“Convertitevi”SALVIAMO LADOMENICA com’eraampiamen-te prevedibile, la proposta della...

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Registrazione del Tribunale di Caltanissetta n. 202 del 29-12-2006 - Redazione: Via Cairoli, 8 - 93100 CL - Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS/Sud 2 - Caltanissetta In caso di mancato recapito inviare al CPO di Caltanissetta per la restituzione al mittente previo pagamento della tariffa resi Direttore responsabile Giuseppe La Placa anno XII · n. 7 - Settembre 2018 di Giuseppe La Placa SALVIAMO LA DOMENICA C om’era ampiamen- te prevedibile, la proposta della chiusura domenicale degli esercizi commerciali, avanzata dal Ministro del lavoro, sta ani- mando il dibattito politico, e non solo. Commercianti, associazio- ni di categoria e soggetti sociali vari, in questi giorni, stanno prendendo posizione sull’argo- mento. Da parte nostra non possiamo che accogliere con favore le in- tenzioni del Ministro, auguran- doci che dalle parole si passi pre- sto ai fatti. La proposta, che condividiamo in pieno, avvierebbe infatti un in- teressante processo di cambia- mento nelle politiche del lavoro, soprattutto rispetto alle esigenze della famiglia e a quelle, non so- lo materiali, della persona. Il Catechismo della Chiesa Cat- tolica ci ricorda, infatti, che «il giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la possibilità di gode- re di sufficiente riposo e tempo libero per curare la vita familia- re, culturale, sociale e religiosa». E Giovanni Paolo II, nella sua Lettera apostolica Dies Domini, annotava, tra l'altro, che «la do- menica cristiana è un autentico "far festa", un giorno da Dio do- nato all'uomo per la sua piena crescita umana e spirituale». Come dire, cioè, che non si tratta solo di avere la possibilità di par- tecipare alla Messa domenicale, ma di predisporre uno spazio di discontinuità nella ripetizione dei consueti “riti” economici e socia- li, per godere di altri aspetti della vita, nel segno della gratuità, del- la lode, del dono e della festa. «La domenica – scrive Mons. Russotto nella sua ultima Lette- ra Pastorale – è festa della Vita, è la vita in festa, perché è il giorno del Signore nel quale Dio rivolge il suo invito: “Venite alla festa!”». E dov’è il cuore, il motivo e il fon- damento della festa cristiana, se non nel sacrificio eucaristico? È la Santa Messa la festa alla quale il Signore ci invita nel giorno di do- menica. Ed è nel desiderio e nella ricerca di questa festa – continua il Vescovo citando un articolo del Tomatis – che il cristiano esprime la sua profonda sete di vita. A conclusione di quell’articolo, il citato autore riporta un episodio del celebre romanzo di Antoine de Saint‐Exupéry, quando il pic- colo principe, ad un certo punto del suo viaggio alla scoperta del- l’uomo, incontra un mercante di pillole che hanno il potere di pla- care la sete: inghiottendone una alla settimana, infatti, non si av- verte più il bisogno di bere. Allo sconcerto del fanciullo – «perché vendi questa roba?» – ri- sponde sicuro il mercante: «è una grossa economia di tempo. Gli esperti hanno calcolato che si risparmiano cinquantatre minu- ti alla settimana». «E cosa ne fai di questi cinquantatre minuti?». «Quello che si vuole», risponde il mercante. E il piccolo principe: «Io se avessi cinquantatre minu- ti da spendere, camminerei ada- gio verso una fontana». La pillola settimanale del mer- cante stolto, conclude il Tomatis, è l’antitesi della festa cristiana: estingue il bisogno, ma pure il desiderio e il piacere di cammi- nare adagio verso una fontana di acqua fresca. La domenica è il tempo donato da Dio per camminare adagio verso la sorgente eucaristica del- la vita. L’Eucaristia, infatti, è per il cristiano la sorgente da cui sgorga l’acqua viva della Parola di Dio che si fa nuovamente car- ne e sangue, nel vino “già” nuo- vo del suo sacramento donato. La festa cristiana è tempo e spa- zio dedicato ad abbeverarci alla sorgente della vita. Ecco perché dobbiamo salvare la domenica dai ritmi frenetici che dissolvono i rapporti tra gli uo- mini ed ostacolano gli incontri di socialità, di amicizia e di eleva- zione del cuore a Dio. Salviamo la domenica, salveremo l’uomo, la famiglia, la società. I l Vescovo Mario Russotto il 27 settembre ha celebrato in Cattedrale una Santa Messa di ringraziamento nel quindicesimo anniversario di consacrazione e di inizio di mi- nistero episcopale a Caltanisset- ta. Ci uniamo alla sua preghiera e gli auguriamo un buon prose- guimento di cammino alla guida della comunità diocesana nisse- na, perché progredisca nella fe- de e dia gioia al suo pastore. Con affetto e gratitudine al nostro Pastore nell’anniversario di consacrazione EDITORIALE servizi a pagina 8-9 L’ANELLO DELLA FEDE Partono in Diocesi i percorsi di preparazione al Matrimonio IN DIOCESI La vita nuova nella teologia paolina della Lettera ai Romani 1938-2018 A 80 anni dall’infamia delle leggi razziali del regime fascista IL CASO A proposito delle accuse di Mons. Viganò a Papa Francesco servizio a pagina 3 servizio a pagina 6 servizio a pagina 10 servizio a pagina 12 Lettera Pastorale 2018-2019 A proposito di legalità e dintorni servizi a pagina 2 servizi a pagina 4 “Convertitevi” “Convertitevi”

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Direttore responsabile Giuseppe La Placa anno XII · n. 7 - Settembre 2018

di Giuseppe La Placa

SALVIAMOLA DOMENICA

com’era ampiamen-te prevedibile, laproposta della

chiusura domenicale degliesercizi commerciali, avanzatadal Ministro del lavoro, sta ani-mando il dibattito politico, e nonsolo. commercianti, associazio-ni di categoria e soggetti socialivari, in questi giorni, stannoprendendo posizione sull’argo-mento.da parte nostra non possiamoche accogliere con favore le in-tenzioni del Ministro, auguran-doci che dalle parole si passi pre-sto ai fatti.La proposta, che condividiamoin pieno, avvierebbe infatti un in-teressante processo di cambia-mento nelle politiche del lavoro,soprattutto rispetto alle esigenzedella famiglia e a quelle, non so-lo materiali, della persona.Il catechismo della chiesa cat-tolica ci ricorda, infatti, che «ilgiorno del signore contribuisce adare a tutti la possibilità di gode-re di sufficiente riposo e tempolibero per curare la vita familia-re, culturale, sociale e religiosa».e Giovanni Paolo II, nella suaLettera apostolica Dies Domini,annotava, tra l'altro, che «la do-menica cristiana è un autentico"far festa", un giorno da dio do-nato all'uomo per la sua pienacrescita umana e spirituale».come dire, cioè, che non si trattasolo di avere la possibilità di par-tecipare alla Messa domenicale,ma di predisporre uno spazio didiscontinuità nella ripetizione deiconsueti “riti” economici e socia-li, per godere di altri aspetti dellavita, nel segno della gratuità, del-la lode, del dono e della festa.«La domenica – scrive Mons.Russotto nella sua ultima Lette-ra Pastorale – è festa della Vita, èla vita in festa, perché è il giornodel signore nel quale dio rivolgeil suo invito: “Venite alla festa!”».e dov’è il cuore, il motivo e il fon-damento della festa cristiana, senon nel sacrificio eucaristico? È lasanta Messa la festa alla quale ilsignore ci invita nel giorno di do-menica. ed è nel desiderio e nellaricerca di questa festa – continuail Vescovo citando un articolo delTomatis – che il cristiano esprimela sua profonda sete di vita.a conclusione di quell’articolo, ilcitato autore riporta un episodiodel celebre romanzo di antoinede saint‐exupéry, quando il pic-colo principe, ad un certo puntodel suo viaggio alla scoperta del-l’uomo, incontra un mercante dipillole che hanno il potere di pla-care la sete: inghiottendone unaalla settimana, infatti, non si av-verte più il bisogno di bere.

allo sconcerto del fanciullo –«perché vendi questa roba?» – ri-sponde sicuro il mercante: «èuna grossa economia di tempo.Gli esperti hanno calcolato che sirisparmiano cinquantatre minu-ti alla settimana». «e cosa ne faidi questi cinquantatre minuti?».«Quello che si vuole», risponde ilmercante. e il piccolo principe:

«Io se avessi cinquantatre minu-ti da spendere, camminerei ada-gio verso una fontana».La pillola settimanale del mer-cante stolto, conclude il Tomatis,è l’antitesi della festa cristiana:estingue il bisogno, ma pure ildesiderio e il piacere di cammi-nare adagio verso una fontana diacqua fresca.

La domenica è il tempo donatoda dio per camminare adagioverso la sorgente eucaristica del-la vita. L’eucaristia, infatti, è peril cristiano la sorgente da cuisgorga l’acqua viva della Paroladi dio che si fa nuovamente car-ne e sangue, nel vino “già” nuo-vo del suo sacramento donato.La festa cristiana è tempo e spa-

zio dedicato ad abbeverarci allasorgente della vita.ecco perché dobbiamo salvare ladomenica dai ritmi frenetici chedissolvono i rapporti tra gli uo-mini ed ostacolano gli incontri disocialità, di amicizia e di eleva-zione del cuore a dio.salviamo la domenica, salveremol’uomo, la famiglia, la società.

Il Vescovo Mario Russotto il27 settembre ha celebratoin cattedrale una santa

Messa di ringraziamento nelquindicesimo anniversario diconsacrazione e di inizio di mi-nistero episcopale a caltanisset-ta. ci uniamo alla sua preghierae gli auguriamo un buon prose-guimento di cammino alla guidadella comunità diocesana nisse-na, perché progredisca nella fe-de e dia gioia al suo pastore.

Con affettoe gratitudineal nostro Pastorenell’anniversariodi consacrazione

L ʼ E D I T O R I A L E

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L’aneLLo deLLa fede

Partono in diocesi ipercorsi di preparazioneal Matrimonio

In dIocesI

La vita nuova nellateologia paolina dellaLettera ai Romani

1938-2018

a 80 anni dall’infamiadelle leggi razziali delregime fascista

IL caso

a proposito delle accusedi Mons. Viganòa Papa francesco

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LetteraPastorale2018-2019

A propositodi legalitàe dintorni

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L ʼ A U R O R AN. 7 - Settembre 2018

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“Venite alla festa” è il temadel nuovo anno pasto-rale, un nuovo anno di

grazia che il signore concede al suopopolo per crescere nella fede, nellacomunione e così poter celebrare lavita in pienezza. L’invito evangelicodel nostro Vescovo Mario è rivolto atutti indistintamente. Lo spunto èpreso dall’icona biblica della parabo-la degli invitati dal Re alle nozze delfiglio. Il chiaro riferimento è rivolto alrito del Battesimo e la veste bianca, èil segno dello spogliarsi dell’uomovecchio per rivestirsi di cristo. L’annodi grazia che sta per iniziare ci vedràcoinvolti, in un clima di festa, attornoall’altare del signore. Indispensabile,però, indossare l’abito della grazia.

scrive il nostro Vescovo nella Let-tera Pastorale «Venite alla festa»: «ec’è ancora posto in questo banchetto,c’è sempre posto nel cuore di dio… etutti siamo chiamati, cattivi e buoni.Tutti il signore invita alla festa dellavita, sta a ciascuno rispondere con re-sponsabilità e gratitudine, libertà edesiderio di relazionalità. Il banchet-to è sempre pronto! Dio non ritira maile sue promesse! certo, dalle parole del

Re ora conosciamo che i primi invita-ti non erano degni, cioè non si sonoresi conto che il Re li aveva “scelti”,aveva posato il suo sguardo su di loro,voleva regalare ad essi il suo amore ela sua sponsale festa di vita».

Tutti siamo chiamati al banchetto,nessuno escluso! chi ha accolto congioia l’invito del signore è chiamato afarsi missionario per annunciare conletizia la gratuità dell’invito di dio. ac-cogliamo tutti nella santa assembleae celebriamo la fede in un clima digrande festa. costruiamo ponti diamicizia e di solidarietà per dare for-za al nostro credo e visibilità ad un cri-stianesimo autentico e senza fronzo-li. In questo nuovo anno pastorale laLettera ai Romani dell’apostolo Pao-lo, guidi le nostre comunità cristianea indossare la veste della grazia e di-ventare così uomini nuovi in cristoGesù. La novità di vita, nella resurre-zione di cristo, ci renderà costruttori,non a parole ma con i fatti, della civil-tà dell’amore.

