Appendice Enciclopedia Idrocarburi

40
525 VOLUME V / STRUMENTI Il periodo preindustriale. Dall’Antichità alla metà dell’Ottocento Antichità e Medioevo I prodotti naturali contenenti miscele di idrocarburi solidi o semisolidi erano già conosciuti dalle antiche civiltà dell’a- rea mediterranea e del Medio Oriente, come confermano alcu- ne testimonianze archeologiche, le diverse menzioni bibliche e numerose iscrizioni sumere, assire e babilonesi. Essi erano comunemente utilizzati dalle civiltà mesopotamiche e persia- ne come materiali impermeabili da costruzione. Nell’antichità, gli idrocarburi solidi (bitume e asfalto) erano molto ricercati, mentre quelli liquidi (noti come naphtha), più rari, non diven- nero mai beni di consumo quotidiano. La mancanza delle tec- niche di distillazione necessarie per rimuovere le frazioni leg- gere più facilmente infiammabili, infatti, impedì l’utilizzazio- ne degli idrocarburi liquidi come fonte di energia. Nei documenti dell’antichità, la naphtha viene sempre associata alla sua rapi- da infiammabilità, che ne rendeva impossibile l’impiego nelle lampade, e quindi fu poco adoperata (a parte l’uso legato alle sue presunte proprietà medicinali, in voga fino ai primi decen- ni del 20° secolo), finché i Bizantini e gli Arabi non la utiliz- zarono, dopo lo sviluppo di alcune primitive tecniche di distil- lazione, come potente arma di guerra, per preparare il cosid- detto fuoco greco, una sorta di miscela infiammabile utilizzata nei proiettili incendiari. Dalla letteratura medica dell’Antico Egitto risulta che il petrolio (termine che, però, deriva dal latino medievale petro- leum, cioè «olio di pietra») era utilizzato come unguento e in preparati per la cura delle infezioni degli occhi, mentre il bitu- me era usato per la mummificazione. Gli Egizi importavano quest’ultimo dalla Palestina o dalla Siria, e solo durante la dominazione romana furono sfruttate alcune sorgenti di petro- lio lungo la costa del Mar Rosso. Erodoto (484 a.C. ca.-425 a.C. ca.) nelle Storie riferisce che in Persia si scavavano pozzi da cui si producevano l’asfalto, il sale e l’olio. Diodoro Sicu- lo (attivo 49 a.C.) in Bibliotheca historica, Flavio Giuseppe (37 d.C. ca.-100 d.C. ca.) in Bellum judaicum e Vitruvio (I secolo a.C.) in De architectura narrano che i popoli insedia- ti sulle sponde del Lacus Asphaltites, l’odierno Mar Morto, raccoglievano un materiale denominato bitumen judaicus, e ne ricavavano grandi profitti vendendolo agli Egizi. Strabo- ne (63 a.C. ca.-20 d.C. ca.) nella Geographia racconta che questo mare era pieno d’asfalto, che eruttava in superficie dal centro del lago, come se le acque ribollissero. La fama del Mar Morto continuò nel tempo: nel 7° seco- lo d.C. ne scrive ancora, di seconda mano, Isidoro di Siviglia (570-636) nell’Originum, sive etymologiarum libri XX, che, insieme alla precedente Naturalis historia di Plinio il Vecchio (23 d.C.-79 d.C.), influenzò tutte le compilazioni di storia natu- rale dei secoli successivi. In epoca classica, le più ricche manifestazioni di idrocar- buri si trovavano nella Valle del Tigri e dell’Eufrate. L’impor- tanza di questa regione si riflette negli scritti di diversi autori, che menzionano le sorgenti di asfalto di Babilonia. Strabone descrive il greggio limpido e leggero, molto infiammabile, e il greggio scuro e viscoso, non pericoloso da maneggiare, da cui si poteva ottenere bitume per evaporazione delle frazioni leggere. Giacimenti di bitume e rocce asfaltiche erano noti anche in Turchia, lungo la costa meridionale dell’Asia Mino- re. In Europa importanti fonti di approvvigionamento erano l’isola di Zante, nel Mar Ionio, e la Sicilia. Dioscoride (40 d.C. ca.-90 d.C. ca.) nel De materia medica e Plinio il Vecchio ricor- dano che presso il fiume Akragas, vicino ad Akragantium, l’o- dierna Agrigento, si trovava una fonte da cui sgorgava un bitu- me liquido e oleoso, che galleggiava sull’acqua e che gli abi- tanti raccoglievano per utilizzarlo nelle lanterne al posto dell’olio d’oliva, e per curare la scabbia degli animali. In epoca impe- riale, il petrolio era importato dalla Partia, dalla Mesopotamia e dalla Media. Plinio il Vecchio ricorda che nel nord-est del- l’Iran vi erano pozzi che producevano naphtha, e Plutarco (46- 127 d.C.) nelle Vite parallele narra che Prosseno, ufficiale macedone dell’avanguardia di Alessandro Magno, scoprì sor- genti di naphtha presso il fiume Oxus, l’odierno Amu Darya in Turkmenistan. Nella storia antica sono menzionate anche le manifesta- zioni di gas naturale, i cosiddetti fuochi eterni persiani, carat- terizzati da fiamme che non necessitavano di alcuna alimen- tazione. Essi, per la loro grandezza e continuità, ispirarono un timore reverenziale, e i seguaci della religione di Zoroastro li considerarono sacri, trasformandoli in simbolo della loro reli- gione. Fuochi eterni si trovavano anche nei dintorni di Kirkuk, dove erano chiamati kirkuk baba, ovvero «il padre dei suoni», a causa del sibilo che si udiva in prossimità delle emissioni. Nei primi decenni di espansione dell’Islam, dopo la cadu- ta dell’Impero persiano, si hanno nuove testimonianze scritte Storia dell’upstream

description

Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Transcript of Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Page 1: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

525VOLUME V / STRUMENTI

Il periodo preindustriale. Dall’Antichitàalla metà dell’Ottocento

Antichità e MedioevoI prodotti naturali contenenti miscele di idrocarburi solidi

o semisolidi erano già conosciuti dalle antiche civiltà dell’a-rea mediterranea e del Medio Oriente, come confermano alcu-ne testimonianze archeologiche, le diverse menzioni biblichee numerose iscrizioni sumere, assire e babilonesi. Essi eranocomunemente utilizzati dalle civiltà mesopotamiche e persia-ne come materiali impermeabili da costruzione. Nell’antichità,gli idrocarburi solidi (bitume e asfalto) erano molto ricercati,mentre quelli liquidi (noti come naphtha), più rari, non diven-nero mai beni di consumo quotidiano. La mancanza delle tec-niche di distillazione necessarie per rimuovere le frazioni leg-gere più facilmente infiammabili, infatti, impedì l’utilizzazio-ne degli idrocarburi liquidi come fonte di energia. Nei documentidell’antichità, la naphtha viene sempre associata alla sua rapi-da infiammabilità, che ne rendeva impossibile l’impiego nellelampade, e quindi fu poco adoperata (a parte l’uso legato allesue presunte proprietà medicinali, in voga fino ai primi decen-ni del 20° secolo), finché i Bizantini e gli Arabi non la utiliz-zarono, dopo lo sviluppo di alcune primitive tecniche di distil-lazione, come potente arma di guerra, per preparare il cosid-detto fuoco greco, una sorta di miscela infiammabile utilizzatanei proiettili incendiari.

Dalla letteratura medica dell’Antico Egitto risulta che ilpetrolio (termine che, però, deriva dal latino medievale petro-leum, cioè «olio di pietra») era utilizzato come unguento e inpreparati per la cura delle infezioni degli occhi, mentre il bitu-me era usato per la mummificazione. Gli Egizi importavanoquest’ultimo dalla Palestina o dalla Siria, e solo durante ladominazione romana furono sfruttate alcune sorgenti di petro-lio lungo la costa del Mar Rosso. Erodoto (484 a.C. ca.-425a.C. ca.) nelle Storie riferisce che in Persia si scavavano pozzida cui si producevano l’asfalto, il sale e l’olio. Diodoro Sicu-lo (attivo 49 a.C.) in Bibliotheca historica, Flavio Giuseppe(37 d.C. ca.-100 d.C. ca.) in Bellum judaicum e Vitruvio (Isecolo a.C.) in De architectura narrano che i popoli insedia-ti sulle sponde del Lacus Asphaltites, l’odierno Mar Morto,raccoglievano un materiale denominato bitumen judaicus, ene ricavavano grandi profitti vendendolo agli Egizi. Strabo-ne (63 a.C. ca.-20 d.C. ca.) nella Geographia racconta che

questo mare era pieno d’asfalto, che eruttava in superficiedal centro del lago, come se le acque ribollissero.

La fama del Mar Morto continuò nel tempo: nel 7° seco-lo d.C. ne scrive ancora, di seconda mano, Isidoro di Siviglia(570-636) nell’Originum, sive etymologiarum libri XX, che,insieme alla precedente Naturalis historia di Plinio il Vecchio(23 d.C.-79 d.C.), influenzò tutte le compilazioni di storia natu-rale dei secoli successivi.

In epoca classica, le più ricche manifestazioni di idrocar-buri si trovavano nella Valle del Tigri e dell’Eufrate. L’impor-tanza di questa regione si riflette negli scritti di diversi autori,che menzionano le sorgenti di asfalto di Babilonia. Strabonedescrive il greggio limpido e leggero, molto infiammabile, eil greggio scuro e viscoso, non pericoloso da maneggiare, dacui si poteva ottenere bitume per evaporazione delle frazionileggere. Giacimenti di bitume e rocce asfaltiche erano notianche in Turchia, lungo la costa meridionale dell’Asia Mino-re. In Europa importanti fonti di approvvigionamento eranol’isola di Zante, nel Mar Ionio, e la Sicilia. Dioscoride (40 d.C.ca.-90 d.C. ca.) nel De materia medica e Plinio il Vecchio ricor-dano che presso il fiume Akragas, vicino ad Akragantium, l’o-dierna Agrigento, si trovava una fonte da cui sgorgava un bitu-me liquido e oleoso, che galleggiava sull’acqua e che gli abi-tanti raccoglievano per utilizzarlo nelle lanterne al posto dell’oliod’oliva, e per curare la scabbia degli animali. In epoca impe-riale, il petrolio era importato dalla Partia, dalla Mesopotamiae dalla Media. Plinio il Vecchio ricorda che nel nord-est del-l’Iran vi erano pozzi che producevano naphtha, e Plutarco (46-127 d.C.) nelle Vite parallele narra che Prosseno, ufficialemacedone dell’avanguardia di Alessandro Magno, scoprì sor-genti di naphtha presso il fiume Oxus, l’odierno Amu Daryain Turkmenistan.

Nella storia antica sono menzionate anche le manifesta-zioni di gas naturale, i cosiddetti fuochi eterni persiani, carat-terizzati da fiamme che non necessitavano di alcuna alimen-tazione. Essi, per la loro grandezza e continuità, ispirarono untimore reverenziale, e i seguaci della religione di Zoroastro liconsiderarono sacri, trasformandoli in simbolo della loro reli-gione. Fuochi eterni si trovavano anche nei dintorni di Kirkuk,dove erano chiamati kirkuk baba, ovvero «il padre dei suoni»,a causa del sibilo che si udiva in prossimità delle emissioni.

Nei primi decenni di espansione dell’Islam, dopo la cadu-ta dell’Impero persiano, si hanno nuove testimonianze scritte

Storia dell’upstream

Page 2: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

sugli idrocarburi. Autori arabi testimoniano che le antiche sor-genti del Medio Oriente non erano state dimenticate, anzi eranostate sfruttate regolarmente, e altre erano state ulteriormenteesplorate, come quelle di Baku, sul Mar Caspio. La produzio-ne di greggio nei domini arabi era notevole, tanto che fu messaa punto una legislazione che disciplinava le concessioni. Il sul-tano d’Egitto importava petrolio dalla Persia e dalla Siria perrifornire le torce della sua guardia personale. In epoca medie-vale, a Damasco, venivano prodotti distillati leggeri del petro-lio, utilizzati come illuminanti, per pulire la seta e altri tessu-ti o per scopi bellici. Infatti, fin dai primi secoli dell’era cri-stiana, prima ad Alessandria, poi in Siria, erano state sviluppatediverse tecniche di distillazione. Nei secoli successivi si iniziòa produrre olio illuminante e lubrificante estraendolo da rocceasfaltiche, con un processo noto come destillatio per descen-sum. Il liquido che si ricavava era una miscela di idrocarburiottenuti tramite un processo di arrostimento, distillazione ecracking.

Le tecniche di distillazione vera e propria furono messe apunto solo nella prima metà del 13° secolo nell’area mediter-ranea di cultura araba, e migrarono lentamente in Occidentegrazie alla diffusione della cultura alchimistica: un secolo dopo,in Europa, la storta e l’alambicco erano ancora pressoché sco-nosciuti al di fuori di tali laboratori. Nell’Occidente medieva-le la conoscenza degli idrocarburi e la tradizione del loro impie-go non andarono del tutto perdute, e furono ravvivate dai con-tatti e dalle notizie riportate dai mercanti diretti in Oriente edai crociati di ritorno dalla Terra Santa, che narravano storiedi fontane ardenti, di sorgenti di petrolio e di impiego del fuocogreco. Le sorgenti di petrolio dei dintorni di Baku divenneronote agli europei attorno al 1270, grazie alle descrizioni diMarco Polo (Il Milione, 1298-99) e di un suo contemporaneo,il teologo e filosofo naturale tedesco Alberto Magno, che nellasua opera De mineralibus et rebus metallicis libri quinque (ca.1260) descrisse la naphtha, il bitume e le loro proprietà.

Riguardo alle applicazioni di queste sostanze, liquide osolide, esse continuarono numerose in medicina, agricoltura efarmacia. I manuali medici e la farmacopea medievale, basan-dosi sul De materia medica di Dioscoride e sul Liber canonismedicinae di Avicenna (980-1037), ripetono le conoscenzeclassiche e arabe sulle virtù del petrolio e del bitume, favo-rendo la diffusione e il commercio di tali prodotti, che inizia-rono a essere ricercati attivamente. In particolare, si sviluppa-rono gli usi medicinali del petrolio, testimoniati, dal 16° seco-lo in poi, da una vasta letteratura. Numerosi documenti attestanoche nell’Europa rinascimentale erano attivi diversi centri diproduzione di idrocarburi liquidi naturali, estratti in piccolequantità, ma diffusi in tutte le farmacie. Le principali sorgen-ti di petrolio si trovavano nell’Appennino Emiliano, e forni-vano le diverse varietà di oglio di sasso o olio di Modena. Altrelocalità famose per le loro sorgenti erano il Tirolo, la regionedel Tegernsee (Baviera), la miniera di Pechelbronn (Alsazia).Noti erano anche l’olio di Gabian (Francia) e quello di Brun-swick e Wietze (Hannover).

In questi secoli, i prodotti petroliferi erano impiegati comesostanza illuminante, lubrificante, per la preparazione di ver-nici e più raramente come combustibile. Per la scarsità e perl’alto costo del trasporto su lunghe distanze, le applicazionidel petrolio si concentrarono sulle sue virtù medicinali, chefurono spesso pubblicizzate, sul finire del 15° secolo e nel 16°,anche tramite le prime forme di giornalismo, con fogli a stam-pa distribuiti da mercanti e viaggiatori nelle corti, nelle fieree nei mercati.

Riguardo al petrolio emiliano, la più antica testimonianzasull’olio di Montegibbio (olleum petrollium), località collina-re del comune di Sassuolo, risale al 1440, citato nella lista delletasse sui farmaci della città di Vienna. Nel 1462 il medico Fran-cesco Ariosto scrisse su di esso un breve saggio, descrivendo-ne le virtù medicinali. L’opera rimase in forma manoscritta finoal 1690, anno in cui venne finalmente stampata da JacobeusHolgher a Copenaghen: De oleo Montis Zibinii, seu petroleoagri Mutinensis libellus. Ma la sua vera diffusione si deve all’e-dizione del 1698 a cura del medico Bernardino Ramazzini: egliinfatti, riteneva che tale olio fosse efficace come unguento perle malattie della pelle, per guarire la scabbia e come purgante.Tra il 16° e il 18° secolo ci si imbatte frequentemente in ter-mini come oglio di sasso, oglio santo, olio Montesibile, oleumMontezibini, olio di S. Caterina.

Tra le descrizioni dei petroli appenninici emiliani rilevan-te è quella di Georgius Agricola sia nel De natura eorum quieffluunt ex terra lib. IV (1546), che, soprattutto, nel De re metal-lica (1556), un importante trattato sulle tecniche minerarie emetallurgiche, nel quale vengono descritte le tecniche di pro-duzione e di raffinazione del petrolio e del bitume, accompa-gnate da splendide illustrazioni. Anche il gesuita tedesco Atha-nasius Kircher ha lasciato molte indicazioni sui fuochi natura-li nel suo Mundus subterraneus (1665). Quest’opera è importantepoiché analizza i fuochi naturali italiani, mentre nella Chinamonumentis qua sacris et qua profanis […] (1667) egli descri-ve i pozzi idropirici cinesi, ricavandone le descrizioni dai rac-conti dei missionari gesuiti. Il petrolio italiano è menzionatoanche nel trattato sulle miniere di Alonzo A. Barba El arte delos metales […] (1640) e nell’opera di Pierre Pomet Histoiregénérale des drogues, traitant des plantes, des animaux et desminéraux (1694). Nel 1671 Paolo Boccone pubblica le Recher-ches et observations naturelles […] in cui sono descritte le prin-cipali manifestazioni di idrocarburi in Italia, fra le quali, appun-to, quelle dell’Appennino tra Bologna e Piacenza.

Il Settecento e l’OttocentoUna pietra miliare nello studio delle sostanze petrolifere

nella seconda metà del 18° secolo è rappresentata da alcunevoci dell’Encyclopédie […] (1751-72) di Denis Diderot e JeanD’Alembert. La materia è suddivisa tra i lemmi asphalt, bitu-me, naphthe, pétrol, redatti dal medico Louis De Jaucourt, cheriporta con precisione le conoscenze del tempo e i luoghi diproduzione di tali sostanze. A parte il greggio del Medio Orien-te e di Sumatra, in Europa vengono menzionati l’olio prodot-to a Gabian, in Francia, e quello italiano dei ducati di Parma ePiacenza e di Modena. Particolare risalto è dato ai tentativi dianalisi chimica da parte di Gilles-François Boulduc (1675-1742), Étienne-François Géoffroy l’aîné (1672-1731), WilhelmHomberg (1652-1715) e altri. Riguardo alla natura e all’origi-ne del petrolio, tema dibattutissimo anche in seguito, viene ipo-tizzato che un fuoco sotterraneo distilli o sublimi le parti bitu-minose di certe terre all’interno della crosta terrestre, le quali,condensate su rocce fredde, scaturiscano in superficie dallefratture delle rocce.

Lo studio scientifico relativo agli idrocarburi ebbe un note-vole impulso grazie a M.E. Eirini d’Eyrinis, medico russo (ogreco), che agli inizi del 18° secolo li studiò e applicò comemateriale impermeabilizzante, da costruzione e da pavimenta-zione stradale (Dissertation sur l’asphalte ou ciment naturel,avec la manière de l’employer, et l’utilité des huiles qu’on enretire, découvert depuis quelques années au Val de Travers,1721). Pochi decenni più tardi, Alessandro Volta scoprì un gas

STORIA

526 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 3: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

naturale, il metano, da lui chiamato aria infiammabile nativadelle paludi distinguendola dall’aria infiammabile, cioè l’idro-geno (Lettere del signor don Alessandro Volta […] sull’ariainfiammabile nativa delle paludi, 1777). Egli, appena trenten-ne, iniziò a indagare i gas infiammabili che gorgogliavano dauna sorgente di San Colombano al Lambro, nei pressi di Mila-no, e di quelli che si sprigionavano dal fondo dei canneti di Ange-ra, sul Lago Maggiore, realizzando anche dispositivi per racco-glierli e trasportarli in laboratorio, ove eseguì esperimenti dicombustione e infiammabilità nell’aria e nell’ossigeno, incen-diandoli con scintille elettriche e riconoscendo che conteneva-no carbonio e che nella combustione liberavano acqua. La sco-perta di una nuova specie di aria infiammabile naturale ebbegrande successo e valse a Volta numerosi riconoscimenti da partedei chimici del tempo. Egli accennò anche alla sua origine, affer-mando che proveniva «da corpi vegetabili ed animali in decom-posizione nell’acqua», e la confrontò con altre manifestazionianaloghe. Volta visitò e studiò anche i fuochi di Velleia (1784)e le salse di Nirano, e ne dedusse che l’aria infiammabile che neesalava era identica a quella delle paludi. Poco dopo questi studiappassionarono anche Lazzaro Spallanzani (Viaggi alle due Sici-lie e in alcune parti dell’Appennino, 1792-97), che studiò nume-rose manifestazioni di gas e petrolio dell’Appennino settentrio-nale, e per quest’aria infiammabile coniò il fortunato terminegaz naturale; egli riteneva che fosse di origine inorganica, e usòun nome diverso per distinguerlo da quello delle paludi, in con-trasto con le più precise deduzioni di Volta.

Con riferimento al moto del petrolio e del gas naturale nelsottosuolo, si ricorda che studi specifici furono fatti solo a par-tire dal 20° secolo. In precedenza, fu affrontato solo il caso,allora più interessante, dello studio del moto dell’acqua neimezzi porosi, che gettò le basi scientifiche e tecnologiche deisuccessivi studi sul petrolio, come nel caso delle misure di por-tata d’acqua attraverso strati di sabbia. Esse risalgono princi-palmente al 1856, quando l’ingegnere del genio civile france-se Henry Darcy, incaricato della costruzione dell’acquedottoper la città di Digione (Détermination des lois [...], 1856), ricavòuna legge empirica che descriveva il moto dell’acqua all’inter-no di pacchi di sabbia, già utilizzati da tempo come filtri depu-ratori. I risultati furono generalizzati nella legge empirica cuifu dato il suo nome. La legge di Darcy correla la velocità diflusso al gradiente idraulico tramite una costante che lo stessoDarcy indicò con il termine permeabilité, probabilmente seguen-do un lessico già in uso presso gli ingegneri idraulici del tempo.La validità della legge di Darcy è stata confermata dalla speri-mentazione effettuata sui più svariati campioni di mezzi poro-si, naturali e artificiali, e gli studi successivi misero in luce cheessa può essere estesa per descrivere adeguatamente anche ilmoto contemporaneo di più fasi (come nel caso degli idrocar-buri, ove spesso si ha moto simultaneo di olio, acqua e gas), chetuttavia fu scoperto solo nella prima metà del 20° secolo.

In particolare vi è stato un formidabile trasferimento diconoscenze dall’estrazione dell’acqua a quella del petrolio perquanto riguarda le tecniche di perforazione. Malgrado lo svi-luppo di alcune tecniche di perforazione a percussione (o dialtro tipo), la maggior parte dei pozzi, sia d’acqua sia di petro-lio, fu scavata manualmente fino ai primi dell’Ottocento. Lelocalità in cui si produceva petrolio da pozzi scavati erano laminiera alsaziana di Pechelbronn, i vari siti dell’AppenninoEmiliano già citati, la zona di Baku e l’Estremo Oriente: il mag-giore Michael Symes, ambasciatore britannico in Birmania,nel 1765 visitò i luoghi di produzione del petrolio, e contò oltre500 pozzi scavati a mano.

Verso la fine del 18° secolo la perforazione a percussioneinizia, almeno in Occidente, a svilupparsi e a imporsi cometecnica privilegiata per realizzare pozzi profondi oltre un cen-tinaio di metri, quando lo scavo manuale comincia a diventa-re difficoltoso. In questo periodo la perforazione a percussio-ne passa dall’uso della trave elastica oscillante (spring pole) –in cui si utilizza la sola elasticità di una trave incastrata all’e-stremità per fornire il moto alternativo all’utensile di perfora-zione – a impianti di perforazione veri e propri, con bilancie-re e contrappeso, più suscettibili di meccanizzazione, fino all’ar-gano con fune a caduta libera, tecnica nota come perforazionealla corda.

Lo sviluppo di numerosi attrezzi e impianti di perforazio-ne iniziò in Francia. Celebri sono le tavole dell’Encyclopédie[...] di Diderot e D’Alembert, e il trattato sulla perforazionedei pozzi artesiani di François Garnier De l’art du fontainiersondeur et des puits artésiens (1822), seguito dal più celebreTraité sur les puits artésiens [...] (1826). Ingegnere del Corpsdes mines e allievo dell’École Polytéchnique, Garnier inqua-dra questa disciplina all’interno dell’ingegneria moderna, stu-diando i disegni costruttivi dei vari tipi di impianti e delle attrez-zature di perforazione, e definisce una terminologia utilizzataancora oggi (sonde, sondage, trepan, tige, curette, ecc.). Nel1845, l’ingegnere Pierre-Pascal Fauvelle perforò in 22 giorniun pozzo di 170 metri presso Perpignan, per mezzo di aste caveentro cui circolava acqua per rimuovere i detriti di perforazio-ne. Spesso si attribuisce a Fauvelle l’invenzione del principiodella perforazione a rotazione con circolazione di fluido, anchese non si è certi che egli facesse effettivamente ruotare le astedi perforazione: probabilmente il suo era un sistema a percus-sione con circolazione d’acqua. Sicuramente, però, si deve aFauvelle l’idea di rimuovere i detriti di perforazione tramitecircolazione di un fluido e l’utilizzazione di un utensile di perfo-razione cavo (Fauvelle, 1845). Amédée Burat, nel suo trattatodi arte mineraria, Traité du gisement et de l’exploitation desminéraux utiles, riporta lo schema di un impianto a percussio-ne motorizzato, già moderno nelle sue linee essenziali e nelprincipio di funzionamento (Burat, 1855).

In questi decenni gli sviluppi tecnologici della perforazio-ne si susseguirono con ritmi incalzanti: nel 1844 l’inglese RobertBeart ottenne il brevetto di un metodo di perforazione a rota-zione, mentre negli Stati Uniti il primo brevetto analogo fuassegnato a S. Bowles nel 1857. Da queste prime applicazio-ni industriali nacque anche la tecnica della perforazione a coro-ne diamantate, ideata dall’ingegnere francese Rudolph Leschot.

Per tutto il 19° secolo la perforazione a rotazione fu rite-nuta meno affidabile rispetto a quella a percussione, che sem-brava più indicata per l’analisi degli strati produttivi: ancoraai primi del 20° secolo, quasi tutti gli impianti erano a per-cussione, e in Europa dominavano i modelli di Albert Fauck,brevettati nel 1889, e di Anton Raky, entrambi ingegneri unghe-resi, che utilizzavano il sistema di Fauvelle a circolazioned’acqua.

Negli Stati Uniti le tecnologie europee si fecero strada len-tamente. La necessità di perforare pozzi più profondi si impo-se agli inizi del 19° secolo, durante la ‘corsa all’Ovest’dei pio-nieri in cerca di fortuna e nuove terre, per poterli approvvi-gionare di sale estratto dalle acque salate presenti nel sotto-suolo. La tecnica della trave elastica si diffuse rapidamentenegli Stati Uniti orientali, e poi sempre più a ovest; essa uti-lizzava un sistema ad aste piene, poi denominato metodo cana-dese (o anche metodo galiziano in Europa, dalla sua diffu-sione in Galizia dopo la metà del 19° secolo), contrapposto al

STORIA DELL’UPSTREAM

527VOLUME V / STRUMENTI

Page 4: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

metodo pennsylvano, a fune, che si sarebbe sviluppato entropochi decenni, e che poi divenne il metodo di perforazione piùdiffuso in tutti gli Stati Uniti. È interessante notare che il lavo-ro dei produttori di salamoia era spesso disturbato dalla pre-senza di petrolio che, non avendo un valore commerciale, erascaricato nei corsi d’acqua.

Negli Stati Uniti la tecnologia della perforazione a percus-sione si stava sviluppando in modo autonomo rispetto all’Euro-pa. Nel 1841 William Morris brevettò un giunto snodato per laperforazione a percussione (drilling jar), e nel 1854 a St. Louis(Alabama) fu perforato un pozzo di circa 650 m per riforniredi acqua dolce uno zuccherificio. Nel 1858 un pozzo simile fuperforato a Louisville (Kentucky) in soli 16 mesi. La tecnolo-gia passò anche in Canada, dove nel 1858 a Petrolia (Ontario)un pozzo per acqua incontrò petrolio, e fu completato cometale. Ma lo sviluppo vero e proprio della perforazione a per-cussione avvenne solo dopo la perforazione del celebre pozzodi Edwin Laurentine Drake, nel 1859, che diede avvio alla pro-duzione commerciale del petrolio.

L’epoca della tecnologia empirica: dalla metà dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento

I principali avvenimentiAgli inizi del 19° secolo la Rivoluzione industriale era in

piena espansione. La richiesta di oli lubrificanti e illuminantiera soddisfatta quasi esclusivamente da sego e da oli animali(soprattutto di balena), e si stavano sviluppando processi perla produzione di olio illuminante dalla distillazione del carbo-ne. Presto, però, ci si accorse che per l’illuminazione il petro-lio era una materia prima superiore al carbone, ma che pur-troppo esso era solo una curiosità scientifica, che si trovava innumerosi luoghi, ma in piccole quantità. Negli Stati Uniti ilpetrolio era noto e utilizzato dai nativi americani molto primache il ‘colonnello’ Drake perforasse il suo pozzo a Titusville,in Pennsylvania, ed era raccolto schiumandolo dalla superfi-cie di alcune sorgenti. Esistono documenti redatti da missio-nari francesi del 17° secolo che accennano alla produzione digreggio a occidente dell’attuale Stato di New York, e nel 18°secolo è noto un commercio di petrolio venduto a Niagara dagliindiani Seneca (donde il nome di Seneca oil), insediati a orien-te del Lago Erie, nella Pennsylvania nord-occidentale. Prestoanche i coloni americani iniziarono a raccogliere il petrolio ea utilizzarlo per scopi medicinali, come si faceva già da seco-li in Europa.

Negli Stati Uniti il petrolio era prodotto e utilizzato inmodeste quantità anche dai produttori di acque salate, e SamuelMartin Kier, un cittadino di Pittsburgh (Pennsylvania), iniziòa imbottigliarlo e a venderlo come medicinale, ricavandolocome sottoprodotto da pozzi per la produzione di sale gestitidal padre presso Tarentum, in Pennsylvania. Le acque salateerano prodotte da formazioni profonde qualche centinaio dipiedi, tramite pozzi perforati a percussione, tecnica che in que-st’area ebbe un forte sviluppo nei primi decenni del 19° seco-lo. Tuttavia, il petrolio prodotto insieme con l’acqua era spes-so molto abbondante e, non trovando collocazione sul merca-to, veniva bruciato nei pressi dei pozzi oppure scaricato neifiumi. A quel tempo l’illuminazione artificiale, che sicura-mente migliorava la qualità della vita e del lavoro dell’uomo, eraancora un bene di lusso; l’illuminante più diffuso era il maleo-dorante olio di balena, che portò a una caccia tanto intensa cheridusse questi cetacei alla soglia dell’estinzione già nella prima

metà del secolo. Kier si rese presto conto che se fosse stato ingrado di eliminare il fumo e il cattivo odore derivati dalla com-bustione del petrolio, avrebbe potuto venderlo con successocome illuminante, al posto di candele e oli animali. Dopo nume-rosi tentativi, nel 1850 Kier mise a punto un apparecchio didistillazione rudimentale e iniziò a commerciare un prodottoche chiamò carbon oil, più economico, sicuro ed efficientedelle altre sostanze illuminanti del tempo. L’utilizzo del car-bon oil si diffuse da Pittsburgh in tutta la Pennsylvania, e arrivòa New York. Ovviamente, in breve tempo la domanda superòl’offerta, e gli sforzi per tentare di aumentare la produzionefurono vani fino all’agosto del 1859, quando Drake perforòcon successo il primo pozzo dedicato specificamente alla ricer-ca e alla produzione commerciale degli idrocarburi.

Il percorso da Kier a Drake è complesso e si realizzò gra-zie alla lungimiranza e all’iniziativa di investitori coraggiosi,di speculatori spregiudicati, di banchieri, scienziati e avventu-rieri. L’avventura del primo pozzo di petrolio iniziò a Titus-ville, dove erano note molte manifestazioni di greggio. Nei primianni Cinquanta dell’Ottocento, un benestante di Titusville, chepossedeva una fattoria e terreni con numerose sorgenti in cuiaffiorava petrolio, ne inviò un campione al figlio Francis B. Brewer, medico nel Vermont, informandolo che Kier lo ven-deva come medicina universale. Brewer mostrò l’olio raccol-to presso la fattoria del padre ad alcuni amici e professori delDartmouth College (New Hampshire), la sua università. Que-sto campione attirò l’attenzione di due imprenditori di NewYork, l’avvocato George H. Bissel e il suo socio Jonathan G. Eveleth, che nel 1854 comprarono i terreni con le sorgentidi Brewer e fondarono la Pennsylvania Rock Oil Company. Pervalutare il valore economico del petrolio, al fine di facilitarela vendita delle azioni della società, Eveleth e Bissel si avval-sero della consulenza di Benjamin Silliman Jr., professore dichimica alla Yale University. Silliman eseguì la distillazionefrazionata del greggio di Titusville, confrontandolo con quel-lo prodotto in altre località del mondo (tra cui greggi russi, bir-mani e italiani) e nel 1855 scrisse un brillante rapporto sullesue proprietà e sulla possibilità del suo sfruttamento industriale:Report on the rock-oil, or petroleum, from Venango County,Pennsylvania, with special reference to its use for illuminationand other purposes. In seguito a ciò l’impresa fu finanziataanche dal banchiere James M. Townsend di New Haven che,insieme a numerosi altri soci, ingaggiò Drake per esplorare lapossibilità di produrre industrialmente petrolio dai terreni dellasua società.

Drake non era un uomo colto, e non era neppure un esper-to di perforazione (dopo una carriera come tuttofare, il suoultimo impiego era stato quello di conduttore per una com-pagnia ferroviaria), aveva un carattere riservato e non riuscì asfruttare il successo dell’impresa che stava per compiere. Drakearrivò a Titusville nel 1857 per iniziare le operazioni per contodella società di Townsend, assumendo abusivamente il titolodi colonnello per godere di maggior credito in paese. Duran-te il primo anno si limitò ad allargare e approfondire le vec-chie sorgenti, con scarso successo, fino a quando decise diperforare un pozzo.

