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“Immagini della Grande Guerra” a cura di Ornella Prinncivalle Circolo Culturale “TerraNostra” Minerbe 1914-2014

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“Immagini della Grande Guerra”

a cura

di Ornella Prinncivalle

Circolo Culturale “TerraNostra” Minerbe

1914-2014

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“Immagini della Grande Guerra”

Premessa

“Il passato esiste, di per se stesso, al di fuori delle nostre pulsioni soggettive, al di là delle memorie e rappresentazioni o degli usi pubblici, coevi e successivi” (Mario Isnenghi- storico)

Gli austro-ungarici, tra il 1914 e il 1915 erano impegnati nel fronte Russo. Sul fronte italiano, fino ad allora

con l'Italia 'neutrale', contavano nella cintura delle fortezze attorno a Trento, per fermare eventuali

avanzate italiane, con un ridottissimo numero di soldati.

Il fronte delle Dolomiti era addirittura praticamente sguarnito, ma ben presto venne attrezzata una linea

difensiva arretrata rispetto al confine, contando sulle favorevolissime dorsali montuose del Lagorai e delle

Dolomiti di Sesto.

L'Italia entrò in guerra convinta di una facile vittoria in breve tempo, già pensando all'annessione del

Trentino e della Venezia Giulia, nonostante le trattative e l'offerta austriaca di concedere quei territori in

cambio della neutralità italiana. Allora l’Italia si trovava a mantenere forze abbastanza consistenti anche in

altri settori operativi pronti ad intervenire nel caso di attacchi e sconfinamenti armati provenienti

dall’Etiopia. In Libia, la Guerra Santa proclamata dal Sultano Maometto V provocò la ribellione delle

popolazioni poste sotto la sovranità italiana. Le forze metropolitane ed indigene dislocate sul territorio

della Cirenaica e della Tripolitania furono costrette ad abbandonare le località presiedute ritirandosi verso

la costa dopo aver subito perdite dolorose; in Libia viene dichiarato disperso l’8 -7-1916 durante un

combattimento il minerbese Carazzato Giuseppe (del 1894) del 37° reggimento fanteria. In Albania l’Italia

occupò nel 1914 l’isoletta di Saseno e successivamente la città di Valona dislocandovi inizialmente il 10°

Reggimento Bersaglieri ed una batteria di montagna. A Corfù il 29-8-1918 morì il minerbese Mantovani

Fernando (del 1896) soldato del 203° reggimento fanteria; il pensiero della guerra quindi permeava la vita

dei giovani del tempo e delle nostre famiglie che devono abbandonare le loro case o smettere dai loro

interessi o peggio ancora vivere lutti tremendi.

Il sedici ottobre 1914, Cesare Battisti tiene da Verona un discorso ai Veronesi, spiegando i motivi per cui

l’Italia deve entrare in guerra, ma non solleva entusiasmo, tuttavia il clima si fa incandescente: si

fronteggiano neutralisti e interventisti. All’interno dei socialisti, ufficialmente contrari alla guerra si

verificano defezioni. Mussolini arriva in città qualche mese dopo il comizio di Battisti e tiene un comizio alla

Gran Guardia, sommerso da un uragano di fischi. l ventidue maggio 1915 però “l’Arena” scrive: “a Verona la

guerra la si fiuta, entra in noi come il pane, si sente qualcosa che grava nell’aria” e il venticinque scrive che:

“Il sogno è divenuto realtà”. In tutti i paesi coinvolti nella guerra nacque un nuovo concetto che intendeva

coinvolgere l'intera nazione in questo avvenimento: il "fronte interno". L'intento delle autorità era far

partecipare al clima bellico non solo i soldati o le popolazioni che per loro sfortuna abitavano vicino al

confine austro-ungarico, ma indistintamente tutti gli italiani. Parallelamente, fu anche un ottimo modo per

evitare che dilagassero idee pacifiste, neutraliste o anti-italiane.

Le conseguenze furono simili a quelle di una dittatura: "[la zona di guerra] comportava la sospensione dei

diritti di riunione e associazione, la possibilità di sciogliere circoli e Camere del Lavoro, l'impedimento di

ogni attività politica e sindacale, la soppressione del diritto di sciopero *…+. Intere categorie di persone

furono sottoposte al regime disciplinare dell'esercito in quanto soggette al servizio militare *…+.

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Il complesso delle relazioni industriali fu sottratto alla libera contrattazione e sottoposto a una regolazione

dall'alto." (Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Bur, 2009, Milano, pp. 177-178).

Il 24 maggio l’Italia aprì le ostilità contro l’Austria –Ungheria. Venticinquemila Cechi si arruolarono

volontari nell’esercito del Regno d’Italia con la speranza di far crollare l’Impero asburgico. Il fronte formava

una grande S orizzontale, lunga poco più di seicento chilometri, che andava — per sommi capi

naturalmente - dallo Stelvio al mare Adriatico, poco lontano da Aquileia toccando i massicci dell’Ortler,

Cevedale, Adamello al di là del Garda, Pasubio, Altopiano dei Sette Comuni, Grappa, montagne cadorine,

alpi carniche, linea dell’Isonzo seguendo il confine del 1866. Fu una guerra non solo contro un esercito

nemico ma anche contro le difficoltà della natura ad alta quota: freddo, ghiaccio, malattie.

Anche la nostra Bassa intera è coinvolta. In quasi tutti i comuni veronesi arrivarono gli avvisi di chiamata

alle armi. Molti giovani partono: alcuni vengono chiamati alle armi nella Compagnia Sussistenza (un corpo

dell’esercito che si occupa dei vettovagliamenti) , o nelle Compagnia Sanità che deve far fronte ad un

sempre più crescente numero di feriti , ma tanti sono in prima linea, nelle trincee, oltre agli alpini, essi sono

per lo più fanti o artiglieri che devono scalare ed aprire passaggi tra le rocce delle montagne; nella Bassa i

prigionieri austro-ungarici verranno impiegati nel servizio civile.

Già il quattordici novembre 1915 Verona si trova improvvisamente coinvolta nel conflitto e in Piazza Erbe le

schegge provocano una strage. Alla fine si contano un centinaio fra feriti e morti. Sul piano psicologico però

l’effetto è disastroso: si parla di spie che hanno favorito l’attacco e il diciassette novembre 1915 la folla

tenta di linciare una donna accusata di essere al servizio del nemico. Venerdì, dodici ottobre 1916,

“L’Arena” usciva con un numero unico commemorativo con il titolo: “Con le fortune della Patria” e si

rivolgeva ai Francesi chiamandoli “egregi fratelli carissimi”.

Il mercato, dopo il bombardamento del ’15, veniva trasferito all’interno dell’anfiteatro e nel ’17 si

predisposero protezioni particolari dell’Arena contro eventuali bombardamenti. Tutta la popolazione deve

subire una serie di restrizioni che si faranno sentire nella vita quotidiana. Basti a ricordare la questione del

pane: già nel 1915 ci si deve accontentare di pagnotte simili a quelle militari, ma nel 1917 si vende solo

pane raffermo e il tesseramento fissa in 350 grammi la razione quotidiana per persona di polenta, la carne

è merce rara, lo zucchero diviene introvabile. In città “L’Arena” denuncia che “il numero delle libere

professioniste minorenni aumenta in modo impressionante”

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Anche a Minerbe il dibattito politico culturale era discretamente acceso: c’era una certa disputa tra

cattolici, anticlericali, socialisti. Si vendevano i quindicinali: “L’Asino”, “L’Amico del popolo”, “Verona del

popolo”, “Seme”. Esisteva dal 1882 la Società di Mutuo Soccorso con lo scopo di aiutare i soci in caso di

malattia. Nel 1914 si svolsero le elezioni amministrative e vinse una lista moderata con sindaco Emilio

Candiani; ma gli anni che vanno dal 1915 al 1918 sono determinati dagli avvenimenti della grande guerra.

Quasi tutti i giovani vanno al fronte e tutto è bloccato dalla paura e dalla disperazione, la piccola

delinquenza dilaga. Nel 1915, il tredici marzo il Sindaco si dimette per contrasti sui contributi che si

dovevano erogare alla linea ferroviaria Ostiglia-Treviso di cui esisteva un progetto fin dal 1910, che doveva

passare per Minerbe e che doveva servire soprattutto per il trasporto di truppe. Insomma non solo cambiò

la vita per l’effetto dell’economia di guerra, per l’uccisione di uomini e la distruzione di cose, ma anche

l’idea stessa di comunità, per il lacerarsi dei rapporti fra la gente, per il costituirsi di tante comunità

costrette a urtarsi; c’è la popolazione di donne, vecchi e bambini costretta portare avanti il lavoro della

terra, a convivere con i soldati alloggiati nelle proprie case, a occuparsi nei lavori militari delle retrovie; c’è il

mercato nero; viene requisito più volte bestiame. Anche fisicamente il paese cambia aspetto, la piazza per

esempio viene occupata da carri e cannoni (vedi foto) e questo ha una grande influenza sul senso di identità

della comunità. Molti venivano fatti prigionieri o uccisi e le famiglie a casa rischiavano di non sopravvivere.

In paese un gruppo di donne, raccoglievano fondi per i bisognosi; furono organizzati e spediti vestiti e pane.

Don Sante Gaiardoni (parroco di Minerbe dal 1907 al 1925) nel 1916 così annota nelle sue cronache:“Non

rimasero a casa per la coltivazione dei campi che donne, pochi vecchi e fanciulli. La produzione andò di

anno in anno diminuendo in guisa che fu ridotta ad una metà - molti campi rimasero anche incolti – fu

seminata la polenta, le bietole e poi ……………… I prezzi di ogni genere crebbero in una maniera spaventosa”

Eccone alcuni come saggio:

Prezzi 1920 Prezzi 1921 Il latte L. 0,75 il litro L. 0.80 L. 1.00 Un uovo L. 0,80 “ 0.35 “ 0.40-0.80 La polenta in farina 55 lire il quintale “ 65.- “ 130.- Lo zucchero non raffinato L. 4.50 il Kg. “ 5.60 “ 6.50 Il caffè 10 Lire il Kg. “ 22.- “ 24. Il lardo 9 lire al Kg. “ 14.- “ 10 - L’olio L. 5.50 il Kg. “ 14 .- “ 10.- 6 La legna L. 15 il …. “ 20.- “ 15 – 25 La carne L. 8 il Kg. “ 10.- “ 12 - 8-10 Un paio di scarpe L. 60 - “ 80.- “ 70.- 80 Un paio di buoi anche Lire 12.000 “ .- - “ 6000.- Le candele L. 12 il Kg. “ 10.- “ 10.- 13 = “…Immagini …………….quanta economia e quanta ristrettezza di vivere: tanto più che d’ogni cosa sempre si trova difetto, dovendo tutto acquistare con la tessera dal consorzio per mezzo dello sgravio comunale – Questo caro-viveri è sentito specialmente da quelle classi che non hanno avuto nessun aumento di rendita, né compenso di sorta: tali sono specialmente i ……..-Poiché tanto gli impiegati governativi come i comunali hanno avuto l’aumento per il caro viveri Così i contadini e gli operai hanno accresciuto di molto la loro mercede = Lire 6 – 8- 10- 12 al giorno ……….. della stagione dei lavori - Per il clero tutto stazionario, ma questo è il meno – basterebbe che ora finalmente cessasse l ‘orribile flagello della guerra ! – (…)

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Minerbe 15/10 1916” La piazza di Minerbe occupata da carri e cannoni(foto tratta da “Minerbe nel passato di Francesco Muzzolon e Massimiliano Amatino)

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Don Sante Gaiardoni annota, seppur con poche parole, la sua cura per la chiesa in questo periodo, ma

anche la sua vicinanza sia a chi dei suoi parrocchiani era al fronte, sia a chi in paese attendeva notizie e

pativa ristrettezze.

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Provviste per la Chiesa parr.le Dopo la riforma dell’ufficio e della liturgia delle messe, per la quale nella più parte delle domeniche si deve usare l’ufficiatura propria della domenica fu necessario provvedere paramenti di color verde e violaceo - Quindi negli anni 1914 - 1915 – 16 furono acquistati :

Un paramento verde completo a ramaggi gialli: (di questo fu consegnata la stoffa e poi eseguito dalle RR Suore locali ( di Ronco) – e costò Lire circa 300.

Un paramento bianco, a tinte antiche bellino, ma leggero e costò Lire 300

Un piviale verde a fiori di diverse tinte L. 80

Un piviale …………… d’oro per Lire 90

Due pianete con ramaggi intessuti nella stoffa, una verde e l’altra violacea per Lire 40 l’una

L’altar maggiore aveva dei candelieri troppo piccoli, pensai per la minore spesa di farne 6 di nuovi grandi con quattro porta......... e si rinfrescasse gli altri e passarli nei gradini inferiori.

E’ questo il solo apparato che ora ha l’altar maggiore : la spesa totale fu di L. 275

Feci innovare pure il paramento festivo per l’altar dell’ Addolorata che costò L. novanta

Nel 1915 comperai anche 4 palme di porcellana per l’altar maggiore

I coniugi Melchiori Eugenio e Lonardi Adele donarono nel 1909 alla Chiesa l’ostensorio grande d’argento del valore di L. 900

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Minerbe 15/10 1916

Anno 1917

Il giorno 26 maggio di quest’anno alle ore 22 cadde una grandine così fitta che in pochi minuti distrusse i raccolti tanto promettenti - L’uva specialmente ed il frumento andarono totalmente rovinati, le assicurazioni pagarono i colpiti fino a cento su cento. Però la plaga devastata fu ristretta = da Campeggio al ponte delle Colombare e al ponte dei Pomi, o Cà Rossa.

1918 Anche nel 1918 fummo bersagliati dalla grandine: essa cadde così violenta la sera de 12 luglio che devastò e distrusse il granoturco e l’uva interamente, il frumento era già in crosette. Di uva non restò neppure traccia e del granoturco non se ne fece in certi campi che un quintale e mezzo. Il vento impetuoso abbatté il camino della Fabbrica Laterizi dei Sig.ri Giacomelli, circa un venti metri sfondò il coperto e schiacciò due poveri soldati che dormivano ai piè del camino. Minerbe, 30 ottobre 1918 A questo punto noterò qualche cosa dell’orribile guerra che da quattro anni infuria in tutta l’Europa e si estese anche nell’Asia, nell’America e nell’Africa e semina strage, rovina e morte in una impresa così Lagrimevole che di simile non fu mai veduta, né si vedrà giammai sulla faccia della terra, e “ tu fin che il sole risplenderà” sulle sciagure umane ! – Cominciando dal 1914 furono chiamate sotto le armi tutte le classi a poco a poco, fin che nel 1915 si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 42 anni nel 17 furono chiamati anche quelli di 43 e 44 . ( 26 classi eccettuati i ciechi gli zoppi i gobbi in tutti 5.250.000 uomini.

Minerbe I Guerra Mondiale –Dal libro: “Memorie” di Don Sante Gaiardoni

Ma il clima di quei momenti di guerra ci viene ben descritto nelle testimonianze raccolte e nei racconti che ancor oggi conserviamo. Dal fronte giunsero lettere di soldati dalle quali possiamo cogliere la loro preoccupazione per la famiglia,per i loro cari altrove. Talvolta sono pensieri legati a minacce percepite vedendo l’andamento degli eventi e alle sofferenze della guerra. Nelle testimonianze raccolte da “Celebrazione del 4 Novembre IC Minerbe 2011”, Giuliari Silvino, per esempio scrive il 14 novembre del 1917 al fratello Luigi:

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“Il cataclisma della guerra rappresentò per milioni di individui un passaggio obbligato nel quale singolarmente e collettivamente dovettero giocare non solo la vita e la sopravvivenza, ma l’intero sistema di relazioni umane, culturali che ne caratterizzavano lo stare l nel mondo, in quel mondo” (Camillo Zadra- storico-2001).

Tante sono le testimonianze che, anche se non descrivono appieno la realtà della guerra, ci aiutano a cogliere la condizione esistenziale dei diversi testimoni obbligati a vivere le vicende narrate, costretti alla vita di trincea e agli assalti, magari inebriati dalla grappa. Vi sono diari che rappresentavano forse degli antidoti da quel flusso di tragiche esperienze che tendevano a sfuggire al controllo del soggetto e abbiamo poi scritture epistolari la cui finalità era certamente la ricerca di informazioni, di relazioni, di rassicurazione. Un esempio viene dalle lettere sotto riportate di due fidanzati della Bassa

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(da “Adorata Luigia mio diletto Antonio” a cura di Lucia Beltrame Menini Panda Edizioni)

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Durante la guerra le donne si trovarono a dover sostituire gli uomini impegnati al fronte nelle decisioni familiari, nel lavoro in fabbrica e nei campi, nelle attività commerciali e formative, nei ruoli istituzionali, nell’educazione dei figli, nel provvedere al “pane quotidiano”. Molteplici sono le testimonianze e le immagini: donne ferroviere, vigili del fuoco, contadine, operaie, ma anche massaie che con fantasia e creatività si ingegnano a “moltiplicare le risorse”, seppur minime, per il sostentamento della famiglia. Si ha una variegata serie di testimonianze femminili, comunque sottoposte alla legge marziale, pur stando nel retroterra: nella nostra bassa sono per lo più coloro che portano avanti il lavoro dei campi, ma ci sono le donne che lavorano alle trincee, le lavoratrici nelle fabbriche, “le profughe del Trentino e delle valli Ladine, costrette ad abbandonare casa, paese, animali, campi, parenti e amici perché sfollate, strappate alle loro radici e “spedite”, spesso in condizioni indescrivibili, in Boemia, nei campi profughi d’Austria. E ci sono anche le donne che, all’arrivo dell’esercito italiano, sono trasferite in diversi centri in tutta Italia. (…) Abbiamo pure le testimonianze delle crocerossine e delle religiose che hanno preso parte al conflitto come infermiere volontarie, accorse per assistere i feriti e i malati al fronte e nelle immediate retrovie: è un fenomeno che appartiene a tutti gli eserciti in guerra. Anche le scrittrici svolgono un ruolo importante sia sul piano della propaganda, sia su quello della cronaca: la giornalista Maria Reinthaler nel 1916 scrive per il Comune una Cronaca di Merano 1915-1918, (di Milena Cossetto wwww.emscuola.org) Secondo alcuni calcoli, nel 1917 le volontarie della Croce Rossa furono circa 10mila a cui vanno sommate altrettante facenti parte di altre associazioni. Esse furono infermiere volontarie presenti nei 204 ospedali da campo della Croce Rossa, gestendo un totale di 30.000 posti letto. Un altro aspetto che coinvolse la sfera femminile durante la Grande Guerra fu quello dell'assistenzialismo, sia di matrice cattolica che laica. Diverse donne si impegnarono nell'organizzare centri di incontro per la promozione di iniziative a sostegno della guerra come le raccolte di denaro o materiale destinati alle famiglie dei soldati impegnati al fronte oppure l'organizzazione di visite ai soldati stessi quando si trovavano in licenza o nelle retrovie. A Minerbe, come a Legnago e in altri paesi, venne costituito un comitato di signore impegnate a raccogliere fondi per i più bisognosi. Ogni quindici giorni venivano spediti pacchi di pane, vestiti a 12 giovani del comune. Di tale comitato fecero parte: Ida Allegroni, Elisa Burzio, Maurina Valentini, Ida contessa Stoppazzola, Lina gemma, Giovanna Fraccaro Guardalben, Idalia Vivaldi, Dirce Scarmagnan, Palmira Maestri, Giulia Bertelli, Maria Vivaldi, Emma Bertelli, Clara Tonazzi, Amabilia e Teresa Vivaldi.

(Gentilmente concessa da Ziviani)

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Sui fronti

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Principali fasi della grande guerra nel triveneto

24 maggio 1915 - entrata in guerra dell'Italia e 'guerra dei forti' nell'altopiano di Asiago e negli altipiani trentini

giugno 1915 / agosto 1917 - dodici battaglie del Carso maggio/giugno 1916 - spedizione austro-ungarica 'offensiva di primavera' (detta Strafexpedition,

spedizione punitiva), sull'altopiano di Asiago, Valdastico-Pasubio giugno 1916 - arresto dell'offensiva di primavera sul Novegno e sul versante sud dell'altopiano di

Asiago luglio 1916 - arretramento austro-ungarico nell'altopiano sulla linea Ortigara-Zebio-Assa 1916/1917 - arroccamento nei fronti dolomitici (Dolomiti Ampezzane, Col di Lana, Marmolada,

Lagorai) e prealpini (Pasubio/Altipiani) 1916/1917 - guerra di posizione nelle Dolomiti e Lagorai, 'guerra delle mine' nelle Dolomiti e sul

Pasubio giugno 1917 - offensiva italiana e grande battaglia dell'Ortigara 24 ottobre 1917 - disfatta di Caporetto novembre 1917 - ritiro da tutto il fronte Dolomitico e dal Lagorai novembre 1917 - arroccamento sul Grappa e sulla Piave fine novembre 1917 - battaglia d'arresto sul Grappa novembre/dicembre 1917 - offensiva austro-ungarica sull'altopiano di Asiago e battaglie dei Tre

Monti giugno 1918 - offensiva austro-ungarica principalmente sul Grappa nota come Battaglia del Solstizio ottobre 1918 - battaglia della Vittoria italiana, attraversamento del Piave nella zona del Montello 3 novembre 1918 - armistizio di Villa Giusti a Padova

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LE PRIME OPERAZIONI AL FRONTE

Il fronte, il 24 maggio, formava una grande S orizzontale, lunga poco più di seicento chilometri, che andava

— per sommi capi naturalmente - dallo Stelvio al mare Adriatico, poco lontano da Aquileia toccando i

massicci dell’Ortler, Cevedale, Adamello al di là del Garda, Pasubio, Altopiano dei Sette Comuni, Grappa,

montagne cadorine, alpi carniche, linea dell’Isonzo seguendo il confine del 1866. Si combatteva sui monti.

