ASYOUARE - TUTTI IN MASCHERA!

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GIOVANI TALENTI sport SALUTE LAVORO progetto PRONTI per il carnevale! COVER STORY fotografia musica SHOPPING TUTTI IN maschera! allarme sovrappeso paolo soriani the big pink di primavera cervelli in fuga black jobs windows ambassador la follia marzolina niccolò benetton AS YOUARE www.universitybox.com ANNO II - FEB/MAR 2012 - FREE PRESS

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Numero di AsYouAre di febbraio marzo 2012

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GIOVANI TALENTI

sport

SALUTE

LAVORO

progetto

PRONTI per il carnevale!

COVER STORY

fotografia

musica

SHOPPING

TUTTI IN maschera!

allarme sovrappeso paolo soriani

the big pink

di primavera

cervelli in fuga

black jobs

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la follia marzolina

niccolò benetton

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ANNO II - FEB/MAR 2012 - FREE PRESS

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foto credit: TM News - Infophoto rio de janeiro

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L’anno nuovo è incominciato e non potevamo in questo nu-mero mancare di riportarvi

quanto è successo ai nostri inviati a BUDAPEST durante i festeggiamenti. A detta dei partecipanti è stata un’e-sperienza entusiasmante e ne siamo felici. Viaggiare è confronto, apertu-ra e conoscenza. Il paradigma dello scambio culturale e personale che più di qualsiasi altra attività arricchisce il bagaglio di una persona. Quando poi questa interazione avviene in gruppo la magia si moltiplica. Sono certo che nessuno di voi ha dimenticato il primo viaggio di classe, l’adrenalina della not-te prima della partenza, le speranze di poter avere finalmente l’occasione per conoscere quella ragazza o quel ra-gazzo e soprattutto toccare con mano l’aria di libertà, la gratificante sensazio-ne di indipendenza tanto difficilmente conquistata.

Certo viaggiare oggi è più facile e, se anche siamo abituati a partire e ad esplorare città e luoghi lontani, l’e-sperienza condivisa del partire e fare le cose insieme continua ad essere un evento eccezionale a prescindere dall’obiettivo. Possiamo partire per an-

dare a visitare una città, per sentire un concerto, per stare un pò al caldo o per ballare ma farlo insieme ad altri trasfor-ma la visita, la spiaggia o il club in un ricordo che difficilmente rimuoverete dalla vostra testa.

Abbiamo per voi in serbo molte sor-prese quest’anno riguardo al mondo dei viaggi e sono sicuro che la vostra valigià è già mezza pronta.

noi partiamo! EDITORIALE

Andrea Minoia [email protected]

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INDEXFoto di Niccolò Benetton

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Allarme sovrappeso .08Di fiore in fiore .10

La “bufala” dei sacchetti eco .12Shopping .14

Cervelli in fuga .18Giovani talenti .20

Black Jobs .22Social Web .26

Windows Ambassador - U Generation .28Sport .30

The Big Pink .34Facce da ... Il Diario della vacanza .36

Rio de Janeiro .48Carnevale a Rio .51

Teatro - Carnevale di Venezia .52Libri .54

Cinema - Intervista a Samuele Rossi .59Fotografia - Intervista a Paolo Soriani .62

Sconti .68YUP .72

Oroscopo .74

COVER STORY

features

Universitybox.com indossa una nuova veste! Non sarà più solo la commu-nity degli studenti, ma un vero e pro-prio portale d’ informazione per tutti voi universitari. Universitybox.com è il vostro punto di riferimento nella marea di informazioni della rete, un mezzo nuovo che vi permette di essere sem-pre aggiornati su musica, arte, viaggi, inchieste sul mondo giovanile, notizie provenienti da tutti gli atenei d’Italia, cinema, eventi, offerte di lavoro e tanto altro ancora. Siete degli artisti? Avete voglia di esprimervi? Volete dire semplicemente la vostra?Universitybox.com vi da tutto lo spazio di cui avete bisogno. Iscrivetevi in com-munity per conoscere nuovi studenti e navigate nelle sezioni di vostro inter-esse!

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8 www.universitybox.com

foto credit: TM News - Infophoto burger king

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salute

Non ci sono più le mezze stagioni, dicevano i nonni, e, oggi, parlan-do di cultura alimentare nei gio-

vani, sembrano non esserci più nem-meno le mezze misure. O scheletrici, o sovrappeso. L’Italia non è più il paese della “buona tavola”, specialmente per quanto riguarda la popolazione sotto i 25 anni. Lo rivela il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Fore-stali, che lo scorso maggio , ha pro-mosso il progetto “Mangi Bene Cresci Meglio”. Lo scopo è stato quello di sensibilizzare i giovani sull’importanza di un’alimentazione corretta. I dati par-lano chiaro: il 30% degli adolescenti ha un peso oltre la norma ed i casi di obe-sità crescono del 5% ogni anno.

La Campagna nazionale della Croce Rossa I.D.E.A. (Igiene Dieta Educa-zione Alimentare) ha diffuso ulteriori dati allarmanti: gli obesi rappresentano il 46% della popolazione adulta, ed il loro numero è in costante aumento a causa dell’abbandono della rinomata dieta mediterranea.

Si mangia sempre meno frutta e ver-dura, il cui consumo cala di circa 10 kg per famiglia all’anno, si assumono cibi ad intervalli irregolari con dosi spropor-zionate rispetto al proprio fabbisogno e si improvvisano inadeguate diete “fai da te”.

A tutto questo va aggiunto che sempre meno ragazzi praticano regolarmente attività fisica. I giovani passano ore ed ore su internet, praticano “como-damente” dalla poltrona sport virtuali, non capendo che una vita sedimenta-ria unita ad un’alimentazione scorretta oggi, presenta un conto molto salato, domani. Questa è la ricetta per ritro-varsi sovrappeso, ed avere in futuro problemi fisici come il colesterolo, il diabete e, non escluso, l’infarto.

A questo nessuno bada. Tutti vogliono essere snelli e tonici, come si vede in tv, ma nessuno vuole convertirsi ad un lifestyle più sano che richiede, certa-mente, più attenzioni e sforzi. E’ ora di dire STOP a tutte quelle abitudini che ci inchiodano al divano, STOP a cibi “spazzatura” con conservanti a quan-tità industriali, STOP agli happy hour che rimpiazzano indegnamente i pa-sti… state leggeri, a pancia piena, si fa fatica anche a pensare!

Ora, spegnete il pc, provateci già: allacciate le scarpe da jogging e uscite a farvi una corsa!

Si mangia sempre meno frutta e verdura, il cui consumo cala di circa 10 kg per famiglia

all’anno, si assumono cibi ad intervalli irregolari con dosi sproporzionate ...

allarmesovrappeso

Ilaria Rossi

9 pasta

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10 www.universitybox.com

Ho fatto un giro isterico, immagi-nario e anche un po’ sognante, perdendomi in mille click, tra le

passerelle Primavera/Estate 2012.Apri foto, passa a un altro outfit,”bello questo, questo non mi convince, troppo scuro, troppo serio, certe cose passa-no e altre restano, inesorabili”. Missio-ne: la ricerca degli ultimi trends propo-sti. Mossa dalla voglia di forme nuove. Di colori. Quanto adoro e amo i colo-ri?! Anche durante l’inverno e sempre. La piacevole scoperta è stata che le stampe a fiori tornano, ritornano, non abbandonano i vestiti lunghi, le cami-cette romantiche, ti rendono sempre fresca e eternamente giovane, se è possibile. Bucolica. Con il tempo con-ciliante si sboccia come dopo un lun-go letargo. Nonostante non ci si sia realmente fermate, mai. E i fiori sono ogni volta una rinascita e una scoperta. Delicatissima. Ottimistica visione e me-tafora di vita. Ci ha pensato, ad esem-pio, Adam Lippes che gioca sì con le trasparenze sul seno e si divide tra fiori rosa su sfondo bianco e fiori bianchi su sfondo nero.

Alexander Wang di contro non si sbi-lancia. Serioso con i colori e sportivo nel mood, non tralascia però fantasie floreali che mettono in risaltante con-trasto una donna dall’aspetto maschio e forte, sportiva di quegli sport veloci e più pericolosi di altri. Abiti estivi a fiori e gonne ad altezza polpaccio sfilano da Alexis Mabille, misti a fiocchi, colori pastello, frange, pizzi e righe sovrap-poste ai mille colori dei fiori di marzo.

Altuzarra adotta un escamotage: una stampa floreale da lui creata e usata in serie, da diventare così inserto per una gonna, a righe su leggins, dritto e scoperto da essere talmente visibile su un abito bianco e così via. Angelo Ma-rani concilia denim e fiori come fossero dipinti su tela.

Di Antonio Marras ho apprezzato par-ticolarmente e terribilmente la chiusu-ra della sfilata con questi tailleur corti e abitini a fiori piccoli che mi ricorda-no tanto e sorridente le vestaglie del-le donne di campagna. Gli anni della fatica, del sudore, delle macchie sulla pelle. Deliziosi. Ashish è dalla prima all’ultima uscita una gioia. Un mare-moto di girasoli. Di giubilo. Di anfibi dai quali escono erbe, ramoscelli, en-tusiasmo, terra. Van Gogh è stato d’i-spirazione e Ashish ha vinto. Betsey Johnson provoca, si rifà a Brigite Bar-dot e alle ballerine di Burlesque anni ’40, a momenti un po’ volgare e sfac-ciata nello stringere i corpetti, più deli-cata nell’utilizzo di rose rosa e fili d’er-ba? Signorine di tutt’altra pasta, bon ton e favoleggianti, quelle di Blugirl e Luisa Beccaria.Sognanti e eteree. Blumarine ha di contro un’audacissima voglia di co-lore. Esplosivi, forti, da estate piena, abbronzatura super, beverone fruttoso, macchina aperta e capelli al vento.

Christopher Kane mi fa venire in men-te i trasferelli. Quelle forme qualsiasi che ti passavi da un foglio semitraspa-rente alla pelle, quando eri bambina. La collezione non mi ha detto molto. Ci vedo un non-senso. Ma a fiori il senso

c’è. Carta da parati in casa Clements Ribeiro. Rosa, celeste e pizzi. Grafico, colorato, dal fumetto di Crepax con Va-lentina in poi, anche Iceberg dice sì ai petali, grandi, imprecisi, a macchia. Bellissimi.

Ci casca anche Louis Vuitton, ma lo fa in un modo personalissimo. Diverso dagli altri. In modo gentile, delicato, da bambola che adagi e ammiri, ma che se la tocchi troppo e senza modi, si rompe o si rovina. Fiori intagliati, nel pizzo, sagome e bucati. Sangallo e tra-fori. Fiori pastello.Con Mary Katrantzou e i suoi abiti-vasi da centrotavola, formosi o rigidi, asimmetrici e spennellati, concludo l’excursus che parte dalla stagione de-gli amori e arriva a poco più in là della vendemmia.

Volendo ne elencherei ancora altri e tanti e non mi stancherei nel dimo-strare che i fiori tornano e ritornano. Per abbellirci, decorarci, farci sentire campagnole o romantiche, assolu-tamente femmine o un trend che ci-clico ritorna come i casi della vita e le situazioni. O forse per farci sentire solamente e terribilmente, totalmen-te e senza ribattere, legate alla terra. Alle radici che al sole puntano in alto e rinascono.

Le stampe bucoliche tornano a sfilare durante la P/E 2012

Silvia Pisanu

DI FIORE IN FIORE moda

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foto credit: TM News - Infophoto sfilate moda P/E 2012

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Il 1 gennaio 2011 venivano introdot-te delle nuove regole che vedevano la morte dei sacchetti di plastica in

polietilene (PE) e la loro sostituzione con borse totalmente biodegradabili, da riutilizzare in casa per la raccolta differenziata.

A poco più di un anno di distanza, la situazione appare ancora confusa: al mercato o in alcuni negozi vi daranno dei sacchetti in polietilene, mentre nei supermercati, impeccabili, la vostra spesa sarà avvolta da mollicci sacchet-ti biodegradabili.

Questo perchè, come accade spesso nel nostro Bel Paese, è stata fatta una legge ma non ne sono mai stati attuati i decreti, cosicchè tutta la faccenda è stata dunque rimessa al buon senso degli operatori.

Qualcuno si è comportato bene come le grandi catene alimentari, ma c’è chi continua a fare il furbetto mettendo in circolazione sacchetti in polietilene. Ma non solo: la cosa peggiore è rischiare di trovarsi tra le mani i finti sacchetti ecologici, i cosiddetti oxodegradabili.

Sono borse definite diversamente bio-degradabili, più resistenti dei normali sacchetti bio, ma in realtà contengono polietilene additivato con sostanze che con la luce dovrebbero favorire la fram-mentazione della plastica, ma alla fine del processo rimangono invece residui di plastica che danneggiano l’ambiente

e sono pericolosi per gli animali. In tut-to questo caos cos’è meglio fare?

Non fatevi ingannare dalla robustezza del sacchetto o dal prezzo elevato e verificate le scritte presenti su di essi, che spesso confondono le idee riman-dando ad una (finta) ecologia.

Per orientarvi nella giungla dei sac-chetti e affini, ecco uno schema con le principali distinzioni presenti oggi sul mercato.

POLIETILENENon hanno un marchio specifico.Non sono biodegradabili

PLASTICA RICICLATASono sacchetti con il marchio “Plasti-ca Seconda Vita”, in plastica ricicla-ta. Sono in fase di sperimentazione e sono venduti in alcuni supermercati.

e’ stata fatta una legge ma ... non ne sono mai stati attuati i decreti

LA “BUFALA” DEI SACCHETTI ECO

ecologia

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Valume [email protected]

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BIODEGRADABILIHanno un marchio specifico: EN 13432. Sono i nuovi sacchetti in dotazione nei supermercati, li potete utilizzare anche a casa per il rifiuto or-ganico (umido).

CARTASono più costose di altre borse ma sono riciclabili.

OXODEGRADABILISono i finti sacchetti ecologici. Atten-zione alle diciture riportate sul sacchet-to. Non sono biodegradabili

PLASTICA NEROQuesti sacchetti per la spazzatura do-mestica non sono biodegradabili.

BORSASono fatte in diversi materiali: cotone, carta di riso, juta, tessuto ecc. Sono ri-utilizzabili e biodegradabili a seconda del materiale utilizzato.

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fu m ett i d i er i ka v en t u r a

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REGALA UNA STELLA “Vorrei guardare il cielo in una notte senza luna, scoprire una nuova stella e darle il tuo nome, cosi, per sempre, chi parlerà di quella stella parlerà d’a-more…” [cit.]