A questo scopo si avvalse di un perforatore di pozzi di sale,William A. Smith, che arrivò a Titusville nell’aprile del 1859e iniziò le operazioni tra molte difficoltà. Dopo alcuni mesi dilavoro, condotto con notevoli ristrettezze finanziarie, il 27 ago-sto 1859 il pozzo di Drake iniziò a produrre petrolio da unaprofondità di circa 20 m, con una portata di una decina di bari-li al giorno (il barile, come unità di misura del petrolio, fu

STORIA

528 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 5: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

introdotto solo nel 1866, quando l’associazione dei produtto-ri di greggio della Pennsylvania stabilì il volume del barile paria 42 galloni americani misurati a 60 °F). La notizia arrivò aNew York solo due settimane più tardi e fu pubblicata sul «NewYork Tribune». Nel giro di pochi giorni iniziò la corsa all’oronero: investitori, perforatori, carrettieri, bottai e avventurieriaccorsero a Titusville con entusiasmi che superarono quellidella prima corsa all’oro californiana, avvenuta solo dieci anniprima. Incominciò una feroce speculazione e tutti i terrenidisponibili furono affittati o acquistati a prezzi elevatissimi.Alla fine del 1859 erano già stati perforati altri tre pozzi e unanno dopo a Titusville erano in produzione 74 pozzi. L’entu-siasmo aumentò ancora nel 1861, quando furono perforati alcu-ni pozzi che producevano qualche migliaio di barili al giorno(l’Empire Well ne produceva 3.000), inondando il mercato dipetrolio e facendone tragicamente crollare i prezzi.

I pozzi erano perforati con piccoli impianti a percussione,che qui trovarono terreno fertile per il loro perfezionamento.Nella maggior parte dei casi si trattava di pozzi profondi qual-che decina di metri, raramente oltre i 100, ed erano ubicatisenza seguire particolari obiettivi. A quel tempo si credeva chel’olio provenisse da fratture del sottosuolo e solo verso la finedel 1870 ci si rese conto che esso poteva essere contenuto ancheentro rocce porose. Uno dei primi strumenti per eseguire inda-gini in pozzo fu proprio un dispositivo meccanico denomina-to cercafratture (cervice searcher), in uso già dagli inizi deglianni Settanta del secolo. Un’altra innovazione che rivoluzionòla produzione dai pozzi fu l’invenzione del siluro (torpedo),un tubo pieno di esplosivo con detonatore a percussione lascia-to cadere al fondo di pozzi poco produttivi per aumentarne laproduzione fratturando la roccia serbatoio. Questo primo meto-do di stimolazione fu ideato da E.A.L. Roberts, un ex colon-nello dell’esercito federale che, di ritorno dalla guerra di Seces-sione, sperimentò la sua invenzione a Titusville, ottenendoneil brevetto nel 1866; i primi siluri funzionavano con polvere dasparo, ma in seguito si constatò che la nitroglicerina era piùefficace. Roberts, detentore del brevetto, vendeva i suoi servi-zi di cantiere a prezzi esorbitanti, che gli operatori non gradi-vano, e spesso costoro eseguivano l’operazione in proprio. Perquesto motivo furono avviati molti procedimenti giudiziariper infrazione di brevetto, ma alla fine la Corte Suprema degliStati Uniti diede ragione a Roberts. Verso la fine del secoloHermann Frasch sviluppò un metodo di stimolazione del poz-zo tramite iniezioni di acido cloridrico che, dissolvendo le roc-ce calcaree, allargavano le vie di flusso degli idrocarburi. LaStandard Oil brevettò il metodo nel 1896, ma esso fu perfe-zionato solo dopo il 1930, con l’introduzione di inibitori di cor-rosione per proteggere le tubazioni metalliche e le apparec-chiature di separazione a testa pozzo.

Nei primi pozzi il greggio non risaliva spontaneamente insuperficie, tranne in rari casi e per breve tempo, ma era quasisempre sollevato con le pompe a pistone manuali utilizzate neipozzi per acqua delle fattorie dei dintorni. Il greggio era rac-colto a bocca pozzo e stoccato in fosse scavate nel terreno; soloa partire dal 1861 fu inviato a cisterne di raccolta, grandi tinidi legno di pino, cipresso o sequoia (solo più tardi di acciaiorivettato) a forma troncoconica, che fungevano anche da sepa-ratori, facendo decantare l’acqua dall’olio ed evaporare il gas,che si disperdeva nell’atmosfera.

I primi dispositivi per recuperare il gas associato all’oliofurono introdotti nel 1863: si trattava di separatori rudimen-tali, semplici contenitori chiusi montati sopra le cisterne diraccolta, mantenuti a pressione atmosferica, dal cui fondo

uscivano i liquidi e dalla sommità il gas, inviato tramite tuba-zioni ai punti di impiego, solitamente all’interno del cantiere.In seguito, la necessità di dover trattare portate di produzionesempre maggiori, spesso in pressione, condusse a spostare ilseparatore a livello del terreno e a dotarlo di sistemi di con-trollo del livello dei fluidi. Nel 1904 fu introdotto il primo sepa-ratore pressurizzato, capace di funzionare a una pressione di10 bar, e ben presto si notò che il recupero di olio era maggiorese si poneva il separatore a monte della cisterna di raccolta,invece di inviare tutto il fluido di testa pozzo direttamente nelserbatoio: ebbe così inizio la tecnologia degli impianti di trat-tamento di superficie.

Durante i primi anni di sviluppo dell’industria petrolifera,il trasporto del greggio rappresentò un problema molto serio.Dapprima si utilizzarono barili di legno, spediti su carri trai-nati da cavalli, su zattere lungo i fiumi oppure sviluppandobrevi tratti ferroviari. Tra il 1865 e il 1866 Samuel van Syckelideò e perfezionò il trasporto via tubo, all’inizio concepito peril trasporto dell’olio dai pozzi fino alle stazioni di carico dellarete ferroviaria, dove presto i pianali per il trasporto dei barilifurono sostituiti da primitivi carri cisterna di legno. Il primooleodotto, posato a terra, era costituito da un tubo di 2 pollicidi diametro e di 5 miglia di lunghezza, capace di trasportare80 barili di greggio all’ora. Presto anche la rete ferroviaria sisviluppò in modo adeguato, permettendo di trasportare l’olioalle raffinerie di Pittsburgh o al porto di New York. Nel 1880erano già stati ideati e costruiti carri cisterna in acciaio salda-to, molto simili a quelli moderni.

Nel decennio successivo alla realizzazione di Drake, i pozzierano perforati e messi in produzione senza l’impiego di tuba-zioni di rivestimento. In breve tempo, però, per evitare il fra-namento del foro, si iniziò a rivestire la parte superficiale delpozzo con una sorta di tubo guida. In seguito, la tubazionefu prolungata fino alle formazioni più profonde, al fine dicontrastare il crollo delle pareti, oppure per tentare di isolaregli acquiferi sovrastanti gli intervalli che producevano olio. Aquesto scopo, ancor prima dello sviluppo del sistema di rive-stimento pozzo, furono utilizzate specifiche tubazioni di pro-duzione di qualche pollice di diametro (tubing), calati in pros-simità dell’intervallo produttivo, muniti alla loro estremità diuna sorta di packer per l’isolamento degli acquiferi sovrastan-ti (una sorta di guarnizione espandibile posta tra la parete delpozzo e il tubo di risalita dell’olio). Questo dispositivo, notocome seed bag, era costituito da un manicotto di pelle assicu-rato all’esterno dell’estremità del tubo calato in foro e riempi-to per una lunghezza di 10-20 pollici con semi di lino misti apolvere di gomma adragante; l’acqua presente nel pozzo face-va lentamente espandere la miscela di semi e gomma, assicu-rando una discreta tenuta. Verso la fine del 1870 la pratica del-l’impiego di tubazioni di rivestimento del pozzo (casing) etubazioni di produzione divenne pressoché standard, anche senon era ancora in uso la cementazione dell’intercapedine tracasing e pozzo, che iniziò a essere utilizzata solo all’inizio del20° secolo. La tecnica dei packer fu poi migliorata, introdu-cendo elementi in gomma e tela che si espandevano applican-do una compressione sul tubo. Nel 1880 Solomon R. Dresserottenne un brevetto per un packer cilindrico e fondò una com-pagnia di servizio attiva per tutto il secolo successivo. Un altropioniere delle compagnie di servizio fu Byron Jackson, che nel1879 iniziò a produrre pompe sommerse per pozzi profondi;le iniziali del suo nome formano l’acronimo con cui è indica-ta questa compagnia, ancor oggi attiva (BJ, Byron Jacksoncompany).

STORIA DELL’UPSTREAM

529VOLUME V / STRUMENTI

Page 6: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Dal completamento del pozzo di Drake fino a tutto il 1880,la tecnologia della perforazione a percussione fece grandi passiavanti, sia nelle attrezzature meccaniche sia nell’abilità tecni-ca. Nel 1862 fu fondata la prima compagnia di servizi di perfo-razione, la John Eaton, con sede a Oil City (Pennsylvania), apoche miglia da Titusville, che forniva macchinari e attrezza-ture. La compagnia acquisì un socio nel 1869 e divenne laEaton & Cole, specializzata in impianti di perforazione a per-cussione e sviluppatasi nell’attuale National Oilwell-Varco. Inseguito, i macchinari e gli impianti di perforazione furonoingranditi in tipologie, forme e principi di funzionamento cheportarono allo sviluppo dei grandi impianti a percussione uti-lizzati fino alla prima metà del 20° secolo. Nei principi di fun-zionamento, questi ultimi erano sostanzialmente identici aiprimi impianti, tranne che per piccoli dettagli nel macchinarioe nella modalità di generazione della potenza. Dal 1880 al 1930si svilupparono impianti di perforazione a percussione stan-dardizzati, mobili o semimobili, corredati di tutte le loro attrez-zature, e dai primi del Novecento la perforazione a rotazioneiniziò a specializzarsi e ad affiancarsi in forte competizionecon quella a percussione. Agli inizi degli anni Trenta si impo-se la necessità di perforare più velocemente e di poter tra-sportare ancor più rapidamente l’impianto di perforazione inlocalità diverse. Ciò portò allo sviluppo di impianti alimenta-ti da motori a combustione interna modulari, più leggeri diquelli a vapore, e fu possibile apportare numerose miglioriegrazie all’impiego di nuovi acciai di miglior qualità e di siste-mi di generazione della potenza di capacità, dimensione e pesoadeguati, che estesero notevolmente anche la profondità mas-sima raggiungibile.

Lo sviluppo della perforazione a rotazioneBen poco è noto della perforazione a rotazione di utensile

prima del 1844, anche se molto probabilmente la tecnica eragià conosciuta e utilizzata in varie parti del mondo (in formarudimentale pare che fosse già utilizzata dai costruttori del-l’Antico Egitto). A titolo di curiosità, nel 1823 nella pianta-gione della famiglia Proud’homme a Oakland (Louisiana), uningegnere francese realizzò diversi pozzi per acqua, profondioltre un centinaio di metri, con una tecnica a rotazione senzacircolazione di fluido. L’apparecchiatura di perforazione e gliutensili, particolarmente evoluti nella concezione e nella rea-lizzazione, furono costruiti in loco sotto la supervisione del-l’ingegnere stesso, e sono ancora oggi visibili. Ciò rimase, però,un fatto isolato e il moderno sistema di perforazione a rota-zione con circolazione idraulica fu sviluppato in America solonel ventennio precedente il 1900, per la perforazione di pozziper acqua in zone in cui la perforazione a percussione non pote-va essere impiegata con successo.

In Europa, macchinari e sistemi per la perforazione idrau-lica a rotazione con utensili diamantati furono brevettati daLeschot già nel 1863 e utilizzati per la perforazione di fori damina. Il 12 luglio 1844 l’inglese Robert Beart di Godmanchesterottenne un brevetto per un metodo di perforazione a rotazionecon circolazione idraulica e asta motrice, mentre negli StatiUniti il primo brevetto relativo a una perforatrice a rotazionee percussione mossa da ingranaggi fu assegnato a L. Holmsnel 1865. Un notevole miglioramento tecnologico si ebbe nel1866, sempre negli Stati Uniti, con il brevetto di P. Sweeneyper la costruzione di una perforatrice a rotazione di piccoledimensioni. La macchina di Sweeney funzionava con un uten-sile a dischi dentati, precursore dei moderni scalpelli a rulli,che permetteva la frantumazione anche delle rocce più tenaci;

essa era azionata manualmente e perforava con circolazione di acqua. Poco dopo l’idea di Sweeney, nel 1869, l’americanoJ.F. Summers brevettò un sistema di perforazione con tavolarotante (rotary), asta motrice e argano mosso da ingranaggi.Nello stesso anno T.W. Rowland brevettò un’attrezzatura dautilizzare in acque basse offshore, una struttura reticolare metal-lica a quattro gambe poggiata sul fondale munita di una piat-taforma fuori dall’acqua per alloggiare l’attrezzatura di perfo-razione, che precorreva le moderne strutture fisse impiegateancor oggi nell’offshore di tutto il mondo. Dal 1880 in poi furo-no rilasciati numerosi altri brevetti tesi a migliorare questa tec-nologia che, in forma più o meno rudimentale, comprendevatutti gli elementi essenziali della tecnologia odierna (per esem-pio, nel 1883 ai fratelli Baker per un nuovo sistema di rota-zione e circolazione; nel 1889 a M.T. Chapman per una testadi iniezione e un argano a due tamburi; nel 1891 ad A.J. Rossper un’attrezzatura con allargatori sotto scarpa, simili agli attua-li underreamer; a S.W. Douglas per un carotiere, ecc.).

Il primo impianto di perforazione rotary per la ricerca petro-lifera fu installato nel 1894 a Corsicana (Texas) da John Galey,e a esso i fratelli Baker dettero grande impulso per il miglio-ramento di numerose attrezzature. Il successo di questi primitentativi, con la scoperta di nuovi campi petroliferi, rese il nuovosistema rotary sempre più apprezzato e sviluppato. Ancora inTexas, nel 1901 fu perforato e completato con un impianto rotaryil primo importante pozzo petrolifero, il famoso Spindletop.Sebbene gli impianti a percussione continuassero a perforarela maggioranza dei pozzi anche nei decenni seguenti, gli impian-ti rotary iniziarono gradualmente a sostituire quelli a percus-sione nelle aree caratterizzate da formazioni soffici e non con-solidate. Nel primo decennio del Novecento si affermò l’im-piego della tavola rotary ad asta quadra nella versione moderna,e le aste di perforazione furono munite dei moderni giunti diaccoppiamento rapido a filettatura conica (tool joint). Nel1920 gli impianti rotary perforavano quasi tutti i pozzi dellepianure costiere del Golfo del Messico e iniziavano a intac-care il mercato della perforazione a percussione nelle aree aformazioni soffici dell’Oklahoma, del Kansas e del Texas set-tentrionale. Tale tecnologia si diffuse presto anche in Europa:nel 1881 a Pechelbronn si usavano perforatrici rotary, cosìcome a Baku, dove i fratelli Nobel stavano costruendo la lorofortuna.

Nel primo periodo di sviluppo della perforazione petroli-fera si era restii a impiegare fluidi di perforazione, per il timo-re che questi potessero contaminare o allontanare l’olio, men-tre nella perforazione di pozzi per acqua si utilizzavano nor-malmente per accelerare gli avanzamenti. Nel 1889 M.T.Chapman richiese un brevetto per una perforatrice a rotazionecon corona dentata, e un altro brevetto per la composizione diun fluido di perforazione, composto da acqua mista ad argil-la, con lo scopo di formare sulle pareti del pozzo un intonacoimpermeabile. Era nato il fluido (o fango) di perforazione,essenziale per la perforazione dei pozzi profondi; esso, graziealla circolazione continua e al controllo di densità e viscosità,permetteva la continuità e la sicurezza dell’operazione, aspor-tando i detriti di perforazione e controbilanciando la pressio-ne dei fluidi di strato, in modo da impedirne la fuoriuscitaincontrollata. Nel 1889 J.L. Buckingham propose l’uso di sostan-ze oleose in sostituzione dell’acqua, indicando nell’olio mine-rale il componente di questi fanghi, anticipatori dei fluidi diperforazione a base di olio, che, con il tempo, si sarebbero rive-lati estremamente efficaci in particolari condizioni di pozzo.Lo sviluppo razionale dei fanghi a base argillosa, però, si ebbe

STORIA

530 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 7: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

solo all’inizio del nuovo secolo, con gli studi di J.O. Lewis eW.F. McMurray (Lewis e McMurray, 1916).

John Davison Rockefeller e la nascita delle compagniepetrolifere

Durante la prima fase di sviluppo dell’industria petrolife-ra americana, i piccoli operatori privati producevano il greg-gio e lo vendevano a bocca pozzo o franco ferrovia. Il proble-ma del trasporto, della raffinazione e della distribuzione deiprodotti lavorati – quasi esclusivamente olio illuminante neiprimi trent’anni dell’industria – divenne perciò fondamenta-le. In questo settore industriale si innesta l’epopea di John Davison Rockefeller (1839-1937), il primo magnate america-no e futuro fondatore della prima compagnia petrolifera (laStandard Oil), che costruì il suo impero economico grazie alpetrolio. Dopo un apprendistato come contabile, nel 1859Rockefeller, insieme a Maurice B. Clark, fondò a Clevelanduna società di commissionari di borsa merci. Dopo aver vistociò che accadeva nella vicina Titusville, nel 1863 Rockefellerorganizzò l’azienda Clark, Andrews & Company, entrando nelsettore della raffinazione come attività secondaria. Due annidopo essa fu trasformata nella Rockefeller & Andrews e, conl’aiuto del fratello William, John Davison fondò la WilliamRockefeller & Company per la gestione di una seconda raffi-neria, sempre a Cleveland. Nel 1867 le due raffinerie furonounificate nella Rockefeller, Andrew, Flagler & Company, chetre anni dopo fu trasformata in una società a capitale aziona-rio, la Standard Oil Company of Ohio, con presidente lo stes-so John Davison e sede a New York, 140 Pearl Street, a duepassi dallo Stock Exchange di Wall Street. Sotto la sua dire-zione la società ottenne il controllo dell’industria petroliferaper mezzo di fusioni, tariffe ferroviarie favorevoli, ristorni sulletariffe pagate alle ferrovie da altri produttori, e altri meccani-smi azionari (come la costituzione di un cartello, o trust) cheal tempo non erano illegali. Nel 1882 il trust della StandardOil controllava il 95% dell’attività di raffinazione americanae il 90% degli oleodotti e aveva interessi anche in miniere diferro, nella produzione di legname, in stabilimenti di produ-zione e nei trasporti. La Standard Oil regnava sul petroliodella Pennsylvania, o meglio su quello americano, e avevaassorbito, più o meno apertamente, tutte le grandi raffineriedi Cleveland e di Pittsburgh, dominando il settore della raffi-nazione, del trasporto e della vendita già dal 1877. Nel portodi New York essa possedeva un deposito attrezzato per riceve-re l’olio raffinato, metterlo in barili ed esportarlo in tutto ilmondo: dal Messico all’Africa meridionale, dall’Europa all’Au-stralia, all’Argentina e perfino alla Cina. La Standard Oil diven-ne la prima e la maggior compagnia petrolifera del mondo, efu il modello delle moderne compagnie multinazionali. PrestoRockefeller la immaginò come un’azienda integrata vertical-mente, con le fasi di upstream (esplorazione e produzione) per-fettamente integrate con quelle di downstream (raffinazione ecommercializzazione). Nel 1899 la Corte Suprema dell’Ohioritenne che questo trust violasse lo Sherman anti-trust act, e laStandard Oil fu smembrata in 20 società, con l’espediente dellafondazione di una società controllante (holding) denominataStandard Oil of New Jersey, attiva fino al 1911, quando la CorteSuprema dichiarò anch’essa fuorilegge.

In quegli anni Rockefeller si era già ritirato dagli affari, edera dedito a opere filantropiche e di carità, come militante dellaChiesa battista. Rockefeller è un personaggio pieno di luci edi ombre. Egli ha contribuito allo sviluppo del gran gioco dellalibera concorrenza, fondamento del regime capitalista, con i

suoi vantaggi e i suoi inconvenienti: vantaggi per i consuma-tori, inconvenienti per i produttori meno efficienti o meno orga-nizzati.

Dopo la scoperta di Drake a Titusville si iniziò a cercareattivamente petrolio anche in altri Stati dell’Unione, e prestoaltri pozzi incontrarono idrocarburi, e l’industria si espansenella Virginia occidentale, nel Tennessee, nell’Ohio, nell’In-diana, nel Kentucky, nell’Alabama, e poi in California, nellaLouisiana, nell’Oklahoma e in Texas, che, agli inizi del Nove-cento, divenne una delle zone più promettenti di tutto il conti-nente. Poco dopo, anche in Canada furono scoperti importan-ti giacimenti.

L’esplosione dell’industria petrolifera americana attirò l’at-tenzione sui piccoli giacimenti europei, già sfruttati con tec-niche artigianali, e l’industria si mise lentamente in moto. Aparte le zone di produzione storiche (l’Appennino Emiliano,Pechelbronn, Wietze, ecc.), dove iniziò una ricerca attiva tra-mite la perforazione di nuovi pozzi con le tecniche importatedagli Stati Uniti, ben presto vennero scoperti nuovi giacimen-ti in Galizia (nell’attuale Polonia, allora facente parte dell’Im-pero Austro-Ungarico), in Romania, in Austria, in Croazia e inRussia (soprattutto in Siberia), l’unico paese – quest’ultimo –nel quale si ottennero in seguito, risultati spettacolari. Parti-colarmente importante fu anche lo sviluppo dell’industria petro-lifera romena, iniziata nel ventennio 1840-60 nei dintorni diPlojesti, nei Carpazi. Ricercatori tedeschi trovarono petrolioanche in Persia, ma a quel tempo non ci fu nessun imprendi-tore disposto a investirvi capitali.

Nell’Impero russo cominciarono a essere sviluppate le pic-cole attività petrolifere dei dintorni di Baku (regione cedutadalla Persia nel 1813), note da secoli e che portarono prestofrutti insperati: olio e gas erano abbondanti dappertutto, a bassaprofondità, e il greggio sgorgava naturalmente, senza bisognodi essere pompato. Nel 1847, a Bibi-Eybat, nei pressi di Baku,l’ingegnere russo F.A. Semenov perforò il primo pozzo di que-st’area con un’attrezzatura meccanica a percussione. In segui-to, il monopolio della produzione fu concesso a una famigliaarmena, i fratelli Mirzoev, che fondarono una società petroli-fera nel 1856 e costruirono la prima raffineria nella penisoladi Sourachany nel 1859. Dieci anni dopo, a Baku vi erano oltre20 raffinerie: se non vi fossero stati problemi di trasporto, que-sti prodotti avrebbero fatto una forte concorrenza al petrolioamericano.

Verso il 1880 i fratelli Alfred, Ludwig e Robert Nobel, diorigine svedese, che avevano numerosi contatti commercialicon l’Impero russo per via delle forniture belliche, furono attrat-ti da Baku e dalle possibilità di guadagno che avrebbero potu-to trovarvi. Utilizzando le disponibilità finanziarie di Alfred,l’inventore della dinamite, i Nobel comprarono vasti appezza-menti di terreno e alla fine del decennio acquisirono il con-trollo di oltre il 40% della produzione petrolifera locale, dallaperforazione all’esportazione. Essi imposero alla nascente indu-stria il timbro del loro genio inventivo, agli antipodi dell’arre-tratezza tecnica e culturale dell’Impero russo e degli altri ope-ratori locali, recuperando il ritardo dell’industria russa del petro-lio su quella statunitense. Nei primi anni Novanta del 19° secolo,i Nobel costruirono a Baku una moderna raffineria su proget-to del grande chimico tedesco Justus von Liebig. Analoga-mente a Rockefeller, i Nobel trionfarono soprattutto nel set-tore del trasporto. Essi svilupparono il trasporto via tubo e viaferrovia, stimolando dapprima la costruzione della ferroviaTranscaucasica da Baku a Tbilisi nel 1883, e, nel decennio1897-1907, di un oleodotto tra Baku e Batum, sul Mar Nero,

STORIA DELL’UPSTREAM

531VOLUME V / STRUMENTI

Page 8: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

che per l’epoca rappresentava un record mondiale: 883 chilo-metri di lunghezza, 20 pollici di diametro e 16 stazioni di pom-paggio intermedie.

L’idea rivoluzionaria, però, fu il trasporto via mare, poichéi Nobel idearono imbarcazioni con lo scafo suddiviso in com-partimenti entro cui trasportare il greggio. La prima petrolie-ra, la Zoroastro, scafo in acciaio e 240 tonnellate di carico, ini-ziò il servizio sul Mar Nero nel 1878. Nel 1885 fu varato, adAmburgo, il Glückauf, un vapore di 2.300 tonnellate e 100metri di lunghezza e già con scafo a doppia parete. Due annidopo, un cantiere svedese fornì un prototipo per il Mar Caspio,anch’esso di 2.300 tonnellate, che navigava da Baku fino adAstrakan, dove riforniva petroliere più piccole in grado di risa-lire il Volga e rifornire l’interno della Russia. Dal Mar Neroaltre petroliere servivano il Mediterraneo e l’Europa, e i portidi Alessandria, di Izmir, di Napoli e di Marsiglia si aprironoalla flotta dei Nobel, composta dalle navi Moses, Spinoza eDarwin. Dagli Stati Uniti la Standard Oil osservava lo svilup-po di questa tecnologia. Nel 1881 acquistò il vapore Vaderland,attrezzandolo per il trasporto misto di greggio e passeggeri,e in seguito sperimentò una petroliera a vela, l’Andromeda;poi acquistò dai Nobel il Glückauf, che passò al servizio del-l’industria americana del petrolio. Successivamente anche laStandard Oil ebbe la sua flotta, ma in questa tecnologia si lasciòsuperare dai russi.

Nonostante la costruzione della ferrovia, lo sviluppo dioleodotti e di petroliere sul Caspio, i prezzi di trasporto limi-tarono fortemente lo sviluppo dell’area di Baku per tutto l’Ot-tocento, anche se verso la fine del secolo i banchieri tedeschiRothschild vi investirono parecchio denaro, contribuendo avalorizzare tutta l’area. Tuttavia le forti instabilità politiche ei turbamenti sociali, cominciati ai primi del Novecento con l’i-nizio del tragico massacro degli Armeni da parte dei Turchi eproseguiti con le lotte operaie, danneggiarono gravemente losviluppo industriale di quest’area. Dopo la Rivoluzione d’Ot-tobre del 1917, i Nobel furono espropriati di tutte le loro atti-vità a Baku senza la minima indennità, e furono costretti a rifu-giarsi in Germania. Nello stesso tempo, per la tecnologia petro-lifera russa iniziò un lungo periodo di distacco da quellaoccidentale, durato quasi ottant’anni.

Calouste Sarkis Gulbenkian, un armeno di Costantinopo-li, visitò Baku nel 1891, e presto intuì le potenzialità econo-miche della locale industria del petrolio. Naturalizzato citta-dino inglese nel 1902, consigliere finanziario dell’ambasciataturca a Londra ed egli stesso finanziere, fu un uomo chiave pergli equilibri dello sviluppo della produzione nelle aree medio-rientali della Mesopotamia, allora sotto il dominio turco. Nel1914 Costantinopoli accordò alla Turkish Petroleum Company(fondata da Gulbenkian insieme alla Banca Nazionale di Tur-chia) la concessione di tutta l’area. Poco dopo, per opera dellostesso Gulbenkian, la Turkish Petroleum fu suddivisa tra Anglo-Persian Oil Company (futura British Petroleum), Royal Dutch-Shell e Deutsche Bank (coinvolta – tra l’altro – nella costru-zione della ferrovia Berlino-Baghdad), e ciò in cambio del 5%sui futuri profitti.

Agli inizi del Novecento, contemporaneamente alla nascitanegli Stati Uniti delle prime compagnie indipendenti (Exxon eMobil, entrambe derivate dalla Standard Oil, Texaco, Gulf, Phil-lips, ecc.), iniziarono a germogliare le prime guerre per il petro-lio. Nel 1908 l’impero britannico, sotto la spinta di WinstonChurchill, convertì la marina militare dall’alimentazione concarbone al petrolio, per avvantaggiarsi in velocità sulla flottadella Germania. Ma la Gran Bretagna non possedeva petrolio

a quel tempo, e dovette perciò assicurarselo altrove, iniziandoa militarizzare l’accesso agli approvvigionamenti. Nel frat-tempo, gli Americani avevano trovato grandi giacimenti in Mes-sico e gli Inglesi in Persia (con Lord Julius de Reuters e Wil-liam Knox d’Arcy, cui seguirà la fondazione della Anglo-Per-sian Oil Company). Importanti scoperte furono fatte anchenelle colonie olandesi dell’Estremo Oriente, che contribuiro-no alla costituzione della Royal Dutch. Più precisamente, nel1906 Marcus Samuel, fondatore della Shell, incontrò l’olan-dese Henri W.A. Deterding, in vista dell’accordo che portò alnuovo gruppo Royal Dutch-Shell; questo colosso avrà alle spal-le l’impero inglese, e potrà sfidare la Standard Oil, mettendo-si in competizione nel grande mercato cinese, precedendolanell’America Latina grazie alle concessioni ottenute in Vene-zuela per opera di Gulbenkian.

Nel 1907, Russia e Gran Bretagna si accordarono per divi-dere la Persia in tre settori di influenza: il Nord sotto controllorusso, il Sud inglese, il Centro neutrale. La Standard Oil fu bloc-cata nella corsa verso l’India, ma guadagnò importanti po-sizioni a Baku. In Italia, poco dotata di fonti energetiche, laStandard Oil volle tenere la Shell fuori dall’attività esplora-tiva, e nel 1927 fu fondata la compagnia petrolifera di Stato,l’Agenzia Italiana Petroli, nota come AGIP, che fino all’iniziodel secondo conflitto mondiale esplorerà con scarsi mezzi tecni-ci e poco successo il territorio nazionale e quello delle colonie.

A partire dal primo decennio del Novecento, la storia dellagestione dei giacimenti petroliferi e l’importanza strategica diquesta materia prima diventano un capitolo fondamentale dellastoria geopolitica, economica e diplomatica mondiale. Il petro-lio era diventato così essenziale per l’economia delle nazioniche il suo valore, oltre che economico, era di natura politica,non soggetto al solo meccanismo di domanda e offerta, maanche a quello delle varie strategie delle politiche estere nazio-nali, intrecciate tra guerre, interessi in paesi coloniali, affari diStato, scontri tra grandi gruppi finanziari e industriali.

Spindletop e il capitano LucasDal punto di vista tecnologico, subito dopo gli inizi pio-

nieristici sopra delineati, la storia dell’industria petrolifera ebbeuna svolta il 10 gennaio 1901, quando a Spindletop, nei pres-si di Beaumont (Texas), un pozzo entrò in eruzione, con unpoderoso rombo accompagnato da un getto di olio alto oltre50 m, che poteva essere visto da diversi chilometri di distanza.Questo pozzo non fu la prima scoperta petrolifera, e Spindletopnon fu un grande giacimento, ma esso confermò, oltre ogni pos-sibile dubbio, che esistevano enormi quantità di petrolio, spro-nando la libera intrapresa per la sua ricerca.

In Texas il primo pozzo per la ricerca di olio fu realizzatonel 1865 a Saratoga, ma non fu portato a termine per l’inade-guatezza delle attrezzature; il primo pozzo produttivo fu com-pletato l’anno seguente a Nacogdoches. Nel 1894, a Corsicana,un pozzo perforato per la ricerca d’acqua iniziò a produrre note-voli quantità di greggio, scatenando una piccola corsa al petro-lio. In questi anni un cittadino di Beaumont, Pattillo Higgins,entrò in questa avventura e, contro le opinioni dei geologi del-l’Ufficio minerario, perseguì strenuamente l’idea di perforareun pozzo nei pressi di alcune sorgenti che emanavano gas infiam-mabili e solforosi attorno a un piccolo rigonfiamento della pia-nura, in seguito denominato Spindletop, a sud di Beaumont.La perforazione del primo pozzo fu interrotta precocemente,poiché l’attrezzatura si era mostrata inadeguata per i terreniargillosi e non consolidati della zona. Higgins tentò di con-tinuare l’impresa insieme a un ingegnere minerario croato, il

STORIA

532 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 9: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

capitano Anthony F. Lucas, che raccolse la sfida tecnica edeconomica offerta da Higgins.

Lucas iniziò un pozzo nel 1899 e trovò una piccola quan-tità di olio a poco meno di 200 m di profondità; però, a causadelle forti pressioni del terreno e del gas, il rivestimento delpozzo collassò in breve tempo. Lucas, allora, acquistò nume-rosi titoli minerari intorno a Spindletop, con altri due investi-tori del settore, James M. Guffey e John Galey. Il 27 ottobre1900 la perforazione di un nuovo pozzo ebbe finalmente ini-zio, sebbene, fino ad allora, non fossero mai stati perforatipozzi in formazioni argillose e poco consolidate, con grossepressioni di strato che tendevano a far franare il pozzo e ren-devano poco efficaci le attrezzature e i metodi di perforazio-ne disponibili. Il 10 gennaio 1901, alla profondità di circa 330m, il pozzo entrò violentemente in eruzione dando luogo a unimpressionante getto di petrolio, stimato con una portata gior-naliera intorno ai 100.000 barili. L’eruzione continuò incon-trollata per una decina di giorni, lasciando sul terreno un volu-me di greggio di oltre 800.000 barili e attirando folle di curio-si e di cercatori che in breve tempo si stabilirono a Beaumont(la cui popolazione in pochi mesi passò da 10.000 a 50.000unità), e iniziarono una furiosa attività di perforazione nei pres-si del pozzo di Lucas. Il 26 marzo dello stesso anno, un secon-do pozzo entrò in eruzione e, alla fine del 1901, si contaronooltre 180 pozzi che avevano avuto un comportamento simile.

Il boom del petrolio a Spindletop non durò a lungo: già nel1908 l’olio doveva essere pompato dai pozzi, e la popolazio-ne di Beaumont si era stabilizzata sui 20.000 abitanti. Ciono-nostante, la percezione che ne scaturì fu di enorme importan-za. Beaumont divenne una cittadina industriale, sede di com-pagnie petrolifere e di perforazione, di fonderie e di una granderaffineria. In seguito il petrolio fu scoperto in numerose altrelocalità del Texas e della Louisiana, e il mondo industriale edeconomico iniziò a rendersi conto che il petrolio era disponi-bile in quantità enormi, e poteva a buon diritto essere consi-derato non solo una materia prima per l’illuminazione, maanche diventare la forma di energia principale del secolo appe-na iniziato, utilizzabile nell’industria, nei trasporti marittimi eterrestri. La grande disponibilità di greggio favorì lo sviluppodella nascente industria automobilistica, allora in forte espan-sione proprio grazie alla sempre maggior disponibilità di unnuovo combustibile, la benzina, derivata dal petrolio.

Lo sviluppo dell’ingegneria e della geologia del petrolioLo sviluppo dell’ingegneria e della geologia del petrolio

si manifestò con un certo ritardo rispetto alla rudimentale tec-nologia empirica utilizzata nei primi cantieri di perforazionee di produzione. Per quasi tutto il 19° secolo si credette che igiacimenti di olio seguissero l’andamento dei corsi d’acqua(creek, da cui il termine creekology); per questo motivo leperforazioni si estendevano sempre più a valle, anche se, giu-stamente, per la localizzazione di nuovi siti si dava moltaimportanza alle manifestazioni superficiali di olio, gas o didepositi paraffinici e bituminosi. La teoria dell’accumulo deigiacimenti sotto pieghe anticlinali fu sviluppata nel 1861 daThomas Sterry Hunt, ma rimase lettera morta per almenovent’anni e fu correttamente interpretata solo ai primi delNovecento (Munn, 1909). Peraltro, le opinioni dei geologiebbero scarso successo anche presso i produttori e viceversa.La perforazione del pozzo di Spindletop, infatti, fu aspramenteavversata dai funzionari dell’USGS (United States Geologic-al Service) che ritenevano impossibile trovare olio e gas nellezone costiere del Texas.

