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Omaggio a Escher Numero 5/2005-2006 ART IN THE AGE OF VISUAL CULTURE AND THE IMAGE

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Omaggio a Escher

Numero 5/2005-2006

ART IN THE AGE OF VISUAL CULTURE AND THE IMAGE

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ISSN 1720-3716 Published in Led on Line - Electronic Archive by LED - Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto - Milano http://www.ledonline.it/leitmotiv/ Febbraio 2006

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Comitato Scientifico Elio Franzini (Università di Milano)

Gabriele Scaramuzza (Università di Milano) † Paolo Bagni (Università di Bologna)

Redattore capo

Andrea Pinotti (Università di Milano)

Redazione Chiara Cappelletto (Università di Milano)

Valentina Flak (Università di Milano) Micla Petrelli (Università di Bologna) Laura Scarpat (Università di Milano)

E-mail [email protected]

Numero 5 / 2005-2006

ART IN THE AGE OF VISUAL CULTURE AND THE IMAGE

Andrea Pinotti 7Introduction

1. Hubert Locher 11Talking or not talking about ‘Art with a capital A’:Gombrich – Schlosser – Warburg

2. Antonio Somaini 25On the ‘Scopic Regime’

3. Matthew Rampley 39Visual Culture: a Post-colonial Concept

4. Peter J. Schneemann 51Critical Constellations. When Art Questions the Image

5. Itay Sapir 67The Destruction of Painting:an Art History for Art that resists History

6. Michael Lafferty 77The End of Art: Intentionality and Intensionality

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7. Anders Michelsen 89Nothing has Meaning outside Discourse? On the Creative Dimension of Visuality

8. Dan Karlholm 115Reality Art: the Case of Oda Projesi

9. Eliane Escoubas 125Iconology and Ontology of the Image

10. Claudia Cieri Via 135L’immagine e la soglia del silenzio. Dall’opera d’arte alla processualità formativa

Contents

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10.

Claudia Cieri Via

L’immagine e la soglia del silenzio.Dall’opera d’arte alla processualità formativa

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Negli anni Ottanta del Novecento una serie di studi si ponevano il problemadella fine dell’arte e/o della storia dell’arte: da Hans Belting a Victor Burginad Arthur Danto. Il 15 febbraio del 1979 tale problema era stato al centro diuna performance di un artista contemporaneo, Hervé Fischer, al Centre Pompi-dou di Parigi. Due anni dopo lo stesso artista pubblicava un libro dal titoloL’Histoire de l’art est terminée, affermando in realtà che «l’arte non è morta, mache ciò che è finito è la sua storia come progresso verso il nuovo». Tale affer-mazione è stata chiamata in causa da Hans Belting per le sue considerazionicritiche non solo sull’arte contemporanea, ma sulla concezione storiograficaevolutiva della storia dell’arte sul modello delle Vite vasariane. Nella sua per-formance Hervé Fischer metteva in discussione la dimensione spazio-tempo-rale dell’arte per affermare il carattere vitalistico del presente, sostituendol’oggetto artistico con l’avvenimento: «D’ora in poi liberi dall’illusione geome-trica, attenti alle energie del presente, entriamo nell’era degli avvenimenti, del-l’arte post-storica, della meta-arte».

Come storica e iconologa, interessata agli aspetti originari dei fenomenistorico-artistici e alla riflessione teorico-critica, vorrei tentare di rintracciare lefonti di questo processo e fare qualche considerazione e riflessione sull’attua-le situazione dell’arte, della sua morte o della sua vita.

Vorrei partire dalla celebre affermazione «Ogni pittore dipinge sé stes-so» – attribuita a Cosimo de’ Medici, a Savonarola e a Leonardo –, che nel

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corso del Quattrocento rispondeva alle problematiche fondamentali dell’artenelle esigenze ora mimetiche ora idealizzanti e simboliche, in termini ancheplatonici; un’affermazione che chiama in causa l’autoritratto, un genere artisti-co che si andava affermando in quel periodo contestualmente all’emancipa-zione dell’artista che dalla sua condizione di artigiano raggiungeva quella diartista intellettuale.