Salvatore Rumeo

di Maria Dina Falduzzi

Il Vescovo, mons. MarioRussotto, quest’anno,con il dono della Lettera

pastorale Venite alla festa…è ilgiorno della vita…, ci aiuta acompiere un’altra tappa nel“cammino” di riscoperta delBattesimo, obiettivo fonda-mentale degli Orientamenti pa-storali2014-2020. È la tappa del“vestito nuovo”, cioè dell’essererivestiti di cristo, dell’essere unaltro “Lui”.

Il filo conduttore è la “festa”attorno al “banchetto della Vi-ta”, che prende spunto dalla pa-rabola degli invitati del Re allenozze del figlio, illustrata grafi-camente da don Vincenzo Gio-vino e scelta come immagine dicopertina. Il contesto è quellodell’«amore sponsale».

nell’introduzione della Let-tera, il vescovo indica la dire-zione dell’essere “santi insie-me”, proponendo quattro mo-

delli di santità della chiesa nis-sena cui ispirarsi: i vescovimons. augusto Intreccialagli emons. Giovanni Jacono; Ma-rianna amico Roxas, fondatricedella compagnia di sant’orso-la nella diocesi di caltanissettae in altri comuni siciliani e p.angelico Lipani, fondatore del-le suore francescane del si-gnore.

nei successivi quattro capi-toli vi è un crescendo: dall’invi-to “Venite alla festa” si giunge a“La festa della vita”. nel primocapitolo, il vescovo offre una“rilettura” nell’oggi della para-bola sulla quale è incentrata laLettera Pastorale, così da com-prendere meglio «chi siamo noie chi è dio per noi».

nel secondo si soffermasull’«abitoche nei nostri orien-tamenti corrisponde alla vestebattesimale». nel terzo vieneproposta una riflessione su al-cuni brani del Primo e del se-condo Testamento dai qualiemerge che la vita è una festa

insieme a dio e agli altri, se vis-suta nell’amore accolto e dona-to. nel quarto si giunge al pun-to culminante che è la domeni-ca, giorno del signore, festa del-la vita, in cui la vita è in festa. Ladomenica è il giorno che Dioconsacra a noi dove la celebra-zione eucaristica ha un postocentrale. Molto bella la presen-tazione dei vari momenti dellacelebrazione liturgica, dai qua-li scaturiscono valori e impegnifondamentali per ogni cristia-no. Leggendo questa parte mi ètornato alla mente il contenutodel documento “eucaristia, co-munione e comunità”, in cui lacelebrazione eucaristica è sen-tita come vera scuola di vita cri-stiana. al termine di ogni capi-tolo sono posti degli «Interro-gativi per la riflessione e il con-fronto…».

nella conclusione il Vesco-

vo, mentre rinnova la richiestadi un’ave Maria al giorno perlui, invita a riconoscere che nelBattesimo «noi ci rivestiamo dicristo, egli ci dona i suoi vesti-ti e questi non sono una cosaesterna. significa che entriamoin una comunione esistenzialecon Lui, che il suo e il nostro es-sere confluiscono, si compene-trano a vicenda…». Poiché nelBattesimo è avvenuto un mera-viglioso scambio tra noi e cri-sto, per i battezzati si tratta diimpegnarsi a far si che l’abitoper partecipare alla festa nu-ziale della vita abbia «i coloridegli “stessi sentimenti che fu-rono in cristo Gesù” (fil 2,5), ilpiù alto dei quali il coraggio del-la Kenosi, dello spogliamentodi sé, accogliendo ogni umilia-zione come via d’amore “obbe-diente fino alla morte e allamorte di croce” (fil 2,8)».

Venite allafesta

1. «Gesù è risorto! Perfino lamorte è vinta: di che cosa alloraavere paura? ciò che si oppone al-la festa della vita è la paura». Pen-so sia questo il punto capitale del-la Lettera del Vescovo. Una festa ri-mane superficiale fin quando nongiunge alla domanda ultima sullamorte. dove ad essa vien data unarisposta, l’uomo può festeggiare.Laddove si rimane in superficie atale problema, si cercherà lo stor-dimento perché lo spettro di quel-la paura si aggirerà con prepoten-za, come ricorda il soldato dellacanzone di Vecchioni, Samarcan-da, il quale, nonostante avessebal-lato tutta la notte, vide tra la follauna nera signora che cercava lui elo spaventò.

2. Il prezzo dell’eucaristia, verafesta del cristiano, «è stato unamorte, e la maestà della morte èpresente in essa. Presente è però alcontempo anche il fatto che que-sta morte è stata superata dalla Ri-surrezione e che quindi noi pos-siamo celebrare questa morte co-

me la festa della vita» (BenedettoXVI). a partire da questo kerigma,si capisce perché «la domenicanon è un giorno che noi consa-criamo a dio, ma un giorno che Dioconsacra a noi! noi siamo i desti-natari dei suoi doni e così, più cheoffrire, riceviamo il suo trionfo sul-la morte».

3. Più volte, nell’insegnamentodel Vescovo, è emersa la stessa pre-occupazione dei profeti, la possibi-le contraddizione tra il culto di dioe la vita dei fedeli (Is 29). egli riba-disce che la «partecipazione alla

Messa è sacrilega non soprattuttoquando non si rispettano le pre-scrizioni rubricistiche (che puresono molto importanti e vanno os-servate), ma quando nella vita diogni giorno i cristiani non assu-mono i sentimenti di cristo». suquesto punto si gioca la nostracomprensione della nuova edeterna alleanza. Profetizzata daGeremia,essa avrebbe resol’uomo“adeguato” a dio nel culto e nellavita (Ger 31). nell’antico Testa-mento, il culto non riusciva a sta-bilire un’alleanza valida. si offriva-no sacrifici non personali ma ester-ni a sé. L’antico popolo era indegnoe incapace di offrire se stesso. Ilsangue di cristo, invece, è statol’espressione di un’offerta persona-le. nella comunione con esso, pos-siamo vivere nella nuova alleanza!Perciò «l’eucaristia non esaurisce ilsuo significato e la sua finalità nel-la celebrazione liturgica ma devetrasformare i cristiani».

4. due segni della liturgia ci aiu-tano a focalizzare il valore del do-

no che ci fa figli della nuova edeterna alleanza: la veste di Mt 22 ela lampada delle vergini di Mt 25.chi diventa cristiano è chiamato aspogliarsi dell’uomo vecchioe a ri-vestirsi di Gesù cristo. L’abito bat-tesimale, perciò, intende esprime-re l’io interiore e non nascondere.noi penseremmo di entrare nelRegno di dio con il nostro vestito(io) vecchio, simili all’uomo dellaparabola che «ha voluto mantene-re il suo abito inadatto». abbiamobisogno di essere vestitida e diunaltro: «essere rivestiti di cristo si-gnifica dunque divenire Lui». Il do-no della fede, poi, è un’illumina-zione per tutta l’esistenza. comeMaria santissima accolse «la Paro-la, e per l’azione dello spirito con-cepì e portò in grembo il primoge-nito dell’umanità nuova», così noisiamo chiamati a corrispondere al-l’amore di dio che prepara per noiuna lampada (sal 131) e ci rende,nell’ascolto fecondo della sua Pa-rola, madri del suo figlio (Mt 12).

Luciano Calabrese

“Quattro passi” nella Lettera del Vescovo

Tutti chiamatia vita nuova

Una folla di immaginiriempie la mia “letturaiconica” del testo di

Matteo 22,1-14, la parabola degliinvitati dal Re alle nozze del figlio.

sono partito dalle linee con-vergenti che formano l’idealetriangolo del tavolo riccamenteimbandito, predisposto per unafesta, lo specchio della Vita. sudue lati quattro persone sono se-dute, abbigliate con grande ele-

ganza ma con sobrietà, una è sta-tica, in piedi, è “un tale che nonindossa l’abito nuziale”: il suo èdel colore del bronzo.

sul terzo lato il Re-Padre, dalmanto azzurro e dall’abito rosso,imponente di statura, punto foca-le di tutta la scena. sullo sfondoma ben delineata a figura intera,grandi occhi spalancati, mantoazzurro e abito rosa, una donna,quasi baluardo di serenità e gra-

zia: una portatrice di pane o di mi-sericordia?

Questa figura non appare neltesto evangelico, né di Matteo nédi Luca (Lc 14,16-24), ma ho vo-luto rappresentarla, perche é im-pensabile che la Madre non inter-venga, come ha fatto alle nozze dicana. Il figlio reietto, invitato maimmemore della Grazia ricevuta,deve essere giustamente punito,

ma la barriera della Misericordiapresenza di Vita in cammino, for-se impedirà ai servi di portarlofuori e implorerà per il reietto, fi-nalmente pentito, quel perdonoche dio Padre, nella sua immen-sa giustizia, alla fine non vorrà népotrà rifiutare. Il Re-dio-Padre èuna figura dominante ma è tristeper la mancata condivisione del

La “lettura iconica” di Mt 22,1-14di Vincenzo Giovino

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L ʼ A U R O R AN. 7 - Settembre 2018

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di Maria e Lino Di Mattia

Il 9 settembre 2018 segna unatappa storica verso una svol-ta epocale che, sotto la guida

sapiente e attenta del Vescovo Ma-rio, e il coordinamento dell’Ufficiodiocesano di Pastorale familiare,sta portando nella nostra diocesi –come si legge ne L’anello della fede- a «un graduale e definitivo ab-bandono dei classici “corsi prema-trimoniali” per dare spazio a per-corsi di formazione che possanopoi proseguire in un serio ed eccle-siale itinerario di fede». come giàsottolineato in altre circostanze,anche nel corso dell’omelia della s.Messa per il “Mandato”, il Vescovoha sottolineato che questa “svoltaepocale” «non è solo una questio-ne di testi da seguire o numero diincontri da fare, ma implica un ve-ro e proprio cambiamento di men-talità e di impostazione in tutti gliattori coinvolti: animatori, sacerdo-ti, comunità parrocchiali, associa-zioni laicali, fidanzati. non dobbia-mo più pensare alla formazione co-me compito di alcuni addetti ai la-vori, …perché è la comunità cri-stiana nel suo insieme il soggettoprimo e principale del cammino difede dei fidanzati». Questa presa dicoscienza e il conseguente «coin-volgimento è condizione essenzia-le affinché la comunità cristiana di-venti riferimento concreto edesemplare per il cammino di fededei singoli e delle coppie». Per po-ter realizzare tutto ciò, alle parroc-chie della diocesi alla fine del-l’estate 2017 era stato chiesto di co-stituire delle équipes (con laici, pre-sbiteri, religiosi) che potessero, in-sieme ai membri dell’Ufficio dioce-sano di Pastorale familiare, for-marsi all’utilizzo del testo guida“L’anello della fede” che il nostroVescovo avrebbe consegnato alladiocesi durante le “Tre tende teolo-giche” del settembre dell’annoscorso.

Questa formazione è avvenutanei mesi passati. suddivisi in sei di-versi territori della diocesi (due acaltanissetta, poi Marianopoli, scataldo, Mussomeli e Montedoro)i gruppi così formatisi, attraverso 5workshop interattivi, sono entratinei contenuti del testo e nella me-todologia proposta per portareavanti i 18 incontri previsti per i fi-danzati. Pur con difficoltà e sacrifi-ci, questi workshop sono stati fon-

damentali sia per rafforzare la real-tà della famiglia diocesana, sia percapire meglio insieme come essereal servizio dei fidanzati che voglio-no prepararsi a ricevere il sacra-mento del matrimonio cristiano.ecco perché la tappa del 9 settem-bre ha avuto un duplice significato:da un lato si è completata sia la for-mazione delle équipes anche diquelle parrocchie dove non c’eranostate in passato, sia questa prima fa-se del cammino della famiglia dio-cesana verso una impostazioneunitaria della preparazione dei fi-danzati al sacramento del matri-monio; dall’altro lato in un climasolenne e sacro, con la coscienza dirispondere ad una specifica chia-

mata del Padre ad una missione co-sì delicata e vitale, i 260, tra laici epresbiteri, membri delle varie équi-pes, hanno ricevuto dal nostro Ve-scovo il mandato «di formare e ac-compagnare i fidanzati in vista delsacramento del matrimonio».

Quali prossimi passi ci attendo-no adesso? Intanto si definirannomeglio, alla luce della provenienzadelle équipes formate, modalità,tempi e parrocchie della diocesi incui potranno iniziare i percorsi dipreparazione al matrimonio.

come dicevamo all’inizio, que-sta “svolta epocale” coinvolge tuttii protagonisti, quindi sia la comu-nità ecclesiale, che come abbiamovisto in questi anni ha seguito tutto

un cammino per prepararsi, macoinvolge anche, e per certi versisoprattutto, i fidanzati. anche a lo-ro viene chiesta una rinnovata pre-sa di coscienza del fatto che “spo-sarsi in chiesa” vuol dire “sposarsiin chiesa”; passare, cioè, dal pen-sare alla cerimonia in chiesa comeun bel momento da vivere e ricor-dare con amici e parenti, al «pren-dere coscienza della ministerialitàconiugale attraverso la verifica del-la propria vita di coppia e di fami-glia, mettendo anche in rilievo l’im-portanza della partecipazione allavita liturgica e sacramentale, dellatestimonianza evangelica in tutti gliambiti della vita quotidiana» certo,ci vorrà sacrificio e convinzione.