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foto credit: TM News - Infophoto Erasmus

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“fuga dall’Italia”

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In questo momento storico in cui la “crisi” dilaga nel nostro Belpaese, c’è chi resiste e crede in un futuro

migliore e chi invece prepara le valigie per trasferirsi all’estero, continuare gli studi in un’altra città e decidere di re-stare. Non è sempre una scelta facile: nell’intervista che seguirà quest’artico-lo verrà raccontato il percorso di un ra-gazzo che ha scelto Parigi come meta di studio e di lavoro e le sue difficoltà ad integrarsi nella capitale francese e rapportarsi con una cultura così diver-sa dalla nostra seppur così “vicina”.

Non c’è ovviamente nulla di male nel scegliere un altro paese in cui studiare e vivere, quello che preoccupa e scon-certa è l’elevatissimo numero dei laure-ati italiani che si spostano oltre confine, che è nettamente maggiore rispetto a quello rappresentato dai giovani stra-nieri con alto grado d’istruzione che vengono nello “stivale”. Questo chiara-mente comporta una doppia perdita sia a livello culturale che economico, che potrebbe portare nel giro di qualche decennio ad una grave carenza di figu-re con un alto grado di professionalità. E quanto emerge dal Rapporto Euri-spes 2011, non è di certo rincuorante: il 50,9% dei ragazzi e delle ragazze tra i 25 e i 34 anni sogna un futuro lontano dall’Italia. La disillusione e la voglia di andar via iniziano a farsi sentire verso i 25 anni, quando la maggior parte degli studenti si affaccia al mondo del lavoro e si confronta con le difficoltà del pri-mo impiego. ll settore dove si registra il più alto numero di fughe di cervelli è la ricerca scientifica: fondi e finanzia-menti scarsi, precariato, stipendi mini-mi, mancanza di meritocrazia, sono le cause che conducono maggiormente i dottorandi e i ricercatori italiani ad ab-bandonare la penisola. Spesso accade che ci si rechi all’estero per raggiun-gere livelli più alti di specializzazione, ma non solo: troviamo diversi manager italiani negli Stati Uniti, artisti in città aperte e culturalmente stimolanti come Barcellona, Parigi, Berlino.

Condiamo con qualche altro dato que-sta fotografia dei giovani in fuga dall’I-talia. Il 21 giugno dello scorso anno è stato presentato a Roma il sesto rap-porto della Fondazione Migrantes “Italiani nel mondo - 2011”. Il volu-me, dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, si sofferma sulle relazioni che intercorrono tra la storia italiana degli ultimi anni e i 4 milioni di attuali resi-denti all’estero. Tra i tanti argomenti, il Rapporto si incentra anche sul flusso migratorio degli studenti italiani verso l’estero. Viene definito “flusso quali-ficato”, in quanto esso è frutto della presenza ormai più che ventennale del Programma Erasmus, di cui il rap-porto ne esplica i dati relativi all’anno accademico 2008/2009. Il Rapporto, in questo caso, offre il quadro dei dati pre-si dalle statistiche ufficiali di Erasmus, integrandoli con quelli del Rapporto Eurispes 2011 e di quello dell’Ocse “Education at a Glance – 2010”.

Nel 2008/2009 sono stati 17.754 gli studenti universitari che si sono recati all’estero per motivi di studio e 1.628 per compiere un tirocinio presso impre-se di altri paesi (Erasmus Placement). Gli studenti di altri paesi venuti in Ita-lia con Erasmus sono stati 15.530. La Spagna si conferma il paese maggior-mente scelto dagli studenti Erasmus, in particolare da quelli italiani: si calcola che se nel 2003 gli studenti italiani che svolgevano un periodo di studi in Spagna erano 59.743, nel 2010 sono passati a 170.051. Proprio sulla base di questo dato, un capitolo del “Rap-porto Italiani nel mondo - 2011” è dedi-cato alla presenza italiana in Spagna, sia per motivi di studio che per moti-vi di lavoro. Oltre alla Spagna I paesi preferiti per un’eventuale emigrazione sono la Francia (16,5%) e gli Stati Uniti (16,1%).

[email protected]

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cervelli in fuga Cover story

Non c’e’ ovviamente nulla di male nel scegliere un altro paese in cui studiare e vivere ...

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All’inizio, doveva essere una “piccola parentesi” nella sua vita. Ma ha deciso (per ora) di restare.

INTERVISTA ANICCOLò BENETTON

GIOVANI TALENTI

20 www.universitybox.com

A parte che “non hanno il bidé”. E che adorano scambiarsi baci e bacetti. E che non parlano in-

glese (o semplicemente non vogliono). Eccoli, i francesi, con la erre moscia e la puzza sotto al naso. Ma gli italiani, chi sono, per i parigini?

Niccolò Benetton è un ventiseienne vicentino che ama l’arte e la fotogra-fia tanto essere andato in Francia per inseguire il suo sogno. A Parigi, la “cit-tà degli artisti”, si è trasferito d’impulso. All’inizio, doveva essere una “piccola parentesi” nella sua vita. Ma ha deciso (per ora) di restare. Sta completando il suo percorso universitario nello studio di un fotografo, Thomas Mailander. La sera, studia il francese. Ma integrarsi non è sempre facile.

Cosa vuole dire essere straniero a Parigi?

Se non conosci bene la lingua, hai del-le difficoltà. Ai parigini non fa piacere parlare in inglese. Al contrario di quel-lo che mi hanno sempre detto, ovve-ro che in realtà lo parlano benissimo ma non lo vogliono fare, a me sembra proprio che la maggior parte delle per-sone non lo parli proprio. La mia pro-cedura di base è: saluto in francese, e se credo che la discussione, come ordinare al bar, sia affrontabile, cerco di cavarmela con quel poco che so. Se devo chiedere qualcosa in modo “elaborato” invece, saluto in francese, dico, scusandomi, che non parlo la lingua, e chiedo gentilmente di parlare in inglese. Ma quando, contento, credi di poter finalmente comunicare, loro, che già avevano iniziato a manifesta-re un’espressione di dubbio sul volto, ti rispondono chiaramente in francese

senza la clemenza di scandire bene ogni singola parola.

Ma Parigi è una città turistica. Com’è possibile?

Poche settimane fa ero fuori alla ricer-ca di un posto per cenare con un paio d’amici. Troviamo un locale, ma il ge-store ci dice che la cucina è già chiusa e ci consiglia un paio di altri posti dove potremmo ancora trovare aperto, il tut-to in perfetto inglese. Lo stesso locale si ripropone pochi giorni dopo e chiedo al gestore se sia possibile cenare (in inglese). Il signore mi risponde qualco-sa in francese, che però dato il volume della musica non riesco bene a capire. Infine intuisco quello che dice: sostiene che gli stranieri che parlano solo ingle-se non sono visti bene.

Secondo te i francesi hanno pregiu-dizi “specifici” nei confronti degli italiani?

Pregiudizi particolari non credo. Mi è capitato di constatare che il nostro ac-cento più conosciuto all’estero è mar-catamente meridionale sopratutto per-ché le parole più diffuse sono pizza e pasta. Ogni volta che qualcuno le pro-nuncia, lo fa in modo buffo, tanto che mi si figura immediatamente in testa il tipico ristoratore col baffo a manubrio napoletano.

Mai niente di offensivo, insomma.

In effetti solo una volta mi è capitato di sentire una cosa del tipo: ah un italiano che lavora. Non è stato piacevole, ma ho giustificato la cosa perché trovavo in un paesino del sud della Francia e perché a dirmelo è stato un signore

piuttosto burbero. Di contro, una mia amica fa la commessa in un negozio di abbigliamento ha una posizione com-pletamente diversa dalla mia. Lei dice che nel suo lavoro è molto rispettata, poiché gli italiani in fatto di gusto sono considerati al di sopra di chiunque al-tro.

Allora in fondo ci un po’ ci stimano...

All’estero godiamo di buonissima fama per alcune cose e di pessima per al-tre. Cibo, moda, arte e lusso sono i nostri cavalli di battaglia. Ovviamente di contro i parigini credono che abbia-mo la testa tra le nuvole, che di rado riusciamo ad essere puntuali e che preferiamo la bella vita al duro lavoro. Quest’ultima, forse, è quella che mi pesa un po’ di più. Alla fine le due si compensano e dal mio punto di vista c’è da andare fieri più delle prime che delle seconde.

Cosa ti ha spinto a restare?

La città è bellissima e vivibile e volendo la si gira quasi tutta a piedi. Dal punto di vista culturale è a un livello altissimo. Per la fotografia in modo particolare c’è una sensibilità che in Italia non è nem-meno immaginabile. Ogni anno si ten-gono alcune tra le più importanti fiere d’arte a livello internazionale. La vita è piuttosto cara, ma se si cerca bene, si riesce anche a spendere poco. Since-ramente per dare un giudizio aspetterò l’estate: solo con la belle stagione ca-pirò cosa sia veramente questa città.

Manuela Messina

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foto credit: niccolo' benetton

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Lavoro nero e lavoro irregolare. Due piaghe con cui l’Italia da sempre deve fare i conti.

Dai contratti di lavoro che non corri-spondono poi alle mansioni svolte, al sommerso che vede i lavoratori tenuti sul posto di lavoro senza un regolare contratto e con annesse posizioni pre-videnziali che vanno in fumo. Una con-venienza, quella del cosiddetto ‘lavoro in nero’, che per il lavoratore si mani-festa sul momento, ma che poi vede, come detto, sfumare contributi previ-denziali, assistenza sanitaria e ogni altra tutela utile al corretto svolgimento della vita professionale.

Per quanto riguarda gli studenti da vici-no si stima che 4 studenti su 10 siano studenti-lavoratori la cui questione, vi-sto il proliferare dei famosi ‘stage non retribuiti’ e simili, è una piaga di non poco conto. Circa il 70% dei ragazzi che studiano e lavorano lo fanno senza un regolare contratto. I settori lavorativi in cui gli studenti sono più attivi durante gli anni dello studio sono quello della ristorazione, alcune forme di collabora-zione con le imprese, gli ‘internet wor-ks’, il telemarketing, l’industria e una piccola parte anche nella produzione di eventi culturali. Studenti lavoratori che, stando al rapporto Cesar sulla condi-zione degli studenti lavoratori, lavora per “avere una certa autonomia dalla famiglia” per il 46,5%, il 47,5% per “bi-sogno e necessità”, a tale percentuale

va aggiunto il 5,6% dei casi in cui si lavora per “aiutare la famiglia di prove-nienza”, mentre soltanto il 4,6% dichia-ra di farlo per migliorare la qualità dei consumi connessi al tempo libero. Più del 53% pertanto lavora perché in sta-to di necessità propria o della famiglia. Tra questi purtroppo sono pochissimi gli student che riescono a inserirsi da studenti in un mercato lavorativo con qualche attinenza al percorso di studi.

Guardando poi in un’ottica più ampia, bisogna spostare lo sguardo sul mon-do del lavoro in generale. Gli ultimi dati INPS, tanto per restare in tema di evasione oggi tanto dibattuta, hanno accertato evasioni di contributi previ-denziali per circa un miliardo e mezzo di euro. E qui si parla di situazioni sco-perte e portate alla luce, non è escluso infatti che con il sottobosco di finti as-sunti e lavoratori in nero il dato possa essere rivisto nettamente al rialzo. Nel solo 2009 tra laboratori, fabbriche e cantieri (soprattutto quelli edili) del solo nord Italia sono state trovati 2mila lavo-ratori irregolari in Liguria, 5mila in Lom-bardia ed Emilia Romagna, oltre 3mila in Veneto e 6mila in Piemonte.Secondo alcuni dati forniti dalla CGIL, il lavoro nero incide sul Pil delle tre ma-croregioni italiane (nord, centro e sud), rispettivamente per il 30%, il 50% e il 90%, per un totale nazionale del 17% circa, mentre negli altri Paesi dell’Unio-ne Europea il fenomeno ...

lavoro

I settori principe sono spesso quelli degli alberghi e della ristorazione, anche se non è

raro trovare lavoro sommerso nelle industrie e nell’agricoltura.

BLACK JOBS

www.universitybox.com

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non supera il 4%. Questo significa che il lavoro sommerso si porta via una ci-fra compresa tra i 255 miliardi e i 275 miliardi di euro l’anno.

I settori principe sono spesso quelli de-gli alberghi e della ristorazione, anche se non è raro trovare lavoro sommerso nelle industrie e nell’agricoltura. Nel settore agricolo la bomba è esplosa dopo la rivolta dei braccianti immigrati di Rosarno, dove per 7 euro al giorno raccoglievano gli agrumi della Cala-bria. Spesso arriva la lunga mano del-la criminalità organizzata che tra tutti i comparti dell’economia italiana non ha difficoltà a infiltrarsi. I lavoratori in nero in Italia sono circa il 10,3% delle

posizioni lavorative complessive. Una cifra ancora troppo alta se rapportata nuovamente ai livelli delle altre econo-mie europee, dove percentuali di que-sto tipo sono impensabili.

Un fenomeno caro a lavoro sommerso e criminalità organizzata è quello del ‘caporalato’, che in Italia conta almeno 550mila lavoratori costretti a lavorare sotto ‘caporale’, frutto spesso di un ricatto dovuto alla cittadinanza irrego-lare e al bisogno di mantenimento e protezione.

In periodi di congiunture economiche sfavorevoli, come quello che stiamo vivendo oggi, il fenomeno tende poi

ad aumentare, visto anche l’alto costo del lavoro di cui si parla sempre troppo poco e con poca convinzione, sia da parte dei sindacati, sia da parte delle associazioni degli imprenditori. Una gatta da pelare quella del lavoro som-merso e irregolare che dovrà giungere a una svolta per cercare di migliorare il sistema attuale, provando ad applicare contratti e generando meno confusione possibile. Anche così si salva l’Italia.

10,3% lavoratori innero in italia

Luca Rinaldi

... dai contratti di lavoro che non corrispondono poi alle mansioni svolte, al sommerso che vede i lavoratori tenuti sul posto di lavoro

senza un regolare contratto ...

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4 su10studenti sonostudenti lavoratori

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“L’uomo è un animale sociale” Lo diceva un certo Aristote-le, un pensatore piuttosto

quotato nella Grecia classica. Pro-duttore seriale di idee tanto buone da funzionare bene anche a duemila anni di distanza. Da quando esiste l’uomo esistono comunità di individui che fan-no rete e condividono esperienze, rac-conti, conoscenze, informazioni. Poco importa che si tratti di scarabocchi sul muro di una grotta o di un video su Youtube: la sostanza è la stessa. Ecco allora che nella massima del “filosofo dell’immanenza” non è difficile ravve-dere le ragioni della colossale esplo-sione dei siti di reti sociali.