L’autoritratto dell’artista nasce come emergenza dal gruppo degli astantinella pittura narrativa del Quattrocento, come nell’Adorazione dei Magi di Bot-ticelli (fig. 1). In questo dipinto il ritratto dell’artista si connota per un im-provviso movimento del volto verso lo spettatore, estraniandosi così dallastoria raccontata e cogliendo, in una sorta di ‘fermo-immagine’, l’istante tem-porale che condensa ed esprime la sua vitalità reale e contemporanea. Talemeccanismo era frutto di un’operazione artigianale sperimentata dall’artistaattraverso l’uso dello specchio e messa a punto nell’autoritratto autonomo alfine di cogliere nella simultaneità delle vedute l’effetto tridimensionale dellascultura: «La pittura è pari alla scultura nel mostrare attraverso superfici riflet-tenti le diverse vedute di una figura». In tale procedimento tecnico-artigianale,attribuito a Giorgione, si metteva a fuoco l’esigenza da parte dell’artista di ‘ri-trarsi al naturale’ riflettendo la propria immagine nella stessa operazione arti-stica. Non è un caso dunque che Leon Battista Alberti, nell’esordio del secon-do libro Della pittura, avesse identificato la nascita della pittura nel ritratto, af-fermando: «Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice del-l’amicizia, quali fa li huomini assenti essere presenti ma più i morti dopo mol-ti secoli essere quasi vivi, tale che con molta admiratione del artefice et conmolta voluptà si riconoscono vivi». Questo passo introduce il ruolo del pitto-re in termini di divino creatore: «Adunque – continua in proposito Alberti –in sé tiene queste lodi la pittura che qual sia pittore maestro vedrà le sue ope-re essere adorate e sentirà sé quasi giudicato un altro Iddio».

Nel 1500 Albrecht Dürer, nel suo ieratico autoritratto di Monaco (fig. 2),non esiterà a identificarsi con la divinità creatrice, sottolineando sapientemen-te, attraverso la mimesis, il valore divino dell’operazione artistica in quanto attocreativo: «Io Albrecht Durer, all’età di 28 anni, con colori eterni ho creato mestesso a mia immagine e somiglianza».

Tale affermazione trova una straordinaria sopravvivenza nelle parole diBarnett Neuman che, in occasione dell’introduzione a una mostra d’arte in-diana, affermava che fu «un’immagine di Dio, e non un oggetto d’argilla laprima creazione manuale dell’uomo» (B. Neumann, The first Man was an artist,1947).

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L’origine della pittura, che si riconduce al noto passaggio di Plinio nellaNaturalis Historia, risale all’uso di «contorniare l’ombra umana con una linea».Il tema dell’ombra come immagine dell’artista che, proiettandosi sulla suaopera s’identifica con essa, trova un’interessante elaborazione – dopo la stori-ca interpretazione vasariana nell’autoritratto della sua casa di Arezzo – fra Ot-tocento e Novecento, nell’immagine fotografica di Monet (Parigi, Coll. Philip-pe Piguet, 1905) che viene assorbita nei «paesaggi d’acqua e di riflessi» e nelleversioni di Picasso del pittore e la modella (New York, Museum of ModernArt, 1928, fig. 3).

Ma il gesto del contorniare l’ombra con una linea dunque era diventatoun atto simbolico della creazione artistica nella trattatistica quattrocentescacon un valore concettuale. Scrive Leon Battista Alberti in proposito nel DePictura: «Ma qui non molto si richiede sapere quali prima fussero inventoridell’arte o pittori che poi non come Plinio recitiamo storie, ma di nuovo fab-brichiamo un’arte di pittura, della quale in questa età, quale io vegga, nulla sitruova scritto».

L’atto teorico che dunque sottende alla rappresentazione artistica consi-ste nella inventio, che Leon Battista Alberti definisce nel II libro del De Pictura«circumscriptio», vale a dire «quella che descriva l’attorniare dell’orlo nella pictu-ra». L’immagine metaforica di questo ductus mentale è ovviamente «quel Nar-ciso convertito in fiore, essere della pittura stato inventore». La circoscrizione èdunque per Alberti quell’abbracciare con arte quella superficie della fonte, chedescrive dunque l’attorniare dell’orlo secondo un processo cinetico-concet-tuale della rappresentazione artistica: «Segno con impegno il mio circulo nellapittura guidando la linea da termine a termine».

