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Approfondimenti S. Clinca www.lalegislazionepenale.eu 1 3.5.2016 L’INCRIMINAZIONE DELL’AUTORICICLAGGIO TRA TUTELA DELL’ORDINE ECONOMICO E GARANZIE FONDAMENTALI di Silvia Clinca (Perfezionanda in diritto penale nella Scuola Sant’Anna di Pisa) SOMMARIO: 1. La genesi dell’art. 648-ter.1 Cp. - 1.1. L’ineffettività della fattispecie di riciclaggio e le pressioni sovranazionali. - 1.2. L’emancipazione dell’art. 648-bis Cp dalla sua matrice “accessoria” e il superamento della nozione di post-factum: le ragioni sostanziali dell’incriminazione del self-laundering. - 2. I profili salienti della fattispecie. - 2.1. La selezione delle condotte tipiche. - 2.2. La clausola del quarto comma e il principio del ne bis in idem sostanziale. - 2.3. L’idoneità decettiva della condotta e il principio del nemo tenetur se detegere. - 2.4. La configurabilità dell’autoriciclaggio da reato tributario. - 3. Osservazioni sulle prime applicazioni giurisprudenziali. - 4. Riflessioni conclusive. 1. L’incessante e periodica “revisione” della disciplina antiriciclaggio costituisce probabilmente l’epifenomeno più tangibile del disagio percepito, non solo a livello legislativo, nei confronti di una tra le piaghe più insidiose della realtà economica del nostro Paese e del contesto internazionale 1 . L’evoluzione normativa in materia, infatti, è stata cadenzata da numerosi input sovranazionali 2 e dal sospingere della tentacolare penetrazione del riciclaggio in plurimi settori dell’economia (tanto legali quanto illegali), grazie alla sua capacità di plasmarsi in modo consentaneo alle metamorfosi del mercato e di assumere volti sempre nuovi (emblematico, in tal senso, è il c.d. cyberlaundering 3 ). 1 Sul perenne processo di riforma V. Manes, Il riciclaggio dei proventi illeciti: teoria e prassi dell'intervento penale, in RTrimDPenEc 2004, 36, osserva come «la storia normativa della repressione del riciclaggio […] in controtendenza con l’adagio jehringhiano» sia «storia di una progressiva dilatazione dell’intervento penale, che via via è andato aumentando, in questo specifico settore, il proprio raggio d’azione». 2 Per un quadro di sintesi della legislazione sovranazionale, si rinvia a: G. M. Palmieri, La tutela penale della libertà di iniziativa economica, Napoli 2013, 17 ss.; M. Zanchetti, Il contributo delle organizzazioni internazionali nella definizione delle strategie di contrasto al riciclaggio, in Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, a cura di A. Manna, Torino 2000, 3 ss.; per l’analisi delle sue tappe fondamentali: R. Razzante, Commentario alle nuove norme contro il riciclaggio, Padova 2007; A. Di Martino, Commento alla legge n. 328 del 9 agosto 1993 di ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l’8 novembre 1990, in La cooperazione tra gli Stati in materia di confisca dei proventi di reato e lotta al riciclaggio, a cura di A. De Guttry e F. Pagani, Padova 1995, 441 ss. 3 Su cui: S. Mulinari, Cyberlaundering. Riciclaggio di capitali, finanziamento del terrorismo e crimine organizzato nell’era digitale, Milano 2003; D. Masciandro - A. Mantica, Evoluzione dei sistemi di pagamento, internet e cybericiclaggio: prime riflessioni, in Mercati finanziari e riciclaggio, a cura di E. Bruni e D. Masciandro, Milano 1998.

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L’INCRIMINAZIONE DELL’AUTORICICLAGGIO TRA TUTELA DELL’ORDINE

ECONOMICO E GARANZIE FONDAMENTALI

di Silvia Clinca (Perfezionanda in diritto penale nella Scuola Sant’Anna di Pisa)

SOMMARIO: 1. La genesi dell’art. 648-ter.1 Cp. - 1.1. L’ineffettività della fattispecie di riciclaggio e

le pressioni sovranazionali. - 1.2. L’emancipazione dell’art. 648-bis Cp dalla sua matrice “accessoria” e il superamento della nozione di post-factum: le ragioni sostanziali dell’incriminazione del self-laundering. - 2. I profili salienti della fattispecie. - 2.1. La selezione delle condotte tipiche. - 2.2. La clausola del quarto comma e il principio del ne bis in idem sostanziale. - 2.3. L’idoneità decettiva della condotta e il principio del nemo tenetur se detegere. - 2.4. La configurabilità dell’autoriciclaggio da reato tributario. - 3. Osservazioni sulle prime applicazioni giurisprudenziali. - 4. Riflessioni conclusive.

1. L’incessante e periodica “revisione” della disciplina antiriciclaggio costituisce

probabilmente l’epifenomeno più tangibile del disagio percepito, non solo a livello legislativo, nei confronti di una tra le piaghe più insidiose della realtà economica del nostro Paese e del contesto internazionale1. L’evoluzione normativa in materia, infatti, è stata cadenzata da numerosi input sovranazionali2 e dal sospingere della tentacolare penetrazione del riciclaggio in plurimi settori dell’economia (tanto legali quanto illegali), grazie alla sua capacità di plasmarsi in modo consentaneo alle metamorfosi del mercato e di assumere volti sempre nuovi (emblematico, in tal senso, è il c.d. cyberlaundering3).

1 Sul perenne processo di riforma V. Manes, Il riciclaggio dei proventi illeciti: teoria e prassi dell'intervento penale, in RTrimDPenEc 2004, 36, osserva come «la storia normativa della repressione del riciclaggio […] in controtendenza con l’adagio jehringhiano» sia «storia di una progressiva dilatazione dell’intervento penale, che via via è andato aumentando, in questo specifico settore, il proprio raggio d’azione». 2 Per un quadro di sintesi della legislazione sovranazionale, si rinvia a: G. M. Palmieri, La tutela penale della libertà di iniziativa economica, Napoli 2013, 17 ss.; M. Zanchetti, Il contributo delle organizzazioni internazionali nella definizione delle strategie di contrasto al riciclaggio, in Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, a cura di A. Manna, Torino 2000, 3 ss.; per l’analisi delle sue tappe fondamentali: R. Razzante, Commentario alle nuove norme contro il riciclaggio, Padova 2007; A. Di Martino, Commento alla legge n. 328 del 9 agosto 1993 di ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l’8 novembre 1990, in La cooperazione tra gli Stati in materia di confisca dei proventi di reato e lotta al riciclaggio, a cura di A. De Guttry e F. Pagani, Padova 1995, 441 ss. 3 Su cui: S. Mulinari, Cyberlaundering. Riciclaggio di capitali, finanziamento del terrorismo e crimine organizzato nell’era digitale, Milano 2003; D. Masciandro - A. Mantica, Evoluzione dei sistemi di pagamento, internet e cybericiclaggio: prime riflessioni, in Mercati finanziari e riciclaggio, a cura di E. Bruni e D. Masciandro, Milano 1998.

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L’inserimento nel codice penale del reato di autoriciclaggio4 (art. 648-ter.1 Cp)5, rappresenta l’ultimo – e probabilmente il più “rivoluzionario” – intervento legislativo in materia di riciclaggio degli ultimi anni e sancisce la transizione del nostro ordinamento dal modello sistematico di tipo “alternativo” o “sussidiario”, che consente di configurare il reato solo al di fuori dei casi di concorso con il reato base, a quello “cumulativo”6, che prevede invece il concorso tra riciclaggio e autorìa o partecipazione nel reato-presupposto.

L’introduzione della fattispecie de qua è frutto di plurime sollecitazioni, tanto esogene quanto endogene all’ordinamento, che hanno indotto il legislatore a riconsiderare le valutazioni sottese alla clausola di riserva di cui all’art. 648-bis Cp7 e ad attrarre nell’orbita del penalmente rilevante il self-laundering. L’opportunità di questa scelta è stata inoltre propugnata da una massiccia campagna mediatica, che – assumendo non di rado venature populistiche – ha dipinto la criminalizzazione del fenomeno come un tassello ineludibile nella lotta alla criminalità organizzata e più in

4 Operato dall’art. 3 co. 3 l. 15.12.2014 n. 186 («Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio»). 5 Art. 648-ter.1 Autoriciclaggio. «1. Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. 2. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. 3. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni. 4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. 5. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. 6. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto. 7. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648». 6 Ricorre a questa terminologia: V. Manes, Il riciclaggio dei proventi illeciti, cit., 57. 7 Che ricalca la tecnica repressiva dei delitti di favoreggiamento e ricettazione, archetipi normativi della fattispecie: M. Angelini, Il reato di riciclaggio (Art. 648-bis c.p.). Aspetti dogmatici e problemi applicativi, Torino 2008, 3. Sulla riconducibilità della fattispecie di riciclaggio allo schema della ricettazione, ex multis: G. Pecorella, Circolazione del denaro e riciclaggio, in RIDPP 1990, 1231 ss.; A. M. Dell’Osso, Riciclaggio e concorso nel reato presupposto: difficoltà di inquadramento ed esigenze di intervento legislativo, in RIDPP 2011, 1277 ss. Sui rapporti tra il reato di cui all’art. 648 Cp e quelli di riciclaggio e autoriciclaggio, alla luce dell’ultimo intervento normativo: A. Apollonio, L’introduzione dell’art. 648-ter.1 c.p. e il superamento del criterio di specialità nel rapporto tra la ricettazione e i delitti di riciclaggio, in CP 2015, 2890 ss.

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generale economica, rendendo l’incriminazione dell’autoriciclaggio un leit-motiv ricorrente in ogni programma di partito.8

L’analisi del reato di nuovo conio non può, dunque, che partire dalle motivazioni, sia di carattere “pratico” che teorico, che – in sincronia con le pressioni del contesto internazionale – hanno determinato il revirement legislativo: una volta ponderata la fondatezza delle ragioni sottostanti all’art. 648-ter.1 Cp, si procederà all’esame della fattispecie incriminatrice, per verificare – anche alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali9 – la rispondenza della sua struttura agli obiettivi postulati dalla riforma, nonché la sua compatibilità con le garanzie costituzionali e i principi del diritto penale che sono stati finora considerati ostativi all’introduzione del reato; si valuterà infine la percorribilità di una soluzione alternativa rispetto a quella seguita dal legislatore del 2014, che sia al contempo idonea a rispondere alle esigenze di criminalizzazione del self-laundering e a conciliarsi con le suddette garanzie.

1.1 Per quanto riguarda le ragioni di carattere “pratico”10 militanti a favore

dell’inserimento dell’art. 648-ter.1 nel codice penale, deve osservarsi come il travagliato (e probabilmente non ancora compiuto) processo di riforma germini sul tronco della disillusione e della presa d’atto dello iato tra la vocazione onnicomprensiva e marcatamente afflittiva dell’art. 648-bis Cp e l’esigua portata applicativa del medesimo sul piano processuale11. È noto, infatti, come la feconda produzione normativa in materia di riciclaggio sia da sempre stata inversamente proporzionale agli esiti ottenuti sul fronte della prevenzione e repressione 12 , tendenzialmente idonei ad intercettare manifestazioni del fenomeno piuttosto

8 Cfr. A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio: la politica criminale cede il passo a esigenze mediatiche e investigative, in RIDPP 2015, 798; F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, in Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di G.M. Baccari, K. La Regina ed E.M. Mancuso, Padova 2015, 4. 9 V. infra par. 3. 10 Intendendo per “pratico”: pertinente alla valutazione di funzionalità della fattispecie al raggiungimento di obiettivi di effettività preventivo-repressiva del sistema penale. F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in DPC – Riv. Trim. 2015 (1), 110, rileva come l’incriminazione dell’autoriciclaggio «chiama a misurarsi con una questione fondamentale del jus terribile, esattamente individuata dalla dottrina più autorevole nella inammissibilità del perseguimento dell’effettività a scapito del principio di frammentarietà, colto nella sua valenza costituzionale indefettibilmente legata al canone della determinatezza e della precisione». Il riferimento dottrinale è a C.E. Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, in RIDPP 1990, 477 ss. 11 Tra i vari: F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale

4, II, Delitti contro il patrimonio, Padova 2012,

272 ss.; C. Longobardo, Il fenomeno del riciclaggio del denaro sporco tra valorizzazione di esigenze preventive ed ineffettività della repressione penale, in Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, a cura di G. Fiandaca e C. Visconti, Torino 2010, 228; G. Insolera, Prevenzione e repressione del riciclaggio e dell’accumulo di patrimoni illeciti, in LP 1998, 154 ss. 12 Cfr. A. R. Castaldo - M. Naddeo, Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Padova 2010, XIX.

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marginali: paradigmatica in tal senso è la frequente applicazione giurisprudenziale della fattispecie al c.d. “taroccamento” di automobili13.

Facendo leva su questa débâcle si è sovente inquadrata la penalizzazione del self-laundering tra le misure indifferibili al fine di garantire una maggiore “efficienza” del sistema punitivo, evidenziando soprattutto la discrasia esistente tra la normativa italiana e il panorama internazionale14. Volgendo lo sguardo a quest’ultimo, si costata come l’Italia non rappresentasse un unicum nello scenario europeo in quanto all’adozione del sistema alternativo, ma si tratta di una scelta ormai seguita da parte minoritaria dei Paesi. Seppur in dottrina si sia cercato di tracciare una linea di demarcazione tra gli ordinamenti di civil law e quelli di common law15, che – tradizionalmente permeati da un marcato pragmatismo – accolgono pacificamente la punibilità del self-laundering, il quadro appare in realtà più articolato: mentre alcuni ordinamenti appartenenti alla tradizione di civil law sanciscono la non punibilità dell’autoriciclatore (è il caso di Germania, Austria e Danimarca), diversi altri si discostano da questa scelta (come Belgio, Grecia, Spagna e Portogallo) 16. Si consideri poi che in alcuni Stati in cui l’autoriciclaggio non è penalmente sanzionato (Francia e Svizzera) 17 , le corti ne hanno introdotto la punibilità mediante interventi sostanzialmente normopoietici18.