John F. Carll è stato spesso riconosciuto come il primo‘ingegnere del petrolio’. Durante i quindici anni trascorsi pres-so la Pennsylvania Geological Survey egli intraprese, nel 1880,la prima attività di ricerca organizzata in questo settore: ideòattrezzature di perforazione, capì che l’olio poteva essere pro-dotto da un’arenaria porosa, definì il concetto di giacimento astrati sovrapposti (pool), ideò un metodo per stimare la quan-tità di olio in posto e l’importanza del waterflooding per aumen-tare il fattore di recupero; suggerì, inoltre, l’analogia con unbarilotto di birra alla spina per spiegare il flusso di olio e gasdai giacimenti in pressione (Carll, 1880). Egli riuscì anche aconvincere le compagnie produttrici della necessità di averenel cantiere di perforazione un assistente per raccogliere datidi pozzo e compilare rapporti giornalieri a uso dei pochi tec-nici di ufficio. Nel 1877 erano già stati perforati oltre 4.000pozzi nello Stato di New York e in Pennsylvania: di tutti que-sti si conservavano i rapporti di perforazione di meno di 40pozzi e nessuno era scritto in forma tale da essere utile perqualsiasi interpretazione da parte del Geological Survey.

All’inizio del 20° secolo l’industria iniziò ad affidare lasoluzione dei complessi problemi relativi alla produzione delgreggio a ingegneri professionisti. Nel 1907 la Kern Oil andTrading Company of California assunse alcuni geologi e inge-gneri minerari laureati alla Stanford University per studiare lecondizioni del sottosuolo al fine di proteggere gli strati mine-ralizzati dall’invasione di acqua e per migliorare le tecnologiedi produzione.

Una spinta decisiva verso l’innovazione e l’approccio inge-gneristico della ricerca si ebbe soltanto a partire dal 1913, quan-do fu fondato lo USBM (United States Bureau of Mines), alloscopo di studiare le risorse del paese e suggerire programmiper il loro sviluppo razionale, sotto la guida di Ralph Arnold(Arnold e Garfias, 1913); quattro anni più tardi fu organizza-ta la Oil and Gas Division dello USBM. Questo ufficio, insie-me ai suoi laboratori (il primo fu istituito a Bartlesville, Okla-homa, nel 1914) fu il primo nell’industria degli idrocarburi ainiziare studi scientifici per comprendere i meccanismi di pro-duzione degli idrocarburi.

Il primo corso di petroleum engineering fu istituito nel1912 presso l’Università di Pittsburgh e le prime lauree in que-sto campo furono conferite a partire dal 1916. In Europa, taledisciplina arrivò con un certo ritardo. In Italia, per esempio, ilprimo corso di laurea in ingegneria mineraria che prevedevaun indirizzo ‘idrocarburi’ fu istituito nel 1938, durante il perio-do autarchico, presso l’Università di Bologna.

Per lo sviluppo dell’industria petrolifera si rivelò fonda-mentale il ruolo dell’AIME (American Institute of MiningEngineers) fondato nel 1871. Nel 1913 l’AIME istituì un comi-tato per il petrolio e il gas, guidato dallo stesso Lucas, con loscopo di promuovere e disseminare le conoscenze nel campodell’ingegneria del petrolio. Nel 1922, con l’aumento del nume-ro di affiliazioni, si costituì l’AIME Petroleum Division, poil’AIME Petroleum Branch, infine trasformata nel 1957 in SPE(Society of Petroleum Engineers). La divisione di petroleumengineering dell’API (American Petroleum Institute) fu fon-data nel 1927.

Sino al 1920 circa gli ingegneri, benché fossero interes-sati alla progettazione degli impianti, non erano impiegatinella perforazione e nella produzione, che seguiva prevalen-temente tecniche empiriche. Fu nel periodo successivo che,soprattutto negli Stati Uniti, le varie compagnie si resero contodella necessità di razionalizzare le tecniche di perforazionee promossero l’istituzione di gruppi di studio sotto gli auspici

STORIA DELL’UPSTREAM

533VOLUME V / STRUMENTI

Page 10: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

dell’AIME, dell’API, dell’AAPG (American Association ofPetroleum Geologists) e infine dell’AChS (American Chem-ical Society). Ebbe inizio, così, l’applicazione delle moder-ne tecniche ingegneristiche all’‘arte della sonda’, che permi-se di soddisfare la richiesta crescente di idrocarburi e portòalla coltivazione di giacimenti sempre più profondi, sia interra sia in mare. A questo proposito, il primo testo di inge-gneria del petrolio fu scritto da Paul M. Paine e B.K. Stroud(Paine e Stroud, 1913), cui seguirono quello di Roswell H.Johnson e L.G. Huntley (Johnson e Huntley, 1916) e pocodopo, nel 1921, la pubblicazione di John R. Suman (Suman,1921). Nello stesso anno, Walter H. Jeffrey pubblicò il primotesto riguardante la perforazione (Jeffrey, 1921), mentre ilprimo vero e proprio trattato di ingegneria degli idrocarburifu redatto nel 1924 da Lester C. Uren, professore emerito dipetroleum engineering all’Università della California (Uren,1924). In Europa gli studi in questo settore furono assai scar-si, e furono le tecniche statunitensi a diffondersi di più nelmondo, salvo, come accennato, il comportamento autarchicodell’URSS. Tuttavia, fu solo a partire dagli anni Sessanta del20° secolo che si passò dall’adozione dei nuovi metodi pro-posti da singoli tecnici alla pianificazione della ricerca inmodo da soddisfare le richieste di perforazione e sviluppo deicampi in situazioni sempre più difficili.

La sistematizzazione delle disciplinepetrolifere (dagli anni Venti alla fine della Seconda Guerra Mondiale)

L’ingegneria di pozzoIn seguito alle scoperte petrolifere nel Texas, la perfora-

zione a rotazione ebbe un notevole sviluppo. I miglioramenticontinui conseguenti alla necessità di perforare pozzi semprepiù profondi, in qualsiasi tipo di formazione, trasformarono laperforazione a rotazione nella tecnica più efficace, veloce eaffidabile. Fino al 1910 essa era eseguita con utensili a lamefisse (fishtail bit, a 2, 3 o 4 lame) o con scalpelli a taglienti adischi, entrambi efficaci soltanto in formazioni estremamentesoffici. La vera rivoluzione avvenne già nel 1909, quando ilperforatore texano Howard Hughes Sr. brevettò uno scalpelloa rulli conici muniti di taglienti in grado di perforare ancherocce dure consolidate, che per questo fu chiamato rock bit. Ilprimo modello proposto da Hughes era uno scalpello a duerulli intercambiabili, con 166 taglienti per rullo, dotato di unforo centrale per la circolazione del fluido di perforazione (regu-lar circulation). Ben presto esso fu perfezionato in un model-lo a tre rulli (detto anche scalpello tricono) che, all’inizio deglianni Trenta, conquistò il mercato della perforazione. In questianni iniziò a diffondersi anche l’uso di riporti in metallo duroa protezione della struttura tagliente. Parallelamente, nel 1913Granville A. Humason di Shreveport (Louisiana) brevettò loscalpello a croce (cross-roller bit), basato su una particolaredisposizione di rulli cilindrici muniti di taglienti, che ebbe unbuon successo fino alla fine degli anni Cinquanta, quando fuabbandonato in favore dei triconi. Un ulteriore tipo di scalpel-lo sviluppato in questi anni fu lo scalpello a singolo rullo rotan-te pseudosferico, ad asse obliquo, noto come Zublin, dal nomedel suo inventore.

Verso la fine degli anni Venti, in seguito al perfezionamentodegli scalpelli a rulli, che permisero di estendere il campo diapplicazione della perforazione a rotazione alle formazionidure e consolidate, gli impianti a percussione iniziarono a per-dere terreno rapidamente. Negli anni Trenta, in seguito alla

scoperta dei grandi campi petroliferi degli Stati Uniti, la perfo-razione si fece sempre più competitiva e la necessità di perfo-rare pozzi profondi in modo veloce e affidabile divenne unobiettivo primario, ottenuto sviluppando la tecnica a rotazio-ne e aumentando la potenza installata sugli impianti, tradizio-nalmente fornita da macchine a vapore simili a quelle utiliz-zate nella perforazione a percussione. Nel 1925 fu applicato ilprimo motore diesel a un impianto a rotazione e nel 1938 fuoltrepassata la profondità di 4.500 m, primato che rimase imbat-tuto fino al 1947.

Nonostante le macchine a vapore presentassero indubbivantaggi per l’accoppiamento meccanico con le attrezzaturedell’impianto di perforazione, in termini di curva caratteristi-ca, il loro maggior ingombro, la complicata gestione delle cal-daie, del combustibile e la frequente manutenzione le reseroobsolete entro la fine degli anni Trenta, quando furono defini-tivamente abbandonate in favore dei motori a combustioneinterna, più facilmente gestibili durante la fase di spostamen-to dell’impianto, grazie al minor peso. I grandi sviluppi tec-nologici della perforazione a rotazione dei primi tre decennidel secolo scorso fecero sì che, già dagli inizi degli anni Cin-quanta, la perforazione a percussione fosse praticamente scom-parsa dall’ambito della perforazione petrolifera.

Il primo fluido di perforazione è stata l’acqua che, unen-dosi con le rocce perforate, forma un fango naturale. Tuttavia,si notò che usando un fango di adeguate caratteristiche, in gradodi formare un intonaco plastico sulla superficie del pozzo, sipoteva migliorare la stabilità del foro prima di mettere in operail rivestimento definitivo. Poco dopo si scoprì che la densitàdel fango contribuiva alla stabilità del foro, ed era fondamen-tale per bilanciare la pressione di giacimento, impedendo l’e-ruzione incontrollata dei fluidi di strato. Negli anni Venti si ini-ziò a regolare la densità dei fanghi addizionando barite maci-nata (Stroud, 1925), e negli anni Trenta si individuò nellabentonite il materiale argilloso con le migliori caratteristicheviscosizzanti (Garrison, 1939). I primi additivi per il control-lo della viscosità (fosfati, tannino, quebracho) entrarono in usonegli stessi anni. Sempre in questo decennio, con la costitu-zione di compagnie di servizio specializzate, iniziò lo studiodei fanghi in laboratorio e furono trovati specifici additivi permigliorarne le qualità e controllarne la reologia, stabilendo iprimi metodi di misura standard (Jones e Babson, 1935). Inol-tre furono usati industrialmente i fanghi a base d’olio o ad acquaemulsionata in olio, sia per non danneggiare le formazioni pro-duttive, sia per favorire la perforazione nelle situazioni più dif-ficili (pozzi profondi, alte pressioni e temperature, perfora-zione orientata, ecc.). Nel 1938, per la prima volta, furonoimpiegati l’aria o il gas come fluidi di perforazione, ma il lorouso divenne comune solo negli anni Cinquanta e Sessanta,insieme alle schiume o ai fanghi aerati.

Il controllo della verticalità del pozzo era un problema giànoto fin dai primi del Novecento e spesso la deviazione spon-tanea aveva portato a interferenze tra pozzi adiacenti, a scon-finamenti o al mancato raggiungimento degli obiettivi mine-rari. Le prime perforazioni rotary erano realizzate senza l’au-silio di un’adeguata batteria di aste pesanti e il problema dellaverticalità del pozzo divenne ancora maggiore, perché i pozzierano sempre più profondi e vi era la necessità di raggiunge-re gli obiettivi minerari con maggiore precisione, rispettandoi limiti delle concessioni. Verso la fine degli anni Venti si intro-dusse la pratica di utilizzare un tratto di aste pesanti poste alfondo della batteria di perforazione, per aumentare il pesosullo scalpello e la rigidità della batteria, mantenendo le aste

STORIA

534 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 11: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

normali sempre in trazione. Poco dopo si diffuse l’uso deglistabilizzatori, posti in vari punti della batteria, al fine di incre-mentarne la rigidità e avere un maggior controllo delle devia-zioni spontanee del foro. Le prime misure di inclinazione delforo furono eseguite alla fine degli anni Venti, tramite clino-metri a provetta acida. I fotoclinometri a bussola e pendolo (tiposingle-shot) furono sviluppati negli anni Trenta dalla Eastman,e diedero avvio al perfezionamento delle tecniche della perfo-razione direzionata. Tuttavia, l’esatta comprensione della mec-canica delle forze associate alla batteria di perforazione e alladeviazione del foro si ebbe solo negli anni Cinquanta, con iclassici studi di Arthur Lubinski, che portarono allo sviluppodell’odierna pratica della perforazione direzionata (Lubinskie Wood, 1953, 1955; Lubinski e Blenkarn, 1957).

La perforazione di pozzi sempre più profondi, dove è piùfacile incontrare pressioni anomale (spesso sovrapressioni),mise in luce un altro problema: il controllo idraulico del pozzoe le tecniche per intervenire su pozzi in eruzione incontrolla-ta. Negli anni Venti, James Abercrombie, un perforatore, eHarry Cameron, un tecnico di officina, progettarono e realiz-zarono un dispositivo di sicurezza per evitare eruzioni incon-trollate durante la perforazione del pozzo, denominato BOP(BlowOut Preventer), installato sulla testa pozzo (quest’ulti-ma era già in uso in Texas e in California dal decennio prece-dente). Il primo BOP commerciale era in grado di resistere auna pressione di 3.000 psi in un foro di 8 pollici di diametro.Il dispositivo ebbe un enorme successo e fu sviluppato in varieconfigurazioni. Negli anni Trenta, Louis Records individuò imeccanismi che provocavano l’eruzione dei pozzi ed elaboròuna procedura di sicurezza per eliminare i fluidi in sovrapres-sione entrati in pozzo, gettando le basi delle moderne tecnichedi controllo pozzo. Parallelamente, si svilupparono compagniespecializzate per la gestione di pozzi in eruzione, squadre ditecnici e pompieri specializzati che, con enormi rischi, affron-tavano i pozzi incidentati in condizioni estremamente perico-lose. Alcuni di questi tecnici diventarono celebri, come MyronKinley e Red Adair. Tali esperienze portarono allo sviluppo dinumerosi dispositivi di sicurezza attivi e passivi, utilizzati anco-ra oggi, specie nei campi offshore.

Per tutto l’Ottocento e parte del Novecento, l’unica fontedi informazione sulle rocce attraversate nella perforazione deri-vava dall’analisi visiva dei detriti generati dallo scalpello. Neglianni Venti furono messi a punto i primi carotieri meccanici ei campioni ottenuti iniziarono a essere esaminati in laborato-rio con le neonate tecniche per la misura delle caratteristichepetrofisiche (porosità, permeabilità, saturazione, ecc.). Cio-nonostante, a causa dell’alto costo del prelievo di carote, la tec-nica di analisi dei detriti di perforazione si perfezionò semprepiù. In questo decennio fu anche messa a punto la tecnica dianalisi dei detriti tramite luce ultravioletta per rivelare la pre-senza di tracce d’olio. Dopo l’introduzione dei vibrovagli perla separazione dei detriti dal fango, avvenuta negli anni Tren-ta, John T. Hayward iniziò a sviluppare le tecniche note comemud logging, cioè l’analisi combinata dei detriti e del fluido diperforazione (controllando i liquidi e i gas disciolti) in fun-zione della profondità e della velocità di avanzamento. In que-sto modo, si riusciva a ricostruire con buona precisione la lito-logia delle formazioni e il loro contenuto in olio e gas, e ilnumero di carotaggi meccanici poteva essere ridotto al mini-mo, facendo diminuire i costi di perforazione. Contempora-neamente, gli impianti furono dotati di strumenti per il con-trollo dei parametri di perforazione, come misuratori di profon-dità, indicatori di peso sullo scalpello, velocità di rotazione,

coppia torcente, portata e pressione del fango, uniti a sistemiper la registrazione continua su carta. Questo tipo di misureportò allo sviluppo della moderna ingegneria della perfora-zione, e presto si scoprirono i vantaggi dell’ottimizzazione dellaportata di fango e dell’uso di ugelli calibrati sullo scalpello peraccrescere la velocità di avanzamento (jet circulation), meto-di perfezionati però solo negli anni Cinquanta.

La tecnologia del rivestimento pozzo fu sviluppata già versola fine dell’Ottocento, così come alcune rudimentali tecnichedi cementazione del casing alla parete del pozzo. Inizialmen-te la malta cementizia era miscelata a mano e immessa per gra-vità nell’intercapedine, dove il casing era mantenuto diversedecine di metri dal fondo pozzo: calandolo fino al fondo, lamalta risaliva nell’intercapedine, garantendo una discreta tenu-ta. In seguito, vennero utilizzati tubi di piccolo diametro periniettare la malta al fondo, nell’intercapedine tra casing e foro,e nel primo decennio del Novecento in California venne svi-luppato il metodo di cementazione a due tappi, in cui il cemen-to è iniettato all’interno del casing e risale nell’intercapedine.Tra il 1903 e il 1907 R.C. Baker inventò una scarpa da cemen-tazione per la perforazione a rotazione, e creò una compagnia,destinata a divenire una tra le maggiori compagnie di servizioper l’industria petrolifera. Nel 1919 Erle P. Halliburton fondòa Wilson (Oklahoma) un’altra compagnia di servizio specia-lizzata nella cementazione dei pozzi, la New Method Oil WellCementing. Nel 1921 egli ideò una nuova tecnica di cementa-zione, molto più rapida e soprattutto efficace, perfezionandoun metodo per confezionare rapidamente e automaticamentela malta tramite un miscelatore a getto. Nel 1924 Halliburtondivenne presidente di tale società, attualmente anch’essa tra lepiù grandi compagnie di servizio, che raccolse numerosi inve-stitori, tra cui anche diverse compagnie petrolifere.

Negli anni Quaranta la ricerca di laboratorio mise in luceche il tempo di presa e la consistenza del cemento dipendeva-no dalla sua composizione, dalla pressione e dalla temperatu-ra del foro. Si realizzarono, quindi, cementi con caratteristichetali da ridurre il tempo di presa, permettendo di diminuire signi-ficativamente i tempi morti dell’impianto di perforazione. Inol-tre, si scoprì che la causa principale delle cementazioni falliteera la contaminazione del cemento da parte del fango; perciòfurono sviluppati tappi di cementazione più efficaci e intro-dotti i raschiatori ‘a baffi di gatto’, posti attorno al casing, perrimuovere il pannello e assicurare una migliore aderenza.

Riguardo alle tecniche relative al completamento del pozzoin corrispondenza degli strati mineralizzati e alla gestione dellaproduzione, già dagli inizi del 20° secolo si adottavano tecni-che a foro scoperto o a foro rivestito con una colonna di acciaio.In quest’ultimo caso, la perforazione della colonna di rivesti-mento, necessaria per mettere gli strati produttivi in condizio-ni di erogare in superficie, era eseguita con attrezzi meccanicisimili a coltelli squarciatori, in grado di tagliare il casing. Que-sta tecnica rimase in uso fino agli anni Trenta, quando fu sosti-tuita da metodi più efficaci e sicuri, basati sullo sparo di proiet-tili d’acciaio tramite un fucile perforatore a innesco elettrico,calato in pozzo tramite cavo (brevetto Lane & Wells, 1932), cheriduceva il rischio di incastrare o perdere in pozzo la comples-sa attrezzatura dei coltelli squarciatori. Dopo la Seconda Guer-ra Mondiale, i proiettili furono affiancati dall’utilizzo di cari-che cave (brevetto di Muskat 1949, di proprietà Gulf), moltopiù potenti e penetranti dei proiettili, capaci di perforare anchepiù colonne concentriche. Poiché la produzione dei fluidi distrato attraverso il casing (cementato al foro e quindi nonsostituibile) poteva indurre danneggiamenti per corrosione

STORIA DELL’UPSTREAM

535VOLUME V / STRUMENTI

Page 12: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

chimica, dagli inizi del Novecento si cominciò sistematicamentea produrre l’olio e il gas attraverso un tubing, che permise anchedi scegliere opportunamente la velocità di risalita dei fluidi dalfondo pozzo in base a considerazioni fluidodinamiche, impor-tanti nel caso di moto bifase gas-olio. Allo stesso tempo, se laproduzione interessava formazioni sciolte o poco cementate, siiniziò ad attrezzare la sezione di pozzo in corrispondenza deglistrati produttivi con particolari filtri o dreni, al fine di limitarel’ingresso di sabbia in pozzo, e a isolare i livelli produttivi contubing muniti di packer espandibili.

Nei pozzi a gas la pressione di giacimento garantisce l’ero-gazione spontanea a testa pozzo. Nei giacimenti di olio, invece,l’erogazione spontanea non è sempre garantita, o cessa dopopochi mesi o qualche anno, in funzione della diminuzione dellapressione di strato. In questo caso, la produzione di liquido puòproseguire solo fornendo energia dall’esterno. Già l’olio delprimo pozzo di Drake fu prodotto tramite pompaggio, con unasemplice pompa manuale a pistone simile a quelle utilizzate neipozzi per l’acqua. In seguito, questo sistema fu meccanizzatocon motori a vapore, senza introdurre però particolari migliorie.Soltanto le aste, un tempo realizzate con legno duro, furono sosti-tuite verso il 1880 con barre d’acciaio. Negli anni Venti furonosviluppate le moderne pompe ad astine e bilanciere, vista lanecessità di migliorare la produttività dei pozzi, tra l’altro sem-pre più profondi. Nel 1925 W.C. Trout, titolare di una piccolaofficina meccanica di Lufkin (Texas), introdusse la prima pompaad astine e bilanciere, dotata di un’unità motrice con riduttoremeccanico per ottimizzare la potenza impiegata. Le pompe adastine sono ancora oggi molto diffuse, e hanno sostanzialmentela stessa geometria di quelle progettate nel secolo scorso. Miglio-rie sono state apportate nel campo dei materiali (per es., astineleggere in fiberglass) e nel controllo delle prestazioni sia trami-te interpretazione di diagrammi dinamometrici, sia con l’inter-pretazione delle onde elastiche rilevate in superficie tramitemodelli matematici, spesso molto raffinati.

Negli anni Trenta fu sviluppato un nuovo metodo per il sol-levamento artificiale degli idrocarburi, il gas-lift, basato sul-l’iniezione continua o intermittente in pozzo di gas in pres-sione, nell’intercapedine tra casing e tubing. Con questo meto-do, il gas iniettato si emulsiona con l’olio e lo rende più leggero,rendendone possibile la produzione a testa pozzo. Nel 1940W.R. King introdusse particolari valvole a soffietto (gas-liftvalves) che permisero di razionalizzare il metodo e di render-lo più flessibile alle varie condizioni di pozzo. Nel 1951 HaroldMcGowen e H.H. Moore svilupparono un rivoluzionario tipodi valvola recuperabile via cavo (side-valve), che ne permet-teva la manutenzione e la riparazione senza dover estrarre tuttoil completamento del pozzo.

Un ulteriore metodo di sollevamento artificiale fu svi-luppato a partire dagli anni Venti. Nel 1917 il russo ArmaisArutunoff mise a punto una pompa elettrica sommersa di tipocentrifugo, adatta per le gravose condizioni esistenti nei pozziper la produzione di olio. A causa della Rivoluzione sovietica,Arutunoff emigrò dapprima in Germania e poi in California,dove continuò lo studio di questo sistema e installò nel 1921 unprototipo. Nel 1928 Frank Phillips (fondatore della PhillipsPetroleum di Bartlesville, Oklahoma) si interessò a questa tec-nologia, e finanziò gli studi di Arutunoff, che portarono allosviluppo di modelli commerciali. Attualmente le pompe elet-triche sommerse sono ampiamente utilizzate; si tratta di pompecentrifughe multistadio i cui sviluppi tecnologici più significa-tivi si ebbero negli anni Cinquanta, con l’applicazione di nuovimateriali per le giranti, di guarnizioni affidabili, di isolanti per

il motore elettrico e di cavi di alimentazione capaci di resiste-re alle alte temperature, fino a giungere alle odierne pompe digrande potenza e di alta portata. Negli anni Trenta furono per-fezionati altri due tipi di pompe idrauliche, che vengono anco-ra utilizzati: le pompe idrauliche sommerse alimentate da unfluido in pressione e le pompe a getto. Le pompe a getto, giànote nel loro principio e nelle loro linee essenziali alla metàdell’Ottocento, furono brevettate in campo petrolifero da W.F. McMahon nel 1930, ma divennero di largo uso solo dopoil 1970, con lo sviluppo di metodi di calcolo automatico chene permisero il corretto impiego in questo campo. Negli ulti-mi trent’anni furono sviluppate anche le pompe a cavità pro-gressiva, ovvero pompe volumetriche tipo Moyneau (già notedagli inizi del Novecento, ma di scarsa applicazione) realizza-te con materiali adatti a resistere alle condizioni di pressione,temperatura e corrosività tipiche dei pozzi petroliferi. Il prin-cipio della pompa Moyneau ha portato anche allo sviluppo suc-cessivo degli attuali motori per la perforazione a fondo forotipo PDM (Positive Displacement Motors), che non sono altroche pompe Moyneau a girante multilobo fatte funzionare comemacchine motrici.

Riguardo all’evoluzione degli impianti di trattamento disuperficie, la razionalizzazione della produzione portò, neglianni Trenta, alla costruzione di impianti di separazione sem-pre più complessi. Si svilupparono i separatori trifase, dotatidi dispositivi per migliorarne il rendimento, e si scoprì che laseparazione dell’acqua poteva essere migliorata favorendo lacoalescenza delle gocce d’acqua su mezzi inerti ad alta super-ficie specifica (come trucioli di legno o reti metalliche, nelcaso di gas-liquido). Si riconobbe altresì la difficoltà a tratta-re le emulsioni di acqua in olio, spesso molto stabili, scopren-do che potevano essere separate nei loro componenti aggiun-gendo particolari additivi chimici, oppure riscaldandole. Ciòcontribuì all’uso dei riscaldatori da campo (heather) e, più ingenerale, a concepire veri e propri centri di trattamento al ser-vizio di tutti i pozzi del campo o addirittura di più campi adia-centi. Nonostante la prima linea di trasporto di gas in pressio-ne fosse stata costruita già nel 1891 tra Indiana e Chicago, allafine degli anni Trenta la commercializzazione del gas natura-le sempre più estesa portò allo sviluppo di un crescente nume-ro di giacimenti e alla realizzazione dei relativi centri di trat-tamento. Furono introdotti separatori orizzontali ad alta pres-sione e le prime unità di separazione a bassa temperatura, entrocui si realizzava la disidratazione del gas per evitare, al dimi-nuire della temperatura durante il trasporto, la formazione diidrati di metano (in presenza di acqua in fase libera) che pote-vano bloccare le condotte. Il problema della disidratazione delgas era già noto dagli anni Venti ed era stato risolto dapprimasemplicemente con dei riscaldatori che mantenevano il gas atemperatura sempre superiore al punto di formazione degliidrati, e verso la fine del decennio con impianti a letto essic-cante solido, anche se entrambi i metodi erano abbastanza costo-si. Nel 1936 Thomas S. Bacon ideò un metodo per disidrataree addolcire il gas naturale per mezzo di una soluzione di ammi-ne. Successivamente, nel 1949, Laurence S. Reid sviluppò unpiccolo impianto per la disidratazione del gas a testa pozzo tra-mite l’iniezione di glicole trietilenico. Questo processo fu pre-sto standardizzato e attualmente è ancora alla base dei processidi disidratazione industriale del gas naturale.

L’ingegneria di giacimentoNei primi anni del 20° secolo, l’industria petrolifera si

occupava quasi esclusivamente della perforazione e del

STORIA

536 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 13: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

completamento dei pozzi, e fino agli anni Venti essi erano auno stadio di sviluppo più avanzato rispetto alle conoscenze ealle tecniche di coltivazione dei giacimenti. Alla fine del 19°secolo era iniziato qualche studio isolato sull’applicazione dellalegge di Darcy al moto dei fluidi nel sottosuolo, con partico-lare riguardo al moto monofase dell’acqua, e sulle proprietàfisiche dei fluidi di strato. Riguardo al primo problema, pertutto l’Ottocento erano state studiate solo soluzioni relative alcaso stazionario, applicate ai problemi di filtrazione delle acquenel campo dell’ingegneria idraulica e dell’idrogeologia. In Fran-cia, nel 1863, Arsène-Juvenal Dupuit, contemporaneo di Darcy,pubblicò gli Etudes théoriques et pratiques sur le mouvementdes eaux dans les canaux découverts et à travers les terrainsperméables, nei quali espose un’espressione equivalente allalegge empirica di Darcy in forma differenziale (Dupuit, 1863).Inoltre, integrando l’equazione del moto su un dominio radia-le, Dupuit ricavò anche soluzioni per il moto stazionario siaper gli acquiferi confinati, sia per quelli non confinati. Pocodopo, l’ingegnere austriaco Phillip Forchheimer fu tra i primia utilizzare i concetti di linea di flusso e di superficie equipo-tenziale, nello studio del moto dei fluidi nei mezzi porosi; nel1898 egli descrisse il flusso stazionario del moto negli acquife-ri, riconoscendo applicabile, in tal caso, l’equazione di Laplace(Forchheimer, 1898). Nel 1906, il tedesco Gunther Thiem svi-luppò espressioni similari, ricavate indipendentemente dalleipotesi di Dupuit (Thiem, 1906).

Negli Stati Uniti, a parte le già accennate ricerche pionie-ristiche di Carll, che rimasero comunque isolate, i primi studisulle relazioni tra pressione e moto dei fluidi nei mezzi poro-si furono compiuti da Frederick H. Newell (1885), Franklin H. King (1899) e Charles S. Slichter (1899), che misuraronola portata dell’aria e dell’acqua attraverso sabbie consolidatee non consolidate (King, 1899; Slichter, 1899). Slichter, mem-bro dell’Università del Wisconsin e collaboratore dello USBM,non conosceva i risultati degli studi di Forchheimer, e verificò inmaniera indipendente l’applicabilità dell’equazione di Laplace.Nel 1924 Karl Terzaghi studiò sperimentalmente le deforma-zioni dei terreni argillosi saturi d’acqua, stabilendo le leggiche regolavano il rapporto tra tensioni, deformazioni e pres-sione dei fluidi di strato all’interno dei mezzi porosi (Terza-ghi, 1925).

Come accennato, nel 1914 furono fondati gli USBM Petrol-eum Division Laboratories a Bartlesville (Oklahoma), con loscopo di studiare le tecniche per incrementare il fattore di recu-pero dell’olio e del gas, riducendo così gli sprechi che spessoaccompagnarono la coltivazione dei primi giacimenti. Nel1904, interrogato sul rapido declino di produzione del campodi Spindletop, Lucas aveva riconosciuto che erano stati perfo-rati troppi pozzi, e che «la mucca era stata munta troppo in fret-ta, e in modo poco intelligente». In questi stessi anni l’indu-stria iniziò a interessarsi sistematicamente allo studio dei mec-canismi fisici che regolavano la produzione degli idrocarburi,cercando di individuare – tra gli altri – l’importanza della spin-ta d’acqua, la relazione tra pressione di fondo e portata, e lastima del fattore di recupero. In questo modo, si sviluppò len-tamente, ma autonomamente, la nuova disciplina dell’inge-gneria dei giacimenti di idrocarburi. I primi studi condotti daM.A. Brewster nel 1925 riguardavano l’incremento del fatto-re di recupero e l’ottimizzazione della spaziatura dei pozzi(Brewster, 1925). Dal 1920 lo USBM iniziò ricerche sulmoto dell’olio e del gas nei mezzi porosi, sulla misura dellepressioni di fondo pozzo, sulla determinazione delle pro-prietà fisiche degli idrocarburi, sulla stima delle riserve e sulle

operazioni di waterflooding, anche se l’ingegneria dei giaci-menti di idrocarburi divenne una scienza semiquantitativa soloa partire dalla metà degli anni Trenta.

A.W. Ambrose e J.O. Lewis furono i primi innovatori all’in-terno dello USBM; Lewis pubblicò nel 1917 un importantestudio relativo ai rapporti tra viscosità, fenomeni capillari evolume di gas in soluzione nell’olio (Lewis, 1917). Fino al1928 la ricerca in questo settore rimase quasi monopolio delloUSBM, anche se imprenditori illuminati come H.L. Dohertye E.W. Marland già agli inizi degli anni Venti fondarono labo-ratori di ricerca privati, entrambi in Oklahoma, che sottrasse-ro ricercatori allo USBM.

Doherty era convinto che presto gli Stati Uniti sarebberostati coinvolti in un’altra guerra e che l’approvvigionamentodi petrolio sarebbe stato fondamentale per determinarne gliesiti; pertanto stimolò la ricerca, oltre a cercare di convincereoperatori e legislatori della necessità di sfruttare i giacimenti,che riteneva strategici per la sicurezza nazionale, nella manie-ra più oculata e controllata possibile. Marland, sebbene menoidealista di Doherty, stimolò lo studio delle tecnologie per ren-dere massimo il recupero di olio e nel 1925 aprì un laborato-rio di ingegneria della produzione di idrocarburi, guidato daW.V. Vietti, cui seguirono presto laboratori dedicati allo studiodella saturazione in gas, del fattore di contrazione dell’olio eallo studio della pressione di giacimento.

Nel 1925 Rockefeller e la Universal Oil Products si accor-darono per donare 50.000 dollari all’anno per cinque anni,amministrati sotto la guida dell’API, a sostegno della ricercadi base in favore dell’industria petrolifera. In questo contesto,i primi studi iniziarono nel 1927, sotto il nome di The funda-mentals of the retention of oil by sands, e furono guidati daB.H. Sage e W.N. Lacey presso il CALTECH (CALifornia Insti-tute of TECHnology), relativamente allo studio dei giacimen-ti ad alta pressione. Sage, Lacey e Schaafsma, nel 1933, furo-no i primi a riconoscere il fenomeno della condensazione retro-grada in alcuni giacimenti di gas ad alta pressione, dando avvioagli studi di ottimizzazione della produzione nei giacimenti acondensati mediante gas cycling (Sage et al., 1933). La gran-de depressione degli anni 1930-31 causò la sospensione del-l’erogazione di questi fondi di ricerca, ma l’API riuscì a con-tinuare le ricerche, sebbene a scala ridotta, con vari progetti, ipiù famosi dei quali furono: Progetto 37, sulle proprietà fisi-che degli idrocarburi; Progetto 27, sui fenomeni superficiali einterfacciali nella produzione degli idrocarburi; Progetto 47,sui meccanismi di spiazzamento dell’olio nei mezzi porosi.Oltre a questi, l’API finanziò anche progetti di ricerca relativialla geologia dei giacimenti di idrocarburi. In questi stessi anni,in Europa, Jan Versluys, idrologo della Royal Dutch Shell, svol-se importanti studi sui meccanismi fisici della produzione diidrocarburi.