Il processo della de-lineazione dell’immagine nella definizione di unconcetto, in termini albertiani, trova dei riflessi nelle elaborazioni teoriche diAby Warburg impegnate sul problema della creazione artistica. Nell’introdu-zione all’Atlante della Memoria, ripercorrendo il processo della creazione artisti-ca – fra impressione, espressione e rappresentazione – Aby Warburg conclu-deva:

Nella regione dell’esaltazione orgiastica di massa va cercata la matrice che incul-ca nella memoria le forme espressive della massima esaltazione interiore espri-mibile nel linguaggio gestuale con un’intensità tale che questi engrammi del-l’esperienza emotiva sopravvivono come patrimonio ereditario della memoria edefiniscono esemplarmente il contorno creato dalla mano dell’artista quando ivalori massimi del linguaggio gestuale vogliano pervenire alla luce delle formein virtù di quella stessa mano.

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Il valore performativo della linea ha origine nel gesto dell’artista nella contesafra Apelle e Protogene, descritta ancora da Plinio nella Naturalis Historia. Il rac-conto di Plinio su Apelle e Protogene, nel costituire l’atto fondativo della pittu-ra, investe il problema rappresentativo in termini stilistico-processuali piuttostoche descrittivi e storico-narrativi. Nel noto racconto di Plinio nel XXXV librodella Naturalis Historia si parte dalla tavola preparata da Protogene sulla qualeApelle «preso un pennello tracciò una linea colorata estremamente sottile all’in-terno della quale Protogene, al suo ritorno, tracciò una linea più sottile di altrocolore finché Apelle all’intersezione fra le due linee ne tracciò una terza non la-sciando più spazio ad un tratto più sottile». Analizzando questo aneddoto pos-siamo rilevare subito che già nell’esordio ci si trova di fronte a un’identificazio-ne del pittore col processo artistico che si manifesta nel gesto. Infatti nel rac-conto della contesa fra Protogene e Apelle, quando la vecchia nutrice di Proto-gene chiese ad Apelle di lasciar detto chi fosse, la risposta di Apelle fu: «Que-sto! E tracciò nel quadro di notevole dimensione posto su un cavalletto una li-nea». La superficie del quadro costituisce il primo impatto rispetto al procedi-mento artistico che si viene svolgendo nella competizione fra i due artisti. Scri-ve in proposito David Rosand nell’esordio del suo studio sulla «traccia dell’arti-sta» del 1998: «Il significato più profondo risiede nella superficie»; e ancora:«Tracciare una linea è l’atto fondamentale della creazione dell’immagine».

«La linea – scriveva Wassily Kandinsky nel 1926 in Punto, linea e superficie– è la traccia del punto in movimento […], nasce dal movimento e precisa-mente dalla distruzione del punto, della sua quiete estrema, in sé conchiusa».Anche Paul Klee, nel Pädagogisches Skizzenbuch, rileva il valore attivo della lineacome forza autonoma e libero processo, che si muove senza meta: «Il movi-mento originario, l’agente è un punto che si pone in movimento (genesi dellaforma), ne deriva una linea». «L’agente di questo moto è il punto che avanza».L’atto grafico ha dunque una dimensione attiva performativa, il disegno de-fi-nisce il modello teorico concettuale del visibile. Tali considerazioni si rintrac-ciano nel pensiero di Leonardo, che alla dimensione spaziale della linea colle-ga quella temporale: «Il punto nel tempo è da essere equiparato al suo istantee la linea alla similitudine colla lunghezza d’una quantità di tempo e siccome ipunti sono principio e fine della predetta linea, così li istanti sono termine eprincipio di qualunque dato spatio di tempo».

Tracciare una linea è dunque l’atto fondante della figurazione: «La manche ubbidisce all’intelletto». Da Albrecht Dürer a Klee a Man Ray e a Picasso(figg. 4, 5, 6), la dialettica fra mano e intelletto informa l’elaborazione artisticae dunque intellettuale dei loro autoritratti.

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Nell’Elogio della mano (1934) Henri Focillon scriveva:

Mi accingo ad intraprendere questo elogio della mano così come si adempie aun dovere di amicizia. Nel momento in cui inizio a scrivere vedo le mie maniche sollecitano, che stimolano la mia mente. Eccole compagne instancabili cheper tanti anni hanno assolto al loro compito, l’una tenendo fermo il foglio, l’al-tra moltiplicando sulla pagina bianca quei piccoli segni scuri, fitti, persistenti.Grazie ad essi l’uomo prende contatto con la dura consistenza del pensiero, ar-riva a forzarne il blocco. Sono le mani ad imporre una forma, un contorno enella scrittura, uno stile.