Con un grande salto passiamo dalla preistoria delle comunità di cacciatori e delle pitture rupestri ad un presente im-merso nella rivoluzione digitale, in cui ogni esigenza sociale ha, appunto, un suo social. C’è quello super preciso per condividere le esperienze professionali (Linkedin), quello che funziona come una vetrina per chi fa musica (Myspa-ce), quello per condividere le fotografie (Flickr), per far sapere dove ci si trova (Foursquare), quello per conosce-re e chiaccherare con altri studenti e

reperire informazioni utili e divertenti (Universitybox). Una galassia infinita che ruota intorno ad un grande sole: Facebook. Una nazione virtuale con 800 milioni di cittadini, seconda per po-polazione soltanto a India e Cina.

Emile Zola nel 1901 scriveva che non si può dire di aver visto veramente una cosa finché non la si è fotografata. Allo stesso modo oggi si potrebbe dire che se una cosa non è stata pubblicata su Facebook non è avvenuta. Mai era stato tanto facile condividere con i pro-pri amici un flusso ininterrotto di foto, pensieri e opinioni. Una rivoluzione di portata certamente paragonabile all’in-venzione della fotografia, per dirla con le parole di uno dei più brillanti studio-si di media sociali, il 29enne Nathan Jurgenson. Secondo il giovanotto, che sta finendo un Phd in sociologia dei nuovi media all’università del Ma-ryland, c’è in gioco la possibilità che i social media riescano a modificare la nostra percezione della realtà, anche quando siamo off line. Il fotografo guar-da il mondo come se avesse sempre con sé la macchina fotografica, ragio-nando di come ciò che lo circonda pos-sa diventare la preda ideale per uno

scatto perfetto. Allo stesso modo chi è cresciuto con i social media rischia di abituarsi a catalogare le esperienze in base a quanto si prestano ad essere condivise su fb. Peggio ancora, il po-polo dei social media addicted, con lo smart phone sempre a portata di dito, si trova davanti al dilemma se sia me-glio vivere o raccontare ciò che si sta vivendo. Lascio a voi sfogliare il cata-logo di situazioni in cui vi siete trovati accanto a qualcuno che ha preferito la fredda compagnia digitale della rete alla vostra, che eravate lì in carne e ossa. E quindi non vi racconterò del mio amico che, dopo una lunga assen-za, si geolocalizzava al bar invece di parlarmi del suo recente viaggio...

Accanto alle considerazioni sociologi-che ci sono i numeri, che interessano molto a chi guarda al variegato mon-do dei social per fare soldi: le aziende. Sono loro a promuovere indagini sta-tistiche di ogni genere che, se da un lato riducono in cifre la bellezza e la varietà delle nostre vite digitali, dall’al-tro ci aiutano a capire qualcosa in più. Per prima cosa, in relazione alla febbre del racconto in tempo reale, è bene dire che il 60% delle applicazioni per

APPUNTI DISORDINATI DAUN VIAGGIO NEI SOCIAL

social web

Una rivoluzione di portata certamente paragonabile all’invenzione della fotografia, per dirla con le parole di uno dei più brillanti studiosi di media sociali, il 29enne Nathan Jurgenson.

Universitybox2005

~ 300.000 mila

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Marco Subert

i device mobili che vengono scaricate sono dedicate ai social. Continuando a esplorare le cifre si scopre che, tra gli utilizzatori di internet, 4 persone su 5 frequentano i social e che passano più tempo su Facebook, preferito dal 96% degli utenti e seguito da Myspa-ce (21%) e twitter (17%). Il 97% di chi accede ai social lo fa dal pc e il 37% dichiara di farlo anche da un device mobile. Gli italiani confermano il loro carattere caciarone e socievole anche in rete: siamo quelli con il numero più elevato di amici per utente (in media 88). Ci seguono inglesi e olandesi, con 77 amici per utente e tedeschi con 57. Per il 76% degli utenti il social è un luo-go che si frequenta più volte al giorno.

E così accade che anche la reputazio-ne, quella che si crea in rete, diventi oggetto di misurazione. Il sito che con-sente di farlo si chiama Klout e asse-gna un punteggio che va da 0 a 100, calcolato in base all’impatto e all’in-fluenza che si ha su Twitter e Face-book. Se non ci avete ancora provato connettetevi subito, ma state attenti a non diventarne dipendenti.

Terminiamo questo viaggio attraverso i social atterrando a Cuba, dove il go-verno si è appena inventato un social in salsa locale. Si chiama “Red Social” ed è il tentativo del regime di mantene-re una certa forma di controllo sull’in-formazione. In buona sostanza si tratta

di un Facebook in salsa cubana, con tanto di grafica copiata di sana pianta dal social network di Mark Zuckerberg. Con una differenza sostanziale: l’u-tilizzo è riservato a chi vive sull’isola. Cubani connessi con i cubani, come spiega in modo eloquente l’immagine della home page: al globo terrestre, che appare quando si entra in facebo-ok, è stata infatti sostituita l’immagine dell’isola.

Una strana forma di autarchia della comunicazione su internet, che testi-monia la centralità crescente dei social network nel panorama dei media.

Flickr2002

Ludicorp Ltd

FacebookFeb 2004M. Zuckerberg

800 milioni

4squareMar 2009D. Crowley

N. Selvadurai

BeboLug 2005

M. BirchX. Birch

LinkedInMag 2003R. Hoffman> 30 milioni

Tumblr2007D. Karp

M. Arment

MySpaceAgo 2003T. Anderson

Google+Giu 2011Google Inc.

TwitterLug 2006

J. Dorsey~200 milioni

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Quarantacinque ragazzi da tutta Italia sono stati invitati a Milano per entrare in diretto contatto con le ultime tecnologie, toccarle

con mano, assaporarle, farle diventare loro e raccontarle ai loro amici, conoscenti e

compagni di università.

Essere un’azienda leader nel settore dell’informatica e che ha scritto la storia del computer

è una grande responsabilità. Grande responsabilità è anche quella di conti-nuare a scriverla anticipando i bisogni dei giovani. E’ per questa ragione che Microsoft da sempre ascolta le nuove generazioni e offre loro ad esempio la possibilita’ di essere inseriti nel pro-gramma MACH (Microsoft Academy for University Hire), il programma di inserimento in azienda di giovani neo-laureati ad alto potenziale, o di accede-re gratuitamente alle versioni complete dei più recenti strumenti di sviluppo Microsoft e alle licenze per l’utilizzo dei prodotti server in ambienti di produzio-ne attraverso i programmi DreamSpark e BizSpark.

E sempre con questo spirito che pochi giorni fa è stata lanciata un’iniziativa che prende il nome di “Windows Am-bassador”: quarantacinque ragazzi da tutta Italia sono stati invitati a Milano per entrare in diretto contatto con le ultime tecnologie, toccarle con mano, assaporarle, farle diventare loro e rac-contarle ai loro amici, conoscenti e compagni di università.

Chi sono questi quarantacinque for-tunati? I Windows Ambassador sono ragazzi come tanti altri ma allo stesso tempo unici per capacità di socializza-re, di costituire un punto di riferimento per le loro università, per utilizzare i so-cial media, per essere cool, per essere innovativi e creativi e per la loro passio-ne per la tecnologia.

Hanno passato all’Innovation Cam-pus, la nuova sede di Microsoft Italia inaugurata solo un semestre fa, ven-totto intensissime ore durante le quali hanno avuto l’occasione di incontrare l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, il direttore delle risorse uma-ne, i principali rappresentanti del mon-do consumer di Microsoft imparando a conoscere meglio Windows Phone, Kinect ma anche prodotti super co-nosciuti come Windows e Office, con qualche preview.

Volete conoscerli meglio e farvi raccon-tare la loro esperienza?

Cercateli su www.ugeneration.it o sufacebook.com/WindowsUGeneratione scoprite chi sono.

Windows U Generation

windows ambassador

31www.universitybox.com

Generation

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A metà marzo del 2011 è com-parsa sui giornali sportivi ita-liani una notizia che ha avuto

decisamente poca copertura, ma che rappresenta perfettamente l’importan-za di alcuni riti per il popolo statuniten-se. La notizia grossomodo informava sui pronostici relativi alle squadre che avrebbero raggiunto le fasi finali del torneo di basket dei college, sembre-rebbe una notizia di poco conto, se non fosse che a fare il pronostico fosse un tale Barack Obama, residente presso White House, Washington. In pratica sarebbe come se Giorgio Napolitano durante una conferenza stampa istitu-zionale dedicasse del tempo a disqui-sire su quanto sia più forte la squadra di calcio della Bocconi rispetto a quella de La Sapienza di Roma e i giornali nazionali rilanciassero la notizia con la stessa solerzia di qualunque altra usci-ta ufficiale del Presidente. Le ragioni del perché il Presidente a stelle e stri-sce si sia pronunciato su un argomento all’apparenza così poco significativo va oltre la passione di Obama per il gio-co con la palla arancione e fa capire quanto sia seguito a livello nazionale lo sport universitario americano. Per la cronaca il Presidente sbagliò comple-tamente le previsioni non azzeccando neanche una delle partecipanti alle fasi finali del torneo.

Per capire come mai il College Basket-ball e gli sport universitari di squadra in genere abbiano così tanta risonanza negli U.S.A. bisogna calarsi nella re-altà di un Paese con un’estensione di 9 milioni di chilometri quadrati, tre fusi orari, più di 250 milioni di abitanti e solo

30 squadre di basket professionistico con al massimo una sessantina d’anni di tradizione. In poche parole se siete abitanti del North Dakota, o del Wyo-ming o dell’Iowa vi potrebbe capitare l’incresciosa situazione di avere come squadra di basket professionistica più vicina i Minnesota Timberwolves, che, oltre a non aver mai vinto nulla nella loro quasi venticinquennale car-riera, hanno la “brutta” abitudine di gio-care le partite a Minneapolis ad almeno 650 Km da casa vostra, un po’ lontano per avere qual si voglia campanilismo o spirito di appartenenza. Questo è il motivo principale per cui le squadre dei college dispersi per il territorio statu-nitense hanno acquistato tanta impor-tanza da diventare dei surrogati delle squadre professionistiche, con tanto di rivalità storiche, personaggi di fama nazionale e tifo, che definire sopra le righe rimane un eufemismo. Tanto per avere un’idea College come Duke Uni-versity, North Carolina University, University of California at Los Ange-les hanno dei palazzetti per ospitare le partite di basket casalinghe che posso-no accogliere fino a 12.000 spettatori e capita raramente di poter vedere dei posti vuoti.

Si parlava appunto di rito per il popolo statunitense, perché poche cose sono simili a degli sportivi baccanali, setti-mana di edonismo catartico in onore di bacco festeggiata nell’antica Roma, come la March Madness (traducibile in Follia Marzolina), ossia quella malat-tia che coglie gli americani durante tut-to il mese di marzo e che porta al per-corso di qualificazione delle squadre

LA FOLLIA MARZOLINA sport

Per capire come mai il College Basketball e gli sport universitari di squadra in genere abbiano così tanta risonanza negli U.S.A. bisogna calarsi nella realtà di un Paese con un’estensione di 9 milioni di chilometri quadrati, tre fusi orari ...

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foto credit: TM News - Infophotobobby knight

John wooden

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“... LA MARCH MADNESS, OSSIA QUELLA MALATTIA CHE COGLIE GLI AMERICANIDURANTE TUTTO IL MESE DI MARZO ...”

universitarie verso la Final Four, ovve-ro la vera e propria finale a quattro che determina il college vincitore del torneo NCAA (National Collegiate Athletic As-sociation). Fidatevi, follia non è parola esagerata, visto che per conquistare i biglietti gratuiti per gli studenti dei college qualcuno si munisce di tenda da campeggio e passa una settimana davanti ai botteghini in attesa dei primi tagliandi di ingresso.

Ma se il college basketball ha conqui-stato un ruolo così importante nella cultura americana è dovuto, oltre alle questioni geografiche, anche a due importanti fattori: i personaggi che ne fanno parte e il valore che questa ma-nifestazione ha avuto nella lotta per i diritti degli afro-americani.

Negli oscuri anni della segregazione razziale e in quelli di poco successivi, pochi eventi hanno avuto un’importan-za mediatica e culturale come ciò che avvenne a College Park nel Maryland nel 1966, quando un giovane allena-tore di nome Don Haskins schierò per la prima volta in una finale spor-tiva statunitense una squadra di soli afro-americani. Don Haskins era al primo anno come allenatore di Texas Western, una misconosciuta univer-sità di agraria dello stato della Stella Solitaria, non particolarmente famoso per gli sforzi in ambito di integrazione razziale, e non ebbe alcun timore nello schierare un quintetto “all black” contro Adolph Rupp e la Kentucky University. Giusto per rendere ancora più mitolo-gico l’evento e più epica la leggenda, si aggiunga il fatto che Rupp, oltre ad essere in quel momento il secondo al-lenatore più blasonato della storia del basket universitario, non nascondeva minimamente la sua visione più “palli-da” di squadra di basket, con tanto di sua frase emblematica, mai completa-mente confermata: “Nessun giocatore di colore vestirà il blu di Kentucky”. Come da buon film hollywoodiano, tra

l’altro realizzato proprio sull’evento con il titolo “Glory Road”, la misconosciu-ta scuola del Texas andò a battere i blasonati bianchi di Kentucky in una di quelle partite che, come dicono gli americani, “changed the game” e non solo quello.

Come si è detto prima, altro fattore im-portante per comprendere l’importanza del basket universitario è la presenza di personaggi che hanno fatto la storia dello sport e in generale della cultura a stelle e strisce. Di personaggi quanto meno sopra le righe ne sono passati sulle panchine dei college, a partire dal più grande, il John Wooden che fino alla sua morte, alla tenera età di 100 anni, si è fatto portare a vedere ogni partita giocata casalinga dai suoi Bruins di U.C.L.A., che aveva portato negli anni ’60 e ’70 a vincere 10 tito-li in 12 anni. Fino a qui sembrerebbe solo la passione di un vecchietto un po’ andato di testa ma basterà chiedere a un qualunque frequentatore dei miglio-ri master in management americani, e vi confermerà come tra i libri maggior-mente consigliati agli studenti ci sia il seminale “Pyramid of Success”, che l’allenatore scrisse per spiegare con quale filosofia fosse arrivato sul tetto del mondo della palla a spicchi univer-sitaria.

