenza daparte di terzi debba essere giustifi-cata da ragioni terapeutiche e che,comunque, ogni trasmissione diquesti dati debba essere esplicita-mente autorizzata dall’interessato.La Convenzione sui diritti dell’uo-mo e la biomedicina del Consigliod’Europa ha ribadito che “non sipotrà procedere a test predittivi dimalattie genetiche o che permetta-no di identificare il soggetto comeportatore di un gene responsabile diuna malattia sia di rivelare una pre-disposizione o una suscettibilità ge-netica a una malattia, se non a finimedici o di ricerca medica, e sottoriserva di una consulenza geneticaadeguata”7. In questa prospettivadevono essere anche valutati etica-

mente i programmi di screening ge-netico di neonati che si stanno av-viando in molti Paesi, soprattuttoper malattie come la fibrosi cisticae alcune emoglobinopatie.

Stante la sfasatura fra potenzia-lità diagnostiche e le possibilità te-rapeutiche (therapeutic gap), ci sichiede, infine, quale tipo di vita po-trà condurre una persona che vengaa sapere da giovane che con altissi-ma probabilità o, addirittura, concertezza svilupperà una patologia8.Prendiamo il caso della Corea diHuntington, grave malattia neuro-logica potenzialmente fatale cheviene ereditata come un tratto auto-somico dominante, ma che si mani-festa soltanto in età più matura. Co-me potrà un giovane programmareil suo futuro, impegnarsi nello stu-dio e nel lavoro, sposarsi, fare figli,sapendo che la sua vita corre preco-

cemente verso un esito fatale? La tentazione di nascondere una

informazione così conturbante ecapace di sconvolgere la vita di unapersona è grande, soprattutto perquei genitori che vorrebbero rispar-miare al loro figlio una vita nel se-gno dell’angoscia. Una veritàproiettata troppo avanti nel tempopotrebbe rivelarsi alla fine disuma-na, perché inadatta ai ritmi umani,alle capacità umane di progettare,al bisogno umano di sperare nel fu-turo, ma è anche certo che il dirittoa conoscere la propria verità è undiritto radicato nella persona e nel-la sua dignità di essere libero e re-sponsabile. Ci saranno sempre piùverità che oggi noi non siamo anco-ra preparati ad accogliere e vivere,ma con le quale dovremo impararesempre più a confrontarci. Questoapre nuovi problemi morali per chi

è chiamato a offrire il suo aiuto inun counselling genetico.

Non credo di enfatizzare troppose dico che il compito del counsel-ling, al di là delle necessarie com-petenze medico-scientifiche, chie-derà sempre più competenze eti-che, anzi, più semplicemente e piùgrandemente, competenze umane.

P. MAURIZIO PIETRO FAGGIONI, O.F.M.

Professore ordinario di Bioetica, Accademia Alfonsiana,

Roma, Italia

Note1 PIO XII, Discorso al I Simposio Internazio-

nale di Genetica Medica, 7 settembre 1953, inDiscorsi e Radiomessaggi, vol. 15, Città delVaticano 1954, 264. Cfr. ID., Discorso al VIICongresso della Società Internazionale per laTrasfusione del Sangue, 5 settembre 1958,“Acta Apostolicae Sedis” 50 (1958), 732:“Meglio edotti sui problemi posti dalla geneti-ca e sulla gravità di certe malattie ereditarie, gliuomini d’oggi hanno, più che nel passato, ildovere di tener conto di queste acquisizioni perevitare essi stessi ed evitare ad altri molte diffi-coltà di carattere fisico e morale. Devono stareattenti a tutto ciò che potrebbe provocare allaloro discendenza danni permanenti e trascinar-li in una serie interminabile di sofferenze”.

2 DI PIETRO M. L., GIULI A., SERRA A., Ladiagnosi preimpianto, “Medicina e Morale” 54(2004), 469-500; SERRA A., La consulenza ge-netica prima della diagnosi prenatale: un ob-bligo deontologico, “Medicina e Morale” 47(1997), 903-921. È quasi superfluo ricordareche le tecniche di fecondazione extracorporeanon sono da ritenersi illecite, ma la selezionepreimpianto degli embrioni fecondati in vitroaggiunge la malizia perversa di chi, dopo averdato la vita, la toglie in nome della qualità delrisultato.

3 CONGR. DOTTR. FEDE, Istr. Donum Vi-tae, I, 6, “Acta Apostolicae Sedis” 80 (1988),79.

4 BENCIOLINI P., VIAFORA C. (curr.), Etica eostetricia. Il Triplo Test, Roma 1998 (“Qua-derni di etica e medicina” n. 5).

5 CONGR. DOTTR. FEDE, Istr. Donum Vi-tae, I, 6, “Acta Apostolicae Sedis” 80 (1988),80.

6 FINKLER K., SKRZYNIA C., EVANS J. P., Thenew genetics and its consequences for family,kinship, medicine and medical genetics, “So-cial Science and Medicine” 57 (2003), 403-412; HOLTZMAN N. A., MARTEAU T. M., Willgenetics revolutionize medicine?, “New En-gland Journal of Medicine” 343 (2000), 141-144; VINEIS P., SCHULTE P., MCMICHAEL A. J.,Misconceptions about the use of genetic testsin populations, “The Lancet” 357 (2001) 709-712;

7 CONSIGLIO D’EUROPA, Convenzionesui diritti dell’uomo e la biomedicina, Oviedo4 aprile 1997, art. 12.

8 DUNCAN R. E., SAVELESCU J., GILLAM L.ET AL., An international survey of predictivegentic testing in children for adult onset condi-tions, “Genetics in Medicine” 7 (2005), 390-396; HEINRICHS B., What should we want toknow about our future? A Kantian view on pre-dictive genetic testing, “Medicine, Healthcareand Philosophy” 8 (2005), 29-37.