La linea, il segno si pongono dunque come meccanismi di auto-rappresenta-zione e dunque di presentazione – nel segno – del processo formativo, po-nendo sullo stesso piano la scrittura e il disegno 1.

Il valore intellettuale del disegno, nel processo artistico, risale a CenninoCennini: «El fondamento dell’arte e di tutti questi lavori di mano è il dise-gno», e trova continuità nei teorici rinascimentali. Leonardo scriveva: «Sai cheti avverrà praticando il disegno di penna, che ti farà sperto pratico e capace dimolto disegno entro la testa tua»; ma il disegnare corrisponde anche al ricor-dare, è un «modo di imparare ben a mente», scriveva ancora Leonardo, checonferiva al disegno un valore progettuale e processuale: «L’azione dellamano del disegnatore proietta i movimenti appropriati alli accadimenti menta-li delle sue figure immaginate».

Leonardo impone un ordine grafico alle forze apparentemente caotichedella natura: «Perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nove invenzioni».La configurazione dinamica della spirale organizza simultaneamente la perce-zione dell’occhio che guarda e il movimento della mano che disegna; nei dise-gni dell’acqua, dell’aria, dei fiori Leonardo esprime il suo pensiero morfologi-co; nei disegni del Diluvio il sistema dinamico della linea segue le trasformazio-ni nel tempo; l’atto artistico si pone come processo della natura; il «componi-mento inculto» ha già in sé la forma che vi si cerca: «Ed in effetti ciò che è nel-l’universo per essenza, presenza o immaginazione il pittore lo ha prima nellamente e poi nelle mani e quelle sono di tanta eccellenza che in pari tempo ge-nerano una proporzionata armonia in un sol sguardo qual fanno le cose».

Le riflessioni di Leonardo sulla processualità della formazione, legata almovimento e alla temporalità, ci introducono al pensiero di Paul Klee e alla

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1 Cfr. Leonardo, Studi di teste e macchine, Firenze Uffizi, Gabinetto di disegni e stampe.

sua teoria della forma e della figurazione: «La formazione determina la formae pertanto la trascende. […] Formazione è movimento, è atto, è vita». Nelpassaggio dal caos al cosmo riecheggia quel fondo di progettualità in fieri del«componimento inculto» di Leonardo, che non si definisce, ma vive nel suomovimento in fieri. Alla dimensione temporale della processualità formativafarà riferimento Emile Benveniste, che scriveva: «Il rhytmos designa la formanell’istante in cui è assunta perché è in movimento, morbida e fluida» 2.

Sul rapporto spazio-temporale della processualità formativa, in relazioneal movimento, rifletteva già Goethe in un passo del suo scritto sul Laocoonte,pubblicato nel 1798: «È la rappresentazione dell’attimo che rende quest’operad’arte estremamente significativa. Perché un’opera si animi realmente davantiai nostri occhi occorre scegliere un momento transitorio». Su tali riflessioni sisoffermerà Aby Warburg quando, in data 24 aprile 1890 sotto la titolazioneQuestioni di estetica, si poneva le seguenti domande: «Da dove viene il movi-mento? Che cosa esige lo statico? Quando esso è in uso, e ancora qual è la di-rezione del movimento, quale l’obbiettivo dell’immagine statica?» 3.

Sul concetto di transitorietà Aby Warburg tornò alla fine della sua vita,quando decise di partecipare al Congresso di Estetica, tenutosi ad Amburgonel 1930, sul tema ‘Tempo e Spazio’. Purtroppo la sua comunicazione, cheaveva per titolo Il problema della transitorietà, non ha mai avuto luogo, essendolo studioso morto pochi mesi prima. Al problema del movimento Fritz Saxldedicherà alcune illuminanti osservazioni nel suo saggio del 1932 dal titoloAtteggiamenti espressivi dell’arte figurativa, prendendo le mosse dalle riflessioni delmaestro e facendo riferimento a Charles Darwin (The Expressions of the Emo-tions in Man and Animals, 1872); questi, lamentando a sua volta lo scarso reali-smo e la mancanza di vitalità che aveva riscontrato nelle opere d’arte, annota-va con una certa delusione:

Avevo sperato di trovare e di ottenere un grande aiuto dai grandi maestri dellapittura e della scultura, che sono osservatori tanto acuti. Ho dunque osservatofotografie e incisioni di numerose opere d’arte generalmente note, ma tranneche per poche eccezioni non ne ho tratto alcun giovamento.