Se si parla di personaggi poi è impos-sibile tenere fuori dal novero Bobby Knight, per 29 anni al comando degli Hoosiers di Indiana University, che divenne famoso tanto per i titoli vinti sul campo, quanto per atti più bizzarri, come lanciare una sedia stizzito con l’arbitro in mezzo al campo di gioco, prendere per il collo uno dei suoi gio-catori, reo di aver perso una palla di troppo,o rispondere durante le confe-renze stampa nazionali con frasi del tipo: “Una volta che il mio tempo su questa terra sarà finito mi farò seppel-lire a pancia in giù così che i miei critici potranno baciarmi il… didietro”. Per

capire l’importanza del “Generale”, mai soprannome fu più azzeccato, per lo stato dell’Indiana si vadano a vedere i giornali del giorno successivo al suo li-cenziamento da parte del rettore dell’u-niversità per il tentato strangolamento di un giocatore: più di 10.000 persone si radunarono all’ingresso del college per sostenere il loro rude beniamino.Tornando all’attualità, erano anni che non si vedeva un campionato univer-sitario così equilibrato e così incer-to, con il grande ritorno di Syracuse University tra i nomi che contano, le grandi tradizioni come Duke o Ken-tucky e quelle che saranno le favorite del pubblico, in quanto Cenerentole al Grande Ballo, come Baylor o Missou-ri. Insomma ci sarà anche quest’anno da impazzire e ancora Obama non si è pronunciato con i suoi pronostici e, visti i risultati precedenti, scommetto che saranno più d’una le squadre che spereranno di non essere inserite nella lista delle preferite del Presidente per la sfida finale.

Enrico Marchegiani

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Sono in due e sono inglesi, Robbie e Milo. Fanno le intervi-ste entrambi, ma separatamen-

te perchè assieme dicono che sanno solo sparare una marea di cazzate e nulla di interessante sulla band. Rob-bie dice che Milo è la persona seria del gruppo, il mastermind, mentre Milo dice che Robbie è la rockstar, l’imma-gine. Il primo si occupa dell’elettronica e il secondo di chitarre e voci. Il primo era il chitarrista di Alec Empire mentre il secondo è figlio di Danny Cordell, produttore anni settanta per la Island al servizio di band come Moody Blues, Joe Cocker, Procol Harum, The Move e altri, oltre che essere fratello di Tarka Cordell, anche lui invischiato, tragica-mente (muore suicida nel 2008), nel mondo della musica come produttore e musicista. Animo più imprenditoriale e attento il suo, tanto che con la sua piccola etichetta Merok ha pubblicato, con grande lungimiranza, le prime pro-ve di Klaxons, Crystal Castles, Salem, Titus Andronicus e molti altri. È appe-na uscito il loro nuovo album “Future This” per 4AD e li abbiamo incontrati per una chiaccherata.

Robbie Furze: “A 16 anni ci siamo incontrati ad un party mentre io stavo vomitando, se non ricordo male. Poi ci siam ribeccati in un club e abbiam inco-miciato a parlare di musica e da cosa è nata cosa... Assieme a Milo abbiam gestito una label noise, la Hate Chan-nel, per circa una settimana. Abbiam realizzato un solo Ep autoprodotto, era megaviolento e rumoroso: mi sa che non ne abbiamo vendute tante di copie di quella roba. Cose da giovani! Dopo l’esperienza con Alec Empire nel 2009 abbiam provato a fare qualcosa assie-me di più serio. Abbiam registrato 4 pezzi, li ha sentiti un nostro amico e ha voluto pubblicarne due come singolo. Ne avrebbe stampate un centinaio con la sua label House Anxiety (in realtà ne sono state stampate 500 in tutto il mondo- nda). Così è uscito “Too Young

To Love/Crystal Visions”. La gente ha incominciato a venire ai nostri concerti. Una sera è venuto uno della 4AD e ha deciso di scritturarci. A settembre del 2009 è uscito il nostro primo album “ A Brief History of Love...”. ”

Milo Cordell: ”Non avevamo nessuna aspettativa all’inizio. Volevamo solo es-sere fighi e far uscire un sette pollici. Ma la stampa inglese ci ha dato subito grande attenzione e quindi l’opportuni-tà di constatare che la nostra musica poteva diventare una cosa grossa e poteva forse soddisfare le nostre vellei-tà di infiltrarci nella cultura pop a modo nostro.”

Siete sempre stati in due?

RF: ”In realtà live abbiamo avuto un grande via vai di gente. Siam arrivati ad esser fino a sei sul palco! Non è facile trovare le persone giuste con cui con-dividere dei tour, soprattutto nel caso nostro in cui facciamo tutto io e Milo a livello di composizione e produzione. Ma con questo nuovo disco forse ab-biam trovato la giusta line up. Con Zan Lyons all’elettronica e tastiere e Vic alla batteria mi sembra che abbiamo rag-giunto un’equilibrio e un affiatamento che non avevamo mai trovato prima come band. Facile che per il prossimo album si possa agire come band a li-vello di composizione. Vediamo come andranno i periodi in tour assieme. Si comincia a febbraio e in marzo saremo in Italia ma non so bene quando anco-ra. Sono molto ansioso di ricominciare ad andare in giro a suonare al momen-to: mi manca il tour bus, giuro! ”

Robbie sei partito dal bisogno di suonare e produrre musica aggres-siva e rumorosa ad essere diventato la metà di un duo electro-pop: non è un po’ incoerente come sviluppo?

RF: ”Non c’è stata alcuna pianificazio-ne a riguardo. Semplicemente traffi-

INTERVISTA A ROBBIE FURZE E MILO CORDELL. CI PARLANO DEL LORO NUOVO ALBUM: “FUTURE THIS”

cando con macchine e strumenti, sia-mo arrivati a questo. Ci siamo evoluti in questa direzione, probabilmente sem-plicemente mettendo un po’ di ordine nel chaos iniziale. Di concerto in con-certo e continuamente confrontandosi con nuovi musicisti si arriva a maturare per forza, la direzione la scopri solo vi-vendo.”

MC: ”Ci piacciono certi suoni che mi-schiano elettronica e rock saturandoli assieme. Quindi non mi vergogno per descrivere il nostro sound ad accostare tra le influenze il respiro melodico dei Tears for Fears o dei New Order con le sperimentazioni di gente come i Fuck Buttons, come anche certe arguzie produttive di Kanye West in campo hip

the big pink MUSICA

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Barnaba Ponchielli

hop o l’elettronica di Chemical Brothers e Primal Scream. Siamo rock però ci piacciono certi groove della dance e le timbriche dell’elettronica. Robbie è molto più dentro al metal io sono più legato all’hip hop, ma sui Weezer e un certo modo di coniugare melodia e punk siam entrambi d’accordo.”

Col vostro disco di debutto avete fatto parlare abbastanza ampiamen-te di voi. Avete raggiunto un gran numero di pubblico e il riscontro è stato ottimo, anche grazie al singolo “Dominos”.

RF: ”Si, a qualcuno siam piaciuti. Ora siamo di sicuro in una situazione fanta-stica. “Future This” è venuto fuori molto più solare e da ballare. Trasmette più che bene quanto ci sentiamo bene al momento come band. Son venute fuori una ventina di canzoni dalle session. E

da quelle ne abbiam selezionate, con grande difficoltà, giusto una decina. L’unica pressione che abbiamo avuto è stata da noi stessi: Milo è migliora-to al piano e alle tastier un sacco e io alla chitarra, oltre al fatto che ci siam applicati un sacco a testare tutta una serie di nuovi software. Ora abbiamo una grossa opportunità da sfruttare per fare un’ulteriore passo avanti come Big Pink.”

MC: “In realtà Robbie era quello che dal successo avrebbe potuto uscire peggio. Nel senso che lui ha sempre cercato di essere sotto i riflettori, di es-sere amato: è lui la rockstar del duo. Il successo avrebbe potuto trasformarlo molto di più ma invece ha mantenuto un equilibrio: in due ci diamo un equili-brio a vicenda, diciamo.”

Da dove arriva il nome Big Pink?

MC: “L’abbiamo rubato dal disco d’e-sordio della Band (mitico ensemble rock annis essanta incui militava Rob-bie Robertson-nda), ce ne siamo ap-propriati e abbiamo decontestualizzato il nome, visto che il nostro sound non centra nulla con loro. L’immagine che dava ci piaceva, il sound, ma non ha alcun significato di base. È partito tut-to da una riflessione sui Big Black (la band noise del produttore Steve Albini-nda), su quanto fosse figo quel nome. E chiaccherando è saltato fuori Big Pink e ci stava alla grande come nome per una band, perchè era ironico ma anche stiloso.”

foto credit: Jacopo Farina the big pink

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FOTO & DIARIO DEI SELEZIONATI del contest

NEW YEAR @ Budapest facce da ...

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Vi ricordate il contest di Universitybox... “partecipa alle selezioni per Budapest” ?? Ecco un reportage della fantastica vacanza di Martina, Denise, Davide ed Elena, i nostri inviati speciali !!

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diario di bordoBUDAPEST 2012Come concludere al meglio il 2011 ed iniziare il 2012 con una marcia in più?

In 250 hanno scelto Budapest con Mondial Travel... ed Universitybox ha scelto noi (Martina, Denise, Davide ed Elena) per il reportage di questo fantastico viaggio nella fredda terra Ungherese!! Fredda ma più accoglien-te del previsto, sia per le temperature quest’anno più alte della media ma soprattutto per la calorosità del nostro gruppo e l’amichevole gente del posto!

29.12.2011 - 30.12.2011PARTENZA & ARRIVODue bus carichi di giovani di tutta Italia, con partenza dalle maggiori città del nord, ci infilano a bordo pieni di valige (eccessive come al solito) e delle peg-giori intenzioni.Denis, il nostro autista, nonostante le intemperie, ci fa giungere a destinazio-ne con ben due ore d’anticipo: alle 9 siamo in albergo, dove le camere già pronte ad accoglierci non sono suffi-cienti a frenare il nostro furore e la no-stra curiosità. Le molte ore di viaggio, che i più hanno passato senza chiu-dere occhio, non sono bastate a fre-narci e dopo le presentazioni nel bus, l’esplodere del delirio a bordo e “eyes wide shut” sugli schermi, appena giunti nella Capitale iniziamo già a vagare. Il nostro Ottavio, insuperabile e splendi-da guida Mondial Travel, porta in avan-scoperta la parte del gruppo che deci-de di accodarsi: prima tappa la Basilica di Santo Stefano, con super fugace vi-sita all’interno (della serie “siamo delle brave persone che protendono verso il culturale”) per proseguire poi verso Vaci Utca, una delle strade più note di Budapest per la sfilza di negozi che la costellano in ogni punto. Con epica imbranataggine, tra una birra e l’altra, negozi e negozietti, cappelli ridicoli e carinissimi mercatini di Natale che ancora punteggiano la città, iniziamo a prendere confidenza con la moneta locale: il Fiorino. Come tutte le cose più belle però non basta vederle dall’interno, ma per per-cepirne tutta la magnificenza bisogna

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guardarle da fuori...quindi eccoci a Cittadella, una zona panoramica in cima al monte Gherardo da dove ammiriamo la città ancora sconosciu-ta che già ci sta regalando le prime emozioni! Tornati in albergo per un paio d’ore, alle 19 siamo già sul bus...destinazio-ne Europa Boat!!! è un’imbarcazione attraccata sul Danubio, il secondo fiume più lungo d’Europa che divide Buda da Pest, dove ci accingiamo a passare la prima parte della serata tra cibo ungherese e vino a volontà...drinkato in quantità indicibili tra le fac-ce attonite dei camerieri!L’ immenso e luminosissimo Parla-mento Ungherese, in stile neogotico e neo barocco, si specchia imponente nel fiume con i suoi 268 metri di lun-ghezza e 96 d’altezza creando un’at-mosfera incantevole, indescrivibile..All’interno del battello una sfilza di camerieri, musicisti e ballerini ci ac-coglie calorosamente e, tra danze, vino e cibi tipici l’atmosfera inizia a scaldarsi...con conseguente morte celebrale di “Mr e Miss fattanza”. I sopravvissuti ai fiumi di vino dopo la cena si avviano verso la discote-ca Play per continuare a far festa: si accendo le luci psichedeliche della di-sco, si infiammano i cuori in un’esplo-sione di luci e musica..cala il sipario sulla prima notte ungherese...

“Viaggiate con anima e cuore, portate un bagaglio vuoto e non tornate fin-ché non è pieno”

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31.12.2011TOUR CITTA’In condizioni abbastanza indecenti diamo il via ad una nuova giornata: il Castello di Budapest, il Bastione dei pescatori e la Chiesa di Mattia ci aspettano! Imponente il Castello, fa-voleggiante il bastione la cui difesa era affidata ai pescatori e sorpren-dente la chiesa, con i suoi mosaici colorati nella parte superiore e le sue sette torri rappresentanti le sette tribù Magiare che si insediarono qui nel 896. Ad ancora, ci aspetta un bel battello tutto per noi con il quale, per una mezz’ora, solchiamo le acque del Danubio ammirando da vicino le me-raviglie di Budapest e del Parlamento più bello d’Europa. Tra sguardi me-ravigliati che portano ancora i segni della devastazione della notte e pal-loncini pieni d’elio che aleggiano nel battello (che, come prevedibile, ab-biamo svuotato aspirandoli) si torna sulla terra ferma per un break prima della serata più attesa...quella di Ca-podanno ovviamente!!Facciamo il nostro ingresso allo School Club, vicino alla facoltà di Economia di Budapest, dopo una cena dallo “zozzone ungherese” (po-tremmo definirlo come il corrispon-dente dei nostri paninari di strada) in un tripudio di colori e di salette..ce n’è per tutti i gusti: diversi tipi di musica per scatenarsi? Tavoli per sedersi, bere, chiacchierare e recuperare le forze? Lo School Club è pronto ad offrirci quello che preferiamo!Il tempo vola, la mezzanotte arriva in un batter d’occhio. Buoni propositi per il nuovo anno? Cose da cambia-re? Ora non ci si pensa e davanti alla console, abilmente domata dai Dj Eric e Giacomo, un fiume di champagne, baci ed auguri invade la discoteca come una piena inarginabile, uno straripare di cuore ed ignoranza che trascina insieme centinaia di ragazzi e ragazze, single e coppie, instanca-bilmente pronti a veder sorgere il sole su Budapest e sul 2012.

“Everybody sing the song Budaaaa Budaaaa, everybody sing the song Buda Budapeeeest” (cit. Denise)

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01.01.2012TERME E NON SOLODopo una notte del genere dove tro-vare la forza per alzarsi e non dor-mire tutto il giorno? Un modo c’è e la Mondial Travel lo ha genialmente individuato: i guerrieri dopo la batta-glia hanno bisogno del meritato relax, quindi...TERME!!!

