“IN-DIPENDENZE CULTURALI. L’INCLUSIONE AI TEMPI DELL ... · sicurezza: 10 anni di Unità di...

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1 “IN-DIPENDENZE CULTURALI. L’INCLUSIONE AI TEMPI DELL’INSICUREZZA” 25-27-giugno 2008 Seminario Regionale “Quale inclusione ai tempi dell’insicurezza?” 25 giugno 2008 Sala della Partecipazione - Palazzo Cesaroni - Piazza Italia Introduzione Massimo COSTANTINI, Presidente CNCA Umbria. Intanto un saluto a tutti dal CNCA Regionale. Io sono Massimo Costantini e vorrei spiegarvi un momento il senso di questa iniziativa. “In-Dipendenze culturali” è un’iniziativa che è nata intorno alla Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito delle sostanze stupefacenti, che è il 26 di giugno. Abbiamo preso questo pretesto anche perché la situazione delle dipendenze a livello regionale è abbastanza emblematica. L’iniziativa è di tre giorni e prevede una serie di eventi: questo convegno di oggi dal titolo “Quale inclusione ai tempi dell’insicurezza?”, poi, come vedrete anche nel programma che avete in cartellina, domani il CNCA Umbria parteciperà all’evento nazionale organizzato dalla “Tavola dell’alta integrazione”con Federserd e Ficte (Federazione Italiana Comunità Terapeutiche), che incontreranno il Sottosegretario Giovanardi per capire che livello di dialogo e di ascolto possiamo avere dalla politica in questo particolare momento; domani pomeriggio e venerdì pomeriggio, prima a Terni e poi a Perugia, ci sarà la presentazione, e la conseguente tavola rotonda, del libro di Susanna Ronconi e Monica Brandoli “Città, droghe e sicurezza”. Ci sembrava assolutamente interessante approfondire questo tipo di tema, vista anche la situazione regionale per quanto riguarda le dipendenze. Abbiamo invitato a questi tre eventi gli Assessorati alla Cultura e a Perugia sarà presente anche l’Assessore all’Urbanistica perché ci sembrava interessante studiare riguardo a questo argomento anche il tema della sicurezza nelle città. Venerdì mattina, poi, avremo un altro seminario dal titolo “Prossimità e sicurezza: 10 anni di Unità di Strada a Perugia”, perché ci piace festeggiare così, con questo seminario, i 10 anni di Unità di Strada e di intervento di prossimità a Perugia. Brevemente, qual è la nostra ambizione? Il seminario di oggi e i lavori di questi tre giorni avremmo l’ambizione di farli diventare un momento fisso a livello regionale, cioè ogni anno vorremmo comunque creare, piano piano, un momento di discussione partendo, appunto, dal

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    “IN-DIPENDENZE CULTURALI.

    L’INCLUSIONE AI TEMPI DELL’INSICUREZZA” 25-27-giugno 2008

    Seminario Regionale “Quale inclusione ai tempi dell’insicurezza?” 25 giugno 2008

    Sala della Partecipazione - Palazzo Cesaroni - Piazza Italia

    Introduzione

    Massimo COSTANTINI, Presidente CNCA Umbria. Intanto un saluto a tutti dal CNCA

    Regionale. Io sono Massimo Costantini e vorrei spiegarvi un momento il senso di questa

    iniziativa. “In-Dipendenze culturali” è un’iniziativa che è nata intorno alla Giornata mondiale

    contro l’abuso e il traffico illecito delle sostanze stupefacenti, che è il 26 di giugno. Abbiamo

    preso questo pretesto anche perché la situazione delle dipendenze a livello regionale è

    abbastanza emblematica. L’iniziativa è di tre giorni e prevede una serie di eventi: questo

    convegno di oggi dal titolo “Quale inclusione ai tempi dell’insicurezza?”, poi, come vedrete

    anche nel programma che avete in cartellina, domani il CNCA Umbria parteciperà all’evento

    nazionale organizzato dalla “Tavola dell’alta integrazione”con Federserd e Ficte (Federazione

    Italiana Comunità Terapeutiche), che incontreranno il Sottosegretario Giovanardi per capire che

    livello di dialogo e di ascolto possiamo avere dalla politica in questo particolare momento;

    domani pomeriggio e venerdì pomeriggio, prima a Terni e poi a Perugia, ci sarà la presentazione,

    e la conseguente tavola rotonda, del libro di Susanna Ronconi e Monica Brandoli “Città, droghe

    e sicurezza”. Ci sembrava assolutamente interessante approfondire questo tipo di tema, vista

    anche la situazione regionale per quanto riguarda le dipendenze. Abbiamo invitato a questi tre

    eventi gli Assessorati alla Cultura e a Perugia sarà presente anche l’Assessore all’Urbanistica

    perché ci sembrava interessante studiare riguardo a questo argomento anche il tema della

    sicurezza nelle città. Venerdì mattina, poi, avremo un altro seminario dal titolo “Prossimità e

    sicurezza: 10 anni di Unità di Strada a Perugia”, perché ci piace festeggiare così, con questo

    seminario, i 10 anni di Unità di Strada e di intervento di prossimità a Perugia.

    Brevemente, qual è la nostra ambizione? Il seminario di oggi e i lavori di questi tre giorni

    avremmo l’ambizione di farli diventare un momento fisso a livello regionale, cioè ogni anno

    vorremmo comunque creare, piano piano, un momento di discussione partendo, appunto, dal

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    tema delle dipendenze, ma non solo, cioè allargando comunque il dibattito anche a tutta la

    questione sociale. La nostra idea è che, appunto, quello di quest’anno sia l’inizio di una serie di

    appuntamenti annuali.

    Il titolo del nostro seminario è: “Quale inclusone ai tempi dell’insicurezza?” e perché abbiamo

    scelto questo tema è facilmente comprensibile: adesso il tema della sicurezza è dominante,

    soprattutto per quanto riguarda l’opinione pubblica e anche i media, che comunque mandano un

    messaggio molto forte relativo alla sicurezza sul tema della repressione, del controllo sociale.

    Noi vorremmo da oggi tentare, con tutte le difficoltà di cui ci rendiamo conto, di ribaltare

    culturalmente questo tema. Ovviamente il tema della sicurezza ci sembra importante, ma ci

    sembra che comunque la vera emergenza del paese e anche della regione non sia tanto il discorso

    della sicurezza, quanto il porre al centro la questione sociale nella sua globalità. Il fatto che

    comunque ancora questo paese, la politica soprattutto, non sia riuscito a porre al centro e ad

    assumere con forza questo tema - con la forza che noi ci aspettavamo, con la forza con la quale

    noi ormai da anni abbiamo chiesto sia al governo regionale, che nazionale una presa di coscienza

    sulla questione sociale - ci dice che la battaglia è difficile, ma non impossibile. E comunque

    questo di oggi vuole essere un momento di apertura, un segno di speranza, perché comunque

    sappiamo che sono molte le persone, sono molti i soggetti che credono come noi che le politiche

    di sicurezza debbano partire da politiche di inclusione sociale.

    Ora, a livello nazionale (poi ce ne parlerà un po’ più diffusamente Joli Ghibaudi del CNCA

    Nazionale) il CNCA è fra i capofila dell’iniziativa “Cantiere del Welfare” con la quale, con una

    serie di sigle nazionali, stiamo tendendo di prendere una sorta di distanza anche dalla politica,

    soprattutto da quella politica dalla quale non ci sentiamo rappresentati, per tentare un dialogo

    soprattutto con la gente, ma anche, ovviamente, con tutti gli amministratori che sono disponibili

    a questo lungo cammino che dovrebbe portarci, nella nostra utopia – “un’utopia possibile”, per

    dirla con il gergo del CNCA - ad avvicinarci a porre al centro, appunto, tutta la questione sociale.

    Ora, brevissimamente, poi passerò la parola agli altri relatori che vi presenterò, cercherò di fare

    un quadro della situazione dell’Umbria. La situazione dell’Umbria ci sembra molto

    emblematica; noi abbiamo una serie di emergenze che sono anche imbarazzanti e una serie di

    segnali di buona volontà importanti. Innanzitutto c’è la questione dell’emergenza dell’overdose e

    noi vorremmo partire anche da qui, perché da questo punto di vista ci sembra interessante capire

    anche com’è possibile riconiugare questa emergenza. Ovviamente a livello nazionale siamo

    passati alla ribalta per un tristissimo primato: anche nel 2007 abbiamo avuto il maggior numero

    di morti per overdose in assoluto a livello nazionale come regione. Questo dipende da una

    molteplicità di fattori, come voi tutti sapete meglio di me: abbiamo comunque l’insistenza

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    all’interno del nostro territorio della malavita organizzata, c’è tutto il discorso legato al traffico

    illecito delle sostanze illegali. Però ci viene anche da chiederci: ma sulle politiche giovanili, per

    esempio, stiamo coniugando tutte le politiche possibili, possiamo fare di più da questo punto di

    vista? Come ci siamo posti il problema, nella città di Perugia, di tutta la subpopolazione, diciamo

    così, degli studenti che provengono da tutte le parti d’Italia, ma anche dei molti studenti stranieri

    che abitano le nostre città? Come abbiamo organizzato questa questione? Come ci siamo pensati

    nell’inclusione di queste persone che insistono nel nostro territorio? Alcuni fatti di cronaca fanno

    emergere che probabilmente alcuni punti di criticità ci sono.

    Un altro aspetto importante ci sembra anche quello del carcere. I carceri che sono presenti nel

    nostro territorio sono un corpo estraneo, oppure è possibile tentare la scommessa di fare di questi

    luoghi dei luoghi mirati alla riabilitazione, all’inclusione? Ora sarebbe interessante fruttare il

    momento in cui anche all’interno del carcere c’è il passaggio, per le situazioni sanitarie, al

    Servizio Sanitario Nazionale per questa responsabilità.

    E poi dobbiamo porci anche la questione di genere. Quante violenze esistono nelle nostre case?

    Quanti nuovi nuclei genitoriali in difficoltà esistono perché uno dei due coniugi, soprattutto

    l’uomo, usa violenza nei confronti della donna? Le separazioni stanno aumentando? Le donne

    con bambini hanno difficoltà anche economiche, qualora non esistano problemi particolari, per

    l’andamento normale della loro vita?

    Ecco, tutte queste cose ovviamente ci fanno interrogare e ci fanno interrogare in un momento

    particolare della nostra regione perché stanno per essere varati i due Piani Sanitario e Sociale.