Ma per un passo che coinvolgenoi e chi ci sta accanto per tutta lavita, non conviene forse investirebene? chi si accontenterebbe di uncibo cotto male che è stato servitosolo perché nell’ordinarlo avevamodetto al cameriere che avevamo fret-ta? ci dà tanta gioia sapere che allafine di percorsi di formazione rea-lizzati con lo stile proposto dal-l’Anello della fede in passato in varieparti della nostra diocesi coppie difidanzati commentavano: «comepossiamo continuare anche dopo ilmatrimonio?»; «e adesso? non la-sciateci soli!»; «Vogliamo continua-re a incontrarci con voi!», etc.In fon-do il percorso “L’anello della fede” èstato pensato per poi essere utiliz-zato anche «dai giovani sposi chehanno appena avuto un figlio, dallecoppie che vivono l’adolescenza deipropri figli, o da quelle che si ritro-vano senza figli in casa dopo la loropartenza per l’università o per es-sersi creati una propria famiglia».comincia allora questa nuova tap-pa in cui tutti i protagonisti, comu-nità ecclesiale e fidanzati, saremocoinvolti per far sì che sempre più lecoppie unite dal sacramento delmatrimonio cristiano realizzinoall’interno della comunità eccle-siale il grande disegno di dio sulmatrimonio: essere «nel mondoicona dell’amore di dio Padre e fi-glio e spirito santo».

di Marilena e Sandro Dell’Utri

«Un desiderio diventa realtàdopo 25 anni. Una svoltaimportante, che passerà allastoria, quella della diocesinissena». Queste le parole delVescovo Mario Russottodomenica 9 settembre incattedrale durante laconcelebrazione eucaristica inoccasione della consegna del

mandato alle equipe dianimazione dei percorsi dipreparazione al matrimonio.Una svolta non nel linguaggio, da“corsi” a “percorsi”, e nemmenonel numero degli incontri, da unnumero imprecisato a 18. Unasvolta nel modo di pensare edaccompagnare le coppie in tuttele fasi della loro crescita umanae spirituale supportata da undocumento unico, L’anello della

fede, frutto di un intenso lavorodi sinergia e comunione e dauna metodologia nuova chevede protagonista tutta quantala comunità nella formazionedei fidanzati.sposi e sacerdoti insiemedurante tutto quest’anno cisiamo formati per essereprotagonisti insieme al nostropastore padre Mario di questocambio di rotta, per essere per le

nuove famiglie nascentitestimoni credibili e credenti.Un onore e un onere quello cheil nostro vescovo ci haconsegnato. La presenzanumerosa di coppie e sacerdotiagli incontri di formazione e allacelebrazione conclusiva è statala conferma che questograndioso progetto può divenirerealtà, che insieme possiamoinvertire la rotta e creare una

nuova mentalità, che insiemepossiamo essere per il mondosacramento, segno visibiledell’amore invisibile.Il segno che ci è statoconsegnato, una candela,illumini le nostri menti e riscaldii nostri cuori, ci accompagni inquesto nuovo cammino con lacertezza di non essere mai soli.«Risplenda la nostra lucedavanti agli uomini, perchévedano le nostre opere buone erendano gloria al Padre…».e allora si parte! Buon viaggio atutti noi certi che “camminandos’apre cammino”.

Desiderio che diventa realtà

Svolta epocale persposarsi in chiesaSi chiude con i “corsi” e si parte con i “percorsi” verso il matrimonio

La celebrazione in catte-drale per il “Mandato” acirca 38 sacerdoti e 120

coppie della diocesi, giunge allafine di un percorso durato circadue anni.

due anni fa, infatti, si è avviatoquesto progetto, che affonda le sueradici nella storia della nostra dio-cesi. noi ci siamo lasciati coinvolge-re con gioia in questa nuova avven-tura e quando il testo, dopo mesi distudio e confronto tra le coppie del-l’Ufficio diocesano di Pastorale fa-miliare e il Vescovo, ha assunto lasua stesura definitiva,siamo stati in-caricati di essere la coppia tutor diuno dei gruppi di studio che si sono

formati nel territorio diocesano,precisamente del gruppo di Monte-doro che coinvolgeva anche Milena,Bompensiere e serradifalco.

Il nostro compito, come quellodelle coppie tutor di altri corsi, è sta-to di accompagnare i partecipanti edi essere per loro un punto di riferi-mento e un elemento di connessio-ne tra l’Ufficio diocesano ed il terri-torio. I corsi, tenutisi contempora-neamente nelle varie sedi, sono sta-ti frequentati da sacerdoti e laici de-siderosi di approfondire la cono-scenza del testo.

nel corso di cinque incontri, danovembre a maggio, sono stati pre-sentati la storia e i contenuti, ma an-

che l’approccio metodologico alnuovo percorso. Tre incontri sonostati dedicati all’approfondimento ealla conoscenza del testo, mentrenegli ultimi due si sono svolte delle“simulate”, che hanno permesso, al-le coppie e ai sacerdoti presenti alcorso di formazione, di calarsi nellastrutturazione e nella gestione delpercorso di fede per i fidanzati.

abbiamo potuto constatare chel’iniziale imbarazzo, i timori e le per-plessità nei confronti di questo per-corso (che come tutte le novità hacolto molti impreparati), hanno la-sciato gradualmente il posto ad unclima di fiducia e di aperta condivi-sione.

abbiamo vissuto questa fase dipreparazione con trepidazione edimpegno, nello spirito di servizio al-la nostra comunità diocesana. Que-

sta circostanza ha costituito per noiuna ulteriore opportunità di con-frontarci cono nuove realtà. Le per-sone che abbiamo incontrato, conle loro storie personali e familiari,sono diventate per noi dei fratelliche hanno accresciuto lo spirito dicomunione e il senso di apparte-nenza ad un’unica chiesa.

Maria Rita e Matteo Baldone

“Noi coppia tutor”

LʼANELLO DELLA FEDE

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L ʼ A U R O R AN. 7 - Settembre 2018

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di Salvatore Barone

Venendo a Palermo, proprionel 25° anniversario delmartirio del beato Pino Pu-

glisi, papa francesco non poteva noninvitare i mafiosi alla conversione. celo aspettavamo e così è stato. Infatti,durante l’omelia della messa nel fo-ro Italico, francesco ha detto che«non si può credere in dio ed esseremafiosi. chi è mafioso non vive dacristiano, perché bestemmia con lavita il nome di dio-amore». da quil’invito alla conversione: «converti-tevi al vero dio di Gesù cristo, cari fra-telli e sorelle! Io dico a voi, mafiosi: senon fate questo, la vostra stessa vitaandrà persa e sarà la peggiore dellesconfitte».

Tuttavia non si deve pensare chefrancesco ha rivolto solo ai mafiosil’invito alla conversione. In realtà, seleggiamo tutti i discorsi che ha fatto a

Palermo, e quindi anche i discorsi aisacerdoti e ai religiosi in cattedrale eai giovani in Piazza Politeama, l’invi-to alla conversione, sotto forme di-verse, francesco lo ha rivolto energi-camente a tutti. Per brevità scelgo disoffermarmisolo su alcuni brani trat-ti ancora dall’omelia, piena di do-mande rivolte a quanti eravamo pre-senti.

Indicando in don Pino un model-lo di vita cristiana per tutti i battezza-ti, francesco ci ha invitati a sceglieretra l’egoismo e l’amore: «cari fratelli esorelle, oggi siamo chiamati a sce-gliere da che parte stare: vivere per sé– con la mano chiusa – o donare la vi-ta – la mano aperta. solo dando la vi-ta si sconfigge il male». e poi ci ha det-to: «Guardiamoci dentro. Avere spin-ge sempre a volere: ho una cosa e su-bito ne voglio un’altra, e poi un’altraancora e sempre di più, senza fine.Più hai, più vuoi: è una brutta dipen-denza». Inoltre «chi si gonfia di cose

scoppia. chi ama, invece, ritrova sestesso e scopre quanto è bello aiuta-re, quanto è bello servire; trova la gio-ia dentro e il sorriso fuori, come è sta-to per don Pino».

considerando che «abbiamo bi-sogno di cristiani del sorriso, non per-ché prendono le cose alla leggera, maperché sono ricchi soltanto della gio-ia di dio, perché credono nell’amoree vivono per servire», francesco ci hachiesto: «Volete vivere anche voi co-sì? Volete dare la vita, senza aspetta-re che gli altri facciano il primo pas-so? Volete fare il bene senza aspetta-re il contraccambio, senza attendereche il mondo diventi migliore? carifratelli e sorelle, volete rischiare suquesta strada, rischiare per il signo-re?».

don Pino «sapeva che rischiava,ma sapeva soprattutto che il perico-lo vero nella vita è non rischiare, è vi-vacchiare tra comodità, mezzucci escorciatoie. dio ci liberi dal vivere alribasso, accontentandoci di mezzeverità. Le mezze verità non saziano ilcuore, non fanno del bene. dio ci li-beri da una vita piccola, che gira at-torno ai “piccioli”. ci liberi dal pensa-re che tutto va bene se a me va bene,e l’altro si arrangi. ci liberi dal credercigiusti se non facciamo nulla per con-trastare l’ingiustizia. chi non fa nullaper contrastare l’ingiustizia non è unuomo o una donna giusto. ci liberidal crederci buoni solo perché nonfacciamo nulla di male. “È cosa buo-

na – diceva un santo – non fare il ma-le. Ma è cosa brutta non fare il bene”[la frase è di sant’alberto Hurtado, ge-suita cileno]. signore, donaci il desi-derio di fare il bene; di cercare la ve-rità detestando la falsità; di scegliereil sacrificio, non la pigrizia; l’amore,non l’odio; il perdono, non la vendet-ta».

Poi francesco, riferendosi ad unversetto del Vangelo appena procla-mato: «se uno mi vuole servire, mi se-gua» (Gv 12, 26), ha precisato che«non si può seguire Gesù con le idee,bisogna darsi da fare. “se ognuno faqualcosa, si può fare molto”, ripetevadon Pino. Quanti di noi mettono inpratica queste parole? oggi, davantia lui domandiamoci: che cosa possofare io? che cosa posso fare per gli al-tri, per la chiesa, per la società? nonaspettare che la chiesa faccia qual-cosa per te, comincia tu. non aspet-tare che la società lo faccia, inizia tu!non pensare a te stesso, non fuggiredalla tua responsabilità, scegli l’amo-re!».

certamente questi brani del-l’omelia del papa possono suscitarediverse considerazioni. Personal-mente colgo anzitutto che francescoha parlato di don Pino non soltantocome un sacerdote martire, ma an-che e soprattutto come un sacerdoteche ha scelto di amare fino a dare lavita, presentando così il suo martiriocome il culmine della scelta di ama-re. Una scelta che dovrebbe essere

fatta non soltanto dai sacerdoti ma datutti i battezzati.

Inoltre colgo il passaggio dall’invi-to alla conversione dei mafiosi all’in-vito alla conversione di tutti i battez-zati. Il pensiero che i mafiosi devonoconvertirsi sembra sia condiviso datutti i battezzati, mentre preghiamo easpettiamo che sia condiviso anchedai mafiosi. Ma il pensiero che i bat-tezzati devono continuamente con-vertirsi non è condiviso da tutti. In-fatti questo pensiero va contro lamentalità corrente dei battezzati, chepensano alla conversione come aqualcosa che riguarda gli altri e nonanzitutto se stessi. Invece a Palermofrancesco ha chiamato tutti i battez-zati, compresi i mafiosi ma non sol-tanto i mafiosi, a convertirsi e quindia scegliere di amare. come a dire atutti: o amiamo o non siamo ancoraveramente cristiani.

Infine colgo l’urgenza della con-versione di tutti i battezzati (sacerdo-ti, religiosi e laici), come preludio ne-cessario ad una limpida e coraggiosatestimonianza cristiana nelle operedi evangelizzazione, nell’impegnosociale e politico, nella stessa riformadella chiesa, che francesco sta per-seguendo con grande determinazio-ne. convertiamoci tutti. francesco aPalermo ce lo ha chiesto. così sare-mo fedeli al Vangelo e affronteremocristianamente i tanti mali della sici-lia e il profondo cambiamento d’epo-ca che stiamo vivendo.

di Giuseppe Gioeli

La nostra amata sicilia ha vis-suto una giornata piena digioia lo scorso 15 settembre,

con la visita del santo Padre alle dio-cesi di Piazza armerina e di Paler-mo, in occasione del venticinquesi-mo anniversario della morte delBeato Pino Puglisi.