Alle 12.30 siamo in viaggio verso uno degli stabilimenti termali più antichi e belli di Budapest: Szechenyi! È uno dei più grandi d’Europa: le sue 15 va-sche interne a varie temperature (fino a 40°!) e le varie saune abbracciano, in questo centro termale di forma cir-colare, due grandi piscine all’aperto. Immergersi in quelle acque caldissi-me con una temperatura esterna at-torno allo zero, mentre una leggeris-sima e rada pioggerella ti accarezza ed il vapore crea una coltre di nebbia tutt’intorno è davvero poco descrivi-bile e poco immaginabile per chi non l’ha provato! Bere una birra immersi fino al collo in quelle acque è relax allo stato puro..un momento che da solo vale già tutta la vacanza! Non è ancora abbastanza? E allora via!! A farsi trascinare dalla corrente al centro di una delle piscine che, come un fiume, trasporta in un per-corso circolare i tanti che giocano a farsi spingere dalle calde acque! Ora è proprio il momento di un bell’idro-massaggio e di un super massag-gio...COME NUOVI!!!

Fin troppo rilassati si torna gongolanti e con ebeti sorrisi distesi verso l’ho-tel Mercure, verso l’ultima serata..si inizia già a percepire nell’aria un po’ di tristezza per il viaggio quasi giun-to alla fine, ma bisogna godersi tutto fino in fondo, quindi..alla conquista del Jam Club!!!!

Questa discoteca non molto grande diventa il palcoscenico del nostro di-vertimento e della mancanza di so-brietà! Ci si diverte davvero, si gusta ogni attimo con trasporto ed allegria prima di tornare alla vita normale, prima di concludere questi giorni esagerati, salutare Budapest e gli al-tri vacanzieri. E così ancora fiumi di

champagne, birra e cocktails (un po’ scialacquati in verità!) che in pista tutti si scambiano con naturalezza, tra tappi che volano, abbracci, baci e tante risate!Scorre la notte, scorre lo champagne, scorre Budapest attorno a noi mentre ci avviamo verso l’albergo..Tra sfrattati dalla propria stanza per “motivi superiori” e chi, ancora cari-co, non ha voglia di dormire si cerca qualcosa da fare per concludere inde-gnamente la notte, tra irruzioni da una stanza all’altra. Quando il sonno pren-de il sopravvento ci gettiamo stremati sui letti e sulla moquette...ma sorge un problema preoccupante: Otti e gli altri della Mondial Travel vengono a svegliarci per annunciarci che i bus si sono rotti e bisogna scegliere tra acquistare biglietti aerei o biglietti del treno. Tra l’alternanza di scetticismo e credulità ed Otti con il suo ormai sto-rico “ma secondo voi starei qui alle 5 del mattino a raccontarvi balle invece di dormire?” passa un’altra ora, fino all’ammissione delle perfide guide e complici: è tutto uno scherzo!Tra imprecazioni, insulti e risate ci si abbandona a qualche ora di sonno. Buonanotte ragazzi, buonanotte Bu-dapest...anzi, buongiorno!

“Ogni terra un nome ed ogni nome un fiore dentro me..la ragione esplode ed ogni cosa va da sé..mare accarez-zami, luna ubriacami..”

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02.01.2012WE COME BACK2/01/2012

10.30 del mattino: con gli occhi grossi come palline da tennis e rosso san-gue tutti a fare una colazione anima-lesca e pronti a partire (pronti....si fa per dire....).Si sale in bus e respiriamo ancora a fondo la pungente aria ungherese ed il meraviglioso clima di complicità nel-la Piazza degli Eroi, uno dei luoghi più noti della Capitale..un’ultima boccata prima che il bus riparta e ci riporti a casa...

Non sono le persone a fare i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone e questo Capodanno ungherese rimar-rà sicuramente nel cuore di tanti!

Un abbraccio infinito ai miei compagni d’avventura conosciuti a Budapest, a quelli che avevo già avuto la fortuna di conoscere, alle nostre splendide guide e dj...

“Dietro a un miraggio c’è sempre un miraggio da considerare, come del resto alla fine di un viaggio c’è sem-pre un viaggio da ricominciare..perciò partiamo, partiamo che il tempo è tut-to da bere e non guardiamo in faccia nessuno che nessuno ci guarderà. Beviamo tutto, sentiamo il gusto del fondo del bicchiere e partiamo, par-tiamo, non vedi che siamo partiti già?”

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Ea� End Studios, via Mecenate 90, Milano

opposticoncordi

sabato 25 FEBBRAIO 2012

DADDY G from

MASSIVE ATTACK DJ SET

MOTEL CONNECTION(DJ PISTI & PIERFUNK) DJ SET ROY PACI DJ SET

THE WIZARD AND THE BOOGIE from

LE VIBRAZIONI DJ/LIVE SET

Il paese dei balo�hi

La fe�a de�e fe�e, la fe�a più grande de�a ci�à!

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rio de janeiro IN 24H10.00 AM BOM DIA@ Caffè Confeitaria Colombo

È il luogo ideale per un’ottima colazio-ne. Situata in una strada del Centro (fermata metro Uruguaiana) è la sala da the più famosa della città. In com-pleto stile art nouveau, la Confeitaria Colombo è un vero e proprio patrimo-nio artistico e culturale della città. Vere ricette tradizionali brasiliane vi aspetta-no... e mi raccomando non dimenticate di assaggiare una delle sue famose torte.

www.confeitariacolombo.com.br

11.00 AM UMA VOLTA NO QUARTIERAO@ Santa Teresa

Centralissimo quartiere della città si-tuato su una collina, nel quale il tempo sembra essersi fermato, mantenendo intatto un certo numero di dimensioni della città di Rio, vi racconterà una sto-ria nascosta dietro ogni angolo. Santa Teresa è stata fondata nel 18 °secolo come ex roccaforte dell’aristocrazia di Rio ed oggi è considerata la “Mon-tmartre Carioca”, luogo prediletto da scrittori e artisti. Per visitare tutte le meraviglie di questo posto non perdete un giro sul “bondinho”, uno dei tram più antichi del mondo.

12.00 AM visita @ Catedral São Sebastião

Una visita merita la cattedrale me-tropolitana dedicata al santo patrono della città. E’ una Chiesa dalla struttu-ra molto particolare: difatti ha una for-ma conica, con 106 metri di diametro esterno e 75 metri di altezza, capace di ospitare 20.000 fedeli in piedi e 5.000 seduti.

02.00 pM BOOM ALMOCO@ MONCHIQUE

Dopo tutto questo girovagare, è ora di rifarvi le papille gustative a suon di car-ne. La Monchique è una churrascaria nel cuore di Copacabana, dall’ambien-te semplice e tipico brasiliano. C’è un menù fisso molto economico e potrete mangiare all’infinito, iniziando dal buf-fet self service che offre di tutto e di più: la carne è illimitata! Auguri!

www.monchique.com.br

04.00 PM RELAXAR NA PRAIA@ Copacabana

Un pomeriggio di relax nella spiaggia piú famosa del mondo. Con i suoi 4 km di estensione Copacabana rappresen-ta il quartiere piú popoloso della cittá di Rio de Janeiro. La spiaggia é delimi-tata dall’ imponente Avenida Atlantica, dove sorgono palazzi moderni e hotel di lusso. Il piú affascinante per cultura e architettura é sicuramente il Copaca-bana Palace Hotel, dove negli ultimi 50 anni sono passati importanti personag-gi internazionali del mondo della moda, sport, politica e della vita mondana in generale. Godetevi una caipirinha e una bella tintarella.

Best IN morning

12.00 AM @ Escadaria SelaronSempre in centro città, sorge una stupenda scalinata fatta di 215 gradini di colore a passione, un omaggio al popolo Brasiliano dell’artista cileno Jorge Selaron. E’ una delle scalinate più famose al mondo, ricoperta da 2000 piastrelle proveniente da 60 diversi Paesi. Probabilmente l’avrete già vista in qualche video musicale (Snoppy Doog , U2) e anche in altrettante pubblicità. Da salire tutta fino in cima!

scopri le altre destinazioni su

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Valume [email protected]

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10.00 PM JANTAR E SAMBA@ Carioca da Gema

Avete mai pensato di cenare a tempo di samba? Qui si può: tutti i piatti scrit-ti sul menù riportano nomi di sambas. Bossa nova e choro completano l’of-ferta in uno dei posti più tradizionali, tempio della musica brasiliana di pri-missima qualità. E’ situato nel quartie-re di Lapa, uno dei più ricchi di locali e attrazioni notturne.

www.barcariocadagema.com.br

06.00 AMBOA NOITE @ Atlantico Copacabana

A Rio non si dorme mai e anche se muovete ancora il bacino è ora di ri-posare qualche ora. L’hotel Atlantico è situato ad appena tre isolati dalla spiaggia Copacabana, che dista appe-na cinque minuti a piedi. Un hotel otti-mo, che offre sbalorditive vedute delle montagne circostanti e dello skyline di Rio dal tetto, dove si trova una piccola piscina e una palestra. Sogni d’oro!

www.redeatlantico.com.br

Best in EVENING

02.00 AM BAILAR@ QUADRA DO SALGUEIRODo you need more samba? Perfetto! Il posto giusto sarà la Quadra do Salgueiro, ovvero la sede dell’omonima scuola di samba, che di notte di trasforma in disco tutta samba e funk! E’ situata nella zona sud ed è anche una delle più sicure! Se capitate di venerdì avete beccato la serata perfetta!

www.salgueiro.com.br

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Carnevale RIO

donne al carnevale

foto credit: TM News - Infophoto

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I l miglior Carnevale del mondo? Sen-za dubbio quello di Rio de Janeiro. E’ il Carnevale più colorato, allegro,

eccentrico e trasgressivo per eccellen-za. Le sue origini risalgono agli anni trenta del XIX secolo, quando la bor-ghesia cittadina importò dall’Europa la moda di tenere balli e feste masche-rate, molto in voga a Parigi. Nel corso del tempo l’impronta europea lasciò il posto a tutta la sensualità e ai colo-ri del popolo brasiliano. Oggi il cuore della festa è il Sambodromo, struttura capace di contenere circa 85.000 spet-tatori. Le scuole di samba sfilano in questa manifestazione con vestiti core-ografici e carri spettacolari: fate un giro con noi al Carnevale di Rio!

Nel sambodromo sfilano le “scuole di samba”, grandi e ricche organizzazioni che lavorano tutto l’anno in prepara-zione del Carnevale. Le parate durano quattro notti, e fanno parte di una com-petizione ufficiale suddivisa in sette di-visioni alla fine delle quali una scuola verrà dichiarata vincitrice dell’anno. Le categorie di giudizio per proclamare la scuola vincitrice includono il miglior testo, le migliori percussioni, i costumi più appariscenti, i carri più spettaco-lari, i ballerini più bravi ecc. insomma l’ “Oscar” made in Brasile. Verranno selezionate inoltre le 5 migliori scuole

che sfileranno nel week end centrale del Carnevale. Dopo la proclamazione, qualsiasi persona può comprare un ve-stito ed entrare a far parte della sfilata. Sfilare in una scuola di samba durante il carnevale è una esperienza indimen-ticabile, per cui se riuscite a trovare un costume non lasciate scappare l’opportunità, fatevelo prestare o com-pratelo. Chi invece è timido per infilarsi un’improbabile maschera e muovere le natiche a ritmo di samba, può prendere un posto a sedere sulle scalinate del sambodromo e godersi lo spettacolo. 9 dicembre 2011 - 25 febbraio 2012www.rio-carnival.net

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CARNEVALE A RIO viaggi

sfilano le “scuole di samba”, grandi e ricche organizzazioni che lavorano tutto l’anno in

preparazione del Carnevale i carri

Valume [email protected]

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TEATRO

Il carnevale ha radici antichissime: dai festeggiamenti egizi in onore di Iside, alle Grandi Dionisiae greche

in onore di Bacco, fino ai Saturnali in epoca romana, in cui venivano sovver-tite le regole e le convenzioni in vigore: lo schiavo governava il padrone, gli uomini si vestivano da donne e queste a loro volta potevano per una sera godere di quelle libertà che avevano negate per il resto dell’anno. Questo rovesciamento delle norme, così pro-fondo nella storia dei popoli, ha por-tato alla tradizione di mascherarsi ed è tutt’oggi rimasto il tratto più caratteris-tico del carnevale.

Quello di Venezia è un evento parti-colarissimo. Di tradizione centenaria fu bandito subito dopo la conquista napoleonica avvenuta nel 1797. Solo nel 1967 le celebrazioni ripresero il carattere festoso e internazionale che conosciamo adesso. Usualmente le maschere che si incontrano per le calli veneziane sono tutte apparte-nenti alla tradizione dell’antico sfarzo settecentesco: costumi che evocano le feste nei palazzi su Canal Grande, maschere rigorosamente fatte a mano, in cartapesta laboriosamente dipinte dagli artigiani che hanno i loro atelier nei sestrier veneziani. Un sito internet dove trovare, da acquis-tare o semplicemente da noleggiare, costumi a dir poco meravigliosi è www.catiamancini.it. In ogni modo al carnevale di Venezia ci sono trav-estimenti di tutti i generi, dalla Banda Bassotti al completo vs. Zio Paperone, a personaggi politici mescolati ad ap-parizioni nonsense tipo “sono vestito

da Dente Cariato”… La regola ovvia-mente è esagerare. Quest’anno il tema è il teatro che, con lo slogan: “La Vita è Teatro, Tutti in Maschera” da il via alle celebrazioni il 4 per proseguire fino al 21 febbraio. Il primo vero evento è sabato 11, con alle 14 il corteo delle Dodici Marie che da San Pietro in Cas-tello arriverà a piazza San Marco per aprire lì ufficialmente la stagione car-

Di tradizione centenaria fu bandito subito dopo la conquista napoleonica avvenuta nel 1797. Solo nel 1967 le celebrazioni ripresero il carattere festoso e internazionale che conosciamo adesso.

A Venezia il Carnevale è “Teatro”

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nevalesca 2012. Nelle varie giornate si susseguiranno sfilate e l’elezione della maschera più bella (dal 11 al 15, semifinali dal 16 al 19 e la finalissima sempre il 19 alle ore 1430); la festa dei Non-Innamorati il 13 e degli Innamorati il 14, proiezioni cinematografiche sul tema del carnevale (se siete cinefili navigati seguite la rassegna su Orson Welles) e la festa di Mardi Gras, ulti-mo giorno del carnevale e usualmente quello celebrativo della follia.

