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IL CULTO DELLE RELIQUIE GEROSOLIMITANE IN TOSCANA E LE MODIFICHE
SPAZIALI DEGLI ORGANISMI ARCHITETTONICI MEDIEVALI.
MARCO FRATI
1. Introduzione.
Con questo contributo ci proponiamo di valutare nell’architettura romanica toscana le
trasformazioni impresse dall’introduzione in età medievale e moderna di particolari forme
devozionali collegate a reliquie o immagini di provenienza (reale o presunta) gerosolimitana.1 La
crescente domanda culturale di reliquie – destinata a dare ‘contenuto’ agli spazi, alle liturgie e alle
dedicazioni esistenti – ne impose nel tempo la raccolta e la collocazione, così come la diffusione di
reliquiari a giorno – d’uso processionale piuttosto che per l’ostensione permanente del prezioso
contenuto – obbligò a ripensare la sistemazione scenografica di molte chiese.
Pochi ma significativi sono gli edifici religiosi medievali toscani che si pregiano della
conservazione di reliquie provenienti dalla Terrasanta, o almeno credute tali. In alcuni casi, il culto
fu introdotto già durante il Medioevo e la progettazione delle chiese dovette misurarsi, fin dal loro
impianto romanico o gotico, con le particolari esigenze liturgiche dettate da nuove forme
devozionali.
2. Nuovi impianti romanici e gotici.
A Lucca la tradizione assegna all’VIII secolo l’arrivo in città del Volto Santo, un crocifisso
ligneo contenente importanti reliquie che sarebbe stato personalmente scolpito da Nicodemo e
custodito fino ad allora a Gerusalemme.2 La devozione all’immagine, creduta originaria della
1 Il presente contributo è stato elaborato in occasione del 4° Seminario di studi del Centro internazionale di
studi “La Gerusalemme di San Vivaldo” Le reliquie gerosolimitane e i loro riflessi in Occidente, svoltosi a Montaione (FI) dal 6 al 9 luglio 1999. La ricerca di cui si espongono qui i risultati ha ricevuto stimoli dalle discussioni avute con Adriano Peroni, Franco Bolgiani, Anna Benvenuti, Carlo Tosco, Isabella Gagliardi, Juan Antonio Quiròs Castillo, Sandra Poletto, Andrea Longhi e, durante il seminario, con Francesco Santi, Giuseppe Ligato, Michele Pellegrini ed Elena Benvenuto, verso i quali l’autore si sente debitore, così come nei confronti di Sabrina Stroppa e Nedo Motroni per la collaborazione. Un sentito grazie va anche al Centro Internazionale di Studi “La ‘Gerusalemme’ di San Vivaldo” di Montaione per l’ospitalità e al personale dell’Archivio di Stato di Firenze, della Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, della Biblioteca Marucelliana di Firenze, della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, del Kunsthistorisches Institut Florenz e della Biblioteca Centrale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze per la disponibilità.
Sull’arrivo delle reliquie dalla Terrasanta in Occidente, cfr. A.H. BREDERO, Jérusalem dans l’Occident médiéval, in Melanges offerts à René Crozet à l’occasion de son soixante-dixième anniversaire, Poitiers, Société d’Études médiévales 1966, pp. 259-271: 262-264.
2 Il racconto del diacono Leobino attribuisce al vescovo Giovanni in età longobarda (nel 742 o nel 782) la traslazione dell’importante immagine. Secondo un’altra versione, il Volto Santo sarebbe stato trasportato prima nella chiesa di San Frediano e solo successivamente nel duomo di San Martino. Cfr. L. AESARIS, Il Volto Santo di Lucca, Lucca, Tip. Tommasi 1962, pp. 8-9; C. FRUGONI, Una proposta per il Volto Santo, in Il Volto Santo. Storia e culto. Catalogo della mostra (Lucca, 21 ottobre – 21 dicembre 1982), a cura di C. BARACCHINI, M.T. FILIERI, Lucca, Pacini
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Terrasanta, fu rilanciato sotto uno dei vescovi lombardi che sedettero sulla cattedra di San Martino
nella seconda metà dell’XI secolo, come appare evidente dalle fonti di poco posteriori che mostrano
l’affermazione del culto della reliquia lucchese, famosa in tutto il mondo cristiano fino a diventare il
simbolo della città (come le riconobbero alcuni viaggiatori britanni già all’inizio del XII secolo).3
La prima sicura attestazione documentaria dell’esistenza del Volto Santo in Lucca è fornita dalle
bolle di Pasquale II (1107) che citano un “vultum sacrarium” all’interno del duomo;
contemporaneamente (al tempo del vescovo Rangerio, in carica dal 1099 al 1113) veniva composta
la Leggenda del Volto Santo, alimentandone la devozione.4 Con ogni probabilità, si provvide allora
a sostituire con l’attuale crocifisso (variamente datato per via stilistica tra XI e XII secolo) un’antica
immagine, che per un certo periodo dovette coesistere con la nuova.5 Nel catalogo degli arredi del
duomo di San Martino, contenuto nel codice di Burcardo (redatto tra il 1065 e il 1109), si trovano
infatti elencati insieme un altare “ante Vultum in honorem XII Apostolorum, Gregorii martiris
spoletini, Cornelii et Cipriani atque Concordii” e uno “ante Crucem veterem Blasii, Valentini,
Remigii et Xmilium martyrum”,6 la presenza dei quali prova l’avvenuta collocazione del Volto
Santo all’interno della Cattedrale. La chiesa, fondata nel 1060 da Anselmo da Baggio, fu consacrata
dallo stesso vescovo riformatore (nel frattempo divenuto papa col nome di Alessandro II)7 il 6
ottobre 1070, dopo appena 10 anni di lavori. Molto probabilmente la consacrazione riguardò
soltanto la parte presbiteriale della chiesa, mentre ancora proseguivano i lavori nelle cinque navate,
spartite da colonne come nel duomo di Pisa, di pochi anni successivo.8 La sistemazione del
Fazzi 1982, pp. 15-52; R. MANSELLI, Lucca e il Volto Santo, in Lucca, il Volto Santo e la Civiltà medievale. Atti del Convegno internazionale di studi (Lucca, 21-23 ottobre 1982), Lucca, Pacini Fazzi 1984, pp. 9-20: 9. Il tipo di reliquia-immagine-reliquiario ha forse origine da Edessa. Si veda anche l’intervento al Seminario di Stefania Tamburini, Alcune reliquie gerosolimitane a Lucca e a Luni.
3 Cfr. A. CALECA, Il Volto Santo, un problema critico, in Il Volto Santo, cit., pp. 59-69: 65. La fama del Volto Santo raggiunse perfino l’Islanda, da dove proveniva l’abate Nikulas di Munkathvera, in viaggio verso Roma e la Terrasanta tra il 1151 e il 1154. Nel suo diario, il nordico pellegrino rammenta anche alcuni miracoli compiuti dall’icona del Salvatore crocifisso. Cfr. R. STOPANI, Le vie di Pellegrinaggio del Medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme, Compostella, Firenze, Le Lettere 1991, pp. 61-62.
4 Cfr. M.J. RITZ, G. SCHNÜRER, Sankt Kümmernis und Volto Santo. Studien und Bildern, Düsseldorf, Schwann 1934, p. 183.
5 L’ipotesi è avanzata per la prima volta da C. BARACCHINI - A. CALECA, Il Duomo di Lucca, Lucca, Baroni 1973, p. 14. Per una rassegna critica delle varie datazioni del Volto Santo, cfr. CALECA, Il Volto Santo, cit.
6 H. SCHWARZMAIER, Riforma monastica e movimenti religiosi a Lucca alla fine del secolo XI, in Lucca, il Volto Santo e la Civiltà medievale, cit., pp. 71-94: 71-72. Cfr. P. GUIDI, Per la storia della Cattedrale e del Volto Santo, in «Bollettino Storico Lucchese», IV, 1932, pp. 169-186; G. CONCIONI, San Martino di Lucca, vol. I: La cattedrale medioevale, in «Rivista di archeologia, storia, costume», XXII, 1994, 1-4, pp. 5-453: 298. Il catalogo si trova nella Biblioteca Capitolare di Lucca, ms. n. 124, 3r.
7 Sulla figura di Anselmo da Baggio, cfr. Sant’Anselmo vescovo di Lucca (1073-1086) nel quadro delle trasformazioni sociali e della riforma ecclesiastica. Atti del Convegno internazionale di studio (Lucca, 1986), a cura di C. V IOLANTE, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo 1992.
8 La tarda descrizione di uno spazio a 5 navate su colonne è probabilmente vera, anche se il campanilismo e la rivalità con Pisa (altrettanto dotata di una cattedrale a 5 navate) autorizzano qualche dubbio sull’obiettività della fonte. Cfr. R. SILVA , La ricostruzione della cattedrale di Lucca (1060-1070): un esempio precoce di architettura della riforma gregoriana, in Sant’Anselmo vescovo di Lucca, cit., pp. 297-309: 297-298. Sulla ricostruzione ipotetica del duomo anselmiano, cfr. BARACCHINI - CALECA, Il Duomo di Lucca, cit., pp. 11-14, che datano all’XI secolo anche i muri
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Salvatore crocifisso dovette dunque seguire di poco la conclusione del cantiere, probabilmente alla
fine del secolo e certamente entro il 1120, quando “La chappella della Sancta Croce di Lucca fue
consegrata per mano del vescovo Benedecto di Lucca”, se non già entro il 1107, quando vennero
regolate le entrate della cappellania (Fig. 1).9 Stando alle rappresentazioni miniate della Legende de
Saint Voult de Luques, l’immagine era esposta alla luce di lampade a olio pendenti e di grossi ceri
in candelabri a terra posti entro una cappella ad arco aperto con muratura a bande bicrome, così
come appare anche nel codice Tucci-Tognetti che illustra l’invenzione del Volto Santo:10
Gerusalemme, dove si svolge l’azione del vescovo lucchese, è descritta dall’artista attraverso i suoi
monumenti (tra i quali si riconosce l’Anastasis), mentre l’arcosolio policromo, custode della
reliquia, fu verosimilmente esemplato su quello davanti agli occhi di tutti in Cattedrale (Fig. 2).
Secondo Romano Silva, la cappella medievale si trovava esattamente nell’attuale posizione, cioè
“asimmetrica rispetto alla navata, posta in perfetta corrispondenza di una delle navatelle originarie e
in asse con la porta [...]. In precedenza l’altare ante Vultum era ubicato, come ha provato il Guidi, là
dove lo ricorda la Leggenda di Leobino «prope valvas ipsius basilicae ad australem plagam»,
posizione che corrisponde a quella dell’altare della Veronica, detta anche «Volto Santo», nell’antica
basilica di San Pietro a Roma”. L’affinità di questi due culti a vere immagini del Salvatore
suggeriscono – ancora secondo il Silva – rapporti particolarmente stretti fra Lucca (una delle sedi
episcopali più impegnate nella riforma) e Roma, rapporti culturalmente evidenti nella quasi
esasperata ricerca classicista del romanico lucchese.11
Il cantiere gotico della cattedrale (attivo dal 1372 al 1481, aperto a seguito di un grave
incendio che distrusse la chiesa anselmiana e risparmiò solo la facciata e la galilea, risalenti alla
seconda metà del XII secolo)12 rispettò probabilmente la posizione assunta dalla cappella del Volto
Santo nella configurazione romanica, come suggerisce la succitata osservazione del Silva, che ci
perimetrali; A.R. CALDERONI MASETTI, Anselmo da Baggio e la Cattedrale di Lucca: contributi e precisazioni, «Annali della Scuola Normale Superiore», s. III, VIII, 1977, pp. 91-116, che propone una pianta a tre navate con cappelle non tenendo conto della diversa luce delle archeggiature romaniche rispetto alle attuali; SILVA , La ricostruzione della cattedrale, cit., pp. 306-308, che ipotizza una pianta a cinque navate monoabsidata e priva di transetto.
9 CONCIONI, San Martino di Lucca, cit., p. 301; H. KURZ, Der Volto Santo von Lucca: Ikonographie und Funktion des Kruzifixus in der gegürteten Tunika im 11. Jahrhundert, Regensburg, Roderer, 1997 pp. 16-17; Regesta pontificum romanorum. Italia Pontificia, vol. III: Etruria, a cura di P.F. KEHR, Roma, Loescher 1908, pp. 390 n. 15, 400 n. 14.
10 La prima immagine, tratta dalla Legende, si trova nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1988, 6v, mentre la seconda nella Biblioteca Statale di Lucca, cod. Tucci-Tognetti, 2r. Cfr. I. BELLI BARSALI, Le miniature della Legende de Saint Voult de Luques in un codice vaticano appartenuto ai Rapondi, in Lucca, il Volto Santo e la Civiltà medievale, cit., pp. 123-156: 135, 140, 155; J.-C. SCHMITT, Les images d'un image: la figuration du Volto Santo de Lucca dans les manuscrits enluminés du Moyen Age, in The Holy Face and the paradox of representation, a cura di H. L. KESSLER, Bologna, Nuova Alfa 1998, pp. 205-227.
11 SILVA , La ricostruzione della cattedrale, cit., pp. 305-306. Sull’identità del romanico lucchese, cfr. C.L. RAGGHIANTI, Architettura lucchese e architettura pisana, in «Critica d’Arte», VIII, 1949, pp. 168-172.