24 maggio 1915 si registra la prima avanzata italiana sul Trentino e sull’Isonzo . “L’ordine di battaglia

dell’esercito italiano al momento dell’inizio delle ostilità era il seguente: la 1a Armata presidiava il fronte

trentino dallo Stelvio al Val Cismon, la 4a Armata il Cadore, la 2° il tratto settentrionale delle Alpi Giulie fino

a nord di Gorizia, la 33 Armata il restante tratto fino al mare. Tra la 4a e la 2a Armata, la Zona Carnia era

affidata ad un corpo autonomo (XII Corpo d’Armata rafforzato da 16 battaglioni alpini). Una divisione — la

16** - e due corpi d’armata (XIIIO e XIVO) di Milizia Mobile costituivano la riserva a disposizione del

Comando Supremo: in complesso alla meta di giugno erano disponibili 569 battaglioni, 173 squadroni e 512

batterie. Agli italiani gli austriaci contrapponevano l’Armata del Trentino, l’Armata del generale Rohr — dal

monte Peralba all’alto Isonzo — e la Isonzo Armèe quest’ultima al comando del generale Boroevic che poi,

per gli austriaci, diventerà il simbolo stesso della resistenza austriaca in Italia: in totale 234 battaglioni, 21

squadroni, 155 batterie. Non bisogna dimenticare però la presenza, nel Trentino, di un Alven Korps tedesco

— deterrente, come scrive Gianni Pieropan, a qualsiasi operazione militare che potesse minacciare la

Germania — anche se ufficialmente lo stato di guerra tra le due nazioni verrà dichiarato solamente il 27

agosto 1916.” (da La Grande Guerra sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna- Vezzena-Sette Comuni –

Monte Pasubio- Monte Comone di Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea Kozlovic ed Gino Rossato

editore)

Nei primi giorni di guerra, nonostante l’incompleta mobilitazione, l’avanzata oltre il confine avvenne in maniera facile, senza quasi incontrare resistenza: sul fronte Giulio il primo paese ad essere occupato e venire citato nei bollettini fu Caporetto (Bollettino di Guerra n. 1 del 25 maggio 1915). Il Monte Nero divenne famoso per la presa da parte degli alpini del battaglione Exiles nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1915, è il monte più alto del sistema tra Plezzo, Tolmino e Caporetto. Appena conquistato sul versante nord furono scavate diverse gallerie per dare spazio ai pezzi d'artiglieria che avrebbero bombardato la vicina Batognica (Monte Rosso) difesa dagli austriaci. In Carnia, anche per la particolare natura del terreno, l’avanzata fu più contenuta: vennero tuttavia

occupati il passo di Valle inferno, la Sella Prevala e gli accessi alla Val Dogna. Nel Trentino vennero

rapidamente conquistati il passo del Tonale, Ponte Caffaro, il massiccio del Baldo, Monte Corno, il Pasubio

ed il Baffelan.

Ala fu occupata la mattina del 27 per merito anche di Maria Abriani, la prima donna decorata al valore nel

corso della prima guerra mondiale, che sotto il fuoco nemico guidava le prime truppe italiane entro la

cittadina, segnalando le posizioni austriache ed indicando le posizioni più favorevoli per attaccarle. Sugli

altopiani ad una serie di forti italiani una contrapposta di forti austriaci potentemente armati, anche se con

guarnigioni ridotte, come ricorda Fritz Weber, sbarrava ogni accesso.

Si perse però anche qui tempo prezioso tentando azioni di artiglieria che avrebbero potuto conseguire dei

risultati solo se coordinati con potenti attacchi di fanteria, come nel caso del forte di Luserna che il 30

maggio — come ricordano le fonti austriache — alzò bandiera bianca ma non venne occupato dagli italiani;

in seguito quando venne potentemente presidiato, divenne imprendibile. La difficile situazione austriaca

nei primi giorni di guerra veniva riconosciuta dallo stesso Bollettino del 28 maggio: i nemici <<per il

momento non hanno avuto a che fare che con qualche gendarme e pattuglie di ricognizione”. (da La

Grande Guerra sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna- Vezzena-Sette Comuni – Monte Pasubio-

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Monte Comone di Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea Kozlovic ed Gino Rossato editore, pag 32). Il

disegno elaborato da Cadorna era nel contempo semplice ed ambizioso: difensiva sul fronte trentino —

dove le fortezze e la presenza di truppe tedesche sembravano voler sconsigliare, almeno nella concezione

del capo dello Stato Maggiore italiano, ogni azione di largo respiro, e grande offensiva sul fronte dell’lsonzo

con obiettivo la pianura slovena dove, con il concorso delle truppe russe e serbe — che avrebbero dovuto

impegnare parte dell’esercito austriaco — si sarebbe dovuto combattere una battaglia decisiva per le sorti

della guerra.

“l risultati delle prime tre settimane di guerra erano stati in ultima analisi solamente dei modesti

sconfinamenti. Il colonnello Barone nella sua storia militare della grande guerra lamenta che nei primi

giorni non si fosse occupato il Sabotino, il S. Michele e altre località la cui conquista costerà poi fiumi di

sangue. Subito dopo la metà di giugno, esaurita la spinta iniziale ma essendo ormai completa la

mobilitazione e concentrazione dell’esercito, il Comando italiano passava ad una seconda fase

caratterizzata da forte pressione contro lo schieramento avversario con il fine ultimo di spezzarlo e

riprendere quella guerra di manovra che era stata la caratteristica di tutti i conflitti combattuti fino ad

allora”. (“La Grande Guerra sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna- Vezzena-Sette Comuni – Monte

Pasubio- Monte Comone” di Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea Kozlovic ed Gino Rossato editore pag

37-38)

Nella notte del 24 agosto 1915 sul colle Basson avvenne una tragica battaglia. si narra di un attacco "alla

garibaldina" con tanto di banda musicale naufragato contro i reticolati. I molti prigionieri catturati dagli

austriaci dimostrano invece anche un parziale successo italiano ottenuto penetrando nel dispositivo

difensivo avversario. I fanti della Treviso sarebbero poi rimasti intrappolati nei reticolati e nelle trincee del

Basson.

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(da La Grande Guerra sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna- Vezzena-Sette Comuni – Monte

Pasubio- Monte Comone di Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea Kozlovic ed Gino Rossato editore)

In realtà quell'attacco era un'azione dimostrativa. L'azione principale doveva essere portata sull'altopiano

di Folgaria mentre a Lavarone si dovevano tenere impegnati gli austriaci. Una compagnia del Bassano, la 63,

nella notte doveva sfilare da Porta Manazzo dietro il Manderiolo, sui burroni della Valsugana e portarsi,

inosservata sotto Cima di Vezzena. La brigata Treviso doveva portare un battaglione contro il Basson e un

altro verso Cost'Alta. Come fu allora che più di tremila uomini furono pigiati all'attacco di linee ancora

integre, se pur considerate poco efficaci.

"I trinceramenti ed i forti nemici sono stati battuti intensamente dall'artiglieria ed hanno subito gravi danni.

Risulta che le forze nemiche di frontiera sono poco numerose ..."

Il fronte di montagna impegnerà per quasi tutta la durata del conflitto i soldati in una "guerra verticale"

combattuta tra le cime delle montagne.

Le truppe austro-ungariche si trovarono per tutto il periodo dei combattimenti in montagna in una

posizione sopraelevata e di vantaggio nei confronti del nemico. In questa foto fanti austriaci armati con una

Schwarzlose sul fronte alpino.

Nel maggio 1915 la frontiera tra Italia e l'impero austro-ungarico correva lungo la linea stabilita nel 1866, al termine della guerra che permise all'Italia, seppur sconfitta militarmente, di annettere il Veneto. Era un confine prevalentemente montuoso, che nella sua parte occidentale corrispondeva quasi ovunque con l'attuale limite amministrativo della regione Trentino-Alto Adige. Il punto più basso, appena 65 m.s.l.m., era in corrispondenza del Lago di Garda presso Riva e Baldo e Lessinia i quali sono stati il primo fronte. A ovest di questa linea si sfioravano i 4000 m di quota nel massiccio dell'Ortles, mentre a est le quote erano più basse; la Marmolada raggiunge la ragguardevole quota di 3342 m, ma - oltre la zona degli altopiani e la lunga catena del Lagorai - la particolare morfologia delle Dolomiti priva di lunghe creste continue, imponeva al confine un andamento assai irregolare e con forti e frequenti dislivelli.

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da L’Arena 16 maggio 2014

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Proseguendo verso est, il confine correva lungo la catena delle Alpi Carniche per poi incontrare le Dolomiti al Passo di Monte Croce di Comelico, e quindi innalzarsi subito in grandi montagne: Croda Rossa di Sesto, Cima Undici, monte Popera, Croda dei Toni fino a toccare le Tre Cime di Lavaredo, dove il confine si abbassava, attraversava la val Rimbon e con un giro contorto lasciava in territorio italiano gran parte di Monte Piana. Sceso a Carbonin, il confine risaliva fino alla cima di Monte Cristallo per poi ridiscendere nella valle dell'Ansiei, lasciando il Passo Tre Croci all'Austria, e attraverso le creste del Sorapis raggiungeva il fondovalle di Ampezzo, a sud di Cortina.

Attraverso il Becco di Mezdì e la Croda del Lago, il confine, attraverso il passo Giau, puntava decisamente verso sud fino ad arrivare ai piedi della Marmolada per poi proseguire verso il passo San Pellegrino e lungo la catena del Lagorai - ormai fuori dall'ambiente dolomitico - fino ad arrivare alla sopracitata valle dell'Adige passando per il monte Ortigara, l'altopiano dei Sette Comuni e il Pasubio. Il confine quindi toccava la punta nord del lago di Garda da cui riprendeva la sua corsa verso nord lungo l'odierno confine amministrativo, toccando il monte Adamello, il passo del Tonale e proseguendo fino al massiccio dell'Ortles-Cevedale al confine con la Svizzera.

Il terreno roccioso e verticale, le avversità climatiche e le quote, determinarono decisamente il modo di condurre le azioni e di programmare le strategie in entrambi gli eserciti. Fin dall'inizio del conflitto i contendenti furono impegnati in una sfida per occupare le posizioni sopraelevate, in una sorta di "gioco" che in breve li portò fino alle cime delle montagne. Camminamenti oggi impegnativi col bel tempo ed equipaggiamento leggero erano normalmente percorsi di notte, con carichi pesantissimi e in ogni condizione climatica. Venti fortissimi, temporali che infuriavano in quota, fulmini, bassissime temperature invernali, scariche di pietre e valanghe, mietevano centinaia di vittime tra i soldati, spesso ignorati e non conteggiati tra i caduti in guerra.

Migliaia di soldati dovettero abituarsi a condizioni molto rigide e ad un ambiente difficile. In inverno la neve alta impediva i movimenti lasciando interi presidi completamente isolati, lasciando i soldati nella morsa del freddo e della fame, che li portava ad uscire dalle baracche per raggiungere la base più vicina, traversando ripidi pendii dove spesso trovavano la morte. In base ad alcune stime, si valuta che sul fronte alpino, per entrambi gli schieramenti, circa due terzi dei morti furono vittime degli elementi, e solo un terzo vittime di azioni militari dirette. Tra le opere belliche di rilievo che servivano come via sicura per il raggiungimento delle vette, è da citare la Strada delle 52 gallerie sul Pasubio.

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Il fiume Isonzo con il distrutto Ponte di Salcano e la città di Gorizia sullo sfondo.

Durante i primi anni di guerra fu sul fronte dell’Isonzo che si combatterono le battaglie più dure e cruente. Questo fronte, ben meno esteso di quello alpino, assunse fin dall'inizio grande importanza strategica nei piani italiani. Questi riversarono sulle rive del fiume Isonzo la maggior parte delle risorse nel tentativo di sfondare le difese austro-ungariche, cercando di aprirsi la strada verso il cuore dell'Austria grazie all'urto della 2ª armata del generale Pietro Frugoni e della 3ª armata del duca d'Aosta. Dalla conca di Plezzo al monte Sabotino, che domina le basse colline davanti a Gorizia, l’Isonzo scorre tra due ripidi versanti montani, costituendo un ostacolo quasi invalicabile. Così, le linee trincerate dei due eserciti dovettero adattarsi all’orografia e alle caratteristiche del campo di battaglia.

Gli austro-ungarici, abbandonata la vallata di Caporetto, fronteggiano i reparti italiani su una linea quasi ovunque dominante che andava dal monte Rombon, passava per il campo trincerato di Tolmino per poi collegare il ripido versante destro del fiume con quello sinistro, in corrispondenza con le trincee del monte Sabotino. Dal Sabotino le trincee austro-ungariche difendevano la città di Gorizia, fino ad oltrepassare nuovamente l’Isonzo per innestarsi alle quattro cime del massiccio del San Michele e proseguire infine fino al mare lungo il primo ciglione carsico, passando per località rese famose dalla guerra; San Martino del Carso, monte Sei Busi, Doberdò, monti Debeli e Cosich.

Invasa già all’inizio del conflitto l’ampia area pedecarsica e occupate Gradisca e Monfalcone, le truppe italiane si attestarono a poca distanza dalle posizioni austro-ungariche. Da una parte e dall’altra del fronte, l’ampio e complesso sistema logistico dei due eserciti occupava molto in profondità il territorio, sequestrando vie di comunicazione, campi e boschi, città e paesi, impiantando comandi, presidi militari, magazzini, depositi, ospedali e cannoni. Da tutte e due le parti del fronte, venne evacuata la maggioranza dei civili dalle città e dai paesi a ridosso della linea del fronte. Dalla parte austriaca, l’esodo riguardò in particolare Gorizia, l’Istria e le aree del Carso e del Collio, i cui abitanti vennero sfollati all’interno dell’Impero, in grandi campi profughi. Nei territori occupati dall’esercito italiano vennero internati per precauzione molti parroci e autorità austriache, mentre le popolazioni dei paesi prossimi alla zona delle operazioni vennero trasferite in varie località del Regno e in varie città e sperduti paesi dell’Italia meridionale.

Nonostante l’iniziale momento favorevole, nel veronese nel 1915 caddero al fronte 870 soldati, tra i quali

alcuni minerbesi: L'allora parroco di Minerbe, Don Sante Gaiardoni annotò che, a cominciare dal 1914, a

poco a poco furono chiamate alle armi tutte le classi, finche, nel 1917, si trovarono arruolati tutti gli uomini

dai 18 ai 43 anni. L'elenco dei soldati del Comune di Minerbe morti è lungo, ben 58 sono gli eroi riportati

nella lapide del monumento in piazza altri sono ricordati nelle lapidi laterali dell'altare a sinistra della chiesa

parrocchiale. Per il 1915 il registro parrocchiale riporta con la nota" pro patria amore strenuus

0ccubuit”(valoroso cadde per la patria) i nomi dei miles: Zanovello, Bonfà, Berro e Zanon; ma dalle lapidi

risultano: Ambrosi Angelo, decorato di medaglia d°argento al Valor Militare, soldato del 14° reggimento

fanteria, nato il 24.7.1894 e morto il 21.10 .1915 sul Carso, per ferite riportate in combattimento.

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BELLINATO ALFONSO CARLO, decorato di medaglia d°argento al Valor Militare, sergente dell’8° reggimento

bersaglieri, nato il 24.5.1885, morto il 21.7.1915 sul Monte San Michele, per ferite riportate in

combattimento. Durante uno scontro a fuoco, si era chinato a soccorrere un amico caduto al suo fianco,

ma, una volta sollevatosi, tu colpito in piena Fronte da una pallottola nemica. Era un coraggioso esploratore

dei bersaglieri, morto, oltretutto guidando il proprio drappello all’assalto. BELLUZZO ANTONIO, caporale del

121° reggimento fanteria .nato il 17.1.1895 e morto il 28.7.1915 sull’Isonzo, per ferite riportate in

combattimento. BERNUZZ1 ANTONIO, soldato del 12° reggimento fanteria, nano il 27.5.1892 e disperso il

15.11.1915 sul Podgora, durante un combattimento. BERRO PIETRO, soldato del 126° reggimento fanteria,

nato il 30.5.1893 e morto il 20.12 1915 a Padova, per malattia. BONFÀ AUGUSTO, soldato del I24°

reggimento fanteria, nato il 2.3.1895 e morto sul Monte S.Michele il 7.8.1915, per ferire riportate in

combattimento. Polo Ottavio morto il 21 12 1915. SOAVE CIRILL0 (AUGUSTO), soldato del 64° reggimento

fanteria, nato il 25.1.1885 e morto sul Carso il 3-10-1915, per ferite riportate in combattimento.

SPOLADORE GIOVANNI, soldato del 67° reggimento fanteria,otto il 3.13.1896 e disperso il 6.8.1916 (1915)

ad Oslavia, durante un combattimento. VIVIANI MARINO, soldato delli'82 reggimento fanteria, nato il

22.11.1892 e disperso il 19.6.1915 durante un combattimento . ZANETTI GIOVANNI, caporalmaggiore del 9°

reggimento artiglieria da fortezza, nato il 20.9.1879 e morto a S.Stefano di Cadore il 14.8.1915 per ferite

riportate in combattimento. ZANON ANTONIO, soldato del 130° reggimento fanteria, nato il 23.10.1893 e

morto nell’ospedale da campo n°3 il 15.+.1.1915, per ferite riportate in combattimento. ZANOVELLO

ERNESTO, soldato del 18° reggimento fanteria, nato il 23.7.1895 a Zimella e morto sul Carso, Monte Sei

Busi, il 22.7.1915, per ferite riportate in combattimento.

Il 29 giugno, al San Michele, gli austriaci fecero uso per la prima volta dei gas asfissianti.

I 6.000 italiani investiti dal tossico, tramortiti dai gas, vi morirono tutti brutalmente. Catturati alcuni austriaci con delle strane mazze di ferro, ammisero che con quelle finivano i tramortiti.

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Massiccio di San Michele

La zona di monte San Michele, riconosciuto luogo tragico per il nostro esercito, fu sede di ben dodici

battaglie. In territorio italiano, al di là dell'Isonzo e a sud di Gorizia (…).Questo incagliarsi dei movimenti di

guerra fa intuire il costo in vite umane di ambedue i fronti. Noto per non averne tenuto conto abbastanza,

così scrive il Generale Luigi Cadorna al figlio Raffaele: ". . .occupammo per una notte il S. Michele, ma è più

facile prenderlo che restarci perché, appena conquistate le creste, ci coprirono di proiettili e poi un

contrattacco ce lo portò via...". È in questo teatro di guerra che perse la vita Alfonso Carlo Bellinato,

minerbese decorato con medaglia d'argento. La data della morte corrisponde alla seconda battaglia

sull'Isonzo chiamata anche Battaglia di San Michele, iniziata giusto il 18 luglio; due giorni dopo il monte

venne occupato dagli Italiani per essere ripreso da un contrattacco austriaco il giorno successivo. Aveva da

poco compiuto trent'anni, era sposato con figli. Il suo nome è scolpito nella pietra tombale di famiglia al di

sotto del capostipite Luigi ed è accompagnato con un epitaffio che non si dimentica: " A dì 21 di luglio

Alfonso Bellinato sergente dei bersaglieri ciclisti sulle rupestri terre d'Italia caricando il nemico la vita — che

gli sorrideva dell'amore di tre pargoli dell'affetto di giovine sposa offriva fiero e lieto in santo olocausto alla

patria 1885 - 1915"( dal racconto della signora Sandra Caneva intervistata da IC di Minerbe VR 2011).

Il 14 novembre 1915 improvvisamente anche Verona si trova coinvolta nel conflitto. Tre aerei tedeschi la

bombardano e in Piazza Erbe le schegge provocano una strage: si parla di un centinaio tra feriti e morti. Gli

orrori della guerra vengono vissuti anche in Provincia, Villabartolomea per esempio divenne centro di

raccolta per le truppe al fronte e molti suoi palazzi furono adibiti ad ospedali militari per raccogliere i feriti.

Il primo anno di guerra si avviò a conclusione fra dubbi e timori.

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1916

L’ armata italiana del generale Guglielmo Pecori-Giraldi con 160 battaglioni e circa 700 bocche da fuoco. La Strafexpedition (o spedizione punitiva, come fu battezzata dagli austriaci) iniziò il mattino del 15 maggio 1916 su un fronte di circa 40 km dalla Val Lagarina alla Valsugana. I combattimenti si concentrarono sugli altipiani di Tonezza e Asiago, dove le

truppe italiane furono costrette a indietreggiare nonostante la strenua resistenza opposta soprattutto nei settori del Coni Zugna, Passo Buole, Pasubio, Cengio, Cimone. Il 27 maggio gli attaccanti conquistarono Arsiero e il giorno dopo Asiago: l'invasione verso Schio e Bassano sembrava inevitabile. Ma il rapido concentramento di rinforzi fatti affluire da altri fronti, che in parte andarono a costituire la nuova 5a armata schierata in pianura, permise al comando supremo italiano di arginare la pressione avversaria sull'estremo limite degli altipiani. Ai primi di giugno l'inizio di un nuovo attacco russo in Galizia costrinse Conrad a trasferire parte delle truppe schierate nel Trentino e l'offensiva si esaurì.

Il 16 giugno gli italiani passarono al contrattacco e alla data del 24 luglio fu riconquistata circa la metà del terreno perduto. La Strafexpedition, o battaglia degli altipiani, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ebbe pesanti conseguenze per entrambi gli eserciti: l'Austria-Ungheria perse circa 83.000 uomini, l'Italia circa 147.000. Sul piano strategico fu però sancita la sconfitta di Conrad, che da allora vide diminuire il suo prestigio.