Ora, compreso che l’abito non fa il folle e che ci si può vestire un po’ come vi pare, preso nota del programma, non rimane che fare una scorta di tramez-zini e tranci di pizza, fondamentali per asciugare il Vin Brulè che scorre nei canali, acchiappare scarpe comode e tripla calza che a febbraio in laguna

fa freddissimo e preparasi per l’altro carnevale, quello fatto dagli artisti di strada, giocolieri, illusionisti e trampo-lieri che arrivano da tutta Europa per avere un pezzettino di Campo Santa Margherita dove esibirsi. Fateci un giro di notte, quando è così tardi che non volete tornare a casa e amate il vostro vicino che come voi fa la fila al baracchino per il bicchiere della staffa. Fateci un giro di notte, dicevo, quando il cielo sopra Venezia si illumina delle torce infuocate di un giocoliere dalle movenze di fata.

P.s. Attenzione dove andate a dormire! Tassa in vigore per i turisti che soggior-nano in tutti gli alberghi e b&b della la-guna. Gli ostelli della gioventù sono es-enti. E ovviamente le case degli amici.

Daniela Marrapodi

veneziafoto credit: TM News - Infophoto

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GRAN BALLO DELLA CAVALCHINA A TEATRO foto credit: TM News - Infophoto

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Jamila e suo figlio Farid sono onde che non toccheranno mai la riva. Sono ombre che scappano dal

sole accecante della guerra libica. È l’inizio di un nuovo mondo, la caduta di un dittatore, ma loro non ci saranno. Farid, colto di sorpresa, segue la ma-dre in un viaggio che dalla loro casetta ai confini del deserto, li porterà, assie-me a tanti altri fuggiaschi disperati, fino alle rive di un mare truffatore. Il bambi-no non fa molte domande, pensa solo agli occhi della gazzella che nutriva di datteri e pistacchi, a quell’essere indi-feso e fragile, che ora dovrà sopravvi-vere senza di lui. Angelina pensa alla sua infanzia, pas-sata assieme ai genitori, in una Libia che non esiste più. Ricorda un paese luminoso fatto di spezie e profumi, rive-de gli occhi innamorati del suo piccolo amico Alì, ricorda la scuola italiana e il frantumarsi di un intero microsistema disfatto dall’ascesa di un solo uomo, il Rais. Guarda suo figlio Vito, nato in

una Sicilia che non è mai riuscita ve-ramente ad amare, lo guarda e si di-spera. Come ogni cosa, perderà anche lui. Lo vedrà andare via, come una lingua di terra pronta a farsi inghiottire dalle fredde acque della vita. Quest’ul-timo romanzo di Margaret Mazzantini, “Mare al mattino”, è un’indagine sul dolore, sullo spezzarsi di radici che tutti noi vorremmo sempre tenere celate, al sicuro. Quelli narrati dall’autrice sono legami destinati ad avvizzire, a rima-nere sospesi in un tempo fatto solo di memorie. E Il deserto che ci viene mostrato non è fatto solo di dune e di sabbia, ma anche di ricordi che nessun vento riesce a sfigurare.

AUTRICE: MARGARET MAZZANTINIEDITORE: EINAUDI

libri

Luca Foglia Leveque

MARE AL MATTINO

M. MAZZANTINI

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Wolfgang Goethe - 1809

Raymond Radiguet - 1923

“I casi più notevoli e interessanti sono appunto questi, che pos-sono darci rappresentazione

reale dell’attrazione, dell’affinità, di questa specie d’incrocio nell’abbando-narsi e congiungersi; qui vi sono quat-tro elementi, finora accoppiati a due a due, che portati a contatto sciolgono la loro unione primitiva per formarne una nuova. In questo lasciarsi andare ed afferrarsi, in questo fuggirsi e cercarsi pare davvero di scorgere una deter-minazione superiore; noi attribuiamo a tali sostanze una specie di volontà e di scelta, e perciò il termine tecnico di affinità elettiva è perfettamente giu-stificato.” Eduard e Charlotte, coniugi non più giovani, vivono la loro vita co-niugale, in assoluto e splendido isola-mento nel loro castello, dediti alla cura del giardino, immersi nella lettura e nel godimento dell’arte musicale. Sembra

“A ccanto a lei la mente mi s’intorpidiva a poco a poco. La trovai diversa. Proprio

adesso che ero sicuro di non amarla più, cominciavo ad amarla. Mi sentivo incapace di calcoli, di macchinazioni, di tutto ciò da cui, fino a quel momento e in quella precisa occasione, non crede-vo fosse immune l’amore. Di colpo mi sentivo migliore. “ La trama è sempli-ce: una storia d’amore e d’adulterio tra una giovane sposa col marito soldato al fronte e un giovane adolescente che fugge dalle proprie responsabilità. Aprile 1917. François, 15 anni, simpa-tizza per Marthe, 18 anni, fidanzata di Jacques, partito in guerra. Sposatasi sei mesi dopo continua a frequentare il giovane uomo e gli si dona la sera dei suoi sedici anni. La tresca fra i due ben presto diventa di dominio pubblico ed anche le famiglie dei due protago-

questa una felicità al riparo da tenta-zioni, quieta, chiusa in se stessa, fino a quando non viene minata dall’invito al castello prima del “Capitano” , un amico di gioventù di Eduard, e suc-cessivamente della nipote di costui, Ottilie. Il quadrilatero è così formato: la coppia è disfatta dalla sopraggiun-ta diade; i poli coniugali si dissaldano: Eduard è attratto da Ottilie, il Capitano si invaghisce, ricambiato da Charlotte. Tra i quattro personaggi, in magica al-chimia, si scatenerà l’affinità elettiva, un’attrazione magnetica che guiderà Edoardo verso Ottilia e Carlotta verso il Capitano; il destino inevitabile irrom-perà sulla scena, turbando irrimediabil-mente l’esistenza serena, scatenando passioni contro le quali nulla potranno né la ragione né la virtù.Ogni elemento è intrecciato con arte sovrana, quasi virtuosa, e aderisce

nisti ne sono a conoscenza... Incinta di François, Marthe, fa credere al marito che il figlio sia frutto dei loro amori, anche perché il giovane amante fug-ge da ogni responsabilità o si sente troppo giovane per assumerle. Dopo la nascita del bimbo Marthe agonizzante reclama la presenza di François che vigliacco fino all’ultimo resta sordo ad ogni appello.

Il grande sforzo di immaginazione di questo romanzo si concentra tutto non sugli avvenimenti esteriori ma sulla psicologia dei personaggi, sull’ana-lisi dei sentimenti, e su questa scia si colloca nella grande tradizione del romanzo psicologico “alla francese”. Terminata la lettura si resta intontiti da un’insolita energia che ristagna den-tro, nell’anima. Un’energia che nell’età adolescenziale ci percorreva il corpo

al corpo della realtà storica e sociale dell’epoca. Una scrittura sublime, ricca di filosofia e introspezione, sicuramen-te non una lettura facile. L’interesse dell’autore non è tanto quello di appro-fondire il perché certi fenomeni avven-gano, quanto il come si manifestano. Secondo Goethe le leggi che regolano la natura e i fenomeni chimici sono le stesse che regolano gli ambiti compor-tamentali. Per quanto l’uomo tenti di opporsi a queste leggi, i suoi tentativi risultano inutili. Le affinità elettive non possono in alcun modo essere domi-nate dalla ragione, ogni sforzo pare vano dinnanzi alla forza superiore di tali legami.

con l’urgenza della necessità. L’autore, nonostante la giovane età al momen-to della stesura del romanzo, ci regala un’analisi veritiera e d’intensità rara, sulle forze contrastanti che governano l’amore, unica ragione di vita.

Le affinità elettive

Il diavolo in corpo

Vale Ellis

Vale Ellis

LIBRI - I GRANDI CLASSICI

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Gabriele D’Annunzio - 1889

“Questa spiritualizzazione del gaudio carnale, causa-ta dalla perfetta affinità dei

due corpi era forse il più saliente tra i fenomeni della loro passione. Un bacio li prostrava più d’un amplesso.”

Il protagonista de ‘Il piacere’, Andrea Sperelli, è come il Dorian Gray di Oscar Wilde o il Barone Des Essein-tes di Huysmans, l’incarnazione dell’E-stetismo, la tendenza più raffinata e decadente della cultura europea, ca-ratterizzata dal culto dell’arte e dalla risoluzione della vita nella medesima, dalla ricerca del bello, dal disprezzo del mondo borghese. Combattuto tra la passione per la voluttuosa Elena Muti e l’amore per Maria Ferres (una donna di profondi sentimenti, dalla sensibilità straordinaria, che egli identifica con la parte migliore di sé e con la possibili-tà di realizzare la propria vocazione di artista, fuorviata dalla vacuità dell’e-sistenza aristocratica), Sperelli crede che ‘bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte’. Il protagonista vive quindi , nell’arco di tutto il roman-zo, il suo grande fallimento di uomo e intellettuale, emblema dell’estetismo decadente. D’Annunzio ha recepito ed elaborato in modo originale i desideri e le paure del suo tempo. E’ stato il più grande collezionista di parole, im-pegnato in un ultimo tentativo di fare

poesia in un mondo che uccide l’arte. Due le note caratteristiche dell’autore: lo sguardo sgranato d’innanzi ad un universo che muore, al continuo e inar-restabile fallimento degli ultimi cultori della bellezza e la spasmodica volontà di far rivivere la perfezione. In questo, forse, potremmo ricavare il senso ul-timo del finale de “Il Piacere”: Andrea Sperelli è muto, non pronuncia una sil-laba mentre gli oggetti che erano stati simbolo del suo grande amore sfiorito sono venduti all’asta. Il protagonista, e con lui d’Annunzio, tace, mentre resta seduto tra mercanti e usurai, lui gran-de esteta, tra gli “squisiti cadaveri” di un’arte ridotta a merce. Non » Duplice e ambigua appare dunque questa fi-gura in cui convivono sia il grandioso che il meschino; e in modo altrettanto duplice, D’Annunzio si immedesima e si distacca da essa.L’estetismo dannunziano inoltre, abba-gliando ed incantando il lettore, trionfa nella descrizione delle opere d’arte, degli oggetti raffinati e preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana Roma degli anni Ottanta, nuova capita-le, centro del nuovo giornalismo e della nuova editoria.

Il Piacere

Vale Ellis

LIBRI

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foto credit: STORY FIENDERS Samuele Rossi

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Intervista: Samuele Rossiregista di “La strada verso casa”

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“La strada verso casa” è il primo lungometraggio dell’e-sordiente regista toscano

Samuele Rossi. Un esordio made in USA, infatti, il film è stato presentato per la prima volta lo scorso agosto al New York Film Festival ed in patria lo scorso ottobre al Festival di Roma.

Una delle caratteristiche del film è l’a-ver una troupe al di sotto dei 35 anni, giovani e giovanissimi che un po’ per caso ed un po’ per scelta hanno deciso di scommettere su un’idea, sul sogget-to di Samuele Rossi. Il giovane regista è stato precedentemente assistente alla regia di “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli, e “La Passione” di Car-lo Mazzacurati, e ha diretto numerosi cortometraggi.

“La strada verso casa” racconta la storia di tre vite in bilico, bloccate in una difficile quotidianità, i cui destini si intrecciano in modo inaspettato alla ricerca di un nuovo equilibrio e del modo di ricostruire il proprio futuro. I tre protagonisti sono Michelangelo, Antonio e Giulia. Il primo è un giovane ed orgoglioso aspirante scrittore che successivamente alla morte del padre riconsidera la sua esistenza. Antonio è un ricco industriale imprigionato dopo la morte della figlia, la sua prigione è il presente della moglie che non riesce a superare il lutto. Il terzo protagonista, Giulia, è una giovane madre che si tro-va in una situazione borderline: pochi giorni prima del parto suo marito ha avuto un incidente e la giovane Giulia decide di restare in ospedale sino al suo risveglio dal coma.

Il Film è prodotto da Blue Film in as-sociazione con Echivisivi in collabo-razione con FourLab, ha il patrocinio del Comune di Pescia e della Provincia di Pistoia ed è stato finanziato da alcu-ne importanti aziende ed imprese del

territorio toscano, che hanno deciso di sposare l’idea produttiva del film fin dall’inizio: RPHotels, Caipirinha Wear, Pierluigi Pellicci Srl, Elettro 2000, Ali-service, Floratoscana, Anzilotti Ce-ramiche, Castellare Impianti, Credito Cooperativo Banca di Pescia.

Samuele Rossi è stato molto disponi-bile nel rispondere ad alcune domande per ASYOUARE. Buona lettura!

“La strada verso casa” è il tuo primo lungometraggio. Cosa hai provato durante la prima visione al New York City Film Festival lo scorso agosto?

Direi che la prima reazione è stato lo smarrimento. Non ero abituato, e forse non lo sono ancora, ad una sala piena che guarda ciò a cui hai lavorato per mesi ed anni, ad immagini ed emozioni che hai cercato con così tanta ostina-zione insieme a giovani professionisti che hanno scelto di condividere questo lungo ed importante percorso. Così ogni volta vivo il film in modo diverso, sento di muovermi secondo i respiri della sala. Così è stato a New York, e così è ad ogni proiezione. A Siena, l’emozione della prima proiezione in Toscana, la mia terra. A San Paolo e Roma, l’emozione di palcoscenici esi-genti, importanti, pubblici diversi ed incondizionati. Ogni volta il groviglio di emozioni è di difficile lettura. Mi divido tra la stanchezza emotiva per un lavoro che hai tenuto dentro per tanto tempo ed ora vuoi vedere allontanarsi da te e l’eccitazione e la voglia di seguirlo ad ogni passo con la curiosità di capire cosa saprà donare ad ogni nuova vi-sione. Perché te lo assicuro, ogni volta vedo un film diverso. È una magia in-spiegabile, ma è probabilmente quello che fa del cinema un momento straor-dinario.

Come nasce l’idea per la sceneggia-tura?

All’inizio più che un’idea c’è stato un sentimento, puro e semplice. Il senti-mento di un’esigenza personale: rac-contare il dolore e la vita a mio padre, ed alla mia famiglia. Raccontar loro che oltre il dolore rimane sempre la possibilità di ricostruire la vita, di sentir-la, di viverla. A questo credo. Soprattut-to volevo però che vi credessero loro, cercando di regalare un sentimento di bellezza. Ovviamente però da un sentimento (che credo essere fondamento impre-scindibile per la genesi di una storia) una storia deve trarre nutrimento per diventare però espressione verso tutti e non dialogo egoistico ed univoco tra scrittore e testo. Una storia deve poter diventare di tutti - altrimenti non è sto-ria.