13 Espressione con la quale si individuano generalmente la manomissione del numero di telaio, la sostituzione della targa o la falsificazione dei documenti di proprietà e/o di circolazione del veicolo. Si tratta del fenomeno con riferimento al quale la fattispecie ha registrato la maggiore consistenza applicativa. Ex multis: Cass. 22.4.2015 n. 17838, in Dejure; Cass. 13.10.2009 n. 44043, in Dejure; Cass. 25.10.05 n. 44305, in CP 2007, 186 ss. 14 L’inevitabilità di un confronto con la realtà giuridica degli altri Paesi consegue alla circostanza che la disciplina antiriciclaggio costituisce probabilmente il principale banco di prova di un approccio legislativo integrato e “armonizzato” a livello sovranazionale: l’essenza stessa del fenomeno, consistente – in base ad una sintetica ma efficace definizione – in un «processo attraverso il quale si nasconde l’origine illegale di un introito, mascherandolo in modo da farlo apparire legittimo» (G. Pecorella, Denaro (sostituzione di), in DigDPen, III, Torino 1989, 368), non può che trarre linfa vitale dalla sua segmentazione e articolazione territoriale, suggerendo l’insufficienza di una risposta limitata ai confini nazionali. 15 Rileva questa dicotomia: R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza. Normativa e prassi applicative, Milano 2011, 93. 16 Sui profili comparatistici nella dottrina italiana si rinvia a: S. Cavallini - L. Troyer, La “clessidra” del riciclaggio ed il privilegio di self-laundering: note sparse a margine di ricorrenti, astratti furori del legislatore, in DPC – Riv. Trim. 2014 (2), 59 ss.; S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, in DPP 2005, 233 ss.; M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano 1997, 170 ss. e 324 ss. 17 Per quanto riguarda la Francia, ci si riferisce alla celebre sentenza Cass. 14.1.2004 n. 3-81.165, in BullCrim 2004 (12), con nota di C. Cutajar; per un approccio citrico in dottrina: H. Matsopoulou, L’article 324-1, alinéa 2, du Code pénal est applicable à l’auteur du blanchiment du produit d’une infraction qu’il a lui-même commise, in La semaine juridique (10081), 958 ss. Sull’interpretazione proposta dal Tribunale federale svizzero: U. Cassani, Crime ou delits contre l’administration de la justice, in Commentaire du droit penal suisse, a cura di M. Schubarth, Berne 1996, 76 ss. e nella dottrina italiana V. Manes, Il riciclaggio dei proventi illeciti, cit., 58. 18 Contrariamente rispetto all’apprezzabile orientamento della giurisprudenza italiana, da sempre rigorosa nella lettura della clausola di riserva alla luce del principio di legalità: cfr. Cass. 13.12.2013 n. 1435, in D&G 2014, 43 ss., con nota di A. De Francesco; Cass. 27.2.2013 n. 9226, in DPP 2013, 826 ss.,

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Si ricava nel complesso l’impressione di una diffusa preferenza per la punibilità dell’autoriciclaggio, che trova peraltro eco in Convenzioni internazionali19 (ratificate anche dall’Italia) e in fonti ad efficacia non vincolante: la risoluzione del Parlamento Europeo sulla criminalità organizzata (25.10.2011); le Raccomandazioni del Fondo monetario internazionale del 2005; quelle della Financial Action Task Force (in acronimo FATF) 20 e il Rapporto OCSE sull’Italia del 2011, nel quale si rilevava come una simile lacuna normativa rischiasse di indebolire la repressione dei fenomeni corruttivi e non fosse giustificata da alcun principio generale del diritto.

La riforma italiana s’inserisce dunque in un trend europeo che insegue – tramite una progressiva espansione dell’area della punibilità del riciclaggio – il “miraggio” di una maggiore effettività sul piano applicativo, che a suo tempo orientò infruttuosamente anche l’ampliamento dei reati - presupposto (dapprima con l’aggiunta di nuove e ipotesi al catalogo21 e in seguito con l’eliminazione tout court di quest’ultimo22).

L’improbabilità che un recupero sul terreno processuale possa essere veicolato dall’introduzione del reato di autoriciclaggio si evince non solo dal fatto che in Paesi che già da tempo lo sanzionano si scontino analogamente problemi d’ineffettività23, ma anche dalle maggiori difficoltà probatorie connesse alla nuova fattispecie rispetto a quella di riciclaggio e – come ben noto – è proprio la complessità del momento probatorio a rappresentare la causa del fallimento applicativo della norma24. Se, con riferimento all’art. 648-bis Cp, la prassi giurisprudenziale considera superfluo

con nota di V. Magnini; Cass. S.U. 27.2.2014 n. 25191, in CP 2014, 4052 ss. con note di S. Milone e M. Bianchi. 19 La Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo, 12-15 dicembre 2000 e ratificata dall’Italia con l. 16.3.2006 n. 161) e la Convenzione penale sulla corruzione (sottoscritta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata dall’Italia con la l. 28.6.2012 n. 110) concedevano la libertà agli Stati di non sancire eventualmente la punibilità dell’autoriciclatore (sottintendendo come l’incriminazione del medesimo costituisse la norma). 20 La FATF è un organismo intergovernativo istituito nel 1989 (in occasione del G7 di Parigi) e finalizzato all’implementazione di strategie di contrasto al riciclaggio. 21 Risalente alla l. 19.3.1990 n. 55, che aggiungeva al novero dei reati-presupposto anche i «delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope». 22 Operata dalla l. 9.10.1993 n. 328, di ratifica della Convenzione di Strasburgo (elaborata in seno al Consiglio d’Europa l’8 novembre 1990). 23 Cfr. A. Mangione, Mercati finanziari e criminalità organizzata: spunti problematici sui recenti interventi normativi di contrasto al riciclaggio, in RIDPP 2003, 1106, il quale rileva come tale circostanza «induce a pensare che la diagnosi di ineffettività sia il segnale di un malessere ben più profondo, e cioè di una “crisi di adattamento” del sistema punitivo e del suo messaggio culturale alle strutture socio-economiche delle odierne democrazie capitalistiche». 24 Nella Relazione della Commissione Fiandaca si osserva: «il ridotto numero di pronunce […] e la scarsa importanza dei tipi di attività per lo più coinvolti […] sono da ricondurre a oggettive difficoltà di accertamento processuale dei fenomeni più rilevanti di riciclaggio e reimpiego, le cui cause vanno verosimilmente ben al di là dei difetti di tecnica legislativa diagnosticabili nel testo delle norme incriminatrici vigenti», 7. Il testo della prima Relazione della Commissione è disponibile su www.penalecontemporaneo.it, 12.2.2014. Sul punto, v. anche: A.R. Castaldo - M. Naddeo, La normativa comunitaria e italiana sul riciclaggio: quali correzioni per una politica criminale efficace? (Un interessante raffronto con la legislazione argentina), in RTrimDPenEc 2008, 299 ss.

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l’accertamento del reato presupposto in presenza di elementi sufficienti a ritenerlo astrattamente configurabile 25, ben diverse esigenze probatorie si prospettano in relazione all’art. 648-ter.1 Cp: alla luce della qualificazione del medesimo come reato proprio 26 (stante la coincidenza tra l’autore del delitto-presupposto e quello dell’autoriciclaggio), la previa commissione di un delitto non solo costituisce un presupposto del reato, ma va anche a delineare lo “status” del soggetto attivo27. Non si potrà di conseguenza prescindere dall’accertamento giudiziale del delitto da cui derivano le utilità riciclate, con sicuro aggravio dell’onere probatorio in capo all’accusa.

Il principale risultato in termini di “efficienza” applicativa della nuova fattispecie, più che un potenziamento delle virtualità preventive della normativa antiriciclaggio28, sembra invece essere destinato a essere – come si evincerà anche esaminando le prime applicazioni giurisprudenziali29 – un più “agile” perseguimento dei reati-presupposto, grazie allo sfruttamento, a livello investigativo, dei vantaggi connessi alla contestazione congiunta dell’art. 648-ter.1 Cp e del reato-presupposto, ove quest’ultimo non consenta margini di accesso alle misure cautelari reali e personali altrettanto ampi30. Si tratta chiaramente di un utilizzo distorto della fattispecie incriminatrice, che viene in tal guisa “piegata” a esigenze estranee alla sua ratio normativa, obliterando come i limiti posti al ricorso allo strumentario cautelare siano espressivi di un bilanciamento di interessi, inerenti anche alla tutela di diritti

25 Così: Cass. 21.5.2008 n. 36940, in CEDCass, m. 241581; Cass. 15.10.2008 n. 495, in CEDCass, m. 242372; Cass. 4.7.2013 n. 28715, in CEDCass, m. 257205, nelle quali tra l’altro si ricorre all’escamotage del dolo eventuale per considerare l’elemento psichico integrato dalla generica consapevolezza di una provenienza illecita del bene. Sul punto: M. Ronco, Dolo, colpa, responsabilità oggettiva per il delitto di riciclaggio, in IP 2013, 11 ss.; E. Barbieri, I difficili rapporti tra dolo e presupposti della condotta: l’accertamento del dolo nel delitto di riciclaggio, in CP 2014, 2520 ss. 26 In questo senso: F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 119; F. Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 14; A. Lanzi, L’autoriciclaggio e la necessità di un intervento di “razionalizzazione” da parte della giurisprudenza, in IP 2015, 2; contra G. Gambogi, Autoriciclaggio e reati fiscali: un rapporto tutt’altro che semplice, in QuotGiur, 21.5.2015, il quale tuttavia non argomenta la scelta. 27 Così: A. Lanzi, L’autoriciclaggio e la necessità di un intervento di “razionalizzazione, cit., 3, che scrive: «si dovrà dunque ritenere dovuta una prova piena e coerente, oltre ogni ragionevole dubbio, circa la sussistenza del delitto presupposto e la sua commissione da parte dello stesso soggetto indagato, incolpato o imputato di autoriciclaggio; prova oltretutto, la cui formulazione dovrà avvenire nel rispetto delle regole e dei principi espressi dall’art. 111 Cost. in tema di giusto processo». 28 F. Consulich, La norma penale doppia. Ne bis in idem sostanziale e politiche di prevenzione generale: il banco di prova dell’autoriciclaggio, in RTrimDPenEc 2015, 71, sulla scorta dell’analisi comparatistica con l’ordinamento statunitense, paventa come l’introduzione dell’art. 648-ter.1 Cp, non consentendo una maggiore tutela rispetto alle forme più sofisticate di riciclaggio, attuate dai riciclatori professionisti (non coinvolti nella perpetrazione del delitto presupposto), possa finire per comportare una mera intensificazione della reazione penale nei confronti di soggetti che siano già incappati nelle maglie della giustizia per la commissione del reato-presupposto. 29 V. infra par. 3. 30 Cfr. F. Sgubbi, Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, in DPC – Riv. Trim. 2015 (1), 139; A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 798; F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 4.

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fondamentali della persona, e che i termini di siffatto contemperamento non possono essere alterati senza un’espressa presa di posizione da parte del legislatore.

1.2. Se le valutazioni di carattere “pratico” addotte a favore dell’introduzione

del reato di autoriciclaggio non sembrano decisive, di maggiore spessore sono i rilievi di natura sostanziale alla base del revirement legislativo, che denotavano la necessità di abolire un “privilegio” percepito come ormai destituito dal suo fondamento dogmatico e foriero di una sperequazione sanzionatoria non giustificata da alcun principio dell’ordinamento31.

L’incriminazione del self-laundering si radica nel riconoscimento di un’autonoma portata lesiva del fenomeno e nel superamento della classica qualificazione del medesimo quale post factum non punibile. Occorre, infatti, precisare come l’impunità del postfatto non costituisca né un principio immanente al nostro ordinamento né tanto meno un dato esistente in rerum natura32, non essendo altro che il risultato di una precisa scelta da parte del legislatore33, il quale – in caso di connessione tra reati – può liberamente optare (per valutazioni sostanziali retrostanti alla scelta) per l’esonero da responsabilità così come per l’aggravamento della pena (in linea generale previsto dall’art. 61 co. 1 n. 2 Cp)34.

31 Favorevoli al cumulo di responsabilità per il reato-base e per il riciclaggio, ex multis: G. Morgante, Il reato come elemento del reato. Analisi e classificazione del concetto di reato richiamato dalla fattispecie penale, Torino 2013, 106 ss.; Ead., Riflessioni su taluni profili problematici dei rapporti tra fattispecie aventi ad oggetto operazioni su denaro o beni di provenienza illecita, in CP 1998, 2516; R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 91 ss.; A. Cosseddu, Riciclaggio: complessità di un percorso normativo, in CP 2010, 3648 ss.; M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 93 ss.; G. De Francesco, Internazionalizzazione del diritto e della politica criminale: verso un equilibrio di molteplici sistemi penale, in DPP 2003, 5 ss. Contra, tra i vari: F. Giunta, Elementi costitutivi del reato di riciclaggio. I rapporti con il d.lgs. 231/07. Le prospettive di riforma, in Riciclaggio e imprese. Il contrasto alla circolazione dei proventi illeciti, a cura di M. Arnone e S. Giavazzi, Milano 2011, 85 ss.; M. Naddeo - D. Montemurro, Autoriciclaggio e teoria degli insiemi: un “privilegio” matematicamente sostenibile, in RTrimDPenEc 2011, 337 ss.; A.R. Castaldo - M. Naddeo, Il denaro sporco, cit., 92 ss.; Id., La normativa comunitaria e italiana sul riciclaggio, cit., 311; V. Plantamura, Tipo d’autore o bene giuridico per l’interpretazione, e la riforma, del diritto di riciclaggio?, in RTrimDPenEc 2009, 187; Id., Riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, e confisca (artt. 648 bis, 648 ter e 648 quater), in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna e M. Papa, X, I delitti contro il patrimonio, Torino 2011, 894 ss. 32 Non sembra quindi condivisibile la tesi in base alla quale all’elisione della clausola di riserva non sarebbe comunque conseguito il concorso tra riciclaggio e reato-presupposto «potendo già la natura necessariamente post crimen patratum delle fattispecie – unitamente ai principi generali in tema di responsabilità concorsuale – condurre in sede interpretativa all’applicazione alternativa con conseguente inutilità della novatio legis» (E. Musco, “Maquillage” alla Consob e bacchettate nei casi limite, in D&G 2004, 9). 33 In dottrina (V. Pacileo - G.P. Volpe, Antefatto e postfatto non punibile, in EG 1991, 29) si è giustamente rilevato come la nozione di postfatto (e antefatto) non punibile costituisca in realtà una categoria applicativa inutile (se non a fini meramente descrittivi), giacché i casi ad essa comunemente ricondotti sono già risolti ex lege lata (così come si verifica in presenza di una clausola come quella contenuta nell’art. 648-bis Cp). 34 La clausola di riserva dell’art. 648-bis Cp sembra, infatti, espressiva di un giudizio di valore in termini di rimproverabilità soggettiva, tant’è che la sua collocazione sistematica più adeguata è tra le

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L’emancipazione dell’art. 648-bis Cp dal cliché del reato accessorio (e da quello ad esso conseguente del post factum non punibile) è stata determinata sia dall’evoluzione morfologica della fattispecie 35 che dall’allarmante sviluppo del fenomeno stesso. Mentre quest’ultimo ha privato di senso l’invocazione di nozioni (non accolte dal diritto positivo e affatto pacifiche in dottrina36) come il principio di consunzione 37 o il principio di sussidiarietà 38 per giustificare la non punibilità dell’autoriciclaggio, al contempo rilevanti modifiche strutturali dell’art. 648-bis Cp (in particolare l’eliminazione del numerus clausus dei delitti-presupposto) hanno reso sempre più arduo il ricorso alla categoria del post factum non punibile. Il postulato applicativo della medesima è, infatti, costituito dall’individuazione, nella commissione di un successivo reato, dell’ordinaria realizzazione dello scopo intrinseco del reato precedentemente commesso, che giustifica l’assorbimento del disvalore sociale della condotta complessiva nel reato più grave. Il delitto- presupposto del riciclaggio invece, potendo (in seguito alla riforma del 1993) essere costituto da qualsiasi delitto non colposo, non solo può presentare uno scopo eterogeneo rispetto all’art. 648-bis Cp39, ma può essere anche meno grave rispetto a quest’ultimo40.