    Ora, molto brevemente, e qui concludo, da una parte noi condividiamo e siamo stati anche parte

    degli attori di questo lavoro di programmazione partecipata del quale noi siamo stati convinti

    sostenitori, quindi apprezziamo lo sforzo regionale di questi momenti. Però abbiamo una paura e

    la diciamo, abbiamo un dubbio e lo diciamo: non vorremmo che ci sia un grosso sforzo per

    quanto riguarda l’organizzazione, la programmazione, l’implementazione di una serie di

    politiche inerenti i Piani Sanitario e Sociale, e che poi non ci fosse da parte della politica quel

    giusto investimento per quanto riguarda le politiche sociali, la questione sociale in generale, che

    permetterebbe l’implementazione di tale modello. Ora, questo dubbio permane, cioè francamente

    non ci sembra (qui abbiamo anche l’Assessore Stufara che poi ci dirà qualcosa da questo punto

    di vista) che politicamente, anche a livello di Giunta, ci sia un’assunzione della questione

    sociale, ma ci sembra che sia ancora marginale, soprattutto per quanto riguarda l’investimento

    delle risorse. Questo ovviamente ci fa interrogare in questo senso: non vorremmo che comunque

    sia, anche dopo il varo dei nuovi Piani, permanessero i problemi che sono sempre esistiti, cioè

    che le politiche sociali e le parti marginali del Servizio Sanitario comunque non diventassero un

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    servizio universalistico in tutti i territori, ma permanesse una situazione a macchia di leopardo

    che comunque non crea assolutamente una situazione di giustizia sociale. Ora, ci piace pensare

    all’Umbria come ad un territorio dove, anche se piccolo, si possano però sperimentare delle

    politiche di inclusione all’avanguardia rispetto al territorio nazionale.

    Dopo questa breve premessa, passo all’organizzazione della giornata. Avevamo previsto alcuni

    relatori, ma alcuni di questi non ci saranno, verranno nel pomeriggio. Innanzitutto che cosa ci

    aspettiamo da questa giornata? Noi abbiamo invitato Leopoldo Grosso, che coordinerà un po’ i

    lavori, e l’idea è che, dopo l’ascolto di una serie di interventi, nel pomeriggio, dopo il pranzo,

    vorremmo tentare di costruire un documento condiviso sul tema della sicurezza e dell’inclusione

    sociale. Questo potrebbe essere un nuovo punto di partenza per porre la questione da un punto di

    vista culturale nel nostro territorio, nella nostra regione, e quindi gli interventi di questa mattina

    serviranno per poi aprire un dibattito nel pomeriggio. Leopoldo sintetizzerà, a chiusura della

    mattinata, gli interventi e rilancerà il dibattito nel pomeriggio. L’idea è quella di riuscire a

    chiudere un documento condiviso, questo è quanto.

    Gli interventi di questa mattina, invece, saranno i seguenti: dopo un’introduzione di Leopoldo

    Grosso anche su una visione un po’ esterna di quella che è la situazione dell’inclusione anche

    nella nostra regione, daremo la parola all’Assessore Stufara, che per impegni poi dovrà

    assentarsi. Dopodiché non avremo l’intervento dell’Assessore alle Politiche Sociali del Comune

    di Perugia Tiziana Capaldini, che verrà solo nel pomeriggio e che comunque ha assicurato la

    partecipazione al dibattito. Successivamente daremo la parola a Susanna Tabarrini, del Nucleo

    Operativo Territoriale della Prefettura, sul tema “Quali sinergie mettere in campo?”;

    successivamente avremo l’intervento della dott.ssa Claudia Covino, Direttore del Dipartimento

    per le Dipendenze della A.S.L. 2, che ci parlerà del tema “Quale qualità della vita per i

    consumatori di sostanze?”. Non avremo l’intervento di Marcello Catanelli, perché è malato e

    quindi non è potuto intervenire, su “Quali strategie sociosanitarie?”. Concluderemo poi con una

    visione più d’insieme a livello nazionale fatta da Joli Ghibaudi del CNCA Nazionale, che ci

    illustrerà anche l’iniziativa del “Cantiere del Welfare”.

    Quindi, ora, ringraziandovi, passo la parola a Leopoldo Grosso.

    Interventi

    “Quale inclusione vive e propone l’Umbria?”

    Leopoldo GROSSO, Vice Presidente Gruppo Abele. Grazie per l’invito a partecipare a questa

    giornata che ha un obiettivo un po’ ambizioso, cioè quello di stendere un documento, perlomeno

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    le linee più generali di un documento, che ha come obiettivo quello di cercare di individuare

    quelle che sono le difficoltà che oggi si incontrano e coniugare il lavoro che si fa sul sociale e sul

    sanitario con la problematica della sicurezza. Noi siamo profondamente convinti che solo se si

    mettono insieme questi tre aspetti, quindi il lavoro sul sociale, il lavoro sul sanitario e il lavoro

    degli operatori della sicurezza, possiamo avere delle politiche che siano effettivamente di

    inclusione e non di esclusione, e che, quindi, anche gli aspetti più tipicamente repressivi

    rimangano così confinati alle situazioni che effettivamente debordano in comportamenti

    criminali.

    Ma mettere insieme questi tre aspetti non è scontato, non è scontato anche perché non c’è ancora

    una chiara consapevolezza, in molti ambiti del nostro fare sociale e sanitario, che alcuni

    interventi di reinserimento sociale e di inclusione sociale danno un contributo molto alto alla

    sicurezza. Ci sono alcuni studi, che purtroppo non sono italiani ma sono europei, che, per

    esempio, dicono che con un buon assetto dei servizi, che riescono a coniugare un insieme di

    funzioni, si ha una riduzione della criminalità così detta “predatoria”, legata alle situazioni di

    dipendenza, di quasi l’80%. Quindi, sostanzialmente, quando c’è un assetto di servizi che

    puntano in particolare su alcune funzioni, cioè il facile accesso e poi la ritenzione in trattamento,

    e quando poi a questi primi due obiettivi fa seguito un programma di intervento che punta

    sull’inclusione sociale, quindi interventi che vanno dalla riabilitazione all’inserimento socio-

    abitativo, ad interventi di riduzione del danno in senso stretto, si riesce fortemente a ridurre

    l’indotto della criminalità.

    Noi dobbiamo cercare, in qualche modo, a livello cittadino, quindi a livello delle città, in ogni

    città - città che anche nella vostra regione sono forse più coinvolte da problematiche che creano

    difficoltà a settori produttivi o a settori dell’opinione pubblica - di creare dei tavoli in cui ci siano

    queste tre componenti, quindi gli operatori della sicurezza, gli operatori del sociale e gli

    operatori del sanitario, perché se noi riteniamo che l’inclusione sia una parte non secondaria

    della sicurezza, questo vuol dire che ogni tavolo dovrebbe dotarsi di un piano di lavoro e questo

    piano di lavoro è possibile costruirlo e renderlo operativo solo se si crea uno sguardo comune e

    condiviso sulle problematiche da affrontare e su come affrontarle; quindi è necessario che questo

    tavolo si doti di un coordinamento stretto e soprattutto di un coordinamento operativo, quindi

    dovrebbe essere probabilmente un tavolo che, da una parte, riesca a far confluire le altre

    rappresentanze istituzionali della città, ma, dall’altra, dia anche piena delega a coloro che, una

    volta definite le linee, le debbono attuare e che possano confrontarsi in maniera stretta su come

    funziona il lavoro di coordinamento per poter fare le giuste verifiche.

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    Questo non è un obiettivo facilmente raggiungibile perché noi sappiamo, dalle esperienze

    italiane in particolare, che i tavoli si costruiscono sull’emergenza, e quindi, sull’onda di qualche

    episodio che magari capita a raffica in qualche zona del territorio, c’è un movimento

    dell’opinione pubblica, l’opinione pubblica preme, la stampa fa la sua parte e magari

    sull’emergenza si crea il tavolo. La difficoltà è di rendere questi tavoli permanenti, strutturati e

    che vogliono governare pienamente il territorio utilizzando gli strumenti di coesione sociale.

    Per quanto riguarda i servizi e in particolare i servizi per le dipendenze, la declinazione

    dell’integrazione dovrebbe dipanarsi su più interventi. Uno, per esempio, è quello preventivo.

    Che cosa si tratta di integrare a livello preventivo? Da una parte, si tratta di integrare interventi

    che sono mirati all’attenzione alla domanda, e quindi al rafforzamento dell’area del non-

    consumo, con interventi che invece hanno come obiettivo la riduzione dei consumi tra chi

    consuma e non ha intenzione di smettere di consumare; parliamo soprattutto del fenomeno delle

    droghe sintetiche e quindi delle droghe da prestazione, non di quelle da estraneazione. Però

    diciamo che forse in questi aspetti il problema è riuscire a mantenere un forte equilibrio tra la

    protezione e l’area del non-consumo, che è l’area maggioritaria, e gli interventi invece più

    dedicati alla prevenzione selettiva, all’area dei consumatori. Molto spesso questo equilibrio non

    riusciamo a mantenerlo neanche nella proporzione degli interventi che svolgiamo. Tenete

    presente che oggi, nonostante l’espansione del consumo soprattutto per le tre sostanze di base

    (due legali e una illegale: alcol, tabacco e cannabis) e l’espansione anche del consumo di

    cocaina, tanto che tutte le ricerche, soprattutto quelle del CNR, dicono che almeno una volta

    nella vita una persona ha consumato e quindi arriviamo a proporzioni che sfiorano a volte, in

    alcune situazioni, il 30% della popolazione, nel momento in cui però parliamo di consumo

    problematico siamo all’1,5% della popolazione. Allora questo dato noi dobbiamo assolutamente

    tenerlo presente, perché anche quando si va a fare prevenzione all’interno delle aule scolastiche,

    noi ci rivolgiamo, anche nelle scuole superiori, quindi alla fine del biennio o nel triennio pieno,

    ad una popolazione che comunque può avere eccezionalmente consumato, ma abitualmente non

    consuma, quindi dobbiamo tener presente che la diffusione di una dispercezione di quello che è

    il consumo delle sostanze può ottenere un effetto opposto. Mi spiego: l’ultima lezione da questo

    punto di vista è arrivata da una campagna massiccia che è stata condotta negli Stati Uniti contro

    il consumo di cannabis, utilizzando, quindi, molte risorse economiche, utilizzando i mass media

    etc., con l’obiettivo di ridurre il consumo. Avendo investito cifre ingenti in denaro in questa

    campagna, è stata chiesta all’Università di Pennsylvania una valutazione sui risultati di questa

    campagna e il dato che è emerso, che è un po’ paradossale, è che in realtà c’era stato un forte

    effetto boomerang, cioè: insistendo così tanto sul consumo di hascisc e marijuana da parte dei

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    giovani, l’effetto era stato, soprattutto sulle fasce giovanili, quello di pensare: allora consumano

    tutti, sono solo proprio io che non consumo, e quindi paradossalmente c’era stata una spinta al

    consumo. Perché? Perché il dato che veniva recepito non era difendersi dal consumo, ma era:

    allora tutti consumano e quindi, se io non consumo, sono una minoranza, e allora in qualche

    modo mi adeguo a quello che fanno gli altri, quindi c’è stato un effetto boomerang di tipo

    paradossale. Il che vuol dire, però, che questo aspetto di prevenzione, quello classico di

    prevenzione primaria, va coniugato con gli altri interventi di riduzione dei rischi a livello del

    consumo.