Così Saxl concludeva in proposito:

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2 E. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Paris 1966.3 A. Warburg, Grundlegende Bruchstücke zu einer pragmatischen Ausdruckskunde, A.W.43.1,

nn. 95 e 96.

L’arte non offre [alla psicologia], dunque indubbiamente, un vasto campo d’in-dagine. È piuttosto la ripresa cinematografica a fornirle un servizio mille voltemigliore di quanto non possa fare l’arte. Darwin poteva quindi ottenere che leproprie esposizioni fossero suffragate non già da opere d’arte, quanto invecedalla documentazione di fotografie istantanee. 4

Un’anticipazione di tale riflessione è contenuta negli appunti di Aby Warburgdel 29 settembre 1890 dedicati «all’attribuzione del movimento»: «Per conferi-re movimento a una figura immota, occorre risvegliare una sequenza di im-magini vissute – non un’immagine unica: perdita dell’osservazione statica». Eallo Spettatore e l’abito: «Nel caso di un abito in movimento, ogni parte del con-torno appariva come traccia di una persona che si muove in avanti, che si se-gua passo passo» 5.

Questa osservazione anticipa di oltre dieci anni la descrizione della ninfasul rilievo antico nella Gradiva di Jensen:

Così la giovane donna non colpiva tanto per una sua bellezza plastica; piuttostopossedeva qualcosa che è raro trovare in qualche scultura marmorea; una grazianaturale, semplice, virginea, che sembrava infondere vita all’immagine di pietra.Vi contribuiva notevolmente il movimento in cui la giovane donna era rappre-sentata. […] Questo librarsi quasi in volo congiunto alla sicurezza dell’incedereconferiva all’immagine la sua grazia specifica; quale migliore denominazione diquesta immagine ideale se non Gradiva, ‘colei che avanza’? 6

Le domande dunque che Aby Warburg si poneva nelle sue riflessioni giovani-li riguardavano la rappresentazione artistica in rapporto alla realtà naturaleche è sempre in movimento e che determina un impulso emotivo sull’artistacreatore così come sull’osservatore. Warburg si interrogava dunque su unaproblematica fondativa della concezione dell’arte, tanto più importante e inte-ressante in un’epoca di grandi rivolgimenti nella ricerca artistica e di dibattitosullo statuto dell’arte e della storia dell’arte.

In proposito, ancora con riferimento a Lessing, Paul Klee scriveva:

Ogni divenire si fonda sul movimento. Nel Laocoonte (fig. 7) Lessing riservamolta attenzione alla differenza tra arte del tempo e arte dello spazio. Ma a

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4 F. Saxl, Die Ausdruckgebärden der bildenden Kunst, 1932.5 A. Warburg, Grundlegende Bruchstücke zu einer pragmatischen Ausdruckskunde, A.W.43.1,

nn. 95 e 96.6 W. Jensen, Gradiva, 1903.

guardar bene si tratta solo di una brillante illusione. Perché lo spazio è ancheuna nozione temporale […], solo il punto morto è intemporale. Anche nell’uni-verso il movimento persiste a tutto […]. Il racconto biblico della genesi offreun’ottima parabola del movimento grazie alla quale la Creazione attinge una di-mensione storica. Anche l’opera d’arte è prima di tutto genesi; mai afferrabilesemplicemente come prodotto.

Sulle condizioni psicologiche della fruizione artistica Warburg scriveva daMonaco in data 22 giugno 1888:

Offrendosi sempre all’osservatore – contrariamente alle leggi della vita – comeimmagine cristallizzata di un momento in realtà fuggevole, il prodotto artisticoconsente all’osservatore di tentare di verificare la vitalità dell’opera d’arte desu-mendone le intrinseche qualità da questa o quella caratteristica superficiale. 7

Anche questa affermazione rimanda alla bella immagine poetica di Goetheche definisce ancora il gruppo del Laocoonte «un’onda pietrificata nell’istantein cui s’infrange sulla riva». Nella realtà l’azione si svolge nel tempo e nellospazio; l’immagine/l’oggetto artistico deve invece necessariamente sussume-re/assorbire in un’unità spazio-temporale immediata l’evento, per farsi imma-gine visibile del processo performativo, nel rendere visibile l’invisibile. In pro-posito Warburg scriveva in data 7 settembre 1890: «L’occhio segue le figurecon i movimenti dello sguardo per mantenere viva l’illusione, come se l’ogget-to fosse in movimento» 8.