La metamorfosi legislativa della fattispecie ha peraltro fatto sì che, se con riferimento al primigenio quadro normativo poteva ritenersi plausibile che l’art. 648-bis Cp fosse destinato primariamente a tutelare il medesimo bene giuridico del reato-presupposto (sotto il duplice profilo di renderne a priori meno appetibile l’aggressione in virtù del difficile utilizzo del provento, e di ostacolarne a posteriori la sua definitiva compromissione ad opera della circolazione, dell’occultamento o

cause personali di esclusione della pena, in base al rilievo che «se così non fosse, infatti, non sarebbe punibile colui che concorre atipicamente al riciclaggio posto in essere dall’autore o partecipe nel reato presupposto; laddove è invece evidente che egli risponde del reato […] in applicazione dell’art. 119 comma 1 c.p.» così S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 236; analogamente, con riferimento alla ricettazione: G. De Francesco, Lex specialis, Milano 1980, 193. 35 Per una ricostruzione in chiave diacronica del riconoscimento da parte del legislatore di una carica offensiva del fenomeno de quo ulteriore rispetto alla mera perpetrazione dei delitti-presupposto: G. Morgante, Riflessioni su taluni profili problematici, cit., 2515, 2502 ss. 36 Si rinvia alle notazioni critiche di G. Vassalli, Antefatto non punibile, post-fatto non punibile, in ED, II, 1958, 517 ss.; V. Pacileo - G.P. Volpe, Antefatto e postfatto non punibile, cit., 1 ss. 37 Sul principio di consunzione come principio di diritto idoneo a fornire una giustificazione sostanziale alla non punibilità del postfatto cfr. A. Pagliaro, Concorso di norme, in ED, VIII, 1961, 551;

G. Bettiol, Diritto penale11, Padova 1982, 654. Per quanto riguarda la giurisprudenza, Cass. 10.1.2007 n. 8432, in RivDottComm 2014, 170, giustifica la non punibilità dell’autoriciclatore ricorrendo a tale principio. 38 R.A. Frosali, Concorso di norme e concorso di reati, Città di Castello 1937, 423-424 individua la ratio della non punibilità del postfatto nel principio di sussidiarietà. In giurisprudenza Cass. 6.11.2009 n. 47375, in RIDPP 2011, 1275, considera la clausola di riserva dell’art. 648-bis Cp espressiva di questo principio. 39 Cfr. sul punto: G. Morgante, Il reato come elemento del reato, cit., 80. 40 Tanto che all’imputato conveniva frequentemente confessare il concorso nel delitto-presupposto piuttosto che correre il rischio di una condanna ai sensi dell’art. 648-bis Cp: M. Zanchetti, Riciclaggio, in DigDPen, XII, Torino 1997, 213.

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dell’impiego dell’oggetto materiale del reato)41, ad altra conclusione pare opportuno pervenire in relazione all’assetto attuale42: l’eterogeneità dei delitti-presupposto non può infatti che depotenziare la tesi che l’art. 648-bis Cp sia destinato ad approntare una tutela complementare degli stessi beni tutelati dai reati-base43, imponendo la ricerca di una diversa soluzione ermeneutica al problema.

Il panorama dottrinale sul tema del bene giuridico tutelato dalla fattispecie si profila frastagliato44, ma un dato su cui vi è ampia convergenza è l’inadeguatezza della collocazione codicistica, nel capo II del titolo XIII (tra i delitti contro il patrimonio mediante frode), a ricoprire valore dirimente a questo fine45. Non sono mancate tuttavia proposte esegetiche volte a valorizzare la componente “patrimonialistica” dell’offesa, per inquadrare il riciclaggio come una fattispecie connotata da una persistente illiceità rispetto ad una precedente condotta antigiuridica lesiva del patrimonio46. Sempre sul versante dottrinale che rinviene il disvalore della fattispecie nelle sue proiezioni economiche – osservandone però gli effetti su vasta scala – si è individuato l’interesse precipuamente tutelato nell’ordine economico47. La tesi che considera l’amministrazione della giustizia come bene giuridico prevalentemente tutelato dall’art. 648-bis Cp48 attribuisce invece risalto all’idoneità del reato a ostacolare il proficuo accertamento giudiziale dei delitti-presupposto. Infine, la circostanza che il riciclaggio – costituendo una delle più

41 Così G. Azzali, Diritto penale dell’offesa e riciclaggio, in RIDPP 1993, 432 ss. 42 È noto come l’introduzione del reato di riciclaggio (l. 18.5.1978 n. 191) fosse scaturita dalle politiche di contrasto ai fenomeni che rappresentavano la costante criminologica di quegli anni: sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina aggravata ed estorsione aggravata (costituenti all’origine il numerus clausus dei delitti-presupposto). In tale contesto storico-sociale il riciclaggio si incapsulava come fase terminale, di “coronamento” dell’iter criminis del reato-base e l’art. 648-bis Cp era concepito – in una prospettiva di tipo essenzialmente retrospettivo – come un ulteriore strumento di repressione dei summenzionati reati. 43 V. Plantamura, Tipo d’autore o bene giuridico, cit., 168. 44 Sulle diverse posizioni assunte in dottrina, si veda: A. Manna, Il bene giuridico tutelato dei delitti di riciclaggio e reimpiego: dal patrimonio all’amministrazione della giustizia sino all’ordine pubblico ed all’ordine economico, in Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, cit., 53 ss. 45 In questo senso, per tutti: P. Magri, sub Art. 648-bis Cp, in Commento Dolcini-Marinucci al Cp, III, Milano 2011, 6574 ss. 46 Così: S. Moccia, Impiego di capitali illeciti e riciclaggio: la risposta del sistema penale italiano, in RIDPP 1995, 728, il quale propone una reinterpretazione del bene patrimonio – mediante una lettura costituzionalmente orientata – per disancorarlo da una vetusta nozione “statica” ed esaltarne la componente “dinamica” e “personalistica” (inerente soprattutto alla libertà di iniziativa economica del privato). 47 Cfr. C. Pedrazzi, Mercati finanziari (disciplina penale), in DigDPen, VII, 1993, 654 ss.; A. Crespi, Aziende di credito e repressione del riciclaggio dei proventi illeciti (Appunti intorno a recenti disegni di legge), in RivSoc 1990, 1403. 48 Tra i vari: M. Zanchetti, Riciclaggio, cit., 204; G. Insolera, Prevenzione e repressione del riciclaggio, cit., 156; A. Manna, Il bene giuridico tutelato dei delitti di riciclaggio e reimpiego: dal patrimonio all’amministrazione della giustizia sino all’ordine pubblico ed all’ordine economico, in Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, cit., 63; P. Pisa, La riforma dei reati contro l’amministrazione della giustizia tra adeguamenti «tecnici» e nuove esigenze di tutela, in RIDPP 1992, 824 ss.

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“vistose” ed al contempo inevitabili attività implicate dalla criminalità economica49 – possa esporre gli autori dei reati-presupposto al rischio di emersione e individuazione, giustifica la diffusa opinione che anche l’ordine pubblico confluisca tra i beni giuridici da esso presidiati50.

Pur nella prevalenza accordata all’uno piuttosto che all’altro interesse tutelato, la maggior parte degli autori converge in direzione della «polivalenza di scopi politico-criminali»51 perseguiti dall’art. 648-bis Cp (e la medesima soluzione è sposata dalla giurisprudenza 52 ), polarizzando l’attenzione in particolare sulla lesione dell’amministrazione delle giustizia e dell’ordine economico. L’enucleazione del bene giuridico tutelato in chiave plurioffensiva, che – com’è noto – finisce sostanzialmente per privare il medesimo della sua essenziale funzione interpretativa53, costituisce il corollario dell’ampia latitudine della formulazione della fattispecie di riciclaggio: si consideri, in particolare, come il generico riferimento alle “altre operazioni” possa ricomprendere potenzialmente qualsiasi forma di reimpiego del bene54. Tuttavia, se l’art. 648-bis Cp è sicuramente idoneo a comprendere nel suo ambito applicativo condotte lesive dell’amministrazione della giustizia (poiché in grado di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene), per come strutturato, non è in grado di garantire la rilevanza delle sole condotte che al contempo possano porre in pericolo o ledere l’ordine economico55. L’offesa nei confronti di quest’ultimo, che

49 Si è per questo osservato come il riciclaggio possa rappresentare il locus minoris resistentiae su cui focalizzare le energie politico-criminali per l’azione di contrasto nei confronti delle organizzazioni criminali: V. Manes, Il contrasto al riciclaggio, tra repressione e prevenzione: alcuni nodi problematici, in CrD 2008, 261. La possibilità di riciclare il denaro di matrice illecita costituisce, infatti, condizione di esistenza delle consorterie criminali (cfr. G.M. Soldi, Riciclaggio, in DigDPen 2011, 493), che non sarebbero altrimenti in grado di trovare sbocchi nell’economia illecita per l’ammontare complessivo della loro ricchezza a causa della relativa rigidità della domanda di beni e servizi illegali (il consumo di sostanze stupefacenti in primis), cfr.: G. Donadio, Il dispositivo antiriciclaggio: bilanci e prospettive, in La cooperazione internazionale per la prevenzione e la repressione della criminalità organizzata e del terrorismo, a cura di C. Bassiouni, Milano 2005, 291. 50 M. Flick, La repressione del riciclaggio ed il controllo della intermediazione finanziaria. Problemi attuali e prospettive, in RIDPP 1990, 1255 ss. In quest’ottica il riciclaggio – consentendo di fare fruttare al massimo gli investimenti delle attività criminose – costituisce un pernicioso moltiplicatore di criminalità: cfr. M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, cit., 55. 51 G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale. Parte speciale4, II, I delitti contro il patrimonio, Bologna 2005, 247. 52 Cfr. C. cost., 19.7.2000 n. 302, in BancaBorsaTitCred 2001, 121 ss. con nota di M. Corradino. 53 L’individuazione del bene giuridico tutelato non risponde, infatti, esclusivamente a una funzione di carattere descrittivo, ma ha rilevanti ricadute sul piano esegetico-applicativo, consentendo il ricorso all’interpretazione teleologica della norma (cfr. T. Padovani, Diritto penale9, Milano 2008, 80 ss.). 54 Tant’è che la contigua fattispecie di reimpiego (art. 648-ter Cp) – anche a causa della clausola di riserva che ne caratterizza l’incipit – ha conosciuto una scarsissima applicazione giurisprudenziale: l’ampia “prensilità” dell’art. 648-bis Cp è in grado di comprendere anche le condotte descritte dall’articolo successivo, che nell’attuale quadro normativo sembrerebbe applicabile alle sole forme di reimpiego economico di utilità che non siano state oggetto di lecito-vestizione. 55 Cfr. S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 235 ss.

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pure rappresenta l’effetto più pernicioso del fenomeno del riciclaggio56, finisce in tal guisa per essere relegata sullo sfondo, come evidenziato dalla dottrina che ravvede nella salvaguardia dell’ordine economico una mera ratio tutelae della fattispecie57. Ristretto in così angusti confini nell’art. 648-bis Cp, la tutela del suddetto bene giuridico riveste invece – almeno nelle intenzioni del legislatore – un ruolo di primaria importanza nell’economia strutturale del reato di nuovo conio. Nei più recenti progetti di riforma 58 – in particolare in quelli elaborati in seno alle Commissioni Greco59 e Fiandaca60 – s’individua, infatti, il bene giuridico minacciato dalle condotte di autoriciclaggio proprio nell’ordine economico, concepito come un complesso di regole pubblicistiche preordinate a presidiare il corretto funzionamento

56 Dalle condotte di riciclaggio sono, infatti, minacciate le “regole del gioco” che presidiano la stessa identità del mercato, poiché la normativa antiriciclaggio svolge anche il ruolo «di evitare che il mercato finanziario sia inquinato da capitali che, non derivando da una lecita attività economica, soggiacciono per loro stessa natura ad un rischio anomalo e possono essere quindi investiti secondo logiche e in base a criteri essenzialmente preoccupati di garantire l’invisibilità della matrice, e quindi, non di rado, distorsivi rispetto al funzionamento del mercato»: T. Padovani, Diritto penale della prevenzione e mercato finanziario, in RIDPP 1995, 644; cfr. anche F. Bricola, Il diritto penale del mercato finanziario, in Mercato finanziario e disciplina penale, Milano 1993, 29; M. Zanchetti, Riciclaggio, cit., 205. 57 Così: A. Manna, Il bene giuridico tutelato dei delitti di riciclaggio e reimpiego: dal patrimonio all’amministrazione della giustizia sino all’ordine pubblico ed all’ordine economico, in Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, cit., 58. 58 Le prime proposte avanzate erano invece piuttosto insoddisfacenti nel loro approccio “minimalista”, limitandosi a indicare l’opportunità dell’abrogazione della clausola di riserva dell’art. 648-bis Cp. Si richiamano, tra i primi, i d.d.l n. 733-bis (risultante dallo stralcio – deliberato dall’Assemblea il 14.1.2009 – dell’art. 1 co. 4 e 5, del testo proposto per il d.d.l. n. 733 «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»); il d.d.l. 11.3.2009 n. 1445 (Li Gotti e altri); il d.d.l. 17.3.2009 n. 2156 (Della Monica e altri) e il d.d.l. 23.6.2009 n. 1629 (Vizzini). I testi sono consultabili sul sito: www.senato.it. 59 Istituita il 23.4.2013 proprio ai fini dello studio dell’autoriciclaggio. La Relazione della Commissione Greco articolava due alternative proposte di modifica: la prima prevedeva l’abolizione della clausola di riserva, in seguito alla fusione e riformulazione delle fattispecie di riciclaggio e di reimpiego; la seconda, invece – pur mantenendo la clausola di riserva come incipit del reato di riciclaggio – contemplava un’autonoma fattispecie di autoriciclaggio, che escludeva tuttavia la punibilità dell’autore del reato-presupposto che si fosse limitato al mero godimento dei beni o all’utilizzo del denaro o delle altre utilità con finalità non speculative, economiche o finanziarie. Novità rilevante della proposta consisteva nell’introduzione delle autonome fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio in (differenti commi di) un nuovo art. 517-sexies Cp (inserito in un apposito capo dedicato ai delitti contro l’ordine economico e finanziario). La relazione della Commissione Greco è disponibile sul sito www.giustizia.it. 60 Istituita il 10.6.2013 per formulare proposte in tema di criminalità organizzata. La Commissione Fiandaca proponeva una rielaborazione della fattispecie di riciclaggio, tramite l’eliminazione delle condotte di sostituzione e trasferimento (appuntando il dato qualificante della condotta di autoriciclaggio sul compimento di atti o di operazioni in concreto idonei ad ostacolare l’identificazione dei proventi di un delitto doloso) e l’abolizione della clausola di riserva (prevedendo tuttavia per l’autoriciclatore un trattamento sanzionatorio più mite). La nuova norma introdotta (nascente dall’approvazione al Senato del d.d.l. n. 1643, di iniziativa dei deputati Cansi e altri), come si vedrà, costituisce una sintesi delle proposte avanzate dalle due Commissioni.