12 Cfr. G. GIORGI, Le chiese di Lucca. San Martino, Lucca, La Supergrafica 1971; BARACCHINI - CALECA, Il Duomo di Lucca, cit.
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appare convincente. Una volta finita la decorazione dell’interno, si provvide a rifare la sede della
preziosa reliquia, incaricandone Matteo Civitali che effettuò i lavori tra il 1482 e il 1484.13 Per la
nuova cappella – inizialmente progettata come un sacello a pianta rettangolare con arco trionfale –
furono reimpiegati i materiali più preziosi dell’antica (marmi bianchi): non si trattò solo
dell’esigenza di risparmiare risorse ma anche dello sforzo ‘antiquario’ di preservare la memoria
dell’oggetto di una lunga devozione.14 Se la cattedrale romanica aveva preceduto la collocazione del
Volto Santo, ci sembra di poter sostenere il contrario per quella gotica: per un secolo il cantiere
dovette ruotare intorno all’importante reliquia-reliquiario, simbolo della chiesa lucchese e
dell’intera città.15
A Pisa la chiesetta di Santa Maria del Ponte Novo, forse già esistente nel 1183,16 venne
trasformata in occasione della traslazione della reliquia della Spina nel quarto decennio del XIV
secolo.17 Il cantiere trecentesco investì il precedente oratorio a navata unica raddoppiandone lo
spazio, rialzandone le pareti perimetrali e dotandolo di un ricco quanto aggiornato apparato
scultoreo e decorativo (Figg. 3 e 4). I lavori seguirono alla distruzione del ponte Nuovo: deliberati
nel 1322 dal consiglio degli Anziani del comune di Pisa e autorizzati dall’arcivescovo nel 1325,
erano certamente iniziati nel 1331;18 nel 1333, a cantiere ancora aperto,19 la chiesa ricevette da
13 Cfr. P. LAZZARINI , Il Volto Santo di Lucca, Lucca, Pacini Fazzi 1982, p. 25; BARACCHINI - CALECA, Il
Duomo di Lucca, cit., p. 47; CONCIONI, San Martino di Lucca, cit., pp. 304-305. 14 I. LAZZARESCHI CERVELLI, L’arredo scultoreo, in San Martino di Lucca, vol. II: Gli arredi della cattedrale,
in «Rivista di archeologia, storia, costume», XXVI, 1998, 2-4, pp. 25-86: 67-74. 15 Assai significativa, per il ruolo tenacemente conservato dall’icona nei confronti della città, è un’immagine
tratta da un codice tardomedievale nella quale i santi Paolino e Regolo presentano la città turrita e circondata da mura possenti ma preceduta dal Volto Santo: Biblioteca Capitolare Feliniana di Lucca, cod. 157f, 2r.
16 Cfr. B. MARAGONE, Annales Pisani, a cura di M. LUPO GENTILE, in L.A. MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores, 34 voll., Bologna, Zanichelli 1900-19752, vol. VI, t. II, 1930-1936, pp. 1-74: 73, che narra del tentativo di una prima costruzione del «ponte novo in capo della via di Santa Maria sopra à Arno». Il nuovo ponte fu poi costruito nel 1262. Cfr. Chronicon aliud breve pisanum incerti auctoris ab anno MCI usque ad annum MCCLXVIII, a cura di M. LUPO GENTILE, in L.A. MURATORI, cit., vol. VI, t. II, 1930-1936, pp. 105-116: 110. Della chiesa romanica è impossibile rintracciare le strutture nell’attuale costruzione, a causa delle manomissioni ottocentesche.
17 Sulla storia dell’oratorio, cfr. L. TANFANI, Della chiesa di S. Maria del Pontenovo detta della Spina e di alcuni uffici della Repubblica Pisana, Pisa, Tip. Nistri 1871; sul cantiere gotico, cfr. F. REDI, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli, ESI 1991, pp. 393-395; sui restauri ottocenteschi, cfr. G. MARTELLI, Sul proposto restauro del Tempio di Santa Maria della Spina di Pisa, Firenze, Le Monnier 1871; M. BURRESI, Santa Maria della Spina in Pisa, Cinisello Balsamo, Silvana 1990. Per un più generale inquadramento nel tema degli edifici di culto ‘comunali’, cfr. M. RONZANI, La «Chiesa del Comune» nelle città dell’Italia centro-settentrionale (secoli XII-XIV), «Società e storia», XXI, 1983, pp. 499-534: 506-507. La devozione alla Spina era già presente in Pisa, se nel XIII secolo esisteva un ponte ad essa dedicato, costruito nel 1157 e già intitolato alla Madonna. Cfr. MARAGONE, Annales Pisani, cit., p. 17; Chronicon, cit., p. 110; RANIERI SARDO, Cronaca pisana, in R. RONCIONI, Istorie pisane e cronache varie pisane, 2 voll., Firenze, Vieusseux 1844-1845, vol. II, pp. 75-244: 84.
18 Cfr. RANIERI SARDO, Cronaca pisana, cit., p. 104; L. TANFANI, Della chiesa di S. Maria del Pontenovo detta
della Spina e di alcuni uffici della Repubblica Pisana, Pisa, 1871, pp. 157-166. 19 Nel 1334 l’Opera di Santa Maria del Ponte novo chiedeva al Comune di essere esentata dal pagamento del
contributo annuo all’ospedale della Pace, a causa della diminuzione delle entrate, presumibilmente dirette ad alimentare il cantiere, oppresso dalla disastrosa piena dell’Arno. La chiesa risulta praticabile solo nel 1376, anche se probabilmente lo era già da tempo. Cfr. RANIERI SARDO, Cronaca pisana, cit., p. 109; P. TRONCI, Annali pisani, 2 voll., Pisa, Valenti 1868-1871, vol. II, pp. 31-32; TANFANI, Della chiesa di S. Maria, cit., pp. 172-175; BURRESI, Santa Maria della Spina, cit., p. 23.
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Costantinopoli l’importante reliquia della Spina della corona di Cristo e immediatamente ne fu
alimentata la devozione, come dimostra un coevo antifonario ricco di riferimenti alla Passione,
verosimilmente commissionato per l’oratorio.20 Alla caduta del ponte presso il quale si trovava
prima dello spostamento ottocentesco, la chiesetta aveva già assunto il titolo di Santa Maria della
Spina, ed è da ipotizzarne un uso ben precedente. La collocazione delle reliquie, apparsa alla critica
come una conseguenza dell’ampliamento,21 è invece da considerarsi come la causa della
trasformazione del precedente piccolo edificio tardoromanico in reliquiario a scala architettonica,
aggiornato al più recente linguaggio gotico delle chiese d’Oltralpe ma anche all’oreficeria locale.22
L’affermazione della devozione nei confronti di un’immagine sacra ebbe notevoli
conseguenze sul piano dell’architettura anche a Santa Maria all’Impruneta, nel contado fiorentino.23
Alla fine del Duecento avevano assunto il patronato dell’importante pieve i Buondelmonti, che ne
gestirono il cospicuo patrimonio attraverso l’elezione a pievano di un proprio familiare.24
Estromessa dalla politica cittadina con la riforma popolare del governo, la famiglia magnatizia
investì ogni sua risorsa nel ritagliarsi uno spazio di potere in campagna e individuò nell’Impruneta
un efficiente strumento di controllo economico del territorio. Quando nel 1340 venne attribuito il
primo miracolo (la cessazione di una lunga pioggia dannosa) all’immagine della Madonna,25 i
20 Il codice miniato è stato datato, per via stilistica, al 1330 circa da Cristina De Benedictis. Cfr. BURRESI,
Santa Maria della Spina, cit., p. 20 nota 72. 21 Cfr. ibid. 22 Per questa interpretazione, cfr. REDI, Pisa com’era, cit., pp. 394-395, che limita l’influenza della reliquia
all’arricchimento scultoreo, che conferisce all’oratorio «il significato e l’aspetto di scrigno, di reliquiario, alla maniera delle coeve oreficerie sacre».
23 Sull’edificio romanico, consacrato nel 1059, si veda M. FRATI, Chiese romaniche della campagna fiorentina. Pievi, abbazie e chiese rurali fra l’Arno e il Chianti, Empoli, Editori dell’Acero 1997, pp. 89-91.
24 Inizialmente (fino all’inizio del Trecento), il diritto fu esercitato in concomitanza con gli Scolari. Cfr. S. BIZZOCCHI, Patronato dei Buondelmonti sulla pieve dell’Impruneta, in L’Impruneta: una pieve, un santuario, un comune rurale, Monteoriolo, Papafava 1988, pp. 128-134. Per le ultime fasi del patronato buondelmontesco sull’Impruneta, cfr. IDEM, La dissoluzione di un clan familiare. I Buondelmonti di Firenze nei secoli XV e XVI, «Archivio Storico Italiano», CXL, 1982, pp. 3-45.
25 Cfr. F. DEL GROSSO, Origine del culto alla Madonna d’Impruneta e suoi rapporti con la città di Firenze, in Impruneta, una pieve, un paese. Cultura parrocchia e società nella campagna toscana, Firenze, Salimbeni 1983, pp. 33-77: 57. L’attuale venerata immagine, conservata nel tempietto di sinistra, è un pio falso settecentesco, come appare dal racconto di un contemporaneo:
«Il Conte di Richecourt, supremo Comandante per l’Imperatore Francesco I di Lorena e Granduca di Toscana, avendo sentito celebrare la Madonna dell’Impruneta per i miracoli fatti, e per le grazie ricevute dai fedeli, desiderò di vederla, ed a tal uopo fece avvisare il Pievano dei Marchesi Giugni che in un determinato giorno sarebbe andato all’Impruneta, e ciò seguì nell’anno 1758. Il prudente pievano, sentita l’importanza di una tal visita, credè suo dovere di vederla prima di lui (giacché ab antiquo nessuno l’aveva veduta e molto più scoperta, avendo questa immagine sette mantelline una sopra l’altra) quindi è che a chiesa serrata, e segretamente la fece scoprire; ma qual fu la sua sorpresa trovando un’asse quasi nera, sopra la qual credesi fosse dipinta, e che non distingueasi neppure le tracce della supposta Madonna. In tale emergenza qual partito prendere? Se il conte di Richecourt la vede, è certo che faceva bruciare l’asse, e la devozione alla Madonna dell’Impruneta sarebbe cessata fino da quel tempo, il migliore fu quello di farla subito ridipingere, e fu scelto a quest’effetto il sig. Ignazio Hugford, che oltre essere stato un buon pittore dei suoi tempi, univa eziandio molta religione, e pietà come attestano i suoi discepoli da me benissimo conosciuti; il quale portatosi all’Impruneta in casa del Pievano Giugni, dipinse la Madonna col Bambino Gesù sulla
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Buondelmonti dovettero fomentarne la devozione, certi che questo avrebbe accresciuto l’afflusso di
offerte alla pieve, e nello stesso anno sostennero la fondazione della Compagnia della Beata
Vergine.26 La tavola, che si diceva fosse stata dipinta personalmente da san Luca (come altre 34
immagini venerate nel mondo)27 e miracolosamente scaturita dal terreno durante la costruzione
della pieve, moltiplicò la sua azione miracolosa anche nei confronti di Firenze,28 acquisendo una
fama tale da rendere l’antico edificio inadeguato alla funzione di santuario mariano. È
probabilmente della seconda metà del XIV secolo la completa ricostruzione della chiesa da parte del
pievano Stefano Buondelmonti; il cantiere gotico obliterò la cripta romanica e inglobò le arcature
fra navata centrale e navatella destra nella muratura perimetrale della nuova basilica a navata
unica.29 Il complesso trecentesco comprendeva, oltre alla spaziosa aula (Fig. 5), anche un ampio
chiostro e una serie di cappelle laterali (una ricavata nella ex-navata meridionale, le altre costruite
sul fianco settentrionale) che moltiplicavano le occasioni di devozione alimentando le rendite della
pieve.30 Il santuario, già difeso da un’alta torre campanaria (la cui canna è databile, negli ordini
maniera antica, e così fu rimediato a questo inconveniente, senza scandalo, ed è quella che tuttora esiste in detta Chiesa, creduta popolarmente dipinta da S. Luca».
B. PACCIANI, A. PAOLUCCI, R.C. PROTO PISANI, Il tesoro di Santa Maria Impruneta, Firenze, Becocci Scala 1987, pp. 15-16.
26 Cfr. La Chiesa Fiorentina, a cura di C.C. CALZOLAI , Firenze, Tip. Commerciale Fiorentina 1970, pp. 247-248.
27 Cfr. F. CARDINI, Il Medioevo in Toscana: de finibus Tuscie, Firenze, Arnaud 1989, p. 293. Sulle immagini acheropite, cfr. J. LAFONTAINE-DOSOGNE, Acheropita, in Enciclopedia dell’arte medievale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana 1991, vol. I, pp. 88-92; M. BACCI, Il pennello dell'Evangelista: storia delle immagini sacre attribuite a san Luca, Pisa, GISEM-ETS 1998.
28 Nel 1354 fu registrato un altro miracolo della tavola, appositamente portata in città per provocare una pioggia benefica durante un periodo di siccità. Cfr. M. V ILLANI , Cronica, 2 tt., Firenze, Coen 1846, libro IV, cap. 7. Sulla descrizione trecentesca dell’immagine miracolosa, cfr. C. NARDI, La “Leggenda riccardiana” di Santa Maria all’Impruneta: un anonimo oppositore del pievano Stefano alla fine del Trecento?, «Archivio Storico Italiano», CXLIX, 1991, pp. 503-551.