    Sugli interventi di riduzione dei rischi, soprattutto all’interno dell’uso delle sostanze psicoattive

    coniugate al divertimento giovanile, ormai si è fatta abbastanza esperienza in Italia. Quello che

    anche qui non c’è, come neanche sugli interventi di prevenzione primaria per il non-consumo

    fondamentalmente, è che non si sono mai creati sostanzialmente neanche qui dei coordinamenti,

    delle strutture che abbiano una tenuta nel tempo e quindi una lunga durata. Perché quando noi

    diciamo questo con lo sguardo rivolto ai Servizi, non pensiamo ai progetti dei Servizi, ma in

    realtà queste idee, che sono delle vere e proprie politiche di intervento, dovrebbero essere

    sostenute da dei coordinamenti operativi che durino anche questi nel tempo.

    L’integrazione che è richiesta, invece, a livello della cura essenzialmente, della riabilitazione, è

    in particolare una: quella tra gli interventi medico-farmacologici e gli interventi psicosociali.

    Abbiamo visto che gli interventi a mantenimento metadonico danno dei discreti risultati di

    stabilizzazione, ma potrebbero esserci elementi superiori se fossero maggiormente integrati con

    gli interventi psicosociali. Questa integrazione, però, difetta un po’ per mancanza di risorse, sia

    di personale e sia soprattutto di risorse a sostegno di progettualità di integrazione e di inclusione

    psicosociale. L’anello debole di questa politica è in particolare quello degli inserimenti

    lavorativi. Se vogliamo potenziare gli interventi di inclusione sociale, dobbiamo soprattutto

    potenziare l’area del reinserimento lavorativo, anche abitativo, ma soprattutto lavorativo, perché

    l’inserimento lavorativo è ovviamente a sostegno anche del reddito della persona. Le

    remunerazioni che dà un inserimento lavorativo sono su molteplici piani; il problema è che su

    un’area fortemente emarginata e fortemente tagliata fuori, bisogna condurre una politica che dia

    la possibilità di avere occasioni di fare e un’attività lavorativa molto tarata sulle capacità delle

    persone, che a volte sono anche capacità residuali, e quindi bisogna riuscire ad avere un arco di

    interventi dove le cooperative di tipo B in genere sono già considerate all’interno

    dell’inserimento ad alta soglia e non dell’inserimento a bassa soglia, e quindi si tratta di

    un’articolazione di interventi che, diciamo, si dipana tutta prima della possibilità di utilizzare le

    cooperative di tipo B, che tradizionalmente invece vengono utilizzate quando non riesce un

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    inserimento lavorativo a tutti gli effetti. Però bisogna lavorare comunque sull’unità di aggancio e

    di valorizzazione delle capacità di fare delle persone, qualunque esse siano, su un’area che

    probabilmente sta prima delle cooperative di tipo B e rispetto alla quale le stesse cooperative di

    tipo B sono oggi in difficoltà ad offrire opportunità. Però questa è un’area fondamentale per gli

    interventi di integrazione psicosociale agli interventi farmacologici.

    Un’altra area di integrazione è quella fra l’istituzione di nuovi servizi e il volontariato e la

    valorizzazione di un apporto costruttivo dell’utenza, chiamiamola così. Non bisogna mai

    dimenticare quanto sui nostri temi sia fondamentale continuare a svolgere un lavoro in

    profondità di stimolazione e sensibilizzazione del volontariato, perché rimane un anello di

    congiunzione fondamentale con la società a seguire non solo per l’apporto concreto e importante

    che dà rispetto a singole situazioni o anche allo svolgimento di pezzi non sempre solo laterali di

    servizio, ma soprattutto per la funzione di rapporto culturale che il volontariato riesce a svolgere

    tra i Servizi e le difficili scelte che i Servizi a volte devono fare per essere efficienti e la

    possibilità concreta da parte della popolazione. Mi sembra che invece in questi ultimi anni la

    spinta da parte dei Servizi a creare volontariato intorno ad essi sia un po’ diminuita, così com’è

    diminuita rispetto ad una decina di anni fa, sotto l’emergenza dell’AIDS in particolare per quanto

    riguarda le nostre situazioni, la spinta ad un lavoro con l’utenza intesa non come un problema,

    ma come risorsa, e quindi la spinta all’utenza ad una collaborazione, ad un coinvolgimento attivo

    nella partecipazione e nella gestione anche di altri servizi. Non mi dilungo su questa questione

    della valorizzazione dell’accompagnamento della formazione del volontariato e dell’utenza a

    svolgere un lavoro attivo perché sappiamo che in parte questo è un lavoro che già compete ed è

    in mano all’Unita di Strada, però dovrebbe essere più diffuso e preso in mano dall’intero sistema

    dei Servizi.

    Un’altra integrazione su una prevenzione che potremmo definire secondaria è quella che deve

    avvenire sul piano della sicurezza stradale. Sappiamo che uno degli indotti dell’alterazione dei

    comportamenti data dalle sostanze è anche una velocità eccessiva alla guida e una minore

    capacità di padroneggiare il mezzo in determinate situazioni, sappiamo il ruolo che hanno l’alcol

    e la cocaina in particolare, purtroppo, nel creare le condizioni per molti incidenti. Be’, qui

    bisogna integrare molto di più il lavoro dei Comuni in particolare e delle forze dell’ordine, non è

    possibile che l’Italia sia sotto ad un trentesimo dei controlli che fanno altri paesi, tipo la Francia

    e la Spagna, su alcol e guida e così via. Siamo in una situazione in cui i Comuni, non solo si

    prestano all’autovelox a vicenda, ma si prestano anche gli etilometri a vicenda per scarsità di

    risorse e per non attuare, invece, una politica del controllo sulla guida a livello preventivo degli

    incidenti, che diventa fondamentale, integrato con l’attività di prevenzione che fanno gli

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    operatori, anche in funzione integrata tra A.S.L. e Servizi del Comune, all’interno e al di fuori

    dei locali.

    E poi c’è il controllo sociale, cioè quanto un tavolo che in qualche modo riesce a creare un

    progetto condiviso sulla sicurezza, dove, quindi, mette insieme gli operatori sanitari, gli operatori

    sociali e gli operatori della sicurezza, riesce a creare all’interno di obiettivi condivisi anche una

    connessione più stretta di operatività. Sappiamo che non è facile mettere insieme l’operatore e il

    poliziotto, le competenze sono divise e ben chiare per ognuno, però conoscersi di più,

    apprezzarsi di più per usarsi meglio nei reciproci risvolti di ciascuno dei servizi è importante,

    perché sappiamo quanto sia utile agli operatori della sicurezza, quando devono rendere esecutivo

    uno sfratto, avere vicino un operatore sociale, e sappiamo viceversa che nell’assedio di molti

    Servizi da parte di alcune frange di utenza che molto pretendono, molto spesso gli operatori sono

    obbligati a ricorrere agli operatori della sicurezza. Quindi, nei fatti c’è l’esigenza di lavorare

    meglio insieme. Sappiamo anche quanto, all’interno di un piano cittadino condiviso da tutte

    queste forze, il lavoro degli operatori della sicurezza possa mediare tra penale e sociale, e quanto

    soprattutto con coloro che sono in carico ai Servizi e che a volte tendono a sfrangiarsi dalle

    terapie, dal lavoro di cura, dal lavoro di riabilitazione, gli operatori della sicurezza che stanno

    sulla strada hanno la possibilità, invece di usare a volte non necessariamente la mano pesante

    della repressione, di utilizzare la minaccia della stessa e di aiutare a ricondurre sostanzialmente

    ai Servizi molti personaggi che sono sul filo tra attività microcriminale e devianza non

    necessariamente criminogena. Allora su questo dovremmo ragionare di più, però è possibile

    ragionare realtà per realtà solo se esiste un coordinamento stretto.

    Un altro lavoro che implica una forte integrazione a più livelli è la bonifica di ambienti sociali

    degradati di cui purtroppo ogni città è caratterizzata. Io vengo da un lavoro che è stato fatto a

    Padova, dove c’è una situazione che conoscete perché è stata anche sui giornali (gli anelli etc.),

    dove, quindi, il problema è, da una parte, riuscire a intervenire sulla scena aperta della droga

    perché gli spazi che sono stati resi propri ed esclusivi dallo spaccio e dalla criminalità vengano in

    qualche modo restituiti ai cittadini. Ma questo non può avvenire solo con il contributo, quando è

    necessario, delle forze dell’ordine, ma avviene anche con un’iniziativa da parte dei cittadini

    stessi che siano in grado in riappropriarsi di alcuni giardini pubblici, di alcuni stabili etc.. Però è

    indispensabile un lavoro di riqualificazione urbana. E allora non si tratta solo di riuscire ad

    eliminare alcuni ghetti dove si sono consolidate delle aree di emarginazione, ma si tratta

    soprattutto di evitare che se ne creino altre, e su questo ovviamente l’integrazione non può essere

    che all’interno di una strategia molto attenta da parte delle Giunte comunali.

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    Quali indicatori possiamo in qualche modo ricavare da un lavoro di integrazione a tutti i livelli,

    sanitario, sociale, sicurezza, prevenzione primaria, prevenzione secondaria, cura, riabilitazione e

    così via? Dal momento che sappiamo solo che se riusciamo a fare questo lavoro di integrazione,

    l’intervento funziona, altrimenti non funziona, io direi che forse l’indicatore migliore di questo

    tipo di lavoro sia misurare la qualità, la stabilità e la ricchezza della vita che hanno i

    coordinamenti che siamo riusciti a creare. Questo è un lavoro di rete e sappiamo quanto il lavoro

    di rete sia faticoso, sappiamo quanto sia necessario fare una “manutenzione” della rete, e non

    entro su questo argomento. Noi abbiamo: il coordinamento sulla sicurezza stradale, il

    coordinamento sulla prevenzione rivolta ai giovani e il mondo della notte, il coordinamento sugli

    interventi di riduzione del danno, il coordinamento del tavolo principale, che è il livello

    cittadino. Si deve poi articolare il coordinamento sugli interventi in particolari zone a

    consolidamento marginale, che sono diventate delle zone franche, sostanzialmente, dello spaccio

    e della criminalità. Solo se riusciamo a mettere insieme istituzioni, servizi di diverso tipo,

    cittadinanza attiva, e riusciamo a mantenere vivi dei coordinamenti su tutti questi aspetti che

    riguardano vari interventi differenziati e che interessano anche diverse zone della città, possiamo

    avere il migliore indicatore quando andiamo a fare una valutazione. Mi rendo conto che è ancora

    un indicatore di processo e non è un indicatore di esito, però se ci dicono che i coordinamenti

    sono vivi, che stanno facendo delle iniziative e se cercassimo di valutarli etc., questo, secondo

    me, al momento, potrebbe essere l’indicatore più utile.