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del mercato, in particolare sotto il profilo della libera concorrenza e della tutela del risparmio-investimento61.

L’ordine economico – nonostante l’ampiezza di questa nozione – può ben assurgere a bene giuridico tutelato dalla fattispecie, a patto che se ne attui una specificazione-concretizzazione che consenta la verifica della concreta lesione o messa in pericolo di una sua puntiforme manifestazione62, quale si atteggia – per l’appunto – il principio di concorrenza63. La contaminazione dell’economia legale da parte dei flussi di denaro “sporco”, infatti, compromette enormemente il corretto andamento dei meccanismi concorrenziali: la disponibilità di liquidità a basso costo in capo al riciclatore consente a quest’ultimo di sottrarsi dal “rischio di impresa”64, mediante il ricorso ad un finanziamento “privilegiato” alternativo a quello legale e pertanto non soggetto a nessun tipo di controllo, né onere fiscale65. Questo non può che generare tra gli operatori una competizione sleale sicuramente idonea a ridurre le potenzialità economiche dei concorrenti che operino lecitamente66 (dovendo essi, per esempio, fare regolarmente riferimento al sistema dei prestiti bancari) 67. Tali effetti distorsivi sulle regole del mercato – dipendendo esclusivamente dal dato oggettivo dell’immissione dei proventi illeciti nei circuiti dell’economia legale – si verificano chiaramente a prescindere dall’identità del riciclatore (ossia indipendentemente dalla circostanza che questi sia, a sua volta, autore del reato presupposto)68, rendendo palese l’ingiustificatezza di una indiscriminata impunità del self-laundering.

2. Poiché la scelta di incriminare l’autoriciclaggio costituisce la necessaria

conseguenza del riconoscimento del suo autonomo disvalore, occorre interrogarsi sull’idoneità dell’art. 648-ter.1 Cp a intercettare le condotte lesive dell’ordine economico, precisando come la formulazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc (piuttosto che la mera abrogazione della clausola di riserva dell’art. 648-bis Cp) 69,

61 Cfr. C. Pedrazzi, Mercati finanziari, cit., 654 ss. 62 In merito all’esigenza di specificazione dei beni giuridici tutelati si rinvia a G. Marinucci - E. Dolcini, Corso di diritto penale2, Milano 1999, 398 ss. 63 Rilevano la potenzialità lesiva del riciclaggio nei confronti della concorrenza, tra gli altri, A. Crespi, Aziende di credito e repressione del riciclaggio dei proventi illeciti, cit., 1403; G. M. Flick, La repressione del riciclaggio ed il controllo della intermediazione finanziaria, cit., 1261; S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 236; V. Plantamura, Tipo d’autore o bene giuridico, cit., 168, il quale pure evidenzia l’esigenza di specificazione all’interno del bene giuridico tutelato, individuato dall’autore nell’economia pubblica. 64 A. R. Castaldo - M. Naddeo, Il denaro sporco, cit., 33. 65 F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 111. 66 Cfr. S. Moccia, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova 1988, 134. 67 Così: I. Ormanni, Il legislatore ha scoperto [in ritardo] che il riciclaggio incide sull’economia, in D&G 2001, 39, 53. 68 In questo senso: F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 113; A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 802. 69 Sotto questo profilo, infatti, il legislatore si è allineato alla posizione espressa dalla Relazione della Commissione Fiandaca, cit., 6, in cui suggeriva l’opportunità della scissione tra i due reati, argomentando come fosse preferibile «rinunciare all’unificazione normativa, non ultimo in base al rilievo che l’impatto offensivo delle due diverse forme di condotta ha ad oggetto beni giuridici

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sembri dettata proprio dall’esigenza di plasmare la struttura del reato conformemente alla suddetta ratio incriminatrice. Una simile scelta offriva peraltro l’opportunità di compiere un’attenta perimetrazione della condotta tipica, per calibrare la reazione punitiva in conformità con i principi del nemo tenetur se detegere70 e del ne bis in idem sostanziale71, occasione che – lo si anticipa – non sembra essere stata adeguatamente sfruttata.

2.1. Procedendo a una ricognizione dell’art. 648-ter.1 Cp – limitatamente a

quanto rilevante ai fini della presente analisi – si rileva in primo luogo come il proprium del reato risieda nella soggettività tipica72, non residuando dubbi riguardo alla circostanza che, come si è già osservato, si tratti di un reato proprio. Il primo comma, infatti, prevede la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 per chiunque, avendo commesso o concorso73 a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche,

differenti rispettivamente individuabili nell’amministrazione della giustizia e nell’ordine economico». In termini dubitativi riguardo alla razionalità degli esiti di un’applicazione sic et simpliciter della fattispecie di cui all’art. 648-bis Cp all’autore o al partecipe del reato-presupposto: S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 235. 70 Sulle ripercussioni sostanziali del principio del nemo tenetur se detegere: D. Pulitanò, Nemo tenetur se detegere: quali profili di diritto sostanziale?, in RIDPP 1999, 1271. 71 Sul rapporto tra gli obiettivi di equità e certezza e il principio del ne bis in idem sostanziale si rinvia

a F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale8, Padova 2013, 483. Sull’interpretazione del principio

proposta dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo: C. eur., 10.2.2015 Kiiveri c. Finlandia, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 27.3.2015; C. eur., 27.11.2014 Lucky Dev c. Svezia, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 11.12.2014. C. eur., 20.5.2014, Nyk.nen c. Finlandia, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 5.6.2014. In tema: J. Vervaele, Ne bis in idem: verso un principio costituzionale transnazionale in UE, in RIDPP 2014, 53 ss. 72 In merito ai soggetti attivi del reato, va rilevato come anche l’art. 648-ter.1. Cp sia stato inserito nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità c.d. amministrativa degli enti ex d.lgs. 8.6.2001 n. 231, come esplicitamente sancito dall’art. 3 co. 5 l. 186/2014. Sul punto si rinvia a: A. Rossi, Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del d. lgs. 231 del 2001 ed autoriciclaggio: criticità, incertezze, illazioni ed azzardi esegetici, in DPC – Riv. Trim. 2015 (1), 124 ss.; D. Piva, Il volto oscuro dell’autoriciclaggio: la fine di privilegi o la violazione di principi?, in RespAmmSoc 2015 (3), 5 ss.; G. Garegnani - G. Galli - L. Troyer, Brevi note sull’introduzione del delitto di autoriciclaggio nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato di cui al d. lgs. 231/01, in RivDottComm 2015, 467 ss.; S. Cavallini, (Auto)riciclaggio e responsabilità amministrativa degli enti: trapianto indolore o crisi di rigetto?, in RivDottComm 2015, 667 ss.; N. Amore, Autoriciclaggio tra responsabilità individuale e collettiva, in www.lalegislazionepenale.eu, 14.3.2016, 12 ss. L’ultimo comma della disposizione inoltre, richiama quanto stabilito per la ricettazione dall’art. 648 Cp e stabilisce la punibilità dell’agente anche nel caso in cui l’autore del reato presupposto non sia imputabile o punibile, ovvero quando manchi una condizione di procedibilità». Occorre tuttavia rilevare come, nella maggior parte dei casi, se il soggetto non è imputabile per il reato-presupposto non lo sarà neppure per l’autoriciclaggio, tranne nel caso – forse esclusivo – del minorenne che compie un reato e poi da maggiorenne ne ricicla i proventi (così: A. Lanzi, L’autoriciclaggio e la necessità di un intervento di “razionalizzazione”, cit., 3). 73 Specificazione – a ben vedere – del tutto superflua, stante la sicura rilevanza di qualsiasi contributo concorsuale ai sensi dell’art. 110 Cp (cfr. R. Bricchetti, Così l’autoriciclaggio entra a far parte del codice penale, in GD [4] 2015, 45; F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 15).

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finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Mentre l’oggetto materiale della condotta vietata (definito dal climax discendente sotto il profilo dell’univocità lessicale “il denaro, i beni o le altre utilità”74) e il novero dei reati-presupposto (qualsiasi delitto non colposo) sono i medesimi menzionati dall’art. 648-bis Cp, differente è il profilo della condotta punibile75. Nel delineare quest’ultimo aspetto, infatti, la nuova fattispecie fonde sincreticamente gli artt. 648-bis e 648-ter Cp76, in un connubio che genera non poche incertezze sul piano applicativo.

Nella formulazione dell’art. 648-ter.1 Cp alle condotte tipicamente “riciclatorie” di “sostituzione” e “trasferimento” – contenute nella fattispecie di riciclaggio – è giustapposta quella di “impiego”, mutuata dall’art. 648-ter Cp. La nozione di “sostituzione” – che costituisce l’estrinsecazione per antonomasia della fattispecie di riciclaggio77 – è riferibile allo scambio o alla trasformazione dei proventi del reato, quella di “trasferimento” – soprattutto alla luce della natura delle attività che devono risultare coinvolte dalla condotta dell’agente78 – sembra dover essere correttamente intesa come traslazione in senso giuridico della proprietà o del possesso della res a terzi79. Pur non riproponendo la formula onnicomprensiva del “compiere altre operazioni” (contenuta nell’art. 648-bis Cp), l’inserimento della condotta alternativa (altrettanto vaga) di “impiegare” i summenzionati oggetti, alludendo «a qualsivoglia forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa nel circuito

74 P. Magri, I delitti di riciclaggio e reimpiego, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da G. Marinucci – E. Dolcini, VII, I delitti contro il patrimonio mediante frode, II, Padova 2007, 433 lamenta l’onnicomprensività dell’oggetto materiale dell’art. 648-bis Cp (denaro, beni o altre utilità). Con riferimento alla nuova fattispecie, diffusamente: A. D’Avirro - M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, in DPP 2015, 142 ss. 75 L’art. 648-bis Cp sanziona «chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa». 76 A. Lanzi, Considerazioni e osservazioni di carattere penalistico in relazione al Disegno di Legge 1642 in tema di rientro dei capitali e autoriciclaggio (audizione davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato), 20 novembre 2014, in www.senato.it, 41, evidenzia come «l’ipotesi tipica prescelta è una sorta di via di mezzo fra i delitti di cui agli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale. Infatti si richiamano sia il trasferimento e la sostituzione (648-bis c.p.) che l’impiego (648-ter c.p.), ma si richiama anche la “modalità ostacolativa” sconosciuta all’art. 648-ter c.p.». 77 Cfr. R. Acquaroli, Il riciclaggio, in Trattato teorico-pratico di diritto penale, diretto da F. Palazzo e C. E. Paliero, VII, Reati contro la persona e contro il patrimonio, a cura di F. Viganò e C. Piergallini, Torino, 2011, 810, il quale osserva tuttavia come la latitudine applicativa della condotta di “sostituzione” (comprensiva sia della ricezione che successiva sostituzione vera e propria del provento illecito) non sia scevra da riserve sotto il profilo della determinatezza. 78 Che devono consistere, appunto, in «attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative». 79 Ex multis, con riferimento all’art. 648-bis Cp, v. G. Insolera, Prevenzione e repressione del riciclaggio, cit., 158 ss.; M. Zanchetti, Riciclaggio, cit., 206. Contra, per tutti: L. Ferrajoli, La Normativa Antiriciclaggio. Repressione penale, adempimenti amministrativi degli intermediari finanziati, strumenti e tecniche di investigazione, profili internazionali, Milano 1994, 125.

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economico legale»80, è idoneo – oltre che a ricomprendere le altre due possibili manifestazioni della condotta – a rendere tipiche ai sensi dell’art. 648-ter.1 Cp quasi tutte le condotte rilevanti alla stregua dell’espressione elisa81. Quest’ultima notazione vale a evidenziare la natura meramente apparente dell’innalzamento del livello di tassatività della fattispecie rispetto alle progenitrici, che non sembra essere smentita neppure dall’interpolazione della clausola modale della condotta con l’aggiunta dell’avverbio “concretamente” 82. Tale integrazione non è, infatti, in grado di fungere da strumento effettivamente selettivo: innanzitutto perché, aderendo alla persuasiva tesi dottrinale83 che interpreta lo stesso art. 648-bis Cp come un reato di pericolo concreto (che esige pertanto il riscontro dell’effettiva e concreta idoneità della condotta a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa), il novum legislativo degrada a mera chiarificazione normativa; in secondo luogo perché si tratta di una connotazione modale non funzionale – come meglio si chiarirà – rispetto all’obiettivo millantato dalla fattispecie (la tutela dell’ordine economico). Di conseguenza, ammesso che essa possa costituire un effettivo “filtro” delle condotte tipiche84, non costituisce uno strumento idoneo a orientare la fattispecie in una direzione consentanea alla finalità asseritamente perseguita.

L’aggettivazione con cui sono connotate le attività cui si riferiscono le condotte di impiego/sostituzione/trasferimento (economiche, finanziarie, imprenditoriali o

80 F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 114 s. 81 Ritiene che il “reimpiego decettivo” possa finire per rappresentare il “contenitore normativo” capace di intercettare le condotte inquadrate, nell’ambito del riciclaggio, nella categoria delle “altre operazioni”: F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 16 (nota 39), il quale critica la scelta del legislatore di espungere il riferimento alle “altre operazioni”, comportante – secondo l’Autore – un’ingiustificata riduzione dell’area del penalmente rilevante; analogamente A. M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 809, che rileva l’utilità della clausola pretermessa a includere condotte altrimenti difficilmente tipizzabili in un contesto di ricchezza dematerializzata e prassi finanziarie in continua evoluzione. Ritengono invece che la scelta del legislatore abbia determinato un maggiore standard di determinatezza: S. Cavallini - L. Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del ‘vicino ingombrante’, in DPC – Riv. Trim. 2015 (1), 98; E. Penco, Il nuovo reato di autoriciclaggio, in SI 2015, 385. 82 È opportuno considerare il tratto modale riferibile a ciascuna condotta alternativamente prevista dalla fattispecie, come si ritiene generalmente in merito all’art. 648-bis Cp (cfr. R. Acquaroli, Il riciclaggio, cit., 813). 83 Così: F. Giunta, Elementi costitutivi del reato di riciclaggio, cit., 88; M. Donini, Commento, in Il denaro sporco, cit., XIII; A.R. Castaldo - M. Naddeo, Il denaro sporco, cit., 139; V. Manes, Il riciclaggio dei proventi illeciti, cit., 58. 84 Scettico sulla rilevanza pratica dell’intervento: A. Lanzi, Considerazioni e osservazioni, cit., 41, che parla di «una fattispecie che con ogni probabilità verrà sempre ritenuta sussistente al compimento delle condotte descritte, essendo praticamente in re ipsa il “modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza”» salvo il caso, pur difficilmente ipotizzabile, in cui sia l’agente stesso a dichiarare la provenienza illecita del bene; dubita che l’integrazione possa in alcun modo supplire alle carenze di determinatezza della fattispecie: F. Consulich, La norma penale doppia, cit., 68. Contra: F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 115; S. Cavallini - L. Troyer Apocalittici o integrati?, cit., 99, i quali ritengono che la modifica – imponendo un’esegesi rigorosa della condotta “ostacolante” – possa contribuire effettivamente alla delimitazione applicativa dell’art. 648-ter.1 Cp.