La visita apostolica in questa ter-ra ha dato speranza a noi sicilianiche spesso, siamo spettatori di casidi corruzione, mafia, malaffare, vio-lenza, generati dall’egoismo.

durante l’omelia al foro Italico, ilsuccessore di Pietro ha detto: «dun-que c’è da scegliere: amore o egoi-smo. L’egoismo è un’anestesia mol-to potente. Questa via finisce sem-pre male: alla fine si resta soli, colvuoto dentro. La fine degli egoisti ètriste: vuoti, soli, circondati solo dacoloro che vogliono ereditare».Quanto è vero! Le parole del Papa

fanno riflettere me, giovane semi-narista e tutti noi. essere cristianicomporta donare se stessi, esserecome il chicco di grano, che devemorire per portare frutto.

La logica del dono per amore,comporta la libertà del cuore, per-ché si appartiene totalmente a dioe ai fratelli, di ciò Pino Puglisi ne è laprova. nel suo sorriso era presentela forza di dio che rischiara il cuore.a tal proposito diceva il Papa: «ab-biamo bisogno di tanti preti del sor-riso. abbiamo bisogno di cristianidel sorriso». Quest’affermazione in-terpella me e voi, carissimi lettori.

siamo chiamati a vivere da cristianicredenti e credibili. comodità, mez-zucci, scorciatoie e mezze verità,non sono contemplate nel nostrocammino di chiesa. La Verità è unasola, cioè cristo, il quale non è sce-so a compromesso con l’ipocrisiadei potenti, ma si è chinato verso gliindifesi.

Il Vangelo chiede di dare una te-stimonianza cristiana concreta, finoal martirio se è necessario.

Vorrei, inoltre, fare riferimento aciò che il santo Padre ha consegna-to in cattedrale ai seminaristi, sa-cerdoti, suore, consacrati: «La pale-

stra dove allenarsi a essere uominidel perdono è il seminario, il presbi-terio e per i consacrati la comunità».

senza il perdono non c’è cristia-nesimo. Il signore vuole, da coloroche lo seguono più da vicino, che sicammini insieme superando le di-vergenze. ciò è parte costitutiva del-l’essere preti e consacrati. don Pinoera disponibile verso tutti e attende-va con cuore aperto pure i malvi-venti.

Per ultimo, vorrei riportare qual-che parola del discorso fatto ai gio-vani in Piazza Politeama: «dio siscopre camminando. se tu non sei

in cammino per fare qualcosa, perlavorare per gli altri, per dare una te-stimonianza, per fare il bene, maiascolterai il signore». Il Papa ha ra-gione, lo dico come giovane inna-morato del signore. Bisogna met-tersi in cammino, confidare in Lui,senza chiudersi in se stessi. e inol-tre, la preghiera aiuta a non guarda-re alle proprie debolezze. egli ci vuo-le in cammino, ci vuole protagoni-sti, ci vuole impegnati in mezzo allasua vigna come preti, suore, consa-crati, giovani, padri e madri. egli civuole credenti e credibili, e tu caroPadre Pino Puglisi lo sei.

L’ultima visita di un Papa insicilia era stata quella diBenedetto XVI. era il 3ottobre 2010. Quel giorno ilPapa arrivò a Palermo inoccasione del convegno sugiovani e famiglia. Migliaia ifedeli giunsero in città daogni parte dell’Isola e conogni mezzo. Il Ponteficecelebrò la messa al foro

Italico davanti a una folla dicirca 200 mila persone. dopo aver ricordato levittime della mafia, comedon Pino Puglisi, falcone eBorsellino, incitò i giovani anon avere paura dellacriminalità organizzata.nel pomeriggio incontrò igiovani in Piazza Politeamaai quali, tra l’altro, disse:

«non cedete alle suggestionidella mafia, che è una stradadi morte, incompatibile conil Vangelo». al termine dellavisita, tornando versol’aeroporto, il Ponteficechiese di fermarsi davantialla stele che ricorda levittime della strage dicapaci, deponendo unacorona di fiori.

Dopo GPII e BXVI, Francesco

Camminandos’apre camminoL’invito ai giovani siciliani

IL PAPA IN SICILIA

APPELLO NON SOLO AI MAFIOSI MA A TUTTI I BATTEZZATI

Conversioneper tutti

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di Salvatore Vizzini

Con la battaglia di ValleGiulia nasce il ’68 in Ita-lia. sono passati 50 anni

da quel movimento di protesta, co-sa ci resta, quali cambiamenti haportato nella società e nella scuola.

secondo Indro Montanelli “na-sce dal ’68 una bella torma di anal-fabeti”, “un trionfo dell’asineria” e siriferiva anche a quegli esami digruppo con la richiesta del famososei politico a cui tutti pretendevanodi attingere in nome del diritto diuguaglianza nella scuola.

con Mario capanna nel ’68 nac-que il Movimento studentesco checercò di far sì che i riflettori fosseropuntati sui diritti degli studenti, di-menticando forse anche i doveri! Larivoluzione del ’68 nacque come lot-ta contro “La scuola dei padroni”,un’organizzazione del servizio sco-lastico pensato per la ricca borghe-sia, per creare la generazione di chipoi avrebbe avuto in mano le levedel potere. La scuola nasce comeservizio per gli studenti, deve esserefunzionale alle esigenze dei fruitoridel servizio stesso e non agli eroga-tori del servizio.

Il ’68 fu considerato da alcuniuno straordinario movimento dicrescita civile. La scuola deve for-mare “l’uomo e il cittadino” e il mi-lione di addetti al servizio scolasticosono pagati, in verità malissimo, persvolgere al meglio tale servizio, e inuna logica di miglioramento dellaqualità, la scuola non può non esse-re organizzata senza tener contodelle esigenze di crescita morale ecivile degli studenti.

Possiamo affermare che il ’68contribuì a far prendere coscienzadell’esigenza di programmare lascuola in relazione alle esigenze dicontesto della popolazione, evitan-do come si faceva prima di imporreun modello standard a cui tutti de-

vono uniformarsi, ma purtropponon facendo nulla per eliminare ledifferenze legate al sottosviluppoculturale di alcune zone del nostroPaese. come diceva don Milani nonc’è peggiore ingiustizia che trattareallo stesso modo persone diverse.

Qualcuno ha cercato di parago-nare il ’68 alla Rivoluzione france-se. Il paragone è improponibile perla differenza e vastità degli avveni-

menti, ma si può cogliere un mes-saggio legato alla necessità di uncambiamento, alla ricerca di un ti-po di scuola che tenga conto dellarealtà di un’Italia che aveva assolu-ta necessità di una scuola aperta atutti i cittadini da 0 a 18 anni e so-prattutto di una scuola pensata amisura degli studenti.

Questo l’aspetto positivo, mapermangono ancora alcuni mes-

saggi negativi che condizionanol’evoluzione della società. Il peggio-re, l’idea che sia giusto reclamare ipropri diritti dimenticandosi cheesistono anche i doveri. da una par-te la scuola deve svolgere con serie-tà la sua missione, ma dall’altra glialunni devono impegnarsi a studia-re, devono adempiere ai loro com-piti e i genitori non devono presen-tarsi come “sindacalisti” dei proprifigli ai quali tutto è permesso. Il ri-conoscimento del merito è uno deicompiti fondamentali a cui nonsempre si dà seguito, e questo è unretaggio negativo del ’68, del tuttiuguali, del tutti promossi a prescin-dere dal merito. Il danno provocatoda questa concezione è enorme edè causa della continua emigrazionedei nostri giovani migliori verso le

Università straniere in cui è menopresente il baronaggio, il nepoti-smo, il clientelismo e se un giovanevale ottiene subito incarichi di re-sponsabilità in programmi di ricer-ca e innovazione, o una cattedrauniversitaria.

del ’68 resta il messaggio di aper-tura di una scuola a dimensione distudente, ma permane lo scora-mento per una classe politica chenegli ultimi trent’anni ha devastatola scuola diminuendo le risorse inmaniera drastica in ogni campo del-l’organizzazione scolastica. I docen-ti italiani hanno la retribuzione peg-giore d’europa, l’età media è moltoelevata, mancano i giovani, gli edi-fici scolastici avrebbero bisogno diinterventi di manutenzione urgen-ti. decenni di progressivo degradoculturale, anzi, di esplicita e cre-scente ostilità verso la cultura e chila rappresenta (insegnanti, intellet-tuali, giornalisti, istituzioni,) comescrive Maurizio Bettini stanno fa-cendo sì che noi italiani troviamonormale ignorare non solo quantosta scritto nella dichiarazione Uni-versale dei diritti dell’Uomo, maperfino i communia di cicerone,cioè gli obblighi comuni a tutti i po-poli. I Romani per tradurre quelloche i Greci chiamavano Paideiausa-vano il termine Humanitas, cioèumanità. Questa traduzione pre-suppone infatti l’idea inscindibileche essere “umani” ed essere “colti”,“istruiti”, “educati”, sia in definitiva lastessa cosa. Per essere veramente“umani” la cultura è indispensabile.In Italia si investe nella scuola unadelle cifre più basse in europa ri-spetto al Pil. non si può fare affida-mento solo sulla creatività, inventi-va , intelligenza che fortunatamen-te sono presenti in tanti giovani stu-denti per far progredire la nostrascuola, né certo dobbiamo aspetta-re una nuova battaglia di Villa Giu-lia per cercare di cambiare lo statodelle cose.

dono, della relazione comunica-tiva. c’è un gioco di sguardi tra ilPadre e colui che ha rifiutato ciòche potrebbe renderlo davverofelice: muto diritto questi guardail Re quasi con sfida, privo di co-munione e conversione; è peròconsapevole di essere fuori luogo,senza la dignità dell’abito nuzia-le. si sente legato dal suo peccatoed infatti lo è, perché ha le manidietro la schiena, consapevole dinon essersi “lasciato rivestire dicristo” (Gal 3,27). dio-Padre con-

danna e al tempo stesso invital’amico ad una nuova conversio-ne. La sua corona è pesante mas-siccia, sovrasta un volto grigio esevero, triste.

emblematiche sono le sue ma-ni, che risaltano in primo piano,ma il gesto non conferma ciò chele parole dicono. L’indice dellamano destra non è puntato, ac-cusatore, ma piegato, molle, co-me se dio volesse invitare l’iconache sta alla soglia ad intervenire,per aiutare anche quel figlio a di-venire quello che deve essere chiè stato redento da cristo. L’indice

della mano sinistra, rivolto versoil basso, è emblematico a con-trassegnare i redenti, i riccamen-te abbigliati, che però guardanocon costernazione, a bocca se-miaperta, consapevoli forse dinon aver fatto abbastanza per sal-vare il fratello, che non si è aper-to alla comunione e alla relazio-ne.

altri due commensali sono se-duti alla tavola, ritratti di spalle,senza volto rivelatore, ma con gliabiti della festa. siamo noi - ipo-tizza s.e. il Vescovo - “tutti noi eciascuno di noi, con le nostre de-

bolezze e le nostre povertà, con inostri sogni e le nostre risposte”.Ma potrebbero essere cristo e lachiesa, lo sposo e la sposa. Il gior-no della Vita, il banchetto, è deli-neato sia dal canestro pieno por-tato dalla donna come offerta, siadalla ricca apparecchiatura:quattro calici d’oro e due anfore,pani in abbondanza e uva, persimboleggiare corpo e sangue dicristo, melagrana segno dell’ab-bondanza e della Provvidenza,della benedizione di dio, del-l’amore fecondo e dell’intensa re-lazione tra l’amato e l’amata.

Cosa restadel ’68?Un bilancio dopo cinquant’anni

Il ʼ68 fu considerato daalcuni uno straordinariomovimento di crescitacivile. Possiamo direche il ʼ68 contribuì a farprendere coscienzadellʼesigenza diprogrammare la scuolain relazione alleesigenze di contesto

Nel 50° anniversario del“sessantotto” si imparauna riflessione. esso fu

segnato da un movimento giovani-le per lo più studentesco, antiauto-ritario, che svelò tante contraddi-zioni e ipocrisia nella società mo-derna.

In poco tempo e a mani nude,semplici studenti in francia primae poi in tutto il mondo, scosserograndi paesi, i quali dovettero farei conti con una contestazione glo-bale che molti definirono “rivolu-zione culturale”.

alcuni organi di stampa di quelperiodo sostennero che anche lachiesa e le confessioni cristianedell’occidente ne risentirono pe-santemente; non so quanto ci sia divero, ma è certo che si contestaval’autorità, ogni autorità, la tradizio-ne e la stessa fede. certamente cifurono defezioni e abbandoni di al-

cuni preti, di religiosi e religiose econtestazioni di vario genere an-che negli ambienti ecclesiali.