    Ultima questione - questa è solo un’introduzione che consente semplicemente ad uno che è

    esterno alla vostra regione, e che quindi la conosce in maniera molto limitata se non perché ha

    parlato con alcuni di voi, ha partecipato ad alcuni dibattiti, ha letto qualche documento, di fare un

    quadro della situazione - è il lavoro che riguarda in tutto questo la mediazione sociale. Rispetto

    ad alcune situazioni complesse che fungono da detonatore, perché ciascuno di noi porta dentro di

    sé “il suo negro” e quindi ciascuno di noi in qualche modo ha il suo capro espiatorio

    preferenziale su cui scaricare le proprie frustrazioni, spiegare, spiegare, spiegare a volte non

    basta, bisogna in qualche modo riuscire ad assumere, se ci riusciamo, anche il punto di vista di

    coloro i quali non condividiamo scelte e modalità di porsi. E’ difficile, però se vogliamo fare un

    lavoro di mediazione sociale, questa è un’operazione mentale fondamentale. E per fare questo,

    dobbiamo in qualche modo immedesimarci nella loro difficoltà o in quelle che sono anche le

    fonti della loro rabbia, che probabilmente stanno in un’insicurezza che non ha niente a che fare

    con la minaccia contingente che può essere percepita dall’esterno, cioè non ha niente a che fare

    con una minaccia percepita, o meglio, dispercepita, ma forse ha molto più a che fare con le fonti

    di insicurezza che riguardano la loro vita. Allora se riusciamo a fare questa identificazione, e

  • 11

    quindi a non farne solo un problema razionale ma anche una capacità emotiva di vicinanza, forse

    riusciamo a far meglio il lavoro di mediazione, perché mediazione vuol dire andare incontro,

    vuol dire in qualche modo assumere il punto di vista dell’altro e trovare, con difficoltà, il punto

    di incontro, e quindi bisogna avere un po’ di empatia.

    A me ha molto colpito a questo proposito quanto mi ha detto un operatore che lavora nei

    dormitori popolati soprattutto da stranieri e stranieri clandestini. Questo lavoro cominciava a

    pesargli e quindi in qualche modo denotava anche un po’ di stanchezza, però mi ha lanciato

    questa osservazione, mi ha detto: sai cos’è incredibile? Che di notte, quando tutti dormono, in

    realtà tutti parlano, perché tutti parlano nel sonno, ma la cosa ancora più incredibile è che quando

    parlano nel sonno, ciascuno parla nella sua lingua. Un operatore che è in grado di fare queste

    notazioni, che sono notazioni di qualità perché vuol dire che intanto non sta dormendo mentre gli

    altri dormono ma è lì che in qualche modo cerca di rendersi conto, è un operatore che ha ancora

    molta empatia perché un operatore che fa queste notazioni è un operatore fortemente empatico.

    Ma la nostra empatia non deve essere a senso unico, dobbiamo cercare di distribuirla equamente

    su tutta una serie di parti sociali che finiscono poi per configgere tra loro in maniera molto

    improduttiva. Il cammino è lungo, la strada è irta di ostacoli, non so se l’obiettivo che ci siamo

    dati oggi di cominciare a buttare giù qualche linea importante in un documento comune possa

    essere utile alla città da parte di forze sociali che però, comunque, su questi problemi ci lavorano

    e quindi qualche idea se la sono fatta. Quindi questa mattina sentiamo tutti gli altri contributi,

    però oggi pomeriggio poi ci tocca cercare di approfondirli e lavorare. Grazie.

    Massimo COSTANTINI, Presidente CNCA Umbria. Grazie a Leopoldo. Ora passiamo la

    parola all’Assessore regionale alle Politiche Sociali e Abitative Damiano Stufara.

    “Quali politiche regionali?”

    Damiano STUFARA, (Assessore Politiche Sociali e Abitative Regione Umbria). Buongiorno a

    tutte e tutti. Io ringrazio Massimo Costantini, ringrazio ovviamente il CNCA dell’Umbria per

    l’invito alla giornata di oggi e alle prossime due giornate, alle quali ovviamente sarò presente.

    Ma vi ringrazio soprattutto perché io credo, senza troppi giri di parole, che non solo in Umbria,

    ma forse per alcuni aspetti soprattutto in Umbria, si avverta - o quantomeno lo dico

    soggettivamente: avverto - il bisogno che più soggetti, fra questi ovviamente annovero il CNCA,

    tentino di esprimere un di più di protagonismo e di capacità di interloquire, anche di produrre

    conflitto, perché (ci tornerò alla fine su questo ragionamento) a me pare che viviamo una fase

    nella quale da più parti sono avvertiti elementi di malessere, da più parti, seppure in maniera

  • 12

    sopita, emergono elementi di critica e di criticità, ma dopodiché rischiamo di rimanere un po’

    avvitati su noi stessi e di non produrre fatti politici. Io penso che invece noi abbiamo bisogno che

    quegli elementi si traducano in analisi e in elaborazione e, penso, anche in conflitto - non mi

    spaventa per nulla questo tema -, perché senza processi di questo tipo, in una fase nella quale

    altri processi prevalgono e fra questi io annovero anche il processo di crisi della politica, si corre

    concretamente il rischio che non si facciano innanzitutto passi in avanti verso il contrasto di

    alcuni di quei processi più deteriori e soprattutto che non riusciamo a produrre quegli elementi di

    innovazione che ci possono consentire, ovviamente non è un fatto scontato, anche di affrontare

    in maniera decisamente più efficace elementi molto critici - alcuni venivano citati

    nell’introduzione da Massimo - che caratterizzano oggi la nostra regione.

    E’ di tutta evidenza che il tema posto a base di questa giornata di riflessione è un tema, da un

    lato, di natura epocale, dall’altro, particolarmente impegnativo e, come diceva Leopoldo Grosso,

    anche ambizioso, questo credo non sfugga a nessuno. Così come a nessuno sfugge anche, da un

    lato, la delicatezza dell’argomento da maneggiare e, dall’altro, il livello di stereotipi e di

    convincimenti che si sono sedimentati nell’opinione pubblica che rendono tutto molto, molto più

    difficile.

    Penso di aver colto dalle cose che sia Massimo Costantini, che Leopoldo Grosso dicevano delle

    considerazioni che sono state espresse su più livelli: sia, cioè, su un livello, permettetemi,

    politico-culturale, che su un livello più aderente e attinente all’azione amministrativa e ai

    processi di governo. Vorrei provare anch’io in pochi minuti a sviluppare un ragionamento che

    tenti di tenere sempre insieme questi due livelli, altrimenti credo che rischieremmo un eccesso di

    parzialità che, anche vista la portata del tema, sarebbe certamente negativo.

    Intanto è fuor di dubbio che il tema dell’insicurezza è totalmente squadernato all’interno del

    dibattito che complessivamente si svolge e anche del livello di percezione che le cittadine e i

    cittadini hanno nel proprio vissuto quotidiano. Io credo che sia molto meno squadernato invece

    un livello adeguato di analisi capace di indagare i processi e gli elementi che generano quella

    insicurezza e che si è invece portati molto di più ad intraprendere delle scorciatoie che forse

    possono - anche attraverso la costruzione del capro espiatorio che prima Leopoldo citava, ma ci

    tornerò fra un po’ - rendere più semplice la possibilità di offrire risposte agli interrogativi che ci

    attanagliano, ma che rischiamo anche di produrre serissimi danni. Su questo ci sarebbe da parlare

    per troppo tempo e non voglio né annoiarvi, né scomodare o tirare in ballo la mucillaggine di De

    Rita o la società liquida di Bauman, e ovviamente le citazioni anche di natura sociologico-

    culturale potrebbero essere ulteriori. Ma è di tutta evidenza che nel nostro paese, ma anche nella

    nostra regione, assistiamo ad elementi di disgregazione delle comunità e soprattutto in Umbria

  • 13

    questo significa il progressivo venir meno di quella intelaiatura sociale che ha permesso negli

    ultimi decenni di mantenere qui piuttosto che altrove un livello, da un lato, di coesione, ma,

    dall’altro, anche di benessere largamente inteso, decisamente superiore a quello che in altre aree

    geografiche del paese si viveva. Non vi è altrettanto dubbio che l’elemento dell’incertezza pare

    essere la caratteristica che accomuna l’esistenza della maggioranza delle cittadine e dei cittadini,

    con ciò che questo determina in termini di conseguenze, e mi riferisco al tema della solitudine,

    mi riferisco anche al crearsi di situazioni di disagio più o meno conclamato.

    Ora io vorrei provare a mettere in relazione tutto ciò con un altro tratto distintivo, con un altro

    processo caratterizzante la nostra contemporaneità, e cioè il fatto che le nostre società sempre di

    più si costruiscono ed evolvono - non dando un giudizio di merito su questa evoluzione, cioè non

    volendomi adesso esprimere se essa sia positiva o meno - all’interno di un meccanismo

    competitivo. Il problema che io vedo è che questa competizione oltrepassa la sfera economica e

    tende ad attraversare ogni aspetto della vita delle persone, altrimenti non riesco a spiegarmi, se

    non attraverso questo tipo di analisi e questo tipo di lettura, il perché viviamo una fase nella

    quale, mi sembra decisamente evidente, il livello di diritti esigibili in questi anni si è compresso,

    il livello di difficoltà delle persone al contempo è aumentato, e però le conflittualità che nei

    territori si producono sono sempre orizzontali, sono cioè sempre tese, secondo quella logica del

    capro espiatorio, a contrastare, quasi che ci fosse un attentato alla propria condizione, il soggetto

    sociale o la persona che sta immediatamente un po’ peggio di me, quasi che ci sia la percezione

    diffusa che la coperta è corta ed è meglio che rimangano fuori i piedi di qualcun altro piuttosto

    che i miei. Io penso che sia questo, detto in maniera particolarmente grezza e brutale, il processo

    che si sta determinando. Il punto è quale risposta si offre a questo processo.

    A me pare – e qui vedo la grande colpa della politica – che prevalga la logica della risposta

    emergenziale, cioè si tende a far sì che le responsabilità dei processi che in questa lettura davo

    vengano attribuite ai capri espiatori di turno (il tossicodipendente, l’immigrato clandestino, il

    rom e via dicendo), ingenerando elementi di paura verso qualsiasi diversità da se stessi possa

    emergere e riportando tutto all’interno di una risposta che risponde a quella logica emergenziale.

    Ovviamente non considerando il fatto che, ad esempio, i clandestini esistono perché c’è una

    determinata normativa che li produce nel vero senso della parola, perché altrimenti il fatto che

    non ci si interroghi sul perché dei 3,5 milioni di immigrati regolari oggi presenti in Italia l’80%,

    prima di essere regolare, è stato clandestino e non per questo erano criminali, che è una domanda

    che un’approssimativa conoscenza del processo potrebbe indurre, io penso che significhi

    qualcosa.