Il 1916 sorge per l'Intesa sotto auspici non favorevoli, eccetto il progressivo potenziamento dell'esercito

britannico, che a metà dell'anno supera i due milioni di uomini, tutti ancora volontari. La durata della

guerra sembrava allungarsi oltre ogni previsione, e parallelamente anche l'esercito italiano iniziò un'opera

di riordinamento e potenziamento sulla base di un programma concordato tra il Governo e il capo di stato

maggiore, presentato in maggio da Cadorna. In novembre vennero approntate 12 nuove brigate di fanteria

e la formazione di una nuova quarta compagnia per i battaglioni che ne avevano soltanto tre, inoltre in ogni

battaglione venne inquadrato un reparto zappatori di 88 uomini tratti dalle compagnie. Le stesse misure

vennero adottate per i bersaglieri, mentre per quanto riguarda gli alpini, venne completato il processo di

formazione dei 26 battaglioni di Milizia Mobile portando il totale del corpo a 78 battaglioni con 213

compagnie. Altre 4 brigate di fanteria vennero formate tra aprile e maggio attingendo da quanto rimaneva

della classe 1896 e gli esonerati sottoposti a nuova visita dal 1892 al 1894, e ancora tra marzo e giugno

riunendo alcuni battaglioni provenienti dalla Libia.

Dal punto di vista delle operazioni in Italia, l'anno 1916 fu segnato dall'offensiva austro-ungarica di maggio in Trentino, dalla sesta battaglia dell'Isonzo in agosto, con la conquista di Gorizia, e dalle tre cosiddette "spallate" carsiche in autunno. Il 21 febbraio i tedeschi attaccarono la piazzaforte di Verdun mentre il capo di stato maggiore austro-ungarico, Conrad von Hötzendorf invece alleggerì i contingenti schieranti lungo il fronte russo, dove non sospetta sorprese, per concentrare una grossa forza d'urto nelle montagne del Trentino volte verso la pianura vicentina. L'enorme difficoltà di accumulare e manovrare mezzi adeguati in

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regione tanto aspra è controbilanciata dalla posta in gioco: lo sbocco delle divisioni austriache nella pianura veneta e l'accerchiamento dell'esercito italiano schierato nel Friuli.

Come ricordato, dal maggio a luglio 1916 l’esercito autro-ungarico compie la spedizione punitiva

“strafexpedition” fermata con la battaglia degli Altopiani

“Si era nel 1916 quando contro l’Italia è stata attuata la strafexpedition tedesca, una battaglia ferocissima

per l' impiego di una grande quantità di mezzi e di uomini, senza considerare il fatto che, mentre il nemico

occupava le posizioni alte delle montagne, gli italiani invece dovevano risalire dalla Valsugana e si

trovavano quindi in maggiore difficoltà, con battaglie terribili anche per la popolazione. Il timore

dell'occupazione tedesca infatti era tanto grande che lo zio Silvino, in una lettera, invita la sua famiglia a

trasferirsi in un paese dell'Appennino. Nella parte alta del vicentino, dall'altipiano di Asiago fino ad Arsiero,

ultimo paese occupato durante la strafexpedition, già molte popolazioni erano state fatte sfollare. Arsiero è

poco lontano da Thiene, una decina di chilometri, quindi i tedeschi avevano praticamente oltrepassato

tutte le Alpi, costringendo l'Italia in una situazione molto difficile. Abbiamo infatti una lettera in cui lo zio

Silvino, che era a+l’ospedale di Thiene, non si rendeva conto del numero dei feriti che arrivavano dal fronte,

parla addirittura di 500-600 persone, che poi erano trasferite, quasi subito, in altri ospedali più arretrati,

per far così posto ai continui arrivi di nuovi soldati. Gli scontri infatti erano terribili e i militari venivano

colpiti in battaglie durissime che comportavano la decimazione di interi battaglioni che venivano mandati

all'assalto contro mitraglie che li colpivano facendoli cadere accatastati gli uni sopra gli altri. Erano infatti

battaglie di posizione molto sanguinose che comportavano assalti molto cruenti”. (dal racconto di Silvio

Giuliari intervistato da IC di Minerbe VR 2009)

Dai "frammenti di ricordi” Visentin Vittorio (1920) dice di suo padre Romano Visentin (Merlara-Terrazzo

1881-1962), uno dei reduci di quelle battaglie: “Mio padre. . .il trenta maggio 1916 era di guardia tra

Canove e Roana, sull'altopiano, quando vide Arsiero bruciare. Gli austriaci l'avevano presa. Essi avevano

legato al palo per punizione un loro soldato perche gli italiani, che stavano nella trincea davanti, sparassero;

un amici di mio padre stava per farlo quando mio padre gli punto il fucile dicendogli: ”Se tu spari , ti

ammazzo" Quell' austriaco è stato così salvato".

“perché spararsi addosso quando nemmeno ci si conosceva? Questa fu un’amara riflessione fatta dal

reduce “Cavaliere di Vittorio Veneto” Lazzaro Ponticelli (classe 1897), uno dei sette Cavalieri di Vittorio

Veneto, rimasti in vita fino a qualche anno fa assieme a Delfino Borroni, nato il ventitrè agosto 1898 a

Turago Bordone Pavia. Anche Zeno Ferrari, Cavaliere di Vittorio Veneto di San Peretto di Negrar , ha

raccontato esperienze di solidarietà: “ … finimmo persino per fare amicizia con i nemici che ci

fronteggiavano a poche decine di metri di distanza. (…) Negli intervalli tra una trincea e l’altra ci parlavamo

e, anche se personalmente non l’ho mai fatto, ho visto parecchi commilitoni strisciare di nascosto sin dagli

Austriaci, magari per portar loro del vino e chiedere invece sigarette o roba da mangiare. (…) … sulle Tofane

io fui anche ferito … (…) era la guerra, capisce, la maledetta guerra … . (da: La Grande Guerra raccontata dai

Cavalieri di Vittorio Veneto. L’Arena 5 giugno 1985)

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Arsiero

L'offensiva austriaca sferrata in Trentino aveva permesso all'esercito avversario di attestarsi su una linea che infletteva sensibilmente verso il centro dell'Altopiano dei Sette Comuni. La controffensiva italiana del 16 giugno aveva però costretto gli austriaci a un parziale ripiegamento, ma questi si erano stabiliti su una linea che dal margine della Valsugana per l'Ortigara, monte Campigoletti, monte Chiesa, monte Corno correva verso sud sino alla Val d'Assa, assicurandosi tutti gli sbocchi più diretti alla pianura vicentina e garantendo una enorme testa di ponte verso l'altopiano minacciando alle spalle le armate italiane del Cadore della Carnia e dell'Isonzo.

Il 10 luglio 1916 si ricorda l’attacco sul Monte Corno, nel settore adiacente al Pasubio ove venne catturato

Cesare Battisti. Il Tenente Achille Benedetti scrive nel suo taccuino: “…Ormai albeggia. La situazione grave

del minuscolo reparto è facilmente accertabile dal nemico. Un’altra granata scoppia nel mezzo del gruppo

dei soldati, del capitano e di Battisti. Dieci uomini restano colpiti. Qualcuno geme in modo straziante,

perdendo sangue. Anche il capitano resta ferito lievemente alla testa. Battisti è illeso. Pare che una divinità

lo protegga, perché possa vivere la realtà del suo apostolato. Un amaro sorriso illumina il suo volto. ll

capitano vede balzare dal trinceramento nemico qualche austriaco. Impugna il fucile, Battisti lo imita. Gli

altri alpini ricominciano a sparare. Verso quelle figure ritagliate nitidamente nel cielo ormai chiaro partono

raffiche furiose. Battisti continua a scaricare il fucile. I pochi austriaci si dileguano. Qualcuno cade. Il

trinceramento torna immobile, ma se ne intende l’accresciuta difesa. Ormai sono più di cinquecento fucili

che sparano dalla posizione nemica sovrastante. Forse gli austriaci attendono altri rincalzi dal vicino” “… l

centoquaranta uomini di un’ora prima sono ridotti alla metà. Attaccati di fronte … quei settanta eroi

ributtano gli austriaci; ma la loro linea è troppo breve per non poter essere aggirata con la massima facilità.

E così avviene infatti. l difensori dell’ala destra si trovano a un tratto gli austriaci alle spalle. Ogni possibilità

di ripiegamento è tagliata; pure il centro e l’ala sinistra non si arrendono: incalzati, retrocedono fino alla

vetta del Corno: e la difesa che non cede si fraziona in tanti piccoli focolari di lotta isolati tra i cespugli

bassi. Sulla vetta del Corno sono catturati il maggiore Frattola, il capitano Modena, il sottotenente Filzi. Più

in giù, verso il canalone, un piccolissimo numero d’italiani resiste ancora, isolato da tutte le parti. Pochi

uomini si dibatton0 furiosamente: ma infine sono sopraffatti e catturati: il comandante di quest’ultimo

pugno d’uomini è Cesare Battisti” (“La Grande Guerra sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna-

Vezzena-Sette Comuni – Monte Pasubio- Monte Comone” di Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea

Kozlovic ed Gino Rossato editore pag 258,259).

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Da luglio a ottobre del 1916 il Pasubio, il massiccio situato tra le valli di Terragnolo e Vallarsa, presso

Rovereto, era diventato teatro delle più accanite battaglie, tanto che venne ricordata come ma montagna

dai 10.000 morti. “Nel corso della guerra, con un lavoro diuturno e faticoso, centimetro per centimetro, fu

scavato un sistema di caverne e trincee nella dura roccia. Quindi, poco alla volta giunsero sulla montagna gli

aiuti tecnici consistenti soprattutto in perforatrici di ogni grandezza. Apparvero strade, gallerie e teleferiche

tanto che verso la fine della guerra, ambedue i Denti si erano trasformati in un imbroglio di caverne e

gallerie nel sottosuolo, in buncher e postazioni in cemento armato per pezzi d’artiglieria e lanciamine, in

postazioni fisse di mitraglie in superficie, tanto che la terrorizzante competizione poteva essere iniziata. La

più feroce e sanguinosa battaglia infurio lassù nell’autunno del 1916. ll più rigido e crudele inverno le cui

tormente di neve si susseguirono senza tregua per settimane e settimane sulla montagna, le cui valanghe

travolsero i baraccamenti come fossero di carta pesta, tutto ingoiando e distruggendo, fu l’inverno del

1916-1917.

Quei luoghi sono da ricordare anche per la cattura di Damiano Chiesa considerato dagli austriaci un

traditore della patria, che viene così ricordata: “Nella caverna ingombra di feriti, senza poter fare uso delle

armi, e — grave jattura! - senza più alcuna possibilità di scampo. Damiano Chiesa la mattina del 17 maggio

1916, verso le 8, fu sorpreso dall’irrompere delle soldatesche nemiche, e preso e catturato. … . 'Traditore

della patria! Non sfuggirai più alla giustizia che ti attende! Morirai sul patibolo, brutto cane traditore! — gli

urlò in viso, sputandogli addosso, la spia. Damiano Chiesa non si mosse, non mostrò nessun turbamento né

ira alcuna, ma fissò, con sguardo di sfida, il vile accusatore. E, quando un ufficiale gli dichiarò brutalmente

ch’era inutile che continuasse a nascondere l’essere suo, egli fece, con voce ferma e grave, la tragica

confessione: - Sì, io sono Damiano Chiesa. La comitiva fece, allora, ritorno al palazzo delle scuole, dove

aveva sede il comando, e qui compilò il verbale relativo all’avvenuto riconoscimento”. (“La Grande Guerra

sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna- Vezzena-Sette Comuni – Monte Pasubio- Monte Comone” di

Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea Kozlovic ed Gino Rossato editore pagg. 263, 273).

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La cima del Col di Lana deflagrata dopo lo scoppio della mina austriaca del 23 settembre 1916

Località di confine tra l'Impero Austro-Ungarico e il Regno d'Italia, il Col di Lana è stato teatro di aspri combattimenti che hanno lasciato sul terreno circa 8.000 morti,in massima parte fanti,(da cui il soprannome "Col di Sangue"). È noto in particolare l'episodio della mina fatta esplodere dai genieri italiani il 17 aprile 1916. Costituita da 5 tonnellate di gelatina dinamite, esplose alle 23:35 circa. Una parte della montagna crollò per gli effetti dell'esplosione, causando la morte di circa 150 militari austriaci e consentì agli italiani di occupare la vetta. Nel 1917, a seguito della disfatta di Caporetto, gli italiani si dovettero però ritirare.

Dal Trentino e dalle valli Ladine, molte donne vecchi, bambini furono costretti ad abbandonare casa, paese, animali, campi, parenti e amici perché sfollate, strappate alle loro radici e “spediti”, spesso in condizioni indescrivibili, in Boemia, nei campi profughi d’Austria. (Le testimonianze sono presenti in parte nell’Archivio della Scrittura Popolare, presso il Museo Storico in Trento) Anche i soldati catturati venivano spediti in campi di concentramento; esemplificativo è il caso di Ildebrando Menegolo di Legnago, il quale, dopo la disfatta di Caporetto, venne catturato dagli Austriaci e per oltre un anno soffrì fame e mali fisici in campi di concentramento in Austria, Ungheria e in Bosnia. ( da: La grande Guerra raccontata dai Cavalieri di Vittorio Veneto in “L’Arena 1985)

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Italiani in coda per il rancio al Campo di internamento di Katzenau, in Austria nel 1916

Sul Carso stavano operando anche donne volontarie trasportando ai propri uomini, impegnati nel terribile combattimento, viveri, abbigliamento e munizioni . Infatti , tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917, essendo grave la situazione venutasi a creare con i feroci combattimenti, tale da non permettere che venissero sottratti i soldati dalle linee per adibirli a questo servizio, le Portatrici carniche agirono al Comando Logistico della Zona e quello del Genio, i quali avevano chiesto aiuto alla popolazione. Le donne di Paluzza aderirono subito all’invito drammatico a mettersi a disposizione dei Comandi Militari per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea “Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan” , “Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame”. (fonte swissinfo.ch DI ELIO CARNICO CENTRO STUDI AURHELIO)

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La maggioranza delle portatrici erano di Paluzza e operavano nell’Alto But e in Val Chiazzò fino alla prima linea del Monte Coglians e del Pizzo di Timan, a oltre duemila metri d’altitudine. Avevano al braccio un contrassegno rosso con l’indicazione del reparto militare al quale appartenevano. Va ricordata anche Elena Del Fabbro, la quale, ancora tredicenne, con la gerla piena di esplosivi, saliva assieme alla sorella sedicenne e altre “portatrici” fino alla prima linea sul fronte della Carnia. Ella, scaraventata fra i reticolati, fu ferita dallo scoppio di una granata austriaca. A una di esse, Maria Plozner Mentil, sposa e madre trentaduenne, è stata dedicata una caserma (da “L’Arena” sabato 10 ottobre 1985 pag: 12)

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Tra i caduti del nostro territorio nel 1916 figurano:

BELLOTTO GIULIO, soldato del 47° reggimento fanteria, nato il 7.5.1883 e morto il 14.9.1916 sul Carso, per

ferite riportate in combattimento. BORIN ANGELO, soldato del 64° reggimento fanteria, nato il 25.2.1884 e

morto sul campo il 18.5.1916, per ferite riportate in combattimento. BRESSAN GIUSEPPE, soldato del

67°.reggimento fanteria, nato il I2.9.1896 e disperso il 21.5.1916 nel settore di Tolmino, durante un

combattimento. COLLATO AUGUSTO, soldato del 155° reggimento fanteria, nato il 7.7.1882 e morto

sull’Altopiano di Asiago il 21.5.1916, per ferite riportate in combattimento. CORSO ALFONSO, soldato del

144° reggimento fanteria, nato il 20.9.1885 e disperso l'11.8.1916 sul medio Isonzo, durante un

combattimento. CORTESE ANTONIO, soldato del 63° reggimento fanteria, nato il 1893° e morto sul Monte

Coston d'Arsiero il 19.5.1916, per ferite riportate in combattimento. CUCCATO GIUSEPPE, morto all’età di

20 anni. DE TOMI MARIO, soldato del 72° reggimento fanteria, nato il 10.7.1890 e morto il 16.1.1916 a

Legnago, per malattia. GALANTIN LEONELLO, soldato del 15° reggimento bersaglieri, nato il 28.6.1888 e

disperso l’1.11.1916 sul Carso, durante un combattimento. GELLLER(E) GIOVANNI MARIA, soldato del

123°#reggìmenro fanteria, nato il 17.12.1883 a Roverchiara e morto sul Carso il 6.8.1916, per ferite

riportate in combattimento. GRIGATO ANTONELLO (LEONELLO), soldato de11’84° reggimento di fanteria,

nato il 22.8.1893 e morto in Val Brenta il 16.4.1916, per ferite riportate in combattimento. MANTOVANI

UMBERTO, soldato del 155° reggimento di fanteria, nato l’11.10.1884 e morto sul Carso il 27.7.1916, per

ferite riportate in combattimento. MARINI LUIGI SANTO, soldato del 206° reggimento fanteria, nato il

25.3.1890 e disperso il 21.5.1916 sull’Altopiano di Asiago, durante un combattimento. NALIN MARINO,

soldato del battaglione complementare brigata “Umbria”, nato il 27.3.1895 e morto nell’ospedale da

campo n°47 l’8.7.1916, per malattia. ORTELLI PIETRO, caporale del 157° reggimento fanteria, nato il

17.11.1895 e morto sul Monte Zebio il 27.6.1916, per ferite riportate in combattimento. PRANDO

AUGUSTO, soldato del 206° reggimento fanteria, nato il 17.9.1896 a Cologna Veneta e morto il 20.6.1916,

in prigionia. RUFFO AGOSTINO, soldato del 20°i reggimento fanteria, nato il 5.10.1881 e morto sul medio

Isonzo il 21.121916, per ferite riportate in combattimento. SALVA PIETRO, soldato del 72° reggimento

fanteria, nato il 28.5.1891 e morto nella 43° sezione sanità il 21.4.1916, per infortunio dovuto a fatto di

guerra. SPOLADORE GIOVANNI, soldato del 67° reggimento fanteria, nato il 3.13.1896 e disperso il

6.8.1916 (1913) ad Oslavia,durante un combattimento. TACCON(I) GIUSEPPE, soldato del 96° reggimento

fanteria, nato il 4.7 .1892 e morto sull”`Altopiano di Asiago l’11.6.1916, per ferite riportate in

combattimento. VIVALDI SILVIO, soldato del 131° reggimento fanteria, nato il 15.4.1895 e morto sul Monte

S.MIichele il 10.5.1916, per ferite riportate in combattimento. ZANDON GIOVANNI, soldato del 34°

reggimento fanteria, nato il 30.8.1883 e motto sul Carso il 28.12.1916, per ferite riportate in

combattimento. ZARAMELLA SILVIO, soldato dell°8° reggimento bersaglieri, nato il 17.8.1896 e morto sul

Monte Forame il 22.9.1916, per ferite riportate in combattimento.

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1917

Sulla base delle decisioni prese negli incontri interalleati di Chantilly, nel dicembre 1916, e di Roma, nel gennaio 1917, il comando supremo italiano approfittò delta stasi invernale per riorganizzare le truppe e migliorare l'addestramento e la logistica. In maggio Cadorna ordinò una nuova offensiva nel settore dell'Isonzo, la decima dall'inizio del conflitto. Al termine delle operazioni, il 6 giugno, furono conquistate le posizioni dei monti Kuk e Vodice a nord di Gorizia.

In giugno si svolsero aspri combattimenti sull'altopiano di Asiago per la conquista del monte Ortigara, che fu preso e poi perduto. In agosto, l'undicesima offensiva sull'Isonzo portò alla conquista dell'altopiano della Bainsizza. Nel periodo primavera-estate, a fronte di un piccolo miglioramento delle posizioni, le perdite globali dell'esercito italiano risultarono superiori al 300.000 uomini, ma anche le forze austro-ungariche erano state provate a tal punto che l'alto comando tedesco decise di intervenire direttamente sul fronte italiano in appoggio all'alleato, giudicato ormai vicino al collasso.

Lo spostamento di ingenti forze tedesche dal fronte russo fu possibile in seguito al crollo del regime zarista. Gli Imperi Centrali misero in campo 15 divisioni riunite nella 14a armata al comando del generale tedesco von Below. Cadorna e il suo stato maggiore non vollero prendere in considerazione una lunga serie di indizi e informazioni che facevano presupporre l'avvicinarsi di una grossa offensiva e quando nel mattino

del 24 ottobre 1917 l'avversario attacco' nel settore dell'alto Isonzo tra Plezzo e Tolmino la sorpresa fu totale. Grazie anche all'uso dei gas e a nuove tattiche di infiltrazione con reparti d'assalto molto ben addestrati, le linee di difesa italiane furono aggirate, le retrovie sconvolte, le linee di comunicazione telefoniche interrotte, impedendo fra l'altro il fuoco d'appoggio delle artiglierie. Nonostante episodi di valore come quelli della cavalleria a Pozzuolo del Friuli, il crollo del fronte italiano, soprattutto di quello tenuto dalla 2a armata di Luigi Capello, fu generale. Carenze nell'azione di comando, cedimento del morale dei soldati contribuirono alto sfaldamento del fronte. Centinaia di migliaia di uomini, e di civili terrorizzati, iniziarono a ripiegare in disordine verso ovest, prima sul Tagliamento, poi sul Piave, dove nel frattempo era stata allestita una linea provvisoria di difesa. Alla data del 9 novembre gli ultimi reparti di retroguardia passarono sulla riva destra del fiume e i ponti vennero fatti saltare. Nello stesso giorno Cadorna fu sostituito da Armando Diaz nella carica di capo di stato maggiore dell'esercito. Alla guida del governo Paolo Boselli fu sostituito da Vittorio Emanuele Orlando. La rotta di Caporetto provocò nelle file italiane 10.000 morti, 30.000 feriti e 265.000 prigionieri, la perdita di circa 5.000 pezzi d'artiglieria, 300.000 fucili, 3.000 mitragliatrici oltre ad enormi quantitativi di materiali abbandonati o distrutti. Da aggiungere i gravi

problemi provocati dalle decine di migliaia di sbandati affluiti nelle retrovie.

La reazione del paese di fronte al disastro, il più grave della storia militare italiana, e al rischio di un'invasione di tutta la pianura padana da est e da nord, fu immediata e grazie anche all’appoggio degli alleati, che iniziarono a far affluire truppe a partire dal 30 ottobre, il nuovo comando supremo riprese il controllo della situazione.