29 Cfr. G.B. CASOTTI, Memorie istoriche della miracolosa immagine di Maria Vergine dell’Impruneta, Firenze, Manni 1714, p. 43; La Chiesa Fiorentina, cit., pp. 247-248; R. STOPANI, Una pieve fortificata, in Impruneta, una pieve, un paese, cit., pp. 111-121: 118; PACCIANI - PAOLUCCI - PROTO PISANI, Il tesoro di Santa Maria, cit., p. 6. La pur nutrita bibliografia sull’Impruneta non contribuisce a precisare la cronologia delle trasformazioni trecentesche. Cfr. L. PASQUI
CARTONI, Brevi memorie del Santuario di Maria Santissima dell’Impruneta, Firenze, 1849; U. CECCHERINI, Santa Maria dell’Impruneta. Notizie storiche, Firenze, Tip. Ciardi 1890; Ricordo dell’elevazione a Basilica dell’Insigne Propositura Collegiata di S. Maria all’Impruneta, a cura di U. CHIERICI, Firenze, Tip. Chiari 1926; R. BIANCHINI , L’Impruneta. Paese e santuario, Firenze, LEF 1932; L. BELLINI , Il Santuario dell’Impruneta, «Firenze e il Mondo», 1948, pp. 61-67; F. ROSSI, La Basilica di Santa Maria all’Impruneta, «Bollettino d’Arte», 1950, pp. 85-93; M.
CAGNACCI, Impruneta e la sua Basilica. Guida Storica, Artistica, Turistica, Firenze, Tip. Pochini 1969; I. MORETTI, R. STOPANI, Chiese romaniche in Val di Pesa e Val di Greve, Firenze, Salimbeni 1972, pp. 115-120; Impruneta. Arte e tradizione. Catalogo della mostra (Impruneta, 24 settembre - 2 ottobre 1977), Impruneta, Consorzio Chianti Putto 1977; M. FERRARA, F. QUINTERIO, Michelozzo di Bartolomeo, Firenze, Salimbeni, 1984, pp. 351-353; V. BIANCHINI , L’Impruneta. Storia e tradizioni del Paese e del suo Santuario, Impruneta, Cassa Rurale e Artigiana 1988; L’Impruneta: una pieve, cit.; Basilica dell’Impruneta 1944-1992. Rinata dalle macerie, a cura di R.C. PROTO PISANI, Impruneta, Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Firenze 1991.
30 La moltiplicazione degli altari, con la conseguente creazione di cappellanie private, permise di controllare direttamente, senza ingerenze vescovili (più facili sull’ente plebano), buona parte delle offerte dei fedeli, aumentando l’autonomia di quella che andava sempre più configurandosi come una Eigenpfarrkirche.
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superiori completamente ricostruiti dopo l’ultima guerra, al XIII secolo),31 alla metà del XV secolo
fu fortificato dal pievano Antonio degli Agli e dotato di nuovi arredi liturgici (i due tempietti
michelozziani ai lati del presbiterio) e di un grande portico in facciata:32 il riordinamento del
complesso (Fig. 6) apparve dettato dal desiderio di difendere l’immagine miracolosa, che insieme
alla pieve – isolato avamposto verso il fronte senese – aveva il compito di garantire la protezione su
Firenze dall’ostilità della natura come da quella dell’uomo.33
Nei tre casi di Lucca, Pisa e Impruneta la trasformazione dello spazio liturgico investì
totalmente le strutture esistenti, rendendole illeggibili, o quasi. In tutti e tre i casi analizzati le
trasformazioni impresse all'architettura furono coordinate con l'introduzione o il rilancio di un culto
reliquiario, utilizzando quest'ultimo come giustificazione di più complessi obiettivi, dettati da
ragioni politiche, oltre che devozionali. I committenti delle imprese edilizie furono sempre i
detentori del potere – il vescovo a Lucca, il comune a Pisa, i Buondelmonti all’Impruneta – che
fecero delle reliquie e dei loro contenitori uno strumento della loro politica: sant’Anselmo ne fece
mostra come effetto visibile della riforma gregoriana (di cui fu strenuo difensore da vescovo e da
papa), gli Anziani di Pisa se ne servirono come segno di un auspicato (e mai più recuperato)
dominio commerciale sui mari, Stefano Buondelmonti ne fece il catalizzatore della popolazione
della signoria territoriale della propria famiglia.
3. Trasformazioni fra architettura e urbanistica.
Anche a Siena l’arrivo di importanti reliquie gerosolimitane provocò immediati
cambiamenti nell’architettura dell’edificio destinato a contenerle, pur di non grande rilevanza. Nel
1357, a seguito delle notevoli entrate procurate dai lasciti testamentari degli appestati del 1348, lo
Spedale di Santa Maria della Scala deliberò, con l’intenzione di procurarsi rimedi miracolosi alle
malattie incurabili, l’acquisto di un gruppo reliquiario bizantino contenente, tra l’altro, un chiodo
del Crocifisso, il velo, la cintura e la cuffia della Madonna. La presenza di reliquie della Vergine,
alla quale la città era assai devota, aumentò ulteriormente le donazioni, giustificando l’ingente
esborso (pari alla metà del valore del castello di Montorgiali) nonchè una notevole spesa anche per
la sistemazione dei preziosi oggetti. A partire dal 1359 (anno in cui essi giunsero a Siena), lo
31 Nel 1331 papa Giovanni XXII, ignorando i Buondelmonti, concesse la pieve in patronato al Cardinal Orsini,
che fu respinto dal popolo armato asserragliatosi nella torre campanaria. Cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, 6 voll., Firenze, Repetti 1833-1846, vol. II, p. 574; STOPANI, Una pieve fortificata, cit., p. 118 nota 24.
32 Antonio degli Agli (pievano dal 1439 al 1477), promosse i lavori, conclusi nel 1468. Nel 1477 era ancora necessario concedere indulgenze a coloro che avessero contribuito finanziariamente al restauro della pieve. Cfr. PASQUI
CARTONI, cit., p. 10; G. CAROCCI, I dintorni di Firenze, 2 voll., Firenze, Tip. Galletti e Cocci 1906-1907 [rist. anast. Roma, Multigrafica 1968], vol. II, p. 330.
8
Spedale commissionò numerose opere di oreficeria,34 atte sia a contenere le reliquie che a
incapsularne i contenitori, ma anche la trasformazione architettonica e la sistemazione urbanistica
della propria sede per facilitare l’afflusso dei fedeli accorrenti all’ostensione delle reliquie.35
All’uopo fu deciso di trasformare il portico d’ingresso allo Spedale nella “chapella a lato a la
Nunziata”, che era già a buon punto nel 1366. Tra il 1361 e il 1364 si costruì all’esterno (sulla
facciata dello Spedale fra la vecchia entrata della chiesa e l’attuale ingresso) un pulpito in marmo
coperto da un pergolo in metallo per mostrare le reliquie mariane in occasione delle feste della
Madonna (Fig. 7). Nel 1379, secondo la testimonianza del contemporaneo Donato di Neri, fu
perfino demolita la loggia vescovile per allargare la piazza antistante e contenere la folla presente
alle ostensioni. Lo spazio urbano venne negli stessi anni arredato con sedili in pietra per consentire
una più comoda partecipazione dei magistrati cittadini alla benedizione delle reliquie. La sempre
maggior importanza dello Spedale e del suo apparato reliquiario creò attriti con il Capitolo della
cattedrale, risolti nel 1383 con la spartizione dello spazio pubblico rispettivamente in due aree
d’influenza delimitate da un “rigolo” di marmo bianco.36
Non sappiamo quanto gli amministratori del Santa Maria della Scala furono consapevoli
delle conseguenze economiche dell’acquisto delle reliquie gerosolimitane. Certo le trasformazioni
all’edificio contenitore furono meno radicali di quanto avvenne nei casi osservati in precedenza, ma
le successive sistemazioni urbanistiche, avviate quando l’importanza delle ostensioni era sotto gli
occhi di tutti, coinvolsero pesantemente uno dei due poli edilizi della città – il complesso episcopale
– che fu appositamente mutilato. La dimensione urbanistica fu altrettanto importante in un altro
caso, dove però lo iato tra la diffusione del culto reliquiario e le trasformazioni spaziali fu assai
maggiore.
33 Cfr. CASOTTI, Memorie istoriche, cit., p. 13; STOPANI, Una pieve fortificata, cit., p. 120. 34 Particolarmente interessante appare quello del sacro chiodo, la cui terminazione assume i caratteri del
modello architettonico. Per la sua controversa datazione è stato proposto il terzo quarto del Trecento: cfr. D. GALLAVOTTI CAVALLERO, Lo Spedale di Santa Maria della Scala in Siena, Siena, Cantagalli 1985, pp. 104-105, 133. Sulle vicende delle reliquie e la loro conservazione fra medioevo ed età moderna, cfr. I. GAGLIARDI , Le reliquie dell’Ospedale di Santa Maria della Scala (XIV-XV secolo), in L’Oro di Siena. Il Tesoro di Santa Maria della Scala. Catalogo della mostra (Siena, 1996-1997), a cura di L. BELLOSI, Milano, Skira 1996, pp. 49-66.
35 Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO, Lo Spedale di Santa Maria della Scala, cit., pp. 80, 132. Grandi lavori di ampliamento dell’ospedale erano già stati terminati nel 1356. Cfr. REPETTI, Dizionario, cit., vol. V, p. 369. Si vedano anche i più recenti A. BROGI, D. GALLAVOTTI CAVALLERO, Lo Spedale Grande di Siena. Fatti urbanistici e architettonici del Santa maria della Scala. Ricerche, riflessioni, interrogativi, Firenze, La Casa Usher 1987; Spedale di Santa Maria della Scala. Atti del Convegno internazionale di Studi (Siena, 20-22 novembre 1986), Siena, Pistolesi 1988; G. BELLUCCI, P. TORRITI, Il Santa Maria della Scala in Siena. L’Ospedale dai Mille Anni, Genova, Sagep 1991; Santa Maria della Scala. Dall’Ospedale al Museo, Siena, Alsaba 1995.
36 Cfr. R. PARENTI, Una parte per il tutto. Le vicende costruttive della facciata dello Spedale e della piazza antistante, in Santa Maria della Scala. Archeologia e edilizia sulla piazza dello Spedale, a cura di E. BOLDRINI, R. PARENTI, Firenze, All’Insegna del Giglio 1991, pp. 20-94: 43-44.
9
La storia della città di Prato e del suo duomo (già pieve) s’intreccia con la sua più
importante reliquia, la sacra Cintola di Maria, conservatavi almeno dal Duecento.37 La diffusione
del culto verso la metà del secolo – in un momento di grande espansione dell’economia cittadina, di
forte presa di coscienza civica da parte dei pratesi e di desiderio del clero locale di autonomia
religiosa dal vescovo di Pistoia – non poteva trovare migliore congiuntura che con la costruzione
delle mura di Prato, ‘cingolo’ della città comunale.38 La prima notizia certa della diffusione del
culto risale al 1279 ed è significativamente estratta da una rubrica degli Statuti comunali riguardante
le misure di ordine pubblico da adottare in occasione dell’ostensione della reliquia, già collocata
nella pieve di Santo Stefano.39 Per il periodo precedente, documentato solo da fonti agiografiche, le
varie leggende della Cintola insistono nel presentare la perdurante necessità di conferire alla
reliquia una sede adatta,40 risolta con la dedicazione di un altare della pieve, appositamente
realizzato.41 Alla fine del secolo la fama della Cintola era tale da richiamare, in occasione
dell’ostensione, enormi folle dalle campagne circostanti, per contenere le quali nel 1294 fu avviato
l’ampliamento della piazza della pieve, che diventava così il fulcro verso cui orientare l’intero
distretto comunale; la distruzione investì, oltre a numerose abitazioni private, l’antico battistero e le
primitive sedi degli organi comunali, edifici d’interesse collettivo che potevano essere sacrificati
solo a uno spazio considerato di maggior valore e che, nella fattispecie, era sentito come
un’appendice della reliquia.42 Il sacrilego tentativo di furto della reliquia, avvenuto il 27 luglio del
1312, suggerì agli operai della pieve di dare alla Cintola un proprio spazio (una cappella collegata
alla zona absidale della chiesa, in prosecuzione della navata, lungo la strada che passava sotto il
campanile) e non soltanto un altare-contenitore. La tempestiva delibera (31 luglio) ebbe come
immediata conseguenza soltanto la pubblica infamia del misfatto, istoriato sulla facciata della
37 Sulla storia della reliquia, cfr. G. BIANCHINI , Notizie istoriche intorno alla sacratissima Cintola di Maria
Vergine, Firenze, 1722; G. PELAGATTI, Il Sacro Cingolo mariano in Prato fino alla traslazione del 1395, Prato, 1895. Il ruolo giocato dalla reliquia nella vita della città e nella produzione artistica è stato recentemente esposto in tutta la sua evidenza in La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato, Martini 1995. La tradizione data al 1141 l’acquisizione della cintura da parte del pratese Michele ma le prime attestazioni certe del culto della reliquia risalgono al 1279. Cfr. DUCCIO DI AMADORE, Il Cincturale, a cura di C. GRASSI, Prato, Società Pratese di Storia Patria 1984, p. 13. R. FANTAPPIÈ, Il bel Prato, 2 voll., Prato, Edizioni del Palazzo 1983-1984, vol. I, p. 34. Sulle leggende e sulle vicende della reliquia, cfr. C. GRASSI, La storia del Sacro Cingolo, in La Sacra Cintola, cit., pp. 23-39; R. FANTAPPIÈ, Storia e “storie” della Cintola, in La Sacra Cintola, cit., pp. 41-59.