  • 14

    Ora il tema è, dal mio punto di vista quantomeno, come si sviluppano processi politici e processi

    sociali che vanno ad incidere su quella logica dell’emergenza, che la contrastano, che tentano di

    produrre un cuneo, un varco su cui costruire altre politiche. Massimo in maniera esplicita poneva

    alcune questioni. Non mi sottraggo a questo. Massimo parlava di come l’Umbria sia

    caratterizzata da emergenze che lui definiva imbarazzanti: overdose, politiche giovanili,

    immigrazione etc., faceva un elenco di questioni. Ora io voglio fare alcuni riferimenti alle

    questioni poste, vorrei provare però anche a ricondurre gli elementi parziali di risposta che darò

    all’interno dello sviluppo di questa analisi e di questo ragionamento politico che tentavo di

    proporvi, ovviamente venendo alla fine sul tema più esplicito che Massimo poneva, e cioè il

    tasso di marginalità, nella gestione dei flussi economici, che le politiche per l’integrazione

    sociale oggi hanno in Umbria, su cui arriverò alla fine a conclusione di un ragionamento.

    Intanto voi sapete perfettamente, essendo addetti ai lavori e, pur non essendo umbro, Leopoldo le

    conosce altrettanto bene, quali sono le caratteristiche della diffusione di sostanze nella nostra

    regione, le statistiche ci pongono ai vertici del tasso di mortalità per overdose sia rispetto ad altre

    regioni, sia rispetto al dato medio nazionale. Ora io penso che il limite che in questi anni

    abbiamo espresso complessivamente - poi penso che abbiamo fatto anche altre cose e ci arrivo

    fra un attimo - è stato il non inserire quei dati all’interno di una lettura della nostra società, cioè il

    non porci il problema di quali sono stati i processi che in questi ultimi dieci anni hanno

    incentivato questo fenomeno, dal momento che questo fenomeno vent’anni fa non c’era, ma

    forse neanche quindici anni fa ed è tutto riconducibile all’ultimo decennio, quindi sarà successo

    qualcosa in questo ultimo decennio che ha incentivato quel fenomeno. Oppure qualcuno ha

    pensato che Perugia, che ha anche un problema di collegamento infrastrutturale con il resto del

    paese, potesse per questa via diventare un nodo del commercio interregionale o nazionale di

    sostanze stupefacenti? Ora, il fatto che su questo vi sia stato uno scarso livello di

    approfondimento penso che sia una causa che ha limitato la capacità di rispondere alla

    problematica e che invece ha favorito altri elementi di scorciatoia anche da parte della politica. Il

    fatto, cioè, che si sia voluto puntare - e i governi locali lo hanno fatto esplicitamente - alla

    militarizzazione del territorio, alla risposta repressiva, al patto per la sicurezza firmato con il

    precedente Ministro dell’Interno e via dicendo risponde ad una determinata logica politica. Non

    porsi invece il tema di come ci sia una contemporaneità del processo di diffusione delle sostanze

    in maniera più massiccia, della specificità di quelle sostanze, del fatto che quella diffusione

    produce una maggiore tendenza all’overdose, in un contesto caratterizzato anche da processi

    socioeconomici di un certo tipo, credo che sia un limite. Cioè il traffico di sostanze illegali

    muove un volume di risorse e penso che rispetto a questo ci si debba interrogare su dove vanno a

  • 15

    finire quelle risorse per capire bene il processo. E allora io penso che il parallelismo temporale

    che c’è stato con la ricostruzione post terremoto e la crescita del comparto dell’edilizia e della

    cementificazione dei territori sia un elemento che aiuti a capire meglio l’intero processo. Credo

    che su questo si debba sviluppare una capacità maggiore di analisi, credo che nel mentre

    facciamo questa analisi un po’ meglio tutti quanti, dobbiamo anche capire come affrontiamo la

    partita.

    Ieri leggevo dei dati che sebbene non abbiano ancora l’ufficialità che permetterebbe loro di

    essere universalmente diffusi, ci dicono però già qualcosa. Voi ricordate come abbiamo lanciato

    qualche mese fa una campagna massiccia sull’utilizzo del Narcan e sul far sì che per questa via

    intanto si potesse ridurre il danno che la mortalità produce, cioè evitare che ci fosse quel numero

    di morti che abbiamo avuto. Sapete anche come su questo vi sia stata una forte polemica politica,

    in maniera particolare nei riguardi del sottoscritto, ma fa parte del gioco, da parte non soltanto di

    pezzi dell’opposizione politica nella sala del Consiglio Regionale. Ebbene, un dato a me sembra

    interessante, che può essere parziale quanto volete, ma che indica secondo me il fatto che alcuni

    risultati, attraverso una misura che è totalmente parziale, si colgono: nel mese di aprile di

    quest’anno, quindi pochi giorni fa, vi è stata un’impennata vera e propria del numero di overdose

    nella nostra regione e in maniera particolare nella città di Perugia. A quella impennata però è

    seguita un’altrettanto intensa impennata di interventi del 118 e di utilizzo del farmaco salvavita e

    a fronte del fatto che questo vi è stato, c’è stata una riduzione delle morti nello stesso mese

    rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Traduco: nel mese di aprile 2008 in Umbria è

    morta una persona per overdose; nel 2007, nello stesso mese di aprile, ne sono morte tre; gli

    interventi con il Narcan sono passati da 19 a 67 in casi di overdose. Io penso che sia un dato

    significativo, che ovviamente non ci dice che abbiamo risolto il problema, figuriamoci, ma che in

    qualche maniera supporta la validità di una strada. Penso che però questi dati debbano essere

    diffusi anche stimolando la politica ad interrogarsi su di essi. Per questo motivo, anche con

    Leopoldo, nei prossimi giorni, riprenderemo e rafforzeremo il percorso, in parte già avviato, del

    mettere tutti insieme a lavorare congiuntamente, cioè del dare gambe ad un tavolo permanente

    che tenga insieme istituzioni, livello sanitario, servizi sociali, ma anche forze dell’ordine e forze

    del contrastato, affinché vi possa essere, nella reciproca autonomia dei ruoli, un’azione comune,

    senza la quale non riusciamo ad ottenere dei risultati. Se noi pensiamo che mettendo venti

    poliziotti in più nei parchi e nei marciapiedi di Perugia riusciamo a contrastare la diffusione del

    fenomeno, sappiamo bene quello che succederà.

    Ora, insieme a questo, però, dobbiamo interrogarci su come quella crisi della politica alla quale

    prima facevo riferimento - e ci tornerò alla fine - influenza anche la possibilità di fare

  • 16

    determinate scelte. Vi è stata - ne vedo alcuni dei protagonisti in questa sala - la battaglia nei

    mesi scorsi della collocazione fisica del Ser.T. qui a Perugia, battaglia che avete, abbiamo -

    possiamo dirla come ci pare - perso perché comunque tutti hanno l’interesse, o almeno i più, a

    far sì che servizi che possono produrre elementi di turbativa, lo dico fra virgolette, o

    conflittualità su qualsiasi territorio vengano il più possibile collocati in contesti meno visibili, a

    prescindere dal fatto che ciò può minare l’efficacia e dell’appropriatezza dell’intervento di quei

    servizi. Guardate che è un problema serissimo che si è verificato rispetto al fatto specifico che

    citavo, ma che può essere citato anche rispetto ad altri esempi, può accadere con frequenza anche

    nel momento in cui ci poniamo il problema di come ammoderniamo una rete e un’offerta di

    servizi anche alla luce, sempre volendo rimanere sul tema delle sostanze, di come si riarticola un

    modello di consumi che ci porta, anche attraverso lo studio dei dati sulla mortalità, a dire come la

    diffusione della cocaina sia in ascesa anche rispetto al tema delle overdose e come c’è una

    difficoltà oggettiva nell’intercettare quella tipologia di consumatori. Probabilmente anche in

    questo senso quell’elemento della competizione come base fondante della costruzione di un’idea

    di società determina un cambiamento nei modelli di consumo.

    Ora io potrei citare anche le cose nuove, aggiuntive, io penso, più forti e più efficaci del passato,

    che in questi anni, in questi tre anni sono state fatte, ad esempio sul tema delle politiche

    giovanili, dell’immigrazione, del carcere, della violenza di genere, che sono un po’ quegli

    elementi di emergenza imbarazzanti che Massimo Costantini poneva nella sua introduzione.

    Ovviamente io penso che ne vadano aggiunti altri, sia come evidenziazione di criticità, sia anche

    come sottolineatura di una capacità di risposta che, sia pure parziale, è più intensa e più forte che

    in passato. Penso al tema dell’abitare e delle politiche della casa per intenderci, ma possono

    esserci anche altri ragionamenti. Ma non mi interessa buttarla sull’elenco della spesa, penso che

    invece dobbiamo fare insieme una riflessione più compiuta. Invece che parlare di interventi di

    singole politiche su singoli e specifici aspetti, proviamo a ricondurre questi aspetti ad una visione

    più complessiva e ad un progetto, ad un’idea politica più generale. Mi pare che da questo punto

    di vista voi stessi, la stessa organizzazione del CNCA dell’Umbria, qualche mese fa - penso al

    convegno di cui, ho visto, sono stati distribuiti gli atti, che si è svolto a gennaio 2007 - avete

    posto alcune questioni che vorrei riprendere. In quell’occasione ne ponevate due principalmente,

    e cioè il tema e la necessità di sviluppare un welfare partecipato, da un lato, e il tema

    dell’integrazione fra sociale e sanità, dall’altro; erano queste, se non ricordo male, le due

    discriminanti che ponevate. Ora io penso che anche attraverso quella sollecitazione siano stati

    avviati alcuni processi che sarei per non banalizzare e che rientrano tutti all’interno di un

    processo, di un percorso che ci porterà, come sistema regionale complessivamente inteso, entro

  • 17

    la fine di quest’anno ad avviare il nuovo ciclo di programmazione sociale. Dico “ciclo di

    programmazione sociale” perché ovviamente non parliamo del pur importante e fondamentale

    secondo Piano Sociale Regionale, anche chiaramente, ma parliamo anche della riforma della

    Legge regionale sui Servizi Sociali, parliamo di tutti gli atti a corredo di questi due strumenti che

    si renderanno necessari, e parliamo anche di altri strumenti legislativi che nel frattempo

    l’assemblea legislativa ha approvato. Ora voi queste cose le ponevate a gennaio 2007; segnalo il

    fatto che successivamente a quella data abbiamo inaugurato, anche come innovazione

    metodologica che però si fa sostanza, lo strumento del Forum sul welfare, che, anche con il

    vostro protagonismo, qualche mese fa ha raccolto per più giorni le voci di centinaia di umbre e

    umbri che hanno dato avvio a questo processo. Domani partirà un’esperienza che a me sembra

    altrettanto importante; l’abbiamo voluta, forse in maniera troppo ridondante, chiamare “Viaggio

    dell’Umbria sociale”, dodici giornate di lavoro in ciascun ambito in cui è suddiviso il nostro

    territorio regionale per presentare a metà della traversata il livello di elaborazione che si è

    conseguito e per riaprire, insisto, a metà al processo, un’ulteriore e più intensa fase di ascolto,

    evitando che ci sia l’adunata, passatemi il termine, nelle stanze della Regione, ma facendo sì che

    sia la Regione, nelle sue articolazioni, ad andare a vedere e a conoscere meglio ciò che sul

    territorio si produce. Questo porterà nel mese di settembre ad un’accelerazione nell’elaborazione

    e al confezionamento della proposta sia del nuovo Piano Sociale, che della nuova Legge

    regionale, che saranno poi sottoposti nel mese di ottobre ad una nuova sessione del Forum

    regionale sul welfare. Che segnalo perché io penso che sarebbe un errore banalizzarlo perché è

    un elemento di validazione collettiva di un’elaborazione prima ancora che l’iter e il processo

    istituzionale si apra e non mi pare che questo sia, nella pratica di governo di questa come di altre

    regioni, elemento usuale, da un lato, dall’altro, io penso che serva per rendere più efficace, più

    appropriato il contenuto di quelle indicazioni che da questi strumenti di programmazione e

    legislativi scaturiranno.