Negli anni Venti, gli studi petrofisici erano ancora agli albo-ri e i concetti di porosità e permeabilità erano spesso confusi.A.F. Melcher, D.B. Dow e C.E. Reistle furono tra i primi a ini-ziare lo studio in laboratorio delle proprietà delle rocce e deifluidi in esse contenuti. Nel 1920 Melcher mise a punto unmetodo per misurare la porosità e la densità di alcune sabbiepetrolifere (Melcher, 1920) e nel 1921 Ronald van Auken Millsstudiò le relazioni tra condizioni di flusso e struttura delle mede-sime sabbie (Mills, 1921); queste ricerche furono proseguitenel 1933 da G.H. Fancher della Penn State University. Lo stu-dio del moto nei mezzi porosi caratterizzò la ricerca di granparte degli anni Venti e fu definitivamente compreso e codifi-cato nei primi anni Trenta (Fancher, 1933). Tra gli scienziati

STORIA DELL’UPSTREAM

537VOLUME V / STRUMENTI

Page 14: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

più importanti che hanno contribuito ai primi studi del flus-so di liquidi e gas nei mezzi porosi si possono annoverareF.G. Tickell, C.R. Fettke, C.F. Barb, P.G. Nutting, H.G. Botsete Morris Muskat (Tickell, 1928; Nutting, 1927, 1929, 1930;Muskat e Botset, 1931; Tickell et al., 1933). Le ricerche di talistudiosi definirono anche il concetto di permeabilità assolutadei mezzi porosi, svincolandolo dagli effetti dovuti alla visco-sità del fluido. Nel 1933 R. D. Wyckoff propose un metodo perla misura della permeabilità poi adottato negli standard APIpubblicati nel 1935 (Wyckoff, 1933).

Nel 1937 Muskat, della Gulf, pubblicò Flow of homogen-eous fluids through porous media, il primo vero e proprio testodi meccanica dei giacimenti di idrocarburi, fondamentale peril futuro della ricerca in questo campo (Muskat, 1937). Nel1949, inoltre, pubblicò Physical principles of oil production,un manuale che, insieme al primo, formò i pilastri teorici fon-damentali dell’ingegneria dei giacimenti di idrocarburi, poi-ché vi si combinava la meccanica dei fluidi nei mezzi porosicon il comportamento di fase delle miscele di idrocarburi incondizioni di giacimento (Muskat, 1949).

Negli anni Trenta, vennero affinati gli studi sistematicisulla petrofisica delle rocce serbatoio. Nel 1933 T.V. Moore,William Hurst e Ralph J. Schilthuis ricavarono l’equazione dif-ferenziale lineare del secondo ordine che descrive il moto radia-le non stazionario di fluidi compressibili all’interno di un mezzoporoso, e un anno dopo l’applicarono al calcolo delle varia-zioni di pressione all’interno di un giacimento e ai suoi effet-ti sulla portata di produzione (Moore et al., 1933). Nel 1936,G.L. Hassler introdusse il concetto di permeabilità relativa infunzione delle saturazioni (Hassler et al., 1936); sempre nel1936, Wyckoff e Botset scoprirono che essa non dipende dallaviscosità dell’olio ma dalla saturazione e inoltre affrontaronolo studio del moto bifase olio-acqua o gas-acqua in rocce nonconsolidate, che poi fu esteso a tutti i tipi di rocce (Wyckoff eBotset, 1936).

Nello stesso decennio iniziarono anche gli studi del motoin condizioni turbolente (flusso non Darcy) e a metà degli anniTrenta fu evidenziato il ruolo dell’acqua connata in rapportoall’efficienza dello spiazzamento dell’olio (Schilthuis, 1938).Fino ad allora, infatti, si pensava alla tavola d’acqua come auna superficie di separazione netta tra l’acquifero e il giaci-mento, sebbene i geologi del petrolio avessero già da temporiconosciuto che la maggior parte dei giacimenti di idrocarburiera stata deposta in ambiente marino, e che la migrazione degliidrocarburi era avvenuta attraverso mezzi porosi saturi d’ac-qua. Questa idea sbagliata ebbe una grande influenza nei con-fronti delle prime stime di idrocarburi in posto, dell’interpre-tazione dei log, del completamento di molti pozzi e della con-duzione delle operazioni di waterflooding. In seguito, si dimostròche nella maggior parte dei giacimenti l’acqua era presente, inquantità variabile, in tutta la formazione produttiva, sotto formadi una sottile pellicola tra la roccia e l’olio, aderente alla roc-cia, o come acqua capillare, anche in quelle parti di giacimen-to che producevano olio anidro. Questa scoperta confermò leteorie sul comportamento capillare dei mezzi porosi, elabora-te da poco, e che indicavano un passaggio graduale dal 100%di acqua alla base della formazione produttiva fino a valoriminori nelle parti più alte degli strati mineralizzati a olio; l’ac-qua avrebbe occupato una ‘frangia capillare’ sopra la zona com-pletamente satura d’acqua. Le prime misure di pressione capil-lare furono pubblicate da Hassler nel 1943 (Hassler et al., 1943)e la ricerca in questo campo fu attiva per tutto il decennio, cul-minando nel lavoro di W.R. Purcell (Purcell, 1949).

Nel 1940 M.C. Leverett e W.B. Lewis riportarono i risul-tati delle prime ricerche sul moto trifase di olio, gas, e acqua(Leverett e Lewis, 1941). Nello stesso periodo, i pionieri del-l’ingegneria dei giacimenti di idrocarburi si avvidero che, percalcolare l’olio in posto, era necessario determinare le pro-prietà dei fluidi di giacimento in funzione della pressione etemperatura del medesimo. A questo scopo, nel 1935 Schilthuisideò e descrisse un campionatore di fluidi a fondo pozzo e unmetodo di misura delle caratteristiche dei campioni ottenuti(Schilthuis, 1935), mentre P. Comins e C.E. van Ostrand idea-rono strumenti per la registrazione continua in pozzo, rispet-tivamente, di pressione e temperatura. Tra i risultati ottenuti,sono importanti le relazioni tra pressione, volume e tempera-tura (note come misure PVT) in funzione della pressione disaturazione e del volume di gas in soluzione nell’olio e dellaconseguente variazione di volume dell’olio stesso.

Le misure PVT consentirono di calcolare l’olio e il gas pre-senti nelle diverse situazioni, permettendo nel 1936 a Schilthuise D.L. Katz di introdurre l’equazione del bilancio di massa peri giacimenti chiusi, già proposta in modo approssimato daSteward Coleman nel 1930 (Coleman et al., 1930; Katz, 1936;Schilthuis, 1936), e che fu poi estesa ai giacimenti a spinta d’ac-qua prima dallo stesso Schilthuis (1936), e in seguito in formapiù soddisfacente da Hurst (Hurst, 1943) e da A.F. van Ever-dingen e Hurst (van Everdingen e Hurst, 1949). Questi due ulti-mi ricercatori dimostrarono l’applicabilità e la validità dell’e-quazione del bilancio di massa a giacimenti con un acquiferodi qualsiasi dimensione. Tale metodo, in seguito perfezionatoda altri autori (Tarner, Muskat, ecc.), rimase a lungo la base peril calcolo degli idrocarburi in posto in funzione dei dati di pro-duzione e per la stima delle previsioni di produzione.

Un passo fondamentale nel campo della coltivazione deigiacimenti fu compiuto nel 1941 da S.E. Buckley e Leverett,che presentarono un metodo per il calcolo dello spiazzamentoimmiscibile dell’olio o del gas da parte dell’acqua (Buckley eLeverett, 1941). Tale metodo consentì di calcolare il fattore direcupero, chiarendo le cause del basso recupero osservato inmolti giacimenti, e permise di individuare i criteri per aumen-tarlo, sfruttando opportunamente l’energia in posto o fornen-do nuova energia mediante iniezione di gas o di acqua. Nellostesso anno, Leverett pubblicò un altro studio fondamentalesulla permeabilità relativa e sul comportamento capillare deimezzi porosi (Leverett, 1941). Nel 1952 L.R. Kern estese lostudio di Buckley e Leverett al caso di sistemi contenenti unasaturazione iniziale di fase spiazzante (Kern, 1952).

Prima della Seconda Guerra Mondiale, infine, comincia-rono a essere studiati anche diversi metodi per il recuperomigliorato del petrolio. Si è già accennato alle tecniche diwaterflooding e d’iniezione di gas, individuate empiricamen-te e messe in pratica dai primi del Novecento. In particolare,alla fine degli anni Trenta, iniziarono le ricerche sulle tecni-che di spiazzamento con sostanze chimiche (all’inizio con alcol,per spiazzare l’acqua capillare dalla zona invasa) e sulle tec-niche di combustione in situ, sviluppate soprattutto nell’URSS.

L’esplorazione sismica e la geofisica di pozzoGli sviluppi delle misurazioni geofisiche di tipo sismico,

a riflessione e a rifrazione, sono stati fondamentali (e lo sonoancora) per l’esplorazione petrolifera. La sismologia iniziò asvilupparsi nella seconda metà dell’Ottocento in concomi-tanza con l’inizio dello studio scientifico dei terremoti, inseguito al quale John Clarence Karcher elaborò la teoria dellasismica a riflessione. Nel 1913 un fisico di Boston, Reginald

STORIA

538 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 15: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Fessendern, dopo aver utilizzato una sorgente di onde sonoreper misurare la profondità degli oceani, ideò uno strumentoper misurare la riflessione e la rifrazione di onde sismiche nelsottosuolo, brevettando nel 1914 un metodo e uno strumentoper localizzare i giacimenti minerari. Contemporaneamente,lo scienziato tedesco Ludger Mintrop ideò un sismografo mec-canico, poi largamente usato nella Prima Guerra Mondiale perlocalizzare le artiglierie nemiche, e notò che per migliorare laprecisione delle misure era necessario introdurre assunzionisul tipo di formazioni presenti nel sottosuolo. Al termine delconflitto, Mintrop capovolse il problema, riuscendo a inter-pretare i tipi di roccia attraversati dalle onde sismiche avendomisurato la distanza tra sorgente e ricevitore. Trasferitosi negliStati Uniti, egli brevettò questa tecnica nel 1923, e nel 1924nella contea di Brazoria (Texas) fu scoperto il primo campopetrolifero sulla base di immagini strutturali generate da datisismici.

Nella prima metà degli anni Venti, la sismica a riflessionesi affermò come uno dei principali metodi per la ricerca degliidrocarburi, e agli inizi degli anni Trenta vennero fondate leprime compagnie di servizio per l’esecuzione di rilievi sismi-ci (Geophysical Research Corporation, guidata dallo stessoKarcher, Geophysical Services, Petty Ray), che diedero ungrosso impulso a nuove ricerche in questo campo. Dopo la finedella Seconda Guerra Mondiale la Geophysical Services acqui-stò una licenza per costruire transistor (da cui poi nacque laTexas Instruments, di cui la Geophysical Services divenne unasussidiaria), che si rivelarono fondamentali per rendere più leg-gere e compatte le strumentazioni sismiche da campo.

A metà degli anni Cinquanta iniziò la registrazione deisegnali sismici su nastro magnetico, che fino ad allora era statasempre eseguita su carta. Ciò permise l’introduzione dell’ela-borazione automatica dei dati e lo sviluppo di processori ana-logici, che rivoluzionarono la raccolta e il trattamento dei dati.In questi anni, un altro passo fondamentale fu l’invenzionedella tecnica del punto comune di riflessione (common-depthpoint data stacking), ideata da William Harry Mayne, che rima-ne tuttora la tecnica principale per migliorare il rapporto trasegnale e rumore. Alla fine del decennio fu introdotto il sistemaVibroseis, un sistema a massa vibrante o battente con il qualeera possibile generare le onde necessarie per i rilievi sismici,senza dover ricorrere alla detonazione di cariche esplosive nelsottosuolo.

Un deciso miglioramento delle conoscenze delle caratte-ristiche del sottosuolo e dei fluidi di strato avvenne con l’in-troduzione delle misure geofisiche in pozzo (well logging),ideate dai fratelli Conrad e Marcel Schlumberger agli inizi delNovecento, quando la geofisica era agli albori e si studiava-no le prime applicazioni dei metodi magnetici e gravimetriciper indagare la struttura interna della Terra. L’idea di ConradSchlumberger, all’epoca professore di fisica alla École desmines di Parigi, fu che la misura della conducibilità elettricadelle rocce poteva essere adeguatamente impiegata per studiarela forma dei giacimenti minerari. I primi esperimenti, condot-ti nel 1911 a Caen, in Francia, e volti alla mappatura di curveequipotenziali in un acquifero, confermarono che tali misurenon solo erano in grado di evidenziare i giacimenti metallife-rii, ma anche di rivelare la forma delle strutture del sottosuo-lo. La tecnica base consiste nel calare nel pozzo appositi stru-menti che rilevano caratteristiche fisiche facilmente misurabi-li degli strati attraversati e le trasmettono via cavo in superficie;in seguito le misure sono interpretate con opportuni modellidi calcolo, che le correlano le proprietà petrofisiche. Nel 1921,

Marcel Schlumberger eseguì misure di resistività elettrica inun foro di 820 m di profondità, per verificare se tali misurepotessero aiutare nell’interpretazione di misure sismiche disuperficie. Presto ci si avvide che l’interpretazione di misu-re di questo tipo era estremamente preziosa per indagare lecaratteristiche dei terreni e dei fluidi del sottosuolo, e infat-ti, a questo scopo, nel 1926 i fratelli Schlumberger fondaro-no la Société de Prospection Électrique. La prima misura geo-fisica eseguita all’interno di un pozzo petrolifero fu registratanel 1927 da Henry Doll in un pozzo di 500 m nel campo diPechelbronn (Alsazia), utilizzando una tecnica per la misuradella resistività sviluppata dagli Schlumberger. Ovviamente,questa prima attrezzatura era piuttosto rudimentale; ciono-nostante, vennero eseguite misure a intervalli di 1 m lungo ilprofilo del pozzo.

Alla fine degli anni Venti i log elettrici erano già utilizzatiin Venezuela, nell’URSS e nelle Indie orientali; negli Stati Unitiessi furono utilizzati per la prima volta nel 1932 dalla Shell inCalifornia. A metà degli anni Trenta vi erano già 12 squadreche operavano nei diversi continenti utilizzando il metodo degliSchlumberger, che nel 1934 avevano fondato una importanteimpresa di prospezioni del sottosuolo, la Schlumberger WellSurveying Corporation (poi Schlumberger Well Services e piùtardi ancora Schlumberger Wireline & Testing).

Le misure geofisiche in foro iniziarono presto ad ampliar-si e specializzarsi: il primo log di potenziale spontaneo fu regi-strato nel 1931, mentre nel 1938 si ebbe il primo log radioat-tivo a neutroni ideato da R.E. Fearon e perfezionato nel 1941da Bruno Pontecorvo. Negli anni Quaranta vi fu una svoltadecisiva nel campo dell’interpretazione dei log, disciplina cheda puramente qualitativa iniziò a diventare anche quantitativa.Nel 1941 G.E. Archie pubblicò un famoso lavoro, The electric-al resistivity log as an aid in determining some reservoir char-acteristics, in cui analizzava le relazioni esistenti tra resistivitàelettrica e saturazione in acqua delle formazioni, avviando unfruttuoso campo di ricerca sull’analisi dei log per calcolare leproprietà fondamentali dei giacimenti di idrocarburi, comeporosità, permeabilità, saturazione, ecc. (Archie, 1941).

Il controllo della perforazione e lo studio integrato dei giacimenti (il Secondo Dopoguerra e le tecnologie moderne)

Sin dagli inizi degli anni Quaranta, la ricerca nel campodell’industria petrolifera si estese gradualmente dagli enti diricerca pubblici alle compagnie private e ai laboratori delle uni-versità. Inoltre, già dagli anni Trenta, sia le compagnie petro-lifere sia le compagnie fornitrici di beni e servizi si convinse-ro che il progresso e lo sviluppo dell’industria petrolifera eranostrettamente legati allo sviluppo della tecnologia, che la tec-nologia poteva essere sviluppata solo con la ricerca e che, stan-te la sempre maggiore complessità dei problemi e delle cono-scenze, questa ricerca poteva essere condotta efficacemente ein maniera competitiva solo da gruppi di ricerca forti e nume-rosi, composti di specialisti in diversi campi, e certamente nonpoteva più essere sviluppata da singoli studiosi, come era statofino ad allora. Per questo motivo, a partire dal Secondo Dopo-guerra è molto difficile collegare i risultati delle ricerche o losviluppo di nuove tecnologie a un singolo ricercatore, essen-do la maggior parte degli studi affidati a gruppi di ricerca com-plessi, spesso molto numerosi. Inoltre, sempre più spesso i pro-gressi in campo scientifico e tecnico furono protetti da brevetti

STORIA DELL’UPSTREAM

539VOLUME V / STRUMENTI

Page 16: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

industriali facenti capo a piccole o grandi compagnie, che gra-zie a questi si imporranno sul mercato e faranno la loro fortu-na commerciale.

L’ingegneria di pozzoA partire dagli anni Cinquanta, gli impianti di perforazio-

ne a rotazione si perfezionarono sempre di più, sia come auto-mazione, sia come modularità e facilità di trasporto (per esem-pio, negli impianti mobili le torri tipo derrick furono sostitui-te da antenne reticolari dette mast, più facilmente trasportabili).I motori a vapore, utilizzati fino agli anni Quaranta, furonosostituiti da motori a combustione interna (diesel o a gas),accoppiati agli utilizzatori principali (pompe fango, argano etavola rotary) tramite sistemi a trasmissione meccanica concambio e frizione (compound), poi sostituiti da sistemi a tra-smissione elettrica, dapprima a corrente continua (con regola-zione del tipo Ward-Leonard) e successivamente a correntealternata (con raddrizzatori al silicio o con gli odierni variato-ri di frequenza), per renderne più flessibile l’uso e la sistema-zione in cantiere.

In questo periodo, la ricerca continua di nuovi giacimentiimpose di perforare pozzi sempre più profondi. Nel 1947 fusuperata la profondità di 4.500 m, già raggiunta nel 1938, edue anni dopo, nel 1949, furono oltrepassati i 6.000 m. Que-sto record rimase imbattuto fino al 1958, anno in cui nel Texasfu perforato un pozzo di 7.700 m. Negli anni Sessanta e Set-tanta vi fu una vera corsa a perforare pozzi sempre più profon-di: la soglia dei 9.000 m fu valicata nel 1974 in Oklahoma conil pozzo Bertha-Rogers 1 di 9.580 m. In seguito, a parte i pozzisperimentali per l’esplorazione geologica e geofisica (comequello nella penisola di Kola, in Russia, che raggiunse la profon-dità di 12.260 m, e il KTB (Kontinentales TiefBohrprogramm),in Baviera nei pressi di Bayreuth, di 9.100 m), il pozzo petro-lifero commerciale più profondo – il Wytch Farm M11 – fuperforato in Inghilterra nel 1998, con un’estesa traiettoria oriz-zontale, che raggiunse la profondità misurata di 10.650 m.

Alla fine degli anni Quaranta venne sviluppata un’importan-te novità tecnologica, quando il sovietico Matvej AlkumovichKapeljushnikov mise a punto un’attrezzatura di perforazioneoriginale, la turbina idraulica (turbodrill), che rimase pratica-mente sconosciuta in Occidente fino ai primi anni Cinquanta.Il turbodrill, perfezionato da Yakov A. Gelfgat dell’Istituto diricerca sulla perforazione di Mosca, rivoluzionò la tecnicarotary, rendendola meno vincolata alle apparecchiature di super-ficie. Con questa tecnologia, il moto rotatorio dello scalpelloè generato al fondo della batteria di aste, direttamente sopra loscalpello, e quindi la perforazione può progredire anche inassenza di rotazione della batteria.

Contemporaneamente, i tecnici sovietici studiarono ancheun diverso tipo di motore di fondo foro, cercando di adattareun motore elettrico di potenza alla geometria ristretta della bat-teria di perforazione. Tuttavia, le grosse difficoltà tecniche edi affidabilità, legate ai possibili metodi di alimentazione deimotori elettrici, limitarono le applicazioni solo a modelli ditipo sperimentale, e la tecnologia non raggiunse mai il livellocommerciale. In Occidente, gradualmente la perforazione conmotori di fondo foro ritornò a essere utilizzata, e fu sviluppa-to un diverso tipo di motore di fondo di tipo idraulico. A par-tire dalla fine degli anni Cinquanta, riprese lo studio di una mac-china idraulica già nota dai primi del Novecento, la pompa acavità progressiva o a spostamento positivo (o pompa Moineau,dal nome del suo inventore René Moineau, 1930). Tale mac-china, fatta funzionare al contrario, vale a dire fornendo

pressione idraulica per ottenere coppia all’albero motore, puòegregiamente essere adoperata come un motore volumetricodi potenza, adeguato agli scopi della perforazione. Attualmentei motori di fondo foro di questo tipo (i già citati PDM) sonoimpiegati ovunque, e sono indispensabili nella perforazionedirezionata e orizzontale.

Nel campo della perforazione rotary, un’ulteriore innova-zione fu l’introduzione delle teste motrici, o motori di testaforo (top drive), che hanno permesso l’eliminazione della tavo-la rotary. La prima attrezzatura di rotazione della batteria inte-ramente idraulica fu prodotta già nel 1953, ma solo a partiredagli anni Ottanta la maggior parte dei nuovi impianti di perfo-razione fu munita di top drive, azionati da motori idraulici oelettrici. Il top drive permette numerosi vantaggi sia operativi,in termini di sicurezza e velocità delle operazioni, sia di ingom-bro, consentendo l’eliminazione dell’asta motrice, della tavo-la rotary e della testa di iniezione. Il top drive, insieme ai moto-ri di fondo foro, rappresenta l’evoluzione più significativa degliimpianti per la perforazione petrolifera degli ultimi cinquant’annie probabilmente il prossimo passo sarà nella direzione di impian-ti completamente comandati da sistemi oleodinamici o pneu-matici.

Per quanto riguarda la perforazione direzionata, lo svilup-po dei motori di fondo foro, unito agli studi teorici e applica-ti del comportamento della batteria di perforazione soggetta acompressione, eseguiti da Arthur Lubinski verso la metà deglianni Cinquanta, portarono allo sviluppo di tecniche di con-trollo della traiettoria del pozzo estremamente sofisticate. Ilcontrollo della traiettoria fu affidato a strumenti di misura diinclinazione e direzione del foro molto precisi, ricchi di com-ponenti elettronici, che portarono nella seconda metà degli anniOttanta all’introduzione di un rivoluzionario sistema di misu-ra e di controllo della traiettoria in tempo reale. Si tratta delsistema detto MWD (Measurements While Drilling), che diven-ne ben presto di uso comune in tutta la perforazione direzio-nata, generando un continuo e rapido affinamento dei metodi,della precisione e della tecnologia impiegata, oltre che dellariduzione dei costi del servizio. Il metodo di controllo si avva-le della registrazione in telemetria, attraverso il fango pompa-to all’interno del foro, di impulsi di pressione generati da undispositivo posto all’interno della batteria, vicino al fondo foro,che misura l’inclinazione e la direzione in tempo reale trami-te sensori elettronici allo stato solido.

Nella prima metà degli anni Ottanta, inoltre, furono svi-luppati metodi innovativi per la perforazione direzionata, unen-do al sistema MWD un particolare motore di fondo tipo PDMopportunamente angolato, come i sistemi guidabili (Steerable)sviluppati nel 1984 dalla Norton Christensen. Questi sistemisono in grado di eseguire l’intera traiettoria direzionata (com-prese le correzioni di traiettoria sul piano orizzontale) senzanecessità di effettuare manovre per cambiare l’assetto e la rigi-dità della batteria di perforazione. Il vantaggio, oltre a un migliorcontrollo della traiettoria, risiede nel risparmio del tempo dinoleggio dell’impianto, divenuto particolarmente sensibile negliultimi decenni (attualmente, le tariffe di noleggio dei grandiimpianti per la perforazione a mare possono oltrepassare i200.000 euro al giorno). Negli anni Novanta, la messa a puntodi particolari sistemi per la registrazione di alcuni log in fasedi perforazione detti LWD (Logging While Drilling, v. oltre)ha contribuito allo sviluppo di innovativi sistemi di misura com-binata, comunemente denominati Geosteering. Questi sonoutilizzati nella perforazione direzionata e, insieme alla possi-bilità di guidare la traiettoria del foro in tempo reale, rileva una

STORIA

540 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 17: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

serie di misure in prossimità dello scalpello, permettendo diperforare pozzi direzionati non solo in base alla traiettoria geo-metrica definita in fase progettuale, ma seguendo l’obiettivominerario sulla base dei dati geometrici, litologici e petrofisi-ci acquisiti istantaneamente. Questi sistemi sono stati ulte-riormente perfezionati, con l’introduzione di motori guidabi-li, dotati di stabilizzatori espandibili, che permettono un con-trollo estremamente preciso della traiettoria (sistemi a controlloautomatico della traiettoria), e possono essere impiegati ancheper la perforazione di pozzi quasi perfettamente verticali (siste-mi per il controllo della verticalità), utili per realizzare le moder-ne configurazioni del foro note come slim profile.

Come è stato precedentemente accennato, dagli anni Cin-quanta furono sempre più utilizzati fluidi di perforazione a based’olio, ideali per la perforazione dei giacimenti, poiché nondanneggiano le formazioni mineralizzate. In seguito, furonointrodotti fanghi resistenti alle alte temperature, o che poteva-no tollerare forti contaminazioni di acqua salata o di grandivolumi di argilla perforata, e si accentuò la specializzazionedegli additivi, quali lignosulfonati e polimeri, per la stabiliz-zazione delle proprietà reologiche. Inoltre, furono sviluppatianche sistemi di perforazione a gas, aria, schiume e fanghi aera-ti, utili per la perforazione di strati in sottopressione e nellaperforazione geotermica. Alla fine degli anni Settanta, all’au-mentare della sensibilità ai problemi della salvaguardia dellasalute e dell’ambiente, nella scelta dei fluidi di perforazionefurono presi in considerazione, oltre al costo e alle prestazio-ni, anche i problemi ambientali. Dagli anni Novanta in poi sonostati studiati fanghi a base di oli minerali o sintetici e, in gene-rale, fanghi a base di liquidi a bassa tossicità ambientalmentecompatibili.

Per quanto riguarda gli sviluppi degli utensili di perfora-zione, si ricorda che negli anni Cinquanta furono poste le basiteoriche per l’ottimizzazione idraulica della perforazione. Inseguito a ciò, gli scalpelli a rulli furono modificati con l’in-troduzione di ugelli calibrati per aumentare le velocità di usci-ta del fluido di perforazione (jet circulation), al fine di tenerpulita la struttura tagliente e incrementare la velocità di avan-zamento (Nolley et al., 1948; Bielstein e Cannon, 1950). Sem-pre in questo ambito, furono ideati sistemi di laboratorio persimulare le condizioni di perforazione con impianti a piccolascala che, uniti allo sviluppo teorico e pratico della meccani-ca delle rocce, fecero comprendere numerosi fenomeni cheregolano la perforazione, come, per esempio, l’effetto dellapressione differenziale nei confronti della velocità di avanza-mento (Cunningham ed Eenink, 1959; Garnier e van Lingen,1959).

Nel 1951 fu introdotto il primo scalpello a rulli con inser-ti in carburo di tungsteno o scalpelli TCI (Tungsten CarbideInserts), in grado di perforare, con un’usura limitata dell’u-tensile, formazioni dure e abrasive, e negli anni Settanta furo-no sperimentati i primi scalpelli con cuscinetto sigillato, dap-prima con cuscinetto a rullini, poi con cuscinetto a frizione.

La tecnologia degli scalpelli ebbe una svolta nei primi anniSettanta, quando fu sperimentato un nuovo tipo di materiale,il diamante sintetico policristallino o PDC (Polycrystalline Dia-mond Compact). Questo nuovo materiale, molto più resisten-te all’abrasione rispetto al carburo di tungsteno, permise la rea-lizzazione di scalpelli monoblocco a lame fisse, su cui sonomontati cilindretti taglienti di PDC. I primi scalpelli PDC simostrarono immediatamente in grado di poter competere conquelli a rulli, grazie soprattutto all’affidabilità intrinseca, poi-ché non possiedono parti in movimento (che possono usurarsi,

distaccarsi e rimanere a fondo foro), e quindi potevano essereaccoppiati ai motori di fondo foro. A partire dalla metà deglianni Novanta, gli scalpelli PDC sono diventati una valida alter-nativa agli scalpelli a rulli, e attualmente sono il tipo più uti-lizzato nell’industria della perforazione. In seguito, furono spe-rimentati nuovi materiali sempre a base di diamante sintetico,quale il diamante policristallino termostabile o TSP (ThermallyStable Polycrystalline diamond) e i taglienti a matrice di dia-mante impregnato.

L’evoluzione delle tecniche relative al completamento deipozzi ha visto numerosi miglioramenti negli ultimi decenni.Dopo la Seconda Guerra Mondiale i proiettili d’acciaio per laperforazione del casing furono affiancati dall’impiego di cari-che cave. Tale tecnologia è tuttora quella maggiormente uti-lizzata, ed è stata migliorata con il progetto di fucili perfora-tori capaci di ospitare un’alta densità di carica con precise sepa-razioni angolari. Inoltre, dalla fine degli anni Cinquanta, perridurre il danneggiamento della formazione, è stata messa apunto la tecnica di perforazione del casing con il pozzo in con-dizioni underbalance.

Nel caso di un pozzo che interessi più orizzonti mineraliz-zati contenenti fluidi non compatibili tra loro (sia per diversacomposizione, sia per diverse caratteristiche fisiche o chimiche),la produzione può essere ottenuta separando i vari orizzonti conopportuni packer che sigillano l’intercapedine casing-tubing eattrezzando il tubing con valvole apribili dalla superficie checonsentono di mettere in produzione gli strati mineralizzati inmaniera selettiva, secondo i programmi stabiliti dagli studi digiacimento. Dagli inizi degli anni Cinquanta (e forse anche prima)sono entrati in uso i completamenti multipli che permettono laproduzione simultanea di più strati, i quali hanno portato allosviluppo di packer sempre più sofisticati, sia come progetto, siacome materiali impiegati, sia come tecnica di fissaggio. Daglianni Ottanta con il termine completamento si è inteso indicarenon più la semplice installazione di dispositivi di isolamentoidraulico e tubazioni, quanto la ottimizzazione della produzio-ne del pozzo, includendo numerose tecnologie per limitare lafuoriuscita di sabbia dagli strati produttivi.

Agli inizi degli anni Novanta, infine, sono stati perforatipozzi a più rami suborizzontali (multilateral, multibranch) chepermettono di migliorare la produzione in presenza di oriz-zonti mineralizzati multipli di piccolo spessore. I tratti pro-duttivi di questi pozzi presentano spesso difficoltà di comple-tamento, e la relativa tecnica è in fase di rapida evoluzione.

Infine, per aumentare la permeabilità nell’intorno del pozzosono state sviluppate, da una parte, tecniche di lavaggio o diiniezione in strato di soluzioni acide e, dall’altra, svariate nuovemetodologie di fratturazione idraulica (Clark, 1949; Clark etal., 1952). I principali miglioramenti sono stati nel campo dellosviluppo dei fluidi di fratturazione, per ottenere fratture piùlunghe e più ampie, additivi per ridurre le perdite di fluido nellefratture e tecniche per realizzare fratture multiple. Come curio-sità, si ricorda che nel 1957 per aumentare la permeabilità inun giacimento di gas si ricorse all’uso dell’energia nucleare(Progetto Gasbuggy), ma il gas prodotto risultò radioattivo.

Restando sempre nel campo dell’ingegneria di pozzo, unnuovo importante contributo alla perforazione è stato portatodalla tecnica delle perforazioni orizzontali, sviluppatasi com-mercialmente negli ultimi due decenni del Novecento, impie-gata per aumentare la produttività dei pozzi e il fattore di recu-pero degli idrocarburi, grazie a un aumento della superficie didrenaggio. Essa viene adoperata soprattutto nelle formazionifratturate e nei giacimenti discontinui o di piccolo spessore.

STORIA DELL’UPSTREAM

541VOLUME V / STRUMENTI

Page 18: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

I primi sviluppi tecnologici documentati relativi alla perfo-razione dei pozzi orizzontali furono compiuti agli inizi deglianni Quaranta, quando John Eastman e John Zublin perfezio-narono alcune attrezzature a corto raggio per incrementare laproduttività di alcuni pozzi in California, che in qualche modoanticiparono la moderna tecnologia dei pozzi multilaterali.Queste attrezzature, essenzialmente delle aste pesanti flessi-bili con giunti incernierati che potevano ruotare, erano in gradodi perforare traiettorie con raggi di curvatura compresi tra 60e 100 m, con sezioni orizzontali lunghe fino a 150 m, e per-mettevano di perforare numerosi rami laterali all’interno di unostesso pozzo, in una stessa formazione, in varie direzioni attor-no al pozzo. Secondo il DOE (Department of Energy) statuni-tense il primo pozzo orizzontale sarebbe stato perforato a Texon(Texas) nel 1929, cui seguì nel 1937 il pozzo di Yarega, nel-l’URSS. Negli anni Cinquanta, sempre nell’URSS, furonoperforati oltre 40 pozzi orizzontali, ma in seguito tale tecnicafu abbandonata, poiché con la tecnologia d’allora fu giudica-ta troppo costosa rispetto ai benefici produttivi che ne deriva-vano. Un certo successo ebbero, sempre nell’URSS, anchealcuni pozzi multilaterali, perforati con una tecnica sviluppa-ta da Alexander Grygorian che prevedeva l’utilizzazione di tur-bine di fondo foro: il primo pozzo fu perforato nel campo diBashkortostan nel 1953, cui ne seguirono diversi altri. A metàdegli anni Sessanta, le tecniche di perforazione orizzontalefurono sviluppate altresì in Cina, ma anche in questo paese latecnica fu giudicata antieconomica.

Solo vent’anni dopo, negli Stati Uniti, iniziarono ulterioriricerche in questo campo. Agli inizi degli anni Ottanta, l’evo-luzione della modellistica numerica dei giacimenti mostrò l’ef-ficacia dei pozzi multilaterali a corto raggio, che diede un ulte-riore impulso a tentare applicazioni industriali di questa tec-nologia, e dal 1979 al 1981, nel New Mexico, furono perforaticon successo dodici pozzi orizzontali. Questa esperienza portòal perfezionamento dell’odierna tecnica detta a medio raggiodi curvatura (circa 150 m), sviluppata utilizzando motori difondo foro e i primi sistemi MWD. Il primo pozzo orizzonta-le perforato con questa tecnica fu realizzato nel 1985, e allafine del decennio in America Settentrionale si contavano oltre300 pozzi di questo tipo. Esperienze parallele erano in corsoanche in Europa. Nel 1977, in Francia furono avviati studi eprogetti che nel 1980 portarono alla realizzazione di un pozzoorizzontale a lungo raggio, con un’inclinazione di 90°, perfo-rato senza l’ausilio di motori di fondo, nel campo di Lacq (Fran-cia meridionale). In seguito a questi successi tecnologici, nel1982 furono perforati in Italia i primi pozzi produttivi oriz-zontali offshore, nel campo di Rospo Mare, nell’Adriatico meri-dionale. Nonostante questi primi esiti positivi, l’industria svi-luppò a fondo la tecnologia dei pozzi orizzontali solo nel decen-nio successivo, che rappresenta il suo vero periodo d’oro, conoltre 3.000 pozzi perforati nei soli Stati Uniti (dal 1990 al 1998).