Il fronte ora si stendeva dallo Stelvio al Garda, alla zona orientale dell'altopiano di Asiago, al Brenta, al settore del Monte Grappa fino al Piave ed era presidiato dal III corpo d'armata, dalla la, 4a e 3a armata. L'avversario era schierato con il gruppo d'armate di Conrad a nord (10a e 11a armata), la 14a di von Below e il gruppo d'armate di Boroevic (1a e 2a).

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A partire dal 10 novembre gli austro-tedeschi ripresero gli attacchi sull'altopiano di Asiago, due giorni dopo sul Piave e poi sul Grappa, ma le truppe italiane riuscirono a mantenere le posizioni. Sul fronte navale nella notte tra i1 9 e il 10 dicembre 1917 Luigi Rizzo penetrò con due MAS nella rada di Trieste e assalì con i siluri le corazzate Budapest e Wien che circa un mese prima erano state attaccate senza esito mentre bombardavano batterie della marina italiana a Cortellazzo. La Wien fu colpita e affondata. Le forze aeree dell'esercito nella primavera del 1917 erano salite a 62 squadriglie, che intervennero in appoggio alle operazioni sull'Isonzo e la Bainsizza. I bombardieri Caproni, fra l'altro, attaccarono più volte l'arsenale di Pola in agosto e la base navale di Cattaro in ottobre. Dopo il crollo del fronte a Caporetto anche i reparti dell'aviazione furono costretti a ripiegare abbandonando molti mezzi e materiali. Il 26 dicembre in una violenta battaglia nel cielo di Istrana, Treviso, i caccia tricolore respinsero un massiccio attacco avversario. In totale nel corso dell'anno furono abbattuti 213 aerei. L'industria aeronautica produsse 3.860 velivoli e oltre 6.700 motori.

L'inizio del 1917 a differenza dell'anno prima, si presentava oscuro per gli Imperi Centrali. Le loro risorse si assottigliavano mentre la Russia si era ricomposta e gli eserciti britannico e italiano erano ancora in lenta ma inesorabile crescita. La Germania, nel tentativo di tagliare i rifornimenti all'Intesa, che succhiava risorse da tutto il mondo, non poté far altro che dichiarare la guerra sottomarina indiscriminata di fronte alla sempre crescente capacità bellica, anche a costo della rottura con gli Stati Uniti. Ma ecco che mentre gli Alleati si preparavano ad un attacco concentrico da scatenare nella primavera del 1917, il 15 marzo lo zar abdicò gettando la Russia in una crisi politica dalle enormi conseguenze, e il 6 aprile gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Il 1917 fu quindi caratterizzato da una crisi politica di carattere mondiale. Nonostante il fronte orientale fosse immobile, gli Imperi Centrali spostarono le loro forze dal fronte (140 divisioni in totale) solo con il trattato di Brest-Litovsk firmato il 5 dicembre. Con la Russia fuori gioco, gli Imperi centrali poterono schierare ad occidente il grosso delle loro forze. Gli anglo-franco-italiani proseguirono tuttavia il loro piano; l'8 aprile i britannici attaccarono ad Arras, il 17 i francesi attaccarono sullo Chemin-des-Dames, mentre il 12 maggio Cadorna scatenò la decima battaglia dell'Isonzo, che consentirà al generale Luigi Capello di affermarsi sull'orlo occidentale dell'altipiano della Bainsizza

La guerra delle <<mine>>, si sviluppò nel Pasubio durante l’anno del 1917, raggiungendo il suo culmine con

il tremendo scoppio del 13 marzo 1917, scoppio che provocò il crollo della parete Nord del Dente ltaliano

con numero elevato di vite umane.

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In febbraio sul Carso si vivevano momenti drammatici; Giovanni Stoppato, Cavaliere di Vittorio Veneto di

Gazzo Veronese, ha raccontato che durante un assalto, egli si fermò per raccogliere un commilitone ferito,

se lo caricò sulle spalle e si avviò verso le linee per portarlo in infermeria. Il suo capitano però , che era

rimasto dietro le truppe, lo inseguì gridandogli di lasciare giù il ferito e di ritornare al suo posto. ( la Grande

Guerra raccontata dai Cavalieri di Vittorio Veneto in “L’Arena 9 giugno 1985)

In maggio del 1917 si stava combattendo anche sugli altopiani e il 10 giugno avvenne l’attacco pianificato

dall’Italia sull’Altopiano dei Sette Comuni.

La battaglia dell'Ortigara

Dopo la conquista di Gorizia, l'alto comando emanò le direttive per un'offensiva denominata "azione K", che, impiegando il XVIII, XX e XXII corpo d'armata, avrebbero dovuto concentrare il massimo sforzo sul monte Ortigara e monte Campigoletti, staccare l'avversario dall'orlo settentrionale dell'altopiano e arrivare alla linea cima Portule-bocchetta di Portule. L'attacco principale sull'Ortigara sarebbe stato svolto dai battaglioni alpini della 52ª divisione al comando del generale Luca Montuori. Il 10 giugno l'azione ebbe inizio con una preparazione di artiglieria dalle 5:15 del mattino fino alle 15:00, ma già dalle 11:00 la nebbia iniziò a circondare il monte, rendendo il tiro poco efficace. Alle 15 il tiro si allungò e la fanteria iniziò ad avanzare; le mitragliatrici aprirono immediatamente il fuoco e le artiglierie iniziarono a battere le pendici dell'Ortigara senza bisogno di aggiustare il tiro in quanto il tiro di sbarramento era già stato predisposto. Uno dopo l'altro 18 battaglioni alpini furono mandati all'attacco, ma il tiro di sbarramento fece sì che le truppe si trovarono ammassate, risultando un ostacolo per le ondate successive.

Al calar della sera, la notte e la pioggia, unita al costante fuoco nemico, fermarono lo slancio degli alpini, che non potevano essere riforniti dai portatori in quanto anch'essi erano costantemente fermati dal fuoco nemico. Il giorno successivo nonostante il maltempo e lo scoramento, gli alpini furono nuovamente lanciati all'attacco, ma stavolta non della cima, ma di numerose postazioni tutt'attorno in modo da ampliare il terreno occupato. Fu la scelta peggiore, gli alpini cozzarono nuovamente contro le mitragliatrici piazzate e contro i reticolati intatti. Il 12 l'offensiva venne temporaneamente sospesa per poi ricominciare alle 6 del 19 giugno; otto battaglioni partirono all'attacco dell'Ortigara e in meno di un'ora la cima venne conquistata

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dal battaglione alpino "Monte Stelvio". Al successo degli alpini non corrispose però un successo per le altre divisioni impegnate sull'Altopiano, e ciò non consentì di rinforzare le posizioni che furono facilmente travolte dalla controffensiva austriaca del 25 giugno. Non cogliendo la tragicità della situazione e lo scompiglio tra le linee, i comandi ordinarono un contrattacco invece di un ripiegamento, in una serie di ordini e contrordini che causarono il caos nelle linee italiane. In questa tragica battaglia gli alpini diedero un altissimo tributo di sangue, furono 16.305 le perdite tra gli alpini durante l'assalto all'Ortigara, che divenne in seguito una delle montagne simbolo per lo spirito e il sacrificio di questi soldati.

Sulla battaglia dell’Ortigara Roberto Mora, riordinando le memorie di Luigi Casarotto di Vangadizza

racconta:

“. Bijicio (Luigi Casarotto) deve essere arrivato sull’altopiano di Asiago nel 1916. Nel maggio di quell’anno gli

austriaci avevano scatenato la “Strafexpedition” e avevano spinto gli italiani fino ai margini dell’altopiano,

da cui , se fossero riusciti a sfondare, una volta scesi nella pianura padana avrebbero potuto cogliere alle

spalle il grasso del nostro esercito schierato sul Carso. Furono fermati proprio sui margini che guardavano la

conca di Arsiero e la val del Brenta (Monte Paù, M Valbella, M Fior, M. Spill). Non è da escludersi che il

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Battaglione Monte Balbo sia stato schierato sull’altipiano, preveniente da altro fronte, proprio in quella

occasione. Sicuramente fu impiegato alla fine di giugno 1916 per il primo attacco italiano contro la linea su

cui l’esercito austriaco si era attestato, quando, esaurita la spinta iniziale, decise di ritirarsi su una linea

meglio difendibile. Questa linea si stendeva sulla destra della Val d’Assa passando per gli abitati di Roana e

Camporovere, risaliva su monte Rasta e M. lnterrotto e si spingeva a nord passando per M. Mosciag, M.

Zebio, M. Zingarella, M. Ferno, M. Campigoletti e M. Ortigara. Da qui il fronte scendeva verso la Val

Sugana. Bijio infatti scrive: "1916: siame arrivati sull’Ortigara, a Malga Fossetta. Abbiamo partecipato alla

battaglia di Campigoletti.." Su quella linea infatti si infranse già nel 1916 il primo attacco italiano sferrato

dal nostro esercito tra fine giugno e l’inizio di luglio del 1916, nel tentativo di riconquistare i Iuoghi che

erano stati nostri prima della " Strafexpedition ". Altrettanto sicuro è il fatto che il Bijio deve avere

trascorso su quei monti l’inverno tra il 1916 ed il 1917. Ad una quota di 2000 metri sopra il Iivello del mare,

in montagna e con gli inverni di allora .... l "Poi venne il 20 luglio, giorno in cui iniziò la famosa battaglia..."

La data non è corretta perché la battaglia iniziò il 10 giugno del 1917. Bijio dettò le sue memorie molti anni

dopo gli eventi ed evidentemente le date possono non essere precisi. Sicuri sono invece luoghi e

circostanze. Il 10 giugno 1917 ebbe, infatti, inizio l’attacco pianificato dal Comando Supremo dell‘Esercito

Italiano contro la linea austriaca dell’intero altipiano di Asiago, attacco che era stato preparato durante

l’inverno 1916-17 (la neve a quelle quote durava fine a giugno) e che aveva comportato un grande sforzo

Iogistico. Ne sono testimonianza i chilometri di strade tracciate proprio in quel periodo e la costruzione di

depositi e acquedotti da parte di entrambi gli eserciti. Non va dimenticato che quello di Asiago e un

altipiano carsico in cui l’acqua è scarsa e doveva quindi essere pompata dalle fonti che erano a valle e

trasportata fin sulle linee su cui si combatteva con acquedotti e carri. ll Battaglione Monte Baldo costituiva

la parte all’estremo Nord del grande attacco. Il suo obiettivo era costituito dalla cima dell’Ortigara e più

precisamente dalla sua parte più a Nord (quota 2101). Per arrivarvi si doveva scendere dal "Varco Nord”

(un varco nei nostri reticolati) posto sulle pendici di M. Campanaro, attraversare il Vallone dell’Agnelizza e

risalire quindi le chine nord di M. Ortigara, passando per il passo dell’Agnella in direzione della quota 2003.

Bijo identifica il passo con la quota anche se in realtà le due cose non coincidono. Il percorso era un vero e

proprio azzardo. Il varco nord era infatti sotto il tiro delle mitragliatrici austriache piazzate su M.

Campigoletti (che da tempo avevano identificato i varchi nei nostri reticolati e vi avevano regolato quindi il

tiro delle mitragliatrici) ed il Vallone dell’Agnelizza era preso d’infilata dai colpi di artiglieria sparati dalle

batterie austriache postate sul M. Chiesa”.

Da: “Giovinezza in trincea” a cura di Luciano Rossi Circolo Noi di Vangadizza

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La disfatta di Caporetto

Con la linea di fronte austro-ungarica intorno a Gorizia a rischio di collasso a seguito dell'undicesima battaglia dell'Isonzo, i tedeschi decisero di intervenire in aiuto dei loro alleati in modo da alleggerire la pressione italiana. Paul von Hindenburg ed Erich Ludendorff, comandanti supremi dell'esercito tedesco, si accordarono con Arthur Arz von Straussenburg per l'organizzazione dell'offensiva combinata. Cadorna aveva ricevuto rapporti dalla ricognizione aerea che indicavano movimento di truppe tedesche dirette in zona alto Isonzo. Anziché continuare con le offensive egli decise di passare ad una linea difensiva nell'attesa degli eventi[73]. Il generale tedesco Konrad Krafft von Dellmensingen fu inviato al fronte per un sopralluogo, che durò dal 2 al 6 settembre 1917. Terminate le varie verifiche e dopo aver vagliato le probabilità di vittoria, Dellmensingen tornò in Germania per approvare l'invio degli aiuti, sicuro anche che la Francia, dopo il fallimento della seconda battaglia dell'Aisne ad aprile, non avrebbe attaccato[74].

Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana, austro-ungarici e tedeschi decisero di contrattaccare. Alle 2:00 in punto del 24 ottobre 1917 le artiglierie austro-germaniche iniziarono a colpire le posizioni italiane dal monte Rombon all'alta Bainsizza alternando lanci di gas a granate convenzionali, colpendo in particolare tra Plezzo e l'Isonzo. Quello stesso giorno gli austro-ungarici e i tedeschi sfondarono il fronte dell'Isonzo a nord convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2ª armata italiana, in particolare il IV ed il XXVII corpo d'armata, comandato dal generale Pietro Badoglio. Durante il primo giorno di battaglia gli italiani persero all'incirca, tra morti e feriti, 40.000 soldati e altrettanti si ritrovarono intrappolati sul monte Nero, mentre i loro avversari dai 6/7.000.

Da lì gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni, con l'esercito italiano in preda ad una ritirata caotica, caratterizzata da diserzioni e fughe. Cadorna, venuto

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a sapere della caduta di Cornino il 2 novembre e di Codroipo il 4, ordinò all'intero esercito di ripiegare sul fiume Piave, sul quale nel frattempo si erano fatti significativi passi avanti nell'impostazione di una linea difensiva grazie agli episodi di resistenza sul Tagliamento. A questo punto von Below aveva fretta, sia per il timore di ritornare ad una guerra di posizione, sia perché era cosciente che i francesi e gli inglesi avrebbero inviato aiuti militari. I suoi generali sfruttarono tutte le occasioni possibili per accerchiare le truppe italiane in ritirata: a Longarone il 9 novembre furono catturati 10.000 uomini e 94 cannoni appartenenti alla 4ª Armata del generale Mario Nicolis di Robilant, e in un'altra occasione la 33ª e 63ª Divisione italiana consegnarono, dopo aver tentato di uscire dall'accerchiamento, 20.000 uomini. In pianura però gli austro-tedeschi non ebbero analogo successo e molte unità italiane si riorganizzarono per raggiungere il Piave, l'ultima delle quali vi si posizionò il 12 novembre. Dall'inizio delle operazioni il 24 ottobre all'8 novembre i bollettini di guerra tedeschi avevano contato un bottino di 250.000 prigionieri e 2.300 cannoni.

La disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente ritirata delle

armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, oltre alle perdite umane e di materiale; in due settimane

andarono perduti 350.000 soldati fra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ed altri 400.000 si sbandarono

verso l'interno del paese.

Pezzi d'artiglieria italiani abbandonati dopo la rotta conseguente lo sfondamento austro-tedesco a

Caporetto.

Dopo quel disastro, furono precettati quando non avevano ancora compiuto diciotto anni i cosiddetti ragazzi del ’99. I primi contingenti, 80.000 circa, furono chiamati nei primi quattro mesi del 1917, e frettolosamente istruiti, vennero inquadrati in battaglioni di Milizia Territoriale. Alla fine di maggio furono chiamati altri 180.000 ed altri ancora, ma in minor numero, nel mese di luglio. Ma i primi ragazzi del 99 furono inviati al fronte solo nel novembre del 1917, nei giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Il loro apporto unito all'esperienza dei veterani si dimostrò fondamentale per la vittoria finale. Vittorio Gabrielli, riferisce nel suo diario-memoria, Redipuglia 28/ 29 Luglio 1917 — 6** Compagnia - 123° Reggimento Fanteria, che ricevette l’ordine di occupare una posizione strategica per piazzare un mitragliatore, dietro un rudere od un masso. Egli racconta così un episodio avvenuto sul Carso nel luglio del 1916 che vede coinvolto il minerbese Domenico Bigini, Cavaliere di Vittorio Veneto,(classe 1899):. “lo Vittorio Gabrielli, in qualità di tenente, dovevo controllare e verificare questa posizione. Mi sono fatto affiancare, per la visione, dal soldato Domenico Bigini. Arrivati assieme al ceppo carsico, da quel punto non potemmo ritornare per riferire al Capitano poiché, proprio dietro quel sasso, avevamo trovato un avamposto austriaco. .. lo ed il soldato ci siamo accovacciati, restando fermi immobili, per non essere scoperti dai soldati austriaci, o peggio, uccisi o fatti prigionieri. Aspettavamo il momento favorevole per rientrare, senza essere scoperti, nei camminamenti di partenza e per poter riferire al Capitano dei pericoli ai quali si andava incontro, spostandosi in quel luogo, con il gruppo di soldati pronti a sferrare l’attacco per la conquista di questa nuova posizione. Quando il Capitano vide che erano già trascorse tre ore ed io ed il soldato Domenico non davamo alcun segnale, prese la decisione di andare ad occupare la postazione, al

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grido di “Savoia, Savoia”. Fu una carneficina di giovani soldati del (99...) Chi aveva inventato, che per farsi coraggio, si doveva gridare “Savoia, Savoia”? Durante la notte, io, tenente Vittorio, andavo strisciando come un serpente e ruzzolando come potevo, in mezzo ai soldati morti, cercavo di rientrare nelle proprie linee. Il soldato Domenico, invece, aveva una ferita che sanguinava e si trovava in mezzo ai compagni che avevano perduto la vita; poi, mentre si trascinava lentamente a guisa di un serpentello, si trovò vicino ad un altro compagno ferito. Quest'ultimo, con uno straziante lamento per le ferite subite, invocava disperatamente mamma, mamma. Nel frattempo era arrivata una pattuglia austriaca, per prelevare il ferito e condurlo nelle linee nemiche. Il soldato Domenico ci raccontò che si finse morto, così lo spostarono, « lasciandolo a terrà. Raccolsero il ferito che continuava ad invocare “mamma”, ritirandosi nelle loro posizioni. Allontanatasi la pattuglia austriaca, il soldato Domenico, assai dolorante, trascinandosi molto lentamente, riprese con fatica la sua marcia verso la salvezza. Durante il tragitto perse molto sangue ed arrivò sfinito, svenendo tra le braccia dei suoi compagni. Subito lo portarono giù al campo, nella tenda della Croce Rossa, dove gli prestarono le cure e venne medicato” . Quando fu in grado di parlare, venne interrogato dai comandanti che volevano sapere da lui tutto quello che aveva veduto durante la strage dei ragazzi della classe 1899... Tutto ciò accadde per un ordine sbagliato, impartito da un Capitano, perito anch’egli con i suoi soldati, gridando “Savoia, Savoia!”; mettendo allerta i soldati austriaci che gli Italiani avrebbero assaltato le loro postazioni” Le giovanissime reclute appena diciottenni del '99 sono da ricordare in quanto, dopo la disfatta di

Caporetto (24 ottobre 1917), in un momento di gravissima crisi per il Paese e per il Regio Esercito, rinsaldarono le file sul Piave, del Grappa e del Montello, permettendo all'Italia la riscossa nel '18 a un anno esatto da Caporetto con la battaglia di Vittorio Veneto e quindi la firma dell'armistizio di Villa Giusti da parte dell'Impero austro-ungarico. A partire dal primo dopoguerra, il termine "ragazzi del '99" si radicò ampiamente nella storiografia e nella pubblicistica italiana da entrare nell'uso comune per riferirsi a tutti i militari nati nel 1899.

Quelle battaglie avevano richiesto sacrifici immensi; e numerosissimi furono i caduti e le vittime civili. Di

Minerbe vengono ricordati: ALLEGRINI AGOSTINO, soldato del 96° battaglione, nato il 20.1.1876 e morto il

19.10.1917 a Verona, per malattia. ANDRETTO UMBERTO ......... BALDIN ANTONIO, caporale del 125°

reggimento Fanteria, nato il 3.10.1888 e morto il 31.8(7).1917 ne1l°ospeda.letto da campo n° 51, per ferite

riportate in combattimento. BAREDI VIRGILIO, soldato del 113° reggimento fanteria, nato il 16,12,1889 e

morto il 17.2.1917 sul Carso, per ferite riportate in combattimento. BELLINI GIUSEPPE, soldato del 60° del

reggimento fanteria, nato il 19.3.1881 a Pressana, morto il 16.10.1917 a Minerbe, per malattia.

BERTOLASO MARIO, soldato del 242° reggimento fanteria, nato l’11.12.1898 in Brasile e morto sul Monte

Vodice l°8.7.1917 per ferite riportate in combattimento. BERTU’ GIUSEPPE, soldato del 153° reggimento

fanteria, nato l’11.1.1895 e morto il 22.11.1917 nell’ambulanza chirurgica d’armata n°6, per ferite riportate

in combattimento. BONAZZO ANGELO, caporale del 59° reggimento fanteria, nato il 27.8.1881 a Legnago e

morto nell’ospedale da campo n°__,, il 7(12).8. 1917, per ferite riportate in combattimento. BOROLLO

ANTONIO, soldato del 92° reggimento fanteria, nato il 5.12.1892 e morto il 25.1.1917, per ferite riportate in

combattimento FILIPPINI LUCINDO, soldato del 96° reggimento fanteria, nato il 12.12.1894 e morto sul

medio Isonzo il 2.6.1917 per ferite riportate in combattimento. FRANCESCHETTI GIUSEPPE, soldato del 3°

reggimento bersaglieri, nato il 20.4.1894 a Villanova del Ghebbo e morto ad Abano Bagni il 28.6.1917, per

ferite riportate in combattimento. ento. GUARISE ANGELO, soldato del 14° reggimento di fanteria, nato il

18.6.1889 a Legnago e morto nell’ospedale da campo n°75 il 25.8.1917, per ferite riportate in

combattimento. GUARISE SANTE(O), soldato de 263° reggimento di fanteria, nato il 6.10.1885 a Legnago e

morto nell’ambulanza chirurgica d'armata n°2 il 17.10.1917, per ferite riportate in combattimento.