Ricordo anche un Vescovo te-desco, durante la Visita ad limina,confesso la sua amarezza al PapaPaolo VI dicendo: “Beatissimo Pa-dre, mi pare che la chiesa stia tre-mando nei suoi fondamenti”. ePaolo VI, il Papa che aprì la chiesaalla modernità, rispose, come illu-minato dall’alto: “e allora torniamoal fondamento: ‘In principio era ilVerbo, e il Verbo era presso dio, e ilVerbo era dio’”.

fu allora che ebbe inizio l’eradella nuova evangelizzazione conil magistrale documento papaleEvangelii nuntiandi, che da soloriesce ad immortalare un pontifi-cato.

È certo che il movimento delsessantotto si diffuse a macchiad’olio, ma non va confuso con le

grandi intuizioni del concilio Vati-cano II, celebrato negli anni ’62-’65, che auspicava un grande rin-novamento nella chiesa. fu pro-prio Paolo VI che, dopo avere sa-pientemente guidato i lavori delconcilio, poté gestire molti cam-biamenti all’interno della chiesaresi necessari con la riscoperta delprimato della Parola di dio, la pre-senza e la missione dei laici nellachiesa, la dignità e il ruolo delladonna nella chiesa e nella società,e la dignità e la libertà di ogni uo-mo nel mondo.

Paolo VI procedette a molticambiamenti nella chiesa, che ri-velarono aspetti anche umani ine-diti e di grande profilo emoziona-le, si pensi alla riforma liturgica eall’introduzione della lingua na-zionale nelle celebrazioni liturgi-che, si pensi ad alcuni ministeri af-fidati ai laici, uomini e donne, av-

viando un’opera riformatrice e pa-storale che non si vedeva nei tem-pi passati.

a questo punto ribadisco il miopensiero, che cioè il ’68 non abbiainfluito sostanzialmente nei muta-menti prodotti dalla chiesa. La ve-rità è che la chiesa obbedisce allavoce dello spirito che l’assiste lun-go il cammino e che sempre biso-gnosa di purificazione trova nellaParola di dio la fonte ispiratrice diogni cambiamento.

Invece sono convinto che io ’68abbia influito sulla coscienza deigiovani. a tal proposito enzo Bian-chi, riflettendo sul ’68, scrive sul-l’ultimo numero di Vita Pastoraleche i giovani sono un pezzo dichiesa che manca. non bastano gliincontri di massa, non basta defi-nirli il futuro della chiesa e delmondo; occorre vederli protagoni-sti già oggi.

In un mondo dominato dal vir-tuale, i giovani hanno bisogno e se-te di incontri personali, di dialoghifaccia a faccia. Il grido inascoltatoè quello di tanti giovani soli edemarginati, distrutti e imprigiona-ti nei loro paradisi artificiali. nonesistono persone cattive, ma feriteche a loro volta feriscono. I giovanihanno bisogno di amare e di esse-re amati.

Liborio Campione

Il ’68 non influì sul rinnovamento della Chiesa

segue dalla pagina 2

IL SESSANTOTTO

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di Lino De Luca

nell’epistolario paolino laLettera ai Romani occu-pa un posto privilegiato:

la sua importanza è dovuta non so-lo alla lunghezza, ma soprattuttoalla ricchezza teologica che tantoha influenzato gli sviluppi dellateologia cristiana.

La Lettera, composta da 16 ca-pitoli, fu dettata da Paolo al suo se-gretario Terzo quasi certamente acorinto, alla fine del suo terzo viag-gio missionario, nell’inverno del57/58 d.c. L’occasione è data daldesiderio di Paolo di visitare la co-munità di Roma durante il viaggioverso la spagna che aveva inten-zione di compiere. attraverso que-sta Lettera, Paolo ha la possibilità dipreparare la sua visita, presentan-do se stesso e il suo pensiero a unacomunità che poco o per nulla loconosceva.

La struttura della Lettera è sem-plice: un’introduzione e una con-clusione fanno da cornice a duegrandi sezioni, la prima di caratte-re dottrinale (1,16-11,36) e la se-conda di carattere esortativo (12,1-15,13). Per la vastità degli argo-menti trattati (tutti gli uomini sono

peccatori; solo in cristo c’è salvez-za per l’umanità; l’uomo è riconci-liato gratuitamente per vivere nel-lo spirito; anche gli ebrei si salve-ranno; comportarsi da personegiuste), la Lettera si presenta comeuna sintesi di tutta la riflessionepaolina,qui volta a spiegare l’enun-ciato della tesi espressa in 1,16-17:tutti gli uomini sono salvati gratui-tamenteda dio attraverso la fede inGesù cristo.

Per spiegare ciò Paolo utilizza ilvocabolo dikaiosune, la cui tradu-zione con “giustizia” non dà ragio-ne del significato con cui l’aposto-lo lo utilizza. Rimane la difficoltà dicomprendere esattamente cosaPaolo intendesse dire con l’espres-sione “giustizia di dio”, tuttavia èpossibile offrire una spiegazioneguardando al mondo dell’aT. Inebraico il campo semantico dellagiustizia è espresso dalla radice�dq che fa riferimento sia alla giu-stizia conforme ad una norma (inquesto senso in antitesi con “gra-zia”, “misericordia”, “salvezza”) siaal rapporto con dio e al suo inter-vento salvifico che non contrastacon la sua giustizia. Per Paolo, dun-que, la giustizia non è quella foren-se, ma quella salvifica, cioè l’amoredi dio che salva e che, raggiungen-

do l’uomo, se da questi accolto, lotrasforma dal di dentro, facendolouna “nuova creatura”. È superata,così, l’idea di una giustizia retribu-tiva che dà ad ognuno secondo ilproprio merito, per fare spazio auna giustizia che nasce dal deside-rio di dio di salvare l’uomo gratui-tamente, liberandolo dalla schiavi-tù del peccato e della morte. Paoloristabilisce, così, il giusto equilibriotra dio e l’uomo: al centro del lororapporto non sta l’uomo (religioso)che con le sue forze e le sue operemerita la salvezza, ma dio che do-na gratuitamente la salvezza al-l’uomo (fedele) che accoglie e cre-de nel suo amore, sempre. Ma inquesta prospettiva, ha ancora valo-re l’essere religiosi, seguire i precet-ti, i riti, fare il bene? Paolo non vuo-le negare valore a tutto ciò, ma aiu-tare a superare l’idea di una reli-gione economica secondo cui lasalvezza va “guadagnata” con unavita onesta e con tanti meriti da ac-cumulare e da presentare comeconto a dio. ciò che dà valore allareligione è la fede non le opere cheessa prescrive: queste semmai so-no la risposta all’amore di dio (cf.la sezione parenetica), non la con-dizione per incontrarlo.

La giustizia di dio si è manife-

stata una volta per tutte nella mor-te-risurrezione di Gesù. È per mez-zo suo che il credente può essere“giustificato” (la forma verbale uti-lizzata in 5,1 indica un nuovo ini-zio, una linea di demarcazione trail prima e il dopo), può passare dalpeccato alla grazia, dalla morte al-la vita. Paolo rimanda a qualcosache è avvenuto e che contraddi-stingue i romani in quanto cristia-

ni: l’esperienza battesimale che èun essere sepolti nella morte di cri-sto per camminare in una vita nuo-va. Questa novità di vita non è frut-to dello sforzo e dell’impegno del-l’uomo che realizza un’istanza eti-ca, ma un modo di vivere possibilesoltanto a chi ha sperimentato ilfatto che dio gli ha cambiato la na-tura dandogli quella di Gesù cristo.È ciò che avviene nel battesimo cheopera il passaggio dal primo al se-condo adamo. adamo è l’uomoche non accetta di essere creaturae che, vedendo in dio un antago-nista alla piena realizzazione di sé,arriva a escluderlo dal proprio oriz-zonte. Il peccato appare come unapotenza capace di dominare e

Vita nuovanello Spirito

di P. Sergio Kalizak, CR

Il 16 settembre, presso la chiesa san-t’agata al collegio, è avvenuta l’ordi-nazione diaconale di fra fabricio

caetano Barbosa, religioso della nostra co-munità dei Frati della Copiosa Redenzione.Per la nostra piccola famiglia religiosa è sta-ta una grandissima gioia, ma anche un ri-chiamo da parte di dio a stare ancora ingi-nocchiati servendo la chiesa nissena, inmaniera speciale nella Parrocchia sant’aga-ta a caltanissetta e nella Rettoria san fran-cesco a Mussomeli.

siamo chiamati a servire in ginnocchioperchè il centro del nostro carisma della co-

piosa Redenzione è proprio l’adorazione eu-caristica, che facciamo reverenti davanti alsantissimo sacramento, ma anche il recu-pero dei giovanni disagiati, sia dalla tossico-dipendenza come da altre forme di autodi-struzione della dignità della persona uma-na. a questi giovani serviamo inginocchiati,sia attraverso la nostra preghiera comunita-ria, sia attraverso una pastorale di servizio diaccoglienza, accompagnamento e recupe-ro.

siamo chiamati a servire ancora in gin-nochio questa bella chiesa di caltanissettache ha accolto per la prima volta il nostrocarisma quasi 18 anni fa’, prima attraverso lesuore della copiosa Redenzione e poi i fra-ti. In questa diocesi la copiosa Redenzione

trova attualmente la sua maturità con laCappella di Adorazione Eucaristiche per-manente, l’evangelizzazione generale attra-verso il Progetto delle Cellule, ma principal-mente della giuventù, l’evangelizzazionenelle carceri attraverso il Progetto Alpha,l’Associazione Sant’Agatache da’ sostegno abambini e adolescenti di famiglie disagiatee il Gruppo dell’Amore Esigenteche vuole es-sere un sostegno alle famiglie con il proble-ma della tossidipendenza e altri disfunzionifamiliari gravi.

Questo è un tempo nuovo di crescita ematurità, e lo avvertiamo in tutte le nostrecomunità sia in Italia come nel Brasile. Qual-che mese fa, nei giorni 14 a 18 maggio, il no-stro fondatore P. Wilton Moraes Lopes ci ha

In ginocchio davanti al Signore

Attraverso questa Lettera,Paolo ha la possibilità dipreparare la sua visita,presentando se stesso e il suo pensiero a unacomunità che poco o per nulla lo conosceva

LETTERA AI ROMANI: LIBRO DELLʼANNO

COPIOSA REDENZIONE

Possiamo definire la Lettera ai Romani il

vangelo di Paolo… in 16 capitoli. Qui

Paolo esprime pienamente il suo

pensiero, la sua conoscenza del mistero

della vita e del mistero di Dio e,

soprattutto, la sua esperienza del

mistero di Cristo Gesù morto e risorto. (M. Russotto, Il Vangelo di Paolo, p. 7)

”IN DIOCESI

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convocati per celebrare il primo capitolo delramo maschile della copiosa Redenzione incuièstato eletto il nostro primo superiore Ge-nerale p. Luis cesar de oliveira, che ci lasce-rà il prossimo febbraio, perchè ritorna in Bra-sile, prenderà il suo posto p. Valdecir Zanata,che sarà il nuovo Rettore della chiesa sanfrancesco a Mussomeli e Maestro dei novizi.

Per tutto questo ringraziamo a dio, perchèeterna è la sua misericordia.

Mons. Mario Russotto, su cinque fi-gure femminili del Vangelo di s. Gio-vanni (la samaritana, l’adultera,Marte e Maria di Betania e Maria diMagdala) e da momenti di celebra-zioni liturgiche e di confronto tra iconiugi e in assemblea.

Questo è un anno particolar-mente importante per la pastoralefamiliare della diocesi nissena: do-menica 9 settembre, infatti, con unasolenne celebrazione in cattedraleil Vescovo ha conferito il mandato

alle equipes parrocchiali ed inter-parrocchiali che cureranno i nuovipercorsi di preparazione al sacra-mento del matrimonio, che da que-st’anno caratterizzeranno, in tutte leparrocchie, le attività di formazionedei fidanzati, secondo gli orienta-menti pastorali diocesani e le linee-guida contenute ne “L’anello dellafede”, il testo di riferimento elabora-to con un lavoro biennale di studioe di approfondimento dall’Ufficio diPastorale familiare.

dal 27 al 29 luglio scorso, anche igiovani hanno vissuto una tre giornidi esercizi spirituali insieme al Ve-scovo, Mons. Mario Russotto, nella

struttura di Montagna Gebbia, pres-so Piazza armerina.