38 Cfr. ivi, p. 42. 39 Cfr. C. CERRETELLI, La Pieve e la Cintola. Le trasformazioni legate alla reliquia, in La Sacra Cintola, cit.,
pp. 89-161: 89. Sulla pieve romanica, ricostruita da Guido marmorario a partire dal 1211, cfr. G. MARCHINI, Il Duomo di Prato, Milano, Electa 1957; I. MORETTI, L’architettura, in Prato: storia di una città. Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), 2 tt., a cura di G. CHERUBINI, Bagno a Ripoli, Comune di Prato 1991, pp. 871-906: 872-875.
40 Cfr. GRASSI, La storia del Sacro Cingolo, cit., pp. 24, 36. 41 Cfr. FANTAPPIÈ, Storia e “storie”, cit., pp. 41-59: 54 nota 12; CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., p. 149
nota 3. 42
Cfr. R. FANTAPPIÈ, Nascita e sviluppo di Prato, in Prato: storia di una città, cit., pp. 79-299: 213; ID., Storia e “storie” , cit., pp. 41-59: 45; A.M. MCLEAN, Sacred space and public policy. The establishment, decline and revival of Prato’s Piazza della Pieve, Princeton, University Press 1993, pp. 148-156.
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pieve.43 Il progetto venne poi superato dall’ampliamento della tribuna e dei bracci della basilica;44
la realizzazione del transetto fu avviata nel 1317 con l’acquisto del terreno, ma solo intorno al 1368
ne furono chiuse e decorate le volte a crociera.45 La pieve fu ancora oggetto di modifiche nel 1330
quando fu deliberata la costruzione di un pulpito marmoreo per l’ostensione, iniziato nel 1337.46
Nel 1346 la traslazione violenta della reliquia dalla cappella del transetto ad una nuova presso
l’ingresso (all’interno della prima campata della navatella sinistra, dove si trovava ancora nel 1390)
segnò il passaggio della Cintola dall’amministrazione religiosa del proposto e del capitolo dei
canonici della pieve a quella laica dell’opera della Sacra Cintola (creata nel 1348 dal comune con
delegati da esso eletti);47 da questo momento il controllo delle rendite delle offerte fu di pertinenza
civile e, conseguentemente, anche la committenza artistica, come avvenne per la costruzione del
pulpito sullo spigolo della facciata per l’ostensione della reliquia.48 I rapporti fra proposto e
comune, distesisi nel frattempo, furono condizione necessaria all’accordo del 1385 per la
costruzione sul fianco settentrionale della pieve (in corrispondenza della prima campata
occidentale) di una cappella per la Cintola, che così fu mantenuta distante dal presbiterio (centro
della celebrazione e luogo deputato all’esercizio della funzione sacerdotale) e vicina alla piazza
(sede dell’incontro del popolo), sulla quale avrebbe prospettato. All’esterno, il semplice volume è
segnato da un compasso in serpentino verde; all’esterno, lo spazio quadrato è coperto da una volta a
crociera costolonata, un tempo illuminato da una finestra bifora. Ad esso lavorarono dal 1386 al
1389 numerosi maestri muratori, scalpellini, scultori e marmorai sotto la direzione di Lorenzo di
Filippo da Firenze, già impegnato nella loggia dei Lanzi e nel duomo della sua città. La pittura della
cappella, che si inserisce con discrezione nello spazio della chiesa romanica, fu affidata ad Agnolo
Gaddi nel 1392-1395;49 nel 1394 fu predisposto l’altare in marmo e l’anno seguente poteva esservi
traslata la reliquia alla presenza delle più alte autorità religiose e civili, a significare l’importanza
che la cintola rivestiva per l’intera collettività pratese.50 Pure legati alla presenza della sacra Cintola,
43 Il reo Musciattino fu giustiziato in modo orribile, perché troppo grave appariva la sua colpa agli occhi del
popolo pratese, che si identificava totalmente nella reliquia. Per una sorta di bilanciamento iconologico, l’anno seguente sulla parete laterale sinistra furono dipinte da Bettino di Corsino le dieci scene dei Miracoli della Cintola. Cfr. GRASSI, La storia del Sacro Cingolo, cit., pp. 28-29, 39 nota 66.
44 Sulla parte presbiteriale, attribuita a giovanni Pisano, si veda MARCHINI, Il Duomo di Prato, cit., MORETTI, L’architettura, cit., pp. 884-885.
45 Cfr. CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., p. 89. 46 Del pulpito, destinato all’interno della chiesa, non si sa dove fosse collocato esattamente. Cfr. ivi, p. 90. 47
Cfr. FANTAPPIÈ, Storia e “storie”, cit., p. 46; CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., pp. 90, 91. 48 Il pulpito, opera di Niccolò di Cecco del Mercia, restano alcuni bassorilievi, realizzato nel 1359. Ibidem. Sui
rilievi superstiti, cfr. I. LAPI BALLERINI , i rilievi marmorei di Niccolò di Cecco del Mercia, in La Sacra Cintola, cit., pp. 281-291.
49 Per ottenere spazi più regolari per la decorazione, fu chiusa la bifora appena realizzata. Successivamente, per restituire luce agli affreschi, fu aperto un occhio.
50 Cfr. G. MARCHINI, La cappella del Sacro Cingolo nel Duomo di Prato, Prato, Edizioni del Palazzo, 1975; CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., pp. 92-96. Sugli affreschi, cfr. M. CIATTI , Gli affreschi della cappella della Cintola, in La Sacra Cintola, cit., pp. 163-224.
11
alla fine del secolo (la prima fornitura di materiali risale al 1386) si iniziarono i lavori per la nuova
facciata della pieve (Fig. 8), sovrapposta a quella romanica. Fra le due murature fu ricavato un
passaggio per raggiungere i due pulpiti (l’uno interno, l’altro esterno, sullo spigolo destro) in
occasione dell’ostensione della reliquia sulla nuova grande piazza, ulteriormente ampliata. La
facciata, di cui veniva proposta un’inedita visione angolare, si coordinava così con quella
semplicissima della cappella della reliquia.51 Contemporaneamente alla facciata si lavorò alla
cancellata bronzea,52 che isolava la pertinenza della reliquia dallo spazio basilicale. Continui lavori
interessarono la cappella, per adattarla al gusto corrente, anche nei secoli successivi;53 ottenuta nel
1653 la cattedra vescovile,54 Prato non dedicò più molta attenzione alla sua più venerata reliquia:
l’intenzione del 1708 di rifare l’altare trovò concretizzazione solo nel 1746 con la realizzazione, da
parte di Giuseppe Cerroti, del progetto di Bernardo Ciurini; l’altare, nuovamente trasformato nel
1758-1760 da Giovan Filippo Ciocchi, tornò ad ospitare le reliquie solo nel 1763.55
4. Sistemazioni tardomedievali e moderne di edifici romanici.
Poche altre chiese sono state segnate quanto la pieve di Prato dalla presenza di reliquie
gerosolimitane dell’importanza della sacra Cintola. Gli altri edifici toscani le cui vicende edilizie
sono, almeno in parte, il frutto dell’introduzione del culto reliquiario mostrano soltanto
trasformazioni tardive o episodiche e che non investono la scala urbanistica, come abbiamo visto
invece a Siena.
Il tipo di reliquia conservata nel monastero femminile di Sant’Ambrogio a Firenze non è
propriamente originaria della Terrasanta, ma si può ugualmente considerare tra quelle cristologiche:
il vino consacrato che, non ben asciugato nel calice, si è trasformato in sangue rappreso.56 Il
51 Nel 1392 iniziarono i lavori per le fondazioni, diretti ancora da Lorenzo di Filippo da Firenze. Alla sua morte
nel 1400 il cantiere subì una stasi fino al 1412, quando Filippo Brunelleschi e altri maestri furono consultati se modificare o proseguire il progetto. Il consulto portò, l’anno seguente, la conclusione del portale e, nel 1428, l’accordo con Donatello e Michelozzo per il pulpito ostensorio esterno, realizzato nel 1438. Nel 1434 fu stipulato un contratto con Maso di Bartolomeo per il terrazzo interno, concluso nel 1438, mentre si voltava la scala nell’intercapedine. La facciata fu terminata nel 1457. Cfr. CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., pp. 89-161: 97-104. Sul pulpito esterno, cfr. G. BONSANTI, Il pulpito di Donatello, in La Sacra Cintola, cit., pp. 297-311.
52 Il contratto fu stipulato nel 1438 ancora con Maso di Bartolomeo, su interessamento di Lorenzo de’ Medici fratello di Cosimo il Vecchio. Le prime fusioni della cancellata, completata nel 1468, furono del 1441. Cfr. CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., pp. 104-107. Sulla cancellata, cfr. M. SCALINI , I maestri della cancellata della Cintola. Maso di Bartolomeo, Antonio di ser Cola e Pasquino da Montepulciano, in La Sacra Cintola, cit., pp. 265-279. Sulle interferenze medicee nei cantieri pratesi, si veda la lezione al Seminario di Riccardo Pacciani, L’uso delle reliquie come strumento di consenso da parte dei Medici: alcuni esempi in territorio fiorentino nel Quattrocento.
53 Cfr. CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., pp. 107-110. 54 Il mutamento istituzionale inizialmente fu però soltanto formale, poiché la cattedra di Prato fu affidata al
vescovo di Pistoia. Cfr. REPETTI, Dizionario, cit., vol. IV, p. 661. 55 Cfr. CERRETELLI, La Pieve e la Cintola, cit., pp. 110-114. 56 Al miracolo è dedicato l’intero volume di D. FRANCIONI, Storia del Santissimo Miracolo seguito in Firenze
nel 1230 nella Ven. Chiesa di S. Ambrogio, Firenze, 1875. Il fatto è narrato anche in G. V ILLANI , Cronica, 4 tt. ,
12
miracolo eucaristico, avvenuto nel 1230, generò una forte impressione popolare, così come 33 anni
dopo a Bolsena. Nel 1257 la chiesa fu privilegiata coll’indulgenza perpetua da Goffredo, presule
vescovo di Betlemme, che ne alimentò così la devozione:57 le conseguenti offerte58 permisero di
ampliare la chiesa e di aggiornarne il linguaggio architettonico, rendendola più consona al suo
nuovo ruolo di santuario; i lavori dovettero essere già previsti nel 1266, quando papa Clemente IV
concesse l’indulgenza plenaria a chi avesse voluto contribuire al restauro della chiesa.59 La
trasformazione del preesistente edificio romanico,60 forse già avviata, ne investì completamente le
strutture, che sopravvissero soltanto nel fianco meridionale, di cui ancora si possono parzialmente
leggere le monofore tamponate (Fig. 9). L’amministrazione della reliquia, affidata ad un’apposita
confraternita, fu poi coadiuvata dal comune di Firenze che nel 1296 si offrì di costruire una cappella
a proprie spese, a patto di apporre le armi del priore e del gonfaloniere sulla volta e sul tabernacolo
lapideo che avrebbe conservato il preesistente reliquiario aureo.61 A questi importanti lavori
seguirono quelli alla scarsella del coro – probabilmente apparsa inadeguata a confronto con quella
attigua del Miracolo – che fu ricostruita da Turino Baldesi fra il 1320 e il 1342.62 La chiesa, sempre
più prestigiosa per il ripetersi dei miracoli della reliquia,63 continuò ad essere interessata da
indulgenze (quella della Porziuncola da Bonifacio IX del 1401) che stimolarono donazioni
Firenze, Coen, 1844-1845, L. VI, cap. 7, seguito da numerosi annalisti e cronisti. Sulla chiesa, documentata fin dal 1001, si vedano G. RICHA, Notizie Istoriche delle Chiese Fiorentine divise ne’ suoi Quartieri, 10 voll., Firenze, Tip. Viviani 1754-1762, vol. II, pp. 236-250; O. ORZALESI, Della chiesa di Sant’Ambrogio in Firenze e dei suoi restauri, Firenze, 1900; E. PAATZ, W. PAATZ, Die Kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbuch, 6 voll., Frankfurt am Main, Klostermann 1940, vol. I, pp. 21-43; A. BUSIGNANI, Le chiese di Firenze. Quartiere di Santa Croce, Firenze, Sansoni 1982, pp. 225-240.
57 Cfr. FRANCIONI, Storia del Santissimo Miracolo, cit., pp. 118-120. 58 Il culto al Sanguis Domini spinse al lascito testamentario anche eminenti personaggi, come nel 1278 la
contessa Beatrice di Capraia, che destinò all’“ornamento del corpo di Nostro Segnore a Santo Ambruogio” parte della sua ricca eredità. Cfr. ivi, p. 120. Il testamento olografo è pubblicato in Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di A. SCHIAFFINI, Firenze, Sansoni 1954, p. 238.