LORENZETTO CESARE , soldato del 37° reggimento fanteria, nato il 29.11.1890 e morto nell’ospedaletto da

campo n° 124 il 7.6(5).1917, per ferite riportate in combattimento MARINI ANTONIO, soldato del 277°

reggimento fanteria, nato il 31.8.1897 e disperso il 25.10.1917 (17.11.1917), in combattimento durante il

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ripiegamento verso il Piave. MASSALONGO GIOVANNI. soldato del 6° reggimento alpini, nato il 27.10.1895

e morto sul monte Ortigara il 10.6.1917, per le ferite riportate. MENEGAZZI ETTORE, soldato del 262°

reggimento fanteria, nato il 5.7.1879 e morto sul Monte Vodice il 28.5.1917, per le ferite riportate in

combattimento. MENEGOLO FERRUCCIO, soldato del 214° reggimento fanteria, nato il 13.8.1886 e disperso

sul Carso il 6.9.1917, durante un combattimento. MENIN Canto .... . ...,.MIRANDOLA UMBERTO, soldato del

210° reggimento fanteria, morto nell’ospedale da campo n° 57 il 6.7.1917 (16.9.1917), per le ferite

riportate in combattimento. MOTTERAN ANDREA (SILVIO), sergente del 33° reggimento fanteria, nato il

19.2.1893 e morto sul Monte Grappa il 19.12. 1917, per ferite riportate in combattimento. MURARI

GIACINTO, soldato del 211° reggimento fanteria, nato il 23.2.1881e disperso nell’ottobre del 1917, sul

campo di combattimento. RAGOSA (RAGOSO) DANTE, soldato del 214° reggimento fanteria, nato il

12.5.1888 a Casaleone e morto in prigionia il 30.1 1.1917, per malattia RIZZOLO ALESSANDRO, soldato del

58° reggimento fanno; nato il 28.3.1894 e disperso il 14.5.1917 sul medio Isonzo durante un

combattimento. RUFFO PIETRO, soldato del 59° reggimento fanteria, nato il 18.6.1895 e morto sul Col di

Lana il 5.6.1917, per ferite riportate in combattimento. SOAVE VIRGILIO, soldato del 1S0° reggimento

fanteria, nato il 17.8.1880 e morto sul medio Isonzo il 3.9.1917, per ferite riportate in combattimento.

SOLIMAN ANGELO, soldato del 7° reggimento artiglieria da fortezza, nato il 16.4.1880 e morto il 15.7.1917 a

Verona, per malattia. STRABELLO ARDUINO ......... . TACCON ANTONIO, soldato del 6§° reggimento di

fanteria, nato il 11.7.1885 e morto in Vallarsa l’11.10.1917, per infortunio dovuto a fatto di guerra

ZANARDO(I) ALBINO, caporale dell°8° reggimento artiglieria da fortezza, nato l’1.6.1893 ad Albaredo

D’Adige e morto nella 65° sezione sanità il 22.9.1917, per infortunio. ZANETTI GUIDO, soldato del 72°

reggimento fanteria, nato il 19.10.1891 e morto sul Carso il 27.5.1917, per ferite riportate in

combattimento.

Dopo che gli Austriaci sfondarono il fronte italiano a Caporetto, le nostre truppe dovettero ripiegare dietro i

fiumi Tagliamento e Piave; il nemico era ormai alle porte e in tutti i nostri paesi serpeggiava la paura.

Sembrava deciso che il Po dovesse essere l’ultimo baluardo contro l’avanzata austriaca. Migliaia di soldati

transitarono per il Basso Veronese; una linea di difesa venne approntata nei vari paesi a ridosso dell’Adige e

il Prefetto di Verona proibì l’uso di barche nelle sue acque. Giunsero a Legnago anche truppe inglesi per

aiutare in questi preparativi di difesa. Il territorio della Bassa Veronese divenne così zona di guerra. A Porto

venne predisposta una testa di ponte con trincee e piazzole per mitragliatrici lunghe un chilometro, mentre

a Legnago e lungo il corso dell’Adige furono fatte le trincee per la difesa delle posizioni. A Legnago venne

istituito un “sevizio di difesa antiaerea” i parroci accogliendo l’appello rivolto con grande rilievo nel

“L’Amico del Popolo” dal cardinale Bartolomeo Bacilieri cercarono di invitare alla calma e alla resistenza

tutta la popolazione.

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(da: L’ARENA E VERONA 140 di storia)

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Ultimo anno

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1918

Nei primi mesi del 1918 il nuovo capo del governo italiano Vittorio Emanuele Orlando e il nuovo capo di stato maggiore Armando Diaz proseguirono nell'opera di razionalizzazione della produzione bellica e nella riorganizzazione dell'esercito, attuando una più stretta collaborazione con gli alleati dell'Intesa. Sul piano strettamente militare azioni minori si svolsero in primavera nel settore Tonale-Adamello, sull'altopiano di Asiago e sul basso Piave.

Da parte austriaca, sia l'imperatore Carlo, sia il suo capo di stato maggiore von Arz erano ormai consapevoli del progressivo deterioramento delle condizioni del loro esercito, ma gli alleati tedeschi avevano bisogno di offensive d'appoggio per poter mantenere l'iniziativa sul fronte occidentale. Fu quindi deciso di effettuare un attacco generale contro l'Italia partendo dal saliente del Trentino e dal Piave. A nord si schierò il gruppo d'armate del Tirolo, comandato da Conrad von

Hotzendorf, con la 10a e 6a armata, a est il gruppo d'armate del Piave, guidato da Boroevic, con la 6a e 5a armata. In totale, comprese le riserve, 60 divisioni con 7.500 pezzi d'artiglieria. Tali forze erano fronteggiate, da ovest verso est, dalla 7a e 1a armata dallo Stelvio all'Astico, 6a e 4a sugli altipiani, 8a e 3a da Pederobbe al mare. In totale 59 divisioni, comprese 3 inglesi, due francesi e una cecoslovacca ancora in addestramento. Il 15 giugno gli austriaci iniziarono l'offensiva su tutto il fronte. Nel settore di Asiago e sul Grappa furono contenuti, ma sul Piave sfondarono le linee italiane in vari punti.

Accaniti combattimenti si svolsero a Casa Serena e Nervesa sul Montello, settore di grande importanza perché punto di raccordo tra lo schieramento montano e quello di pianura. Altre teste di ponte furono costituite alla Grave di Papadopoli, a San Donà e a Ponte di Piave. Ma la tenace resistenza delle truppe italiane, fra cui si misero in luce gli speciali reparti d'assalto degli Arditi, e le difficoltà di far affluire i rifornimenti oltre il fiume, misero in gravi difficoltà gli austriaci che, contrattaccati a partire dal 19 giugno, dopo quattro giorni furono costretti a ritirarsi. In luglio le posizioni italiane furono ulteriormente migliorate. Nel complesso, la battaglia del Solstizio, o del Piave, costò agli austriaci 150.000 uomini contro 80.000, facendo svanire definitivamente per le armate della duplice monarchia ogni possibilità di vittoria. Il 24 ottobre iniziò l'offensiva finale italiana. Gli attacchi furono concentrati sul Montello e sul Grappa, per dividere le forze austriache del Trentino da quelle del Piave. In questo settore l'avversario fu costretto a ritirarsi verso Vittorio Veneto a partire dal 29. A nord Rovereto fu raggiunta il 2 novembre e Trento il giorno dopo, così come Trieste ad est. L'armistizio tra Italia e Austria-Ungheria venne firmato il 3 novembre a Villa Giusti, presso Padova e alle ore 15 del 4 novembre 1918 le ostilità su tutto il fronte italiano ebbero finalmente termine.

Il Piave, la battaglia che condusse alla vittoria l'esercito italiano

Dopo lo sfondamento di Caporetto lo Stato Maggiore italiano, d'accordo con l'alto comando dell'Intesa (convegni di Rapallo e di Peschiera, 6-8 novembre 1917), decise di attestare la nuova linea sul Piave ordinando nel contempo l'arretramento delle armate delle linee Giulia e Carnica. La nuova linea, che si estendeva dal Trentino al mare, aveva al centro, come cardine di raccordo, il monte Grappa sul quale sin dall'offensiva austriaca del Trentino dell'anno precedente, erano stati compiuti lavori di accesso e di difesa. Con l'espressione battaglia del Piave si intende quindi quel complesso di azioni di contenimento e di difesa prima, e quindi di contrattacco che si susseguirono dal novembre 1917 all'estate 1918 e che precedettero la battaglia finale di Vittorio Veneto.

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Le forze contrapposte erano inizialmente costituite, da parte italiana di 15 divisioni costituenti la IV armata (generale Di Robilant) e la III armata (duca d'Aosta), da parte austriaca di 38 divisioni ripartite tra la XIV armata austro-germanica (generale von Below) e il gruppo di armate dell'Isonzo (generale Boroevic). Ma ad un certo punto si arrivò a 51 divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca e un reggimento americano, contro 73 divisioni austro-ungariche.

Dopo il passaggio in riva destra della III Armata, delle residue sbandate forze della II Armata, battuta a Plezzo e Tolmino e la distruzione di tutti i ponti verso la riva sinistra, inizia la disperata resistenza degli italiani contro le vincenti truppe austro-tedesche dell'"IsonzoArmee" del maresciallo Boroevich, imbaldanzite dal rapido successo.

Nella prima metà di novembre gli Austriaci riuscirono a costituire delle pericolose teste di ponte sulla riva destra del Piave, a Zenzon, a Fagarè, Folina e Valdobbiadene nonché (a dicembre) ad Agenzia Zuliani e a Capo Sile. Ma, dopo accaniti combattimenti, le valide avanguardie austriache che non possono ricevere sufficienti rinforzi dalla riva sinistra per evidenti difficoltà logistiche e per l'azione dell'artiglieria italiana, vengono accerchiate e quindi catturate, contenendo e respingendo così l' offensiva. Durante tutto l'inverno le truppe italiane poterono consolidare le loro posizioni lungo il fiume mentre la lotta ardeva sul monte Grappa.

La battaglia riprese tra il 15 e il 23 giugno, quando gli Austro-Ungarici lanciarono una nuova grande offensiva su tutto il fronte dagli altopiani di Asiago (in codice Offensiva Radetzki) al Piave (in codice Operazione Albrecht). Fu questa una delle più dure e sanguinose battaglie della prima guerra mondiale. Teste di ponte vengono nuovamente occupate sulla riva destra, nelle stesse zone del novembre passato.

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L'offensiva ha particolare successo nella zona del Montello, che viene occupato per metà, fino alla sommità; anche Nervosa e la zona circostante vengono occupate. Ma da novembre a giugno, l'esercito italiano, alla guida del nuovo Capo di Stato Maggiore Armando Diaz, ha avuto il tempo di rafforzarsi, di riempire gli spaventosi vuoti in armamenti, materiale di artiglieria, aviazione, vettovagliamento, creati con la rotta di Caporetto; e ha creato una rete di sistemi difensivi a compartimenti stagni.

I soldati italiani e in particolare la nuova classe chiamata alle armi, i "ragazzi del '99", con il contributo di divisioni inglesi e francesi, compiono prodigi di valore e riescono gradualmente a respingere il nemico. La situazione si ristabilisce con gli Italiani ben attestati sulla riva destra e gli Austro-Ungarici su quella sinistra. Durante l'offensiva di giugno muore tra gi altri, sul Montello, l'asso dell'aviazione Francesco Baracca, il cui "cavallino rampante" verrà preso da Enzo Ferrari come simbolo della famosa casa di automobili sportive, dopo averne chiesto il permesso alla madre di Francesco Baracca.

Il minerbese Augusto Zanetti appartenente alla VI Squadriglia Aviatori di Padova(foto tratta da “Minerbe nel passato di Francesco Muzzolon e Massimiliano Amatino)

Commentando l'esito della battaglia, Hindenburg scrisse: "Gli Italiani sapevano quanto noi che l'Austria-Ungheria aveva gettato in questo attacco tutto il suo peso sulla bilancia della guerra. Da questo momento la monarchia danubiana ha cessato di essere un pericolo per l'Italia".

Poco dopo (2-6 luglio) una controffensiva italiana portava alla conquista della zona tra il Piave vecchio e il Piave nuovo, da Intestatura alla foce. Era questo il preludio alla prossima travolgente offensiva, nota come Battaglia di Vittorio Veneto, che in pochi giorni sbaragliò il nemico, che già a giugno, perdendo sul Piave, aveva ricevuto un duro colpo, che avrebbe portato alla vittoria.

Sul Piave ha Combattuto il minerbese Silvio Chiavegato del quale si ricorda come per sfuggire ai nemici, egli

si sia immerso completamente nelle acque del fiume, resirando con una canna di bambù. Egli poi ha

ricevuto la medaglia di bronzo per essersi offerto volontario per tagliare i reticolati dei nemici.

Fra i tanti racconti ed episodi di guerra , da ricordare è anche la vicenda di un soldato minerbese che nel

1915 aveva combattuto in Cirenaica e Tripolitania, rientrato in Italia, è inviato nelle zone di guerra nel

febbraio del 1916 nel 66° reggimento fanteria nel luglio del ’17 , quando le forze italiane sono messe a dura

prova lungo il confine dell’Isonzo, egli viene dichiarato disertore al tribunale di guerra e viene incarcerato

dai Reali Carabinieri di Legnago. Giudicato, viene condannato all’ergastolo, pena commutata poi in dieci

anni di reclusione grazie all’amnistia per reati militari del 2 settembre 1919.

Finalmente il 4 novembre venne firmato l'Armistizio, che mise fine alle ostilità su tutto il fronte. Quella data viene ricordata ancora oggi come il "Giorno della Vittoria", festa delle Forze Armate Italiane.

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CADUTI minerbesi nel 1918

ANNIBALETTO GIAN MARIA, soldato del 6° reggimento alpini, nato il 15.8.1891 ad Albaredo D'Adige e

morto a Firenze il 7.2.1918, per malattia. BALBO OTTAVIO, soldato del 2° reggimento granatieri, nato il

5.9.1889 ad Urbana (Pd) e morto a Verona il 13.10.1918 per malattia. BERTOLINI ANTONIO, caporale dell`8°

reggimento artiglieria da campagna, nato 1,8.7.1891 ad Occhiobello e morto sul Piave il 10.3.1918, per

ferite riportate in combattimento. PERETTA ANGELO. ..... PERUZZI LUIGI, soldato del 2° reggimento

artiglieria pesante campale, nato l’1.10.1882 e morto ad Albaredo d`Adige, il 27.6.1918, per malattia.

RUFFO GIOVANNI, soldato del 117° reggimento fanteria, nato il 19.9.1886 e morto in prigionia il 5.6.1918,

per malattia. BONAZZO Materno, decorato di medaglia d’argento al Valor Militare, sergente di un reparto

d’assalto, nato il 13.1.1895 il morto il 27.10.1918 sul Montello, per ferite riportate combattimento.

BONFANTE CARLO, soldato del 232° reggimento fanteria, nato il 21.11.1894 e morto il 16.12.1918 a Ruda,

per malattia. CHIAVEGATO PIETRO , soldato della 312° compagnia boscaioli, nato il 12.7.1876 e morto il

6.11.1918 a Borgotaro, per malattia. CERVATO AUGUSTO, caporal maggiore della 2154° compagnia

mitraglieri, nato a Legnago il 30.6.1890, morto nell’ospedale da campo n°67 il 16.6.1918, per ferite

riportate in combattimento. CHIOCCHETTA LUIGI, soldato del 1° reggimento artiglieria da campagna, nato

l°1.8.1892 e morto il 26.10.1918 nell’ospedale da campo n° 33, per malattia. FILIPPINI ALESSANDRO,

soldato del 202° reggimento fanteria, nato il 4.8.1889 e morto in prigionia il 4.1.1918, per malattia.

MANTOVANI FERNANDO, soldato del 203° reggimento fanteria, nato il 18.10.1896 e morto a Corfù il

29.8.1918, per malattia. MENIN ROBERTO, soldato de1l°82° battaglione M.T. nato il 14.4.1881 e morto a

Minerbe il 21.11.1918, per malattia. RIZZOLO LUIGI, soldato del 232° reggimento fanteria, nato il 4.7.1885

e morto nell’11° sezione sanità il 30.11.1918, per malattia. SANTINELLO LUIGI, soldato del 65° reggimento

fanteria, nato il 16.3.1896, in Brasile e morto nell’ospedale da campo n°213 il 2811.1918, per malattia.

TURISENDO (TURRISENDO) ARTURO, appuntato della legione Regia della Guardia di Finanza, nato il

19.4.1879 e morto il 5.9.1918, in prigionia, per malattia. VIVALDI LUIGI, soldato della 6° compagnia

automobilisti, nato il 10.5.1881 e morto a Firenze il 13.2.1918, per malattia. VIVALDI GIROLAMO, soldato

del reggimento artiglieria a cavallo, nato l’1.9.1882 e morto a Monselice l`8.10.1918, per malattia.

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Nel sacrario di Redipuglia vi è anche il nome di Margherita Kaiser Parodi Orlando (Roma, 16 maggio 1897 – Trieste, 1 dicembre 1918) decorata con la medaglia di bronzo al valor militare ed unica donna sepolta in questo Sacrario Militare. Durante la guerra, Margherita, prese servizio come crocerossina presso la Terza Armata sul fronte orientale. Appena diciottenne, partì con la madre Maria e la sorella Olga per l’ Ospedale CRI di Cividale nel Friuli. Nel maggio 1917, si trovò sotto bombardamento nell’ospedale e finita la guerra continuò il suo lavoro a Trieste dove morì di spagnola. Margherita è stata decorata al valor militare con la medaglia di bronzo il 19 maggio 1917, con la seguente motivazione per essere rimasta al suo posto mentre il nemico bombardava la zona dove era situato l’ospedale cui era addetta. Sulla lapide è riportata la seguente scritta: "A noi, tra bende, fosti di Carità l'Ancella,?Morte fra noi ti colse. Resta con noi sorella ".

Bisogna sottolineare che il contributo delle crocerossine, in pace e in guerra, è sconosciuto al grosso pubblico, pochi sono a conoscenza di quante donne, giovani e meno giovani, oltre ai già gravosi compiti del loro essere figlie, madri, mogli, hanno dedicato il loro tempo al volontariato e sono state spesso impiegate in missioni umanitarie in Patria e all'Estero: una cinquantina di esse furono anche uccise. Con tenacia, con impegno la crocerossina ha via via mostrato in comprovate prove di abnegazione la necessità del proprio ruolo, di una presenza competente e capace di coadiuvare le varie forze impegnate in qualsiasi tipo di emergenza a livello sanitario, assistenziale, pedagogico. Frida Gaddi, Capo Gruppo ispettrice di Forfi, negli anni 1915 '16 nel suo diario, quotidianamente redatto sugli accadimenti al fronte e nell'ospedale territoriale della Cri, allestito all'interno dell'Ospedale Morgagni, riportava attestati di lode rilasciati dalla Capo sala Elena Carboni alle infermiere volontarie impegnate nell'assistenza ai feriti; ricorrente è il nome di Tecla Baldoni che, pur impegnata nella professione, maestra del soprano Maria Fameti e del grande Di Stefano, insegnante nella «Casa del soldato» istituita nel Seminario diocesano per volere del Vescovo Mons. Raimondo Jaffei, dedicava gran parte del suo tempo ai militari convalescenti intrattenendoli in spettacoli e concerti organizzati per loro. Si ricordano pure le veronesi Lucia Lanza che assisteva i soldati ricoverati all’ospedale del seminario, decorata Cavaliere di Vittorio Veneto con medaglia d’argento e con altre onorificenze. Molte sono le medaglie al merito, d'argento e di bronzo, alle «sorelle» impegnate in quegli anni cruciali del primo conflitto, numerose le benemerenze e gli encomi per i nostri giovani italiani e per le infermiere volontarie guidate dalla Duchessa d'Aosta, Ispettrice generale, insignita della medaglia d'argento al valor militare, impegnate sui treni-ospedale, negli ospedali mobili chirurgici, da campo della Cri e della Sanità. Importante il contributo della Cri per l'allestimento di speciali stabilimenti di cura per la rieducazione dei traumatizzati, per la ricostruzione di arti artificiali, di protesi, per il ricovero e la cura dei militari tubercolosi. Parimenti importante è l'aiuto offerto per allontanare i ricordi angoscianti della guerra e restituire i reduci, i feriti, gli invalidi alla vita civile. Le infermiere volontarie sono presenti nell'assistenza sanitaria e di conforto ai militari, non solo a quelli ricoverati negli ospedali, ma anche ai prigionieri di guerra per i frequenti scambi tramite la Commissione

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Prigionieri di Guerra istituita per vigilare sul rispetto delle Convenzioni di Ginevra. (da Sorella Maria Michea

Sangro, 80° anniversario della morte di Fulcieri Paulucci de' Calboli)

Va ricordato infine che tra l’aprile ed il maggio 1918 sul fronte italiano fece la sua comparsa Il flagello della spagnola con una breve epidemia di carattere assai benigno per poi scomparire nel mese di giugno. L'ultima offensiva asburgica sul fronte degli altopiani fu dunque combattuta senza l'assillo del febbrone debilitante. La Spagnola iniziò di nuovo a mietere le sue vittime da luglio in poi raggiungendo l'apice ad ottobre. Questa volta l'affezione, pur se identica a quella primaverile, era caratterizzata da gravi complicazioni polmonari che causavano aggravamenti ed improvvisi decessi. A metà ottobre si arrivò, tra le truppe in linea, addirittura a punte di 3000 nuovi casi giornalieri. Nella 1ª armata, nell’ultimo quadrimestre del 1918, si ebbero 32.482 casi con 2703 morti. Nella zona di sgombero nord-orientale, dove venivano ricoverati i militari ammalati provenienti dal fronte, dall’ottobre 1918 all’aprile 1919 si ebbero 90.347 casi con 8151 morti (vale a dire un decesso per 11-12 casi di malattia). Considerando i 375.000 casi di morte causati in Italia dall’epidemia Il problema dello sgombero dei malati gravi fu gravemente ostacolato anche dai casi di malattia che colpivano autisti, personale ferroviario e infermieristico sino a collassare tutto il sistema dei trasporti poco prima della battaglia di Vittorio Veneto. Tra gli altopiani ed il Grappa si contarono in tutto 12460 influenzati. Anche il paese risentì in modo eccezionale della gravità della situazione tanto che, in Europa, l'Italia poté vantare un tasso di mortalità secondo solamente alla Russia.