    Segnalo cinque aspetti che caratterizzeranno il merito di questo processo e di quegli strumenti,

    sia del Piano, che della legge. Intanto io credo che l’integrazione che tutti avvertiamo come

    necessità e come chiave di volta per poter fare meglio tutti noi il nostro mestiere si possa

    produrre soltanto se si produce al contempo un rafforzamento del livello istituzionale all’interno

    del quale l’integrazione avviene e io penso che quel livello istituzionale sia l’ambito sociale, la

    zona, come dice la 328 - a prescindere dalla denominazione, ci siamo intesi. Ovviamente questo

    può avvenire soltanto se lo strumento di programmazione e la Legge regionale inducono tale

    processo e questo sarà l’elemento cardine di tutto il ragionamento. Su cui già stanno emergendo

    alcune resistenze, perché ovviamente andare in questa direzione significa anche smontare alcuni

  • 18

    pezzi, smontare alcuni pezzi che determinano anche, se volete, rendite di posizione,

    sedimentazione di una modalità di gestione di determinati processi che impedisce che si produca

    innovazione, e quindi si producono anche delle reazioni, delle critiche, dei conflitti. Il punto è, se

    siamo convinti di questa esigenza, come tutti agiamo ciascuno per il proprio ruolo anche per far

    sì che quei contrasti e quelle reazioni rimangano minoritari.

    Seconda questione: io penso, come dicevo all’inizio, che un processo che il Piano e la legge

    possono indurre debba essere, proprio per affrontare il tema dell’inclusione sociale ai tempi

    dell’insicurezza, quello di come si rafforzano, in taluni casi, ricostruiscono, in altri, elementi di

    comunità sul nostro territorio, che detta così sembra cosa semplice, ma a praticarla è ovviamente

    un po’ più complicato. Vi faccio un esempio che probabilmente è una banalità, ma che però dà il

    senso anche di un orizzonte verso il quale tendere e di come per tendere verso quell’orizzonte si

    possono fare grandi politiche, ma si deve anche affrontare il concreto che è il quotidiano a partire

    anche da elementi minimali. Ragionando con un’associazione, senza fare nomi perché non è

    importante, che mi interrogava su come dal mio punto di vista potevano loro svolgere un ruolo in

    questo senso, suggerivo di organizzare i pranzi di condominio, che sono una banalità ma che

    rappresentano la possibilità di costruire nel piccolo, nel vissuto di ciascuno, un tessuto di

    relazioni che si è desertificato. Adesso ho fatto l’esempio più basso, potrei farne altri, ma penso

    che dobbiamo costruire un pacchetto di azioni, di iniziative, di politiche e di processi che si

    muovano in quella direzione e che il Piano e la legge siano utili in tal senso.

    Terza questione: vorremmo costruire all’interno del nuovo Piano una sezione innovativa e

    sperimentale sulle politiche di convivenza urbana, sapendo che per lo più si tratta di un terreno

    inesplorato, nessun’altra regione si sta interrogando su come si apre una stagione di questo tipo.

    Anche facendo riferimento a quanto dicevo all’inizio e alla percezione di insicurezza diffusa che

    questo tema produce anche indotta da un bombardamento mediatico particolarmente massiccio,

    io credo che dobbiamo anche, soprattutto noi politici, essere in grado di inventare e di elaborare

    un nuovo vocabolario per affrontare queste questioni, perché, insisto, le possiamo spiegare nella

    maniera più ineccepibile, dopodiché la percezione, quello che Leopoldo chiamava il “nero che è

    in noi”, è tale ed è talmente entrata all’interno dell’opinione pubblica e del senso comune, che la

    possiamo mettere anche nella maniera più ineccepibile possibile, ma non la smontiamo. Il punto

    è come invece proviamo a produrre dei varchi in questo senso e come si spezza la logica che

    relega tutto a questioni di ordine pubblico. Io sono particolarmente preoccupato mentre dico

    questo perché nel frattempo vedo, provo a leggere e ad approfondire quello che, per esempio, il

    nuovo Governo sta facendo attraverso scelte velocissime, senza che nessuno si frapponga, che

    rappresentano un salto di qualità in queste politiche. Ne metto tre in fila. In Umbria, in questi

  • 19

    anni, abbiamo resistito, con due precedenti Governi, all’idea che qualcuno nei Ministeri degli

    Interni ha avuto di costruire in Umbria un centro di permanenza temporanea per immigrati.

    Ovviamente continuiamo a pensarla così, noi siamo una delle poche regioni che non li ha, ma la

    scelta che sta facendo, senza neanche comunicarcela, la leggiamo dal Corriere della Sera, il

    Ministero dell’Interno insieme al Ministero della Difesa è bypassare ogni autorità locale,

    utilizzare il patrimonio del demanio militare inutilizzato e fare lì i CPT. In Umbria abbiamo

    cinque siti militari dismessi, vecchie caserme o vecchi terreni, nulla di particolare, che sono però

    tutti candidati ad avere quella destinazione d’uso. Ora il punto è: noi come istituzione ci

    opporremo a tutto ciò, senza un livello di conflitto anche sul territorio, la nostra opposizione

    rimarrà probabilmente agli atti, ma non avrà alcun tipo di efficacia.

    Così come a me pare che sul tema dell’introduzione nel nostro ordinamento del reato di

    immigrazione clandestina si stia sottovalutando il livello di gravità, da un punto di vista giuridico

    e culturale, se volete, ma anche concretamente, fattuale, che ciò può determinare, perché voi

    sapete bene che il nostro sistema penitenziario può contenere, posto più, posto meno, 50.000

    detenuti, e dopo l’indulto di due o anni fa le carceri si sono nuovamente riempite, quindi siamo a

    54.000 detenuti, se non vado errato, come presenze attuali, unità più, unità meno, e si stima

    l’immigrazione clandestina nel nostro paese superiore al mezzo milione di persone. Quindi va da

    sé che o si tratta di una norma propagandistica per poter grattare la pancia del senso comune, o si

    tratta invece di un disegno un po’ complicato dove anche quello che poc’anzi dicevo rispetto alla

    trasformazione di qualsiasi sito che possa essere nelle disponibilità del Governo in centri di

    permanenza temporanea può costruire un sistema penitenziario parallelo come non vorremmo

    conoscere nel nostro paese.

    Terza questione: l’utilizzo dell’esercito all’interno dell’azione di monitoraggio e di controllo del

    territorio.

    Mettendo in fila questi fatti e magari leggendoli insieme alla riedizione in chiave ventunesimo

    secolo, e quindi con elementi di innovazione tecnologica, di quello che una volta era il “libretto

    di povertà”, capiamo che c’è un disegno di società. Capisco anche che a contrastare quell’idea di

    società non ce n’è una che si ponga sullo stesso livello dello scontro, e questo lo dico in maniera

    problematica, interrogando prima di tutto me stesso e parlando a voce alta. Vorrei provare a far

    sì che anche i processi che nel nostro piccolo, qui in Umbria, stiamo costruendo diano un

    contributo nella direzione del contrasto di quella idea di società, e per farlo - ulteriore questione -

    io penso che dobbiamo, sì, affrontare il tema delle singole politiche, il tema della povertà, della

    non autosufficienza, dell’immigrazione, dei giovani, su cui ovviamente il Piano dirà alcune cose,

    però dovremmo porre anche l’accento, oltre che sulle cose che dicevo, anche su come noi

  • 20

    riconnettiamo in una logica universalistica il sistema di welfare della nostra regione, perché

    analogamente a quanto è successo attraverso il combinato disposto della 328, da un lato, e del

    Titolo V della Costituzione, dall’altro, che ha determinato sistemi diversificati di stato sociale nel

    nostro paese, per cui se nasci in Friuli Venezia Giulia hai dei diritti e se nasci in Calabra quei

    diritti non ce li hai, stiamo, secondo me, correndo concretamente il rischio che nel piccolo e forse

    anche in dimensioni inferiori la stessa cosa si produca in Umbria, per cui se nasci al Trasimeno o

    a San Giustino hai diritti diversi che se nasci a Calvi dell’Umbria o a Norcia. E’ un problema.

    Costruire un sistema per cui, in assenza di LIVEAS a livello nazionale, proviamo ad inventarci

    dei LIVEAS e a garantire l’uniformità dell’esigibilità di quei diritti attraverso l’erogazione di

    quei servizi in maniera uniforme sul nostro territorio regionale penso che sia un’ulteriore priorità

    e penso che contribuisca, anche sia pure soltanto in parte, a rafforzare e a ricostruire quegli

    elementi di comunità che dicevo. Su questo io credo che appunto dobbiamo elaborare una

    strategia di contrasto alla logica dell’emergenza che va nell’altra direzione e io penso che bene

    abbiate fatto - lo citavi tu, Massimo, all’inizio, in relazione all’appuntamento di dopodomani - a

    coinvolgere anche il settore dell’urbanistica e del governo del territorio in questo ragionamento

    perché è fondamentale, perché per come è in crisi la politica e per come – ed è anche un aspetto

    positivo, evidentemente – il dirigismo si è attenuato da parte della politica, soprattutto nella

    nostra regione, non può che instaurarsi la logica di interessi diversi che fra loro confliggono e di

    cui alcuni prevalgono, e ancor più nel governo del territorio ciò avviene.