59 La bolla è citata da RICHA, Notizie Istoriche, cit., vol. II, p. 234, che la data alle idi di giugno. Manca invece nel catalogo Regesta Pontificum Romanorum inde ab a. post Christum natum MCXCVIII ad a. MCCCXV, 2 voll., a cura di A. POTTHAST, Berlin, Decker 1873-1874, vol. II.
60 Cfr. PAATZ, Die Kirchen von Florenz, cit., vol. I, pp. 23-24, che lo datano all’XI secolo. 61 Cfr. R. DAVIDSOHN, Forschungen zur Geschichte von Florenz, 4 voll., Berlin, Mittler 1896-1908, vol. IV, p.
495. «Coram vobis dominis prioribus artium et vexillifero iustitie civitatis Florentiae exponitur reverenter pro parte Capitanei Sotietatis Excellentissimi Corporis Domini Nostri Iesu Christi quod in Ecclesia Sancti Ambrosii Florentie in apparenti et animata substantia veneratur, quod per illos de dicta Sotietate fuit pridie Ecclesie fierent quedam volta, et super volta tabernaculum quoddam lapideum convenienti subtilitate fabricatum sub quo artificiose et honorifice clauderetur et conserveretur archa aurea quae fuit dudum per dictam sotietatem ad conservandum tam mirabile, tam quam honorabile sacramentum divina inspiratione constructo. Et quia sotietati praedicte ad consumationem volte et tabernaculi praedictorum non suppetunt facultates cum ipsa sotietas nullos habeat extra oblationes fidelium redditur singulares. Cives aliqui florentini ad consumationem operum predictorum, se sumptus necessarios facere offerebant si tamen in eos sculperentur arma et insigna eorundem».
FRANCIONI, Storia del Santissimo Miracolo, cit., p. 121. 62 Cfr. RICHA, Notizie Istoriche, cit., vol. II, p. 243. 63 Particolarmente sentita fu la miracolosa cessazione della pestilenza nel 1340. Cfr. FRANCIONI, Storia del
Santissimo Miracolo, cit., pp. 123-124.
13
pubbliche (provvisione del 28 dicembre 1405) e private (testamento del 1408 di donna Cristina
figlia di Girolamo Bacchi che aveva a suo tempo contribuito alla costruzione della cappella del
Corpo santo, diventata il sepolcro di famiglia)64 che finanziarono la manutenzione della cappella
dov’era custodita la reliquia. Alla fine del Quattrocento lo spazio interno fu nuovamente
riconfigurato: la navata fu arricchita da otto altari di ascendenza rosselliniana, sistemati lungo le
pareti imbiancate, mentre la cappella del miracolo ricevette la sua definitiva sistemazione con due
pregevoli opere di arredo – il tabernacolo marmoreo, realizzato da Mino da Fiesole, e l’affresco di
Cosimo Rosselli, raffigurante l’Ostensione del Sangue miracoloso – probabilmente volute entrambe
dalla badessa Maria intorno al 1486.65 Una nuova, importante trasformazione, che provocò la
completa riconfigurazione interna della chiesa, fu eseguita da Giovan Battista Foggini nel 1716.66
Lo scultore-architetto occultò le capriate e rivestì, senza modificarne la struttura, la zona
presbiteriale; lo spazio assembleare, dopo l’applicazione di due balconi sopra l’accesso alle
scarselle laterali (di cui una era sede della reliquia), terminava in forma ovale; la cappella del coro
fu ornata di pilastri e arcate e sotto la cupola, in sostituzione della volta, trovò posto la grande
macchina del ciborio del Santissimo Sacramento (Fig. 10).
Meno note sono le vicende della cattedrale di Massa Marittima, della quale, nonostante
l’importanza dell’istituzione e la monumentalità della costruzione, la letteratura non si è occupata a
sufficienza67. Le recenti riorganizzazioni dello spazio liturgico non contribuiscono a rintracciare la
localizzazione originaria delle reliquie, generalmente assegnata alla cappella nella navata sinistra.68
Le uniche notizie certe riguardanti le reliquie gerosolimitane di Massa sono fornite dai loro
contenitori: il reliquiario della Santa Croce, attribuibile ad Andrea Pisano e databile alla metà del
XIV secolo,69 e quello delle Due Spine della Corona, realizzato da Goro di ser Neroccio nella prima
64 Ivi, pp. 124-128. 65 L’ipotesi della committenza unica è formulata da BUSIGNANI, Le chiese di Firenze. Quartiere di Santa
Croce, cit., p. 232. 66 K. LANKHEIT , Il giornale del Foggini, «Rivista d’arte», XXXIV, 1959, pp. 55-108: 90-91; BUSIGNANI, Le
chiese di Firenze. Quartiere di Santa Croce, cit., pp. 228, 232. Sull’attività di Foggini, R. SPINELLI, Giovan Battista Foggini e le fabbriche fogginiane a Firenze e in Toscana tra Sei e Settecento, tesi di dottorato di ricerca in storia dell’arte, IV ciclo, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, 1992.
67 A tutt’oggi non esiste una monografia sul duomo massetano. Cfr. L. PETROCCHI, Massa Marittima. Arte e storia, Firenze, Venturi 1900; E. CARLI, L'arte a Massa Marittima, Siena, Centro Offset 1976; E. LOMBARDI, Massa Marittima e il suo territorio nella storia e nell'arte, Siena, Cantagalli 1985; C. NICCOLINI, Massa di Maremma, Roma, CESI 1992; Massa Marittima, Firenze, Octavo 1999.
68 Cfr. CARLI, L' arte a Massa Marittima, cit., p. 47, che ve le pone ab origine. La traslazione dei sacri resti nella cappella delle Reliquie (corrispondente al braccio sinistro del transetto, dove attualmente è conservato il Santissimo Sacramento) potrebbe coincidere con l’insediamento tardomedievale della compagnia della Santissima Trinità e del Santo nome di Gesù nella “Chiesina” sotto il presbiterio. Cfr. PETROCCHI, Massa Marittima, cit., pp. 56 nota 1, 69.
69 Il reliquiario è stato attribuito ad Andrea Pisano e datato intorno al 1345 da A.R. CALDERONI MASETTI, Una proposta per Andrea Pisano orafo, Pisa, Tip. Listri 1974. Si vedano anche E. CARLI, L' arte a Massa Marittima, cit., pp. 47-48; A.R. CALDERONI MASETTI, Il reliquiario della Croce nel Duomo di Massa Marittima, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XXII, 1978, pp. 1-26.
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metà del Quattrocento.70 La collocazione delle reliquie non coincise con il cantiere del duomo
tardoromanico di Santa Maria (costruito nel secondo quarto del Duecento),71 se ancora negli Statuti
comunali della fine del XIII secolo sono rammentati solo due altari senza alcun accenno ai sacri
resti.72 Fu probabilmente con i lavori di ampliamento del 1287-1304 che se ne decise la traslazione:
terminata la costruzione del nuovo coro gotico, si provvide alla sistemazione monumentale delle
spoglie di san Cerbone, patrono della città e nuovo titolare della cattedrale, nell’arca scolpita da
Goro di Gregorio (datata al 1324 da un’iscrizione) che fu probabilmente elevata su colonne sopra
l’altare.73 Entro la prima metà del secolo, verosimilmente nel periodo di ostilità di Massa nei
confronti di Siena (1326-1332),74 il corpo del santo vescovo di Populonia, simbolo dell’autonomia
religiosa e politica della città maremmana, fu accompagnato da prestigiose reliquie (le Spine della
corona di Cristo crocifisso)75 che manifestassero il precedente legame della Chiesa di Massa
Marittima con la Metropoli pisana.
A Colle Valdelsa si sviluppò la devozione al Sacro Chiodo, portatovi, secondo la tradizione,
dalla vicina chiesetta di Bibbiano, situata lungo uno dei diverticoli della via Francigena verso San
Gimignano, nel IX secolo.76 Il culto della preziosa reliquia fu rilanciato, con ogni probabilità,
nell’arco del ministero dell’arciprete Rogerio o del suo successore Alberto (attivi nella seconda
metà del XII secolo),77 quando nel castello di Colle venne costruita una nuova chiesa a tre navate in
luogo della più antica cappella del Salvatore,78 da rendere più consona alla dignità “quasi vescovile”
70 Cfr. PETROCCHI, Massa Marittima, cit., p. 57; CARLI, L' arte a Massa Marittima, cit., p. 48. 71 Il cantiere era certamente concluso nel 1267, quando fu collocato il fonte battesimale di Giroldo da Como
nella prima campata della navatella destra. Sia Luigi Petrocchi che Mario Lopes Pegna concordano nel datare a quest’epoca la costruzione del duomo, posto in un’area diversa da quella occupata dalla chiesa di San Cerbone, titolo che sarà traslato alla cattedrale solo nel 1586. Cfr. PETROCCHI, Massa Marittima, cit., pp. 23-25; M. LOPES PEGNA, Storia di Massa Marittima, Massa Marittima, La Torre Massetana 1962, pp. 64-66; CARLI, L' arte a Massa Marittima, cit., p. 22, che esclude un intervento di Giovanni Pisano, sulla scorta della stessa iscrizione cancellata analizzata dal Petrocchi. Sul fonte si veda C. BRESCHI, La voce di un monumento: nel travertino massano, Massa Marittima, Tip. Minnucci 1940.
72 Il Costitutum comunis et populi civitatis Masse è un codice trecentesco che raccoglie rubriche elaborate fra il 1227 e il 1328. Archivio di Stato di Firenze, Archivio della Repubblica, Statuti delle comunità autonome e soggette, 434. Cfr. G. VOLPE, Toscana medievale: Massa Marittima, Volterra, Sarzana, Firenze, Sansoni 1964, p. 114 nota 6.
73 Cfr. PETROCCHI, Massa Marittima, cit., pp. 49-50. 74 Cfr. RANIERI SARDO, Cronaca pisana, cit., p. 109; PETROCCHI, Massa Marittima, cit., pp. 300-315. 75 Si vedano, più sopra, le vicende di Santa Maria della Spina. 76 Cfr. P.F. CATENI, Notizie della reliquia del Sacro Chiodo servito alla Crocifissione di N.S.G.C. che si venera
nella Cattedrale di Colle in Toscana, Colle Val d’Elsa, 1821; G. PICONE, L’influsso dei pellegrini sulla spiritualità valdelsana del medioevo, in Storia e cultura della strada in Valdelsa nel Medioevo, a cura di R. STOPANI, San Gimignano-Poggibonsi, Centro Studi Romei 1986, pp. 101-115: 102-105; E. MATTONE VEZZI, Contributo per la storia di Colle Valdelsa. Il castello dei Franchi, «Miscellanea Storica della Valdelsa», XXXVIII, 1930, pp. 3-19: 5-6. Sulle chiese di Bibbiano, S. MORI, Pievi della Diocesi Volterrana Antica dalle origini alla Visita Apostolica (1576) - una griglia per la ricerca, «Rassegna Volterrana», LXVII, 1991, pp. 3-123: nn. 20.27-29.
77 Cfr. Regesta pontificum romanorum. Italia Pontificia. Etruria, a cura di P.F. KEHR, Roma, Loescher 1908, pp. 307-308 nn. 9-18.
78 Per una storia sintetica della chiesa, corredata di una bibliografia aggiornata, Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena - Tra Siena e San Gimignano, Empoli, Editori dell’Acero 1996, pp. 82-85. Per la specifica questione, cfr. M. FRATI, Architettura religiosa fra pellegrinaggio internazionale e devozione locale: il caso della Valdelsa bassomedievale, «Miscellanea Storica della Valdelsa», CIV, 1998, pp. 199-244: 227.
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del suo rettore e ‘quasi cittadina’ del suo popolo.79 Ai lavori, come potrebbe attestare un’iscrizione
erratica reimpiegata nelle murature della più tarda cattedrale seicentesca,80 prese parte anche
Buonamico, maestro pisano attivo in Valdelsa nel terzo quarto del XII secolo, pur con un ruolo non
ancora chiarito ma probabilmente relativo all’arredo liturgico. Nella facciata della chiesa, in origine
a salienti e ora ridotta al solo ordine inferiore inglobato nel fianco sinistro della cattedrale, si
aprivano due semplici portali (ora tamponati).81 Non sappiamo se il doppio ingresso servisse per far
circolare meglio le folle di devoti pellegrini in visita a qualche preziosa reliquia (se proprio il sacro
Chiodo – che era conservato altrove – in quale particolare occasione?) e, oltretutto, non è più
possibile ricostruire lo spazio e l’ipotetico percorso liturgico attraverso l’edificio. L’ampliamento
romanico della chiesa preparò l’imminente (fra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo)
trasferimento dalla vicina pieve a Elsa della dignità battesimale82 ma solo nel 1370 l’Opera del
Sacro Chiodo (esistente almeno dal 1355) promosse la costruzione di una cappella (mai realizzata)
per trasferirvi la reliquia, allora conservata nella chiesetta di Santa Croce in Piano;83 il progetto si
concretizzò nel 1421 con la traslazione del Sacro Chiodo nella cappella del Beato Pietro all’interno
della pieve.84 All’avviamento della completa trasformazione (a partire dal 1603) della pieve –
conseguente al conferimento della cattedra episcopale alla Chiesa colligiana nel 159285 – la reliquia
fu traslata nel braccio destro del transetto entro il suo tabernacolo marmoreo. La necessità di
convogliare i finanziamenti nel cantiere del Duomo rallentò l’arredo della cappella, ancora da
completare nel 1629;86 la devozione alla reliquia gerosolimitana aveva ormai esaurito il proprio
79 La pieve a Elsa, poi di Colle, fu nullius diocesis tra il 1188 e il 1242: in questo periodo il suo arciprete fu
rivestito di una dignità superiore a quella di semplice pievano. Cfr. Chiese medievali della Valdelsa, cit., pp. 82, 84 note 3-4, 12. Alla fine del XII secolo, nel castrum di Colle si andava costituendo il regime comunale. Cfr. O. MUZZI, Espansione urbanistica e formazione del Comune. Colle Valdelsa fra XII e XIII secolo, «Miscellanea Storica della Valdelsa», CIV, 1998, pp. 81-118: 98-101.