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speculative) riecheggia – arricchendolo pleonasticamente85 – il lessico dell’art. 648-ter Cp e conferma l’intenzione del legislatore di appuntare il disvalore della fattispecie sulle potenzialità inquinanti dell’autoriciclaggio nei confronti dell’economia legale. Tale “vocazione” tipizzante tuttavia non trova riscontro nell’esegesi complessiva della fattispecie, che sembra attrarre nel cono della punibilità anche condotte che non interferiscano minimamente con le dinamiche concorrenziali, che siano cioè prive di quell’idoneità che sola giustifica la punizione dell’autoriciclaggio. In particolare, determina siffatto risultato la menzione di condotte dal carattere prettamente (ed esclusivamente) riciclatorio (sostituire e trasferire), che – rievocando essenzialmente le potenzialità mimetiche dell’operazione – rendono tipiche anche quelle operazioni che si avvalgono degli strumenti e delle strutture economiche al mero fine decettivo, senza tuttavia tradursi in forme di vero e proprio reinvestimento86.

Non si può inoltre negare come la funzione selettiva della pletora di attribuiti che connotano le attività interessate dalla condotta sia sminuita dall’inclusione nell’elenco delle “attività economiche”, genus entro il quale – come giustamente rilevato in dottrina87 – figurano le species successivamente enumerate (attività “finanziarie”, “imprenditoriali” o “speculative”). Secondo la giurisprudenza la nozione di attività economica è desumibile dagli artt. 2082, 2135 e 2195 Cc e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, (ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi), ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo88. Potrebbe pertanto rientrare nella categoria di “attività economica” anche il semplice contratto di compravendita (stante la sua natura di atto giuridico diretto allo scambio di beni)89, che costituisce una condotta sicuramente idonea ad attuare una “sostituzione” del bene90.

A ben vedere dunque, la specificazione del locus in cui si devono svolgere le condotte consente di estromettere dalla punibilità le sole ipotesi della cui rilevanza già si dubitava con riferimento all’art. 648-bis Cp (come il mero trasferimento materiale del bene o il “taroccamento” di autovetture, sicuramente non qualificabili

85 Lo stesso legislatore, prendendo atto della ridondanza dell’elenco, propone de iure condendo la menzione delle sole attività economiche e finanziarie: cfr. Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 1687 “Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti”, I – Sintesi e schede (gennaio 2015) n. 194/I, 34 disponibile su www.senato.it. 86 Si preciserà nel prossimo paragrafo perché non possa considerarsi ostativa a un’interpretazione estensiva di questo tipo la clausola dell’art. 648-ter.1 co. 4 Cp. 87 Così: S. Cavallini - L. Troyer, Apocalittici o integrati?, cit., 100. 88 Cass. 11.12.2013, in CEDCass, m. 258204. 89 In questo senso: C. Santoriello, Voluntary disclosure e autoriciclaggio: una prima ricostruzione, in QuotGiur, 21.12.2015. 90 La quale, tuttavia, rappresenta per moltissimi reati economici l’unica forma possibile di utilizzo del bene, non consentendo di ritenere giustificata una pena ulteriore rispetto a quella del reato presupposto poiché «uno scippatore non brama la costosa borsa per farne sfoggio sulla pubblica via bensì mira a scambiarla con un corrispettivo in denaro da utilizzare per i più disparati fini (leciti o illeciti). Punirlo per l’ulteriore scambio è un’evidente violazione del principio del ne bis in idem sostanziale (oltre che manifestazione di una singolare ambizione a regolare la gestione lecita di un bene illecito)»: A. M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 803.

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come sostituzione/trasferimento/impiego in “attività economiche”). È del resto difficile ipotizzare condotte di riciclaggio o reimpiego di utilità che si consumino in un ambiente diverso da quello economico: per mascherare l’origine illecita del denaro – che rappresenta il bene più frequentemente oggetto di riciclaggio – il transito attraverso il sistema finanziario o bancario costituisce, infatti, una tappa pressappoco obbligata91.

Infine, sembra arduo circoscrivere l’area di applicazione dell’aggravante del quinto comma («la pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale»), che si sovrappone quasi totalmente con le attività elencate dal primo: la nozione di “altra attività professionale” – priva com’è di alcuna ulteriore specificazione92 – si presta, infatti, ad assorbire le attività finanziarie e imprenditoriali93, nonché la stragrande maggioranza di quelle economiche, tagliando fuori (forse) le sole attività speculative.

2.2. Dall’esame delle condotte tipiche del reato, stante l’amplissima “prensilità”

delle medesime, non sembra per nulla infondato il rischio – paventato dalla dottrina 94 – di un’ipertrofia sanzionatoria della fattispecie, che non è sufficientemente arginato neppure dalla disposizione contenuta nell’art. 648-ter.1 co. 4 Cp. Si tratta indubbiamente del frammento della norma di più complessa interpretazione, e prevede: «fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale».

Al fine di estrapolare un significato da questa previsione, non si può che considerare l’utilizzo della formula «fuori dai casi» una (grossolana) svista da parte del legislatore: il comma in questione, infatti, assume senso solo ove s’intenda il suo incipit come “in ogni caso non sono punibili” (ossia “nei casi previsti dai commi precedenti”)95. Tale specificazione – che sembra interpretabile come un limite negativo del tipo 96 – è illuminante sulla ratio legis che anima la fattispecie: 91 Cfr. R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 47; A. Mangione, Mercati finanziari e criminalità organizzata: spunti problematici sui recenti interventi normativi di contrasto al riciclaggio, cit., 1103; G.M. Flick, Società fiduciarie, finanziarie e di intermediazione finanziaria, in RivSoc 1990, 455 ss. 92 Mancando un espresso riferimento agli artt. 10 ss. del d.lgs. 21.11.2007 n. 231, che limita la portata definitoria delle specificazioni in esso contenute al proprio ambito operativo. Sull’opportunità di tale specificazione: cfr. S. Cavallini - L. Troyer, Apocalittici o integrati?, cit., 100. 93 Così S. Cavallini - L. Troyer, Apocalittici o integrati?, cit., 100; già in sede di lavori preparatori C. Clemente, Audizione sul disegno di legge n. 1642 innanzi alle Commissioni Riunite II e VI del Senato, 25.11.2014, in www.senato.it, 11. 94 In particolare F. Sgubbi, Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, cit., 139. 95 Propendono per l’ipotesi del lapsus calami: A. Lanzi, Considerazioni e osservazioni, cit., 43; A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 806; E. Penco, Il nuovo reato di autoriciclaggio, cit., 386; N. Amore, Autoriciclaggio tra responsabilità individuale e collettiva, cit., 9. Anche il legislatore ha preso atto di questa svista cfr. Dossier del Servizio Studi sull'A.S. n. 1687, cit., 34. 96 F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 120. F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 26 ss. interpreta invece la clausola in questione come una causa di esclusione della tipicità non

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incriminare esclusivamente le condotte che arrechino una nuova e diversa offesa rispetto al reato-presupposto, estromettendo dalla punibilità quelle che – esaurendosi nella mera prosecuzione del reato-base – non possono essere sanzionate a titolo di autoriciclaggio, a pena di incorrere nella violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Tralasciando la problematicità della delimitazione dell’estensione delle generiche nozioni di “mera utilizzazione” e “godimento personale”97, ciò che sembra svilire la portata selettiva (e la pronosticabile efficacia “contenitiva”) della previsione è che in limitatissimi casi può ipotizzarsi l’immediata fruizione dell’utilità derivante dal reato-presupposto, posto che la maggior parte delle volte il godimento o l’utilizzazione della stessa non potranno che essere successivi rispetto quanto meno ad un’operazione di sostituzione o trasferimento (necessarie a ostacolare l’identificazione della loro genesi illecita), già penalmente rilevanti ai sensi del primo comma98.

Sebbene sia possibile giungere per via interpretativa a un’esegesi che escluda le condotte indirettamente destinate all’utilizzo o al godimento del provento del reato, la circostanza che la norma non fornisca indicazioni univoche per confutare l’opzione ermeneutica opposta99, non dissolve i dubbi riguardo alla compatibilità tra l’art. 648-ter.1 Cp e il principio del ne bis in idem sostanziale. La fragilità dell’unico “baluardo” specificamente predisposto al fine di prevenire la violazione del suddetto principio – la clausola del quarto comma, appunto – rende, infatti, tangibile il rischio che l’applicazione della fattispecie possa collidere (secondo l’interpretazione di volta in volta fornita dall’organo giudicante) con il ne bis in idem e la selezione delle

del delitto di autoriciclaggio, bensì del reato di trasferimento fraudolento di valori, disciplinato dall’art. 12-quinquies 1 l. 7.10.1992 n. 356. N. Amore, Autoriciclaggio tra responsabilità individuale e collettiva, cit., 9, ritiene che la suddetta clausola assolva essenzialmente una funzione interpretativa, risolvendosi in una sorta di interpretazione autentica dei primi commi. In chiave critica (e sicuramente provocatoria) F. Sgubbi, Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, cit., 139, argomenta come una simile previsione costituisca la ratifica normativa di un comportamento edonistico a scapito dell’attività produttiva. 97 Si rinvia a A. D’Avirro - M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, cit., 144, i quali elencano una serie di casi di dubbia classificazione, come: il godimento condiviso con i familiari o amici; un evento (o un viaggio) che soddisfi il piacere personale ma costituisca al contempo una forma di pubblicità della propria attività imprenditoriale; l’impiego di denaro di provenienza criminosa per l’acquisto di beni immobili o mobili di lusso che l’agente destini inizialmente al proprio godimento personale, ma trasformi in seguito in una fonte di reddito. Sulla genericità della nozione cfr. anche: P. Corso, Il declino di un “privilegio”: l’autoriciclaggio (anche da reato tributario) ha rilievo penale autonomo, in CorrTrib 2015, 161. 98 F. Consulich, La norma penale doppia. Ne bis in idem sostanziale e politiche di prevenzione generale: il banco di prova dell’autoriciclaggio, cit., 69, parla efficacemente di espressioni che «alludono più che descrivere e non paiono riferirsi a condotte tipologicamente afferrabili, ma a qualificazioni giuridiche civilistiche non qualitativamente diverse dall’impiego in attività economiche delle risorse illecite, forma di comportamento che è, invece, penalmente repressa»; cfr. anche M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 807 ss. 99 Così: A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 807; v. anche sul punto S. Cavallini - L. Troyer Apocalittici o integrati, cit., 102 ss.

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condotte tipiche non sembra da sola sufficiente a prevenirlo100: l’impiego (inteso in senso lato101) in attività economiche dei beni di provenienza illecita costituisce in genere la conseguenza necessaria e naturale dei reati produttivi di reddito.

Le potenzialità di attrito con il principio del ne bis in idem insite nella norma non sembrano neppure superabili mediante il ricorso al principio di consunzione, il cui richiamo in dottrina 102 – pur avendo il pregio di proporre un correttivo interpretativo all’evidente “leggerezza” con la quale il legislatore è intervenuto sul punto – reca seco tutte le criticità in termini di certezza e prevedibilità del diritto da tempo rilevate in dottrina con riferimento ai criteri ermeneutici di matrice preterlegale 103 . Inoltre, il ricorso al principio di consunzione (che postula l’applicazione esclusiva della fattispecie più grave, che potrebbe – a seconda dei casi – coincidere con il reato-presupposto o con l’autoriciclaggio), finirebbe per tradire la scelta, alla base dell’introduzione dell’art. 648-ter.1 Cp104, di riconoscere un disvalore autonomo e diverso alle condotte di self-laundering, che non possono che reclamare un trattamento sanzionatorio autonomo e aggiuntivo rispetto a quello del reato-presupposto (sia pur – s’intende – destinato ad interagire con il primo mediante il vincolo della continuazione). La soluzione contestata infine, sovvertendo le norme in materia di concorso tra reati per incanalare la risposta punitiva unidirezionalmente verso il reato più grave, comporterebbe la violazione del principio di integrale valutazione delle conseguenze giuridiche di fatti legati tra loro da un rapporto di eterogeneità o incompatibilità105, a sua volta ispirato al rispetto dei principi di uguaglianza e ragionevolezza106.