    Quindi il tema è, dal mio punto, e su questo cerco di concludere, come si viene fuori da quella

    marginalità che prima Massimo metteva in risalto, che è un tema di risorse, ma non solo,

    aggiungo, anche provando a scompaginare alcuni piani. La spinta che abbiamo voluto dare al

    tema della partecipazione nella costruzione della nuova programmazione sociale ha

    evidentemente una logica intrinseca perché teoricamente poi va sviluppata e praticata e quindi

    determina una maggiore efficacia, una maggiore appropriatezza e probabilmente anche un

    pizzico di realismo in più nella costruzione della programmazione, ma esternamente ci abbiamo

    puntato perché induce un altro processo, e cioè fa sì che un comparto - non è giusto chiamarlo

    così, ma mi perdonerete - che è particolarmente articolato, complesso e frastagliato tenti di

    assumere una massa critica e tenti di porsi anche politicamente in un livello di interlocuzione con

    altri processi e altri poteri e interessi che nel frattempo in maniera molto massiccia si muovono

    sui nostri territori e che interloquiscono ovviamente anche con i decisori politici. Il punto è come

    per questa via sviluppiamo e induciamo anche un protagonismo maggiore della società. Perché,

    vedete, io credo - potrei dimostrarlo conti alla mano - che in questi tre anni, tutto assommato, il

    livello di risorse complessivamente afferenti in quest’area sia praticamente raddoppiato; vi dico

  • 21

    contestualmente che non basta, che è totalmente insufficiente, ciò non mi sfugge, ma il punto è

    come anche – adesso lancio io la provocazione, mi perdonerete – il vostro mondo fuoriesce da

    una logica per la quale tutto è delegato alla politica. Io credo che il protagonismo che vi stimolo

    anche esplicitamente a manifestare in maniera ulteriore rappresenti un contributo affinché quella

    marginalità si attenui, perché se pensate che, per esempio, il tema delle risorse – che è

    importantissimo, ma non è l’unico problema, dal mio punto di vista quantomeno - si risolva

    esclusivamente in una logica per cui l’Assessore regionale di turno fa la battaglia, il conflitto

    all’interno della Giunta regionale per portare a casa più soldi per queste politiche, io penso che

    non andiamo molto lontano. Potrà un po’ aumentare quella quota di stanziamenti quando va

    bene, in anni più difficili potrà anzi diminuire nonostante tutta la fatica e il casino che

    quell’Assessore di turno può fare, ma, insomma, ci facciamo poco. Io penso che invece ci sia

    bisogno di un livello di protagonismo maggiore, che non escluda neanche il momento di conflitto

    nell’autonomia reciproca, e per questo io penso che sia particolarmente utile che, per esempio, la

    giornata di oggi, come le giornate che in futuro organizzerete voi o altri soggetti, si concluda

    anche con elaborazioni, con documenti che possano porre problemi, ma il punto è poi come quei

    problemi che ponete diventano anche interni ad una battaglia politica più complessiva di cui io

    avverto il bisogno. Posso sbagliarmi, ma lo vedo come uno dei pezzi che ci possono permettere

    di affrontare questioni come quella che voi avete posto a base del vostro ragionamento e della

    nostra riflessione di oggi, che sono epocali, che sono complicate, ma che non possono non valere

    la pena di essere affrontate e per questo, appunto, io credo che dovremmo tentare di darci una

    mano in questa maniera. Sapendo che ovviamente trattandosi di processi quantomeno nazionali a

    voler tenersi bassi, non saremo in grado di risolverli completamente, ma che se dall’Umbria

    dessimo alcuni segnali non di come si costruiscono modelli astratti, ma di come nella pratica si

    contrastano determinati processi anche inaugurando stagioni e politiche alternative, penso che

    avremmo fatto appieno il nostro dovere.

    Massimo COSTANTINI, Presidente CNCA Umbria. Ringraziamo particolare l’Assessore per la

    passione che comunque l’ha sempre contraddistinto e per aver accolto sempre le nostre

    esortazioni in momenti di confronto come questo, perché in questi momenti in cui, sottolineo, a

    livello pubblico, a livello aperto in faccia ci diciamo senza remore i nostri pensieri, possiamo

    davvero tentare di iniziare a costruire un cambiamento. Quindi, davvero grazie, anche perché poi

    questi momenti sono stati anche sostenuti dall’Assessorato e questo ha reso possibile incontrarsi.

    Continuiamo con un ulteriore contributo, che è quello di Susanna Tabarrini del Nucleo Operativo

    Territoriale della Prefettura di Perugia, su: “Quali sinergie mettere in campo?”

  • 22

    “Quali sinergie mettere in campo?”

    Susanna TABARRINI, Nucleo Operativo Territoriale - Prefettura di Perugia. Io sono Susanna

    Tabarrini e lavoro non al Nucleo Operativo Territoriale della Prefettura, ma al Nucleo Operativo

    per le Tossicodipendenze della Prefettura di Perugia, c’è stato un errore, ma non ci siamo

    preoccupati molto di cambiarlo visto che poi, in realtà, come attività nostra in Prefettura,

    occupandoci dell’Art. 75, cioè di quelle persone che vengono segnalate perché trovate in

    possesso di sostanze stupefacenti, una minima parte di queste è costituita da tossicodipendenti, la

    maggiore parte delle persone che vengono segnalate è costituita da persone che possono essere

    considerate consumatrici, a volte problematiche, a volte non problematiche, di sostanze

    stupefacenti. L’operato delle forze dell’ordine del resto è trasversale, è su tutto il territorio,

    quindi non è specifico nei luoghi in cui si ritrovano i tossicodipendenti.

    Io ringrazio molto il CNCA e le persone con cui in questi anni abbiamo anche collaborato e

    lavorato insieme per averci invitato a partecipare a questo seminario, perché è un modo, credo,

    per tenere in vita un’esperienza che per alcuni è stata considerata valida, un’esperienza di

    formazione integrata sul territorio della provincia di Perugia che ha visto coinvolti operatori dei

    Servizi che si occupano di sostanze psicoattive e personale delle forze dell’ordine. Questo tipo di

    esperienza crediamo che sia stata significativa, perché qui, nel territorio, ha aperto un dialogo tra

    operatori che hanno mandati molto diversi, e dopo un primo momento in cui si sono affrontate

    molte problematiche relative anche a certi stereotipi e pregiudizi che possiamo ben immaginare,

    si è cercato di lasciare un po’ sullo sfondo questo aspetto e di vedere dov’era possibile trovare

    dei punti di contatto, dei punti di raccordo. Crediamo che questa esperienza abbia anche

    contribuito alla realizzazione di qualche piccolo intervento sul territorio, a produrre alcune idee,

    soprattutto a far dialogare persone con esperienze molto diverse che non si conoscevano prima di

    questa esperienza. E io credo che parlarne oggi, anche se molti di quelli che sono qua conoscono

    questa esperienza, sia un modo per continuare a pensare che si può progettare, che si può gettare

    oltre quello che è stato fatto e non gettarlo via insomma.

    Io devo per forza fare, e spero di farlo nella maniera più sintetica possibile, un po’ di storia di

    come è nato questo progetto, per arrivare poi a quello che è emerso dal progetto in particolare

    che ha visto il coinvolgimento degli operatori cui accennavo prima. Noi siamo stati assunti con il

    D.P.R. 309 da ormai dodici, tredici anni. All’inizio ci siamo trovati come operatori a

    sperimentare su di noi la necessità e anche la difficoltà di mettere insieme queste due parti, cioè

    il percorso terapeutico, che la legge prevede essere realizzato ovviamente all’interno dei Servizi

    pubblici per le Tossicodipendenze, e l’origine della segnalazione, che nasceva da un processo di

  • 23

    tipo repressivo dell’applicazione della normativa. E un po’ per evidenti ragioni, essendo noi

    assistenti sociali, ci siamo trovati innanzitutto a confrontarci con i Ser.T., con i quali magari

    c’era un’esperienza precedente di lavoro o un linguaggio e probabilmente anche degli obiettivi e

    delle modalità operative molto più condivise che non che con le forze dell’ordine. Quindi,

    inizialmente, ci siamo molto preoccupati di confrontarci con i Ser.T., soprattutto per delineare il

    significato del programma terapeutico nell’ambito del procedimento amministrativo, perché

    coniugare l’aspetto legale con l’affidamento di una persona ad un Servizio per un programma

    dopo che è stata fermata, segnalata ed è arrivata in Prefettura e ha avuto lì un colloquio, capite

    bene che costituisce un grosso problema, e ripartire da tutto questo per un processo di ascolto, se

    non quando terapeutico, non era cosa così scontata. Quindi con i Ser.T., e soprattutto con alcuni,

    abbiamo cercato di mettere in piedi un’attività di collaborazione che potesse in qualche modo

    coniugare queste due dimensioni: quella legale del controllo e quella educativa e terapeutica. E

    l’abbiamo fatto attraverso dei normali incontri e riunioni di lavoro, ma anche attraverso

    un’attività di formazione e supervisione, abbiamo cercato, cioè, di utilizzare come meglio

    potevamo i finanziamenti del fondo nazionale “Intervento per la lotta alla droga”, e inizialmente

    li abbiamo utilizzati per fare un’attività insieme ai Ser.T. attraverso una formazione specifica con

    un approccio sistemico relazionale (colloquio motivazionale etc.). Tutto questo perché? Perché

    in particolare il problema non si poneva per coloro che avevano già un percorso avviato di tipo

    terapeutico con i Ser.T., per questi si trattava semplicemente di mediare un po’ la sanzione con

    quello che stava già facendo la persona; il problema più grosso direi che è nato nel momento in

    cui ci siamo trovati a contatto con persone che non si rivolgevano al Ser.T. e che difficilmente si

    sarebbero rivolte al Ser.T. se non attraverso questa segnalazione. Ora, molte delle segnalazioni

    che ci arrivano si esauriscono con un provvedimento amministrativo che chiude, diciamo, tutta

    questa cosa che si è avviata con la segnalazione. Ma in alcuni casi non ce la sentivamo di

    chiudere questo evento perché sentivamo che c’erano comunque delle problematiche che

    emergevano dal colloquio e che magari erano anche non così connesse all’uso di sostanze, ma

    che comunque andavano a parare su tutto un sistema di relazioni famigliari etc., per le quali era

    necessario avviare un percorso, quindi dovevamo assolutamente trovare, inventarci un modo

    perché queste persone transitassero dalla Prefettura ai Servizi, ai Ser.T., ma anche ai servizi di

    territorio. Ancora questo è un problema aperto, perché in alcuni territori si è risolto magari anche

    trovando delle modalità operative all’interno di Ser.T. specifici, in alcuni casi sono i Ser.T. che

    se ne fanno carico, in altri casi sono stati inventati dei servizi proprio di territorio che sono in

    collegamento con il Ser.T., ma che non sono in modo specifico i Ser.T.