80 Cfr. R. STOPANI, Storia e cultura della strada in Valdelsa nel Medioevo, in Storia e cultura, cit., pp. 7-81: 72 nota 107.
81 La mancata realizzazione del portale centrale appare come una scelta consapevole fin dalla fase progettuale, in quanto il fornice mediano avrebbe dovuto essere più ampio degli altri, mentre ha la stessa luce.
82 Cfr. Regesta pontificum romanorum, cit., pp. 307 n. 14, 308 n. 18. 83 Cfr. CATENI, Notizie della reliquia del Sacro Chiodo, cit., pp. 43-44. 84 La costruzione di un altare dedicato a San Pietro e una “tabula picta” furono commissionati da Lumisio fu
Giacomo de’ Tolosendi che le finanziò con il proprio testamento del 14 ottobre 1417. Fra Quattro e Cinquecento la cappella fu progressivamente arricchita di arredi: nel 1465 fu aggiunto un tabernacolo di marmo (scuola di Mino da Fiesole) e nel 1512 fu affrescata (Vita di S. Alberto e Miracoli davanti all’altare del SS. Chiodo), fu rifatto il pavimento e fu dotata di sculture in marmo, alabastro e porfido. Cfr. CATENI, Notizie della reliquia del Sacro Chiodo, cit., pp. 45-46, 51, 71-74; MORI, Pievi della Diocesi Volterrana Antica, cit., n. 13.0.
85 Per la cattedrale secentesca, cfr. Colle di Val d'Elsa nell'età dei granduchi medicei: la terra in città et la Collegiata in cattedrale, Firenze, 1992, pp. 74-84; I. MORETTI, La fabbrica del Duomo, in Colle di Val d’Elsa. Diocesi e città tra ‘500 e ‘600, a cura di P. NENCINI, Castelfiorentino, Società Storica della Valdelsa 1994, pp. 371-384.
86 Nel 1618 era stata provvista di una nuova urna; nel 1629 l’altare era ancora quello provvisorio in legno; solo successivamente si pose un cancello di ferro a protezione della reliquia, ancora molto venerata. Cfr. CATENI, Notizie della reliquia del Sacro Chiodo, cit., pp. 95, 108-109; MORETTI, La fabbrica del Duomo, cit., p. 374.
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compito di supporto ideologico all’elevazione della chiesa da cappella a pieve e, infine, a cattedrale:
pertanto fu affidata alla Centuria, confraternita laicale appositamente fondata nel 1645.87
Nella Montagna pistoiese, si registra un caso di variazione funzionale di un’antica chiesa da
pieve a santuario mariano. Nel XVI secolo, per favorire la popolazione del castello di Piteglio, la
dignità battesimale fu trasferita dalla vecchia pieve di Santa Maria Assunta sulla via Mammianese
all’omonima chiesa del centro abitato.88 Nell’isolato edificio romanico, rammentato fin dal 107489 e
consistente in una semplice aula absidata databile al XII secolo, si era sviluppato il culto del sacro
Latte, miracolosamente venuto, secondo la pietà popolare, dalla Terrasanta. A seguito di un violento
terremoto, congiunto alla trascuratezza che seguì la traslazione del titolo, la chiesa non doveva
versare in buone condizioni, se l’8 gennaio 1607, di questo preoccupata, la comunità di Piteglio,
attraverso il proprio vicario, fece istanza alle magistrature fiorentine:90
“Tolomeo di Matteo vichario di detto comune [Piteglio] parlò e disse che la Pieve Vecchia haveva bisogno di essere racconciata, atteso che minacciava rovina e se questo verno alle nevi cascasse, per Santa Maria di marzo, dove concorre tanto popolo per vedere il gloriosissimo Latte della Madonna, sarà grande vergogna e danno nostro se non si potrà mostrare”.
Il ‘partito’ del 1607 dette impulso ai lavori di consolidamento che videro la sopraelevazione
delle murature perimetrali, eliminando il coronamento romanico a mensoline, e, probabilmente, la
demolizione della calotta absidale, forse pericolante. Forse a questa fase edilizia appartengono
anche la definizione, in facciata, della finestra rettangolare e la costruzione di un rozzo pulpito
addossato per la benedizione del popolo con l’ostensione del sacro Latte (Fig. 11). La continuità
della devozione alla reliquia incoraggiò il pievano Domenico Migliorini, valente scalpellino, a
incrementare l’arredo liturgico della chiesa: nel 1666 la provvide, chiudendo l’abside, di un nuovo
altare maggiore con una tela dell’Annunciazione. L’omaggio delle filatrici di Piteglio si tradusse nel
1675 nel campaniletto a vela sulla cuspide della facciata. La persistenza del culto, vivo ancora oggi,
sostenne alcuni altri interventi, tra cui l’apertura della finestrella absidale nel 1712, il collocamento
del pulpito in pietra serena (proveniente dalla parrocchiale di Piteglio) nell‘800 e il ripristino della
facies medievale nel 1930.
87 L. TRAPANI, Il Santo Chiodo, «Bollettino della Società degli Amici dell’Arte di Colle di Val d’Elsa», XVI,
1999, 44, p. 13. 88 Sulla Pieve vecchia, si vedano G. LENZINI, L’antica pieve di Piteglio, in Chiese romaniche e moderne in
Pistoia e Diocesi, Pistoia, 1964, pp. 79-83; C. CELESTINI, Pieve Vecchia di Piteglio, in Il Patrimonio artistico di Pistoia e del suo territorio. Catalogo storico-descrittivo, Pistoia, EPT 1967-1970, pp. 86-87; B. GERINI, La provincia di Pistoia, Pistoia, 1988, t. VII, pp. 1578-1584; F. REDI, Chiese medievali del Pistoiese, Milano, Silvana 1991, p. 62. Per un inquadramento della pieve nella Montagna pistoiese, si veda la recente relazione di Giampaolo Francesconi, Pievi, parrocchie e comuni rurali nel territorio pistoiese nel secolo XIII, tenuta alla VI Giornata di studi di storia e di ricerca sul campo fra Emilia e Toscana tenutasi a Capugnano e Bologna il 12 settembre 1998. Per un resoconto, in attesa della pubblicazione degli atti, si veda P. FOSCHI, Ecclesiae baptismales. Le pievi della montagna fra Bologna, Pistoia e Modena nel Medioevo, «Ricerche storiche», XXVIII, 1998, pp. 715-719.
89 Del 1040 è la prima attestazione della località di Piteglio. Cfr. Regesta Chartarum Pistoriensium. Canonica di S. Zenone (sec. XI), Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria 1985, nn. 85, 168.
90 GERINI, La provincia di Pistoia, cit., t. VII, p. 1582.
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Nella Pieve collegiata di Empoli, la presenza della reliquia della Santa Croce, donata con
tanto di autentica al canonico Buonsignori nel 1606 dal cardinale di Toledo, non sembra essere stata
il motore dei successivi lavori (1611) di spostamento del coro dall’angusta navata centrale della
basilica romanica (distrutta nel 1735) alla nuova scarsella dietro l’altare, poi sostituito nel 1623.91
Piuttosto, sembra che il reliquiario fosse stato acquisito, al pari di altri argenti, nel quadro di un
totale rinnovamento della parte presbiteriale della chiesa, in accordo con le istanze
controriformiste.92 Il progressivo affollamento di reliquie nel tabernacolo del presbiterio provocò
inizialmente lo spostamento di alcune di esse in un armadio, finchè non fu realizzata un’apposita
teca. Nel 1725, su indicazione dell’arcivescovo in visita pastorale, le reliquie, il cui numero era da
poco tempo aumentato, furono solennemente traslate nella prima cappella laterale sinistra (Fig. 12),
l’unica ancora priva di titolare, che per l’occasione fu dedicata alle Santissime Reliquie e dotata di
un tabernacolo ligneo dorato ad ante.93
Il ritardo con cui le trasformazioni agli edifici seguirono l’introduzione delle reliquie trova
diverse giustificazioni. In Sant’Ambrogio a Firenze si dovettero attendere i finanziamenti dei privati
per dare il via ai lavori. A Colle, nella seconda metà del Trecento, i progetti di traslazione del sacro
Chiodo nella pieve coincisero con importanti lavori che distolsero le finanze della pieve e del
comune dalla loro realizzazione.94 In diversi casi la pratica devozionale s’intrecciò con il calcolo
politico. A Massa Marittima le reliquie gerosolimitane accompagnarono l’introiezione delle spoglie
mortali del nuovo santo patrono, simbolo dell’aspirazione della città ad una più ampia autonomia
91
Cfr. W. SIEMONI, Le vicende architettoniche e il patrimonio artistico dal XIV al XIX secolo, in Sant’Andrea a Empoli. La chiesa del pievano Rolando. Arte, storia e vita spirituale, Firenze, Giunti 1994, pp. 73-123: 93, 120 nota 80.
92 Di questo parere sembra essere anche il Siemoni, anche se, invertendo la successione dei fatti, ha posto l’acquisizione degli arredi a seguito delle modifiche architettoniche. Cfr. ivi, p. 93.
93 Cfr. ivi, p. 102. Ancora oggi l’armadio-tabernacolo contiene le reliquie meno preziose raccolte nella Collegiata e viene aperto alla devozione per la festa di Ognissanti (31 ottobre – 1 novembre). Il cartiglio sotto l’altare recita:
«ALTARE HOC PLURIBUS AB HINC SAECULIS PRISCAE ILLUSTRI- | ORIS FAMILIAE DE RICCI INTER
PATRITIAS FLORENTINAS MAIORIS | ORDINIS PIETATE ERECTUM UT IN POSTERUM SANCTARUM RELI- | QUIARUM INSIGNIS HUIUS ECCLESAIE TUTIORI DECENTIQUE CUS- | TODIAE INSERVIRET PRECIBUS DOMINUM
OPERARIORUM VOTISQUE FRATR- | UM CONGREGATIONIS SANCTAE LUCIAE POSITAE IN SOCIETATE SANCTI LA- | URENTII EIUSDEM ECOLAE ILLUD ORNARE CURANTIBUS | FEDERICUS DE RICCI SENATOR FLORENTINUS
AMOTA PRIUS | INDI VETERI TABULA IUSSOQUE IN ECCLESIA PROPE DICTUM | ALTARE ASSERVARI NE MINIMUM
QUIDEM ANTIQUITA- | TIS MONUMENTUM PERIRET AD OMNIPOTENTIS DEI GLO- | RIAM SANCTORUMQUE
SUORUM VENERATIONEM LIBENTIS | SIME PERMISIT RATUS NUNQUAM NISI IUS MAIORUM SUORUM | VOLUNTATI MOREM GERERE AC MEMORIAM SERVARE | QUAM UBI CULTUM ORNATUQUE HUIUSMET INSIGNIS
ECCLESIAE A NON | PAUCIS EORUM EA CURA ET AMORE QUO PAR ERAT PRAEPO- | SITI OFFICIO
ADMINISTRATAE A PRAECIPUIS LARGITIONIBUS | CUMULATAE QUACUMQUE OCCASIONE QUAE SE OFFERAT
PRO | VIRILI PARTE PROMOVERET EX APOCA CONSCRIPTA MA- | NU NOTARII PUBLICIS FLORENTINI DE ANNO
MDCCXXIV PROUT | IN ARCHIVIO OPERAE».
O. POGNI, Le iscrizioni di Empoli, Firenze, Tip. Arcivescovile 1910, n. 44. 94 Tra il 1334 e il 1355 fu realizzato il campanile, nel 1371 venne deliberato l’acquisto di un organo e nel 1384
fu costruita una cappella per la Compagnia di San Giovanni Battista. Cfr. Chiese medievali della Valdelsa, cit., pp. 82-85.
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religiosa e politica. A Piteglio la vecchia pieve, sopravvissuta solo grazie alla devozione al sacro
Latte, fu adattata alla funzione di santuario mariano a seguito dell’intervento pubblico che ravvisò
l’importanza del culto e della chiesa come centro polarizzatore della montagna circostante. A
Empoli, l’acquisizione delle reliquie gerosolimitane è solo un tassello di un ampio e progressivo
processo di rinnovamento dello spazio liturgico, tanto da non attirare particolari attenzioni
progettuali ricevendo una sede idonea soltanto all’avvenuta conclusione dei lavori di ampliamento
barocchi.