100 Cfr. A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 807; contra F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 114 ss. 101 Soluzione interpretativa non preclusa dall’utilizzo di un’espressione così generica. 102 F. Consulich, La norma penale doppia. Ne bis in idem sostanziale e politiche di prevenzione generale: il banco di prova dell’autoriciclaggio, cit., 85, scrive: «Se la causa personale di non punibilità, lungi dall’esprimere il criterio di consunzione, lo tradisce, solo la sua eliminazione può avere allora l’effetto di implementarne il valore e restaurarne il significato autentico; in altro modo, la resezione del privilegio di autoriciclaggio potrebbe avere avuto come effetto la “liberazione” dei contenuti precettivi del criterio di consunzione, con la conseguenza che, a seconda dei casi, potrebbe prevalere il reato presupposto (con consunzione del delitto di autoriciclaggio quale post factum non punibile) o, più frequentemente, quello accessorio (con consumazione del delitto presupposto come ante factum non punibile), sulla base dell’esclusiva valutazione comparativa della gravità delle sanzioni previste dalla fattispecie presupposta e da quella accessoria». 103 Cfr.: T. Padovani, Diritto penale9, cit., 379; G. De Francesco, Lex specialis, cit., 4 ss. 104 Nitida sul punto è la Relazione della Commissione Greco, cit.: «la condotta di autoriciclaggio, lungi dal configurarsi come frazione del reato presupposto ovvero come un mero post factum avente il solo effetto di ostacolare il disvelamento del reato presupposto, si configura piuttosto come una nuova e diversa condotta, connotata da un autonomo e grave disvalore, in quanto tale meritevole di autonoma sanzione». 105 Sul punto: F. Mantovani, Concorso e conflitto di norme in diritto penale, Padova 1966, 591; cfr. anche G. Morgante, Riflessioni su taluni profili problematici, cit., 2517. 106 Essendo riconducibile al giudizio di ragionevolezza anche il vaglio della «non contraddittorietà interna del sistema giuridico» anche per quanto riguarda il profilo dell’«ingiustificatezza dell’eccezione rispetto alla regola» (cfr. G. Zagrebelsky, Su tre aspetti della ragionevolezza, in AA.VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della corte costituzionale, Milano 1994, 182-183. Sui rapporti tra uguaglianza e ragionevolezza: A. Morrone, Il custode della ragionevolezza, Milano 2001,

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2.3. Da quanto detto fin ora non può dirsi che la fattispecie di nuovo conio

riesca conciliare adeguatamente le esigenze di criminalizzazione dell’autoriciclaggio con il divieto del ne bis in idem. Non sembra tuttavia possibile esprimere un giudizio differente con riferimento all’altro principio di cui il legislatore avrebbe dovuto tenere adeguatamente conto, quello del nemo tenetur se detegere. Se l’incriminazione dell’autoriciclaggio è stata a lungo osteggiata dalla dottrina (tra le varie ragioni addotte) poiché – inducendo l’autore del reato-presupposto ad astenersi dal compiere operazioni volte ad impedire l’identificazione della matrice illecita dell’utilità – lo espone al rischio di essere identificato quale autore del reato-presupposto107, davvero singolare (e non condivisibile) è la scelta di filtrare la tipicità delle condotte mediante la clausola modale della concreta idoneità delle medesime ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.

Siffatta perimetrazione della condotta penalmente rilevante impone di riconoscere nell’art. 648-ter.1 Cp un reato plurioffensivo: mentre gli indici testuali già considerati consentono sicuramente di annoverare l’ordine economico tra i beni giuridici tutelati dalla fattispecie, una simile connotazione della condotta induce a includere tra essi anche l’amministrazione della giustizia 108. Più che una scelta consapevole del legislatore, tale risultato esegetico sembra il portato di un’insipiente fusione tra gli artt. 648-bis e 648-ter Cp, che – limitandosi a ricalcarne supinamente gli stilemi linguistici – non sembra aver debitamente considerato le peculiarità del reato di autoriciclaggio. Difatti, se con riferimento al riciclaggio la tutela congiunta dell’ordine economico e dell’amministrazione della giustizia si espone esclusivamente ai già menzionati rilievi in tema di plurioffensività, nell’ambito del self-landering, la scelta di includere l’amministrazione della giustizia nell’orizzonte di tutela rischia di comprimere sensibilmente il principio del nemo tenetur se detegere, ove non vengano opportunamente eretti argini alla punizione di comportamenti “autodifensivi”109. Più che isolare in modo casistico ipotesi di non punibilità (che

37 ss. In ambito penalistico si rinvia a: D. Pulitanò, Ragionevolezza e diritto penale, Napoli 2012; G. Insolera, Principio di eguaglianza e controllo di ragionevolezza sulle norme penali, in Introduzione al sistema penale, a cura di G. Insolera, N. Mazzacuva, M. Pavarini e M. Zanotti, Torino 1997, 264 ss. 107 Sul punto, ex multis: G. Insolera, Ripensare l’antimafia: il sistema penale. Testo rivisto della relazione al convegno «Ripensare l’antimafia. Nuovi contenuti per le sfide del future» (Palermo, 4-5.4.2014) in www.penalecontemporaneo.it, 9.5.2014, 7. 108 Propendono per la plurioffensività del reato: F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 112-113; E. Penco, Il nuovo reato di autoriciclaggio, cit., 386-387; F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 14, il quale osserva come tale opzione «appare il frutto obbligato dell’insufficiente selezione, da parte del legislatore, delle condotte tipiche, che costringe l’interprete ad adottare soluzioni compromissorie invero poco perspicue, col risultato di delegare al giudice significativi poteri di determinazione (e non di semplice riscontro) dei comportamenti rientranti nel fuoco di tutela apprestato dalla fattispecie incriminatrice». 109 M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 803, scrive: «se non si riesce a calibrare il perimetro di tipicità dell’autoriciclaggio in maniera da renderlo immune da interferenze con il principio del nemo tenetur se detegere, si deve accordare un qualche spazio di operatività a tale principio, prevedendo casi di non punibilità laddove risulti che il soggetto abbia agito per “autodifesa”».

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implicherebbe una selezione estenuante ed inevitabilmente incompleta) o prevedere una causa generale di esclusione della punibilità ove il soggetto abbia agito al solo fine di impedire l’identificazione della matrice delittuosa del bene110 (finalità non sempre facilmente distinguibile e congiunta a quella di profitto in molte delle attività di “reimpiego” delle utilità nei circuiti dell’economia legale), sarebbe stato opportuno – nei termini che si prospetteranno tra breve – intervenire sulla stessa condotta tipica, in modo da escludere ab imis conflitti con il suddetto principio.

2.4. La scelta di individuare nell’idoneità decettiva della condotta uno dei

vettori di offensività della fattispecie – oltre a fomentare incertezze in merito agli obiettivi effettivamente perseguiti dal legislatore – sembra anche disfunzionale rispetto allo scopo primario della norma, ossia la tutela dell’ordine economico111. Se il disvalore del reato si appunta sulla re-immissione dei proventi illeciti nel mercato legale 112 , la circostanza che la condotta sia o meno idonea ad ostacolare l’identificazione della matrice delittuosa del bene è del tutto ininfluente sugli effetti distorsivi della medesima sul piano della concorrenza 113. Essi, come si è detto, dipendono esclusivamente dalla possibilità, tramite le operazioni di self-laundering, di usufruire di un canale di finanziamento privilegiato, che – stante la sua natura illecita – consente all’autoriciclatore di sottrarsi ai controlli e agli oneri fiscali, cui è invece soggetto il concorrente che agisca lecitamente sul mercato.

110 Nell’ambito della redazione della Relazione della Commissione Fiandaca si era, infatti, proposto – proprio per “far salvo” il principio del nemo tenetur se detegere – di introdurre una causa di non punibilità, a favore di chi «ha realizzato le condotte di ostacolo al solo fine di conseguire per se l’impunità per il delitto da cui derivano i proventi». La proposta era stata in seguito scartata per via della difficoltà di accertamento della finalità indicata. 111 E che questo sia l’obiettivo principale è confermato peraltro dall’introduzione dell’art. 648-ter.1 Cp nel quadro della l. 186/2014, concepita come normativa di risanamento e legalizzazione dell’economia nazionale (in particolare sotto il profilo dell’emersione e del rientro di capitali detenuti all’estero e della lotta all’evasione fiscale). Sull’istituto della voluntary disclosure, introdotto contestualmente dalla l. 186/2014 si rinvia a: A. Ingrassia, Le (caleidoscopiche) ricadute penalistiche della procedura di voluntary disclosure: causa sopravvenuta di non punibilità, autodenuncia e condotta penalmente rilevante, in www.penalecontemporaneo.it, 11.5.2015; V.E. Falsitta, Istituto innovativo non assimilabile ad un condono, in GD 2015 (4), ibidem; AA.VV., Voluntary disclosure. Guida pratica, a cura di C. Masiello, Milano 2015; M. Piazza - M. Bono - M. Folli, Collaborazione volontaria: la procedura, in Il Fisco 2015, 333 ss.; D. Sopranzetti, Antiriciclaggio, monitoraggio fiscale e voluntary disclosure, Milano 2015. Sui rapporti tra l’istituto e l’art. 648-ter.1 Cp: F.R. Dinacci, Voluntary disclosure e autoriciclaggio: gli stravaganti effetti processuali, in Il nuovo volto della giustizia penale, cit., 49 ss. Rilevano come la scelta di vincolare la rilevanza penale delle condotte alla loro idoneità decettiva determini la persistenza nel nostro ordinamento di una sorta di beneficio di “autoreimpiego”: F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 16-17; M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 809. 112 F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 112, osserva limpidamente: «l’idea di fondo, che sembra giustificare l’incriminazione dell’autoriciclaggio, riposa sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura lede “l’ordine economico”». 113 Cfr. M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 816.

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La criticità di questa discriminazione si coglie soprattutto con riferimento ai proventi dei reati tributari che si sostanziano esclusivamente in un mancato esborso: rispetto al loro reimpiego sic et simpliciter in attività economiche è, infatti, difficile predicare un’efficacia interruttiva del paper trail. Di conseguenza – anche qualora si dovesse ritenere possibile riferire la nozione di “provenienza” anche ai proventi dei reati tributari114 – occorrerebbe dimostrare che al reato fiscale abbia fatto seguito un’operazione idonea a mascherare la matrice illecita dell’utilità (o che le modalità stesse del reimpiego fossero dotate di tale idoneità). Una simile limitazione – alla luce di quanto si è detto – sembra del tutto irragionevole e finisce per intaccare notevolmente la capacità dell’art. 648-ter.1 Cp di contrastare una delle più perniciose fonti di inquinamento del mercato115.

Di questo poderoso “sbarramento” alla rilevanza penale dell’autoreimpiego da reati fiscali avrebbe dovuto tener conto il legislatore, che peraltro – tramite l’inserimento nella stessa l. 186/2014 della procedura della voluntary disclosure – fornisce una sorta di “interpretazione autentica” in merito alla possibilità di includere i reati fiscali tra i delitti-presupposto dell’art. 648-ter.1 Cp: contemplando una causa sopravvenuta di non punibilità a beneficio dell’autoriciclatore che abbia positivamente esperito la suddetta procedura in relazione ai delitti tributari da cui provengono le utilità oggetto di self-laundering, consente di annoverare i reati tributari tra i delitti-presupposto, quanto meno con riferimento a quelli espressamente inclusi nell’ambito applicativo della voluntary disclosure (artt. 2, 3, 4, 5, 10 bis, 10 ter e 10-quater d.lgs. 10.3.2000 n. 74).

114 Nel senso che essa esiga che il reato abbia cagionato un arricchimento sotto forma di incremento patrimoniale in capo all’autore del delitto-presupposto: P. Magri, I delitti di riciclaggio e reimpiego, cit., 436 ss.; M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, cit., 398, il quale definisce la nozione di “proventi” come il «cardine per una interpretazione non eccessivamente lata del riciclaggio»; F. Hinna-Danesi, Proventi da frode fiscale e riciclaggio, in Il Fisco 1995, 9758 ss.; U. Liguori, Rapporti tra condotte principali e reato presupposto: cause di estinzione del reato o della pena, cause di esclusione dell’antigiuridicità, cause di non punibilità o non imputabilità, abolitio criminis, dichiarazione di incostituzionalità, in Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione mobiliare, cit., 102 ss.; R. Cordeiro Guerra, Reati fiscali e riciclaggio, in RivDirTrib 2013, 1163 ss.; F. D’Arcangelo, Frode fiscale e riciclaggio, in RivDottComm 2011, 331 ss.; G. Flora, Sulla configurabilità del riciclaggio di proventi da frode fiscale, in FA 1999, 441. Altra dottrina ha più persuasivamente inteso il concetto di “provenienza” in senso economico, appuntando l’attenzione sulla derivazione causale dalla commissione del delitto per ritenere – in questa prospettiva – che il problema dell’inclusione dei reati tributari tra i reati-presupposto sia piuttosto di carattere probatorio e debba quindi essere valutato alla luce della concreta individuabilità del provento nel patrimonio del soggetto: cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 136 ss.; R. Acquaroli, Il riciclaggio, cit., 818; P. Costanzo, Il riciclaggio di disponibilità di provenienza illecita. La disciplina penale italiana alla luce delle regole internazionali comunitarie, in Trattato di diritto penale dell’impresa, a cura di A. Di Amato, IX, I reati del mercato finanziario, Padova 2007, 526 ss.; G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale4. Parte speciale, cit., 248. 115 Se c’è una fenomenologia criminosa idonea a provocare effetti devastanti sull’ordine economico quella è proprio l’evasione fiscale. L’impatto del fenomeno nell’economia del nostro Paese si coglie ictu oculi ove si consideri come l’evasione si aggiri tra i 150 e i 200 miliardi all’anno: cfr. E. Mele, Evasione Fiscale Italia - I numeri da conoscere, 1.7.2015, in www.forexinfo.it.

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L’interpretazione “inclusiva” non sembra poter essere osteggiata neppure dalla considerazione della maggiore “elasticità” dell’accertamento tributario (caratterizzato dalla negoziabilità della pretesa finale dell’Amministrazione finanziaria) rispetto al procedimento penale relativo ai reati tributari: nella determinazione dell’imposta evasa, infatti, il giudice penale non è vincolato a quanto risultante dall’accertamento con adesione o dal concordato fiscale tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Ai fini dell’integrazione dell’autoriciclaggio da reati tributari, dovrà inoltre essere sicuramente oggetto di accertamento giudiziale anche il superamento della soglia di punibilità per essi prevista, come opportunamente precisato dalla giurisprudenza in materia di riciclaggio116.

Non sembrano tuttavia infondate le perplessità nutrite dalla dottrina117 sulla possibilità di ritenere le fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio compatibili con qualsiasi reato tributario118. È, infatti, evidente come – fatta eccezione per i reati che generano effettivamente un incremento patrimoniale ovvero una “utilità identificabile in concreto”119 (come per esempio la dichiarazione fraudolenta IVA, che determina un indebito rimborso) – nel caso in cui l’utilità consista in un mero risparmio di imposta, sia impossibile isolare la medesima dal resto del patrimonio del soggetto e di conseguenza il riciclaggio o l’autoriciclaggio non possa che operare sull’equivalente. Si tratta però di una difficoltà sul piano probatorio che non incide sui profili sostanziali del fenomeno: il reinvestimento dei proventi del reato di dichiarazione infedele è lesivo delle ragioni della concorrenza quanto il reimpiego delle utilità derivanti, per esempio, da una dichiarazione fraudolenta IVA120. Sarebbe

116 Cfr. Trib. Como 13.5.2015, in RivDottComm 2015, 158 ss. con nota di L. Troyer - A. Ingrassia, Un’imposta evasa al di sotto della soglia di punibilità dei delitti tributari non può costituire oggetto materiale del reato di riciclaggio: un prezioso insegnamento dal Tribunale di Como. Poiché la soglia di rilevanza penale deve essere correttamente qualificata come un elemento costitutivo del reato tributario, non si potrà considerare sufficiente la sola astratta configurabilità di quest’ultimo: A. D’Avirro - M. Giglioli, I reati tributari, Milano 2012, 84; G. L. Soana, I reati tributari, Milano 2013, 51 ss. 117 In particolare: A. D’Avirro - M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, cit., 147 ss.; C.C. Oliva, Autoriciclaggio e reati fiscali: una dissonante accoppiata, in QuotGiur, 2.2.2015. 118 Cfr. Cass. 27.11.2008 n. 1024 in CEDCass, m. 242512; Cass. 15.2.2012 n. 6061, in DeJure, in cui la Suprema Corte interpreta l’onnicomprensiva formula “altre utilità” come una clausola di chiusura idonea a ricomprendere tutte le utilità suscettibili di assumere un valore economicamente apprezzabile, comprese quelle derivanti da un mancato depauperamento del patrimonio. 119 Cfr. A.R. Castaldo - M. Naddeo, Il denaro sporco, cit., 163, che individuano nella possibilità di verificare o meno la sussistenza di un arricchimento effettivo e identificabile nel patrimonio del soggetto il criterio distintivo tra i reati tributari suscettibili di costituire reati-presupposto di riciclaggio e quelli che non lo siano. 120 Si è evidenziato in dottrina (S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 238) come non sussista alcun fondamento su un piano politico-criminale per negare la configurabilità del riciclaggio rispetto ai beni “ricavati” illecitamente in quanto indebitamente trattenuti nel patrimonio del soggetto agente e come una simile limitazione non presenti alcuna base normativa. In questa direzione sembrano propendere anche gli orientamenti sovranazionali in materia: le Raccomandazioni del GAFI del 2012 la dir. 2015/849 includono anche i reati tributari tra i reati-presupposto del riciclaggio.