Il Vescovo ha proposto alcune ri-flessioni sulle alcune figure biblicheparticolarmente vicine all’esperien-za dei giovani e alle loro problema-tiche esistenziali: Giacobbe, Giu-seppe, Maria e Giuseppe di naza-reth, con le loro vicende a volte tor-mentate, difficili, ma sempre apertealla conquista della gioia possibile eal superamento delle difficoltà in unorizzonte di forte respiro spirituale.

nel cuore dell’estate, dunque,una possibilità offerta ai giovani pervivere un’esperienza di riflessione,confronto con gli altri e preghiera.

“Lasciamoci incontrare dal Van-gelo” è stato il tema degli esercizispirituali per sposi e fidanzati che sisono svolti dal 31 agosto al 2 set-tembre, presso l’Hotel Villa Peretti diGela.

Una tre giorni, a cura dell’Ufficiodiocesano di Pastorale familiare,che ha visto la partecipazione di 70coppie di sposi in un clima di ascol-to e di comunione fraterna. La tregiorni è stata scandita da quattroLectio bibliche, tenute dal Vescovo

Esercizi con il VescovoGIOVANI E SPOSI

«Curerò le famiglie e i giovani»

«Le priorità:preghiera e relazioni»

Intervista a don Angelo Pilato

Con quale spirito si accinge a co-minciare questa nuova esperien-za come parroco?

Quando alla fine del mese digiugno il nostro Vescovo mi haconvocato mai avrei immagina-to che mi chiedesse la disponibi-lità ad accogliere l’incarico diparroco, per cui ho accolto la suavolontà con stupore.Quali sono le intenzioni pastora-li sulle quali vuole insistere?

Quando il Vescovo mi ha indi-cato la destinazione non ho pen-sato al tipo di parrocchia che miaffidava, alla città dove si trovavao ad altri dettagli di natura pasto-rale, ma a chi fosse intitolata: sa-cro cuore di Gesù. In questi me-si estivi ho intensificato la miapreghiera affidando al divin cuo-re di Gesù solo due cose: le miepaure e le attese del mio popolo.Rispondendo concretamente al-la domanda mi sento di adopera-re un solo termine: relazione. ciòche affido al signore sono le rela-zioni: relazione, anzitutto tra Luie me, tra l’amore misericordiosoe me, indegno presbitero, relazio-ne intima ed indispensabile perogni sacerdote; relazione con lacomunità affinché possa insiemea me crescere nello spirito e ma-turare anch’essa la vera amiciziacon cristo.Quali auguri si sente di fare allanuova parrocchia?

Ho subito chiesto e chiedoancora copiose preghiere per ilmio ministero sacerdotale e peril gregge a me affidato, ho subitoavvertito la necessità che tuttipregassero per me, ho affidatoogni persana e ogni intenzione alsacro cuore di Maria e credo chel’augurio più bello in queste set-timane di inizio mandato siaquesto: che tutti prendano a cuo-re l’esercizio della preghiera. Unapreghiera contemplativa, intimae silenziosa vissuta nell’ascoltodella Parola e nella celebrazionedei divini misteri e una preghie-ra attiva ed operosa affinché leborgate della comunità parroc-chiale possano essere testimo-nianza di comunione e custodiadelle antiche tradizioni nissene.

Intervista a don Marko Cosentino

Con quale spirito si accinge a co-minciare questa nuova esperien-za come parroco?

Lo spirito col quale ho accet-tato la proposta del vescovo e colquale mi sono presentato allanuova comunità è stato ancorauna volta quello di sempre, cioèmassima disponibilità alla volon-tà di dio. In 34 anni di vita sacer-dotale non è certo la prima voltache mi vien chiesto di cambiareparrocchia, a motivo di nuove ne-cessità pastorali. certo e forte del-la convinzione che il “si” detto adio fin dalla mia ordinazione haun solo obiettivo, continuare adaderire alla volontà di dio mani-festatami di volta in volta dallachiesa attraverso un suo mini-stro, ho ancora una volta detto ilmio sì. Quali sono le intenzioni pastoralisulle quali vuole insistere?

con spirito d’umiltà e di novi-tà ho iniziato a incontrare i singo-li e i vari gruppi che compongo-no la comunità parrocchiale disan domenico savio, una comu-nità viva, formata prevalente-mente da fedeli e famiglie giova-ni, animati da un forte spiritod’amore e grande desiderio dicrescita nella fede.

Ho trovato una comunità nontanto grande numericamente,ma ricca di gruppi e movimentiaperti ad offrire a chi ne sentisseil bisogno un percorso di fede va-rio secondo le diverse esigenze.naturalmente l’impegno saràquello di portare avanti, nella di-versità e distinzione, una pasto-rale fondata sulla comunione checi consentirà di camminare insie-me, senza tralasciare nessuno.

Un’attenzione particolare, inquesto nostro tempo tanto trava-gliato, darò particolarmente allefamiglie e ai giovani, insieme na-turalmente al sostegno di tutta lacomunità,Quali auguri si sente di fare allanuova parrocchia?

L’augurio è quello di tenderesempre più ad essere una comu-nità credente e testimone in unasocietà che cambia vertiginosa-mente.

Il gruppo diocesano di calta-nissetta, attraverso una suadelegazione composta dal

suo presidente edoardo Vaggi-nelli e dai soci Luigia Perricone,Linda Urrico e fiorella falci, hapartecipato alla settimana teolo-gica organizzata dal movimentocelebratasi presso la storica sededel monastero di camaldoli dal21 al 24 agosto.

nel corso della prima giorna-ta, sono intervenuti il teologomoralista prof. don cataldo Zuc-caro e l’ecclesiologo don Giovan-ni Tangorra, assistente nazionaledel movimento, sul tema “autori-tà e partecipazione nella vita del-la chiesa e della comunità civile”.

I lavori sono proseguiti nellastessa giornata con le relazionidel prof. filippo Pizzolato e del-l’on. Rosy Bindi sul tema “crisi efuturo della democrazia e delleforme di partecipazione”.

La seconda giornata è stata in-vece caratterizzata dalla tavolarotonda sul tema “esperienze disinodalità nella vita delle chiesecristiane”, moderata da stefanoBiancu vice presidente nazionaledel movimento, a cui hanno pre-so parte Matthias Wirz, monacoprotestante del monastero di Bo-se e ambrogio Matsegora, Iero-monaco, Vicario generale delleparrocchie del Patriarcato di Mo-sca in Italia.

nel corso della terza giornatadi studi, invece, hanno svolto leloro relazioni il prof. Ugo de sier-vo, Presidente emerito della cor-te costituzionale, il prof. enricoGalavotti, e la prof.ssa Marta Mar-gotti sul tema “costituzione con-cilio contestazione democrazia

e sinodalità nel cattolicesimo ita-liano del novecento”

al termine di ciascuna rela-zione si è svolto un dibattito a cuihanno preso parte i soci dei di-versi gruppi a testimonianza del-la sensibilità del MeIc al temaproposto. Lo studio è stato infra-mezzato anche da intensi mo-menti di spiritualità guidati dallapreziosa presenza dei monaci ca-maldolesi, nella splendida corni-ce del monastero e del suo pae-saggio, meraviglioso nella sua es-senzialità. al termine dei lavori èstato pubblicato un documentofinale di sintesi in cui sono statiraccolti i contributi di tutti gli in-tervenuti e sono stati delineati gliorientamenti del movimento. Ta-le documento è pubblicato sul si-to del MeIc ed è offerto alla ri-flessione di tutti coloro che vor-ranno leggerlo e condividerlo.

Positivo, per il presidente na-zionale del Meic Beppe elia, il bi-lancio dell’iniziativa: «da molteparti oggi si parla di crisi della de-mocraziarappresentativa e noi ab-biamo cercato di cogliere gli aspet-ti più significativi di questa crisi edi individuare anche quali sono leiniziative più importanti che dacredenti dobbiamo attuare per es-sere oggi una presenza rilevante».Per elia «in questo momento lachiesa ha veramente bisogno direcuperare una presenza di laicicredenti che sia significativa e re-sponsabile e che sappia svolgereunruolo attivonell’identificazionedei problemi, nella lettura della re-altà e anche nell’individuazione dipossibili percorsi per affrontare levere urgenze del Paese».

Edoardo Vagginelli

scacciare l’uomo, dinanzi alla qua-le Paolo sperimenta tutta la sua im-potenza. Il cristiano, che vive la pie-nezza del battesimo, non vive piùsotto la potenza della morte, madella vita: la vita nuova secondo lospirito, che, entrando nell’uomodevastato dalla miseria e dal pec-cato, lo libera facendolo diventareprogressivamente figlio nel figlio.Lo spirito santo è la forza di rinno-vamento della storia e il fonda-mento di ogni speranza. Riscopri-re questa forza dirompente che ci èstata consegnata con il battesimo erimettere in movimento il proces-so del divenire cristiano che con es-so è iniziato, appare oggi la vera sfi-da per le nostre comunità, perchégli uomini ritornino a sperare.

Il MEIC a Camaldoli

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di Fiorella Falci

In ogni sistema di relazionitutti svolgono il loro ruolo “li-beramente”, anche se su posi-

zioni asimmetriche e con diversigradi di subalternità e di dominan-za, ma tutti scelgono di sostenereuna parte e quindi si assumono unaparte di responsabilità. non possia-mo pensare che non ci riguardi.

È una “banalità del male” che in-

quina l’aria che respiriamo fin den-tro le nostre case, ogni volta che sipresenta nelle forme subdole e ap-parentemente “normali” per esige-re anche solo l’indifferenza di fron-te alla violazione della giustizia (nonbasta parlare di legalità) nella nostravita quotidiana.

Questo sistema produce i suoi ri-sultati quando al posto del diritto siafferma il privilegio o la prevarica-zione, quando le risorse della co-munità vengono “privatizzate” esottratte all’onestà di una gestionepubblica trasparente e imparziale,quando un gruppo di potere coor-dina, dentro e fuori dalle istituzioni,azioni economiche e politiche chene favoriscono l’arricchimento, cal-pestando o ignorando i diritti di tut-ti e il benessere della comunità.

non c’è più bisogno della luparao del tritolo, nell’era della comuni-cazione virtuale, per imporre un co-mando autoritario e criminale allasocietà: la mafia agisce ormai ai pia-ni alti delle istituzioni economichee politiche e senza molto spargi-mento di sangue. Più efficaci deiproiettili le dinamiche della comu-nicazione, che costruiscono un’im-magine pubblica positiva, funzio-nale a coprire una prassi privata il-legale, e accreditano i nuovi gabel-loti del potere come nuove guidemorali per gestire le dinamiche del-lo sviluppo in nome della legalità.

cosa è stato, per esempio, il “si-stema Montante” che le indaginidella magistratura stanno portandoalla luce in questi mesi? Una retestrabiliante di “pesci grossi” che hainquinato le istituzioni ai più alti li-velli, costruita con un’accorta regiamediatica negli anni in cui, scalati ivertici di confindustria, una nuovagenerazione di imprenditori si pre-sentava come portabandiera del co-raggio del cambiamento, dopo la

stagione delle stragi di mafia e delladecadenza dei vecchi rapporti trapolitica e criminalità.

sull’identità mutante della ma-fia, struttura di peccato e non sol-tanto emergenza criminale, la chie-sa siciliana si è espressa con chia-rezza, nel 25° dell’appello di s. Gio-vanni Paolo II nella Valle dei Tem-pli, rivolgendosi a tutti i siciliani con

una Lettera dei Vescovi che sintetiz-za nel titolo “convertitevi!” la me-moria di quella svolta epocale e laprofondità spirituale ed esistenzia-le che la conversione deve rappre-sentare oggi per tutti i siciliani, ri-spetto ad un problema che non ri-guarda soltanto una minoranza cri-minale o collusa ma l’intero popolodei credenti.

«Tutti i mafiosi sono peccatori:quelli con la pistola e quelli che simimetizzano tra i cosiddetti collettibianchi, (si legge nel documento)quelli più o meno noti e quelli chesi nascondono nell’ombra. Peccatoè l’omertà di chi col proprio silenziofinisce per coprirne i misfatti, cosìfacendosene – consapevolmente omeno – complice. Peccato ancor più

grave è la mentalità mafiosa, anchequando si esprime nei gesti quoti-diani di prevaricazione e in una ine-stinguibile sete di vendetta».

Il sistema mafioso è incompati-bile con il Vangelo, e la mafia, in tut-te le sue manifestazioni, è una que-stione ecclesiale, rispetto al doveredi costruire in sicilia una “civiltà del-la vita”, continuano i Vescovi nel lo-ro documento: «deve preoccuparciche il discorso cristiano sulle mafiesia rimasto troppo a lungo solo sul-la carta e non si sia tradotto per de-cenni e non si traduca ancora in unrespiro pedagogico capace di farcrescere generazioni nuove di cre-denti».