Di grande importanza è stato anche lo sviluppo dei moder-ni sistemi di intervento sui pozzi e di sistemi di perforazioneeseguiti senza l’ausilio dell’impianto classico, tecnologia, que-sta, nota come coiled tubing. Concepita per scopi bellici inInghilterra, per posare rapidamente un tubo di piccolo diame-tro sotto il Canale della Manica, allo scopo di rifornire di ben-zina le truppe alleate che stavano sbarcando in Normandia (pro-getto PLUTO, PipeLine Under The Ocean), fu poi sviluppataindustrialmente dalla Bowen insieme alla California Oil e intro-dotta sul mercato nel 1962 nel campo degli interventi sui pozziin produzione (workover). In seguito la tecnologia coiled tubingfu notevolmente migliorata (attualmente esistono diverse decine

di compagnie che forniscono questo servizio), e nel 1990 laEastman Christensen la introdusse anche nel campo della perfo-razione. L’impianto e la batteria di perforazione sono sostituitida una tubazione continua di qualche pollice di diametro arro-tolata su una bobina di qualche metro di diametro. Il tubo, chefunge da batteria di perforazione, è svolto e riavvolto dalla bobi-na con l’ausilio di particolari sistemi di trazione, che ne limi-tano e controllano le deformazioni. È interessante rilevare comein questa tecnologia l’acciaio del tubo sia soggetto a tensioniche spesso superano il limite elastico dell’acciaio. Sempre inquest’ambito, si ricordano le recenti applicazioni di materialetubolare il cui diametro può essere espanso in pozzo (expand-able tubular), utile per risolvere numerosi problemi tecnicinell’ambito delle complesse architetture dei pozzi moderni.

Infine, merita di essere menzionata anche la moderna tec-nologia detta casing drilling, in cui la batteria di perforazioneè sostituita dallo stesso casing impiegato per rivestire il pozzo;in questo modo è possibile realizzare tolleranze più strette trale colonne di rivestimento, oltre a ridurre il tempo di utilizza-zione dell’impianto per l’esecuzione delle manovre e per ladiscesa del casing stesso.

La perforazione offshoreIl primo pozzo in mare (offshore) fu perforato nel 1897 da

un pontile nei pressi di Santa Barbara, in California. Nel ten-tativo di seguire alcuni giacimenti costieri che continuavanoverso il mare aperto, si pensò da una parte di realizzare pozziin mare, posizionando gli impianti di perforazione su robustipontili che si protendevano al largo per un centinaio di metri,e dall’altra di perforare pozzi dalla battigia, direzionati oltre lalinea di costa.

Nei primi decenni del Novecento vennero eseguite diver-se perforazioni in acque protette (per esempio, nelle paludi,lagune o baie del Golfo del Messico), ponendo gli impianti supiattaforme o pontoni affondabili (drilling barge), che per-mettevano la perforazione in pochissimi metri di acqua facen-do appoggiare lo scafo del natante sul fondale. Verso la finedegli anni Quaranta iniziò la perforazione offshore a livelloindustriale, tramite piattaforme poste su pali infissi nel fonda-le marino o con pontoni affondabili a struttura reticolare (sub-mersible bottle platform) che potevano essere utilizzate comeimpianti di perforazione mobili. Successivamente, per limita-re gli alti costi necessari per la costruzione di pontoni affon-dabili sempre più grandi, furono ideate le piattaforme di perfo-razione autosollevanti, comunemente dette jack-up, in gradodi posare le zampe sul fondo e di operare in diverse decine dimetri di fondale. Il primo jack-up commerciale entrò in servi-zio nel 1954 e attualmente esistono impianti con gambe lun-ghe 150 m, capaci di perforare in fondali di oltre 100 m.

La necessità di perforare in acque sempre più profondeportò, alla fine degli anni Quaranta, allo sviluppo delle primenavi di perforazione (drillship), scafi riadattati (solitamentevecchie carboniere, baleniere o incrociatori) nella cui carenaera ricavata un’apertura (moonpool) su cui si installava la torredi perforazione con le relative attrezzature. In parallelo, a par-tire dalla fine degli anni Cinquanta, si svilupparono i cosid-detti impianti semisommergibili, costituiti da una piattaformaa pianta triangolare, rettangolare o pentagonale, collegata ascafi sommersi mediante grosse colonne.

Con gli impianti poggiati a fondo mare, la tecnica di perfo-razione è eguale a quella impiegata negli impianti a terra, e latesta pozzo è posta in superficie, mentre nella perforazione conimpianti galleggianti (navi o semisommergibili), non collegati

STORIA

542 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 19: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

rigidamente col fondale, la testa pozzo e i sistemi di sicurez-za (BOP, Blow Out Preventer) sono posti a fondo mare, e col-legati con l’impianto di perforazione mediante apposite con-dotte (riser) per il ritorno dei fluidi di perforazione. Gli impian-ti galleggianti sono tenuti in posizione mediante sistemi diancoraggio (fino a qualche centinaio di metri di fondale), oppu-re con sistemi a posizionamento dinamico, tramite la spinta dieliche comandate da sistemi elettronici di controllo (sviluppa-ti a partire dal 1961 con il famoso progetto Mohole, che si pro-poneva di perforare la crosta oceanica per esplorazioni geofi-siche fino a fondali di 6.000 m). Attualmente, con i sistemi aposizionamento dinamico si è in grado di perforare sino a circa3.000 m di battente d’acqua.

In Europa, il primo pozzo in mare fu perforato nel 1959 inun giacimento di olio al largo di Gela, in Sicilia. Nel 1960 ini-ziò lo sviluppo dei giacimenti a gas al largo della costa di Raven-na, dove fu perforato il primo pozzo offshore europeo per laproduzione di gas. Nei primi anni Settanta, la scoperta dei gran-di giacimenti del Mare del Nord e del Golfo del Messico diedelo stimolo definitivo per lo sviluppo di tecnologie sempre piùraffinate per la ricerca e la produzione di idrocarburi offshore.Attualmente esistono piattaforme fisse di produzione in fon-dali di oltre 350 m, mentre con impianti di produzione galleg-gianti il limite tecnologico per lo sviluppo e la messa in pro-duzione di un giacimento offshore è dell’ordine di 1.800 m difondale (nel 1997 era di soli 800 m). Questo limite è in fase dirapida crescita, poiché l’innovazione tecnologica in questocampo è estremamente attiva e numerosi campi ‘marginali’potranno così essere messi in produzione, collegandoli a piat-taforme esistenti o utilizzando strutture di produzione galleg-gianti (FPSO, Floating Production Storage and Offloading).

A questo proposito, lo sviluppo dei completamenti sotto-marini è una sorta di fiore all’occhiello dell’ingegneria degliidrocarburi, poiché si tratta di tecnologie estremamente raffi-nate, tra le più complesse mai tentate dall’uomo. Il primo com-pletamento sottomarino fu installato nel 1961 nelle acque sta-tunitensi del Golfo del Messico (West Cameron block 192),in 16 m d’acqua, cui seguirono altri completamenti in Califor-nia (campo di Conception). Da allora sono stati completati,con le più svariate tecnologie, più di 1.100 pozzi, due terzi deiquali sono ancora in esercizio. Negli anni Sessanta la massi-ma profondità in cui furono installate teste pozzo sottomari-ne non superò mai i 190 m, e per la gestione dei pozzi furonosviluppate le tecnologie TFL (Through Flow Line), che con-sentivano di inviare dispositivi per il controllo e la regolazio-ne della produzione a fondo pozzo attraverso le linee di pro-duzione; in questo modo si poteva gestire la produzione delpozzo in modo ottimale, eliminando i costosi workover inacque profonde.

Negli anni Settanta e Ottanta, lo sviluppo dei completa-menti sottomarini riguardò essenzialmente la sicurezza dellestrutture fisse (alcune furono interrate nel fondale marino) elo sviluppo di sistemi installabili senza sommozzatori (diver-less) e crebbero sia la distanza dei pozzi isolati dalle piattaformefisse, sia la profondità di posa (che alla fine degli anni Ottan-ta raggiunse 220 m). Nel 1971 fu installato il primo comple-tamento sottomarino nel Mare del Nord in 70 m d’acqua (campodi Ekofisk). Attualmente il Mare del Nord ospita oltre il 40%di tali completamenti, i più complessi dei quali sono installa-ti in acque norvegesi. Il 1975 vide la realizzazione del primosistema di produzione galleggiante, o FPSO (Floating Pro-duction, Storage and Offloading), situato nel campo di Argyll,nel settore britannico del Mare del Nord, dove nel 1981

fu sviluppato anche il campo di Buchan e nel 1986 quello di Balmoral in oltre 120 m d’acqua. A metà degli anni Novantanel settore norvegese entrarono in produzione i campi di Snor-re e Åsgard, quest’ultimo particolarmente impegnativo, poi-ché conta 59 completamenti sottomarini. Nel 1997 fu messoin produzione il campo di Mensa, nel Golfo del Messico, 150miglia a sud-est di New Orleans (Canyon block 687), situatoin acque profonde, in cui tre pozzi satelliti producevano conuna pressione di testa di 700 bar e inviavano la produzione auna piattaforma distante oltre 100 km. Lo stesso anno iniziòla produzione anche dal campo di Troika, sempre nel Golfo delMessico, con testa pozzo collocata a una profondità di 820 m.Negli anni Novanta furono introdotte le teste pozzo orizzon-tali, su cui è più facile eseguire interventi e manutenzioni, efurono sviluppati sistemi di completamento sottomarini percampi ad alta pressione, che attualmente sono in grado di gesti-re pressioni dell’ordine di 1.000 bar.

Dalla fine degli anni Novanta a oggi la frontiera tecnolo-gica dello sviluppo dei completamenti sottomarini si è sposta-ta nell’offshore brasiliano, dove sono stati raggiunti numerosirecord di profondità. Nel bacino di Campos il primo comple-tamento sottomarino fu messo in opera nel 1977 in 117 m d’ac-qua nel campo di Enchova, mentre nel 1999 una testa pozzodel campo di Roncador fu posata a 1.853 m di profondità. Sem-pre negli anni Novanta è iniziato lo sviluppo della tecnologiadelle pompe multifase a fondo mare, spesso indispensabili perl’invio agli impianti di trattamento dei fluidi prodotti a testapozzo da campi remoti e siti in acque profonde.

L’ingegneria di giacimento e gli sviluppi della sismica e della geofisica di pozzo

La sistematizzazione e la formalizzazione matematica del-l’ingegneria dei giacimenti di idrocarburi, iniziate negli anniTrenta, proseguirono anche nell’immediato dopoguerra e pote-vano ritenersi quasi completamente concluse già agli inizi deglianni Cinquanta. Gli sviluppi successivi furono mirati a unasempre più spiccata ottimizzazione delle varie tecnologie versola loro gestione globale e integrata, avvalendosi, nel campodello studio dei giacimenti, della modellistica numerica svi-luppatasi di pari passo con le maggiori possibilità offerte dalcalcolo automatico.

L’equazione del bilancio di massa per i giacimenti chiusie il metodo per il calcolo dell’ingresso d’acqua proposto nel1949 da van Everdingen e da Hurst furono ulteriormente raf-finati negli anni successivi nel caso di applicazione dell’equa-zione del bilancio di massa ai giacimenti di olio sottosaturo,tenendo anche conto della compressibilità della matrice poro-sa. Furono inoltre proposti metodi semplificati per il calcolodel recupero di olio e di gas (Welge, 1952).

Negli anni Cinquanta fu concluso lo studio analitico e pra-tico del comportamento della pressione di pozzo durante leprove di strato in regime transitorio, grazie agli studi di C.C.Miller, A.B. Dyes e C.A. Hutchinson Jr. (Miller et al., 1950) edi D.R. Horner (Horner, 1951), e allo sviluppo dei metodi perla determinazione della pressione media in giacimenti chiusi(Mattews et al., 1954). Anche la legge empirica di Darcy, appli-cata per oltre un secolo allo studio del moto dei fluidi nei mezziporosi, fu giustificata teoricamente da Marion King Hubbertnel 1956, che la ricondusse ai teoremi fondamentali dell’idro-dinamica (Hubbert, 1956).

L’ottimizzazione della spaziatura e della distribuzione deipozzi, problema sempre più sentito per aumentare il fattore direcupero, richiedeva lo studio dell’avanzamento dei fronti di

STORIA DELL’UPSTREAM

543VOLUME V / STRUMENTI

Page 20: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

spiazzamento dell’olio da parte del gas e soprattutto dell’ac-qua. Questi studi furono dapprima affrontati mediante model-li analogici, basati sull’analogia formale del flusso dell’acquanei mezzi porosi, retto dalla legge di Darcy, e del flusso del-l’elettricità nei conduttori, retto dalla legge di Ohm. A talescopo furono introdotti inizialmente modelli analogici bidi-mensionali di moto stazionario mediante carta assorbente, gela-tina, oppure vasche elettrolitiche. In seguito furono escogitatimodelli più raffinati, a reti di resistenze (Muskat, 1949). Imodelli analogici a carta assorbente o a gelatina permetteva-no di determinare il fronte di avanzamento dell’olio misuran-do la velocità di avanzamento degli ioni ossidrile (OH�) che,in presenza di un elettrolita a base di fenolftaleina, ne eviden-ziava, almeno in prima approssimazione, l’avanzamento neltempo, mentre nelle vasche elettrolitiche e nei modelli a reti diresistenze l’avanzamento era calcolato in base alla distribu-zione del potenziale elettrico. Furono realizzate anche vascheelettrolitiche o modelli a gelatina che simulavano la variazio-ne di permeabilità degli strati produttivi variandone lo spesso-re. La simulazione di problemi di produzione, tuttavia, richie-deva lo studio del moto nel transitorio, che era possibile simu-lare soltanto con modelli analogici a reti di resistenze econdensatori (Paschkis, 1942). La Gulf, una delle prime azien-de a utilizzare queste tecniche, costruì complessi modelli digiacimento a spinta d’acqua e con parziale cappa di gas.

Se la determinazione dell’olio in posto e le previsioni diproduzione effettuate applicando l’equazione adimensionaledel bilancio di massa considerano il giacimento globale e for-niscono l’ingresso d’acqua come flusso radiale o lineare nel-l’acquifero, il modello analogico permetteva la discretizza-zione del fenomeno e, quindi, anche lo studio locale delladistribuzione delle pressioni. Il modello analogico, tuttavia,presentava molte limitazioni ed era poco flessibile e moltocostoso. Per superare tali limiti, non appena lo sviluppo deicalcolatori numerici e la loro maggiore potenzialità lo permi-sero, si passò dalla elaborazione di modelli analogici a quel-la di modelli numerici, basata sulla discretizzazione delle equa-zioni differenziali che regolano il moto dei fluidi nel giaci-mento, risolte con metodi alle differenze finite, agli elementifiniti o con altri metodi numerici sempre più sofisticati svi-luppati nel tempo. I modelli numerici si dimostrarono subitopiù efficaci, economici e flessibili per effettuare le previsio-ni di produzione, note anche con il termine, introdotto agliinizi degli anni Sessanta, di simulazioni.

Entro certi limiti, definiti dalla precisione con cui sononote le caratteristiche petrofisiche del giacimento e quelle deifluidi contenuti, i modelli di calcolo possono affrontare pro-blemi di flusso multifase in due o tre dimensioni, per simula-re il comportamento sia del giacimento, sia di ogni singolopozzo sotto varie condizioni operative (moto transitorio, flus-so multifase in mezzi porosi eterogenei, ecc.). Gli enormi inte-ressi economici legati al miglioramento della gestione dellaproduzione, con le loro pressanti richieste di precisione, hannocontribuito in modo determinante allo sviluppo degli strumentidi calcolo automatico.

I calcolatori numerici e i progressi nel calcolo numericohanno permesso di raffinare i calcoli in modo decisivo. Ini-zialmente i limiti sono stati le capacità del calcolatore e il suocosto. Attualmente i calcolatori sono capaci di affrontare qual-siasi problema pratico, e l’unico limite è la precisione con cuisono forniti i dati di ingresso (caratteristiche dei giacimenti edegli acquiferi, proprietà dei fluidi, leggi che reggono il motodei fluidi, anche polifase, e il loro comportamento al variare

della pressione e della temperatura, ecc.). Dai primi studi deglianni Cinquanta di W.A. Bruce, di D.G. McCarty e J. DouglasJr. relativi al moto bidimensionale (Bruce, 1952; McCarty eBarfield, 1958; Douglas Jr., 1959), negli anni Sessanta si è pas-sati a studi di moto polifase tridimensionale, limitati princi-palmente ai due casi di moto bifase gas-liquido e trifase gas-acqua-olio (Coats et al., 1967; Briggs e Dixon, 1968), svilup-pati in seguito fino ai modelli composizionali degli anni Ottanta.

Negli anni Settanta, in un periodo di forte aumento delprezzo del greggio, si iniziarono a studiare tecniche più com-plesse per tentare di aumentare il fattore di recupero dell’olio,note anche come recupero migliorato del petrolio o tecnicheEOR (Enhanced Oil Recovery), quali lo spiazzamento misci-bile, lo spiazzamento di sostanze chimiche, l’iniezione di CO2,la stimolazione con vapore e/o acqua calda e la combustionein situ. Attualmente, fattori di recupero del 30�40% sono rite-nuti più che buoni, e quindi oltre la metà dell’olio in postorimane intrappolata nei pori del sottosuolo e non è recuperata.Pertanto, anche piccoli aumenti del fattore di recupero di ungiacimento hanno una forte incidenza sulla gestione econo-mica del medesimo.

Tali ricerche furono sviluppate sia sul piano teorico sia suquello modellistico e di laboratorio e, infine, anche con alcu-ni test di campo. Il primo impianto pilota per l’iniezione di gasmiscibili in giacimento fu avviato agli inizi degli anni Cin-quanta, iniettando propano, azoto e biossido di carbonio, spa-ziati da opportuni cuscini d’acqua. Negli anni Settanta, fu dedi-cata una particolare attenzione ai processi di recupero miglio-rato tramite iniezione di sostanze chimiche, quali soluzioni dipolimeri o fluidi alcalini contenenti sospensioni micellari dipolimeri, entrambi agenti sulla tensione interfacciale dei flui-di di giacimento. In generale, con questo metodo l’aumentodel fattore di recupero è prodotto dalla diminuzione della ten-sione interfaciale tra acqua e olio, che aumenta la mobilità del-l’olio in giacimento. Infine, furono anche messi a punto i siste-mi di stimolazione con iniezione di vapore (continua o discon-tinua) e il più economico metodo di combustione in situ,entrambi abbastanza diffusi in numerosi giacimenti di oliopesante molto viscoso (l’alta temperatura, infatti, fa diminui-re la viscosità dell’olio, facilitandone il moto verso i pozzi pro-duttori).

A partire dagli anni Novanta, benché siano apparsi alcunistudi in proposito già negli anni Settanta, I. Grant e Y. Schildbergintrodussero nella pratica industriale lo studio integrato del gia-cimento, noto anche come reservoir management. Questo tipodi studio incorpora e cerca di utilizzare, integrandole, tutte leinformazioni e le conoscenze disponibili (in particolare, quel-le geologiche e geofisiche) per giungere a una descrizione didettaglio del giacimento, confortata dalla modellistica nume-rica, su cui compiere i calcoli ingegneristici e ottimizzare lacoltivazione; negli ultimi anni, questo approccio è divenutosempre più complesso e interdisciplinare (Grant et al., 1990;Schildberg et al., 1997).

Per quanto riguarda lo sviluppo dell’esplorazione sismica,a metà degli anni Cinquanta iniziarono a essere sviluppate leattrezzature per eseguire rilievi sismici in mare con navi dedi-cate. La seconda rivoluzione nel campo dei rilievi sismici, dopol’introduzione dei dispositivi elettronici a stato solido e dellaregistrazione su nastro magnetico, si ebbe agli inizi degli anniSessanta, con l’avvento della tecnologia digitale. Nel 1961 laGeophysical Services iniziò a utilizzare la prima strumenta-zione sismica da campo fornita di un sistema di registrazio-ne digitale e di un computer per l’elaborazione dei dati. Lo

STORIA

544 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 21: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

sviluppo delle tecnologie informatiche e quello dell’interpre-tazione dei rilievi sismici si svilupparono parallelamente. Nel1963 la IBM introdusse i suoi famosi calcolatori digitali dellaserie 360, che segnarono l’inizio della diffusione commercia-le dei computer. Grazie all’accresciuta potenza di calcolo, neglianni Sessanta fu anche possibile mettere in pratica i rilievisismici tridimensionali, teoricamente già noti e studiati sin daiprimi tempi dello studio di questa disciplina e mai sviluppatiper le difficoltà legate alla registrazione di una grande mole didati e per la mancanza di strumenti di calcolo adeguati per laloro interpretazione. Il primo rilievo sismico tridimensionale(3D) fu eseguito nel 1967 nei pressi di Houston.

Nel frattempo, la disciplina dei rilievi sismici si era dota-ta di numerosi strumenti per l’interpretazione dei dati, tra cuil’elaborazione a canale singolo e a canale multiplo, le tecni-che di deconvoluzione, migrazione, inversione, riduzione delrumore, filtraggio, ecc. Nel 1972, nel campo petrolifero di BellLake (New Mexico), fu eseguita una poderosa campagna dirilievi sismici 3D, supportata da sei grandi compagnie petro-lifere americane, che confermò la rivoluzionaria efficacia diquesta tecnica nell’esplorazione del sottosuolo (occorse un solomese per l’acquisizione dei dati e due anni per la loro elabo-razione). Le immagini tridimensionali prodotte dalla sismica3D forniscono, infatti, informazioni più chiare e accurate rispet-to alla tradizionale sismica 2D. Attualmente la sismica 3D,insieme ai continui miglioramenti nelle tecniche di acquisi-zione, trattamento, interpretazione e – soprattutto – di visua-lizzazione tridimensionale dei dati in apposite camere di proie-zione, è in grado di fornire non solo precisi dettagli struttura-li delle formazioni, ma anche informazioni stratigrafiche eindicatori diretti sulla presenza di idrocarburi. Ovviamente,questa tecnica è stata subito adattata per le esigenze di rilievoin mare, e migliorata con le tecniche del cavo a fondo mareOBC (Ocean Bottom Cable).

Tra le più recenti innovazioni in questo campo si segnala-no due tecnologie di tipo sismico: • la sismica a quattro dimensioni (4D), consistente in rilie-

vi sismici 3D ripetuti nel tempo (che costituisce la quartadimensione), utili per monitorare le variazioni delle pro-prietà del giacimento (velocità dei fluidi, temperatura, pres-sione, ecc.) durante la sua vita produttiva, che permette diottimizzare la disposizione dei pozzi di produzione o inie-zione, accelerare la portata di produzione e migliorare ilfattore di recupero;

• la sismica interpozzo (crosswell), in cui si genera un segna-le all’interno di un pozzo e si registra la propagazionedelle onde sismiche all’interno di un altro pozzo. Si trat-ta di un sistema ad altissima risoluzione, l’unico in gradodi mostrare in dettaglio la presenza di faglie, discordan-ze e limiti stratigrafici, variazioni di porosità, sistemi difratture, eccetera.Dal Secondo Dopoguerra si svilupparono enormemente

anche tutte le tecniche nell’ambito delle misure geofisiche inpozzo. Nel 1940, una compagnia indipendente dell’Oklahoma,la Humble Oil, sviluppò il log gamma ray, grazie alle ricer-che di Wynn Howell e Alex Frosch, insieme a un gruppo diricerca di Tulsa, poi denominato Well Survey. Nel 1946 Dollmise a punto il log a induzione elettromagnetica e nel 1948M.R.J. Wyllie diede l’interpretazione quantitativa del log dipotenziale spontaneo, mentre nel 1954 fu registrato, da parte diR.A. Broding e dai suoi collaboratori, il primo log sonico con-giuntamente al density log introdotto dalla Lane & Wells; con-temporaneamente la Schlumberger Well Surveying Corporation

introdusse tra il 1949 e il 1951 il microlog, il laterolog e il microlaterolog. Tali misure furono ulteriormente perfezionatenel tempo da un numero crescente di ricercatori, e sono statiimpiegate nuove tecniche per rendere sempre più attendibili leinformazioni: per esempio, nel 1966 fu introdotto il formationdensity log, nel 1963 il dual-induction laterolog, nel 1970 lospectrometry gamma ray (sviluppato dalla Lane e Wells) e ildual laterolog, mentre le misure di risonanza magnetica, ben-ché studiate a questo scopo sin dalla fine degli anni Cinquanta(Brown e Fatt, 1959), risalgono solo agli anni Novanta.

Gli ultimi due decenni hanno visto lo sviluppo di metodisempre più sofisticati di registrazioni di log di pozzo, voltesoprattutto all’acquisizione indiretta di immagini del foro e distime della permeabilità della formazione, problema ancoraparzialmente irrisolto. Contemporaneamente, sono stati svi-luppati numerosi metodi per la registrazione e la trasmissionedi log in tempo reale, cioè acquisiti e trasmessi in superficiein tempo reale durante le operazioni di perforazione. Tali tec-nologie, note come LWD, stanno gradatamente sostituendo leclassiche misure via cavo, eseguite al termine della perfora-zione di ogni singola fase del pozzo. Si ottengono così note-voli riduzioni del tempo di utilizzazione dell’impianto e unamiglior gestione delle operazioni di perforazione, permetten-do di compiere le prime fondamentali valutazioni del giaci-mento non appena questo è stato perforato.

Bibliografia citata

Agricola G. (1546) De natura eorum qui effluunt ex terra lib. IV,Basel, Froben.

Agricola G. (1556) De re metallica, Basel, Froben.Alberto Magno, De mineralibus et rebus metallicis libri quinque. Archie G.E. (1941) The electrical resistivity log as an aid in

determining some reservoir characteristics, «American Instituteof Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions»,146, 54-67.

Ariosto F. (1690) De oleo Montis Zibinii, seu petroleo agri Mutinensislibellus, Hafniae, Bockenhoffer.

Arnold R., Garfias V.R. (1913) The prevention of waste of oil andgas from flowing wells in California, with a discussion of specialmethods used by J.A. Pollard, US Bureau of Mines, TechnicalPaper 42.

Avicenna, Liber canonis medicinae.Barba A.A. (1640) El arte de los metales: en que se enseña el verdadero

beneficio de los oro, y plata con azogue. El modo de fundirlostodos y como se han de refinar; y apartar unos de otros, Madrid,del Ruino.

Bielstein W.J., Cannon G.E. (1950) Factors affecting the rate ofpenetration of rock bits, «Drilling and Production Practice», 61.

Boccone P. (1671) Recherches et observations naturelles sur laproduction de plusieurs pierres, Paris, Barbin.

Brewster M.A. (1925) Discussion on some of the factors affectingwell spacing, «American Institute of Mining, Metallurgical andPetroleum Engineers. Transactions», 25, 37-46.

Briggs J.E., Dixon T.N. (1968) Some practical considerations in thenumerical solution of two-dimensional reservoir problems,«American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 243, 185-194.

Brown R.J.S., Fatt I. (1959) Measurements of fractional wettabilityof oil field rocks by the nuclear magnetic resonance, «PhysicalReview Letters», 3, 418-419.

Bruce W.A. (1952) Use of high speed computing machines for oil-production problems, «Drilling and Production Practice», 373.

Buckley S.E., Leverett M.C. (1941) Mechanism of oil displacementin sands, «American Institute of Mining, Metallurgical andPetroleum Engineers. Transactions», 146, 107-116.

STORIA DELL’UPSTREAM

545VOLUME V / STRUMENTI

Page 22: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Burat A. (1855) Traité du gisement et de l’exploitation des minérauxutiles, Paris, Langlois et Leclucq, 2v.

Carll J.F. (1880) The geology of the oil regions of Warren, Venango,Clarion and Butler Counties, Pennsylvania, Harrisburg (PA),Geological Survey of Pennsylvania.

Clark J.B. (1949) Hydraulic process for increasing productivity ofwells, «American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 186, 1.

Clark J.B. et al. (1952) A multiple-fracturing process for increasingthe productivity of wells, «Drilling and Production Practice», 104.

Coats K.H. et al. (1967) Simulation of three-dimensional, two-phaseflow in oil and gas reservoirs, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 240,377-388.

Coleman S. et al. (1930) Quantitative effect of oil-gas ratios on declineof average rock pressure, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 86, 174-184.

Cunningham R.A., Eenink J.G. (1959) Laboratory study of the effectof overburden formation and mud column pressure on drilling rateof permeable formations, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 261, 9-17.

Darcy H. (1856) Détermination des lois d’écoulement de l’eau àtravers le sable, in: Les fontaines publiques de la ville de Dijon,Paris, Dalmont.

De Jaucourt L. (1751; 1765) Asphalt; bitume; naphthe; pétrol, in:Diderot D., D’Alembert J., Encyclopédie ou dictionnaire raisonnédes sciences, des arts et des métiers, Paris, Briosson, 1751-1772,v.I, II, X, XII.

Diderot D., D’Alembert J. (1751-1772) Encyclopédie ou dictionnaireraisonné des sciences, des arts et des métiers, Paris, Briosson.

Diodoro Siculo, Bibliotheca historica.Dioscoride, De materia medica.Douglas J. Jr. (1959) A method for calculating multi-dimensional

immiscible displacement, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 216, 297-308.

Dupuit A.-J. (1863) Etudes théoriques et pratiques sur le mouvementdes eaux dans les canaux découverts et à travers les terrainsperméables, Paris, Dunod.

Eirini d’Eyrinis M.E. (1721) Dissertation sur l’asphalte ou cimentnaturel, avec la manière de l’employer, et l’utilité des huiles qu’onen retire, découvert depuis quelques années au Val de Travers,Paris, Lottin.

Erodoto, Storie.Everdingen A.F. van, Hurst W. (1949) Application of the Laplace

transformation to the flow problems in reservoirs, «AmericanInstitute of Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers.Transactions», 186, 305-324.

Fancher G.H. (1933) Some physical characteristics of oil sands,«Bulletin of Pennsylvania State College», 12, 65.

Fauvelle P.-P. (1845) Un noveau procédé pour le forage de puitsartesiens, Perpignan.

Flavio Giuseppe, Bellum judaicum. Forchheimer P. (1898) Grundwasserspiegel bei brunnenanlagen,

«Zeitschrift Osterreichischeingenieur Architekten Verein», 50,629-635, 645-648.

Garnier A.J., Lingen N.H. van (1959) Phenomena affecting drillingrates at depth, «American Institute of Mining, Metallurgical andPetroleum Engineers. Transactions», 216, 232-239.

Garnier F. (1822) De l’art du fontainier sondeur et des puits artésiens,Paris, Hutard.

Garnier F. (1826) Traité sur les puits artésiens ou sur les différentesespéces de terrains dans lesquels on doit rechercher des eauxsouterraines, Paris, Bachelier.

Garrison A.D. (1939) Surface chemistry of clays and shales, «AmericanInstitute of Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers.Transactions», 132, 191.

Grant I. et al. (1990) Improved reservoir management by integratedstudy Cormorant field, Block 1, den Haag, SPE Paper 20891.

Hassler G.L. et al. (1936) Investigations on the recovery of oil fromsandstones by gas drive, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 118, 116-137.

Hassler G.L. et al. (1943) The role of capillarity in oil production,«American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 155, 155.

Horner D.R. (1951) Pressure build-up in wells, in: Proceedings ofthe 3rd World Petroleum Congress, den Haag, 11v.; v.II, 503-523.

Hubbert M.K. (1956) Darcy’s law and the field equations of the flowof underground fluids, «American Institute of Mining, Metallurgicaland Petroleum Engineers. Transactions», 207, 222-239.

Hurst W. (1943) Water influx into a reservoir and its application tothe equation of volumetric balance, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 151, 57.

Isidoro di Siviglia, Originum, sive etymologiarum libri XX. Jeffrey W.H. (1921) Deep well drilling, Toledo (OH), W.H. Jeffrey.Johnson R.H., Huntley L.G. (1916) Principles of oil and gas

production, New York, John Wiley.Jones P.H., Babson E.C. (1935) Evaluation of rotary drilling muds,

«Drilling and Production Practice», 22.Katz D.L. (1936) A method of estimating oil and gas reserves,

«American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 118, 18-32.

Kern L.R. (1952) Displacement mechanism in multi-well systems,«American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 195, 39.

King F.H. (1899) Principles and conditions of the movement of groundwater, Denver (CO), US Geological Survey, 2.

Kircher A. (1665) Mundus subterraneus, Amsterdam, Janssonium,2v.; v.I.

Kircher A. (1667) China monumentis qua sacris et qua profanis necnon veris naturae & artis spectaculis aliarum que rerummemorabilium argumentis illustrata, Amsterdam, Meurs.

Leverett M.C. (1941) Capillary behavior in porous solids, «AmericanInstitute of Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers.Transactions», 142, 152-169.

Leverett M.C., Lewis W.B. (1941) Steady flow of gas-oil-water mixturesthrough unconsolidated sands, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 142, 107-116.

Lewis J.O. (1917) Methods for increasing the recovery from oil sands,US Bureau of Mines, Report 148.

Lewis J.O., McMurray W.F. (1916) The use of mud-laden fluid inoil and gas wells, «US Bureau of Mines Bulletin», 134.

Lubinski A., Blenkarn K.A. (1957) Buckling of tubing in pumpingwells, «American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 210, 73.

Lubinski A., Wood H.B. (1953) Factors affecting the angle ofinclination and dog-legging in rotary bore holes, «Drilling andProduction Practice», 222.

Lubinski A., Wood H.B. (1955) Use of stabilizers in controlling holedeviation, «Drilling and Production Practice», 165.

McCarty D.G., Barfield E.C. (1958) The use of high speed computersfor predicting floodout patterns, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 213, 139-145.

Mattews C.S. et al. (1954) A method for the determination of averagepressure in a bounded reservoir, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 201, 182-191.

Melcher A.F. (1920) Determination of pore space of oil and gassands, «American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 65, 469-497.

Miller C.C. et al. (1950) Estimation of permeability and reservoirpressure from bottom hole pressure build-up characteristics,«American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 189, 91-104.

Mills R. van A. (1921) Relation of texture and bedding to movementsof oil and water through sands, «Economic Geology», 16, 124-141.

Moore T.V. et al. (1933) Determination of permeability from fielddata, «API Production Bulletin», 211, 4-13.

STORIA

546 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 23: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Munn M.J. (1909) The anticlinal and hydraulic theories of oil andgas accumulation, «Economic Geology», 4, September-October.

Muskat M. (1937) Flow of homogeneous fluids through porous media,New York, McGraw-Hill.

Muskat M. (1949) Physical principles of oil production, New York,McGraw-Hill.

Muskat M., Botset H.G. (1931) Flow of gas through porous materials,«Physics», 1, 27-47.

Nolley J.P. et al. (1948) The relation of nozzle fluid velocity to rateof penetration with drag-type rotary bits, «Drilling and ProductionPractice», 22.

Nutting P.G. (1927) The movements of fluids in porous solids, «Journalof Franklin Institute», 313-324.

Nutting P.G. (1929) Some physical properties problems in oil recovery,«Oil & Gas Journal», 44, 160.

Nutting P.G. (1930) Physical analysis of oil sands, «AmericanAssociation of Petroleum Geologists Bulletin», 14, 1337-1349.