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stata quindi auspicabile “un’esplicitazione normativa” della configurabilità del riciclaggio e dell’autoriciclaggio “per equivalente” 121, al pari di quanto si è verificato nell’ambito della confisca (art. 1 co. 143 l. 24.12.2007 n. 244).122 Tuttavia la prima significativa sentenza di legittimità in materia di autoriciclaggio (Cass. 15.12.2016 n. 3691)123, allineandosi alla giurisprudenza prevalente con riferimento all’art. 648-bis Cp, sembra “bypassare” la suddetta criticità probatoria considerando delitto-presupposto dell’art. 648-ter.1 Cp anche il reato di dichiarazione infedele124.

3. La pronuncia appena menzionata si segnala perché, oltre a riferire

l’autoriciclaggio a qualsiasi reato tributario, “lambisce” alcuni dei nuclei problematici della fattispecie che si è cercato di individuare fin ora125.

121 In questo senso: A. Lanzi, L’autoriciclaggio e la necessità di un intervento di “razionalizzazione, cit., 5 s. 122 Nel quale la forma “per equivalente” è stata introdotta proprio per compensare l’inoperatività delle ordinarie ipotesi di confisca rispetto ai reati tributari: A.M. Maugeri, La lotta all'evasione fiscale, tra confisca di previsione e autoriciclaggio, in www.penalecontemporaneo.it, 2.3.2015, 22. 123 Cass. 15.12.2016 n. 3691, in D&G 2016 (6), 19 con nota di S. Gentile Il giudice del riesame può qualificare in modo diverso i fatti di reato a base del sequestro probatorio. 124 Per completezza in merito ai rapporti tra autoriciclaggio e reati tributari, si segnala come non possa essere condivisa la tesi (A. D’Avirro - M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, 148-149) secondo la quale l’autoriciclaggio da reato tributario debba necessariamente passare attraverso lo schema dell’art. 11 d. lgs. 15.4.2000 n. 74 (che al co. 1 prevede: «è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni»), dovendo quest’ultimo reato essere applicato in luogo dell’art. 648-ter.1 Cp ai sensi dell’art. 15 Cp. La tesi contestata parte dal presupposto che l’integrazione del summenzionato reato costituisca l’unico modo attraverso il quale il provento del reato fiscale possa essere individuato e di conseguenza possa costituire oggetto di autoriciclaggio. Si dimentica tuttavia che la condotta di reimpiego delle utilità in attività economiche può attuarsi (anche con modalità diverse rispetto all’alienazione simultanea o altri atti fraudolenti) sui proventi di quei reati tributari idonei a generare un incremento patrimoniale (e che quindi già consentono l’individuazione dell’utilità nel patrimonio dell’agente). Per quanto riguarda i reati consistenti in un mancato esborso, inoltre, è ben possibile che l’isolamento dell’utilità oggetto di autoriciclaggio avvenga tramite operazioni concretamente idonee a occultarne la provenienza delittuosa, che non integrino tuttavia gli estremi dell’alienazione simulata o dell’atto fraudolento. Si è, infatti, giustamente osservato come il requisito menzionato dalla fattispecie possa essere rappresentato anche da un quid minoris rispetto a una condotta fraudolenta: «attraverso la connotazione in termini di idoneità concreta all’ostacolo, la determinazione delle condotte punibili viene circoscritta a quei comportamenti che, seppur non necessariamente artificiosi in sé (integrativi, cioè, di estremi riportabili all’archetipo degli artifici e raggiri), esprimano un contenuto decettivo, capace cioè di rendere obiettivamente difficoltosa la identificazione della provenienza delittuosa del bene», cosi: F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 115. 125 Pur non rientrando tra i temi affrontati, merita di essere rilevato che in questa sentenza, per la prima volta, la Cassazione si è pronunciata riguardo alla questione dell’applicazione intertemporale della fattispecie. La Corte ha, infatti, rigettato l’argomentazione del ricorrente relativa all’inapplicabilità dell’art. 648-ter.1 Cp nel caso in cui il reato-presupposto sia stato commesso in epoca antecedente rispetto all’entrata in vigore della l. 186/2014, ritendendo di dover tenere conto, ai

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Si riassume brevemente la vicenda storica: un soggetto, noto alla P.G. poiché già indagato per riciclaggio, veniva avvistato mentre oltrepassava in auto il valico tra l’Italia e la Svizzera e – in seguito al pedinamento e alle perquisizioni effettuate a Milano – veniva trovato in possesso di 240.000 euro in banconote, celate nel doppio fondo della sua autovettura. In seguito all’estensione della perquisizione all’abitazione del prevenuto (presso la città di Como), erano rinvenute altre ingenti somme di denaro, non considerate dagli inquirenti giustificabili in rapporto ai modesti redditi denunciati dall’indagato. Si procedeva dunque al sequestro dei beni, contestando all’indagato il reato di autoriciclaggio per avere questi «trasferito denaro in modo tale da ostacolarne l’identificazione della provenienza quantomeno dal reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000, con riferimento a smobilizzazioni di investimenti non dichiarati e costituiti mediante redditi sottratti a tassazione». Il P.M. presso il Tribunale di Como convalidava le perquisizioni e i sequestri con decreto, poi parzialmente riformato dal Tribunale del Riesame di Como, che ne dichiarava la nullità per incompetenza territoriale esclusivamente in relazione alle perquisizioni ed ai sequestri posti in essere a Milano. Avverso il provvedimento del Tribunale proponeva ricorso l’indagato, lamentando – inter alias – l’erronea valutazione del fumus commissi delicti, anche alla luce della discrasia tra l’ipotesi delittuosa formulata dalla P.G. (art. 648-ter.1 Cp) e quella individuata dal P.M. (art. 648-ter Cp).

La Suprema Corte conferma il ragionamento dei giudici di primo grado, che avevano argomentato la sussistenza del fumus commissi delicti «rilevando come le circostanze del fatto che avevano portato alle attività di perquisizione e sequestro giustificavano senza dubbio la formulazione di un’ipotesi accusatoria di riciclaggio, e che comunque, con riferimento all’ipotesi di autoriciclaggio, la pur incerta destinazione delle somme appena importate in Italia non precludeva “di configurare quantomeno una fattispecie delittuosa tentata”» e questo in particolare sulla base del «rinvenimento di una rilevante somma di denaro in contanti, ripartita e confezionata con modalità tali da implicare una loro pronta circolazione, con suddivisione in mazzette di banconote di grosso taglio, in possesso di un soggetto che aveva appena varcato il confine di Stato a bordo di automobile con un doppio fondo occultato».

Mentre il ragionamento dei giudici di Cassazione potrebbe forse essere condiviso per quanto riguarda l’ipotesi di cui all’art. 648-bis Cp, tutt’altro discorso vale in merito a quella di autoriciclaggio. Il fumus commissi delicti del reato di riciclaggio potrebbe, infatti, giustificarsi con riferimento alla condotta di “trasferimento” del denaro (aderendo tuttavia a un’interpretazione estensiva della nozione, come mero trasporto fisico126) in modo da ostacolarne l’identificazione della

fini della determinazione del tempus commissi delicti della sola condotta di autoriciclaggio. In questo senso in dottrina: N. Amore, Autoriciclaggio tra responsabilità individuale e collettiva, cit., 5; contra: D. Brunelli, Autoriciclaggio e divieto di retroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in DPC – Riv. Trim. 2014 (2), 86 ss. 126 In questo senso: Cass. 15.10.1998, in RP 1999, 172; Cass. 18.10.2005 n. 36779, in CP 2007, 2852 ss.; Cass. 3.5.2007 n. 21667 in GD 2007 (27), 75 ss.; Cass. 16.4.2010 n. 18607, in CP 2011, 2, 590 ss. Contra: Cass. 30.1.2007 in GD (12), 86 ss.

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provenienza delittuosa127. L’art. 648-ter.1 Cp – come si è detto – richiede invece l’impiego, il trasferimento o la sostituzione in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei proventi illeciti: si tratta di un requisito all’evidenza estraneo al caso di specie. Intuendo questa difficoltà, la Corte invoca la plausibilità «quantomeno di una fattispecie delittuosa tentata». Tuttavia, se già riguardo al reato di riciclaggio non era per nulla pacifica la configurabilità di un tentativo128, i dubbi non possono che intensificarsi con riferimento all’art. 648-ter.1 Cp, che si atteggia apertis verbis come un reato di pericolo concreto129. Dal caso prospettato inoltre emerge nitidamente la difficoltà di riconoscere nella condotta descritta il requisito della non equivocità dell’atto (che non può che essere valutato preliminarmente rispetto all’idoneità del medesimo130): ammesso che il trasporto del denaro nel doppio fondo della macchina possa considerarsi una condotta concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della sua provenienza illecita, la circostanza che le banconote fossero confezionate «con modalità tali da implicare una loro pronta circolazione» non esprime assolutamente l’univoca destinazione delle medesime al reinvestimento nei circuiti legali dell’economia: è ben possibile che esse fossero destinate al finanziamento di attività illecite o all’acquisto di beni finalizzati al mero godimento personale del soggetto. Quest’ultima ipotesi implicherebbe certamente un loro transito nel mercato legale, ma si tratterebbe di una condotta indirettamente destinata al godimento personale e non idonea ad alterare in alcun modo i meccanismi concorrenziali. Si è già rilevato come un’interpretazione della norma compatibile con il principio del ne bis in idem dovrebbe espungere dal perimetro di tipicità della fattispecie le condotte che non si traducono in un effettivo reinvestimento, ma in una semplice spendita delle utilità nel circuito economico, tuttavia la natura ibrida131 dell’art. 648-ter.1 Cp e le evidenziate ambiguità che lo affliggono non sembrano in grado di interdire un’interpretazione della norma estesa alle suddette ipotesi, che finisce in sostanza per sanzionare penalmente la mera circolazione di denaro o beni di provenienza delittuosa.

Pur riconoscendo l’inevitabile sommarietà e provvisorietà delle imputazioni che caratterizza il momento processuale delle indagini preliminari, da cui deriva – come precisato dai giudici di Cassazione – l’impossibilità di «verificare la sussistenza del fatto reato, ma soltanto [la possibilità di] accertare se il fatto contestato possa astrattamente configurare il reato ipotizzato», non si possono disconoscere le

127 Come si è detto è, infatti, pacifico che la fattispecie di riciclaggio possa essere integrata da condotte che siano idonee a ledere anche esclusivamente l’amministrazione della giustizia. 128 Per un quadro delle diverse posizioni dottrinali sul punto, si rinvia a: R. Acquaroli, Il riciclaggio, cit., 824. Secondo la giurisprudenza, trattandosi di un reato di pericolo, non sarebbe ammissibile la forma tentata: Cass. 19.11.2004, in GI 2005, 2377. 129 Riguardo al tentativo nei reati di pericolo concreto T. Padovani, Diritto penale9, cit., 276, rileva come «sembra difficile concepire la punibilità del tentativo che, essendo fondato sul pericolo, comporterebbe la rilevanza del “pericolo di un pericolo” (e cioè in pratica di un “non pericolo”». 130 G. De Francesco, Diritto penale. Forme del reato, Torino 2013, 94 ss. 131 F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 14, parla giustamente di «una formulazione ibrida, foriera di insuperabili aporie»; ancora A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 808 descrive la fattispecie come «un inedito ibrido dalle ambizioni repressive non immediatamente intuibili».

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potenzialità liberticide (per quello che ne deriva sul piano delle misure cautelari) insite nella delineata delibazione dell’antigiuridicità penale della condotta. Se è vero che occorre sanzionare l’autoriciclaggio da reati tributari per le motivazioni illustrate, si deve tuttavia rilevare l’abnormità della contestazione del delitto di cui all’art. 648-ter.1 Cp, con riferimento al reato di dichiarazione infedele ogniqualvolta che un soggetto sia trovato in possesso di una somma ritenuta non giustificabile rispetto alle sue condizioni economiche. L’invocazione del reato di nuovo conio in simili ipotesi rischia, come preconizzato dalla dottrina all’indomani della sua introduzione132, di asservirlo ad esigenze eminentemente investigative e di trasformarlo surrettiziamente in uno strumento idoneo a scavalcare i limiti procedurali posti all’operatività delle misure cautelari, contravvenendo a quel bilanciamento di interessi cui si è fatto riferimento in apertura.

4. L’esegesi abbozzata – seppur a livello embrionale – nella sentenza costituisce

icasticamente il risultato dell’incertezza sul piano teleologico che permea l’intera fattispecie e che la proietta inevitabilmente verso un orizzonte punitivo parimenti indefinito. Dall’analisi dell’art. 648-ter.1 Cp emerge, infatti, un netto “scollamento” tra le ragioni che hanno indotto il legislatore a sanzionare penalmente il fenomeno del self-laundering e la struttura del reato: esso non sembra capace di garantire la rilevanza penale delle sole condotte idonee a incidere sull’ordine economico, andando a intercettare nell’area del penalmente rilevante anche quelle semplicemente interruttive del paper trail, con tutte le conseguenze che ne derivano (e che si sono illustrate) sul piano delle garanzie.