Su queste prime riflessioni s’innesta il concetto warburghiano di Patho-sformel col quale si indicano quelle formule gestuali e patetiche dell’arte classi-ca, ma anche della ritualità primitiva, che ritornano e sopravvivono nell’arteoccidentale e nella cultura contemporanea e che implicano quella polarità frapathos ed ethos che si rintraccia fin dai suoi appunti inediti, raccolti sotto la ti-tolazione Symbolismus als Umfangsbestimmung, nei quali Warburg delineava lacontrapposizione fra la dimensione dinamica/patetica e la dimensione stati-ca/etica, fra movimento e quiete, fra dionisiaco e apollineo di matrice nietz-scheana, visualizzata nella forma di un albero dal cui tronco germogliano duerami. Tale immagine simbolica si può spiegare alla luce di ciò che Warburgscriverà più tardi nel saggio del 1914 dedicato alla sopravvivenza dell’anticonel Rinascimento (L’ingresso dello stile ideale anticheggiante):

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7 A. Warburg, Grundlegende Bruchstücke, WIA, 43.1.2.1, n. 3, 22.VI.1888.8 A. Warburg, Grundlegende Bruchstücke, 7.IX.1890.

Gli studi sulle religioni dell’antichità greco-romana ci insegnano sempre più aguardare l’antichità quasi simboleggiata in un’erma bifronte di Apollo e Dioni-so. L’ethos apollineo germoglia insieme con il pathos dionisiaco quasi come unduplice ramo da un medesimo tronco radicato nelle misteriose profondità dellaterramadre greca.

Negli appunti raccolti fra il 1905 e il 1911, sotto la denominazione SchemataPathosformeln, Warburg elencava quei topoi – dall’inseguimento, al rapimento,alla morte, al lamento sulla morte al trionfo – sui quali impernia la sua rifles-sione a proposito delle «formule di pathos», che si esprimono in immaginisimboliche e contengono in sé valori e forze patetiche contrapposte: «In ognisimbolo risiede contemporaneamente ed egualmente un elemento di aggres-sione [amfassendes] e un elemento di conservazione [zurückstossendes]», scriveràWarburg negli appunti del 1928, raccolti sotto il titolo: Pathos, Pneuma und Pola-rität.

Queste riflessioni trovano una certa continuità nel pensiero di Focillon,che definiva lo stile classico un istante di pieno possesso delle forme comel’akmé dei Greci, ma anche nei Passages di Benjamin dove si legge:

È il presente che polarizza l’accadere in pre e post-storia […]. L’immagine dia-lettica è un’immagine balenante. Ciò che è stato va trattenuto, così come un’im-magine che balena nell’adesso della conoscibilità […]; l’immagine è la dialetticanell’immobilità.

E Fritz Saxl nel 1932, ritornando sul concetto di topos a proposito della for-mulazione delle Pathosformeln da parte di Aby Warburg, scriverà:

Si tratta principalmente di fenomeni di cristallizzazione di forme espressive co-stanti, così come della loro trasformazione e del loro riutilizzo in successivi sta-di della storia dell’umanità. 9

La ricerca di Aby Warburg, volta all’individuazione di elementi significativinell’ambito della psicologia dell’espressione – si pensi all’Atlante della memo-ria –, trova dei punti di contatto con quelle elaborazioni teoriche e quelle spe-rimentazioni degli artisti che nel Novecento erano interessate alla individua-zione di linguaggi discreti, di segni significanti di operazioni concettuali al dilà della rappresentazione. Nel 1931 Wassily Kandinsky nelle sue Riflessioni sul-

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9 F. Saxl, Die Ausdruckgebärden der bildenden Kunst, 1932.

l’arte astratta scriveva: «Il pittore aveva bisogno di oggetti discreti, silenziosiquasi insignificanti; come è silenziosa una mela in rapporto al Laocoonte. Uncircolo è ancora più silenzioso» (fig. 8). Tale lettura ‘minimalista’ ci riporta alsignificato simbolico di quel concetto di Umrissbestimmung al quale Aby War-burg dedica alcune riflessioni nei primi anni del Novecento. Sotto la titolazio-ne Symbolismus als Umfangsbestimmung Warburg raccoglie una serie di appuntisul valore concettuale delle operazioni artistiche in cui il segno che definisceuna forma nello spazio e nel tempo riflette quella processualità artistica dimatrice albertiana volta a cogliere quella carica concettuale che si esprime nel-l’afferrare [ergreifen], nel com-prendere e dunque nella definizione di un con-cetto [Begriff].