Paine P.M., Stroud B.K. (1913) Oil production methods, San Francisco(CA), Western Engineering.

Paschkis V. (1942) Method for determining unsteady-state heat transferby means of electrical analogy, «American Institute of Mining,Metallurgical and Petroleum Engineers. Transactions», 64, 105.

Plinio il Vecchio, Naturalis historia.Plutarco, Vite parallele.Polo M., Il Milione.Pomet P. (1694) Histoire générale des drogues, traitant des plantes,

des animaux et des minéraux, Paris, Loyson. Purcell W.R. (1949) Capillary pressures. Their measurement using

mercury and the calculation of permeability therefrom, «AmericanInstitute of Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers.Transactions», 186, 39-48.

Ramazzini B. (a cura di) (1698) Francisci Ariosti de oleo MontisZibinii, seu petroleo agri Mutinensis libellus... Adjecta ejusdemargumenti epistola Bernardini Ramazzini, Mutinae, Capponi.

Sage B.H. et al. (1933) Behavior of hydrocarbon mixtures illustratedby a simple case, in: Proceedings of American Petroleum Institute,119.

Schildberg Y. et al. (1997) Integration of geostatistics and well testto validate a priori geological models for the dynamic simulation:case study, San Antonio (TX), SPE Paper 38752.

Schilthuis R.J. (1935) Technique of securing and examining subsurfacesamples of oil and gas, «Drilling and Production Practice», 120.

Schilthuis R.J. (1936) Active oil and reservoir energy, «AmericanInstitute of Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers.Transactions», 118, 33-52.

Schilthuis R.J. (1938) Connate water in oil and gas sands, «AmericanInstitute of Mining, Metallurgical and Petroleum Engineers.Transactions», 127, 199.

Silliman B. Jr. (1855) Report on the rock-oil, or petroleum, fromVenango County, Pennsylvania, with special reference to its usefor illumination and other purposes, New Haven, Benham.

Slichter C.S. (1899) Theoretical investigations of the motion of groundwater, Denver (CO), US Geological Survey, 2.

Spallanzani L. (1792-1797) Viaggi alle due Sicilie e in alcune partidell’Appennino, Pavia, Comini, 6v.

Strabone, Geographia. Stroud B.K. (1925) Use of barytes as a mud-laden fluid, «Oil Weekly»,

2 June.Suman J.R. (1921) Petroleum production methods, Houston (TX),

Gulf.Terzaghi K. (1925) Erdbaumechanik auf bodenphysikalischer

Grundlage, Leipzig, Deuticke.Thiem G. (1906) Hydrologische Methoden, Leipzig, Gebhardt.Tickell F.G. (1928) Capillary phenomena as related to oil production,

«American Institute of Mining, Metallurgical and PetroleumEngineers. Transactions», 82, 343-361.

Tickell F.G. et al. (1933) Some studies on the porosity and permeabilityof rocks, «American Institute of Mining, Metallurgical andPetroleum Engineers. Transactions», 103, 250-260.

Uren L.C. (1924) Petroleum production engineering, New York,McGraw-Hill.

Vitruvio, De architectura.Volta A. (1777) Lettere del signor don Alessandro Volta patrizio

comasco e decurione sull’aria infiammabile nativa delle paludi,Milano, G. Marelli.

Welge H.J. (1952) A simplified method for computing oil recovery bygas or water drive, «American Institute of Mining, Metallurgicaland Petroleum Engineers. Transactions», 195, 91.

Wyckoff R.D. (1933) The measurement of the permeability of porousmedia for homogeneous fluids, «Review of Scientific Instruments»,4, 394-405.

Wyckoff R.D., Botset H.G. (1936) The flow of gas-liquid mixturesthrough unconsolidated sands, «Physics», September, 325.

Giovanni Brighenti

Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali

Università degli Studi di BolognaBologna, Italia

Paolo Macini

Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali

Università degli Studi di BolognaBologna, Italia

STORIA DELL’UPSTREAM

547VOLUME V / STRUMENTI

Page 24: Appendice Enciclopedia Idrocarburi
Page 25: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

549VOLUME V / STRUMENTI

Le prime esperienze di raffinazione del greggio furono con-dotte nella seconda metà del 19° secolo (Eni, 1962-71; Petro-leum […], 1959). Esse consistevano in rudimentali separa-zioni per evaporazione in storte mutuate dalla tecnologia delcarbone. È nota l’attività di tali raffinerie in molte parti delmondo, dal Messico al Borneo, dall’Italia alla Romania, dallaRussia a Curaçao. Ma l’origine dell’attuale downstream variportata più opportunamente alle attività che si sono svilup-pate negli Stati Uniti nel primo decennio del 20° secolo. Par-tendo da queste attività, nel seguito sarà descritta, da unpunto di vista essenzialmente temporale, l’evoluzione deiprincipali processi e prodotti di raffineria fino agli inizi del21° secolo.

La dissalazione del greggioNel giacimento, il petrolio greggio si trova quasi sempre

a contatto con acqua più o meno salata, allo stato disperso oin quello di emulsione. Parte di quest’acqua viene allontana-ta prima che il greggio entri in raffineria, mentre una partepiù stabile, emulsionata, deve essere allontanata in raffineria,prima di avviare il greggio alla distillazione, poiché i sali inessa disciolti provocano inconvenienti negli impianti, deposi-tandosi sulle superfici riscaldate; inoltre, taluni cloruri sidecompongono alle temperature dei processi dando luogo acloruro di idrogeno, che è corrosivo per le parti degli impian-ti stessi. Già nei serbatoi del greggio in raffineria, parte del-l’acqua può separarsi spontaneamente e quindi decantarsi,così da poter essere scaricata dal fondo. Tale fenomeno, tut-tavia, non è sufficiente ad allontanare tutta l’acqua presentedal greggio da avviare alla lavorazione. In relazione alla qua-lità e alla provenienza del greggio, l’acqua è più o meno sala-ta (i sali più spesso presenti sono i cloruri di sodio, di calcioe di magnesio); per questo motivo il primo processo al qualele raffinerie sottopongono il greggio è la dissalazione, perrealizzare la quale sono stati applicati metodi differenti:lavaggio (diluizione con acqua dolce e decantazione o filtra-zione); riscaldamento sotto moderata pressione e successivadecantazione; trattamento con disemulsionanti chimici. Apartire dagli anni Trenta del 20° secolo, il metodo che si èprogressivamente affermato (e che tuttora viene applicato)consiste nella diluizione e nel riscaldamento del greggio e nelsuo trattamento mediante un campo elettrico: si preriscalda ilgreggio all’interno di scambiatori di calore dell’impianto di

distillazione, poi si aggiunge acqua dolce e si forma un’e-mulsione acqua-in-olio, che successivamente viene introdottanel dissalatore, cioè in un contenitore sotto moderata pres-sione (5-10 bar) nel quale è presente un campo elettrostaticoad alta tensione (10-30 kV). L’acqua, che si separa per gra-vità, si scarica dal fondo, mentre il greggio dissalato puòessere avviato alla distillazione (Dunstan et al., 1938-55, I;Eni, 1962-71).

Separazioni fisiche in raffineria:distillazione ed estrazione con solventi

All’origine dell’industria del petrolio, il downstreamutilizzava essenzialmente processi fisici di separazionebasati sulle differenti temperature di ebollizione dei com-ponenti (distillazione a pressione atmosferica per i compo-nenti non soggetti a decomposizione termica, distillazionea pressione ridotta per il residuo). Tali processi erano rea-lizzati in impianti continui, a flusso, più o meno come gliapparecchi da distillazione dello stesso tipo inventati (e bre-vettati) verso il 1880 da Alfred Nobel.

Agli inizi del 20° secolo, quindi, la lavorazione del greg-gio era limitata alla sua distillazione frazionata, con produ-zione di distillati (mediamente il 10-12% tra benzina e petro-lio lampante) e di un residuo (comprendente tutto ciò cheavanzava dalla distillazione). Il più commerciabile e il piùvenduto tra i distillati era il petrolio lampante, mentre la ben-zina rappresentava quasi un ‘capo morto’, dato che non eraancora arrivata l’era di Henry Ford e della grande afferma-zione dell’automobile. In quell’epoca, accadeva anche cheimpresari disinvolti o truffaldini lasciassero una parte di ben-zina nel più remunerativo petrolio lampante, il che, spesso,provocava incidenti negli uffici e nelle abitazioni dove essoera adoperato per l’illuminazione.

Tuttavia, già nel 1913, negli Stati Uniti si fabbricavanooltre mezzo milione di automobili e il consumo della benzi-na superò quello del petrolio lampante (Remsberg e Higdon,1994). Siccome, a quel tempo, tra fornitore e utente prevale-vano le esigenze del primo, la qualità della benzina era quel-la determinata dalla qualità del greggio e non si parlava anco-ra di ‘potere indetonante’ e di Numero di Ottano (NO).

La distillazione a pressione atmosferica veniva realizza-ta in impianti a caldaie: il greggio, preriscaldato, veniva fattoentrare nella prima di tre o più caldaie; da questa veniva

Un secolo di downstream

Page 26: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

fatto uscire in testa il vapore della benzina leggera, che poiveniva condensata ed eventualmente rettificata; tramite unoscambiatore, ciò che restava passava alla seconda caldaia,dalla quale usciva il vapore della frazione successiva, e cosìvia fino a scaricare un residuo altobollente (Petroleum […],1959). Siccome le prime esperienze avevano già mostrato lanon opportunità di spingere oltre 400 °C circa la tempera-tura nella distillazione, a causa dell’incipiente demolizionetermica delle molecole più sensibili, si pensò ben presto didestinare il residuo della distillazione a pressione atmosfe-rica alla distillazione sotto vuoto (per esempio, 300 torr opiù bassa) e/o in corrente di vapor d’acqua. In questo modo,si potevano ottenere uno o due gasoli e/o nei casi più favo-revoli, secondo la qualità del greggio, una base per oli lubri-ficanti. Il ‘residuo del residuo’ era destinato all’uso comeolio combustibile, alternativo al carbone (ACS, 1951; Lucas,2000).

Dopo gli impianti a più caldaie e a più colonne di distil-lazione, venne realizzato un importante progresso con lamessa in opera della distillazione in colonna unica (poimigliorata e sostanzialmente unificata in quello che è tuttorail processo detto topping): il greggio preriscaldato venivaintrodotto dalla sommità della colonna dove in parte evapo-rava. Il residuo veniva scaricato dal fondo e il distillato avvia-to a una serie di deflemmatori, ciascuno dei quali era desti-nato a condensare un distillato intermedio, mentre dall’ulti-mo deflemmatore si recuperava la frazione benzina (ACS,1951). Il progressivo affinamento delle tecnologie per ladistillazione si è anche avvalso dei progressi nei materialiimpiegati nella costruzione degli impianti e degli sviluppinelle attrezzature connesse (forni e scambiatori, pompe, val-vole, ecc.).

Lo sviluppo della teoria della distillazione non ha pre-ceduto l’applicazione pratica, ma l’ha piuttosto affiancata:i primi studi sui sistemi multicomponenti, di grande inte-resse per l’industria del petrolio, risalgono infatti agli anniVenti-Trenta. Nel 1925, per esempio, dopo gli studi mate-matici del 1922 di Warren Kendall Lewis applicati al pro-getto delle colonne di frazionamento, Warren Lee McCabee E.W. Thiele presentarono un lavoro alla American Che-mical Society, nel quale veniva descritto un nuovo metodoper calcolare il numero di piatti teoricamente necessarioper la separazione dei componenti di una miscela binariain una colonna di rettificazione. L’apporto di McCabe rap-presentò un gran passo avanti nella progettazione scientifi-ca di unità di distillazione fino al 1936, quando passaronoin primo piano i nuovi sistemi di cracking.

La disposizione moderna della distillazione primaria(Straight-Run, SR) del greggio si basa su una colonna a piat-ti, dapprima ‘a campanella’ e, a partire dagli anni Cinquan-ta, ‘a valvola’, poi ripetutamente modificati. In molti casiessa era preceduta da una colonna pre-evaporatrice delleteste, dotata di tanti stripper quante erano le frazioni separa-te e uscenti dalla colonna principale (Hengstebeck, 1959;Noel, 1959; Normand, 1963; Wuithier, 1965; Borza, 1993;Lucas, 2000; IFP, 1995-2002). Una volta preriscaldato, disolito il greggio entra in colonna a circa un terzo dell’altez-za; le frazioni dell’impianto di topping del greggio sono igas di testa – i cosiddetti ‘incondensabili’ – seguiti dai C3-C4 (GPL, Gas di Petrolio Liquefatto), da una o più frazioniC5+ (benzina leggera e alimentazione per il reforming), che-rosene e/o jet fuel, uno o più gasoli, in relazione agli impian-ti collegati (desolforazione, ecc.), residuo. Quest’ultimo può

essere destinato alla distillazione sotto vuoto, il cui distilla-to (gasolio da vuoto) può essere adatto alla lavorazione dilubrificanti. A sua volta il ‘residuo da vuoto’ può venire trat-tato per ottenere bitume, oppure avviato alla gassificazionea CO�H2.

I primi raffinatori si resero conto che il greggio potevaessere trattato non soltanto in base ai punti di ebollizionedei suoi componenti, ma anche in funzione dei gruppi chi-mici in essi presenti: l’applicazione al petrolio dell’estra-zione con solventi, in particolare per separare gli idrocar-buri aromatici dagli alifatici, incominciò probabilmentecosì. Molto più tardi, la qualità del greggio perse una partedella sua importanza rispetto all’applicabilità dei processidi lavorazione.

L’estrazione con solventi è entrata precocemente in raf-fineria (tra il 1910 e il 1925), soprattutto per produrre olibase per lubrificanti da residui e gasoli pesanti – eliminan-do del tutto o in gran parte la parte asfaltica e aromatica –ma anche per migliorare i distillati medi e quelli pesanti. Ilprimo processo in ordine di tempo, dovuto a Lazar Edelea-nu nel 1907, fu l’estrazione con SO2 liquida (BP, 1958; ShellPetroleum Company, 1980), applicata dapprima per allonta-nare gli idrocarburi aromatici dal cherosene per diminuirnela fumosità nelle lampade, poi per produrre oli bianchi elubrificanti da gasolio e dai residui; seguirono rapidamenteprocessi con solventi liquidi a pressione e temperaturaambiente, meno problematici per corrosività e difficoltà dimanipolazione (fenolo 1908, nitrobenzene, furfurolo 1925,etere dicloroetilico o Chlorex 1934), e poi con solventi misti(propano-fenolo-acido cresilico o Selecto 1933; Dunstan etal., 1938-55). L’estrazione con solventi si avvalse anche diapparecchiature innovative, come, per esempio, gli estratto-ri rotanti RDC (Rotating Disc Contactor) brevettati negliStati Uniti da W.J. Podbielniak.

L’esigenza di aumentare la resa in benzina a scapito dellaparte più altobollente o addirittura non distillabile del greg-gio stimolò l’inventiva degli addetti all’industria petrolifera:nacque così il cracking termico. Peraltro, le conoscenze chi-miche su cui si fondava tale processo erano state già acquisi-te in precedenza.

La chimica per il downstreamPer quanto riguarda la cinetica delle reazioni, già nel 1889

il chimico fisico Svante August Arrhenius (1859-1927) avevaformulato la legge che porta il suo nome e cioè k=Ae�E/RT,dove k è la costante o coefficiente di velocità di reazione, A èil fattore di frequenza, E l’energia di attivazione, R la costan-te universale dei gas e T la temperatura termodinamica.

Ma, più in generale, al momento dello sviluppo dell’in-dustria del downstream le conoscenze chimiche o, in sensopiù ampio, i fondamenti scientifici necessari erano già tuttidisponibili. Infatti furono sufficienti poche nozioni di ter-mochimica e di termodinamica, le nozioni generali di chi-mica organica, e poco altro, per porre le basi a sviluppi tec-nologici di tutto rispetto. In seguito, le attività del down-stream hanno ricevuto sempre maggiore impulso dalleconoscenze degli addetti ai lavori o degli specialisti. Infine,è evidente che, anche e soprattutto nel passaggio dalleconoscenze scientifiche di base ai grandi successi indu-striali, la storia del downstream è ricca di conferme al fattoche senza ricerca non si ha vera innovazione. Già nel 1924,T.A. Boyd osservò che nessun’altra industria delle dimen-sioni e dell’importanza di quella del petrolio si poteva basare

STORIA

550 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 27: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

su una altrettanto grande messe di conoscenze chimichefondamentali (ACS, 1951).

Molti risultati di ricerche di base, da parte di universitàe centri di ricerca, hanno posto i fondamenti agli sviluppipratici nell’industria, i più significativi dovuti a ricercatoridelle aziende statunitensi dedite alla ricerca come scopoistituzionale (quali, per esempio, UOP, Houdry, Hydrocar-bon Research, Lubrizol, Octel, ecc.) oltre che delle grandicompagnie multinazionali (BP, Esso, Mobil, Shell, Sinclair,ecc.). Queste ultime dedicarono rilevanti risorse alle lorobranche dedite alla ricerca scientifica. Tra i grandi chimi-ci che contribuirono allo sviluppo delle conoscenze dibase e alle applicazioni della scienza degli idrocarburivanno ricordati Vladimir Nicolaevi Ipatieff, Gustaf Egloff e Herman Pines, che hanno prodotto centinaia di pubblica-zioni e di brevetti, soprattutto in materia di reazioni e pro-cessi catalitici.

Trattamenti chimici sono stati impiegati fino dalle origi-ni dell’industria della raffinazione, per esempio con soluzio-ni di idrossido di sodio o con acido solforico, per eliminarele impurezze, quali il solfuro di idrogeno e i mercaptani(dalla benzina e dal cherosene) o con trattamenti ossidanticon piombito di sodio o con ipoclorito di sodio (sweetening),per trasformarle in sostanze meno sgradevoli, per esempioper trasformare i mercaptani in disolfuri. In seguito, l’impor-tanza di tali trattamenti è alquanto diminuita per ragioniambientali, dati la difficoltà e il costo dello smaltimento deiloro residui.

Composti chimici e loro miscele sono stati usati perallontanare gruppi di sostanze sgradevoli da carburanti elubrificanti. La chimica è entrata in raffineria anche tramitel’introduzione di additivi (spesso forniti da aziende business-to-business esterne): antincrostanti per caldaie e circuitiriscaldanti; pulenti per serbatoi; miglioranti le prestazioni inrelazione ai particolari impieghi dei prodotti, soprattutto dellabenzina (antidetonanti, tensioattivi, antiossidanti, disattivato-ri dei metalli, anticorrosivi, antistatici) ma anche del gasolioper autovetture (pro-cetano, abbassanti del punto di scorri-mento, antincrostanti, detergenti-disperdenti, antifumo), delgasolio per riscaldamento (abbassanti del punto di scorri-mento, antischiuma), oppure degli oli lubrificanti (detergen-ti, miglioranti l’indice di viscosità, miglioranti l’untuosità,inibitori, ispessenti, antiusura; Owen, 1989).

Il cracking termicoGrazie all’avvento dell’automobile e dell’illuminazione

elettrica, la produzione di benzina come carburante divenneprioritaria rispetto al petrolio lampante (o cherosene) e ridi-venne di attualità una precedente ipotesi di ‘spezzare’ per viatermica le catene degli idrocarburi più pesanti, allo scopo diottenere frazioni più leggere, cioè a catena più corta.

Dai primordi della chimica moderna, del resto, era statoaccertato che, riscaldando a temperatura crescente qualunquesostanza o materiale, i legami tra gli atomi costituenti lemolecole (o le macromolecole) si rompono formando spez-zoni – poi denominati ‘radicali’ – a loro volta suscettibili diricombinarsi per formare altre molecole. Il primo processobasato su alcune reazioni chimiche degli idrocarburi e deglialtri componenti del greggio, quindi, non avrebbe potutoessere se non il cracking termico, il cui primo impianto fubrevettato e realizzato nel 1891 in Russia.

Nel 1913 il chimico William M. Burton (1865-1964) dellaStandard Oil Company of Indiana e direttore della raffineria

di Whiting (Indiana), dopo una serie di difficili sperimenta-zioni in impianti pilota, realizzò un impianto commerciale peraumentare la resa in benzina dai distillati più altobollenti. Ilprocesso consisteva nel riscaldare sotto pressione moderatal’alimentazione (un gasolio) in una caldaia di acciaio, otte-nendo così un prodotto che poteva contenere fino al 50% diidrocarburi bollenti nel campo di distillazione della benzina,quasi raddoppiando in questo modo la resa in benzina a par-tire da un greggio. Ovviamente, trattandosi di un processopiuttosto drastico, la composizione della benzina ricavata dalcracking risultò assai differente da quella della benzina didistillazione primaria; inoltre, e la cosa oggi può sembrarestrana, la caldaia di Burton era riscaldata bruciando carbone(Petroleum […], 1959).

Nel frattempo, entrarono in scena altri protagonisti, fra iquali Jesse A. Dubbs (1855-?) e soprattutto suo figlio CarbonPetroleum Dubbs (1881-1962). I Dubbs erano imprenditoricon interessi nella produzione di bitume e il primo, nel 1909,aveva inventato un processo per disemulsionare un petroliogreggio pesante californiano da emulsioni tanto stabili eviscose da non consentire la separazione dell’acqua e quindila lavorazione del greggio medesimo. Il processo consistevanel riscaldamento del greggio in un forno a serpentino, sottomoderata pressione; poi nell’evaporazione e nella condensa-zione di acqua insieme a frazioni leggere, con un residuofinale di olio combustibile. Esso aveva avuto fortuna, ma suc-cessive vicissitudini provocarono il crollo economico deiDubbs e delle loro imprese.

Il processo con il quale Dubbs padre disemulsionava ilgreggio possedeva alcune analogie con il cracking termico,al punto che un avvocato tanto abile quanto spregiudicato,Frank L. Belknap, sostenne che Burton aveva violato il bre-vetto di Dubbs padre, di tre anni precedente a quello per ilprocesso applicato alla raffineria di Whiting. La controver-sia si concluse con un accordo: Dubbs padre cedette i suoibrevetti alla Standard Oil Company of Indiana dietro ade-guato compenso (in seguito continuò le sue ricerche in labo-ratorio). Nel quadro assai complicato della vertenza, Belk-nap coinvolse Jonathan Ogden Armour, il re della carne inscatola, che cominciava ad avere interesse per investimentinel campo del bitume e del petrolio. In conclusione, i Dubbstrassero vantaggio da questo coinvolgimento, tanto che,quando nel 1914 si decise di fondare la National Hydro-carbon Company (che dal 1915 prese il nome di UniversalOil Products Company, UOP), 300 delle 1.000 azioni delsuo capitale vennero assegnate a Dubbs padre (Remsberg eHigdon, 1994).

La benzina da cracking non ebbe un immediato succes-so: era gialla invece che incolore come la benzina SR, ema-nava un cattivo odore ed era instabile, in quanto una partedegli idrocarburi insaturi che la componevano tendeva areagire formando sostanze gommose. La benzina dicracking si vendeva a un prezzo inferiore a quello della ben-zina SR. Considerati con le conoscenze attuali, i due pro-cessi differiscono alquanto e sembra quanto meno stranoche sia stato possibile dare ragione ai Dubbs e penalizzareBurton. Tra l’altro, i reattori brevettati erano differenti:quello di Dubbs era tubolare, quindi diverso da quello ‘acaldaia’ di Burton.

Ovviamente, già si sapeva che riscaldando frazioni alto-bollenti di petrolio, o il greggio stesso, sopra 450-500 °C lemolecole più grandi si decompongono formando ancheidrogeno, metano e idrocarburi bollenti nell’intervallo di

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

551VOLUME V / STRUMENTI

Page 28: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

temperatura della distillazione delle benzine, mediante rea-zioni radicaliche di pirolisi dei legami C�C, di deidroge-nazione, di ricombinazione dei radicali idrocarburici a com-posti insaturi, oltre che di desolforazione. Tutto ciò, comegià detto, faceva parte del precedente bagaglio di cono-scenze elaborato dalla chimica.

Ben presto si accertò che i parametri di processo checaratterizzano il cracking termico sono la temperatura e iltempo di permanenza, mentre la pressione è meno decisiva(nelle versioni industriali è stata limitata da una pressionepari a quella atmosferica fino a una di pochi bar). Già daiprimi anni Dieci, dopo i citati Dubbs e Burton, numerositecnologi e molte aziende proposero, brevettarono e realiz-zarono processi variamente modificati sia nei parametrifondamentali (appunto temperatura, pressione e tempo dipermanenza) sia nelle strutture degli impianti (Eni, 1962-71). Infatti, altri processi di cracking termico furono benpresto brevettati da una numerosa schiera di inventori: E.M.Clark, i fratelli Walter M. e Roy Cross, Joseph H. Adams,R.C. Holmes e F.T. Manley; infine furono costruiti impian-ti industriali in varie raffinerie statunitensi (Petroleum […],1959).

Tra gli sviluppi successivi del cracking termico – a par-tire dagli anni del Primo Dopoguerra – i più significativisono stati il visbreaking e il coking, che vengono tuttoraimpiegati. Il primo consiste in un trattamento blando delgasolio pesante o dei residui, per abbassare la viscosità emigliorare lo scorrimento a bassa temperatura, mentre ilsecondo si basa su un trattamento assai severo per ottene-re il coke come prodotto principale, oltre ai gas e ai distil-lati.

Tutti questi processi sono stati stimolati dall’esigenza dilavorare grezzi di qualità scadente (per viscosità e densitàelevate, alto rapporto C/H e alto tenore di composti conte-nenti eteroatomi di ossigeno, azoto e zolfo) e dal progres-sivo disinteresse delle raffinerie e del mercato per gli olicombustibili residui, la cui richiesta è andata decrescendo,trascinando al ribasso il loro prezzo. Infatti, l’olio combu-stibile non poteva entrare in competizione con il carbonenegli usi comuni a entrambi, come le centrali termoelettri-che e la gassificazione (Kobe e McKetta, 1958-65). Unandamento opposto si è avuto nello sviluppo della produ-zione di gasolio per motori diesel, soprattutto nei primianni Cinquanta, quando negli Stati Uniti le locomotive deitreni a vapore sono state progressivamente sostituite dalocomotori a gasolio e sono stati fabbricati sempre piùautocarri con motore a ciclo Diesel invece che a benzina(ciclo Otto).

La qualità del gasolio è uno dei principali fattori dell’e-missione di particolato, come le cosiddette ‘polveri sottili’.La determinazione delle relazioni tra proprietà del gasoliodiesel ed emissioni del motore è fondamentale per l’indu-stria della raffinazione e per l’industria automobilistica,poiché ne determina le scelte tecnologiche e gli investimenticonseguenti.

Il visbreaking è stato anche accoppiato con il crackingtermico del gasolio pesante; invece il coking non ha avutoapplicazioni particolarmente numerose, ed è stato impiega-to nelle versioni di delayed coking (con camere di raccoltadel coke), contact coking e fluid coking, con la sottospeciedel flexicoking. Nelle tre ultime versioni il coke formatopuò essere in parte gassificato in una sezione apposita del-l’impianto.

Miglioramenti della benzina SR e di quella di crackingtermico

La qualità della benzina SR è legata alle sue caratteristi-che di combustione nei motori ad accensione comandata degliautoveicoli (a ciclo Otto, a 2 o a 4 tempi). Quindi, fin dalleorigini dell’industria del downstream, si è posta l’esigenza dimigliorarla e di adattarla tempestivamente ai progressi regi-strati nella progettazione e nella fabbricazione dei motori. Giàil cracking termico, oltre a raddoppiare la resa in benzina daun determinato greggio, produceva un carburante miglioredella benzina SR. Si presentò, quindi, il problema di miglio-rare la benzina SR, che venne risolto soprattutto con processicombinati di aromatizzazione-isomerizzazione degli idrocar-buri (il cosiddetto reforming, dapprima soltanto termico, poicon catalizzatori). Nel 1920 Thomas Midgley osservò rilevantidifferenze della combustione nei motori a scoppio da parte dibenzine di origine e provenienza diverse; l’anno seguenteHarry Ralph Ricardo trattò del potere indetonante delle ben-zine e ancora Midgley e Boyd, nei laboratori di ricerca dellaGeneral Motors, provarono l’alta efficacia antidetonante dialcune sostanze come il piombo tetraetile, lo stagno tetraetile,il selenio dietile, il tellurio dietile e di numerose xilidine.Seguirono ricerche, proposte, discussioni e diatribe sul mec-canismo di azione degli antidetonanti: negli Stati Uniti (G.L.Clark e W.C. Thee), in Gran Bretagna (Hugh Longbourne Callendar, R.O. King), in Francia (Henri Muraour) e in Italia(Raffaele Ariano).

La benzina ‘etilata’ con piombo tetraetile (ethyl gas)venne introdotta negli Stati Uniti nel 1923, ma nel 1925 ilsuo uso fu sospeso dalle autorità sanitarie a causa della tos-sicità dell’additivo; infine fu riammessa nel 1926 con unlimite alla concentrazione di quest’ultimo (Eni, 1962-71).L’uso del piombo tetraetile si affermò in Europa e nel restodel mondo negli anni immediatamente successivi, seguìto daquello di miscele di piombo tetraetile e piombo tetrametile.Negli anni Cinquanta-Sessanta vennero proposti altri antide-tonanti, con alterna fortuna, come il metilciclopentadienilmanganese tricarbonile e il tricresilfosfato, che furonoimpiegati soprattutto come coadiuvanti dei piombo-alchili.Inoltre, vennero sperimentate anche numerose ammine aro-matiche, che tuttavia non ebbero applicazioni rilevanti (Eni,1962-71).

Nel 1927 Graham Edgar propose di valutare il potereindetonante mediante la determinazione del NO. Non sitratta, in questo caso, di una vera e propria misurazione, madel risultato del confronto sperimentale tra la benzina inesame e una miscela di isoottano (2,2,4-trimetilpentano) en-eptano, cioè con idrocarburi ai quali venne attribuitorispettivamente il NO 100 e 0. Tale confronto veniva realiz-zato nel celebre motore CFR (Cooperative Fuel Research)tuttora in uso, costituito da un monocilindro, a numero digiri costante e rapporto di compressione variabile, in con-dizioni definite mediante apposite norme (i metodi Motor-MM, e, dal 1936, Research-RM). Negli anni 1931-34 W.G.Lovell e alcuni suoi collaboratori della Ethyl Corporationdeterminarono sperimentalmente le caratteristiche di detona-zione di numerosi idrocarburi puri e aggiunti in benzina cam-pione (Dunstan et al., 1938-55). Nel 1933, al primo Con-gresso mondiale del petrolio tenutosi a Londra, uno dei temidella sessione sul downstream fu la valutazione della deto-nazione delle benzine auto e di quelle avio. Dal 1937 sioccupò intensamente dell’argomento l’ente aeronautico statu-nitense NACA (National Advisory Committee of Aeronautics),

STORIA

552 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 29: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

progenitore della NASA (National Aeronautics and SpaceAdministration), con la determinazione delle caratteristi-che antidetonanti degli idrocarburi e degli eteri (inclusol’MTBE, cioè il metil-ter-butil-etere), in quanto di interes-se per i carburanti avio.

I reforming termici sono comparsi nelle raffinerie pocodopo la Prima Guerra Mondiale e i reforming catalitici a par-tire dagli anni Trenta; questi ultimi si sono sviluppati paral-lelamente ai catalizzatori, dapprima quelli naturali (argille,bauxite, allumine) e poi quelli a base di metalli o di ossidi dimetalli supportati su allumina o silice-allumina (ACS, 1951).Il primo reforming catalitico è stato brevettato negli anniTrenta dalla Kellogg (hydroforming) e applicato negli StatiUniti durante la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto perprodurre benzina ad altissimo NO per aerei da caccia e tolue-ne per gli esplosivi. Tale processo impiegava un catalizzato-re a base di ossido di molibdeno (MoO3) su allumina, a lettofisso, con più camere in un sistema ciclico di reazione-rige-nerazione del catalizzatore stesso. Un processo derivato è ilfluid hydroforming da parte di Eger V. Murphree della Essonel 1950.

Tutti i reforming catalitici di quel tempo derivavano dal-l’acquisto, realizzato nel 1929, da parte della Standard Oil ofNew Jersey dei diritti di brevetto della tedesca I.G. Farbenin-dustrie sulla idrogenazione del carbone e sui processi di raffi-neria, reforming catalitico compreso (Petroleum […], 1959).Il processo di reforming su catalizzatore di bauxite, chiamatocycloversion, fu impiegato a partire dal 1943 soprattutto pertrattare benzina di cracking in modo da ottenere frazioni adalto NO per benzine avio per uso militare. Essendo le condi-zioni delle diverse versioni di reforming favorevoli alla tra-sformazione dei distillati da C7 a C10, e meno all’aumento delNO della frazione di testa del prodotto riformato, venneroseparate dapprima le n-paraffine C5-C6 (a basso NO) dalleteste e, successivamente, queste ultime vennero isomerizzatecon processi catalitici in presenza di idrogeno (isomer, isosiv,penex e altri).

Come accennato, i due processi rivali originari dicracking termico e quelli successivi producevano benzinaabbastanza simile e di pari cattiva qualità, soprattutto perl’abbondanza relativa di idrocarburi insaturi – causa della for-mazione di gomme – e di composti solforati maleodoranti eassai reattivi. Nel corso degli anni vennero avviati e resi ope-rativi processi per migliorare qualitativamente tale benzina,con trattamenti su terre in fase vapore come nel processogray clay (1924), e per aumentarne la quantità ottenibile dallaraffineria. Infatti, fu subito evidente che si poteva ottenerebenzina di cracking termico in quantità maggiore di quella diprima distillazione, ma che la sua cattiva qualità, in partico-lare il colore giallastro, avrebbe costretto a venderla a prezzimolto bassi, poiché nei primi anni Venti la benzina, per ragio-ni di accettabilità commerciale, ‘doveva’ essere incolore einodore. Soltanto dopo l’introduzione del piombo tetraetilequale antidetonante, l’alta tossicità di questo additivo indus-se, a partire dal 1925, le raffinerie degli Stati più avanzati acolorare la benzina che lo conteneva (ACS, 1951).

Cambiamenti nei processi indotti dai catalizzatori A partire dai primi anni Trenta, con il successo della

trasformazione delle olefine leggere ottenute dal crackingper produrre benzina di buona qualità, le raffinerie adot-tarono rapidamente l’uso dei processi catalitici dapprimacon la polimerizzazione e poi con l’alchilazione. Benché il

cracking termico e il visbreaking rimanessero a lungo tra iprocessi di raffineria più diffusi (tanto che nelle loro ver-sioni più moderne rimangono tali), proprio a partire dallafine degli anni Venti iniziarono a essere sviluppati proces-si di cracking realizzati mediante catalizzatori, la cui appli-cazione in impianti industriali segnò un’altra importantetappa dello sviluppo della tecnologia downstream.