La Guerra Finisce

Il 9 agosto del 1918 la “Serenissima”, con Gabriele D’Annunzio ed altri intrepidi aviatori, partiti da San

Pelagio (PD) sorvola Vienna, lanciando manifestini . con lui c’è il tenente Granzarolo di Legnago e il tenente

Aldo Finzi di Badia Polesine. Il 28 ottobre, Diaz dà l’ordine dell’attacco ultimo. È la vittoria. A Verona sono

ore di tripudio. Nella giornata del 4 novembre c’è la firma dell’armistizio.

L’allora parroco di Minerbe, Don Sante Gaiardoni annotò che, a cominciare dal 1914, a poco a poco furono

chiamate alle armi tutte le classi, finchè, nel 1917, si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 43 anni.

Egli così dice:

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“1918 A questo punto noterò qualche cosa dell’orribile guerra che da quattro anni infuria in tutta l’Europa e si estese anche nell’Asia, nell’America e nell’Africa e semina strage, rovina e morte in una impresa così

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Lagrimevole che di simile non fu mai veduta, né si vedrà giammai sulla faccia della terra, e “ tu fin che il sole risplenderà” sulle sciagure umane ! – Cominciando dal 1914 furono chiamate sotto le armi tutte le classi a poco a poco, fin che nel 1915 si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 42 anni; nel 17 furono chiamati anche quelli di 43 e 44 . ( 26 classi eccettuati i ciechi gli zoppi i gobbi in tutti 5.250.000 uomini. Minerbe, 5 novembre 1918 Ieri mattina arrivò la notizia che i nostri soldati sono entrati in Trento e Trieste ed hanno esposto la bandiera italiana nella torre del castello di ambedue le città liberate. Appena avuta la notizia feci esporre la bandiera sul campanile e suonare le campane. Ieri lo stesso, 4 Nov., verso le sette arrivò l’altra notizia che alle 13 fu messo in esecuzione l’armistizio con l’Austria, cessando da quest’ora ogni ostilità per terra, per mare ed in aria. Se la notizia mi fosse stata comunicata avrei tosto dato avviso di suonare le campane, invece io andai a letto senza saperlo. Alla mezzanotte alcuni patrioti! di Minerbe in parte imboscati, in parte scarti!, presi non da patriottismo ma da alcolismo, ruppero la serratura del campanile e continuarono a suonare le campane da pazzi fino alle 2.30 dopo mezzanotte, con grande disturbo di tutto il paese e facendo piangere specialmente le 48 madri e spose che hanno perduto il figlio od il marito. Ed avrebbero continuato fino alla mattina se alle 2.30 non fossi disceso io a mandarli a casa. …………. poi i medesimi patrioti (Il ……………………., …, ed altri giovinastri, aprirono la porta del campanile coi grimaldelli e cominciarono a suonare. Al mio apparire se la svignarono a casa, poi con urla e ………… e bestemmie ed insulti al parroco insistevano e mandai a chiamare il sindaco !, il quale mi pregò di concedere un paio di suonate. Entrarono col detto permesso nel campanile, ma poi invece di vere suonate, continuarono fino a mezzanotte ! …. Tutto per il buon ordine e per patrioti alcolizzati !, Vedremo stasera che cosa avverrà, dopo che ne avrò dato avviso al brigadiere- io ho fatto suonare quanto era conveniente e durante il giorno: essi volevano di notte recando immenso dolore alle povere vedove e madri dei caduti.

10 Novembre 1918 Questa mattina dietro invito dell’arciprete intervennero alla Messa ultima e al canto del Te Deum tutte le autorità civili, militari e società con le loro bandiere. Fu raccolta un’offerta per i fratelli delle terre liberate che fruttò L. 152.50, spedita al Comitato di Verona. Feci suonare in concerto le campane, la sera, la mattina alle 10 ½ e al Te Deum.

11 Nov. 1918 Anche questa mattina ricorrendo il Natalizio del Re intervennero alle ore 20 al Te Deum le Autorità comunali , i RR Cavalieri, l’asilo infantile ecc.

12 Nov. Alle ore 6 fu firmato l’Armistizio anche con la Germania e alle 11 cessarono le ostilità su tutte le fronti ! e .. Deo Gratias!”

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In queste note sopra riportate e nel puntualizzare nel registro dei morti l’elenco dei caduti anno per anno,

Don Sante Gaiardoni ,l’allora parroco di Minerbe, fa trasparire i suoi stati d’animo che hanno coinvolto pure

gli abitanti del paese.

Complessivamente in provincia di Verona, dal 1915 al 1920 i morti furono 6970, mentre in quelle di Padova,

Verona e Rovigo, furono 19430. nel veronese nel 1915 caddero al fronte 870 soldati; nel 1916, 1670; nel

1917, 1883; nel 1919, 2303. Nel 1919, a guerra finita vi furono altri 179 decessi in conseguenza di ferite o

malattie contratte in guerra.. Don Sante Gaiardoni nel 1921 fece porre nella piccola arcata sinistra di fianco

all’altare di Sant’Antonio le due lapidi a ricordo dei caduti . inoltre sulla porta laterale all’ingresso principale

della chiesa di Santo Stefano vi è stata posta un’altra lapide a ricordo di Bonazzo Angele, Galantin Lionello,

Nalin Marino.

Don Sante Gaiardoni annotò che, a cominciare dal 1914, a poco a poco furono chiamate alle armi tutte le

classi, finchè, nel 1917, si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 43 anni. L’elenco dei soldati morti del

Comune di Minerbe è lungo, ben 58 sono gli eroi riportati nella lapide del monumento in piazza. Anche

nella frazione di San Zenone sono elencati altri caduti in una lapide posta al lato della Scuola Materna,

confermati poi dal monumento ai Caduti presente in piazza Aldo Moro

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Appendice

La Grande Guerra: infinità di accadimenti grandi e piccoli, ciascuno dei quali percepito e vissuto in maniera

diversa dai protagonisti

È un groviglio inestricabile di fatti e di sensazioni, processi mentali, sentimenti , gesti e rispetto a questo

enorme ammasso di vicende individuali e collettive possiamo solo tentare di proporre delle interpretazioni

necessariamente parziali e semplificatrici.

Questa è la nostra “memoria” che è cultura storica sgombra dalla volontà di manipolare politicamente le

coscienze per condizionare i comportamenti collettivi, magari in vista di nuovi conflitti. (La memoria

pubblica invece è sempre voluta ed indirizzata verso obiettivi precisi).

I libri ci dicono che la Prima Guerra Mondiale fu veramente una guerra grande, sotto tanti punti di vista:

innanzitutto per la mobilitazione di massa, fu una guerra nuova per le novità in fatto di armamenti e

tecnologie, anche se spesso combattuta con tecniche e ferocia degne di tutt’altre epoche. Per il nostro

Paese fu la quarta e ultima guerra per l’Indipendenza, combattuta per determinare confini considerati

legittimi, quindi per l’unità nazionale pagata con un costosissimo tributo di vite umane (650.000 italiani

morti).

L’Europa, caratterizzata dal colonialismo e dal nazionalismo che aveva portato alla spartizione dell’Africa,

stava vivendo in un certo qual modo in un clima di leggerezza, audacia,voglia di grandezza, convinta negli

effetti della modernità che avanzava sotto la spinta della Belle Epoque e del capitale che si sviluppava . Alla

guerra furono spinti idealistici romantici intrisi di miti risorgimentali, anche se la maggioranza degli Italiani

era contro; in verità gli Italiani furono chiamati perché la Patria doveva essere ridisegnata nei suoi confini,

ma per la maggior parte di loro essa era la casa, gli affetti , la terra.

La guerra fu evocatrice di mondi diversi e successivi , distrusse però milioni di giovani vite.

I nostri furono protagonisti sul Carso e sul Podgora, nelle valli dell’Isonzo e del Piave, nelle trincee degli

altipiani del Veneto settentrionale, del Friuli e della Venezia Giulia, nella Val d’Adige, in montagna e nei cieli

e sui mari. Battaglie epiche, sconfitte drammatiche, vittorie esaltanti, storie d’amore e di morte, di crudeltà

e di altruismo, nei ricordi poi dei pochi superstiti.

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Per comprende davvero cos’è stata e quali fossero le condizioni di vita, bisogna ricordare: la deportazione

e la morte per fame, lo sfollamento di civili a seconda dello spostamento dei confini, la difficile condizione

di vita dei contadini, che spinse molti di loro (ben 600.000 nel ’14), anche ad emigrare, ma soprattutto le

condizioni infernali della vita di trincea, le quali quando non potarono alla morte o all’invalidità fisica,

condussero alla follia.

Cerchiamo di capire con la dovuta pietas e proteggiamo il passato dalle eccessive pretese del presente.

Ora i testimoni di quella pagina di storia se ne sono tutti andati, ma noi siamo qui a ricordare; il ricordo

anche solo dei loro nomi e lo sventolare della bandiera tricolore ci fanno comprendere l’essenza di un’Italia

unita nella pace e nella solidarietà. I nostri sono stato soldati spesso ignari dei grandi disegni politici e del

perché del loro sacrificio, legati però al loro senso di dovere e di ubbidienza. Il senso della storia ci aiuta a

non appiattirci sul presente e, rispettoso dei fatti storici, ci propone atteggiamenti non eccessivamente

tarati sull’umanità di oggi . Un reduce, Felice Giacomelli , classe 1892, cercò di caratterizzare il paese di

Minerbe con un’importante associazione che ancor oggi tiene vivo lo spirito civico: “L’Associazione

Nazionale Combattenti e Reduci”.

Noi giovani generazioni, cogliamo questo loro messaggio che finalizziamo però al perseguimento del

rispetto della dignità di tutti gli uomini e perciò della pace. I segni della grande guerra che oggi a noi

restano,come i monumenti , siano simboli dell’affratellamento dei caduti di tutti i fronti.

Un monumento ai caduti

Tra le varie rappresentazioni della Grande Guerra, i monumenti erano vere e proprie strutture

comunicative e funzionavano come mass media che filtravano e selezionavano le informazioni del passato e

che finivano per incorporare e proporre una ben precisa interpretazione della storia, grazie anche ai riti e

alle cerimonie commemorative che in questi luoghi si celebravano. I primi monumenti ai caduti sorgono già

durante la guerra, magari su iniziativa degli stessi compagni dei morti, con mezzi di fortuna e in forme

rudimentali. Ma è soprattutto nei primi anni Venti che si registra una vera e propria ondata

monumentalistica. Un monumento, piccolo o grande che sia, viene realizzato pressoché in tutte le città e i

paesi d’Italia, su iniziativa di gruppi, associazioni, talvolta addirittura di singoli; ogni rione, ogni parrocchia,

ogni contrada si organizza per ricordare i propri morti in guerra. Non c’e un disegno preordinato; è un

movimento spontaneo, caotico ed incontrollabile, che non si manifesta solo in Italia ma, con modalità

parzialmente diverse caso per caso, anche in Francia, in Inghilterra, nella stessa Germania sconfitta.

Evidentemente, la spinta che muove alla costruzione di monumenti viene dal basso, risponde ad

un’esigenza intima ed insopprimibile dei familiari e degli amici dei caduti, delle comunità locali; appare

perciò convincente l`idea che, almeno nella prima fase, la funzione principale di questi monumenti fosse

quella di aiutare i sopravvissuti a riprendersi, a superare il trauma, a cercare di dare un senso al sacrificio

compiuto; a elaborare il lutto insomma Il monumento, dunque, come luogo dove la gente poteva riunirsi

per esprimere pubblicamente il proprio cordoglio a fini anche terapeutici: in fondo, concentrare e

circoscrivere il proprio dolore in uno spazio e in un tempo ben definiti poteva servire a tenerlo sotto

controllo, poteva aiutare a liberare i singoli e la comunità dall’angoscia della perdita e dal bisogno profondo

e opprimente di risarcire in qualche modo i defunti e di ripagarli per il loro sacrificio; poteva cioè consentire

di "dimenticare”, nella vita di tutti i giorni, il dramma della morte dei propri cari. (da: Jay Winter, Il lutto e

la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna 1998; si veda in particolare

il capitolo "Monumenti ai caduti ed espressione del lutto", pp.117-165, dal quale sono stati tratti parecchi

spunti e suggerimenti per le considerazioni esposte qui di seguito).

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Nei monumenti della prima ondata non si riscontra un’unica tipologia: in genere la guerra e la morte in

guerra vengono rappresentate contestualmente sia come evento nobile ed edificante — un dovere

compiuto sino in fondo -, sia come un fatto tragico, doloroso, perfino difficile da accettare; ma non

mancano esempi in cui è del tutto prevalente la condanna e il rifiuto della guerra o perlomeno un dolore

ripiegato su se stesso, privo di qualsiasi implicazione patriottica o di riflessi politici. Fin dall’inizio, nei

monumenti e nelle celebrazioni in onore dei caduti è frequente la commistione di elementi religiosi e di

elementi civili, perchè la gente trova naturale rivolgersi alla religione per trarne conforto; e dunque, in

quest’ottica, anche l’interrelazione dei codici religioso e nazional-patriottico, spesso rilevabile nei

monumenti italiani, non sarebbe, almeno in una prima fase, una scelta dettata da esigenze politiche bensì

una risposta istintiva a un bisogno profondo dell’animo popolare. Come pure una risposta ad un bisogno

profondo è il messaggio di speranza contenuto in quasi tutti i monumenti: lo ritroviamo non solo in quelli di

ispirazione cattolica che rinviano alla trascendenza e alla resurrezione, ma anche in quelli di ispirazione

laica che alludono spesso ad un mondo migliore, senza guerre, più giusto. L’avvento al potere del Fascismo

non modifica sostanzialmente la situazione descritta, almeno per tutti gli anni Venti. Certo, vengono

distrutti e cancellati i monumenti e le lapidi più chiaramente ostili alla guerra, quelli direttamente ispirati

dalle forze socialiste e pacifiste; e tuttavia neanche il Fascismo in un primo momento può intervenire

troppo pesantemente per orientare e strumentalizzare a proprio vantaggio i meccanismi spontanei di

elaborazione popolare del lutto. Solo alla fine degli anni Venti, a oltre un decennio dalla conclusione del

conflitto quando ormai le ferite più dolorose si sono rimarginate, il regime fascista decide di approntare un

colossale piano di “monumentazione” delle zone investite da eventi bellici, dallo Stelvio fino al mare; un

disegno che risulterà pressoché completato già nel 1938, in occasione del Ventennale della Vittoria.

Si trattò di un’operazione programmata, studiata a tavolino nei minimi particolari che, tra l’altro, richiese

anche investimenti piuttosto consistenti, giustificabili con l’esigenza politica di costruire una memoria

pubblica funzionale agli obiettivi del Regime capace di condizionare e di piegare a sé anche le memorie

private, non di rado ostili o recalcitranti: un progetto pedagogico e propagandistico di grande respiro,

rispetto al quale, ovviamente, la costruzione — o più spesso la ricostruzione — dei monumenti ai caduti

rappresentava solo uno dei tasselli. Nel lanciare questa iniziativa, Mussolini ebbe a dire che non gli

piacevano "i monumenti piagnoni e pietosi o peggio desolati e incomprensibili" e quindi inadeguati — si

potrebbe aggiungere « ai destini imperiali che si auspicavano per l’Italia.

Sono parole che costituiscono una preziosa chiave di lettura per cogliere il senso dell’operazione fascista di

reinterpretazione della prima guerra mondiale. In effetti, i cimiteri della Grande Guerra quali si erano

andati delineando nel corso dei primi anni Venti non possedevano una precisa identità, contenevano

apporti spuri incontrollati, con epigrafi e segni a volte discutibili, non di rado adatti a suscitare sentimenti

più di dolore o di rassegnazione che di esaltazione patriottica. E invece i nuovi grandi complessi sorti nel

corso degli anni Trenta erano ispirati scientemente alla retorica della bellezza della morte per la patria e

"ben corrispondevano all`intento di rendere immortali — come ha scritto Lucio Fabi — le glorie e i destini (

Lucio Fabi, Redipuglia. ll sacrario, la guerra, la comunità, Edizioni della Laguna, Monfalcone 1993, p.l4)

Monumento ai caduti – piazza 4 Novembre Minerbe (VR)

Il monumento è opera dell’architetto, scultore, pittore padovano Terzo Antonio Polazzo (1894-1976).

L’inaugurazione fu fatta il 19 novembre 1922, come risulta dal documento gentilmente concesso dal

Commendatore legnaghese Mario Crocco.

Il monumento inizialmente sorse nella piazza non ancora asfaltata, come del resto le strade adiacenti, era

circondato da un’aiuola e alcune piante sempreverdi ed era dotato di una piccola recinzione di ferro.

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L’opera, eseguita in un unico blocco di pietra carsica, ritrae un soldato in divisa militare, con elmetto

estivali, che sembra difendere, in una sorta di abbraccio, due colonne doriche spezzate. Alla base, su cui

poggia il combattente, c’è scritto: “ Per una Patria più grande”. Nella lapide posteriore sono riportati i nomi

dei caduti della Grande Guerra.

Tali elementi ci danno da un lato una connotazione storicamente ben precisa e dall’altro una dimensione

temporale più grande, riportandoci all’eroe greco- romano. Lo sguardo del milite è rivolto verso l’alto e

suggerisce l’idea di una sfida al pericolo e la volontà di resistere contro il nemico, ma soprattutto di

sacrificarsi per la propria Patria e per la difesa della civiltà, della nostra cultura. Le due colonne quindi

diventano in questo contesto monumentale il simbolo di tutta la grande tradizione culturale del mondo

romano classico, una tradizione affermata e cantata da Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio. Il fascismo,

il quale tradusse nel mito della romanità non solo la volontà di creare una nuova Roma caput mundi, ma

anche una esibizione retorica dei valori della virtus, recuperò tutto ciò.

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L’immagine di questo monumento compare in una mostra curata dalla Riello, a Legnago nel 13

dicembre1997 – 10 gennaio 1998, sul fotografo emiliano Luigi Ghiri, inserita in una pubblicazione con testi

Gianni Celati, edito Feltrinelli; in essa si diceva “ le istantanee restituiranno ai cittadini della “Bassa” il senso

del loro vivere”. La mostra, era intitolata “Il profilo delle nuvole”, ed esaltava l’anima nascosta del Basso

veronese. Ne: “L’Arena” d i mercoledì 29 ottobre 1997, in uno “speciale Basso Veronese” alle pagine 12- 13

si diceva: “Industria e cultura unite per un grazie al clic di Luigi Ghiri. Tale mostra era stata fatta in

anteprima a Los Angeles.

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La documentazione dell’inaugurazione del Monumento ai Caduti di Minerbe fornitaci dal Commendatore

Mario Crocco di Legnago

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Sacrari militari * Il Sacrario di Redipuglia * Sacrario - Sacello del Pasubio

* Il Sacrario Militare di Fagarè della Battaglia * Sacrario Germanico di Passo Pordoi

* Sacrario Militare di Pian di Salesei (Col di Lana) * Ossario Italiano del monte Grappa

* Quero - Col Maor : Il Sacrario militare germanico * Ossario Austro-Ungarico del monte

Grappa

* Chiesetta di Mussoi (Belluno) * Sacrario Militare di Pocol

* Sacrario del Montello * Il Tempio Ossario di Timau

* Sacrario Militare del Lido di Venezia * Il Sacrario di Asiago

* Sacrario di Caporetto * Sacrario di Rovereto

* Il Colle Sant'Elia * Sacrario di Oslavia

* Tempio Ossario di Udine *

Sacello-Ossario del monte Cimone

* Sacrario Militare nel cimitero civile di Brescia * Sacrario Austro-Ungarico dell'Asinara

* Sacrario militare di Passo Resia * Ossario ''Madonnina del Grappa'' di

Cremona

* Sacrario Francese di Pederobba * Sacrario di Bezzecca

* Sacrario Militare nel cimitero Monumentale del Verano a

Roma

* Ossario militare di Camerlata (Como)

* Santuario di S.Valentino * Sacrario di Caprarola (VT)

* Sacrario di Castrocaro Terme * Chiesa sacrario di Comacchio

* Firenze Piazza Santa Croce sacrario ai caduti in guerra * Sacrario dei caduti d'oltremare di Bari

* Sacrario Militare Italiano di Zara - Croazia * Sacrario militare di Colle Isarco

* Sacrario militare di San Candido * Sacrario 2° reggimento alpini di Cuneo

* Massa : Sacrario all'interno del cimitero cittadino di Mirteto

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Il Sacrario di Redipuglia

Scalinata del Sacrario di Redipuglia

Sacrario militare di Redipuglia, dove sono inumati i caduti della Prima guerra mondiale sul fronte

dell'Isonzo

Redipuglia il più grande Sacrario Militare Italiano, sorge sul versante occidentale del monte Sei Busi che nella Prima guerra mondiale fu aspramente conteso perché, pur se poco elevato, consentiva dalla sua sommità di dominare per ampio raggio l’accesso da Ovest ai primi gradini del tavolato carsico. Qui sono custoditi i resti mortali di 100.187 Caduti: 39.857 noti e 60.330 ignoti.