Questo il senso dell’appello allaconversione, ribadito da Papa fran-cesco pochi giorni fa a Palermo:«oggi siamo chiamati a scegliere dache parte stare: vivere per sé o do-nare la vita. don Pino Puglisi lo in-segna: non viveva per farsi vedere,non viveva di appelli anti-mafia, enemmeno si accontentava di nonfar nulla di male, ma seminava il be-ne».

seminare e costruire un sistemadel bene comune può essere oggil’obiettivo dei cattolici siciliani: for-mare coscienze forti della radicalitàdel Vangelo, testimoniare nelle pro-fessioni e nelle istituzioni compe-tenze trasparenti, intelligenza pro-gettuale e intransigenza di fronte al-le complicità e alla tentazione delprivilegio, dalla raccomandazione ascuola fino all’aggiudicazione di ap-palti miliardari.

se non si scioglie questo nodo in-torno ai meccanismi del poterequalunque impegno sociale e poli-tico sarebbe vanificato dai “poteriforti” che controllano la filiera dellagestione delle risorse pubbliche ene intercettano i passaggi strategici,insinuandosi nelle pubbliche am-ministrazioni, corrompendo e ar-ruolando al proprio sistema pedinee quadri intermedi fino al completocontrollo del territorio.

L’azione di contrasto a questo si-stema non riguarda soltanto forzedell’ordine e magistratura, ma pas-sa da una conversione antropologi-ca, da un cambiamento profondo dimentalità e dal coraggio di crederefino in fondo nella propria dignità dicittadini, portatori di diritti e nonpostulanti di favori e privilegi; di-pende dalla determinazione a libe-rare l’economia senza scoraggiarsiper realizzare qui, nella nostra ter-ra, quello che i nostri figli che van-no a lavorare lontano realizzano alnord, all’estero. sapendo che ogniazione positiva compiuta costruiscela loro libertà molto di più di una re-tata di polizia o di un processo.

se lo facciamo in tanti non ci sa-rà più bisogno di martiri e di eroi perindicare la strada.

La mafia è un sistemadi relazioni, unagerarchia checostruisce potere,rapporti di dipendenza edi sottomissione,funzionali a sosteneregli interessi di pochi,capaci di piegare lasocietà civileallʼobbedienza e allacomplicità facendo levasulla paura o sullaconvinzione che siaconveniente sottostarea questo sistema epartecipare agli utili,anche se in misuraminima.

LEGALITÀ E

BENE COMUNE

di Sergio Iacona

Per individuare ilmiglior percorsofinalizzato alla

costruzione del bene co-muneche sia idoneo a ga-rantire libertà e sviluppoper la nostra comunità oc-corre preliminarmentefocalizzare gli errori delpassato generatori dellagrave crisi che viviamo.Lostato attuale infatti è ilprodotto di una serie difattori concomitanti la cuiindividuazione consentedi rinvenire diverse re-sponsabilità, vere e pro-prie colpe e, in alcuni ca-si, peccati mortali ai dan-ni della collettività.

sono gravissime le col-pe della politica, in parti-colare di chi ha avutogrande potere e ruoli an-che strategici a livello na-zionale e non ha mostra-to alcun interesse per lapropria terra. assistiamoda troppo tempo alloscandalo di molti perso-naggi dediti alla mera col-tivazione degli interessipersonali e familiari espinti esclusivamentedalla sete di potere. Inquesto contesto è statodecisamente deficitario ilcontrollo del potere giudi-ziario.

senza scendere neiparticolari sono innume-revoli gli episodi nei qua-li risorse pubbliche, cheavrebbero potuto genera-re sviluppo, sono state de-viate nella direzione di

operazioni clientelari dinatura prettamente elet-torale, inoltre diversi set-tori della pubblica ammi-nistrazione sono stati in-quinati da interessi priva-ti. La classe politica hamostrato gravi e inam-

missibili limiti culturali.sarebbe tuttavia sba-

gliato attribuire solo allastessa, e alla Magistraturapoco incisiva (parlo delpassato), le colpe. diser-zioni gravi si sono verifi-cate nel mondo impren-ditoriale, incapace di sfi-dare con coraggio certeavversità e anch’essopronto a ripiegare in riti-rata. chi non ha desistitoinvece è stato ostacolato epersino perseguitato dapoteri forti che hanno im-perversato, producendodanni incalcolabili, anchein questo caso nella col-pevole inerzia di chi do-veva garantire il rispettodelle regole e della libertà.La grave distorsione pro-dotta dall’uso strumenta-le del concetto di legalitàha generato danni che ri-schiano di essere irrever-sibili, e non pare che la re-

cente, tardiva e incomple-ta, azione giudiziaria ab-bia neutralizzato tutti i re-sponsabili dello sfascio.Purtroppo l’atavica ten-denza italica a generaredegli Innominati e deidon Rodrigo non ha tro-

vato anticorpi sufficienti.Una certa responsabi-

lità grava anche sulla bor-ghesia nissena e su moltigiovani professionisti.determinate classi socialinon dovrebbero sfuggireal dovere di farsi classe di-rigente dedita al bene co-mune. Ha prevalso invecenella maggioranza la ri-cerca di prebende e inca-richi professionali e di fu-ghe edonistiche nelle in-nominabili apericene enei fine settimana trascor-si sempre più lontani daquesta terra. Molti notabi-li pagano, con una vec-chiaia di solitudine,dovu-ta alla fuga dei loro figli, lecolpe di vecchie omissio-ni e complicità.

La presa di coscienzadi tali gravi errori è già suf-ficiente a indicare la stra-da da percorrere. essaparte da una inderogabile

necessità di dialogo trapolitica illuminata, forzeeconomiche e culturali,tenendo in grande consi-derazione il profondo de-posito morale e sapien-ziale della chiesa, che benconosce le reali proble-maticità della nostra so-cietà. caltanissetta nonha bisogno di esibizionimuscolari e di discordia.conta poco il colore poli-tico per gestire in modovirtuoso le comunità lo-cali. sono convinto che lanostra è una città piena dipotenzialità e risorse chepotranno essere liberate esfruttate solo individuan-do ciò che unisce e nonciò che scioccamente di-vide. Una politica che nonsi divide, individuandopochi strategici obiettivi,capace di promuovere si-nergie e alleanze con leforze sociali e produttive eche abbia come presup-posto idealità alte è unapolitica che può battere ipugni per ottenere daicentri decisionali regio-nali e statali quelle atten-zioni e quelle risorse cheda troppo tempo manca-no.

da questo punto di vi-sta occorrerebbe condur-re una ferma battaglia peropporsi alla sciaguratatendenza a concentrareverso le realtà metropoli-tane e costiere le risorse,combattendo quel feno-meno di abbandonoe de-sertificazione delle realtàdell’interno che tanticostiumani crea.

Tutti alleati contro gli Innominati e i don Rodrigo

Il sistema delbene comune

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sono stati decenni, questi ultimi,drammatici ed inquietanti, nei qualila politica, espressione di questa no-

stra terra, ha guardato con indifferenza il ma-lessere sociale che cresceva e le sacche di po-vertà che si moltiplicavano.

Il loro, quello dei politici, è stato un eserci-zio del potere fine a se stesso, di fronte, c’è dadirlo, ad una ingiustificata apatia ed uno stor-dimento generale di cittadini, che sono statitrattati da “sudditi”. Vengono in mente le pa-gine di quel bel libro di federico de Robertodal titolo “I Viceré”.

Questo grande libro, che purtroppo non fi-gura tra i classici della nostra letteratura (for-se per il suo stile radicale e, a tratti, persino ci-nico), è invece un libro che andrebbe riletto,alla luce di quella che è stata la sicilia (e l’Ita-lia) di questi ultimi decenni.

Leonardo sciascia raccontava che tra il1936 e il ‘38 nella scuola superiore che fre-quentava (cioè l’Istituto Magistrale di calta-nissetta), insegnava un giovanissimo profes-sore, Vitaliano Brancati, che si era laureatoproprio con una tesi su de Roberto. Già allo-ra “I Viceré”, ricordava lo scrittore racalmute-se, era un’opera emarginata dalla conformistatradizione letteraria italiana. Invece “I Viceré”rappresenta un’opera, ancora oggi di grandeattualità, da rileggere alla luce dello stato di-sastroso che la politica ha prodotto in questiultimi anni nel Paese. de Roberto in quel-l’opera racconta la storia della potente fami-

glia degli Uzeda, arrogante e litigiosa, ma an-che compatta nella logica trasformistica chesegna il passaggio della sicilia borbonica aquella sabauda. L’autore ne smaschera la cor-ruzione, l’avidità, il camaleontismo di quellaclasse dirigente. I suoi personaggi, impegnatinella nuova politica unitaria, come quel con-salvo Uzeda, sono incapaci di percepire le ra-

gioni di un impegno che non porti con sé van-taggi immediati e personali: “ora che l’Italia èfatta, dobbiamo fare gli affari nostri”, dice donconsalvo.

diciamocelo francamente è la fotografiadell’Italia (e della sicilia) che è stata sino adoggi, con il suo familismo amorale, il suo ci-nismo, la sua retorica, con il gioco delle paro-

le come arte dell’inganno, che ha domina lanostra stessa terra e ha fatto di noi siciliani unpopolo sempre più ingiustificatamente im-mobile, rassegnato, scettico del futuro.

Tuttavia, un vento nuovo può iniziare aspiegare le vele di questa terra. Va trovata unastrada che sia quella di un impegno comunedella parte sana della nostra società. Lo so,quando si fanno di questi discorsi si rischia dicadere nel trito e ritrito, nelle cose già dette,nei luoghi comuni, ma non è così.

oggi la sicilia può diventare davvero unaterra bellissima. e allora la strada di cui parla-vo prima non può che partire da noi stessi, dal-l’uscire dalla nostra apatia, dal nostro disinte-resse, dal nostro disinganno. da quell’indiffe-renza, incapace di reclamare i diritti più ele-mentari, e con essi le proprie ragioni, i propriinteressi di cittadini attivi.

si impone oggi, prepotente, una nuova co-scienza morale, netta, chiara, limpidissima,senza tentennamenti. Ma con essa anche unnuovo attivismo civico e un ritrovato senso diappartenenza.

Tutto oggi ci deve indurre alla speranza,perché se è vero - come scriveva il citato scia-scia - che “la sicilia ha bisogno dell’evasionedalla realtà che da sempre le appartiene”, dal-l’altro lato vi sono intelligenze e sensibilità, chenon possono non condividere il sogno di unaterra che si liberi definitivamente dei suoi fan-tasmi e dalle larve del suo passato. Tutto il re-sto rimane meschino, inutile, volgare.

Per dare speranza alla nostraterra si impone oggi una nuovacoscienza morale, netta, chiara,limpida, senza tentennamenti.Ma con essa anche un nuovoattivismo civico e un ritrovatosenso di appartenenza

di Roberto Mistretta

Nell’immaginare un siste-ma di bene comune chegarantisca libertà e svi-

luppo alla società del nostro territo-rio, non si può prescindere dall’evi-denziare un dato di fatto sotto gli oc-chi di tutti: i condizionamenti politi-co-mafiosi nel nostro territorio stori-camente definito lo zoccolo duro dicosa nostra. Una provincia, la nostra,sottomessa al parassita che bene ad-dentro ai gangli produttivi, ne pre-giudica lo sviluppo. Terra di capima-fia, quella nissena, e rifugio di lati-tanti eccellenti, diventata negli anniepicentro di traffici illeciti di ogni ge-nere i cui tentacoli si diramano alnord Italia e all’estero. Un territoriodove giorno dopo giorno si registra-no attentati incendiari contro auto-vetture, mezzi meccanici, case dicampagna, esercizi commerciali.dove le istituzioni sono fatte oggettodi esplicite minacce. Un territoriodove le opere pubbliche suscitanovoraci appetiti e l’utilizzo di materia-li edilizi, sovente inadeguati se nondi qualità scadente, ne pregiudicanostabilità e duratura: strade franateappena ultimate, scuole invasedall’umidità, ospedali a rischio crol-li. Un territorio ostaggio di chi intral-lazza, intimidisce, collude, corrom-pe, minaccia e sa di potere contare suconsolidate coperture. e va da sé chetali episodi sono sintomatici di unprocesso di malaffare, a volte som-

merso altre sfacciatamente disinvol-to, che si interfaccia e corrode il tes-suto sano.

disse una volta, in una celebre in-tervista, Giovanni falcone, che lamafia, come tutte le cose umane, haavuto un’origine e uno sviluppo, e,conseguentemente, avrà una fine. Èuna legge di natura che ha segnato ildecorso di tutte le esperienze crimi-nali che si sono succedute nei seco-

li. Una legge alla quale, purtroppo, lenostrane mafie sembrano fare ecce-zione. centocinquant’anni di mafia,altrettanti, se non più, di camorra, euna ‘ndranghetache vanta un’anzia-nità di servizio plurisecolare devonopure dirci qualcosa. Questa tenacepersistenza del Male in grandi aree

del nostro Paese deve pure dirciqualcosa. Per esempio, che da soli,senza il sostegno e la collusione di chiavrebbe tutto il potere per spazzarlevia (e non ha mai deciso di farlo sinoin fondo) le mafie non avrebbero po-tuto resistere tanto a lungo.