L’applicazione della catalisi per produrre carburanti dalcracking di frazioni petrolifere medio-pesanti è stata speri-mentata per la prima volta in Francia dall’ingegnere EugèneJules Houdry (1892-1962) tra il 1925 e il 1930, anche se lesue ricerche sulla produzione per via catalitica di benzinasintetica a partire dalla lignite datano dagl’inizi degli anniVenti. Houdry, infatti, fece una ricerca sistematica dell’ef-fetto sul cracking di centinaia di catalizzatori e, nel 1927,ottenne i primi risultati positivi. Egli aveva investito nellaricerca una parte ingente della sua fortuna personale, mapresto la scala delle ricerche divenne tale da richiedere l’e-sperienza impiantistica e i capitali di una grande impresa.Privo di appoggi in Francia, Houdry emigrò negli Stati Unitidove fu invitato a trasferirsi da H.F. Sheets della Vacuum OilCompany con la quale, nel 1931, costituì una società, laHoudry Process Corporation. Nello stesso anno la VacuumOil Company si fuse con la Standard Oil of New York,dando vita alla Socony-Vacuum Oil Company (poi MobilOil Company). Il processo Houdry operava a 450-500 °C,sotto moderata pressione, adoperando un catalizzatore‘acido’ a base di silice-allumina, in letto fisso; il catalizza-tore si ricopriva rapidamente di un deposito carbonioso, cheveniva bruciato con aria in condizioni controllate. Si tratta-va di un processo ciclico ‘reazioni-rigenerazione del cataliz-zatore’ favorito dalla resistenza del catalizzatore (ossido diferro supportato) sia alle condizioni di reazione sia a quelledi rigenerazione.

Fin dall’inizio fu chiaro che il processo Houdry potevaessere perfezionato in quanto era un processo semicontinuo,e la ‘minaccia’ di questa innovazione era tale che nel 1938prese vita un gruppo, chiamato Catalytic Research Associa-tes, che coordinava gli sforzi di ricerca nel campo della cata-lisi applicata al cracking del petrolio di ‘giganti’ quali laStandard Oil of Indiana, la Standard Oil of New Jersey, laShell e la Texaco. Il gruppo sviluppò l’importante processocon catalizzatore a letto fluidizzato, ispirato da un brevetto diW.W. Odell del 1929 (Petroleum […], 1959).

I primi impianti industriali che adoperavano il processoHoudry furono costruiti negli Stati Uniti nel 1937, ma essovenne ben presto superato da altre versioni basate sulle stes-se premesse. Tuttavia, il concetto di ‘cracking catalitico’ nellesue diverse versioni ebbe un grande successo, tanto che nel1937 negli Stati Uniti la produzione di benzina di crackingsuperò quella di SR come principale carburante per auto(Remsberg e Higdon, 1994; Lucas, 2000). La Houdry Pro-cess Corporation sviluppò le successive versioni del proces-so (thermofor, houdriflow e thermofor a letto mobile), non-ché catalizzatori di sintesi più efficienti di quelli di originenaturale.

I primi studiosi del cracking catalitico si resero conto chei processi chimici sottostanti erano alquanto differenti daquelli del cracking termico (Kobe e McKetta, 1958-65), ilche si manifestava anche dalla diversa composizione del pro-dotto, soprattutto delle sue frazioni gassose (più C3-C4 inve-ce di H2-C2) e della benzina leggera (rapporto più alto iso-paraffine/n-paraffine).

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

553VOLUME V / STRUMENTI

Page 30: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

In prima approssimazione, le reazioni primarie delle prin-cipali classi di idrocarburi presenti nell’alimentazione posso-no essere rappresentate nel modo seguente:

paraffina �� paraffina�olefina

alchilnaftene �� naftene�olefina

alchilaromatico �� aromatico�olefina

Le ricerche sul cracking catalitico si sono protratte perdecenni, soprattutto con un’ampia sperimentazione su idro-carburi puri, e con interpretazioni dei risultati che non eranodel tutto compatibili fra loro, per la diversa struttura degliidrocarburi studiati rispetto all’alimentazione degli impiantidi raffineria (gasolio pesante o residuo di grezzi diversi). Tut-tavia queste interpretazioni sono state confermate da succes-sive sperimentazioni su frazioni ottenute dall’alimentazionedi grandi impianti.

In particolare, sono significative le ricerche di Heinz Heinemann della Houdry Process Corporation (poi della Kellogg e della Mobil Oil Corporation) su catalisi e petrolio;di Gustav Egloff e collaboratori della UOP (dal 1939) sulcracking catalitico del cetano e del cetene; di B.S. Green-sfelder della Shell (1945-50) sul meccanismo delle reazionidi idrocarburi nel cracking catalitico; di Pines (1945-1950)sul meccanismo delle reazioni di isomerizzazione (ACS,1951; Eni, 1962-71). In Germania, già dagli anni Venti, sitentò di applicare ai bitumi, ai catrami e ai residui pesanti dipetrolio sia le tecnologie di idrogenazione del carbone avvia-te da Friedrich Bergius nel 1913, sia il processo elaborato ebrevettato da Franz Fischer e Hans Tropsch nel 1922 di con-versione per sintesi dei gas di carbone a idrocarburi e adalcoli, con risultati parzialmente soddisfacenti, detto ‘proces-so (o ‘sintesi’) Fischer-Tropsch’ (F-T). Le realizzazioni negliimpianti tedeschi di Gelsenberg, Wesseling, Scholven eWeinheim – danneggiati nella Seconda Guerra Mondiale eripristinati nel 1949-50 – riguardavano residui di distillazio-ne, residui di cracking e greggi pesanti. Le tecnologie appli-cate in questi impianti – mutuate dalle esperienze con carbo-ni fossili – si differenziarono in parte da quelle correnti negliStati Uniti. Con la compartecipazione tra I.G. Farbenindustriee Standard Oil of New Jersey delle tecnologie brevettate dallaprima in materia di combustibili, idrogenazione dei petroli,sintesi da carbone e da gassificazione di carboni, di ligniti,ecc., le società contraenti dichiararono congiuntamente l’in-tenzione di concedere a terzi licenze per l’applicazione deipropri processi, allo scopo di promuovere l’espansione del-l’industria mondiale del petrolio.

La conclusione, tuttora valida, delle indagini comparatesul cracking termico e su quello catalitico concorda sulladiversità del meccanismo principale delle reazioni: radicali-co per il processo termico, ionico per il processo catalitico;quest’ultimo meccanismo è applicabile alle n-paraffine, alleisoparaffine e sostanzialmente anche agli idrocarburi nafte-nici e a quelli aromatici. Altri studi hanno riguardato le ole-fine, notoriamente assenti nei greggi ma formate in tutti icracking di idrocarburi e quindi a contatto con il catalizzato-re, che subiscono più reazioni secondarie. In conclusione: iprodotti primari dei processi a confronto risultano assai simi-li (a parte la composizione dei gas), mentre nel cracking cata-litico sono più importanti le reazioni secondarie, indotte daidiversi ioni carbonio (primari, secondari e terziari) e dalla

reattività delle olefine prodotte all’avvio della reazione, inpresenza del catalizzatore fortemente acido. In effetti, unadelle finalità più importanti delle ricerche per migliorare irisultati del cracking catalitico è stata quello di contrastare lereazioni secondarie, che sottraevano parte della benzina pro-dotta e aumentavano la resa in gas (Kobe e McKetta, 1958-65; Lovink e Pine, 1990).

A causa delle ripetute varianti apportate negli Stati Unitial processo industriale a partire dagli anni 1940-42, le moder-ne versioni del cracking catalitico e i relativi impianti diffe-riscono alquanto da quelli delle origini. Designate come TCC(Thermofor Catalytic Cracking), FCC (Fluid CatalyticCracking) e RFCC (Resid Fluid Catalytic Cracking), esseoperano con catalizzatore mobile o a letto fluidizzato.

Una vera rivoluzione nella catalisi applicata in raffineriasi è avuta a partire dal 1956, con l’introduzione, dapprima daparte della Linde, delle zeoliti, poi variamente modificate eassociate a metalli. Tali materiali, selettivi nei riguardi dellastruttura degli idrocarburi, si sono dimostrati rapidamenteassai più efficaci ai fini della resa in distillati dai crackingcatalitici e della qualità della frazione benzina (NO di moltipunti superiori rispetto a quelli raggiunti con i catalizzatorisilice-allumina tradizionali). La distribuzione dei prodotti delcracking è stata progressivamente migliorata; anche la gestio-ne del coke depositato sul catalizzatore è stata ottimizzata,consentendo agli impianti di operare in maniera redditizia.Nei moderni impianti di FCC, con tali catalizzatori il contat-to tra alimentazione e catalizzatore avviene in un reattore acolonna montante (riser), che opera a temperatura intorno a500 °C o di poco superiore, a una pressione di 2,5-3 bar, conun tempo di contatto di 2-4 s; il catalizzatore viene separatodal prodotto sottoposto a cracking (comunemente detto‘crackizzato’) e passa al rigeneratore dove il coke deposita-tosi viene bruciato in corrente d’aria a circa 650 °C. Il cata-lizzatore rigenerato torna in ciclo; il prodotto ‘crackizzato’passa alla sezione di frazionamento (distillazione) dalla qualesi ottengono: un gas non condensabile o fuel gas (impiegatocome combustibile in raffineria), una frazione C3-C4 ricca diidrocarburi insaturi, benzina, uno o due gasoli, un residuocontenente anche particelle di catalizzatore (Borza, 1993;Lucas, 2000).

Nella gestione degli impianti di FCC alimentati congasoli e/o residui contenenti zolfo, si è presentato un pro-blema molto serio, ossia quello delle emissioni di anidrididello zolfo (SOx) dai gas di scarico del rigeneratore. Perrisolverlo, a partire dalla metà degli anni Settanta si è fattoricorso ai cosiddetti ‘agenti di trasferimento dello zolfo’ oSTA (Sulfur Transfer Agents) a base di ossidi di metalli(Ogden, 1991).

I progressi delle versioni successive del cracking catali-tico, nell’impiantistica oltre che nei catalizzatori, hannoindotto ricercatori di istituti e di aziende non solo negliStati Uniti (Chevron, Mobil R&D, W.R. Grace & Company, Filtrol Corporation), ma anche in Francia (CNRS-ConseilNational de la Recherche Scientifique e università, IFP-Insti-tut Français du Pétrole con la Total), in URSS (processoDoben), in Spagna (CSIC-Consejo Superior de Investigacio-nes Cientifìcas), in Olanda (Shell, Akzo Nobel), in Finlandia(Neste Oy), in Austria (OMV-Österreichische Mineralöl-verwaltung Aktiengesellschaft) e altrove, a reiterare gli studisul comportamento di singoli idrocarburi, di loro miscele odi alimentazioni selezionate provenienti da grezzi diversi(Lovink e Pine, 1990).

STORIA

554 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 31: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

L’hydrocracking, realizzato in versioni differenti, vieneapplicato al gasolio pesante per produrre benzina, jet fuel egasolio diesel, con un catalizzatore metallico di palladio,oppure con ossidi di nichel e molibdeno o di wolframio suzeolite, solfuro di nichel-wolframio. Gli impianti sono di tipoclassico a letto fisso e sono denominati in vari modi: iso-cracking (California Research/Chevron), sovafining (SoconyMobil), unicracking (Union Oil), lomax (UOP), e altri. Ve neè anche uno a letto fluidizzato denominato H-Oil (Hydrocar-bon Research). Alla fine degli anni Cinquanta solo gliimpianti isocracking e lomax erano stati applicati pratica-mente in alcune raffinerie statunitensi, mentre altri iso-cracking erano in via di progettazione. Negli anni Settantaerano in esercizio o in costruzione/progettazione oltre 60impianti industriali di hydrocracking delle diverse versioni(isomax, unicracking, Shell, BP, ecc.).

Tutti questi processi sono stati impiegati per scopi diver-si, dato che, comunque, le reazioni di idrogenazione, nellevarie condizioni in cui avvengono, consentono di ottenereintermedi e/o prodotti migliorati, anche da alimentazionipesanti considerate scadenti per la presenza di impurezzeorganiche (composti solforati e azotati) e minerali (quali ilnichel e il vanadio; Lucas, 2000). Il fabbisogno di idrogenodi tali processi supera, in generale, la sua disponibilità daimpianti di reforming catalitico, quindi ne impone la produ-zione per mezzo della gassificazione (di solito conversione diidrocarburi con vapore, detta steam reforming).

Anche i reforming della benzina sono stati ben prestomodificati dall’avvento della catalisi: un catalizzatore abase di ossido di molibdeno (MoO3) su allumina fu adotta-to già nel 1940 (Kobe e McKetta, 1958-65). I reformingcatalitici, che comprendono reazioni di aromatizzazione,misero a disposizione delle raffinerie quantità rilevanti diidrogeno, il che aprì la via a nuovi processi di trattamentodelle alimentazioni ai reforming stessi (hydrotreating), perallontanare gli eteroatomi di zolfo, di azoto e di ossigeno,in vario modo dannosi per i catalizzatori e per la qualitàdelle benzine.

Il primo processo di miglioramento della benzina dicracking (dapprima del cracking termico, poi anche di quel-lo catalitico) fu la desolforazione, realizzata per semplicepassaggio su masse adsorbenti-catalitiche di minerali (bauxi-te naturale, argilla, allumine). Seguirono la desolforazioneidrogenante o HDS (Hydrogen DeSulphurization), su cataliz-zatori di varia composizione, e la isomerizzazione delle fra-zioni di testa (C5-C6). Parallelamente si studiarono in labora-torio, e poi si applicarono con successo nell’industria, pro-cessi catalitici per la trasformazione delle frazioni di gascondensabili (C2-C4) in componenti della benzina, in parti-colare la polimerizzazione delle olefine e l’alchilazione delleparaffine con olefine (ACS, 1951; BP, 1958). Infatti, le fra-zioni più volatili dei processi di cracking sono dotate di otti-mi NO, ma non sono idonee a essere formulate direttamentenella benzina commerciale, poiché ne aumenterebbero lavolatilità oltre i limiti delle specifiche.

La polimerizzazione termica – in realtà limitata alladimerizzazione e alla trimerizzazione – delle olefine gassosea componenti della benzina fu adottata nelle raffinerie neiprimi anni Trenta; la polimerizzazione catalitica fu brevetta-ta negli Stati Uniti nel 1934 da Ipatieff ed ebbe subito suc-cesso, prima in una raffineria della Shell, compagnia azioni-sta della UOP, e successivamente in altri impianti, ma soprat-tutto negli Stati Uniti (ACS, 1951); il processo venne in parte

abbandonato a favore dell’alchilazione, soprattutto per la piùalta resa di questa reazione in frazioni ad alto NO, e la con-seguente valorizzazione della benzina formulata per l’immis-sione nel mercato (BP, 1958).

L’alchilazione delle paraffine è una reazione che com-bina un’olefina da C2 a C5 con una paraffina, per formareuna paraffina ramificata più altobollente di quella di par-tenza. Applicata agli idrocarburi insaturi ottenuti dalcracking termico o da quello catalitico, questa reazione dàluogo a componenti della benzina che ne migliorano sia ilNO sia la suscettibilità al piombo tetraetile. Queste reazio-ni di polimerizzazione e di alchilazione sono state studiatee spiegate nel 1938 da Frank C. Whitmore (ACS, 1951). Lapolimerizzazione delle olefine inferiori ebbe un rilancionegli anni 1976-77 con il processo Dimersol (Yves Chau-vin, IFP), applicato in numerosi impianti, anche per l’ela-borazione dei prodotti dello steam cracking petrolchimico(Lucas, 2000).

L’alchilazione, nella sua specifica applicazione (processoAlkazid UOP dal 1940 e altri) è stata ottenuta con catalizza-tori acidi, dapprima con cloruro di alluminio-cloruro di idro-geno (AlCl3-HCl) e poi con acido solforico (H2SO4) o confluoruro di idrogeno (HF) e realizzata in numerose raffineriein tutto il mondo. Il successo del processo con catalizzatoreHF – molto importante durante la Seconda Guerra Mondia-le per l’aeronautica militare per i paesi alleati, grazie allabenzina avio ad altissima qualità indetonante che riusciva aprodurre – dovette in origine confrontarsi con l’alta tossi-cità dell’HF, affrontata con coraggio dai ricercatori Aristidevon Grosse e C.B. Linn della UOP, impegnati nella primasperimentazione e nello sviluppo del processo (Remsberg eHigdon, 1994).

In pratica, lo sfruttamento dell’alchilazione nelle raffi-nerie è stato limitato all’alchilazione della paraffina isobu-tano con le olefine propilene, buteni, penteni e loro misce-le. Vennero sviluppati anche processi di alchilazione con eti-lene, ma ebbero applicazioni limitate, come l’alchilazionedell’isobutano a 2,2-dimetilbutano (neoesano) e a 2,3-dime-tilbutano (bi-isopropile). I catalizzatori per tutti i processi diraffineria erano forniti da numerose aziende specializzate,quali la Davison, la Humphrey & Glasgow, la JohnsonMatthey, la Engelhard, la Hershaw, la Ketjen e la Degussa(Aalund, 1984).

L’impiego del platino in raffineriaMalgrado fosse assai nota l’efficacia catalitica del pla-

tino (Pt), non ne erano state prese in considerazione le pos-sibili applicazioni industriali a causa del suo alto costo.Infatti, dell’uso di questo metallo quale catalizzatore sierano occupati, sin dagli inizi del 19° secolo, scienziati dirilievo quali Jöns Jacob Berzelius, Humphry Davy e MichelFaraday. Nel 20° secolo, un contributo rilevante in materiaarrivò dalla Russia, che era un grande produttore di questoprezioso metallo. A tale proposito, meritano di essere ricor-date le ricerche del chimico organico N.H. Zelinskij, chenel 1922 aveva pubblicato un lavoro sulla deidrogenazionecatalitica del cicloesano a benzene, su catalizzatori plati-no/carbone e nichel/allumina. All’epoca i risultati di Zelin-skij non suscitarono alcun interesse di tipo industriale,anche perché il benzene era ampiamente disponibile dal-l’industria del carbone, mentre il cicloesano era una curio-sità da laboratorio. Si potrebbe al più rilevare, alla luce delleconoscenze acquisite in seguito, che Zelinskij avrebbe fatto

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

555VOLUME V / STRUMENTI

Page 32: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

meglio a supportare il platino su allumina invece che sucarbone.

In seguito, le ricerche sul comportamento degli idrocar-buri dotati di un punto di ebollizione nel campo della benzi-na mostravano che i metalli del gruppo del platino (platino,rodio, iridio) erano molto efficaci nella conversione delle n-paraffine e dei nafteni in isoparaffine e in idrocarburi aro-matici, in condizioni compatibili con le esigenze dell’indu-stria della raffinazione.

Il processo detto platforming (messo a punto dalla UOP,v. oltre) ha rappresentato la prima utilizzazione del platinonell’industria del petrolio, che in seguito ne avrebbe richiestoquantità sempre maggiori, confermando il ben noto assuntoche nel passaggio da produzioni e da impieghi dell’industriachimica vera e propria a quelli dell’energia, cambia l’ordinedi grandezza dei sistemi e dei materiali impiegati.

Benché il catalizzatore originario contenesse menodell’1% di platino e quelli proposti successivamente assaimeno, il reforming catalitico è divenuto il più importanteutente del metallo, ma non il più importante consumatore, inquanto il platino viene recuperato dal catalizzatore esauritoper venir riutilizzato nel catalizzatore nuovo.

Negli anni Trenta, nell’URSS si sperimentò il comporta-mento di numerosi idrocarburi da C5 a C10 in presenza dicatalizzatori a base di metalli e di ossidi di metalli (N.I.Shuikin, R.A. Kazanskij, A.F. Platé e altri). Il più volte men-zionato Ipatieff ebbe un ruolo assai rilevante nell’afferma-zione della catalisi nell’industria del petrolio. Già famosonella Russia zarista tra il 19° e il 20° secolo, dopo la Rivolu-zione del 1917 egli ebbe prestigiosi incarichi anche politici.Nel 1930, presente a Berlino per la seconda Conferenza mon-diale dell’energia, incontrò Egloff che lo invitò a visitare ilaboratori di ricerca della UOP presso Chicago. In verità èassai probabile che Egloff fosse andato a quel congressoanche per acquisire alla UOP, di cui era direttore delle ricer-che, ricercatori di primo piano. Infatti, oltre a Ipatieff, con-vinse a trasferirsi negli Stati Uniti anche Tropsch, già famo-so quale coinventore della celebre reazione Fischer-Tropsch(Tropsch, però, nel 1935 tornò in Germania, dove poco dopomorì di infarto). Ipatieff, dunque, fu assunto nei laboratoridella UOP e divenne professore alla Northwestern University.Nel 1930 era emigrata dall’URSS negli Stati Uniti anche lafamiglia del giovane Vladimir Haensel, che nel 1935 conse-guì il BS (Bachelor of Science) in ingegneria proprio allaNorthwestern University e poi, nel 1937, il Master in inge-gneria chimica al MIT (Massachusetts Institute of Techno-logy). Subito assunto alla UOP per lavorare sotto la dire-zione di Ipatieff sulle reazioni catalitiche di idrocarburi,Haensel proseguì alla Northwestern University gli studi peril PhD in chimica, sempre sotto la guida di Ipatieff.

Nel marzo 1949 la UOP annunciò a un congresso dellaWPRA (Western Petroleum Refiner Association) la scopertae lo sviluppo di un nuovo processo di reforming della benzi-na, in presenza di idrogeno e a pressione relativamente mode-rata (30-35 bar), che si avvaleva di un catalizzatore bivalen-te platino-allumina acida, battezzato platforming dalla UOP,e brevettato da Haensel. Le principali reazioni, che consen-tono un rilevante incremento del NO della benzina di primadistillazione, sono l’aromatizzazione dei nafteni e la deidro-ciclizzazione, assieme alla isomerizzazione e a un parzialehydrocracking, delle n-paraffine, infine una parziale desolfo-razione (ACS, 1951; Kobe e McKetta, 1958-65; Wuithier,1965):

n-C6H14�� C6H6�4 H2

n-C6H14�� cicloC5H10-CH3�

�C6H6�4 H2

CH3C2H4SH�H2��H2S�CH3CH2CH3

Caratteristica del processo originale – realizzato inimpianti a tre reattori in serie, intercalati da forni e scam-biatori – era la separazione tra le principali reazioni di con-versione dell’alimentazione: nel primo reattore si realizza-va soprattutto l’aromatizzazione delle n-paraffine (reazioneveloce, endotermica, che svolge idrogeno), mentre la cor-rente uscente veniva portata alla temperatura ottimale per lealtre reazioni (isomerizzazione e hydrocracking) realizzatenei due reattori seguenti.

L’applicazione del nuovo processo fu rapidissima:infatti sei mesi dopo, alla Old Dutch Refinery situata nelMichigan, entrava in esercizio un impianto basato su diesso. A quella raffineria ne seguirono molte altre, tanto chedieci anni dopo la UOP aveva collocato oltre 100 impiantidi platforming negli Stati Uniti e all’estero. Il successo cla-moroso della UOP stimolò numerose aziende – petroliferee impiantistiche – e nel giro di un anno proliferarono leimitazioni e i brevetti: la Atlantic propose il catforming(brevetto statunitense di F.G. Ciapetta, nel 1951) con duereattori in serie invece dei tre della UOP e catalizzatore diplatino su silice-allumina (resistente alla presenza diacqua) differente da quello della UOP; la Houdry ProcessCorporation brevettò lo houdriforming, con un certo nume-ro di reattori a letto fisso e catalizzatore al platino su allu-mina, con aggiunta di silice per mezzo del tetracloruro disilicio; la Socony Mobil brevettò il TCR (ThermoforCatalytic Reforming) con un solo reattore e un catalizzato-re a base di ossidi di cromo e molibdeno rigenerabile insitu (ACS, 1951; Kobe e McKetta, 1958-65); la StandardOil of Indiana brevettò l’ultraforming, a bassa pressionecon rigenerazione ciclica. Negli anni immediatamente suc-cessivi seguirono altri brevetti, tra i quali ebbe un certosuccesso il powerforming della Esso, con catalizzatore alplatino e tre reattori, più un quarto di riserva, che consen-tiva di rigenerare il catalizzatore inserendo e togliendo dalprocesso un reattore alla volta senza dover fermare l’im-pianto.

Il proliferare di processi e di impianti è stato accompa-gnato da ricerche sul comportamento di singoli idrocarburinelle condizioni di processo. Nei primi anni Cinquanta,ricercatori delle società petrolifere statunitensi e delleaziende detentrici dei brevetti – direttamente o tramite leuniversità e i laboratori delle consociate – provarono ali-mentazioni diverse, soprattutto in presenza dei catalizzatori‘proprietari’ (platino/allumina/alogeno, ossidi di molibdenoe di cromo, solfuri di wolframio-nichel, ecc.); oltre a rag-giungere risultati utili, essi contribuirono ad aumentare e adaffinare le conoscenze sui meccanismi delle reazioni degliidrocarburi. La UOP propose il rexforming, un processocombinato di reforming su Pt, estrazione selettiva del pro-dotto del reforming (detto comunemente ‘riformato’) e rici-clo della porzione paraffinica a basso NO. Nel 1955 lacapacità degli impianti di platforming UOP era circa parialla somma delle capacità di tutti gli altri tipi di impianti direforming catalitico.

Poiché l’interesse pratico del processo stava nell’aumen-to del NO del prodotto rispetto all’alimentazione e nella

STORIA

556 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 33: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

suscettibilità del prodotto stesso al piombo tetraetile, all’epo-ca impiegato come antidetonante, inizialmente non si badòmolto ai coprodotti, quali gli idrocarburi gassosi incondensa-bili e il solfuro di idrogeno, ma ben presto la stessa UOP ealtre aziende del settore trovarono soluzioni adeguate a risol-vere in modo soddisfacente la presenza finale di tali sostan-ze. Il problema dell’azione dello zolfo sul catalizzatore vennepresto risolto fornendo all’impianto benzina desolforata, dap-prima con processi in assenza di idrogeno (gray clay, Perco)e, a partire dagli anni Cinquanta, per idrodesolforazione(hydrofining, unifining, ultrafining e altri) utilizzando l’ec-cesso di idrogeno fornito dai reforming stessi.

Altre proposte di reforming catalitico sono state elabora-te dall’IFP, come il processo continuo basato su catalizzato-re mobile tra i reattori e rigenerazione ‘interna’, e dalla stes-sa UOP che nel 1968 sviluppò e realizzò il CCR platforming,che operava a una pressione compresa tra 3 e 5 bar, con rige-nerazione continua del catalizzatore (ora bimetallico: plati-no/renio, UOP, Chevron), con i tre reattori sovrapposti inun’unica struttura con interposti alcuni forni e scambiatoriper ottimizzare la temperatura nei singoli reattori.

Nel 1974, dopo 25 anni dal primo impianto industriale,su sette processi di reforming catalitico il platforming era ilpiù affermato, con 500 impianti in esercizio o in costruzioneo in progetto. Dopo quasi sessant’anni, il platforming, anchenelle nuove versioni, è ancora il processo catalitico più dif-fuso nelle raffinerie di tutto il mondo.

È pressoché impossibile dilungarsi sulle innumerevoliliti per infrazione di brevetti e per priorità, che, soprattuttonegli Stati Uniti, hanno riguardato quasi tutte le innovazio-ni, dai cracking termici ai catalizzatori, fino ai lubrificantiper motori e alle particolarità meccaniche degli impianti. Visono state coinvolte importanti compagnie, tra le quali laEsso (poi Exxon), la Mobil, la Shell, la Texaco, la Chevron,l’ARCO, che tuttavia finirono per accordarsi, suscitandol’interesse del governo federale degli Stati Uniti che, sospet-tando accordi di cartello, intervenne in base allo ShermanAntitrust Act. La controversia si trascinò dal 1924 al 1931,terminando con l’assoluzione delle compagnie da parte dellaCorte suprema degli Stati Uniti, risultando che le licenzeerano state concesse liberalmente anche a terzi sia statuni-tensi che stranieri.

Per rendere una idea dei costi dell’utilizzazione dei cata-lizzatori al platino, basti pensare che nel 1986 il platinocostava circa 26.000 £/g (16,25 $/g) e, dato che un impiantodi platforming richiedeva da 20 a 100 t di catalizzatore allo0,5% di platino (quindi da 100 a 500 kg di platino), il metal-lo immobilizzato corrispondeva a un valore in lire italianedell’epoca che andava da 2,6 a 13,0 miliardi per singoloimpianto (ovvero da 1,625 a 8,125 milioni di dollari).

Processi a latere del cracking e del reformingL’affermazione del platforming, come degli altri pro-

cessi di reforming catalitico, comportò anche l’introduzio-ne in raffineria di nuovi processi. Infatti, se il reformingcatalitico arrecava comunque un significativo incrementodel NO della benzina, comportava anche – e non potevaessere diversamente, tenendo conto delle condizioni di pro-cesso – la formazione di n-paraffine C5 e C6, il cui bassoNO peggiorava quello del ‘riformato’ totale e della benzinacommerciale. Si presentò, quindi, l’esigenza di isomerizza-re tali paraffine producendo idrocarburi migliori dal puntodi vista del NO.

La reazione di isomerizzazione delle n-paraffine eranota sin dal 1933 grazie ai lavori dei chimici romeni CostinD. Nenitzescu e A. Dragan. Non molti anni dopo l’afferma-zione dei reforming catalitici, numerose aziende petroliferee impiantistiche proposero processi industriali di isomeriz-zazione catalitica delle n-paraffine, quali i processi butamerper il n-butano, penex UOP per il pentano, Esso in faseliquida e Shell isomer per C5-C6; la separazione n-paraffi-ne/isoparaffine nel prodotto è stata in gran parte basata sul-l’utilizzazione di setacci molecolari (zeoliti), in diverse con-figurazioni e quindi con differenti selettività di separazione(Kobe e McKetta, 1958-65; Wuithier, 1965; Aalund, 1984;Ogden, 1991).

La massima espansione della isomerizzazione si ebbedurante la Seconda Guerra Mondiale; essa venne applicatasoprattutto al n-butano, per ottenere isobutano da sottopor-re ad alchilazione, allo scopo di fornire quantità ingenti dibenzina avio ‘grado 100-130’ all’aeronautica militare degliAlleati.

In modo simile l’affermarsi del cracking (termico e cata-litico) stimolò la realizzazione e l’applicazione in raffineriadi processi per ottenere idrocarburi ad alto NO dalle olefineleggere (dall’etilene ai buteni). Nacque così, come processodi raffineria, l’alchilazione delle n-paraffine C3-C4 con ole-fine. Questo processo venne realizzato in diverse versioni e,sebbene l’alchilazione possa prodursi ad alta temperaturasenza catalizzatori, i due processi industriali che si sonoaffermati operano a bassa temperatura, in fase liquida, concatalizzatori acidi (acido solforico e fluoruro di idrogeno),ovviamente brevettati dai detentori dell’idea e del know-howconnesso (Kobe e McKetta, 1958-65; Aalund, 1984). Sihanno numerose reazioni sequenziali e parallele che forma-no un prodotto multicomponenti, cioè una vasta gamma diparaffine ramificate da C5 a C12.

Già dai primi anni Cinquanta, il reforming catalizzato dametalli nobili venne associato a processi di separazione degliidrocarburi aromatici (BTX, assieme o singoli) mediante sol-venti selettivi: dapprima con glicole etilenico (UdexDow/UOP) poi con solfolano (Shell), N-metilpirrolidone(Arosolvan/Distapex Lurgi), dimetilsolfossido (IFP, Elf-Union) e altri ancora. Gli idrocarburi aromatici ottenuti usci-rono sempre più spesso dal downstream vero e proprio perpassare alla petrolchimica, anche se – in talune grandi raffi-nerie – si costruirono impianti per la dealchilazione deltoluene a benzene, per la sintesi del cumene da benzene epropilene, e altri ancora. Il raffinato dearomatizzato, paraffi-nico, fu utilizzato in vari modi, tra i quali la formulazione dicherosene per aviogetti, ossia il più volte citato jet fuel.

Accanto a tali processi, per migliorare la qualità deidistillati leggeri si affermarono trattamenti chimici tendentiad allontanare piccole quantità di componenti indesiderati,estraendoli o trasformandone le molecole in altre meno sgra-dite (per esempio, meno maleodoranti, non corrosive, inno-cue verso i catalizzatori). Fin dalle origini, questi trattamen-ti sono stati eseguiti in condizioni discontinue (batch). Cosìè stato per il lavaggio della benzina SR con la soda caustica(eliminazione dei mercaptani) e per l’ossidazione dei mer-captani a disolfuri (il trattamento detto doctor, con soda,piombito di sodio e zolfo):

Na2PbO2�2 RSH�� (RS)2Pb�2 NaOH

(RS)2Pb�S�� PbS�RSSR

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

557VOLUME V / STRUMENTI

Page 34: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Allo stesso scopo è stato anche applicato il trattamentoossidante con soluzione di cloruro rameico come nel proces-so copper sweetening della Phillips (W.A. Schulze, e nume-rosi brevetti statunitensi dal 1934 al 1941):

2 RSH�2 CuCl2�� RSSR�2 CuCl�2 HCl

2 CuCl�2 HCl�1/2 O2�� 2 CuCl2�H2O

2 RSH�1/2 O2�� RSSR�H2O

La depurazione dai mercaptani è stata ottenuta anchemediante l’estrazione con una soluzione alcolica di idrossidodi sodio (processo Unisol della UOP), con l’isobutirrato alca-lino (processo Solutizer della Shell) o con altri solventi selet-tivi (processo Mercapsol della Pure Oil Co.).

Prodotti minori tra benzina e gasolioTra i campi di distillazione di benzina e gasolio si collo-

cano alcuni prodotti per usi speciali: solventi misti quali la‘ragia minerale’ o singoli quali l’esano per smacchiatori.Seguono, per intervallo di distillazione ma non per impor-tanza, i turbocarburanti, derivati dal progresso della propul-sione aerea da motori a scoppio a motori a turboelica e, infi-ne, a quelli turbogetto. Questi ultimi esigono particolari cureper le condizioni severe di impiego del velivolo (alta quota ebasse temperature). Aviogetti civili e militari sono ancora ali-mentati da cherosene non molto differente dal petrolio lam-pante di un tempo. Rigide specifiche IATA (International AirTransport Association) e militari come quelle della NATO(North Atlantic Treaty Organisation) qualificano diversi sot-totipi, soprattutto ai fini della sicurezza, e prescrivono gliadditivi antistatici, anticorrosivi, antighiaccio, e così via(Lucas, 2000).

Gasolio per motori dieselLa struttura tecnologica ed economica dell’industria del

downstream è stata orientata a favorire la resa complessiva inbenzina per autovetture e a migliorare la qualità di questa.Come già detto, ciò si è realizzato a partire dagli anni imme-diatamente precedenti la Prima Guerra Mondiale, con l’avviodella grande produzione automobilistica degli Stati Uniti, ingran parte quella per l’automobile privata, dotata di motori ascoppio ad accensione comandata. Anche lo sviluppo dellaprocessistica è stato condizionato dall’evidente desiderio dimassimizzare la resa e la qualità del carburante per questotipo di uso. Il cracking termico, i processi catalitici tesi ademolire per quanto possibile e conveniente l’olio combusti-bile residuo e lo stesso gasolio, e perfino i tentativi di utiliz-zare al meglio le code della frazione benzina � cherosene,hanno in sostanza penalizzato la resa e le qualità motoristichedel gasolio diesel. Questa impostazione, in sostanza, ha gene-rato i successivi problemi dell’impiego del gasolio nei moto-ri diesel, dato che per una buona qualità motoristica del gaso-lio – in termini di ‘ritardo dell’autoaccensione’ espresso conil Numero di Cetano (NC) – sono preferibili le n-paraffine ele olefine lineari, mentre la maggior parte dei processi perottenere benzina di qualità (alto NO) trasforma tali idrocar-buri in gas e in idrocarburi aromatici.