Vicino alla polarità warburghiana si articola anche il pensiero di PaulKlee. Nei concetti introduttivi alla Teoria della figurazione Klee scrive:

Il caos quale antitesi non è il caos originario […]. L’autentico caos non potràmai essere messo sul piatto di una bilancia, ma per sempre resterà imponderabi-le e incommensurabile. Il simbolo rappresentativo di questo ‘inconcepibile’ è ilpunto, il quale in realtà non è affatto un punto […], ma si approda piuttosto alconcetto di grigio, al punto cruciale fra divenire e svanire: il punto grigio. Que-sto punto è grigio perché non è né bianco né nero, ovvero perché è sia biancosia nero.

La formazione nella ricerca di Klee è genesi nel tentativo di rendere visibilel’invisibile, di rivelare l’essenza interiore alle radici degli elementi primari eoriginari; quel che interessa Klee dunque non è la forma ma quel processo diformazione che ci rende partecipi della creazione come genesi; è dunque quelricercare la forma sotto la formazione.

Su analoghe riflessioni si sofferma Aby Warburg nella sua analisi del-l’opera di Leonardo, meditando di nuovo sul problema della linea, che in Leo-nardo non può prescindere dalla luce e dall’ombra e dunque dal chiaroscuro:

Il problema che Leonardo si poneva – è meglio disegnare tenendo a modello lanatura o l’antico, è più difficile il contorno o il chiaroscuro? – è il passaggio dauna concezione lineare a una concezione puramente pittorica. Divenuto espertodei netti contorni lineari del corpo in movimento e della precisa articolazionedel corpo in quiete – in parte grazie allo studio dei profili classici –, Leonardopassò a problemi ben diversi, come se avesse imparato il vocabolario e la gram-matica di una lingua e cercasse ora un’espressione abbreviata e concisa, unanuova sintassi. Al posto del contorno dettagliato, descrittivo cercava la notazio-ne breve, accentuata del chiaroscuro [...], sotto la sua mano magica l’ombra leg-

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gera diveniva il mezzo d’espressione con cui poteva evidenziare e nascondere ilcorpo nelle sue più sottili sfumature. Né prima né dopo alcuno ha possedutoquesta capacità di usare l’ombra come un colore silenzioso, come un mezzoperfetto per trasmettere la vita interiore degli esseri umani e per lasciarli parlareattraverso il loro silenzio. 10

Al rumore del Laocoonte si oppone l’essenzialità concettuale del cerchio; cosìal colore si oppone il grigio, il chiaroscuro quale momento dialettico fra bian-co e nero. Il silenzio si configura dunque come una soglia, un punto di equili-brio, l’arresto fra due movimenti, fra il passato, la memoria e il presente, fral’istante e il divenire, come i phantasmata nella danza di Domenico da Piacenzaevocati da Agamben nel suo recente saggio sulla ninfa:

La danza è dunque per Domenico da Piacenza essenzialmente un’operazionecondotta sulla memoria, una composizione dei fantasmi in una serie temporal-mente e spazialmente ordinata. Il vero luogo del danzatore non è nel corpo enel suo movimento, bensì nell’immagine come capo di Medusa, come pausanon immobile, ma carica insieme di memoria e di energia dinamica. Ma ciò si-gnifica che l’essenza della danza non è più il movimento, è il tempo.

La danza è una metafora molto interessante per Aby Warburg, per le sue ri-flessioni sul movimento come espressione nelle immagini cristallizzate, checorre lungo tutta la sua ricerca intellettuale 11.

Ma il silenzio si pone anche come la soglia fra il visibile e l’invisibile, frail caos e il cosmo, in quegli spazi intermedi nei quali Klee trovava il suo veroambiente, come si legge nei Diarii: «Nel mondo terreno non mi si può affer-rare poiché io abito altrettanto tra i morti come tra i non nati. Più vicino delconsueto al cuore della creazione e ancora troppo poco vicino».