Recinge simbolicamente l’ingresso al Sacrario, ai piedi della monumentale scalea, una grossa catena

d’ancora che appartenne alla torpediniera “Grado". Subito oltre, si distende in leggero declivio un ampio

piazzale, lastricato in pietra del Carso, attraversato sulla sua linea mediana dalla “Via Eroica”, che corre tra

due file di lastre dì bronzo,19 per lato,di cui ciascuna porta inciso il nome di una località dove più aspra e

sanguinosa fu la lotta. In fondo alla Via Eroica si eleva, solenne e severa, la gradinata che custodisce, in

ordine alfabetico dal basso verso l’alto, le spoglie di 40000 caduti noti ed i cui nomi figurano incisi in singole

lapidi di bronzo. La maestosa scalinata, formata da 22 gradoni su cui sono allineate le tombe dei caduti, sul

davanti ed alla base della quale sorge, isolata quella del Duca d’Aosta comandante della Terza Armata,

fiancheggiata dalle urne dei suoi Generali caduti in combattimento, è simile al poderoso e perfetto

schieramento d’una intera grande Unità di centomila soldati. Il Duca d’Aosta, morto nel 1931, per sua

volontà è stato qui portato a riposare in eterno tra i suoi soldati. La tomba è ricavata in un monolito in

porfido del peso di 75 tonnellate. Nell’ultimo gradone, in due grandi tombe comuni che fiancheggiano ai

lati la Cappella votiva, si trovano custodite le salme di 60000 caduti ignoti e, vicine, quelle, identificate, di

72 marinai e 56 guardie di finanza. Alla sommità del monumento dominano tre grandi croci di bronzo,

simbolo del sacrificio divino e, nello stesso tempo, speranza di ascesa a Dio: com’è anche nel significato

spirituale che ha ispirato l’architettura del monumento che si eleva, stagliandosi nettamente nel circostante

panorama, verso il cielo. Nei locali dietro la Cappella votiva si trovano i musei coi cimeli dei caduti, che

riposano nel Sacrario.

Il Sacrario venne realizzato nel 1938 su progetto dell’architetto Giovanni Greppi e dello scultore Giannino

Castiglioni. Alla sommità del monumento, su di un pianoro verdeggiante, si trova l’Osservatorio dal quale si

domina per ampio raggio la zona circostante e si possono individuare, mediante l’ausilio di un apposito

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plastico in bronzo, le località e le quote a cui è maggiormente riferita la storia dei gloriosi caduti qui

tumulati.

Il Colle S.Elia

L’altura di Colle Sant’Elìa ospitava il vecchio cimitero, che fu il primo Sacrario di Redipuglia e che è ancora

oggi caro al ricordo di quanti lo videro nella sua primitiva caratteristica struttura. Le tombe dei Caduti erano

disposte a gironi concentrici ed alternati a originali cimeli di guerra armi, congegni, suppellettili ed altri

oggetti cari al fante identificati ciascuno da poetiche epigrafi. L’opera, pur tanto bella e caratteristica nella

sua estrema semplicità, non aveva una struttura tale che potesse garantire a lungo la buona conservazione

delle spoglie e dei cimeli che il passare degli anni e le intemperie avrebbero certamente danneggiato. Fu

per questo necessario trasferire le salme nell’attuale Sacrario monumentale che per la sua poderosa

costruzione ne assicura la perpetua conservazione. I cimeli sono stati invece trasferiti in vari musei, tra cui

quelli annessi al Sacrario.

Il Colle è ora sistemato a “Parco della Rimembranza”; è adornato da alti cipressi e prati in lieve pendio, percorsi da agevoli sentieri inframmezzati da opere militari riportate alla luce, camminamenti, caverne, trincee, postazioni per mitragliatrici e mortai , che testimoniano la formidabile sistemazione difensiva del colle, realizzata dagli austriaci e, dopo la nostra conquista, completata ed utilizzata dagli italiani. Dal piazzale di arrivo davanti alla Casa “Terza Armata”, un viale a gradinata adduce allo spazio ricavato alla sommità del colle, da cui si domina, per largo raggio, la vastissima pianura isontina. Al centro dello spiazzo, per ricordare i caduti di tutte le guerre, sorge, su un terrapieno erboso a tronco di piramide, un semplice ma suggestivo monumento costituito da un frammento di antica colonna romana, proveniente dagli scavi di Aquileia, sistemato su uno zoccolo di marmo. Sul colle, lungo il viale, sorgono 36 cippi in pietra del Carso alla sommità dei quali è posta una riproduzione in bronzo dei tipici cimeli che caratterizzavano un tempo, il cimitero originario con quella particolare fisionomia tanto cara al ricordo dei vecchi combattenti.

Il Tempio Ossario di Timau

L’opera di trasformazione dell’antico Santuario del Cristo in Tempio Ossario fu realizzata negli anni 1936/37; venne inaugurato nel novembre 1937 e consacrato nel maggio 1939. All’interno e all’esterno del Tempio, vi sono custodite le spoglie di 1764 caduti provenienti dal fronte dell’Alto But e dintorni. Delle 1764 salme 1466 sono note e 298 ignote (vi sono compresi 73 austroungarici di cui solo otto noti). All’interno, oltre alle figure del fante e del crocifisso di G. Castiglioni e le pitture realizzate da Vanni Rossi e

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Giovanni Pellis, é esposta la “Madonna della Neve” opera del pittore Fragiacomo di Venezia, realizzata nel 1916 per la cappelletta del Pal Grande voluta da Don Janes e dal Ten. Col. Ugo Pizzarello, cappellano e comandante del Btg. “Tolmezzo”.

Il Sacrario di Asiago Il sacrario militare di Asiago

La sua sagoma, alta e imponente, si staglia netta nel vasto panorama circostante a perenne ricordo dei fatti che dal 1915 al 1918 fecero dell’Altopiano di Asiago l’epicentro di lotte sanguinose e di innumerevoli eroismi. È costituito da un unico piano, a pianta quadrata, in cui è ricavata la cripta con i loculi dei caduti disposti lungo le pareti di gallerie perimetrali ed assiali al cui centro è la Cappella Votiva. Al di sopra della cripta si apre l’ampio terrazzo al cui centro sorge un arco quadrifronte alto 47 metri. Ai quattro lati del terrazzo, nel parapetto della balconata, sono incisi ed indicati da frecce i nomi delle località dell’altipiano storicamente più importanti. Nel Sacrario sono custoditi 12.795 caduti noti della prima guerra mondiale, più 3 caduti anch’essi identificati della seconda guerra mondiale, i cui nominativi sono incisi, in ordine alfabetico, da sinistra a destra, sui singoli loculi. I resti mortali di 21.491 Caduti ignoti sono raccolti in grandi tombe comuni nelle gallerie centrali più prossime alla cappella. Fra i noti riposano 12 caduti decorati di Medaglia d’Oro al V.M. Nel Sacrario giacciono anche 20.000 Caduti austro-ungarici, di cui 8.238 noti e noti non identificati, provenienti da vecchi cimiteri di guerra dismessi a suo tempo dislocati in varie località italiane. In totale nel Sacrario vi sono quindi raccolti 54.286 caduti della guerra 1915-1918 e 3 della guerra 1940-1945.

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Il Sacrario Militare di Fagarè della Battaglia

Il primo monumento agli "Eroi del Piave" fu realizzato nel 1919 da Alterige Giorgi di Carrara. Comprendeva

quattro bassorilievi in marmo dello scultore triestino M.Mascherini ispirati agli episodi della guerra: 24

maggio 1915 "L'entrata dell'Italia in guerra" - 24 ottobre 1917 "La barbarie nemica sul suolo della Patria" -

15 giugno 1918 "Di qui non si passa" - 3 novembre 1918 "Trionfo delle armi italiane". Nel 1935 il

monumento originario fu racchiuso al centro della grande esedra del Sacrario Militare di Fagarè costruito su

progetto dell'architetto P.Del Fabbro, e in seguito nel 1942 ne fu rimosso. Alla distruzione ordinata dagli

ufficiali tedeschi sfuggirono i quattro bassorilievi, nascosti dalla popolazione, e rimessi nel 1942 nella loro

posizione attuale, sulle facciate laterali degli avancorpi dell'esedra. All'inaugurazione del Sacrario avvenuta

nel 1933 intervennero il re d'Italia e Achille Starace. Nelle navate laterali del monumento sono contenute le

salme di 5191 soldati e di 5350 soldati ignoti caduti nel primo conflitto mondiale.Vi sono anche le due

medaglie d'oro Ten.Col. E.Paselli e Magg. F.Mignone.Altre cinque medaglie d'oro, i cui corpi non sono stati

riconosciuti, sono nominate in una iscrizione. Nel sacrario è sepolto anche il tenente Edward McKey,

ufficiale della croce rossa americana e amico personale dello scrittore Ernest Hemingway. A suo ricordo

Hemingway scrisse una poesia il cui testo, scolpito in ferro dallo scultore Simon Benetton è visibile nella

cappella centrale del monumento. In una grande lapide della cappella centrale sono elencati i 27 soldati

decorati di medaglia d'oro al Valore Militare, caduti sul Piave nel settore della III Armata. Nel giardino del

monumento sono conservati i frammenti di muro su cui ignoti scrissero, durante la Battaglia del Solstizio

(15-24 Giugno 1918), le due famose frasi "E' meglio vivere un giorno da leone che cent'anni da pecora" e

"Tutti eroi. O il Piave o tutti accoppati". Il cippo in marmo del portabandiera, al centro del giardino, ricorda i

caduti della II Guerra Mondiale. All'interno del monumento si può visitare un piccolo museo, realizzato

anche con numerose donazioni di reduci, contenente uniformi, armi, munizioni e documenti. Attualmente è

sede di commemorazioni ricorrenti nelle date del 25 aprile e 4 novembre.

- S.Biagio di Callalta.

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Sacrario - Sacello del Pasubio

Sorge sul Colle Bellavista. Eretto dall'architetto Ferruccio Chemello, fu inaugurato nel 1926. Si compone di un basamento sormontatoda una terrazza sulla quale si innalza una torre. Tutto il complesso è alto 35 metri. Nel basamento si apre la porticina di ferro battuto, opera di Umberto Bellotto,che dà accesso all'ossario. Uno stretto corridoio segue il perimetro dell'edificio ,sul quale si aprono celle chiuse da porte traforate, attaverso le quali sono visibili le ossa e i teschi dei caduti ignoti, lì tumulati . L'Ossario raccoglie le salme di 13.000 caduti italiani e austriaci noti e ignoti. Il sacello fu decorato da Tito Chini.

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Sacrario del Montello

Progettato dall’architetto Felice Non di Roma, il Sacrario venne ultimato nel 1935. È situato sul Colesel delle Zorle, a circa due chilometri dall’abitato di Nervesa della Battaglia da cui si accede a mezzo di una strada ad ampio tornante, ombreggiata da pini.Vi riposano 9.325 Caduti di cui solo 6.099 identificati.È un imponente monumento dalla forma particolarissima visibile a grande distanza. Consta di un’alta e massiccia torre a base quadrata rastremata verso l’alto, ispirata all’antica arte fortifieatoria, arditamente protesa al cielo, contenente il Sacrario vero e proprio, nelle cui facciate occhieggiano, simili a grandi feritoie, tre ordini di nicchie tra mezze colonne tagliate da fasce sovrapposte. Sul davanti ed al centro, lo stile marziale della costruzione è ingentilito da un classico portale a colonnato da antico tempio. Più sotto, alla sommità di una grande scalea in pietra che sale tra due robusti contrafforti anche in pietra, inquadrati da verdi scarpate, si apre il grande portone in bronzo da cui si accede all’interno del Sacrario. L’interno dell’edificio, altrettanto singolare quanto l’esterno, è formato da vari ripiani e corridoi laterali in marmo, in parte illuminati dall’alto, ed alle cui pareti sono disposte le tombe delle Medaglie d’Oro ed i loculi contenenti le Spoglie degli altri Caduti. Al centro ed in posizione intermedia tra i ripiani è situata la cappella votiva. Un’artistica intersezione di scale sorrette da pilastri in pietra poggianti su archi produce un giuoco architettonico di chiaroscuri di effetto suggestivo.Alla sommità dell’incrocio di scale si arriva nell’interno del torrione, che riceve luce attraverso una snella copertura piramidale recentemente realizzata in lastre traslucide di policarbonato; inoltre quattro finestroni danno accesso alle loggette pensili da cui lo sguardo abbraccia l’intera zona della battaglia del Montello dominando, per ampio raggio e nelle giornate limpide, il corso del Piave fino al mare.

Presso la casa del custode, in un apposito locale, vengono proiettati documentari tratti dalle riprese cinematografiche dell’epoca.

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Maria Dolens, la campana della pace di Rovereto

La Campana più grande del mondo che suoni a distesa è stata ideata dal sacerdote roveretano don Antonio

Rossaro, per onorare i Caduti di tutte le guerre e per invocare pace e fratellanza fra i popoli del mondo

intero. Venne fusa a Trento il 30 ottobre 1924 col bronzo dei cannoni offerto dalle nazioni partecipanti al

primo grande conflitto mondiale. Fu battezzata il 24 maggio 1925, col nome di ‘Maria Dolens”. Non

corrispondendo al suono voluto, la Campana venne rifusa a Verona il 13 giugno 1939 e ritornava a Rovereto

il 26 maggio 1940 per riprendere così la sua alta missione di pace e fratellanza universale. Il 31 agosto 1960,

per una grave, irreparabile incrinatura la Campana cessava di suonare ed il 1° ottobre 1964, grazie

all'apporto finanziario dei Lions Club d’italia, veniva rifusa presso le fonderie Capanni a Castelnovo ne’

Monti (Reggio Emilia). E’ stata benedetta a Roma, in Piazza San Pietro, dal Santo Padre Paolo VI il 31

ottobre 1965 ed il 4 novembre la Campana ritornava trionfalmente a Rovereto e veniva collocata sul Colle

di Miravalle. Sul manto di “Maria Dolens” sono incisi gli augusti autografi dettati dai Sommi Pontefici Pio

XII: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra". Giovanni XXIII: "In pace

hominum ordinata concordia et tranquilla libertas". A coloro che davanti alla monumentale Campana

reciteranno un Requiem per i Caduti, i Sommi Pontefici Pio XI e Pio XII hanno concesso una particolare

indulgenza. La Campana suona tutte le sere cento solenni rintocchi per onorare i Caduti di tutte le guerre e

per invocare pace e fratellanza fra i popoli del mondo intero.

Dimensioni della Campana

altezza m.3,36

diametro m. 3,21

peso 226,39 q.li

peso battaglio 6,00 q.li

peso ceppo 103,00 q.li

Sacrario Militare di Pocol

Sorge a quota 1535 m, presso la rotabile Cortina-Passo Falzarego, in località Pocol a pochi Km da Cortina d'Ampezzo. Costruito nel 1935 su progetto dell'Ing. Giovanni Raimondi, il Sacrario è costituito da una massiccia torre quadrata, alta 48 metri, poggiante su un basamento a due piani. Vi sono custoditi i resti di 9.707 caduti italiani, provenienti dai vari cimiteri di guerra del Cadore e dell'Ampezzano, di cui 4.455 rimasti ignoti, oltre a quelli di 37 caduti austro-ungarici noti, provenienti dai vicini cimiteri di guerra. Nella cripta situata al centro della torre, in un monumento raffigurante il "Fante morto", si trovano le tombe delle M.O. Gen. Antonio Cantore e Cap. Francesco Barbieri, caduti il primo nella zona delle Tofane e l'altro presso Costabella. Nel piano soprastante si trovano le tombe di altre due M.O., Cap. Riccardo Bajardi, caduto eroicamente a Cima Sief e Ten. Mario Fusetti, eroe del Sasso di Stria. Le spoglie degli altri caduti sono raccolte in loculi disposti lungo le pareti interne dei corridoi. All'ingresso della zona monumentale, due busti in pietra raffiguranti "Alpini di guardia" provenienti dal gruppo marmoreo del monumento al Gen. Cantore in Cortina d'Ampezzo. Al centro del retrostante piazzale, l'artistica fontana con l'effige del leone di

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S.Marco, che si trovava prima in una piazza di Cortina. A destra dello stesso piazzale sorge ancora la chiesetta costruita nel 1916 dagli alpini del 5° gruppo, quale cappella del vecchio cimitero di guerra. Le tavole in bronzo di un'artistica Via Crucis fiancheggiano la gradinata d'accesso.

Sacrario Militare di Pian di Salesei (Col di Lana)

Si trova nell'alta Val del Cordevole, lungo la rotabile che da Caprile, per Digonera, s'innesta a valle di Pieve di Livinallongo, nella statale 48 delle Dolomiti. Vi sono raccolti i resti di 704 caduti noti, tra cui 19 austro-ungarici, e 4.705 caduti rimasti sconosciuti. Il Sacrario è stato costruito nel 1938, su progetto dell'arch. Giovanni Greppi e dello scultore Giannino Castiglioni, in sostituzione del vecchio cimitero di guerra che esisteva in quella zona, ai piedi del Col di Lana. Visto dall'alto della strada delle Dolomiti, il Sacrario appare come una grande croce sormontata dalla vecchia chiesetta alpina che già esisteva nel vecchio cimitero di guerra. Nella costruzione, in muratura, sono disposti, in file sovrapposte, i loculi chiusi da laster di marmo verde con incisi il nome ed il grado di ciascun caduto.

Sacrario Germanico di Passo Pordoi

Sorge a quota 2.239 metri, poco ad est del Passo, sulla strada delle Dolomiti. Il complesso monumentale comprende un torrione a pianta ottagonale con un largo basamento circolare a due ripiani. Nella cripta centrale sono stati raccolti, in una tomba comune, i resti di 454 caduti germanici e di 8.128 caduti austro-ungarici provenienti dai vari cimiteri di guerra. Nei ripiani esterni sono invece tumulati, in tombe singole o combinate, i resti di 842 caduti tedeschi della Wehrmacht della 2° guerra mondiale, provenienti dai cimiteri ubicati nella zona di Belluno.

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Chiesetta di Mussoi (Belluno)

Alla periferia di Belluno, nella località di Mussoi, lungo la strada per agordo, nel 1936 venne costruita una chiesa dedicata a i caduti bellunesi della guerra 1915-1918. La chiesa, progettata dall'arch. Alpago Novello di Belluno, ha un caratteristico portale in bronzo su cui sono riportati in altorilievo i nomi dei 411 caduti. I loro resti sono raccolti in due cappelle laterali con le lapidi nominative. Nella cappella di sinistra un altorilievo in bronzo ricorda il Sergente aviatore Arturo Dell'Orso, decorato di M.O. Nell'altra cappella una targa rievoca le gesta dell'avv. Iacopo Tasso, fucilato dagli austriaci.

ELENCO DEI SOLDATI QUI TUMULATI ( Archivio F.Licini)

Quero - Col Maor : Il Sacrario militare germanico

Il monumento sorge sul Col Maor, colle di Quero proteso sul Piave, nel punto in cui il fiume lascia le montagne bellunesi per distendersi nella pianura trevigiana. Nel cimitero riposano le spoglie di 229 soldati appartenenti al Corpo Alpino Germanico, e di 3232 soldati austroungarici.Il monumento fu costruito dal '36 al '39 interamente con blocchi di porfido proveniente dal Passo Rolle. Il progetto fu realizzato dall'architetto R.Tischler, in collaborazione con il Bundesbauleitung di Monaco. Dalla casa del custode si percorre a piedi un sentiero che attraverso il frutteto conduce al colle e qui sale su pendii erbosi fino all'ingresso del mausoleo.Tramite una scalinata si accede al lungo vestibolo della Sala d'Onore. Le pareti sono rivestite in tufo della Carnia, il pavimento è costituito da lastre di porfido (nella Sala d'Onore sono di marmo rosso) lunghe 40 cm. messe in posa in verticale. Al termine del vestibolo si trova la Croce Nera Austriaca, emblema dell' Onorcaduti dell'Austria.A metà del vestibolo tramite tre porte si accede al punto centrale del cimitero. Davanti al visitatore si trova l'altare, un blocco unico di granito nero svedese, su cui sono collocati i libri contenenti i nomi degli 865 caduti noti ed i luoghi da cui provengono le salme. La Sala d'onore prende luce da un'unica apertura circolare nella volta: l'ambiente è volutamente lasciato in ombra perchè chi entra si debba soffermare prima di poter cogliere tutti i particolari. Oltre la parete di fronte all' ingresso, all'altezza dello sguardo dei visitatori, si trovano le spoglie dei 3461 caduti, sepolte nello stesso luogo senza alcuna distinzione.Infatti cosi' ricordano le parole dei 12 soldati raffigurati nei mosaici alle pareti: "Stavamo insieme nei ranghi schierati, stavamo insieme in vita. Perciò uguale croce ed uguale onore furono a noi dati sulla tomba.Ora ci riposiamo dall'infuocata lotta e consolati aspettiamo l'eternità"

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Ossario Italiano del monte Grappa

Vi sono custoditi i resti mortali 12.615 caduti italiani, di cui 10.332 ignoti. Il sacrario venne costruito nel 1935 su progetto dell'architetto Giovanni Greppi e dello scultore Giannino Castiglioni. I loculi sono distribuiti in cinque gironi concentrici, degradanti a tronco di cono, dell'altezza ciascuno di 4 metri. I soldati noti sono in urne singole, distribuite in ordine alfabetico, coperte da una lastra di bronzo con il nome e le decorazioni. I caduti ignoti sono in urne comuni più gradi, che si alternano alle piccole urne singole. Tra il 4° e il 5° anello si trova la tomba del Maresciallo d'Italia Gaetano Giardino, che prima di morire, nel 1935, aveva espresso il desiderio di essere seppellito tra i suoi soldati della "Armata del Grappa". Una grande scalinata composta da cinque rampe di scalini, porta sulla cima del monte e del sacrario, dove si erge il santuario della Madonnina del Grappa. Il tempietto di forma circolare, coperto da una cupola metallica e sovrastato da una grande croce, custodisce la Madonna del Grappa, mutilata nel gennaio 1918 da una granata austriaca e pazientemente ricomposta. L'effige della Madonna venne consacrata dal Cardinale Sarto, poi Papa Pio X. Dal piazzale del tempietto parte un grande viale lastricato in pietra bianca, la Via Eroica, che dopo circa 250 metri raggiunge il Portale Roma, passando attraverso due file di grandi cippi che ricordano i luoghi delle principali battaglie. Al termine della Via Eroica sorge un massiccio edificio in blocchi di pietra, il Portale Roma, che nella parte superiore ricorda un enorme sarcofago. Questa costruzione è stata regalata dalla città di Roma e progettata dall'architetto Alessandro Limongelli e permette di accedere al sacrario preesistente a quello attuale, che è ricavato sottoterra e accessibile anche tramite la galleria Vittorio Emanuele III. Sopra il Portale Roma si trova l'osservatorio dove una planimetria in bronzo consente di identificare i luoghi di interesse storico circostanti.