È ipotizzabile che l’atteggiamento favorevole alla benzi-na e contrario al diesel sia derivato dal fatto che negli StatiUniti il motore diesel è stato riservato ai trasporti pesanti(locomotori ferroviari, autocarri, ecc.). I successivi progressi

dei motori diesel veloci per automobili – soprattutto in Euro-pa e in Estremo Oriente – ne hanno migliorato le prestazionie ridotto i consumi fino a indurre gli utenti, all’inizio del 21°secolo, ad acquistare più automobili con motore diesel checon motore a benzina.

Per non peggiorare l’organizzazione generale della pro-duzione, le raffinerie formulano gasoli diversi per uso estivoe invernale e ricorrono a più additivi per ottenere gasoli die-sel di qualità soddisfacente nelle diverse condizioni di impie-go: il nitrito e il nitrato di amile ‘pro-cetano’, per migliorarela combustione; detergenti per evitare bloccaggio degli iniet-tori; antifumo per migliorare le emissioni; sostanze in gradodi migliorare il comportamento a bassa temperatura, e altri(Owen, 1989).

L’utilizzazione dei residuiLa qualità del residuo della distillazione atmosferica e a

pressione ridotta è ovviamente legata alla qualità del greggiolavorato. Se, attualmente, nella maggior parte dei casi, sitende a minimizzarne la produzione, i residui di buona qua-lità (quelli da grezzi contenenti n-paraffine e isoparaffine,idrocarburi naftenici, aromatici e piccole quantità di compo-sti contenenti eteroatomi) si prestano a produzioni di lubrifi-canti. La lavorazione del residuo per produrre lubrificanti,tuttavia, comporta una serie di operazioni, di processi e diimpianti, i cui costi sono valutati attentamente dalle raffine-rie. Spesse volte, il cosiddetto ‘residuo’ contiene, oltre aquanto rimane dalla distillazione atmosferica e sotto vuotodel greggio, anche componenti provenienti da residui di pro-cessi termici o catalitici, coke e metalli inclusi. Di conse-guenza, i trattamenti possibili sono molteplici, spesso fonda-ti su più reazioni idrogenanti-crackizzanti (come, per esem-pio, l’hydrocracking dell’Union Oil). Occorre ancherammentare che fino ai primi anni Venti i lubrificanti dapetrolio non erano molto usati, tanto che i motori degli aereiimpiegati nella Prima Guerra Mondiale venivano lubrificaticon olio di ricino.

Poiché gli oli minerali lubrificanti devono possedere qua-lità comuni (viscosità e alto indice di viscosità, potere lubri-ficante, comportamento a bassa temperatura) indipendente-mente dall’impiego specifico, la loro produzione dagli olibase di origine petrolifera comporta una selezione dei com-ponenti, per esempio l’eliminazione degli asfalteni e delleresine (deasphalting) e delle cere paraffiniche (deparaffina-zione).

Negli Stati industrializzati, all’inizio del 21° secolo, l’o-lio combustibile residuo come tale è rimasto per alimentare ibruciatori di caldaie medio-grandi e, spesso ‘flussato’ congasolio di cracking, i motori diesel delle navi di stazza lordasuperiore a 2.000 t (Lucas, 2000). In tale ultimo impiego i pos-sibili inconvenienti (depositi carboniosi e danni all’internodei motori) sono accettati in considerazione del significativodivario tra i costi di tale olio combustibile residuo (bunker)rispetto al gasolio per motori da autotrazione. L’inquinamen-to in mare connesso all’impiego del bunker dovrebbe miglio-rare grazie alle norme MARPOL (MARine POLlution), deri-vate dalla International Convention for the Prevention of Pol-lution from Ships, adotatta il 2 novembre 1973, nonché allenuove normative europee sul tenore di zolfo consentito neglioli combustibili per le navi.

Un’altra destinazione dei residui (non solo quelli delladistillazione e dei trattamenti termici e catalitici) è la gas-sificazione a ossido di carbonio � idrogeno (CO � H2),

STORIA

558 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 35: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

mediante uno dei processi ormai consolidati, mutuati dallatecnologia del carbone (per esempio, i processi di ossidazio-ne parziale Shell, Texaco, Lurgi e altri). Un altro impiego ditale gas di sintesi ottenuto dai residui è la generazione dienergia elettrica con il ciclo combinato integrale (IGCC, Inte-grated Gasification Combined Cycle).

La lavorazione dei residui per produrre lubrificanti com-porta necessariamente una produzione associata di bitume edi cere paraffiniche.

La lavorazione per ottenere lubrificanti del gasoliopesante (da vuoto) e degli oli residui ha radici lontane neltempo. Già negli anni Venti-Trenta si applicavano processiper la estrazione di oli base per lubrificanti utilizzando sol-venti selettivi, come i già citati propano (Kellogg), fenolo(Kellogg), furfurolo (Texaco), nitrobenzene (Atlantic). Nelprocesso principale di deasphalting, il più delle volte si èfatto ricorso a solventi idrocarburici, come le n-paraffine daC3 (il propane deasphalting, 1934) a C6 o a frazioni di ben-zina SR. L’alimentazione, di solito gasolio pesante o residuoda vuoto, viene mescolata con un forte eccesso di solventein uno o più estrattori: l’olio, privato degli asfalteni e delleresine, viene fatto passare in scambiatori di calore ed è libe-rato dal solvente, che poi viene riciclato. In relazione allaqualità del greggio originario, la fase oleosa del deasphaltingè costituita da olio base per lubrificanti, oppure da materia-le per l’alimentazione del cracking catalitico o dell’hydro-cracking. Il bitume ricavato dallo stadio di deasphalting,riscaldato in un forno, viene liberato dai residui del solven-te ed è utilizzato come combustibile in raffineria o vienetrattato in funzione della destinazione del bitume ottenuto(Eni, 1962-71; Le Page et al., 1992). Alla presenza di n-paraffine ad alto peso molecolare o di cere paraffiniche(paraffin wax) negli oli base, che innalzano il punto di scor-rimento, si può rimediare con processi di deparaffinazione,per esempio con solventi quali l’acetone, il metilisobutil-chetone, le miscele chetoni-toluene (Texaco, dilchill dellaExxon R&E Company). Il primo processo industriale dideparaffinazione del petrolio viene attribuito a F.X. Govers,che lo realizzò nel 1933 in un impianto a raffreddamento ea pressatura. Tra i successivi processi ha avuto applicazioniindustriali la cristallizzazione con solvente seguita da cen-trifugazione. La deparaffinazione è stata realizzata anchecon processi catalitici che comportano reazioni di crackinge di isomerizzazione (Lucas, 2000).

Per ottenere la vasta gamma di lubrificanti destinati adapplicazioni diverse (oli per macchine utensili, per turbine,per compressori, per motori, per cambi e differenziali, ecc.),le cui qualità sono soggette a rigorose specifiche, ai proces-si citati si devono aggiungere altri trattamenti, inclusa l’ag-giunta di additivi (per migliorare l’indice di viscosità e ilpunto di scorrimento, combattere la formazione di melme ela corrosione di supporti e cuscinetti), curata all’interno dellaraffineria per mettere sul mercato prodotti dotati di alta qua-lità oltre che conformi alle specifiche.

Non è facile definire la composizione degli oli lubrifi-canti in generale, data la vasta gamma delle possibili appli-cazioni. Si può affermare che gli oli prodotti in maggiorequantità, ossia quelli per i motori degli autoveicoli, sonocomposti mediamente per l’80% da idrocarburi di originepetrolifera, delle diverse classi, tra C16 e C50, e per il rima-nente da componenti sintetici – polimeri quali il polimetil-metacrilato e copolimeri etilene-propilene – nonché da addi-tivi vari. Dalle frazioni altobollenti e dai residui si producono

anche oli isolanti, diatermici e per applicazioni in agricoltu-ra ed enologia, nonché cere paraffiniche. Si tratta di un set-tore del downstream meno importante quantitativamente maesigente per qualità, praticato da numerose aziende anche avalle dell’industria petrolifera vera e propria.

Nel 1905 Charles F. Mabery provò per primo che le cereparaffiniche sono formate in massima parte da paraffinenormali e debolmente ramificate tra C25 e C29. La sua sco-perta fu preceduta dal recupero di cere da petroli statuni-tensi impiegate per la fabbricazione di ceri e di candele,simili a quelle ottenute da stearina e da spermaceti. Il mate-riale semisolido (petrolatum) ottenuto dalla deparaffinazio-ne nella produzione di lubrificanti, disoleato con solvente,può venire trattato per ottenere paraffina solida, da portarea conformità alle specifiche dei diversi tipi di prodottocommerciale (paraffina grezza, in scaglie, macro- e micro-cristallina) ottenuti con processi e tecniche diverse: filtra-zioni ripetute, cristallizzazioni frazionate da solventi, trat-tamenti con idrogeno (Lucas, 2000). Per molti anni, l’usoprincipale della paraffina solida fu nella produzione dicarte, di cartoni e di tessuti cerati (ACS, 1951; Eni, 1962-71); altri usi si hanno tuttora nelle industrie alimentare, far-maceutica e cosmetica.

Lo zolfo ottenuto dal petrolio: da risorsa a rifiutoLa desolforazione catalitica degli intermedi del down-

stream – dapprima GPL e benzina, poi cherosene, jet fuel egasolio – ha progressivamente messo a disposizione delle raf-finerie cospicue quantità di solfuro di idrogeno. Tra i processipiù affermati, il Perco della Phillips, che era in uso negli anniTrenta-Cinquanta e adoperava un catalizzatore costituito dabauxite o da allumina, era in grado di conseguire una desolfo-razione parziale unita a un miglioramento del NO e dellasuscettibilità agli antidetonanti piomboalchili. Ai gas di petro-lio e alle benzine leggere sono stati applicati con successoanche i processi impiegati per recuperare solfuro di idrogenodal gas naturale (metano).

Dalla fine del 19° secolo era noto che con il processo diC.F. Claus (brevettato in Gran Bretagna nel 1882 e 1883) sipuò ottenere zolfo di ottima qualità per ossidazione del sol-furo di idrogeno, secondo le seguenti reazioni:

H2S�1/2 O2��1/n Sn�H2O

Parte dell’alimentazione viene bruciata:

H2S�3/2 O2�� SO2�H2O

L’SO2 ottenuto si fa poi reagire con H2S su più letti cata-litici di allumina attivata, dando zolfo e acqua:

SO2�2 H2S�� 3 S�2 H2O

Grazie a tale processo, e con un progressivo migliora-mento della tecnologia, l’ampia e crescente disponibilità diH2S, sia dalle raffinerie che dalla desolforazione di gas natu-rali ad alto tenore di questo acido, ha rapidamente messofuori mercato lo zolfo di altra provenienza (l’ultima minieradi zolfo sfruttata con il processo Frasch è stata chiusa allafine del 20° secolo) e, nei primi tempi, ha rappresentato unutile per il bilancio del downstream, stimolando la costru-zione di impianti Claus nelle raffinerie (Kobe e McKetta,1958-65). Il valore commerciale dello zolfo è però sceso

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

559VOLUME V / STRUMENTI

Page 36: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

drasticamente con l’aumento della sua produzione – pratica-mente obbligatoria – nella lavorazione del greggio e del gasnaturale, tanto che oggi lo si considera più come un rifiuto,data la difficoltà di smaltirlo. La situazione, già difficile, abreve termine rischia di diventare critica.

Ricerca e tecnologia Tre istituzioni hanno contribuito grandemente alla cultu-

ra scientifica dell’industria del petrolio in generale: l’Ame-rican Petroleum Institute (API), l’Institute of Petroleum (IP)e l’Institut Français du Pétrole (IFP). Oltre a incentivare invario modo la ricerca presso università, enti pubblici e pri-vati, queste istituzioni hanno fornito costantemente infor-mazioni utili allo sviluppo dei processi. Negli Stati Uniti,l’API, con i suoi progetti di ricerca sugli idrocarburi, suicomposti solforati e sui composti azotati del petrolio, ilBureau of Mines e poi il Department of Energy, hanno con-dotto ricerche alle quali l’industria era direttamente interes-sata; inoltre, hanno reso pubblici gratuitamente risultati suricerche fondamentali e applicate (Harold M. Smith, John S.Ball e numerosi altri). In Francia, l’IFP, oltre a condurrericerche originali, ha costituito società e filiali alle quali haaffidato lo sviluppo e la commercializzazione di processipetroliferi e petrolchimici ‘proprietari’ e per la costruzionedi impianti. Nel Regno Unito, l’IP ha prodotto importantirisultati di ricerche sui composti solforati presenti nei grez-zi di varia provenienza (Stanley F. Birch, Ronald A. Dean ealtri). Negli Stati Uniti e nel Regno Unito i laboratori chi-mici di numerose università – dai prestigiosi MIT, Caltech eStanford alle università di molti Stati dell’Unione (Pennsyl-vania, Texas, Louisiana, California, Colorado, Oklahoma,Ohio e altri) – si sono distinti in ricerche di rilevante inte-resse per l’industria della raffinazione e per quella petrol-chimica.

Le compagnie petrolifere statunitensi, direttamente nelleproprie unità produttive e in grandi centri di ricerca corpora-te, hanno lavorato intensamente, tanto che già agli inizi deglianni Cinquanta spendevano per ricerche oltre 100 milioni didolari annui (ACS, 1951). Esse hanno anche finanziato ini-ziative editoriali di interesse comune per l’industria. Ricercheriguardanti processi e impianti di raffineria sono state con-dotte in numerosi altri Stati: URSS, Giappone, Germania,Spagna, Italia, Messico, India, e, più recentemente, ancheCina e paesi del Vicino e Medio Oriente.

L’evoluzione dei mercati e dei processi Nei primi anni Sessanta, due apparenti novità hanno inte-

ressato l’industria del petrolio e in particolare le raffinerie:l’annuncio della produzione di proteine da petrolio e/o da fra-zioni ricche di paraffine, dapprima su scala pilota e poi suscala industriale (Alfred Champagnat, BP France), e succes-sivamente l’aprirsi di un nuovo mercato per la benzina diprima distillazione (virgin naphtha) e per gli oli residui dautilizzare nei processi di gassificazione a gas combustibili,soprattutto a gas intercambiabili con il gas naturale. Tali pro-cessi (Segas, ONIA-GEGI, M.S.-Gaz de France, UGI-CCR emolti altri) venivano praticati soprattutto da aziende del set-tore per la generazione del gas di uso domestico e di quelloper riscaldamento.

La produzione di proteine da petrolio fu presto abban-donata per ragioni igienico-sanitarie connesse con il divietodel loro impiego nell’industria alimentare per uso umano eanimale. L’altra novità, appunto la generazione di gas, pur

avendo un iniziale successo soprattutto in Europa, dove esi-steva una insufficiente disponibilità di gas naturale, con iltempo perse d’interesse di fronte alle massicce importazio-ni di gas naturale dall’URSS e dagli Stati dell’Africa setten-trionale.

Occorre menzionare anche il progressivo incrementodella capacità di lavorazione delle singole raffinerie e l’auto-mazione estesa degli impianti che hanno consentito di ridur-re il numero degli addetti. L’adozione della programmazionelineare dai primi anni Cinquanta e l’applicazione di strumentielettronici miniaturizzati per il controllo integrato dei pro-cessi (il Direct Digital Control/DDC dal 1963) hanno tra-sformato le sale di controllo, imponendo personale altamen-te specializzato anche se meno numeroso di un tempo.

L’evoluzione dei processi di raffineria e, conseguente-mente, degli impianti è stata sempre più regolata, a partiredagli anni Settanta, da decisioni politiche a loro volta susci-tate dalle istanze della società, tendenti a ottenere combusti-bili sempre più ‘puliti’ oltre che efficienti. La legislazione dimolti Stati in materia di risparmi di energia, di salvaguardiadell’ambiente, di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro hacondizionato sempre più, con la composizione dei prodotti,la scelta dei processi e la costruzione degli impianti. In par-ticolare, negli Stati Uniti, l’inquinamento dell’aria da traffi-co motorizzato è stato combattuto dapprima con modificheai motori auto e poi, dal 1975, con la depurazione cataliticadei gas di scarico e l’eliminazione del piombo dalla benzi-na, ricorrendo anche a facilitazioni di tipo fiscale. Le raffi-nerie collaborarono mettendo rapidamente a disposizionebenzina senza piombo, nelle quantità e con la qualità richie-sta. I risultati ottenuti, tuttavia, non sono stati consideratisufficienti. Sempre negli Stati Uniti, dal 1990 è stato impo-sto di modificare la composizione della benzina con limita-zioni alla concentrazione del benzene e degli idrocarburiaromatici e con aggiunta di componenti e di additivi nonprodotti in raffineria.

Queste regolamentazioni, succedutesi negli anni, hannostimolato a formulare la benzina commerciale aggiungendoai tradizionali componenti idrocarburici composti ossigena-ti, come gli esteri metilici MTBE e TAME (ter-amil-metil-etere) e i loro omologhi etilici, ottenuti dalle reazioni tra ole-fine e alcoli scoperte nel 1907 dal belga Albert Joseph MarieReychler (Owen, 1989; Ogden, 1991; Borza, 1993).

Varie aziende (Snamprogetti/ANIC, BP, Elf, ChemischeWerke Huels, ARCO, DSM, Shell e altre) hanno brevettatoprocessi proprietari per la sintesi di tali composti, con gran-de successo su scala mondiale. Aggiunti alla benzina com-merciale senza alterarne la conformità a leggi, norme e spe-cifiche, gli ossigenati migliorano la combustione, facendodiminuire la concentrazione nei gas di scarico degli inqui-nanti regolamentati: l’ossido di carbonio, gli idrocarburiincombusti e i VOC (Volatile Organic Compounds).

La riformulazione con gli ossigenati influisce indiretta-mente sulla resa in benzina commerciale da un dato greggioe sulla disponibilità di idrogeno dai processi che ne produco-no (reforming e cracking catalitici). In Europa, la direttiva67/548/CEE e i suoi aggiornamenti hanno classificato cometossici o nocivi vari idrocarburi aromatici. La direttiva85/210/CEE ha richiesto agli Stati membri di ridurre il teno-re di piombo nella benzina e la direttiva 2003/30/CE ha sta-bilito di aumentare l’uso dei biocombustibili ad almeno il 2%del contenuto di energia di benzina e gasolio diesel entro lafine del 2005 e del 5,75% entro il 2010.

STORIA

560 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 37: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Per quanto attiene al gasolio diesel, tradizionalmenteimpiegato negli Stati Uniti solo per l’autotrazione pesante ei locomotori ferroviari, già nel 1982 il Clean Air Act ha sta-bilito limiti alle sue emissioni a partire dal 1988.

L’attività finale delle raffinerie consiste, da sempre, nelmescolare opportunamente frazioni provenienti dai diversiimpianti produttivi per ottenere i prodotti finiti da immetteresul mercato, tenendo conto delle prescrizioni di legge. Così,le raffinerie attuali devono provvedere a fornire gasolio (permotori diesel e per riscaldamento) conforme a specifiche inparte differenti, quando non anche (per la pesca e per l’agri-coltura) colorato o denaturato per consentire di accertareabusi in impieghi non fiscalmente agevolati.

L’entità delle emissioni inquinanti dall’autotrazione deri-va in parte anche dalla composizione dei lubrificanti. Datempo, le raffinerie hanno adeguato i processi produttivi deglioli base, limitando l’aggiunta di additivi contenenti metalli oaggiungendo al lubrificante additivi disperdenti e fornendolubrificanti in parte sintetici.

Nell’Unione Europea la legislazione per la eliminazionedel piombo nella benzina, dopo alcune contestazioni, non haprovocato conseguenze rilevanti. Alla legislazione si è affian-cata l’autoregolamentazione da parte delle aziende. Indipen-dentemente dalle legislazioni, negli Stati industrializzati sisono sviluppate norme per l’analisi e la qualità dei prodotti,a cura di organizzazioni su base volontaria – tipica l’azionedella ASTM (American Society for Testing and Materials)negli Stati Uniti – e in seguito da parte di associazioni com-partecipate da aziende e istituzioni. Attualmente, gran partedella normativa è su base internazionale ed europea con isti-tuzioni come l’ISO (International Standards Organization) eil CEN (Comité Européen de Normalisation).

Un altro tema di crescente interesse è legato alla valuta-zione del tempo di esaurimento delle riserve petrolifere. Giàalla fine degli anni Quaranta si riteneva inferiore a 50 anni ilfuturo del petrolio tra le fonti primarie di energia e di pro-dotti chimici. Inoltre, è evidente che il recente irrompere diStati come la Cina e l’India tra i grandi consumatori di mate-rie prime, non del solo petrolio ma di tutte o quasi le risorseormai tradizionali per gli Stati industrializzati, comporteràuna seria crisi sociale ed economica. Alla prevedibile caren-za di materie prime si assocerà l’esigenza di salvaguardaremaggiormente salute e ambiente negli stessi Stati emergenti,sinora piuttosto inadempienti rispetto ai provvedimenti datempo in vigore negli Stati industrializzati. Quindi è di inte-resse prioritario orientare fin da ora la ricerca di fonti ener-getiche alternative a quelle tradizionali, nonché processi dilavorazione appropriati. Fonti da tempo disponibili e il cuisfruttamento è stato provato con successo sono gli scisti oleo-si negli Stati Uniti e nei paesi baltici dell’ex-URSS, le sabbiebituminose nel Canada, nonché taluni carboni. Le tecnologieper il loro sfruttamento sono già disponibili. Una difficoltàper l’applicazione di tali fonti sta nella loro composizione,poiché sono costituite prevalentemente da idrocarburi aro-matici e contengono un alto tenore di zolfo che, oltre acostringere a costose desolforazioni, presenta l’inconvenien-te già esaminato dell’accumulo dello zolfo prodotto. Rimaneda valutare di volta in volta la convenienza economica dellosfruttamento di tali risorse, dapprima prevalentemente legataal prezzo del greggio.

L’impiego del carbone come materia prima per combusti-bili, carburanti e lubrificanti succedanei ai prodotti del down-stream del petrolio si affermò in Germania a partire dagli

anni Venti, con la più volte menzionata sintesi Fischer-Tro-psch. Per decenni, tale processo venne studiato, modificato eadattato a ottenere prodotti finali differenti: dai lubrificantiper polimerizzazione di olefine fino alla paraffina solida e aicomposti ossigenati (alcoli, acidi grassi, ecc.).

Difatti, Fischer e Tropsch idearono un processo cataliti-co per ottenere una grande varietà di prodotti, compresi icomuni derivati della raffinazione del petrolio. Il catalizzato-re per la sintesi F-T impiegata per produrre idrocarburi ealcoli fu dapprima quello stesso utilizzato per la sintesi del-l’ammoniaca, cioè gli ossidi del Fe(II) e del Fe(III). Succes-sivamente vennero sviluppati catalizzatori cobalto/ossido ditorio/ossido di magnesio su kieselguhr e poi ancora altri.L’applicabilità industriale del loro processo (in origine allatemperatura compresa fra 150 e 250 °C, a una pressione finoa 10 bar, con un rapporto H2/CO compreso tra 0,5/1,0 e2,0/1,0) dipende in buona sostanza dalla disponibilità e dalprezzo del petrolio greggio.

Sviluppi al processo iniziale sono stati apportati, a parti-re dagli anni Trenta fino ai giorni nostri, in numerosi centridi ricerca che in molti paesi si dedicarono a studiare e adapplicare la sintesi F-T: oltre che in Germania, negli StatiUniti, in Gran Bretagna, in Francia, in URSS e nella Repub-blica Sudafricana. Nel tempo questa sintesi è stata studiata,sviluppata e modificata fino alla realizzazione di una serie diprocessi derivati, con catalizzatori diversi e in condizioni dif-ferenti di temperatura, pressione, rapporti H2/CO nel gas disintesi, tecnologie a letto fisso, nelle condizioni tipiche delcracking catalitico mobile o fluidizzato o in fase liquida cioècon il catalizzatore in sospensione (slurry).

Recentemente la sintesi F-T ha ricevuto nuovo impulsodall’aumento dei prezzi del greggio e dal crescente rappor-to tra le riserve di carbone e gas naturale, da una parte, e leriserve di petrolio greggio, dall’altra. Nel 2006 la sudafri-cana SASOL ha annunciato la costruzione di un impiantosemindustriale con la nuova tecnologia slurry. La grandeflessibilità dell’insieme di processi a valle del gas di sinte-si pone il processo F-T modificato tra i candidati principa-li delle tecnologie sostitutive del downstream tradizionaledel petrolio.

Anche alcuni trattamenti dei residui petroliferi, come l’i-drovisbreaking, il processo con donatore di idrogeno e i pro-cessi con catalizzatore fine in sospensione, sono già stati stu-diati, ma solo su scala pilota, non ancora industriale; non èdetto però che in un futuro anche prossimo non lo possanoessere anche su questa scala (Le Page et al., 1992).

Le ricorrenti crisi petrolifere, a partire dagli anni Settan-ta, hanno di volta in volta suggerito di rivolgere l’attenzioneai combustibili alternativi e alla formulazione di prodotticommerciali, tradizionalmente petroliferi, anche con sostan-ze estranee alla tecnologia del petrolio e al downstream comeè stato più volte definito. In particolare, hanno stimolato laripetizione di ricerche sull’impiego delle sostanze grasse –tal quali o modificate – come sostituti o come componentidel gasolio diesel. Nei primi anni Ottanta, quasi contempo-raneamente in più Stati grandi consumatori, sono state pre-parate e provate miscele di gasolio con questi prodotti: inFrancia l’IFP con l’Institut pour les Huiles et Oleagineaux,in Italia il CNR con l’Agip e con due stazioni sperimentaliper l’industria, hanno preparato e provato su strada con suc-cesso miscele 1:1 di gasolio ed esteri di acidi grassi. Si èanche sperimentato il cracking di oli grassi, tra 400 e 500 °Cin presenza di catalizzatori, ottenendo idrocarburi aromatici,

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

561VOLUME V / STRUMENTI

Page 38: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

olefine e idrocarburi saturi (normali e ramificati). Del resto,sin dagli inizi del 20° secolo non pochi inventori, tra cui lostesso Rudolf Diesel, per i loro motori avevano preso in con-siderazione combustibili diversi da quelli derivati dal petro-lio: alcoli, eteri, esteri (compresi i triesteri del glicerolo conacidi grassi), nonché gas naturali od ottenuti artificialmente,questi ultimi eventualmente da prodursi a bordo degli auto-mezzi, con gassogeni a legna o a carbonella.

Al momento, gli aspetti economici del problema sem-brano condizionare l’effettiva applicazione di tali prodotti.Inoltre, problemi geopolitici hanno suggerito l’impiego deglioli vegetali nei paesi in via di sviluppo: per esempio, pertaluni paesi, soprattutto in Africa, l’importazione di petrolioo di suoi prodotti comporta esborsi non sostenibili di valutepregiate, anche se i loro consumi sono molto bassi (nel1983, secondo l’IFP, 1 miliardo di abitanti consumava menodell’1% del petrolio estratto nel mondo, e 2 miliardi di abi-tanti meno del 4%). Per valutare la convenienza di coltiva-zioni non food di Oleacee da destinare alla produzione diolio diesel occorre considerare anche la possibile coprodu-zione di proteine alimentari, di essenze e di intermedi perfarmaci. L’interesse per i combustibili alternativi è legatoanche al loro minore impatto ambientale. Occorre conside-rare, pertanto, che la produzione del biodiesel con esteri dimetanolo o di etanolo prodotti da interesterificazione dasostanze grasse, comporta una sequenza di operazioni e pro-cessi, al termine della quale il bilancio energetico comples-sivo risulta quanto meno incerto; inoltre, il bilancio econo-mico, sommando i costi della parte agroindustriale a quellichimici, non sembra reggere, a meno di incentivi esterni. Fral’altro, la catena che va dalla coltivazione della biomassaalla interesterificazione e alla depurazione del prodotto fina-le comporta una significativa sottoproduzione di rifiuti liqui-di inquinanti. Ugualmente problematica appare, ancora, laproduzione di energia da biomasse; così la combustione dicombustibili naturali, come la legna da ardere e le altre bio-masse, risulta più inquinante per l’aria esterna di quella deicombustibili idrocarburici di origine petrolifera, debitamen-te raffinati.

Tale è la situazione all’inizio del 21° secolo. Ovviamen-te la ricerca attuale può essere suscettibile di dar luogo a pro-cessi futuri fortemente innovativi. Tra i futuribili si devonoconsiderare anche il citato cracking catalitico, l’hydro-cracking e il visbreaking, applicati ad alimentazioni non idro-carburiche, per ottenere gasoli alternativi adatti alla combu-stione nei motori diesel (come i processi allo studio da partedella UOP e della Neste Oy). Alla base dei possibili con-fronti, oltre alle leggi del mercato – in sostanza il prezzoreale del greggio – si devono porre quelle della termodina-mica.

In passato, e molto a lungo, l’industria della raffinazionedoveva produrre abbastanza benzina e poi benzina e gasoliodiesel per soddisfare le crescenti esigenze qualitative e quan-titative dell’industria dell’automobile. Attualmente (e ancorpiù in avvenire) si deve constatare che non vi sarà un aumen-to dei consumi di prodotti per autoveicoli negli Stati più indu-strializzati, dove il mercato dell’autotrazione è saturo. D’al-tra parte, se è vero che altri grandi Stati si profilano qualiconsumatori di prodotti del downstream, è facile prevedereche liberalizzeranno solo lentamente i loro mercati interni evorranno esercitare la leva fiscale su quei consumi conside-rati voluttuari. L’industria dell’auto, negli Stati Uniti e inEuropa, che in passato ha condizionato non sempre favore-

volmente quella della raffinazione, dovrà orientare la propriaproduzione ‘residuale’ verso motori con alte prestazioni macon consumi più bassi.

Un cenno a parte merita la cosiddetta ‘economia dell’i-drogeno’, la cui attuazione è ipotizzata per gli anni futuri apartire dal 2020, e per la quale è necessario disporre innan-zitutto di energia primaria a basso costo da fonti non fossili(per limitare le emissioni di biossido di carbonio). Elettroli-si e decomposizione termica dell’acqua (Lurgi, Bamag,Norsk Hydro, General Electric e altri), energia nucleare,forni solari, cicli termochimici (CCR Ispra, Italia; Livermo-re Laboratory, Stati Uniti) e altre ipotesi non convenzionaliquali la biofotolisi dell’acqua, sono stati proposti – o ripro-posti – a partire dagli anni Settanta. La disponibilità dell’i-drogeno a costo ragionevole condiziona evidentemente il suoimpiego nei processi di raffineria e nelle sintesi come la F-T (Eni, 1962-71). L’idrogeno, come fonte diretta di energiaa bordo di autoveicoli, comunque venga prodotto e contenu-to, esige celle a combustibile affidabili e poco costose. Talidispositivi esistono, a partire dalla pionieristica invenzioneda parte di William Grove (1839) di un generatore elettro-chimico da lui stesso battezzato ‘batteria voltaica a gas’, mafinora non sono stati sviluppati fino alla applicabilità prati-ca, se non in casi piuttosto particolari (per esempio, dal 1968la tecnologia astronautica statunitense si è avvalsa di celle acombustibile a bordo dei veicoli spaziali).

Molte case automobilistiche hanno sperimentato idro-geno e celle a combustibile a bordo di autobus o di autovet-ture, ma finora solo in prototipi. Così, l’elettrochimica,apparentemente lontana dal downstream petrolifero, gli si staaccostando tramite l’idrogeno e le celle a combustibile. Èbene tuttavia rammentare, insieme con gli alti costi energe-tici della sua tecnologia produttiva, che alcune caratteristi-che dell’idrogeno – punto di infiammabilità a �253 °C;limiti di infiammabilità in aria (% vol) Li 4,0, Ls 75,0; tem-peratura della fiamma �2.000 °C; velocità di accensione�280 cm/s – richiedono particolari soluzioni ai fini dellasicurezza.

Bibliografia generale

ACMP. Atti dei Congressi Mondiali del Petrolio, I (1933)-XVI (2000).

Giavarini C. (1985) Tecnologia del petrolio, Roma, Siderea.

Giavarini C., Girelli A. (1991) La raffinazione del petrolio. Chimicae tecnologia, Milano, ESA-Masson.

Girelli A. (a cura di) (1969) Petrolio. Grezzo, raffinazione, prodotti,Milano, Tamburini.

Nelson W.S. (1958) Petroleum refining engineering, New York,McGraw-Hill.

Bibliografia citata

Aalund L.R. (1984) OGJ catalyst report ’84, «Oil & Gas Journal»,8, 55.

ACS (American Chemical Society) (1951) Progress in petroleumtechnology, Washington (D.C.), ACS.

Borza M. (1993) Appunti sulla raffinazione petrolifera, San DonatoMilanese, Euron.

BP (British Petroleum) (1958) Our industry, London, BP.

Dunstan A.E. et al. (editors) (1938-1955) The science of petroleum,London, Oxford University Press, 6v.

STORIA

562 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Page 39: Appendice Enciclopedia Idrocarburi

Eni (1962-1971) Enciclopedia del petrolio e del gas naturale, Roma,Colombo, 8v.

Hengstebeck R.J. (1959) Petroleum processing, New York, McGraw-Hill.

IFP (Institut Français du Pétrole) (1995-2002) Le raffinage dupétrole/Petroleum refining, Paris, Technip.

Kobe K.A., McKetta J.J. (founded by) (1958-1965) Advances inpetroleum chemistry and refining, New York, Interscience, 10 v.

Le Page J.-F. et al. (1992) Resid and heavy oil processing, Paris,Technip.

Lovink H.J., Pine L.A. (edited by) (1990) The hydrocarbon chemistryof FCC naphtha formation. Proceedings of the Symposium of thedivision of petroleum Chemistry, Miami (FL), 10-15 September1989, Paris, Editions Technip.

Lucas A.G. (2000) Modern petroleum technology, London, John Wiley,2v.; v.II: Downstream.

Noel H. M. (1959) Petroleum refinery manual, New York, Reinhold.

Normand X. (1963) Leçons sommaires sur l’industrie du raffinagedu pétrole, Paris, Technip.

Ogden P.H. (edited by) (1991) Chemicals in the oil industry, London,Royal Society of Chemistry.

Owen K. (edited by) (1989) Gasoline and diesel fuel additives,Chichester, John Wiley.

Petroleum panorama (1959), «Oil and Gas Journal», 57, 5.

Remsberg C., Higdon H. (1994) Ideas for rent. The UOP story, DesPlaines (IL), UOP.

Shell Petroleum Company (1980) The petroleum handbook,Amsterdam, Elsevier.

Wuithier P. (sous la direction de) (1965) Le pétrole. Raffinage etgénie chimique, Paris, Technip, 2v.

Alberto Girelli

Consulente scientifico

UN SECOLO DI DOWNSTREAM

563VOLUME V / STRUMENTI

Page 40: Appendice Enciclopedia Idrocarburi