Un’analoga dimensione si può cogliere in Aby Warburg e nel suo con-cetto di Zwischenraum o di Denkraum. Infatti secondo lo studioso l’immagineartistica appartiene a quell’ambito intermedio in cui si radicano i simboli fra ildinamismo della realtà e la staticità della regola e dell’astrazione, fra il pathos el’ethos nel tentativo di superare quella tragica tensione fra il pensiero magicoistintivo e la logica discorsiva; poli fra i quali si muoveva il suo pensiero giànegli anni ’90. Tra questi due stadi si situa un rapporto, definibile come la for-

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10 A. Warburg, WIA, 50.1, Leonardo Lectures II, Hamburg, 1899-1901, 74-77.11 Si veda C. Cieri Via, Aby Warburg e la danza ‘come puro atto della metamorfosi’, in «Qua-

derni Warburg» (2005).

ma simbolica del pensiero, che in una nota del 1929 a conclusione della suavita Warburg definirà come «iconologia dell’intervallo».

Anche Walter Benjamin riconduce allo spazio del pensiero la sua rifles-sione sull’immagine dialettica:

Al pensiero appartiene tanto il movimento quanto l’arresto dei pensieri. Làdove il pensiero si arresta in una costellazione satura di tensioni appare l’imma-gine dialettica [Stillstand]. Essa è la cesura nel movimento del pensiero. Natural-mente il suo non è un luogo qualsiasi. In breve essa va cercata là dove la tensio-ne fra gli opposti dialettici è al massimo.

Le elaborazioni teoriche del primo Novecento, nel recuperare gli elementifondativi e archetipici della cultura classica anche nella rielaborazione rinasci-mentale, pongono le radici per la riflessione contemporanea sull’arte e sulprocesso artistico. Già negli anni Cinquanta Harold Rosenberg scriveva:

Una pittura che è atto risulterà inseparabile dalla biografia dell’artista. La pitturastessa è un momento nel miscuglio composito della sua vita, sebbene il termine‘momento’ indichi tanto i pochi minuti effettivamente impiegati attorno alla telaquanto l’intera durata di un lucido dramma espresso nel linguaggio dei segni. Lapittura d’azione ha la stessa metafisica sostanza dell’esistenza dell’artista: la nuo-va pittura insomma ha solo tolto via ogni separazione fra arte e vita.

A partire dagli anni Sessanta la videoarte costituisce la più efficace manifesta-zione del processo performativo: dall’immobilità al movimento, dall’oggettoall’immaterialità, dalla materia all’evento, dal dato fisico alla fluidità, senzaperdere le radici antiche che hanno connotato l’identificazione dell’arte conl’operazione artistica fin dal Rinascimento. Non è dunque un caso che BillViola faccia riferimento all’uso della videocamera come di una matita da dise-gno. Sulla dimensione temporale Bill Viola insiste molto nella sua ricerca sulfermo immagine, come nel caso del video che scompone e ricompone la Visi-tazione di Pontormo a Carmignano (figg. 9 e 10) in cui l’immagine rivive nellaprocessualità implicita dell’immagine stessa.

La vita dell’arte è dunque affidata al processo performativo che soprav-vive nel suo movimento in atto e che non si esaurisce nel dinamismo tecnolo-gico ma perdura nella dimensione del pensiero; se dunque la fine dell’immagi-ne coincide con lo stacco della corrente – come scrive Ralf Melcher a propo-sito della video arte – è solo lo spazio del pensiero che permette la sopravvi-venza dell’arte.

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Una suggestiva assonanza con queste considerazioni ci riconduce ancorauna volta al pensiero di Aby Warburg che nel 1923, a conclusione della suaconferenza dedicata a Il rituale del serpente, scriveva: «La civiltà delle macchinerischia di distruggere ciò che la scienza, scaturita dal mito, aveva faticosamen-te conquistato: la sfera della contemplazione che crea spazio al pensiero».

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IMAGES

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[Fig. 1] Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475

[Fig. 2] Albrecht Dürer, Autoritratto con pelliccia, 1500

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[Fig. 3] Pablo Picasso, Le Peintre et sa modèle, 1928

[Fig. 4] Albrecht Dürer, Autoritratto, 1493

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[Fig. 5] Paul Klee, Autoritratto, 1919

[Fig. 6] Robert Doisneau, ritratto di Picasso apparso su “Life”

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[Fig. 7] Laocoonte, I sec. d.C.

[Fig. 8] Wassily Kandinsky, Kreise in Kreis, 1923

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[Fig. 9] Pontormo, Visitazione, 1537

[Fig. 10] Bill Viola, The Greeting, 1995