5. Traslazioni senza effetto.
Accanto a trasformazioni spaziali più o meno estese, vanno registrati due casi in cui l’arrivo
di reliquie dalla Terrasanta non ha avuto nessun effetto ragguardevole sull’architettura, né in
occasione della traslazione, nè dopo.
Alla metà del Trecento anche la cattedrale di Siena si procurò un notevole gruppo di reliquie
gerosolimitane: resti della colonna della flagellazione, della corona di spine, delle vesti di Gesù e di
altri strumenti della Passione intorno al legno della vera Croce erano unite a particelle dei capelli,
dei veli e di altri oggetti appartenuti alla Madonna (alla quale abbiamo già avuto modo di dire
quanto la città fosse devota). Nessuna modifica fu apportata all’architettura della cattedrale95 per
accogliere le reliquie, che furono invece collocate nella nuova sacrestia (Fig. 13), realizzata entro il
1409 tra il coro e il braccio sinistro del transetto.96 Dal secondo decennio del Quattrocento i sacri
resti vennero conservati in un armadio, detto ‘Arliquiario’, del quale Benedetto di Bindo dipinse gli
sportelli (oggi conservati nel museo dell’Opera) con Storie dell’invenzione e dell’esaltazione della
santa Croce nel 1411.97 L’arredo della sacrestia impegnò gli artisti per qualche anno: nel 1412
Benedetto lavorò ancora alle pareti, dove dipinse a fresco una Madonna,98 e nel 1416 furono
realizzate le cancellate in ferro a protezione dell’armadio.
95 Cfr. C. PIETRAMELLARA , Il Duomo di Siena. Evoluzione della forma dalle origini alla fine del Trecento,
Firenze, EDAM 1980. 96 Nel 1409 vennero realizzate le capriate della copertura e si cominciò la decorazione a fresco. Cfr. M.
BOSKOVITS, Su Niccolò di Buonaccorso, Benedetto di Bindo e la pittura senese del primo Quattrocento, «Paragone», vol. CCCLIX-CCCLXI, 1980, pp. 3-22: 9. Sulla decorazione della sacrestia si veda anche J. MONGELLAZ, Reconsidération de la distribution des rôles à l’intérieur du groupe des maîtres de la sacristie de la cathédral de Sienne, «Paragone», vol. CDXXVII, 1985, pp. 73-89.
97 Cfr. V. LUSINI, Il Duomo di Siena, 2 voll., Siena, Tip. S. Bernardino 1911, vol. II, pp. 198-202, che attribuisce a Pietro Lorenzetti (metà del Trecento) l’esecuzione delle pitture; P. BACCI, Fonti e commenti per la storia dell’arte senese, Siena, 1944, che ricostruisce la vicenda su base archivistica; E. CARLI, Il Duomo di Siena, Genova, Sagep 1979, pp. 86-87; GAGLIARDI , Le reliquie dell’Ospedale, cit., pp. 54-55. Nel 1664 le reliquie stavano ancora agli angoli dell’apposita cappella in sagrestia. Il Duomo di Siena al tempo di Alessandro VII. Carteggio e disegni (1658-1667), a cura di M. BUTZEK, München, Bruckmann 1996, p. 310.
98 Nel 1411 fu pagato «per fattura de la Madonna che sta in Sagrestia». Cfr. BOSKOVITS, Su Niccolò di Buonaccorso, cit., pp. 8-10.
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Anche le tormentate vicende edilizie della chiesa fiorentina di San Biagio (già di Santa
Maria sopra Porta) non sembrano essere state determinate dalla presenza dell’importante reliquia
della pietra del Santo Sepolcro.99 L’antica chiesa, esistente fin dal 1038 presso la porta urbica verso
il ponte sull’Arno, fu ricostruita alla metà del XIII secolo nell’attuale posizione (nel 1267 appariva
“nuova”). Subito utilizzata come sede del partito guelfo, fu acquistata dalla Repubblica fiorentina
nel 1281 e ospitò un capitolo di canonici dal 1298. Forse danneggiata durante la guerra civile del
1304,100 venne riconsacrata nel 1336 e divenne stabilmente sede della magistratura fiorentina dei
Capitani di Parte Guelfa, che ne acquistarono il patronato nel 1410 per concessione dell’antipapa
Giovanni XXIII.101 A dispetto della tradizione, fu solo tra il XIV e il XVI secolo che avvenne la
collocazione della supposta reliquia della pietra del Santo Sepolcro,102 portata, secondo le memorie
di casa Pazzi redatte nel 1535, dall’avo Pazzino dalla prima crociata:103
“L’anno 1088 Urbano II fece una crociata per riacquistare Terrasanta, dove ci concorsero genti di tutte le Provincie Cristiane: Generale ne fece Goffredo Buglione, molti vi andarono di Firenze, fra’ i quali fu Pazzo de’ Pazzi, il quale ebbe il comando della Milizia di Toscana, ed in tutte le imprese valorosamente portandosi fu il primo, che piantasse lo stendardo de’ Cristiani in su le mura di Gerusalemme. Onde per questo ottenne dal detto Goffredo tre pezzi di pietre del Santo Sepolcro di Gesù Cristo, e la stessa sua arme di due Delfini con croci in campo azzurro. Il detto Pazzo tornò a Firenze, e fu dai Signori a grande onore ricevuto, cui egli donò i tre pezzi di pietra, che la Signoria fece mettere nella Chiesa di San Biagio, in un ciborio dorato. Secondo il costume di Gerusalemme il giorno di Sabato Santo il Priore di quella chiesa trae da quelle pietre il fuoco, e di poi processionalmente con molti Prelati, e molti della casa de’ Pazzi con facelle di fuoco lo porta a San Giovanni, e detti della casa de’ Pazzi in tal giorno fanno molta festa per tale memoria”.
La stessa tradizione era stata precedentemente raccolta da Matteo Villani. Ma il cronista
fiorentino non rammenta ancora la presenza della pietra del Santo Sepolcro nella chiesa di Santa
Maria, soppressa e ridotta a oratorio nel 1456, perché, con ogni probabilità, la reliquia vi fu
trasferita più tardi, forse in concomitanza con la nuova dedicazione a san Biagio, avvenuta entro il
1486:104
99 Sulla chiesa di San Biagio, si vedano RICHA, Notizie Istoriche, cit., vol. III, pp. 251-261; PAATZ, Die
Kirchen von Florenz, cit., vol. I, pp. 367-377; A. BUSIGNANI, Le chiese di Firenze. Quartiere di Santa Maria Novella, Firenze, Sansoni 1979, pp. 97-104. Sulla chiesa e sull’annessa cappella gentilizia di San Bartolomeo de’ Bardi, fondata nel 1345 e consacrata nel 1352, cfr. G. TONINI, Argomenti maseschi: la cappella di San Bartolomeo in Santa Maria sopra Porta e due patronati Bardi di Vernio, «Annali», I, 1984, pp. 7-25.
100 Di particolare interesse sono le acute analisi stratigrafiche ante litteram di RICHA, Notizie Istoriche, cit., vol. III, p. 255.
101 Il passaggio ai Capitani è dimostrato dalla compresenza nell’architrave del portale della chiesa delle armi del Comune della Parte e dell’antipapa. Pochi anni dopo, accanto alla chiesa e ad essa coordinato, la magistratura fece costruire il proprio Palagio da Filippo Brunelleschi.
102 La roccia di cui è costituita la reliquia è di natura completamente diversa da quella costituente il banco del Golgotha. Sulla reliquia, si vedano BUSIGNANI, Le chiese di Firenze. Quartiere di Santa Maria Novella, cit., pp. 100-101; F. CARDINI, G. VANNINI , San Vivaldo in Valdelsa: problemi topografici ed interpretazioni simboliche di una «Gerusalemme» toscana, in Religiosità e società in Valdelsa nel basso medioevo. Atti del Convegno di S. Vivaldo (S. Vivaldo, 29 settembre 1979), Castelfiorentino, Società Storica della Valdelsa 1980, pp. 11-74: 19, 60 nota 28.
103 Libro scritto da Ghinozzo di Uguccione de’ Pazzi dell’anno 1535, copiato da libro più antico della nostra Famiglia, cit. in BUSIGNANI, Le chiese di Firenze. Quartiere di Santa Maria Novella, cit., p. 100.
104 G. V ILLANI , Cronica, cit., libro I, cap. 60.
20
“Il fuoco benedetto si spande per tutta la città al modo, che si faceva in Gerusalemme, che per ciascuna casa andava uno ad accenderlo, e da quella solennità venne alla casa de’ Pazzi la dignità, che hanno, della gran facellina, intorno fa 140 anni per un loro antico nomato Pazzo, forte, et grande della persona, che portava maggior facellina, che nullo altro, et era il primo, che prendesse il fuoco Santo, e poi li altri da lui”.
I Pazzi, caduti in disgrazia nel 1478 a causa della congiura antimedicea, potrebbero essere
stati costretti a cedere l’importante reliquia in quel frangente (e un indizio ne sarebbe il portafuoco
realizzato nello stesso anno e decorato con le insegne della Parte Guelfa, oggi conservato nel
Palagio).105 Se ciò è vero, possiamo affermare che la traslazione non ebbe nessuna conseguenza sul
piano architettonico, anche sulla scorta delle osservazioni di Giuseppe Richa,106 che nel 1755
descriveva il
“[...] tabernacolo di marmo coll’arme de’ Carosi, nel quale presentemente sonovi chiuse le pietre del Sacro Sepolcro: però fino al 1590 ho io trovato ne’ Libri della Parte, che in esso custodivasi la Eucaristia, facendo il Priore in quell’anno un memoriale a’ Capitani di Parte, per avere un Ciborio, dove collocare sull’Altare il Santissimo, che fin allora era stato alla parete laterale [...]”.
Distrutta da un incendio nel 1706, la chiesa di San Biagio fu restaurata nel 1707: non
sappiamo se questa fu l’occasione per dare alla reliquia la sistemazione notata dal Richa.
Sconsacrata la chiesa definitivamente nel 1785, l’edicola con la pietra del Santo Sepolcro (con cui il
sabato santo si accende il fuoco, per lo scoppio del carro nel Battistero, conservato in un prezioso
portafuoco in rame dorato, ferro battuto e argento con un’aquila che ghermisce un drago e una
colomba, attualmente custodito nel tesoro della chiesa presso la casa canonicale)107 fu trasferita
nella basilica dei Santi Apostoli a Firenze, per la quale nessuna trasformazione sembra essere stata
necessaria.108
Diverse furono le condizioni che impedirono l’adattamento dello spazio liturgico alla
presenza delle reliquie nelle due chiese: a Siena, la grande (e fallimentare) impresa del ‘Duomo
nuovo’, che assorbì ogni energia e rese inutili i progetti di trasformazione del preesistente edificio; a
Firenze, la damnatio memoriae della casata dei Pazzi. Ma se in questi due casi la traslazione
d’importanti reliquie gerosolimitane non produsse alcun effetto sull’architettura, in altri
accompagnò, quando non provocò, oltre alla trasformazione di edifici preesistenti, anche la
costruzione ex novo di chiese.
6. La costruzione ex novo di San Francesco a Cortona.
105 Cfr. PAATZ, Die Kirchen von Florenz, cit., vol. I, pp. 243, 262 nota 65. 106 RICHA, Notizie Istoriche, cit., vol. III, p. 255. 107 Cfr. PAATZ, Die Kirchen von Florenz, cit., vol. I, p. 239; Guida d'Italia. Firenze e Provincia, Milano, TCI
1993, p. 254. 108 Sulla chiesa, cfr. RICHA, Notizie Istoriche, cit., vol. IV, pp. 54-64; PAATZ, Die Kirchen von Florenz, cit.,
vol. I, pp. 226-263; BUSIGNANI, Le chiese di Firenze. Quartiere di Santa Maria Novella, cit., pp. 77-96; G. TROTTA, Gli antichi chiassi tra Ponte Vecchio e Ponte Santa Trinita, Firenze, Messaggerie Toscane 1992, pp. 147-166.
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Nella chiesa di San Francesco a Cortona (Figg. 14-15) uno splendido reliquiario bizantino
della Vera Croce fu portato dall’oriundo frate Elia Coppi, generale dell’Ordine dei minori, a seguito
della sua missione diplomatica per conto di Federico II presso la corte imperiale bizantina a Nicea
nel 1245-1246.109 La reliquia ebbe diverse sistemazioni nel tempo,110 anche se inizialmente le fu
assegnato l’altare maggiore della chiesa francescana, dov’è poi tornata in età moderna. La
conservazione del Legno della Croce – simbolo non solo della spiritualità francescana ma anche
degli esclusivi rapporti politico-diplomatici che l’Ordine aveva allora con l’imperatore e con la
Terrasanta – appare dunque coeva con l’impresa edilizia del San Francesco, il cui avvio è attribuito
dalla tradizione allo stesso Elia da Cortona, che risiedette nel convento tra il 1246 e il 1253.111 Se
così fosse, sia la costruzione della grande chiesa a sala (che risulta già agibile nel 1254)112 e del
monumentale convento che la sistemazione della prestigiosa reliquia ricevuta dall’imperatore di
Costantinopoli farebbero parte di un disegno propagandistico finalizzato alla riammissione di frate
Elia nell’Ordine, dal quale era stato allontanato nel 1239, e alla riaffermazione dell’indirizzo
conventuale del francescanesimo.113
7. Conclusioni.
L’analisi fenomenologica testé presentata mostra in modo evidente che l’introduzione di
nuove reliquie non provocò necessariamente variazioni architettoniche di rilievo agli edifici
destinati ad accoglierle ma, quando ce ne furono l’intenzione e le capacità, la promozione del culto
109 Sul reliquiario bizantino e sul suo contenuto, cfr. C. EISLER, The Golden Christ of Cortona and the Man of
Sorrows in Italy, «The Art Bulletin», LI, 1969, pp. 107-118, 233-246: 111. Sull’uso, in ambito francescano della reliquia, si veda anche la lezione al Seminario di Giuseppe Ligato, Il ruolo dei Francescani nel culto delle reliquie (con particolare riguardo a quelle di Terrasanta).