È un monologo ad una sala vuota. Il lavoro comincia lì. Ho cercato la storia che meglio potesse raccontare il dolo-re per quegli elementi che inizialmente ritenevo basilari: il lutto, la perdita di equilibrio, i rapporti familiari interrotti, una passione negata e da recuperare, la rinuncia. Così è nata la storia di Michelangelo, giovane aspirante scrittore che rinun-cia alla sua passione dopo la perdita del padre, e quindi di ogni equilibrio. Su questa poi sono nate le altre due storie. Stesse tematiche, ma lavorate secon-do ottiche diverse. Il lutto in una cop-pia di anziani, dove l’imperfezione ed il disagio non erano mai entrati. L’amore interrotto e la paura della perdita in una giovane donna in attesa del risveglio del marito in coma.

E poi l’uomo e la donna, l’analisi di due temperamenti e di due anime, nel ten-tativo di capire come è l’uomo di fronte al dolore (la fuga, la paura, il crollo)

CINEMA

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e la donna (il coraggio, la saggezza, la forza). Da qui abbiamo scavato cer-cando di far si che le tre storie proce-dessero in un’unica sola storia, che di-ventassero una sola voce... il pubblico dirà se ci siamo riusciti.

Come si realizza un film low-budget? Quali sono i principali problemi?

La premesse è che il cinema low-budget è una definizione di neces-sità. Esiste perché il cinema nella sua normalità è finito per diventare uno spazio ristretto ed a tratti inaccessi-bile. In questo senso si è creato uno spazio di azione dove si cercano modi e strade alternative per fare cinema, al di là dell’inaccessibilità al “cinema convenzionale”. Un film low budget parte dal presupposto che non avrai mai non solo tutti i soldi, ma neanche quelli necessari. Da qui la ricerca fondamentale di una squadra di pro-fessionisti che voglia condividere un percorso e voglia proiettarsi in un progetto che possa diventare anche loro. Sulle persone si fa la scom-messa, per fare un film low budget.

Sai che i sacrifici che saranno neces-sari, diventeranno necessariamente sacrifici di tutti. Senza condivisione ed unità d’intenti, un progetto low budget si arena. Poi lavoro sugli attori. Le modalità sono le stesse. Persone che vogliano scommettere a far parte in toto di un percorso, e non solo della “giornata lavorativa”. Costruisci le sto-rie e il “fare quelle storie” su di loro e sui loro talenti. Infine, ma è la base su cui costruire ogni gesto creativo, il discorso organizzativo-produttivo. Nel nostro caso trovare il minimo di risorse economiche: ho aggirato la difficoltà di reperire finanziamenti pubblici, cercan-

do finanziatori privati disposti ad inve-stire in un progetto artistico, a credere nel veicolo promozionale del film per i loro marchi (ed è stata una scommessa vinta - ad oggi una decina di aziende girano in giro per il mondo grazie al film). Poi diluire tutta l’organizzazione nel tempo, in modo da evitare costi e spese aggiuntive, preparare il film nel corso dei mesi e non in un numero di settimane ristretto.

Lavorare tutti nella stessa direzione. Il segreto sta lì. In un lavoro privo di risorse l’unica modo per uscire da la-birinto è il coinvolgimento umano ed artistico.

Michelangelo, Antonio e Giulia sono i tuoi protagonisti. Qual è la percen-tuale di Samuele Rossi nella carat-terizzazione dei tre personaggi?

C’è molto di me in ogni personaggio. E c’è moltissimo di quello in cui credo, della vita che sento, in ogni person-aggio. Immagino che chi mi conosca, lo senta e lo percepisca nitidamente. Michelangelo contiene rabbie e paure che hanno fatto parte di me e che ho affrontato per molto tempo. Lo stesso Antonio, al di là della differenza di età, vive le emozioni cercando di addossar-si le ombre ed i dolori senza lasciarle trasparire, nascondendole, e forse nascondendole anche a se stesso. La ricerca della perfezione, anche fingen-dola. E poi la donna. La donna rimane in quelle che scrivo e sento sempre salvifica. Come le donne che in qual-che modo ho conosciuto e fanno parte della mia vita. La donna che di fronte al dolore non fugge, ma aderisce ad un istintivo coraggio, ad una naturale forza che la eleva al di sopra delle dif-ficoltà. E poi tutti gli altri personaggi -

sono tutti figli di emozioni, sentimenti, ricordi o paure che mi hanno vissuto od attraversato. E credo sia sempre così per tutti - impossibile il contrario. Il necessario sta nel far si che tutto il materiale emotivo possa diventare ri-conoscibile per tutti.

Com’è andata la presentazione al Festival di Roma lo scorso ottobre? Come ha reagito il pubblico?

È stata una grande emozione. C’era tutta la troupe. C’erano amici, cono-scenti, giornalisti, sconosciuti. Un pubblico nuovo, diverso ed esigente. E sentire/vedere la commozione delle persone, le lacrime, i sorrisi. Sentire il silenzio ad i silenzi del film - un coin-volgimento pieno. E poi sentire gli ap-plausi - che ho percepito come veri e sinceri. Difficile negare che è stata una serata di quelle che si ricordano e di quelle che rimarranno nella storia per-sonale del film - fanno parte della storia del film.

Una delle particolarità di “La strada verso casa” è che tutta la troupe è giovanissima, tutti al di sotto dei 35 anni. È stato un caso oppure una scelta?

È stata una scelta inizialmente, convin-ta e cercata. Secondo quel coinvolgi-mento che consideravo fondamentale, sapevo che puntare e scommettere sulla voglia di giovani professionisti che sognavano di assumersi creati-vamente ed artisticamente la respon-sabilità di un progetto, sarebbe stata la chiave per camminare su “La strada verso casa” (il direttore della fotografia ed il montatore di 29 anni, il musicista di 26, la costumista di 29, la casting di 28, il fonico di 25...). Poi andando avanti si sono aggiunte le persone che mancavano alla squadra, ed il caso ha voluto che anche i professionisti che si aggiungevano fosse sotto i 35 anni (lo scenografo di 29, la truccatrice di 23...), ed il filo conduttore under-35 è con-tinuato anche in post-produzione con un’orchestra giovanissima, così come il fonico di mix, o i grafici, o addirittura il

C’è molto di me in ogni personaggio. E c’è moltissimo di quello in cui credo, della vita che sento, in ogni personaggio. Immagino che chi mi conosca, lo senta e lo percepiscanitidamente.

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colorist. Un fatto curioso, cercato ed in qualche modo accaduto. In ogni caso un elemento che ha impreziosito il film, in un tempo dove le nuove generazioni trovano porte chiuse e spazio di azione ridotti a contratti ridicoli ed offerte prive di dignità.

Hai qualche aneddoto curioso ac-caduto durante le riprese del film che vuoi condividere con noi?

Difficile da individuarne di precisi. Mi viene in mente che le scene del mono-logo finale del film sono state girate già su musica (che il musicista aveva già composto sulla sceneggiatura). Ricordo questo fatto curioso: l’attore solo che recitava di fronte alla mac-china. L’operatrice commossa. E tutta la troupe di fronte al monitor che pian-geva. Un momento stranissimo, che abbiamo sentito tutti come vero.Oppure le scene girate sul furgone, seguendo i due protagonisti in vespa. Mi ricordo la volante della polizia in fondo alla strada, ed una fila infinita di macchine che in provincia, dove è

stato girato il film, non si era mai vista. E fuori dal set, il clima da gita che si respirava in albergo. L’ultima sera ab-biamo fatto il bagno in piscina, troupe ed attori, di notte. C’era qualcosa di unico che ci ha legato. Mi chiedo se il cinema può essere fatto così - ed ogni volta mi rispondo che forse è l’unico modo.

Una curiosità…sai che lo stesso ti-tolo è stato utilizzato dal regista ci-nese Zhang Yimou?

Lo so e lo sapevo anche mentre stavo scrivendo. Ma quella era il titolo che volevo. L’unico titolo che trovato giusto per il film. Non lo avrei mai cambiato.

Dove potremo vedere a breve “La strada verso casa”?

A dicembre saremo al Festival del Cinema Indipendente di Foggia ed al Festival del Film del Garda. A gennaio in Russia. E poi abbiamo altre richi-este, ma ancora sono trattative in via di definizione. Probabilmente Liguria in

primavera ed ancora Puglia, oltre che alcuni eventi speciali vicino Roma.

Qualche progetto futuro? Ci puoi anticipare qualcosa?

Con la mia squadra di fidati collabora-tori, Maria Rosaria Furio, direttore della fotografia, Giuseppe Cassaro, musicis-ta, Edgar Iacolenna, fonico, (alla quale si stanno aggiungendo nuovi compagni di viaggio) stiamo lavorando a due doc-umentari (uno sui partigiani, per non perdere l’ultima testimonianza orale di coloro che hanno fatto la guerra ed il nostro paese, l’altro in Puglia, ma su questo non posso ancora dire niente) e poi ho iniziato a scrivere il prossimo film (ma siamo ancora in una fase di suggestioni e di emozioni). So che ci saranno tematiche forti, molto crude e violenti, e ci sarà molto realismo. Altro non posso dire. Sono contento però perché in questi mesi ho conosciuto la nuova sceneggiatrice con cui sto scriv-endo, Iosella Di Porto, e si sta rivelan-do una risorsa emotiva fondamentale.

65Alessia Mocci

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paolo sorianiAd oggi la domanda non è “hai

una macchina fotografica?” ma piuttosto che App usi sul tuo

smartphone per fotografare?” ... si dice che siamo un pò tutti fotografi ormai con l’avvento delle nuove tecnologie e grazie ai prezzi decisamenti inferiori rispetto a qualche anno fa, che hanno senza dubbio reso accessibile a tutti un hobby elitario come la fotografia. Sba-gliato, o almeno in parte, perchè sele-zionare uno degli svariati filtri di Insta-gram non fa di “tutti” un fotografo, ma lo fa l’esperienza maturata in diversi anni di sperimentazione, lo fa la sensibilità di vedere oltre l’apparenza e catturare “quella luce” che tanti non saprebbero vedere, lo fa il coraggio di dare vita alle emozioni, lo fa lo studio della tecnica e la conoscenza dell’arte...

Paolo Soriani, fotografo, poeta e do-cente regala ai lettori di ASYOUARE la sua visione e opinione riguardo l’ arte della fotografia. Paolo Soriani, anno 1962, nasce e lavora nella capitale italiana dalla quale però recentemente si è spostato per trovare la genuinità e il silenzio della campagna orvietana. Dopo aver conseguito la laurea in Sto-ria dell’Arte Moderna nel 1987, decide di puntare tutto il suo futuro nella sua più grande passione, la fotografia, il che voleva significare il rifiuto di qual-siasi tipo di offerta lavorativa vantag-giosa ed economicamente garantita come quella del bancario e di conse-guenza incrementare le preoccupazio-ni dei familiari, che vedevano la strada dell’artista ricca di incertezze e disagi. Predilige la musica e i musicisti come soggetti delle sue opere e si guadagna la sua fama grazie ai ritratti di famosi jazzisti di livello internazionale quali Sonny Rollins, Dizzy Gillespie, Uri Cai-ne, Robben Ford, Ralph Towner, DJ Spooky, Stefano Bollani, Enrico Rava, Paolo Fresu, Maurizio Giammarco, Enrico Pieranunzi, Maria Pia de Vito e alle copertine che ha pubblicato con etichette musicali italiane e stranie-re come Warner, ECM e Label Blue. Collabora anche con le più importanti case editrici italiane per la realizza-zione di foto di architettura e di interni

per cataloghi e pubblicazioni. Negli ultimi anni ha tenuto seminari e corsi sulla fotografia presso l’Istituto di Sto-ria dell’Arte dell’Università di Roma e presso la sede romana dell’Iowa State University e attualmente è docente di Fotografia presso la John Cabot Uni-versity e L’Istituto Europeo di Design di Roma. Ha un’indole calma e genuina e la sua forte spiritualità a tratti definibile New Age, lo ha portato ad avvicinarsi al mondo della natura e della Madre Ter-ra, alla quale periodicamente, nel suo casale a pochi passi da Orvieto, dedica dei workshop che si concentrano nella fotografia del paesaggio e nella possi-bilità di esprimersi attraverso i colori (e non solo) della natura, per raccontare uno stato d’animo, un concetto o una sensazione. La sua intensa attività professionale è accompagnata da una costante ricerca artistica che lo ha visto protagonista di diversi eventi ed esposizioni sia per-sonali che collettive, in sedi come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma che ha acquistato alcune sue foto per la collezione permanente, il Museo Diffuso della Resistenza e del-la Deportazione di Torino e presso il Progetto Arti Visive del festival Interna-zionale “Time in Jazz” diretto da Paolo Fresu. Il suo biglietto da visita è il suo studio-laboratorio, un loft all’interno di un lanificio dismesso, suddiviso in 3 ambienti dove il colore della ruggine, il rumore del ventilatore a soffitto e le immense vetrate ormai opacizzate dal tempo che affacciano sull’Aniene, cre-ano insieme agli scaffali ricchi di libri e alla scrivania in radica, delle note ma-linconiche retrò che profumano di rum e sigaro.

Quando è avvenuto il primo appro-cio con la fotografia? Ti ricordi con quale macchina fotografica hai fatto il tuo primo scatto? E ora cosa usi?

Il mio incontro con la fotografia risale alla mia adolescenza. Sono cresciuto tra libri musica e fotografia, e a 13 anni ho avuto la mia prima macchina foto-grafica, una kodak “retinette” a teleme-tro. Poi la mia prima reflex a 14 anni,

una pentax spotmatic, i primi rullini in bianco e nero, e dopo poco la camera oscura, le ore in bagno a sviluppare e stampare. Avevo già deciso che quel-la sarebbe stata la mia vita…ora, a distanza di anni, continuo ad utilizza-re il tradizionale b/n in medio formato, affiancato al digitale nikon, e alla inse-parabile D3x.

Il movimento sonoro della musica fotografato dalla staticità dell’obiet-tivo... Una romantica sfida?

Diciamo piuttosto che sono un bigamo, e che l’amore per la musica è tale che cerco di rendere l’emozione del suono attraverso le mie immagini. Il fluire del tempo, caratteristica sostanziale della musica, rappresentato dall’attimo fug-gente della fotografia. Il frammento di-venta la rappresentazione di qualcosa che rimane ben oltre il momento del-la fruizione della musica, l’immagine dell’”esperienza” della musica.