Alla luce della sostanziale coincidenza tra le esigenze di criminalizzazione sottese al reato di nuovo conio e quelle postulate dalla fattispecie di cui all’art. 648-ter Cp (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita), che sanziona la fase successiva alle operazioni di lecito-vestizione e in particolare proprio la re-immissione del denaro “ripulito” nei circuiti dell’economia legale133, sarebbe stata 132 F. Sgubbi, Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, cit., 139, scrive: «Con l’introduzione dell’autoriciclaggio, i delitti contro il patrimonio e i delitti che generano profitto a qualsiasi titolo avranno sempre un ingombrante compagno che occuperà, con tutto l’arsenale di misure cautelari personali e reali, tutta la scena processuale»; analogamente A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 808, rileva il rischio che si finisca per guardare all’autoriciclaggio come «norma contro l’impunità», consentendo agli inquirenti di ricorrere con maggiore facilità ai mezzi di ricerca della prova e alle misure cautelari a prescindere dalla gravità del reato-presupposto e dalle difficoltà di accertamento del medesimo. 133 Individuano l’oggettività giuridica della fattispecie nell’ordine economico: R. Acquaroli, Il reimpiego di capitali illeciti, in Trattato teorico-pratico di diritto penale, cit., 837; M. Flick, La repressione del riciclaggio ed il controllo della intermediazione finanziaria, cit., 1261.; G. Spagnolo, Breve commento alle “Nuove disposizioni per la prevenzione delle delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale” (l. n. 55/1990), in RTrimDPenEc 1970, 704 ss.; M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, cit., 455; G. Insolera, Prevenzione e repressione del riciclaggio, cit., 161. Il fenomeno del riciclaggio è, in base agli approcci più recenti, descritto in termini di tripartizione (cfr. R. Acquaroli, Il riciclaggio, cit., 805-806): nella prima fase, quella del c.d. “collocamento” (o placement), i capitali provenienti dal reato-presupposto sono introdotti nel mercato interno o internazionale mediate un trasferimento materiale (che si avvale degli intermediari finanziari o delle istituzioni), l’acquisto di beni o altre forme d’immissione diretta.

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auspicabile (e funzionale ad un assetto più razionale dell’intera disciplina) una fusione tra le due fattispecie, con ovvia abrogazione della clausola di riserva e riformulazione di un’unica fattispecie immune da interferenze con i principi del ne bis in idem e del nemo tenetur se detegere. Se il disvalore della condotta si appunta sull’alterazione dei meccanismi concorrenziali, dovrebbero essere sanzionate esclusivamente quelle forme di reimpiego in attività economiche (ovviamente comprensive di quelle finanziarie, imprenditoriali e speculative) che si traducano in un vero e proprio reinvestimento134. Una simile perimetrazione della condotta tipica si concilierebbe più adeguatamente con il principio del ne bis in idem sostanziale, costituendo uno sbarramento più saldo rispetto alla clausola, di cui all’art. 648-ter.1 co. 4 Cp, nei confronti delle condotte destinate alla “mera utilizzazione” o “godimento personale” e postulando in termini meno ambigui la fuoriuscita del bene dalla sfera del soggetto e la sua proiezione dinamica nei circuiti dell’economia legale quale passaggio indefettibile per qualsiasi forma d’inquinamento del mercato.

L’integrazione del fatto tipico con la menzione del dolo specifico della finalità di profitto – sicuramente riscontrabile in qualsiasi condotta di “reinvestimento” – potrebbe inoltre contribuire a fugare ogni dubbio sull’irrilevanza penale delle condotte di reimpiego economico delle utilità illecite funzionali alla mera “schermatura” della loro provenienza delittuosa (come la “sostituzione” o il “trasferimento” delle medesime) 135 . Si tratta, infatti, di condotte che non interferiscono per nulla con i meccanismi concorrenziali, ma costituiscono piuttosto un’estrinsecazione del principio del nemo tenetur se detegere. Come già detto, assolutamente superflua e disfunzionale nell’ambito di una fattispecie teleologicamente orientata alla sola tutela dell’ordine economico, sarebbe la clausola modale dell’idoneità a ostacolare l’identificazione della matrice delittuosa del bene,

La seconda fase, quella della c.d. “stratificazione” (o layering), consente poi di munire il provento di una copertura che ne renda apparentemente legittima la provenienza (tramite molteplici operazioni: negozi simulati; trasferimento del denaro all’estero; triangolazioni con società off-shore; ecc.). La terza e ultima fase è quella dell’“integrazione” (o integration): in essa il denaro o gli altri beni vengono reimmessi nel circuito economico legale. Nelle intenzioni del legislatore la fattispecie di cui all’art. 648-bis Cp doveva essere destinata a sanzionare le prime due fasi del processo, quella di cui all’art. 648-ter Cp invece l’ultima. Si è già rilevato tuttavia come la fattispecie di reimpiego sia stata oggetto di scarsissima applicazione a livello giurisprudenziale, con conseguente supplenza da parte dell’art. 648-bis Cp anche con riferimento alla terza fase del processo. 134 Parlando esplicitamente di “reinvestimento” si risolverebbero ex lege i dubbi che serpeggiano riguardo all’opportunità di adottare un’interpretazione “ampia” della condotta di “impiego”, ritenendola configurabile in qualunque uso dei proventi illeciti (G. Colombo, Il riciclaggio, Milano 1990, 121) o quella più “restrittiva”, che la àncora ad obiettivi speculativi (F. Toschi, Le disposizioni relative ai delitti di riciclaggio, impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, favoreggiamento, ricettazione introdotte o modificate dalle ll. 55/1990 e 238/1993, in Mafia e criminalità organizzata, a cura di P. M. Corso, G. Insolera e L. Stortoni, Torino 1995, 411. 135 Si pensi alle condotte in precedenza definite come “indirettamente” destinate all’utilizzazione o al godimento personale come, per esempio, il versamento del denaro sul conto corrente di un amico o di un prestanome.

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così come qualsiasi distinzione tra il reinvestimento di utilità “ripulite” e utilità che non siano transitate per alcun processo di lecito-vestizione136.

Alla luce delle considerazioni svolte in merito ai reati tributari, sarebbe invece opportuna un’esplicitazione normativa della riferibilità della nozione di “proventi” anche ai reati tributari (sulla scia di quanto proposto nella Relazione della Commissione Fiandaca137) e di una forma di reinvestimento “per equivalente”.

Sebbene, come rilevato in dottrina138, sia impossibile cogliere in tutte le condotte riciclatorie il carattere dell’offensività nei confronti dell’ordine economico (che invece emerge ictu oculi ove si guardi al riciclaggio come macrofenomeno), si è giustamente argomentato come siffatta considerazione non sia ostativa alla possibilità di strutturare una fattispecie di autoriciclaggio (e, nell’ottica della proposta riformulazione, di reinvestimento) quale reato di c.d. “pericolo presunto”139: nei reati appartenenti a tale categoria infatti la presunzione circa l’esistenza del pericolo resiste anche all’eventuale prova che, nel caso concreto, l’interesse protetto non fosse esposto ad alcun rischio, identificandosi in sostanza il pericolo con la stessa ratio della fattispecie incriminatrice140. Ciò non toglie tuttavia come la circostanza rilevata possa giocare un ruolo nella determinazione della cornice edittale della fattispecie: se può tollerarsi una pena “draconiana” con riferimento ai reati di pericolo presunto posti a tutela di beni giuridici quali la vita o l’incolumità individuale (come nel caso dell’art. 437 Cp, «rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro»), ben più arduo pare concepire la razionalità e la proporzionalità di una pena da due a otto anni di reclusione141 in relazione ad una fattispecie di pericolo presunto posta a tutela dell’ordine economico. L’esigenza di incrementare la pena in rapporto alla lesività della situazione specifica, potrebbe essere, infatti, soddisfatta dalla previsione di una o più circostanze aggravanti che vadano a calibrare la risposta sanzionatoria in base all’entità patrimoniale dei beni oggetto di reinvestimento 142 . Si tratterebbe di una previsione sicuramente più aderente all’esigenza di salvaguardare il corretto funzionamento del mercato rispetto a quella dell’art. 648-ter.1 Cp, che al secondo comma, irragionevolmente contempla una modulazione della pena in rapporto alla cornice edittale del reato-presupposto143.

136 A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 816 osserva come i circuiti economici regolari siano pregiudicati tanto da iniezioni di denaro “sporco” quanto di denaro “ripulito”. 137 Relazione della Commissione Fiandaca, cit., 9. 138 Cfr. A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 801. 139 Così: N. Amore, Autoriciclaggio tra responsabilità individuale e collettiva, cit., 22, il quale rileva come la possibilità di includere l’autoriciclaggio tra i reati di pericolo presunto sia legittimata dalla circostanza che la regola di esperienza che ne suffraga la pericolosità sia indubbiamente dotata di fondate basi empirico-criminologiche. 140 Cfr. T. Padovani, Diritto penale9, cit., 136. 141 Come quella prevista dall’art. 648-ter.1 Cp. 142 Così, con riferimento alla fattispecie di riciclaggio: S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 242. 143 In particolare si prevede che si applichi la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Se già una simile parametrazione non sembrava adeguata con riferimento all’attenuante prevista dall’art. 648-

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Poiché il carattere offensivo del reimpiego dei proventi illeciti trova la sua massima lesività nell’ambito della criminalità organizzata144, nel quale possono essere “ripulite” e reimmesse nei circuiti legali enormi quantità di denaro, nel quadro della proposta fusione e rielaborazione delle fattispecie di autoriciclaggio e reimpiego sarebbe sicuramente necessario l’inserimento di una specifica aggravante nell’ipotesi di commissione del reato in forma plurisoggettiva o abituale: tali requisiti (fenomenologicamente ricorrenti nell’ambito delle consorterie criminali) sono infatti idonei a conferire alla condotta quella connotazione di “professionalità” che traghetta il fenomeno verso l’acme delle sue potenzialità inquinanti nei confronti dell’economia legale e che non può che reclamare una più severa risposta sanzionatoria145.

Infine, l’aggravante connessa alla commissione del fatto nell’esercizio di un’attività professionale potrebbe essere ragionevolmente contemplata nella proposta fattispecie di reinvestimento146, purché le attività siano specificate con il richiamo agli artt. 10 ss. d.lgs. 74/2000.

La fattispecie di riciclaggio, mantenendo ovviamente intatta la clausola di riserva, dovrebbe – contestualmente alla modifica proposta – essere depurata dalla generica condotta del “compimento di altre operazioni” (per evitare, il più possibile, sovrapposizioni con quella di reinvestimento) e formulata come reato di pericolo concreto a tutela della sola amministrazione della giustizia 147 (con conseguente

bis Cp (F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale4, cit., 276), non può di certo condividersi la sua riproposizione nell’art. 648-ter.1 Cp, nel quale finisce per rievocare proprio quella logica dell’accessorietà che si pretendeva di superare tramite l’inserimento della fattispecie: F. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, cit., 33; A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 810. 144 Riguardo alla fattispecie di riciclaggio la dottrina ha rilevato e come l’“ambientamento tipico” del reato sia – alla luce degli effetti su larga scala da esso prodotti sull’equilibrio economico – proprio quello delle consorterie criminali, essendo difficile per soggetti operanti uti singuli interferire così significativamente sulle dinamiche del mercato: G. Morgante, Riflessioni su taluni profili problematici, cit., 2517; G. Insolera, Prevenzione e repressione del riciclaggio, cit., 156 ss. 145 Si veda sul punto la proposta di A. di Martino, La lutte contre le blanchiment en Italie, in La lutte contre le blanchiment en droit belge, suisse, français, italien et international, a cura di M. L. Cesoni, Bruxelles 2013, 435, di strutturare una fattispecie di autoriciclaggio basata proprio sulla forza selettiva dei requisiti della plurisoggettività e dell’abitualità. Si apprezza in tal senso la disposizione del codice penale tedesco che prevede un raddoppio della pena detentiva se il riciclatore agisce professionalmente o quale membro di un’organizzazione abitualmente dedita al riciclaggio (§ 261 co. 4 StGB). Non particolarmente perspicua appare invece la previsione dell’art. 648-ter.1. co. 3 Cp, che sancisce l’inoperatività dell’attenuante di cui al co. 2 nell’ipotesi in cui il reato presupposto sia aggravato ai sensi dell’art. 7 d.l. 13.5.1991 n. 152: il numero dei reati bagatellari produttivi di utilità economiche per i quali sia ipotizzabile l’applicazione dell’aggravante della connessione ad attività mafiose risulta infatti estremamente limitato: A.M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio, cit., 811. 146 Poiché: «l’aggravamento di pena trova giustificazione nell’intrinseco maggior disvalore espresso dalla abusività del comportamento del soggetto qualificato che si avvale di strutture istituzionali, talvolta indispensabili per la realizzazione del fatto di autoriciclaggio» (F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., 122). 147 Pur tutelando in tal modo il medesimo bene giuridico, l’autonomia della fattispecie di riciclaggio rispetto a quella di ricettazione si può cogliere ove si consideri come il compimento di una sostituzione o di un trasferimento, idonei a interrompere il paper trail, siano più lesivi

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modifica in diminuzione della cornice edittale148). Le condotte di “sostituzione” e “trasferimento” in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa delle utilità, si prestano, infatti, a intercettare quelle attività destinate alla “ripulitura” dei beni, ricomprendendo l’arco delle operazioni di carattere strettamente “riciclatorio”149. Nel caso in cui l’autore del reato-presupposto dovesse aver preso parte esclusivamente a questa fase del processo di riciclaggio, beneficerebbe dell’immunità garantita dalla clausola di riserva; laddove invece dovesse aver posto in essere un reinvestimento delle utilità “ripulite” o direttamente investito i proventi illeciti nei circuiti legali senza alcuna lecito-vestizione dei medesimi, sarebbe chiamato a rispondere ai sensi della fattispecie di reinvestimento.

dell’amministrazione della giustizia rispetto alla semplice ricezione del medesimo (atteggiandosi come una sorta di “ricettazione dinamica”) e dovrebbero pertanto essere puniti più severamente. Sarebbe in quest’ottica opportuna una rimodulazione della pena prevista dall’art. 648 Cp, che già presenta una cornice edittale piuttosto elevata (da due a otto anni). 148 La cornice edittale dell’art. 648-bis Cp (reclusione da quattro a dodici anni e multa da euro 5.000 a euro 25.000) – come dimostrato anche dall’analisi comparatistica (cfr. S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, cit., 242) – sembra sproporzionata per eccesso pur rimanendo nella prospettiva della plurioffensività del reato: se poteva risultare giustificata nell’ottica del contrasto ai delitti che costituivano all’origine il numerus clausus dei reati-presupposto (v. retro par. 1.2), non lo sembra in seguito all’eliminazione di quest’ultimo (si precisa, tra l’altro, come il massimo edittale previsto nel 1978 fosse 10 anni di reclusione). Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 648-bis Cp alla luce dell’assenza di proporzionalità della pena: U. Liguori, Le modifiche legislative, in Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione immobiliare, cit., 88 ss. 149 Sanzionando in sostanza i primi due segmenti delle operazioni di riciclaggio (v. supra nota 133).