110 Successivamente il reliquiario fu posto sul pilastro alla sinistra della cappella del coro, com’ è testimoniato dall’iscrizione “+ ALTARE HOC OMNIPOTENTI DEO IN | HONOREM SACRATISSIMI LIGNI CU- | IUS D.N.I.C. ERECTUM
PRIVILEGIO QUO- | TIDIANO PERPETUO AC LIBERO PRO | OMNIBUS DEFUNCTIS AD QUOSCUMQUE | SACERDOTES VIGORE
BREVIS BENEDI- | CTI PAPAE XIV DIE IV OCTOB. M.DCCLI | INSIGNITUM ATQUE A MINISTRO GENE- | RALI ORDINIS DIE IX
MENSIS FEBRUARI M.DCCLIII DESIGNATUM +”, accanto alla quale sono ben visibili le tracce lasciate sulla pietra dalla martellina dentata, strumento di finitura generalmente impiegato nel tardo medioevo. Nel Settecento fu poi costruito nella scarsella uno scenografico altare dove fu collocato il tabernacolo secentesco contenente il reliquiario bizantino.
111 Sull’edificio, si veda A. CADEI, La chiesa di S. Francesco a Cortona, «Storia della città», vol. VIII, 1978, pp. 16-23; A. TAFI, Immagine di Cortona. Guida storico-artistica della città e dintorni, Cortona, Calosci 1989, pp. 228-244; M. DOCCI, S. Francesco a Cortona : rilievo, analisi storica e nuovi contributi, «Opus», IV, 1995, pp. 135-152.
112 Cfr. G. MANCINI, Cortona nel Medio Evo, Firenze, 1897, pp. 52-53. 113 La tradizione agiografica locale individua nella testa contenuta in un capitello antropomorfo il ritratto del
frate. La figura di Elia da Cortona – committente, uomo di Chiesa e fine diplomatico – è stata rivalutata anche in ambiente minorita solo recentemente. D. BASILI, Ricognizione delle ossa di frate Francesco e frate Elia, Cortona, Calosci 1995; Frate Elia da Cortona, a cura di E. MORI, Cortona, Calosci 1998; G. BARONE, Da frate Elia agli Spirituali, Milano, Biblioteca francescana 1999; V. GRANATA, San Francesco d'Assisi nel suo ideale nel suo stile nei suoi eredi, frate Elia suo vicario per venti anni guida del Movimento del santo patriarca, Marigliano, L.E.R. 1999.
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fu spesso, nell’ambito di strategie pastorali e politiche più ampie, un’ottima occasione per la
trasformazione, se non per la costruzione, dei santuari.114
Dando uno sguardo generale alla distribuzione delle reliquie ‘gerosolimitane’ in Toscana,
emerge immediatamente la netta prevalenza di quelle cristologiche sulle mariologiche e la
diffusione di queste ultime esclusivamente nell’interno della regione. Questo dato di fatto, tanto più
se inquadrato nel lungo periodo preso in considerazione (dall’XI al XVII secolo), non deve però
spingere a trarre conclusioni su di un vago quanto improbabile condizionamento dell’ambiente
sull’uomo. È necessario infatti precisare lo specifico ambiente in cui la devozione a Maria si
sviluppò, ribaltando la gerarchia celeste. Innanzitutto, le sedi del culto coincidono con i ‘duomi’ dei
quattro centri individuati e, quindi, è opportuno osservare il fenomeno in una prospettiva
territoriale.
Di Siena e della sua predilezione per la Madre di Dio, abbiamo già detto.115 Per Prato,
invece, che si era da sempre stretta intorno al protomartire Stefano, occorre indicare la soggezione
politica a Firenze (la cui nuova cattedrale era stata dedicata a santa Maria del Fiore) come un
possibile motivo del cambiamento di orientamento devozionale. Lontano dalle città, le motivazioni
del successo del culto reliquiario mariologico appaiono diverse e molto più legate alla vita della
campagna e alla fama di miracolosità. Sia all’Impruneta (contado fiorentino) che a Piteglio
(montagna pistoiese), gli effetti miracolosi delle reliquie riguardavano la fertilità: della terra nel
primo caso, della donna nel secondo. Non è un caso che nell’immaginario delle popolazioni rurali
alla duplice fondamentale funzione di garanzia della sopravvivenza della collettività (la produzione
agricola e la procreazione) fosse preposta una madre, la Madre di Dio! Che questi luoghi si siano
poi trasformati in santuari di rango subregionale e abbiano polarizzato il territorio immediatamente
circostante, è un effetto che i detentori del potere (Buondelmonti e Medici) poterono solo
amplificare, sostenendo le esistenti forme di devozione.
La scelta di reliquie cristologiche può apparire in alcuni casi soltanto accessoria, come a
Firenze, Massa Marittima o Empoli. Ma altrove, specialmente dove la diffusione del culto ebbe
pesanti conseguenze sulle strutture architettoniche, le ragioni sembrano essere ben più ponderate.
Della Lucca anselmiana, centro di diffusione della Riforma gregoriana, si è già parlato, ma
conviene ricordare come la città, capitale della marca di Tuscia, stesse perdendo il proprio ruolo
egemonico nella regione, a tutto vantaggio della vicina e concorrente Pisa. Il ricorso a una forma di
114 Sui santuari italiani è in corso una ricerca interdisciplinare a cura dell’École Française de Rome. Ai lavori
del gruppo della regione Toscana, coordinato da Anna Benvenuti, partecipa anche l’A. del presente contributo. 115 Sull’uso in senso politico della devozione mariana, cfr. M.M. DONATO, «Cose morali, e anche appartenenti
secondo e’ luoghi»: per lo studio della pittura politica nel tardo medioevo toscano, in Le forme della propaganda
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devozione diretta a Cristo, attraverso il culto della croce e degli altri strumenti della Passione,
poteva avere l’obiettivo di ribadire la centralità della cattedra lucchese, che fino al XII secolo fu
l’unica sede arcivescovile della Toscana.116 Il possesso di reliquie cristologiche ebbe a Cortona e
Colle un significato probabilmente ancora diverso. In entrambi i casi l’ostentazione del legno e di
uno dei chiodi della croce servì a legittimare le aspirazioni dei possessori: di frate Elia alla
riabilitazione e del clero colligiano alla dignità vescovile. In entrambi i casi si tentò di sostenere il
progetto politico con un segno autorevole del consenso divino: la custodia delle tracce visibili della
presenza storica di Cristo e della sua signoria sulla storia.
A margine della ricerca, viene da chiedersi se le chiese contenenti le reliquie fossero
considerate sacre quanto il prezioso contenuto (come farebbero pensare i reliquiari architettonici
esemplati su edifici significativi, come il Battistero di Firenze)117 o se esistessero edifici percepiti
essi stessi come reliquie, come la Scala Santa a Roma, la Porziuncola ad Assisi, la Santa Casa a
Loreto o il Sacello di Oropa. Certo, solo considerazioni di ordine pratico indussero i maestri della
nuova facciata della pieve di Prato a mantenere intatta la vecchia, sovrapponendovisi, così come i
costruttori della cattedrale di Colle a impiegare le bozze del preesistente edificio romanico nel
nuovo cantiere e a inglobare nel fianco occidentale l’ordine inferiore dell’antica facciata,
decurtandola di ogni leggibilità.
La nostra rassegna si conclude con il progetto, non realizzato, di trasferire – all’interno
di un apposito edificio esemplato sull’Anastasis – nientemeno che l’edicola del Santo Sepolcro:
edificio, reliquiario e reliquia allo stesso tempo.118 Si tratta, naturalmente, del disegno mediceo di
innestare, sulla tribuna della basilica laurenziana, la cappella dei Principi a Firenze.119 Lontana dalla
devozione medievale per i luoghi santi, la campagna propagandistica granducale si servì, per
promuovere la costruzione dell’enorme edificio celebrativo (che implicava la distruzione di
numerosi edifici privati in un’area densamente costruita), di un modello ormai ‘mitico’, cogliendone
in pieno l’originalità nella combinazione di un organismo centralizzato con uno longitudinale. Il
politica nel due e trecento. Atti del Convegno internazionale (Trieste, 2-5 marzo 1993), a cura di P. CAMMAROSANO, Roma, École Française de Rome 1994, pp. 491-517.
116 Anche a Pisa toccò la dignità metropolitana (delle diocesi della Sardegna), ma solo più tardi. 117 Per i reliquiari in forma architettonica, cfr. la lezione al Seminario di Dora Liscia, I reliquiari. 118 Com’è noto, a Firenze l’edicola del Santo Sepolcro era già stata riprodotta su disegno dell’Alberti nella
cappella Rucellai in San Pancrazio. Cfr. M. DEZZI BARDESCHI, Il complesso monumentale di San Pancrazio a Firenze e il suo restauro: nuovi documenti, «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», XIII, 1966, pp. 1-66. Per una verifica dell’Anastasis come modello per l’architettura medievale toscana, cfr. M. FRATI, Le ‘reliquie’ gerosolimitane e il romanico in Toscana: il modello dell’Anastasis e gli edifici a pianta centrale, «Quaderni di Storia dell’Architettura», vol. III, 2000, pp. 27-46.
119 Cfr. D. NERI, La leggenda di trasferire il S. Sepolcro a Firenze, in Custodia di Terra Santa, 1342-1942, Jerusalem, 1951, pp. 73-78; A. RINALDI , La Cappella dei Principi e le retrovie del Barocco, in Centri e periferie del Barocco. Il Barocco romano e l’Europa, a cura di M. FAGIOLO, M.L. MADONNA, Roma, ESI 1992, pp. 321-347: 336, 346 nota 31, 347 nota 32.
24
problema della conciliazione dei due temi spaziali era già stato affrontato e risolto da Brunelleschi
nel capocroce di San Lorenzo, ma qui doveva assumere un rilievo del tutto particolare e sacrale,
ponendo in una relazione quanto mai complessa la preesistente basilica con il nuovo spazio
centripeto, il sepolcro di Cristo con le tombe medicee, i modelli fiorentini con quelli gerosolimitani,
corrispondenti alla tendenza accentratrice, all’aspirazione alla legittimazione, all’esigenza di
universalità del potere assoluto.
MARCO FRATI
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Illustrazioni.
Fig. 1: Romano SILVA , Ricostruzione ipotetica della pianta della Cattedrale anselmiana, 1986 (da Sant’Anselmo vescovo di Lucca, cit., p. 304 fig. 1).
Fig. 2: Codice Tucci-Tognetti, c. 2r: Il Volto Santo, XIII secolo (da LAZZARINI , Il Volto Santo di Lucca, cit., p. 44).
Fig. 3: Oratorio di Santa Maria della Spina a Pisa: vista dell’esterno (foto dell’autore).
Fig. 4: Giuseppe MARTELLI, Pianta della Chiesa di S. Maria della Spina in Pisa, 1871 (da MARTELLI, Sul proposto restauro del Tempio, cit., tav. f.t.).
Fig. 5: Pieve di Santa Maria all’Impruneta: vista dell’interno (foto dell’autore).
Fig. 6: Alessandro SALLER, Pianta del Castello di S. M. Impruneta, 1700 (da PACCIANI - PAOLUCCI - PROTO PISANI, Il tesoro di Santa Maria Impruneta, cit., p. 26 fig. 31).
Fig. 7: Girolamo MACCHI, veduta della facciata di Santa Maria della Scala a Siena, XVII-XVIII secolo (da Santa Maria della Scala, cit., p. 45 fig. 10).
Fig. 8: Duomo di Santo Stefano a Prato: vista della facciata (foto dell’autore).
Fig. 9: Chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze: dettaglio del fianco meridionale (foto dell’autore).
Fig. 10: Chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze: vista dell’interno (foto dell’autore).
Fig. 11: Pieve di Santa Maria a Piteglio: vista (da REDI, Chiese medievali del Pistoiese, cit., p. 62).
Fig. 12: Collegiata di Sant’Andrea a Empoli: vista della cappella delle Reliquie (foto dell’autore).
Fig. 13: ANONIMO, pianta della sagrestia del duomo di Siena, 1664 (da Il Duomo di Siena al tempo di Alessandro VII, cit., p. 310 fig. 97).
Fig. 14: Chiesa di San Francesco a Cortona: pianta della chiesa (da TAFI, Immagine di Cortona, cit., p. 234).
Fig. 15: Chiesa di San Francesco a Cortona: interno della chiesa (da TAFI, Immagine di Cortona, cit., p. 235).
Fig. 16: Libro Palatino, f. 24: Pianta della Regia Cappella di S. Lorenzo, fine del XVI secolo (da RINALDI , La Cappella dei Principi, cit., fig. 9).