Molti dei tuoi ritratti sono caratteriz-zati dalla tecnica del chiaroscuro, giochi di ombre e luci, il fascino mi-sterioso del vedo e non vedo... Può essere interpretato come esaltazio-ne della bilateralità dell’individuo

Il ritratto è lo specchio di un incontro tra due universi, il fotografo e il soggetto ritratto. Ciò che si vede non è sempli-cemente la rappresentazione di un vol-to, ma quella persona in quel luogo, in quel momento esatto della sua vita, di fronte al mio sguardo. E l’energia che si crea è ciò che rende ben riuscito un ritratto. E’ l’intimità che coinvolge due persone per un tempo definito, neces-sario affinché sia fermato dal click e restituito allo sguardo, dopo, come un figlio frutto di un amplesso.Concepisco Il ritratto in termini vicini al concetto michelangiolesco della scultura; pen-so che bisogna sempre togliere, scre-mare, arrivare all’essenza. Non faccio quasi mai uso di oggetti, accessori, tut-to deve risolversi nello sguardo e nell’ “essere nello spazio”.

Al di là dell’immagine. Fotografie dell’essenza nello spazio.

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67foto credit: PAOLO SORIANI

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foto credit: PAOLO SORIANI

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70foto credit: PAOLO SORIANI

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... Il ritratto è lo specchio di un incontro tra due universi,il fotografo e il soggetto ritratto ...

Sei una persona socialmente im-pegnata e politicamente corretta e il progetto “san tommaso is back”, nato da un’idea della cantautrice romana pilar lo conferma vedendoti coinvolto in molti aspetti...Raccon-taci di più di questa doverosa inizia-tiva

L’esperienza “s.tommaso is back”, cre-ata e sviluppata nello spazio di un mese prima dei referendum di giugno 2011, è la dimostrazione che agire sul mondo è possibile, è possibile lasciare un segno tangibile, e a volte anche cambiare le cose, trasformarle, renderle più vicine alla vita reale, meno astratte. Il gruppo è nato intorno ad un’idea e a pilar, che ne è diventata voce e testimonial. Arri-vare in poco tempo ad avere 500.000 contatti sul sito, e vedere l’iniziativa dif-fondersi in tutta italia spontaneamente fino ad avere decine di eventi musicali, teatrali, eno-gastronomici, riuniti sotto l’egida s.t.i.b. e del “io voto” è stato in-credibilmente bello. Un esempio di de-mocrazia diretta.

Con pilar oltre ad esserci una vera amicizia, c’è una grande stima pro-fessionale che vi ha portato a colla-borare in vari progetti...

Ilaria è un’artista di straordinarie quali-tà vocali, dotata di una sensibilità e di un esprit de finesse che le permette di muoversi in ambiti musicali diversi, dal pop d’autore alle canzoni rinascimen-tali ai lied con una naturalezza ed un equilibrio unici. Ho sposato il suo pro-getto artistico e sono entrato a far parte di una compagnia di artisti che nel cor-so di un anno e mezzo hanno lavora-to intorno al progetto “sartoria italiana fuori catalogo”, non solo il disco uscito a novembre 2011 per la artupart, ma alla produzione di scenografie, video-clip, materiale visivo per il booklet e per i concerti, come una piccola factory au-togestita. In genere preferisco lavorare intorno ad un progetto, piuttosto che vendere il singolo servizio. E’ così che

sono nate le collaborazioni con stefano bollani, che seguo da quasi 10 anni, con maria pia de vito, o con etichette nuove con le quali lavorare seguendo una linea coordinata, come con la gio-vanissima casa di produzione jando music, che in poco tempo ha pubbli-cato artisti del calibro di lenny white, clarence penn con max ionata, enzo pietropaoli ed il suo nuovo quartetto. Certo, aver avuto l’onore di pubblicare con la ecm e lavorare per jan garbarek e ralph towner, ed avere una propria foto sulla copertina di un disco di jaco pastorius mi ha dato una gioia incredi-bile, essendo cresciuto ascoltando la loro musica e sognando, ancora adolescente, di poter un giorno unire il mio nome al loro.

Fotografo doc, cresciu-to e maturato nell’ era della vera fotografia, quella analogica, fatta di camere oscure, acidi, rullini e focus manua-le...COME Vivi il pas-saggio al digitale? A che cosa non puoi rinuncia-re sul set foto-grafico?

Alla libertà di scegliere lo strumento giusto per ogni occasione. Lavoro in-differentemente con l’hasselblad e la mitica tri-x, la nikon digitale o la piccola fuji x10 a telemetro, il 6x7 su cavalletto e, lusso estremo, il caro vecchio banco ottico. Il digitale ha aperto nuove stra-de, abbiamo solo degli strumenti in più, ma ciò che conta è sempre l’idea che sottende lo scatto. Se c’è l’idea, lo stru-mento si sceglie di conseguenza.

Le immagini, le fotografie hanno infinite chiavi di lettura e molteplici messaggi e storie da raccontare... Qualè l’essenza vitale delle tue ope-re? Che cosa si nasconde dietro la

loro concretezza?

Mi considero un visionario, a me la realtà, la concretezza, l’esterio-rità, non mi interessano. Io cerco l’essenza, ciò che non si vede se non entrando dentro le cose. Ciò che rappresento è la mia visione del mondo, il mio percorso e la mia esperienza del mondo. Se il mondo

poi si riconosce nelle mie imma-gini…. Bingo!

Non solo musica però per te, caro paolo, ma anche affascinanti paesaggi e sensuali foto di moda e gla-mour...

La fotografia è una professione che ri-chiede scelte di cam-po. La figura umana mi affascina ed è il mio soggetto prefe-rito. I miei paesaggi sono paesaggi inte-riori, rappresenta-zioni di stati d’ani-mo, anche quando, come nel progetto/libro “l’assenza dei confini, l’essen-

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za dei confini”, ci si muove nell’ambito della rappresentazione/documentazio-ne. In realtà il “confine” è anch’esso un luogo/non luogo, uno spazio della mente.

Tra i set fotogrfici, la docenza di art direction ( è giusto? :) e fotografia all’università americana e allo ied, l’organizzazione di mostre ed eventi culturali riesci a ritagliare del tempo anche per altri progetti, come quello di “artspad photography, mosaics, stained glass & english”… di cosa si tratta precisamente?

Artspad è un luogo creativo, è un con-tenitore di idee ma soprattutto è una possibilità concreta di realizzare dei progetti. Uno spazio in mezzo alla campagna orvietana con la possibilità di ospitare fino a 12 persone, con stu-dio e laboratori e un open space che affaccia sul verde, il luogo ideale per far nascere collaborazioni. La parola d’ordine per il nuovo decennio è: fare. Attraverso l’organizzazione di wor-kshop, presentazioni, incontri a tema, e residenze d’artista, cerchiamo di far girare energia che si trasforma imme-diatamente in fatti concreti.Per chi volesse saperne di più ci trova su www.artspad.it o su facebook.

Grazie Paolo per la piacevoleintervista!

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Silvia Vettori

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Durante il tour di quest’anno, YUP, l’associazione di Univer-sitybox, ha incominciato la rac-

colta dei fondi per la costruzione di una scuola in Repubblica Dominicana. In-nanzitutto un ringraziamento va a tutti i ragazzi che hanno partecipato all’ini-ziativa contribuendo personalmente a questo progetto, nel quale noi credia-mo profondamente.

Pensate a voi oggi: siete all’apice del-la vostra carriera scolastica, quella universitaria, ma non dimenticate che ruolo importante ha ricoperto l’istruzio-ne primaria, la libertà di poter scrive-re ed esprimere chiaramente in vostri concetti, la costruzione della vostra capacità critica, la conoscenza della storia e della sua evoluzione. Il potere dell’istruzione è enorme in quanto per-mette alle persone di essere libere , di valutare, conoscere e sopratutto di di-stinguere. Purtroppo, al giorno d’oggi, esistono situazioni che negano questo delicato percorso. La Repubblica Do-minicana è un posto meraviglioso che sconta però una povertà disarmante nella quale la priorità all’istruzione è sostituita dalla ben più fondamentale possibilità di sostenere un pasto o una medicina.

Moltissime sono le ONG che operano negli stati più poveri per sopperire alla fornitura di generi di prima necessità e alla copertura delle attività assistenziali e mediche , il nostro contributo vuole sostenere quello in cui operiamo quoti-dianamente: l’istruzione. E’ una strada tutta in salita , poiché i problemi pratici e di tipo organizzativo sono molti, ma possiamo contare sul supporto del-le persone locali che con impegno e devozione ci aiutano a risolvere molti dei problemi ai quali andiamo incon-tro, come l’identificazione dell’area sul quale costruire.

E’ una piattaforma per il mondo dell’associazionismo studentesco

YUP ASSOCIAZIONE

Sostieni con noi e Tucano il progetto d’intervento in Repubblica Dominicana

In questi paesi infatti spesso il vero problema è capire di chi è la proprietà di un territorio.

Ma il grosso del lavoro lo fate voi con le vostre donazioni e con il supporto che ci date quando partecipate al tour. Con l’anno nuovo ripartono anche gli uni-versitybox tour nelle varie città e siamo certi che non ci farete mancare il vostro aiuto. A breve pubblicheremo sulle pa-gine di Universitybox dedicate all’asso-ciazione Yup, (yup.universitybox.com) il resoconto dei proventi destinati alla scuola.

Abbiamo tempo fino a giugno e contia-mo quando tornerete dalla pausa esti-va di poter portare i risultati del vostro e del nostro impegno a favore della scuola nella Repubblica Dominicana.

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asyouare oroscopoE’ giunta l’ora di cambiare vita e di aggiungere un po’ di pepe alla vostra quotidianità! Probabilmente chi vi è vicino non capirà questa vostra voglia di nuovo...ma pazienza!!! Osate, osate e ancora osate....solo così potrete ricevere una bella ventata di aria fresca in faccia!!!

AMORE: øøøSTUDIO: ΩΩSALUTE: ∞∞∞∞

Febbraio sarà un mese strepitoso!! Finalmente tutto quello che avete seminato lo scorso anno inizierà a dare i suoi frutti... starà solo a voi decidere se raccogliere o lasciar marcire... io, per non saper né leggere né scrivere visto il momento di crisi, raccoglierei, soprattutto verso marzo, che ne promette delle belle...

AMORE: øøø STUDIO: ΩΩ SALUTE: ∞∞∞

Mi piaci tu, mi piaci tu, mi piaci tu...ma come te lo devo dire!!!!! Diteglielo come volete, ma diteglielo!!! Basta star li come degli alani a sbavare...Agite. Dichiaratevi. Fatevi avanti. Proponetevi. Male che vada vi dirà di no!! Ma almeno la smetterete di farvi le pippe...mentali e non... AMORE: øø STUDIO: ΩΩΩ SALUTE: ∞∞∞∞

No, no, no, non ci siamo! Non ci siamo proprio! Basta piangervi addosso, su!!! Quel che è stato, è stato...anche se l’ultimo periodo non è stato dei più felici è arrivato il momento di rimettervi in piedi!! Ci sono grosse opportunità all’orizzonte...ce la potete fare!!! Crederci sempre..arrendersi mai!! Yeah!! AMORE: øøø STUDIO: ΩΩ SALUTE: ∞∞∞

Bisogna prendere il toro per le corna diceva qualcuno...Bene perchè questo mese, invece che per le corna, sarete presi per qualche cos’altro...fate quindi attenzione al vostro partner perchè, come diceva invece qualcun altro, qui gatta ci cova!!!! Occhi aperti amici! AMORE: ø STUDIO: ΩΩΩΩ SALUTE: ∞∞∞

Febbraio e marzo saranno memorabili e proficui. Sarete impegnati in diversi progetti e questo vi farà sentire vivi! Vi aspettano giornate molte intese ma ricche di soddisfazioni. State attenti, però, a non trascurare troppo gli affetti perchè il merito di questo fantastico momento è anche delle persone che vi sono vicine. AMORE: øøøø STUDIO: ΩΩ SALUTE: ∞∞∞

Queste mese dovrete darvi una calmata!! State spendendo troppo tempo in cose futili che vi porteranno a bene poco. Riprendete la concentrazione focalizzandovi sulle priorità del momento. Solo così potrete sperare di essere ancora ufficialmente i Re della Savana!!!

AMORE: øøSTUDIO: ΩSALUTE: ∞∞∞

Beh ma che ve lo dico a fare!!!! Siete i Re e le Regine di questo febbraio, più splendidi che mai! Belli, raggianti, accattivanti, intelligenti, motivati e in forma smagliante...direi che per rispetto agli altri segni zodiacali mi fermerei qui...Continuate così anche a marzo, altra positività in arrivo!

AMORE: øøøøSTUDIO: ΩΩΩΩSALUTE: ∞∞∞∞

C’è il rischio che nel mese di febbraio/marzo la vostra vita sarà pervasa dall’ammmore!!! Non vorrete mica rischiare di farvi trovare impreparati??? Per le donne: fissate tutti gli appuntamenti da estetiste e parrucchieri!! Per gli uomini: pompatevi un po’ in palestra e i calzini bianchi lasciateli nel cassetto!!

AMORE: øøøøSTUDIO: ΩSALUTE: ∞∞∞∞

Avete passato dei periodi migliori!!! Anche febbraio sarà tutto in salita, mi spiace per voi!! Non vi resta che tirare fuori la grinta che vi contraddistingue da sempre, stringere i denti ed iniziare la scalata...tanto poi si sa, dopo una salita ci sarà sempre una discesa e a marzo potreste iniziare a percorrerla...

AMORE: øøSTUDIO: ΩSALUTE: ∞

Come siete gelosiii... Delle e vere proprie piaghe! La parola d’ordine di questo mese sarà: fiducia! Fidatevi di chi vi è più vicino e vedrete che non sarete traditi. Ovvio, ricordatevi sempre dell’eccezione che conferma la regola! Non sarete mica voi quest’eccezione?! Ops, mi sa che ve l’ho gufata! AMORE: øøø STUDIO: ΩΩΩ SALUTE: ∞∞∞∞

Anche per voi, cari pesciolini miei, febbraio sarà un mese splendido e continuerà per tutto marzo!! La parola d’ordine di questo mese sarà infatti AMORE!!! Chi è già in coppia vivrà dei momenti romanticissimissimi...per tutti i single, invece, vedo e prevedo l’arrivo della vostra anima gemella... AMORE: øøøø STUDIO: ΩΩΩΩ SALUTE: ∞∞∞

ARIETE

BILANCIA

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VERGINE

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