  • 24

    Per fare una valutazione, senza che mi soffermi più di tanto perché qui siamo un po’ tutti tecnici

    della materia, tutto questo è stato utile per lavorare un po’ su quello che significava per la

    persona avviare questo percorso, ciò che aveva costituito per lei e che era nato a partire

    dall’evento della segnalazione, ed è stato anche un modo per l’operatore per riflettere su che tipo

    di offerta poteva dare a questa tipologia di soggetti. Facendo questo lavoro iniziale con i Ser.T. è

    emerso che, per migliorare la presa in carico e le prestazioni di consulenza alla persona

    segnalata, per realizzare iniziative integrate sostenute da un’ampia collaborazione nell’area degli

    interventi rivolti a consumatori di sostanze legali e illegali, per la gestione e il migliore

    contenimento delle situazioni di grave disagio sociale ed emarginazione che possono generare

    tensione e allarme sociale nel territorio (perché nell’ambito di questa attività che noi abbiamo

    fatto con i Ser.T. è emersa poi tutta una serie di sfumature che non attenevano in modo specifico

    soltanto alla persona che veniva segnalata e quindi con problemi di tossicodipendenza), mancava

    un pezzo, cioè veniva proprio fuori da questa attività anche formativa, ma anche di

    collaborazione, che c’era un pezzo che non stavamo proprio pendendo in considerazione, cioè

    l’inizio della segnalazione, l’operato delle forze dell’ordine, e quindi non potevamo non fare un

    processo di integrazione di questo aspetto nel nostro lavoro di ragionamento su quale più

    efficace risposta dare ai soggetti che fanno uso di sostanze stupefacenti psicoattive, più o meno

    problematici. Quindi abbiamo pensato di utilizzare finanziamenti anche per fare un’attività di

    formazione integrata con le forze dell’ordine, e quindi abbiamo utilizzato quel 25% che il fondo

    ha previsto per i Ministeri per attività di formazione, informazione etc., come Prefettura. Non

    siamo stati gli unici, in Italia c’erano già anche altre realtà, la più importante di queste

    sicuramente a Palermo, che ci ha dato lo spunto e ci ha confermato che forse poteva essere una

    strada da percorrere e che poteva portare a qualche risultato. Quindi nel 2001 abbiamo presentato

    questo progetto che si realizzava attraverso tre moduli formativi. Noi come Prefettura abbiamo

    una competenza provinciale e quindi abbiamo cercato di realizzare questa attività formativa

    nell’ambito delle tre A.S.L. della provincia di Perugia, la 1, la 2 e la 3; abbiamo coinvolto il

    personale di questi servizi, dei Ser.T., dei servizi di alcologia, dei servizi a bassa soglia e l’Unità

    di Strada, i servizi di igiene mentale (in alcune A.S.L. è stato possibile, in altre no), i Carabinieri,

    la Polizia di Stato, la Polizia Stradale, la Guardia di Finanza, la Polizia Municipale e in alcuni

    territori il servizio sociale del Comune. L’attività formativa si è svolta prevalentemente

    attraverso il contributo di un docente e il lavoro più grosso è stato sicuramente quello del lavoro

    di gruppo, e poi vedremo anche quello che hanno portato a casa i corsisti in termini di rapporto,

    di confronto che si è realizzato all’interno di questi gruppi di lavoro.

  • 25

    Poi ci sono state delle giornate seminariali, ma non mi soffermo più di tanto su questo perché

    sarebbe un po’ lungo. Dirò solo sinteticamente di che cosa abbiamo parlato all’interno di questa

    attività formativa: di nuove droghe, di sostanze di sintesi e stili di consumo, di percezione sociale

    del tossicodipendente, di consumo e abuso di alcol nella popolazione giovanile. Nel Comune di

    Perugia in particolare si è parlato di prostituzione e tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento

    sessuale, perché qui si era già avviata un’attività di collaborazione, diciamo così, con la Questura

    di Perugia per l’applicazione dell’Art. 18. Abbiamo parlato anche del tema che ci riguarda in

    particolare oggi, cioè di sicurezza urbana e mediazione sociale, quindi di quale possibile

    integrazione è possibile tra repressione e prevenzione, tra interventi di riduzione del danno e

    sicurezza urbana.

    Io ho riportato sinteticamente quali sono stati i temi che hanno vissuto più direttamente gli

    operatori che hanno cercato di ragionare attorno a questi stimoli che riguardano, appunto, la

    sicurezza urbana e la mediazione sociale, e ho riportato alcuni stimoli che sono stati l’oggetto di

    discussione dei gruppi integrati. Mi sembrava particolarmente significativo quello che Pisapia,

    intervenendo a questo seminario, ci ha portato come stimolo di discussione, e cioè

    l’affermazione che l’ordine pubblico rinvia all’idea di ordine giuridico le cui lesioni sono

    previste dal diritto penale positivo sia come delitti, che come contravvenzioni. L’ordine pubblico

    è competenza delle forze dell’ordine, è una delle condizioni affinché vi sia sicurezza, ma si fa

    spesso confusione tra ordine pubblico e dimensione della sicurezza. In realtà alla dimensione

    della sicurezza contribuiscono molti altri soggetti, non solo gli operatori delle forze dell’ordine,

    che sono invece chiamati prevalentemente ad applicare il diritto penale positivo, cioè quello che

    è scritto nelle leggi. A realizzare la dimensione della sicurezza sociale ovviamente

    contribuiscono le politiche sociali, culturali e le comunità locali, e la politica della sicurezza è

    anche una politica della fiducia diretta a rasserenare e creare le condizioni oggettive per le quali

    il cittadino possa nutrire fiducia in se stesso e nel proprio futuro. Ci sembrava particolarmente

    significativo portare anche a voi questa riflessione, cioè che l’idea di sicurezza rinvia ad una

    condizione oggettiva e soggettiva caratterizzata da assenza di situazioni di pericolo e rischio, ma

    la vita quotidiana è l’incrocio tra il previsto e l’imprevisto, l’abitudine e il cambiamento, l’ordine

    e la confusione, e quindi è per sua natura lo spazio dell’insicurezza.

    Che cosa è emerso da questo gruppo di lavoro? Che ci sono anche nel territorio umbro molte

    iniziative, come quella rieducativa di strada, di interventi di bassa soglia, che fanno un lavoro

    che contribuisce molto alla sicurezza, ma che spesso non è valorizzato, non è conosciuto dalla

    popolazione, e questo contribuisce a creare senso di insicurezza nei cittadini. Forse non sarebbe

    così se si sapesse che cosa avviene fuori, che comunque si fanno delle cose in questo senso; ciò

  • 26

    potrebbe probabilmente contribuire a dare maggiore serenità ai cittadini e soprattutto si

    comprenderebbero gli obiettivi di questa attività. Questa è una cosa scontata, perché poi si è

    parlato molto all’interno di questi gruppi di lavoro del fatto che si dovrebbe fare più prevenzione

    così i ragazzi non andrebbero a chiedere sostanze, e del fatto che, viceversa, si dovrebbe

    maggiormente ridurre l’offerta, e questa discussione si è molto sviluppata, nel senso che a partire

    da questo poi si è articolata, è diventata più complessa, ricca di sfumatura. Mi pare che ancora

    oggi in alcuni casi si possa avvertire tra i nostri vertici istituzioni che c’è un po’ un rimpallo tra

    questi due livelli, piuttosto che comprendere le ragioni dell’uno e dell’altro, della domanda e

    dell’offerta.

    Venendo alle cose che si sono portati a casa i corsisti e che hanno anche restituito nelle situazioni

    di valutazione e di riflessione, abbiamo la consapevolezza che nelle situazioni complesse e

    multiproblematiche una strategia di lavoro di rete permette di dare risposte più efficaci ai

    cittadini e soprattutto sostiene la motivazione degli operatori. Mi ricordo, per esempio, che c’era

    un poliziotto di quartiere che una volta che ha incontrato gli operatori di strada, ha compreso le

    ragioni del loro operare in strada, che cosa facevano e dove lo facevano, si è sentito un po’ più

    sollevato, perché se lo chiama un cittadino perché c’è un tossicodipendente in strada che non si

    regge in piedi, o sta male, o disturba, il poliziotto arriva e non sa che cosa fare, ha bisogno

    assolutamente di un supporto diverso che non sia quello dell’intervento dell’ordine pubblico

    perché quella persona non sta facendo nulla che vada contro l’ordinamento giuridico.

    Gli incontri, poi, hanno permesso una conoscenza più articolata e il confronto dei diversi punti di

    vista sui comportamenti di consumo di sostanze psicoattive. Siamo partiti da punti di vista, da

    idee e, direi, anche da ideologie molto diverse su quello che può rappresentare il consumo. C’è

    stata una conoscenza diretta e personale che contribuisce a dissipare le reciproche diffidenze, gli

    stereotipi e i pregiudizi; c’è stata una definizione dei confini e delle competenze di ogni

    professione, servizio e istituzione.

    Alla fine di questa prima fase, che era soprattutto di informazione e sensibilizzazione, non aveva

    la pretesa di produrre particolari progetti o modelli operativi, ma era semplicemente un’attività di

    contatto tra persone che venivano da esperienze molto diverse, si è pensato che forse si poteva

    transitare verso un’idea progettuale, che forse insieme si poteva costruire un progetto, si

    potevano fare delle cose. C’è stato un periodo di circa un anno in cui non c’erano finanziamenti e

    quindi non si poteva continuare a fare questa attività, ma i gruppi di lavoro si sono rivisti, si sono

    un po’ ricostituiti, il gruppo di Perugia, il gruppo di Foligno, il gruppo di Città di Castello, il

    gruppo di Gubbio e il gruppo di Spoleto, e questi incontri periodici hanno portato un po’ alla

    definizione degli spazi che potevano interessare gli operatori dei Servizi e le forze dell’ordine,

  • 27

    dei punti su cui si poteva pensare di lavorare o progettare insieme: sicuramente sulla lettura e sul

    monitoraggio dei fenomeni del disagio, perché ognuno, per il proprio punto di vista, comunque

    vede uno spaccato della realtà; sulla prevenzione e gestione delle situazioni di criticità sociale;

    sulla progettazione congiunta di interventi di prevenzione, perché nelle scuole vanno tutti: vanno

    le forze dell’ordine, vanno gli operatori, vanno gli educatori, e spesso portando messaggi, modi

    di comunicare assolutamente diversi, non programmati, non coordinati; ognuno va pensando di

    fare il meglio che può. E’ ovvio poi che gli interventi delle forze dell’ordine sono molto più

    orientati a dare delle informazioni sul tipo di sostanze, lavorano molto sull’idea della paura etc..

    Quindi è stato evidente che è piuttosto inefficace andare tutti nelle scuole; magari, forse, si può

    fare un lavoro prima insieme e poi nelle scuole ci va qualcuno più competente.

    E quindi si è presentato poi nel 2004 un progetto che aveva proprio lo scopo di affinare le

    competenze dei partecipanti a fare progetti, a fare progetti insieme e a costruirsi come gruppo. I

    destinatari erano ovviamente quelli che avevano partecipato alla prima esperienza di formazione

    e qualcun altro che non era stato previsto nel precedente corso. Questa