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Foto di Angelo Negroni

Ossario Austro-Ungarico del monte Grappa

La parte dell'Ossario dedicata all'esercito Austro-Ungarico conserva le salme di 10.295 caduti dell'impero,di cui 10.000 ignoti. I sacelli di forma semicircolare posti su tre file orizzontali si trovano nella parte superiore della costruzione lungo pareti anch'esse semicircolari e sovrapposte. E' interessante notare i nomi dei vari caduti che testimoniano le molte e diverse nazionalità di cui era composto l'esercito asburgico e che qui, lontani dalle loro patrie, hanno avuto il loro olocausto.

Foto di Angelo NegroniGentilmente concessi da www.montegrappa.org

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Sacrario di Rovereto

Sorge sulla sommità del Colle Castel Dante, sulle rovine della rocca in cui si narra abbia soggiornato il poeta, intorno al 1310, ospite dei Castelbarco, signori di Rovereto. Il luogo era già stato trasformato in cimitero di guerra. La monumentale costruzione risale tra il 1936/38, su progetto di Biscaccianti. Di aspetto imponente, èa corpo cilindrico a due piani, collegati da scale interne. Al piano superiore si trova la porta d'ingresso a cui si accede dall'esterno tramite una grande scalinata. Qui si trovano la cappella e le tombe dei patrioti roveretani Fabio Filzi e Damiano Chiesa. Nei piani inferiori sono raccolte le spoglie di oltre 20.000 caduti della Grande Guerra: italiani, austriaci, cecoslovacchi e ungheresi. Al piano terra, al centro del colonnato, si erge il busto del comandante della Prima Armata: il maresciallo d'Italia Pecori Giraldi. Una lapide su cui arde una lampada perenne, ricorda le Medaglie d'Oro della Legione Trentina. Nel piazzale esterno alcune sculture ricordano il sacrificio dei nostri Patrioti. Ai margini della strada di accesso sono visibili alcune opere militari costruite dalla Brigata Mantova dopo la conquista della posizione nel 1915.

Dal Sacrario, continuando a salire verso il monte Zugna, inizia la Strada degli Artiglieri, che porta infisse nella roccia le lapidi con i nomi di 120 artiglieri Medaglie d'Oro. Qui correva il fronte di guerra italo - austriaco. La strada lunga 4 km termina in un piazzale, dove si tro va la baita degli alpini. Duecento metri prima un sentiero segnalato conduce alle orme dei dinosauri. Dal piazzale, per chi vuol proseguire a piedi, una mulattiera porta alla grotta dove si trova un pezzo di artiglieria da 149 G puntato su Rovereto. Delle lapidi ricordano il sacrificio di Damiano Chiesa che qui venne catturato.

Foto di Roberto del Gruppo Alpini di Campagnola

Sacrario Militare del Lido di Venezia

Il Sacrario militare del Lido di Venezia, si trova al di sotto del TempioVotivo che si affaccia sulla laguna di

Venezia e raccoglie le spoglie di 3190 caduti nelle due guerre mondiali. Della prima guerra mondiale sono

raccolte le spoglie di 2691 caduti provenienti dai cimiteri di guerra di Venezia, Ca’Gamba, Gambarare,

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Chioggia, tra questi 108 sono decorati al Valor Militare e 403 ignoti. Dal cimitero dell’Istria nel 1947 furono

trasferite le spoglie dell'irredento Nazario Sauro, medaglia d'oro al VM impiccato a Pola il 10 agosto 1916, e

di Giovanni Grion caduto in zona altopiano di Asiago il 16 giugno 1916. Della IIa guerra mondiale sono

raccolte le spoglie di 499 caduti, di cui 58 decorati al VM e 119 ignoti. In una cappella a parte trovano posto

le tombe dei 46 ufficiali italiani trucidati dai tedeschi a Trilj il 1 ottobbre 1943.

L'ELENCO DEI CADUTI QUI TUMULATI Per gentile concessione di http://tempiovotivo.altervista.org/

Sacrario di Caporetto

Il Sacrario di Caporetto si trova in territorio Sloveno (Kobarid) sul colle Gradic. Vi si accede attraverso una strada ai margini della quale sono disposte le stazioni della Via Crucis. La costruzione dell'ossario richiese tre anni, terminato nel settembre del 1938, fu inaugurato da Mussolini. I progetti sono dello scultore Giannino Castiglioni e dell'architetto Giovanni Grappi. Ha forma ottagonale ed è costituito da tre gradoni concentrici degradanti verso l'alto. Al culmine si trova la chiesa di S. Antonio consacrata nel 1696. Nell'ossario furono trasportate le salme di 7014 soldati italiani, noti ed ignoti, caduti durante la prima guerra mondiale, prelevate dai cimiteri di guerra dei dintorni . I loro nomi sono incisi in lastre di serpentina verde. Ai fianchi della scalinata centrale sono disposti i loculi contenenti i resti di 1748 militi ignoti.

foto di Fabrizio De Luca

Sacrario di Oslavia

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Il sacrario di Oslavia eretto nel 1938 raccoglie 57.000 caduti di cui 36.000 ignoti e 540 austriaci dei campi dalla Bainsizza al Vipacco, tra questi caduti vi sono ben tredici decorati con medaglia d'oro al valor militare. Al centro della cripta trova posto la tomba del Generale Achille Papa, il generale bresciano Medaglia d’Oro, ucciso il 5 ottobre 1917 sulla Bainsizza, in prima linea, dalla fucilata di un "cecchino". La campana "Chiara" suona ogni giorno al Vespro.

foto di Fabrizio De Luca

Tempio Ossario di Udine

Il 12 luglio 1925 ci fu la posa, da parte di S.E. Mons. Anastasio Rossi, Arcivescovo di Udine, e la

benedizione della prima pietra del solenne e sacro Tempio Ossario in Udine che vedrà l'inaugurazione

quindici anni più tardi, il 22 maggio 1940. Promotore indefesso della grandiosa opera fu Don Clemente

Cossettini, allora parroco di san Nicolo, la cui comunità parrocchiale, da allora trovò dimora nella stessa

sacra costruzione. In questo tempio vengono custodite le salme di ben 25.000 giovani soldati caduti nella

prima guerra mondiale (1915-1918). I lavori per la costruzione dell'opera, progettata dall'architetto Provino

Valle, e pensata solo per la chiesa parrocchiale e come Tempio votivo di San Nicolo, continuarono fino al

1927 quando si pensò di trasformare il sacro edificio in un Tempio Ossario che accogliesse appunto le

25.000 salme di caduti sepolti provvisoriamente in piccoli e sperduti cimiteri del territorio friulano. Il

progetto iniziale fu, perciò, modificato ad opera degli architetti A. Limongelli e P. Valle, fino a raggiungere la

definitiva, solenne ed inconfondibile fisionomia. Nella pianta a croce latina il Tempio rispetta l'originario

schema romanico-basilicale, dilatato con epicità di respiro. La facciata venne ridotta dalle forme

verticalizzate e leggermente rococò ideata dal Valle a un trapezio di disadorna essenzialità, nella quale si

scava l'altissimo portone ad arco. Il corpo longitudinale è diviso all'interno in tre navate, una centrale e due

laterali fiancheggiate da cappelle, da trenta colonne poligonali in marmo rosso di Verzegnis. Il transetto si

articola in tre absidi, quella centrale e due alle estremità del braccio. Il vasto e solenne presbiterio, al cui

centro si staglia l'altare con il Crocifisso di Aurelio Mistruzzi, è dominato dalla cupola, coperta da lastre di

rame e sormontata da una croce dorata. Detta cupola si slancia a 64 metri d'altezza! Sedici finestroni

basilicali aperti sul tamburo lasciano piovere all'interno una luce diafana, che crea intensi contrasti con la

penombra dei pilastri e delle volte. II soffitto a cassettoni della cupola e delle navate movimenta

l'uniformità delle superfici di liscia e nuda lucentezza geometrica. Si creano, così, vasti spazi intensi e severi,

carichi di un senso come stupito di dolente riflessione. La cripta, la più vasta aula sotterranea tra le chiese

d'Italia, è tripartita da venti giganteschi pilastri in travertino, collegati da architravi intrecciati linearmente.

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All'esterno, sulla facciata, si ergono le quattro gigantesche statue dell' Alpino, del Fante, dell' Aviatore e del

Marinaio, scolpite in pietra piasentina, opera dello scultore Silvio Olivo. Le statue furono dal gesso, tradotte

in pietra nel 1950. Completano il patrimonio artistico della parrocchiale le stazioni della Via Crucis, la bella

vetrata del Battistero e, più recentemente, tre pale attribuite rispettivamente alla scuola dei Bassano, a

Palma il Giovane e ad Antonio Balestra.

Foto di Giovanni Saitto

Sacello - Ossario del Monte Cimone

Estrema propaggine meridionale dell’Altipiano di Tonezza, collegato a quest’ultimo mediante uno stretto

corridoio di terreno, il Monte Cimone rivestì un ruolo d’importante posizione strategica nel corso

dell’offensiva austriaca del maggio-giugno 1916 (Strafeexpedition) e durante la successiva controffensiva

italiana. Il possesso della cima garantiva infatti un efficace controllo sulle sottostanti vallate dell’Astico e del

Posina, importanti direttive di sbocco dal Trentino verso la pianura veneta. Occupata dagli austriaci il 24

maggio 1916, la vetta venne a duro prezzo espugnata dalle truppe italiane nel corso del luglio successivo. I

Comandi austriaci, decisi ad eliminare la minaccia italiana sovrastante le loro linee, fecero piazzare una

gigantesca mina sotto la cima del monte. I 14200 chilogrammi di sostanze esplosive furono fatti brillare alle

ore 5.45 del 23 settembre 1916, sconvolgendo la vetta del Cimone e seppellendo l’intera Brigata di fanteria

“Sele” ivi dislocata. Nel primo dopoguerra furono recuperati i resti di 1210 caduti – tutti ignoti - i quali

furono inumati in un unico vano costituente il vero e proprio Ossario. Sopra di esso – su progetto

dell’ingegner Thom Cevese – fu costruito un Sacello quadriportico al cui centro venne collocato un piccolo

altare ricavato da una pietra tolta dal cratere causato dall’esplosione. Alla sommità del Sacello due

basamenti sovrapposti a pianta ottagonale sostengono una svettante cuspide sormontata da una croce in

ferro. Sul frontone del Sacello una lapide ricorda che “SEPOLTI DA MINA NEMICA QUI DORMONO MILLE

FIGLI D’ITALIA”. Il Sacello-Ossario venne ufficialmente inaugurato il 28 settembre 1929 alla presenza del

Principe Umberto di Savoia. Sul lato occidentale dell’antistante spiazzo due lapidi poste a terra ricordano un

ex cimitero militare e i gloriosi militi caduti. Lungo il sentiero d’accesso alla cima – in zona d’operazioni

austriaca – un’altra iscrizione bilingue ricorda la presenza in loco del Reggimento dei Fucilieri volontari

Carinziani e dei loro caduti. Come raggiungere il Sacello-Ossario: Da Tonezza del Cimone una comoda

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rotabile attraverso le contrade Costa e Campana giunge ad un ampio piazzale nei pressi della cima. Da lì,

per un breve sentiero, si raggiunge il sito in pochi minuti di cammino.

Foto e testo di Leonardo Pianezzola

Sacrario Austro-Ungarico dell'Asinara

Il Sacrario Austro-Ungarico dell'isola dell'Asinara in Sardegna raccoglie i resti dei prigionieri di guerra del campo di concentramento dell'Asinara. Sulla storia dei deportati A-U in questo campo di prigionia si leggano alcuni articoli tratti da "L'Unione Sarda"

Foto di Davide Scarpa

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Sacrario Militare nel cimitero civile di Brescia

Foto di Ivano Baronio

Sacrario militare di Passo Resia

Si trova presso la strada statale che da Merano per Malles conduce al valico di confine di Passo Resia, nei pressi di Bugusio. Realizzato da Giovanni Greppi e dallo scultoreGiannino Castiglioni nel 1939 raccoglie i resti di 312 Caduti, nove dei quali sono ignoti, tutti provenienti dai cimiteri dismessi di dieci varie località dell'alta Val d'Adige.

........Foto di Maria Pia Roselli................Foto di G.P. Bertelli...........

Ossario ''Madonnina del Grappa'' di Cremona

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Archivio e foto di Enzo1966

Sacrario Francese di Pederobba

Il Sacrario raccoglie le spoglie di 863 soldati francesi che sono state riesumate da vari piccoli cimiteri militari e venne costruito dai francesi quasi in contemporanea con quello costruito dagli italiani a Bligny. Esso ha l’aspetto di una grande parete e per tutta la sua lunghezza sono cementate alla base delle piccole lapidi con scritti i nomi dei caduti, mentre nella parte centrale, staccato dalla parete stessa, è stato eretto un maestoso monumento che raffigura una mamma francese ed una italiana che sorreggono assieme sulle loro ginocchia il figlio francese caduto in combattimento. La maggioranza dei soldati francesi caduti facevano parte della 37ª Divisione francese che combatté aspramente per la riconquista il 30 Dicembre 1917 del Monte Tomba. Per arrivarci seguire l’autostrada A27 con uscita a Treviso Sud e poi prendere la statale 348 fino a Pederobba.

foto e testo di Flavio Faggian

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Sacrario di Bezzecca

Il Sacrario militare si trova all'interno della seicentesca chiesa di Santo Stefano, che si trova sull'omonimo colle, sopra la Valle di Ledro. Nella chiesa, divenuta sacrario militare nel 1938 si trovano i resti di sessantuno garibaldini che presero parte alla campagna d'indipendenza del 1866 , oltre a trentasette Caduti della grande guerra, i cui resti sono stati traslati dai vicini cimiteri di guerra. Sul colle oltre ad una colonna con la scritta Obbedisco restano inoltre anche i segni di gallerie, postazioni e camminamenti realizzati nella guerra 1915-1918.

foto di Ivan Baronio

Sacrario Militare nel cimitero Monumentale del Verano a Roma

Ossario militare di Camerlata (Como)

foto di Bruno Iacovone

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Santuario di S.Valentino

Il bel santuario sorge a fianco della ripida e sterrata ex strada militare camionabile, costruita nel 1915, che dalla Vallagarina sale al Passo Buole, conosciuto come "Le Termopili d'Italia". Al termine del conflitto, il santuario di San Valentino, che aveva ospitato feriti e moribondi, fu elevato a sacrario e si progettò di costruirvi l'Ossario per i poveri resti dei caduti negli aspri combattimenti del 22-31 Maggio 1916, che sul Passo fermarono, in questo settore, la Strafexpedition austroungarica. Ossario che invece fu poi edificato a Castel Dante, sopra Rovereto. Al giorno d'oggi conserva alcune lapidi in ricordo di quegli eventi, oltre a numerose opere militari nei dintorni.

foto e testo di Valerio Botto

Sacrario di Caprarola (VT)

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foto di Maria Cristina Cavasicci

Sacrario di Castrocaro Terme

foto Roselli - Cavasicci

Chiesa sacrario di Comacchio

foto Roselli - Cavasicci

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Firenze Piazza Santa Croce, sacrario dedicato ai

caduti in guerra

Il sacrario si trova adiacente l'abside della basilica

foto di Luciano Cavasicci

Sacrario dei Caduti d'oltremare di Bari

Pur essendo considerato, quello di Bari, un sacrario militare della seconda guerra mondiale, merita di essere ricordato in questa sezione perche' al suo interno oltre alle spoglie dei soldati italiani caduti durante il secono conflitto mondiale, sono raccolte anche quelli di quanti morirono in Albania durante la Grande Guerra. Inaugurato nel 1967 vi sono custoditi i resti mortali di oltre 75.000 caduti di cui 45.000 ignoti, riportati in patria a seguito della dismissione dei cimiteri di guerra a suo tempo costruiti nei territori d'oltremare dove operarono le unita' italiane durante il primo e secondo conflitto mondiale. Recentemente vi sono stati sistemati anche i resti mortali di quanti militari e civili sono deceduti in campi di concentramento o di lavoro istituiti dopo l'8 settembre 1943 nel territorio della ex Repubblica Democartica Tedesca. All'interno del sacrario , oltre alla sala video, alla sala liturgica e varie salette commemorative e' presente anche un vasto museo storico con cimeli e documenti che vanno dalla campagna d'Eritrea del 1882 alla fine della seconda guerra mondiale. Il sacrario e' cirocandato da un ampio parco dove oltre ai vari monumenti commemorativi e' stata collocata una campana , donata da enti e associazioni combattentistiche di Bari e della Puglia che al tramonto batte nove solenni rintocchi a ricordo di tutti i Caduti.

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foto di Dario Petucco

Sacrario Militare Italiano di Zara – Croazia

Il sacrario, sito al’interno del cimitero civile, raccoglie le spoglie di 89 soldati italiani. I loculi

sono disposti su quattro piani e ogni loculo è chiuso con una lastra di travertino arcuata

riportante il nome del caduto. Al centro si erge un altare circondato da un’aiuola.

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foto di Rina Villari

Sacrario militare di Colle Isarco

Si trova presso la strada statale del Brennero. È opera dell'architetto Giovanni Greppi e dello scultore

Giannino Castiglioni, ed è stato realizzato nel 1937.

Il sacrario è stato ricavato all'interno della parete della montagna che guarda la strada statale. I Caduti sono

stati sepolti in loculi disposti su tre righe orizzontali; di fronte a queste sepolture si trova un altare, sopra un

blocco di granito, con una lastra di bronzo incisa da una epigrafe. Ai lati delle sepolture è stato collocato il

pennone con la bandiera ed una colonna romana

foto e ricerca di Gian Paolo Bertelli

Sacrario militare di San Candido

Il Sacrario militare si trova nella vallata prativa di San Candido, tra la Drava e la statale per il valico di frontiera di Prato alla Drava. Costruito nel 1939 ad opera di Giovanni Greppi e dello scultore Giannino Castiglioni, raccoglie le spoglie di 218 caduti italiani quattordici dei quali ignoti e dieci caduti austro-ungarici provenienti dai cimiteri militari di Bressanone Mis e San zeno

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foto www.frontedolomitico.it

Sacrario 2° reggimento alpini di Cuneo

L'attuale caserma Cesare Battisti di Cuneo, fu costruita negli anni dal 1883 al 1887 e venne intitolata, all'epoca, a Vittorio Emanuele II. Dal settembre del 1901, sino al 1943 ospitò il 2° Reggimento Alpini, dal 1934 anche il 4° Reggimento Artiglieria Alpina e dal 1935 il Comando della Divisione Alpina Cuneense. Sul finire degli anni '30 del secolo scorso, al suo interno fu edificato il Sacrario del 2° Reggimento Alpini. All'interno del Sacrario sono custoditi i guidoni di tutti i Battaglioni appartenuti al Reggimento così come sono riportate tutte le località in cui i Battaglioni del Reggimento si immolarono durante la Grande Guerra. Una lapide ricorda le medaglie d'oro, d'argento e di bronzo del Reggimento e, come sentinella, è posta una scultura in bronzo raffigurante un caduto alpino della Prima Guerra. Le palazzine interne della caserma sono inoltre intitolate ad ufficiali alpini MOVM nella Grande Guerra. Nel secondo dopoguerra la caserma fu intitolata a Cesare Battisti e tornò ad ospitare nuovamente truppe alpine, prima di venire assegnata alla Guardia di Finanza, che vi dislocò una scuola allievi marescialli fino al 2001 ed attualmente il Comando Provinciale. Ringrazio il capitano del Comando Provinciale della GdF M.Baldiglio per avermi accompagnato nella visita del Sacrario.

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Foto e testi di Valerio Botto

Massa : Sacrario all'interno del Cimitero cittadino

di Mirteto

Massa, nella parte monumentale del Cimitero cittadino di Mirteto, esiste un sacrario dedicato ai caduti della I GM .Si tratta di due colonne che racchiudono un cippo, a fianco al Sacrario della II GM, alle cui spalle, sul muro di cinta del Cimitero, sono fissate tre lapidi di cui una già posta in loco nel 1916.

foto di Paolo Chianese

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Materiali:

“La Grande Guerra sugli altopiani di Folgaria-Lavarone –Luserna- Vezzena-Sette Comuni – Monte Pasubio-

Monte Comone” di Tullio Liber-Ugo Lettempergher Andrea Kozlovic ed Gino Rossato editore

“Giovinezza in trincea” a cura di Luciano Rossi Circolo Noi di Vangadizza

“Celebrazione del 4 Novembre” I.C. “Berto Barbarani” di Minerbe a.s. 2008, 2009, 2010, 2011, 2012

Archivio Parrocchiale: “Cronache” di Don Sante Gaiardoni

“Cav di Vittorio Veneto Bigini” di Bruno Bigini (figlio)

“L’Arena e Verona 140 di storia” - L’Arena 1866-2006

“Minerbe Una terra e la sua storia di Francesco Occhi, Maurizio Favazza, Augusto Garau, Luciana Gatti,

Roberto Ottaviani

Minerbe nel passato di Francesco Muzzolon e Massimiliano Amatino

“Adorata Luigia mio diletto Antonio” a cura di Lucia Beltrame Menini Panda Edizioni

“L’Arena” sabato 10 ottobre 1985

Da Internet:

lagrandeguerra.net

wikipedia.org fronte italiano 1915-1918

www. Cimeetrincee.it