Tale fenomeno è anche alimenta-to dal substrato culturale assurto aregola di vita da uomini tanto rozziquanto prepotenti e brutali, adusi aregolare col sangue i contrasti perperseguire tornaconti economici co-struiti sull’esercizio di un potere fe-roce e totalitario. figli e figliastri diquei gabelloti e campieri che eserci-tavano il controllo sui possedimentidei baroni, perpetuando privilegifeudali. eppure, quella minoranzaha fatto diventare la sicilia terra uni-versalmente nota quale culla dellamafia, moderna Medea che divora isuoi stessi figli. e fintanto che l’isolanon sarà capace di guardare a se stes-sa con occhio critico e rigoroso e nonsaprà produrre gli anticorpi necessa-ri a debellare il cancro che la divora,è destinata a restare prigioniera delsuo mito di sangue e morte.

La domanda che i siciliani onestisi pongono è: quando finirà, dun-que?

La strada è quella di sentirsi au-tenticamente siciliani e cercare leproprie radici, anche se sono infette;perché, se è pur vero che nella storiadella mafia c’è molta sicilia, è altret-tanto innegabile che nella storia del-la sicilia c’è tantissimo altro che nonè mafia.

Casa nostraSenso di appartenenza e “sicilianità”i veri anticorpi contro la maHa

di Andrea Miccichè

La corruzione è il classicoesempio di concetto chetutti abbiamo presente,

ma non sappiamo spiegare ade-guatamente: forse non è un con-cetto che possediamo, ma unconcetto che ci possiede; è un fe-nomeno pervasivo e multiforme,capace di assumere tonalità di di-svalore diversificate.

Il nucleo centrale è la devia-zione dell’agire pubblico: è pro-prio lo stato nei suoi ufficiali (oesercenti un pubblico servizio) adessere messo in crisi nella sua uni-taria funzione di perseguire obiet-tivi di utilità comune.

È singolare il fatto che l’Italiaabbia una delle più dettagliatenormative in materia di contrastoalla corruzione rispetto ai partnereuropei e, tuttavia, sia ritenuta ilfanalino di coda. forse che l’ec-cesso di produzione legislativaabbia favorito la creazione di sac-che di impunità, come le famosegride manzoniane?

Le numerose riforme che han-no investito la materia e accesosempre nuovi dibattiti, infatti,hanno ingenerato confusione,con ricadute interpretative ed esi-ti giudiziali controversi.

Il sistema corruttivo ha comefocus l’accaparramento delle ri-sorse pubbliche economiche,perciò, prima dello strumento pe-nale, che agisce ex post, bisogna

agire prevenendo: in altre parole,è necessario rendere poco appe-tibile il ricorso a modalità crimi-nose.

ciò parte da un’attenta riformadel sistema amministrativo, inve-stendo nella formazione dei di-pendenti pubblici, nell’indivi-duazione di personale con ade-guate competenze (principio me-ritocratico), nella concorrenza,nel potenziamento dei rapporticittadino-pubblica amministra-zione.

se lo stato fornisce adeguatisupporti al cittadino, questi nonha interesse a trovare vie contra le-gem; se i bandi per i contratti pub-blici favoriscono l’innovazione elo sviluppo di start-up, si riducenettamente il rischio che ad acca-parrarseli siano i “soliti noti”; se siattua un effettivo decentramentoamministrativo e finanziario, as-sistito dalla previsione di stan-dard qualitativi, anche le realtà lo-cali possono diventare regolatorieconomici qualificati ed efficacinel territorio dove operano.

naturalmente, la prospettivagiuridica è solo parziale, perché lacorruzione è un sistema cultura-le che deve essere sradicato con laformazione e la ricostruzione diun’identità comune forte.

Piuttosto, attraverso la norma-zione attenta e competente si po-trà mettere in forma e rafforzare ilcomplesso dei valori che dovreb-bero essere immanenti alla co-scienza sociale.

Non basta lalegge per vincere la corruzione

politica dei

“Viceré”Ladi Filippo Falcone

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di Eugenio Guccione

Non esiste alcun dubbio. Èstoricamente assodatoche l’introduzione delle

leggi razziali in Italia nel 1938 sia sta-to un servile omaggio di Benito Mus-solini ad adolf Hitler, ossia la pienaadesione del duce italiano alla lineadi condotta antisemitica del führer te-desco. dal 1933, con l’ascesa al pote-re del leader nazionalsocialista, sinoal 1936, inizio di un’alleanza tra i due- denominata «asse Roma-Berlino» econfermata, nella primavera del1939, con il «patto d’acciaio» - era av-venuta una paradossale conversione.

era finito il tempo che aveva vistoMussolini ergersi a maestro di Hitlere da costui ricevere lusinghieri rico-noscimenti. L’allievo, in pochi anni,aveva superato il maestro, al qualeaveva cominciato a dare frequenti le-zioni sul modo di muoversi in cam-po nazionale e internazionale. Il dot-to insegnante elementare di Tolmez-zo (friuli) non ebbe, lì per lì, l’accor-tezza di capire che era incappato nel-le grinfie di un cattivo maestro. daqui, sciaguratamente, anche le leggirazziali, a mo’ di «compiti assegnatiper casa», caldeggiate da Hitler aMussolini nel corso della sua visita al-la Germania nazista, svoltasi dal 25 al29 settembre 1937, circa un anno pri-ma dell’emanazione della normativarazzista.

Il varo del decreto, tranne qualcheblanda, tiepida opposizione, avveni-va con la solidarietà del Gran consi-glio e con tanto di firma e di bollo re-gale di Vittorio emanuele III, monar-ca d’Italia e imperatore d’etiopia «pergrazia di dio e per volontà della na-zione». Un’indelebile macchia di in-famia cadeva sulla casa savoia. si le-gittimava con estrema leggerezza un«razzismo di stato», imperniato su unbecero antisemitismo. e, in pari tem-po, lo si voleva giustificare con elu-cubrazioni pseudo-filosofiche epseudo-antropologiche e con l’ ela-borazione di stravaganti teorie sul

razzismo «biologico», «politico», «re-ligioso», «cattolico» e «laico». Il tutto,per lo più, plagiato a piene mani dasaggi e articoli a firma di penniven-doli germani a servizio del führer.

Rimane, a testimonianza di siffat-ta penosa letteratura, la rivista «La di-fesa della razza», diretta da TelesioInterlandi, un prodotto giornalistico

indegno di circolare nell’idioma didante, di francesco d’assisi e diManzoni. La politica del regime, sul-la scia di quanto avveniva in Germa-nia, mirava a dimostrare «scientifica-mente», partendo da falsi presuppo-sti, l’impurità della razza semitica e lavitale opportunità per l’Italia di estro-mettere gli ebrei da ogni posto di re-

sponsabilità, pubblico o privato, oc-cupato da loro nell’ambito della co-munità nazionale.

Iniziò con tali convincimenti econ un lungo elenco di motivazioni,divieti e provvedimenti vari, la per-secuzione degli ebrei anche nel Bel-paese. La sottomissione di Mussolinialla «scuola nazista» apparve al giu-dizio delle nazioni democratiche ilpreludio di una serie di irresponsabi-li e criminali scimmiottature, che, ineffetti, ebbero il loro catastrofico epi-logo nel 1940 con lo schieramentodell’Italia a fianco della Germanianella seconda Guerra Mondiale e nel1945 con la fucilazione dello stessoduce. La puntuale e rigida applica-zione di quelle leggi provocò, nonmeno che nel regime nazista, soffe-renze, paura, lutti e morte per mi-gliaia di persone innocenti, colpevo-li soltanto di non avere potuto sce-gliere prima del loro concepimentola razza di preferenza.

si volle far credere che anche sul-l’antisemitismo il regime fascistaavesse il consenso della stragrandemaggioranza degli italiani. Ma la più

recente storiografia, grazie alla docu-mentazione venuta fuori dagli archi-vi vaticani e statali, ha dimostrato ilcontrario. si è appreso che l’ideolo-gia razzista si scontrò con l’immedia-ta e manifesta opposizione della san-ta sede, di alcune personalità del re-gime e con la «generale impopolari-tà nell’opinione pubblica».

Mussolini, sperando di avere lachiesa al suo fianco, avrebbe volutocoinvolgerla riesumando l’anacroni-stico antigiudaismo cristiano, voltonei secoli passati ad accusare e com-battere gli ebrei, perché ritenuti «reidi deicidio». Il tentativo, tuttavia, fal-lì prima di nascere. ci fu, invero, nelmondo cattolico qualche defezione,ma rientrò senza strascichi per la di-retta reazione di Pio XI e per gli ener-gici interventi diplomatici di Pio XII.saranno i successivi pontefici a riba-dire la condanna a ogni forma di raz-zismo e a chiedere ufficialmente per-dono agli ebrei, «fratelli maggiori deicristiani», per la secolare intolleran-za dei cattolici nei loro confronti.

a 80 anni dal «regio decreto» sul-le leggi razziali è tanta la vergogna de-gli italiani che tutto indurrebbe a di-menticare la tragica, scellerata vicen-da. Il solo ricordo sembra ripugnarealla coscienza di ognuno. Ma sicco-me la storia, che è «magistra vitae», siarticola in corsi e ricorsi, è quantomai doveroso e opportuno continua-re a commemorare e a onorare le vit-time anche per tentare di evitare, inun possibile rigurgito storico, che,per insensata volontà politica, ce nepossano essere altre.

non importa il colore della loropelle, né la loro appartenenza etnica.Israeliti, arabi, tunisini, libici, eritrei,turchi, egiziani, curdi, così come il re-sto dell’ umanità, posseggono il«dna adamico». siamo tutti migran-ti su questa Terra. siamo tutti ugualie fratelli perché figli dello stesso Pa-dre. ed è sempre valido, attuale e sa-crosanto il principio cristiano del pri-mato dell’uomo sul cittadino, sullasocietà e sullo stato.

nel settembre del 1938 l’Italia fa-scista varò le leggi razziali, firmatesenza battere ciglio dal re Vittorioemanuele III, che macchiò per sem-pre di infamia casa savoia.

Il Regime di Benito Mussolini,con il Regio decreto del 5 settembredel ‘38, si adeguò di fatto alla legi-slazione antisemita della Germanianazista, che fin dal 1933, anno del-l’ascesa al potere del führer, varòuna serie di provvedimenti controgli ebrei, che portarono all’olocau-

sto, ovvero il genocidio di 6 milionidi persone, compresi donne e bam-bini, ricordati con la Giornata dellaMemoria, il 27 gennaio.

nel 1933 si stima che ci fossero 13milioni di ebrei in europa, dei qualicirca 40.000 in Italia. anche questidiventarono progressivamente vitti-me di un «razzismo di stato», primatramite leggi discriminatorie a livel-lo sociale ed economico, poi con laviolenza vera e propria.

anche dopo l’introduzione delle

prime norme anti-semite in Germa-nia, in Italia non si assisteva ancoraa forme di discriminazione. dopoche i Patti Lateranensi avevano de-finito l’ebraismo come culto am-messo, il governo fascista nel 1930emanò la Legge falco, che istituiva erendeva obbligatoria l’iscrizione al-l’Unione delle comunità ebraicheitaliane, vista con favore però degliebrei come forma di semplificazio-ne burocratica.

fu, invece, nel 1938 che la situa-

zione cambiò profondamente. Il 14luglio viene redatto il primo il primodocumento che parlava ufficial-mente di «razza ariana italiana».

Il testo era diviso in 10 punti esanciva alcuni concetti ritenuti fon-damentali, tra cui l’esistenza dellerazze umane.

dalla definizione di razze alla di-scriminazione ed espulsione di cit-tadini (e bambini) ebrei dalla vitasociale e dal mondo lavorativo e sco-lastico il passo fu breve.

dopo l’armistizio dell’8 settem-bre, esattamente il 13 dicembre1943, iniziò anche per gli ebrei ita-liani il periodo di deportazione esterminio.

Ottant’anni fa la firma della vergogna

L’infamiadelle leggirazzialiRicordare per non ricadere

Mi chiamo sonia Lipa-ni e abito a san ca-taldo. Lipani Miche-

le, morto nel campo di concen-tramento di fallingbostel (Ger-mania) era mio nonno che io hoconosciuto solo attraverso dellefotografie e cartoline che mianonna gelosamente custodivanella sua camera. diversi anni fa,prima che lei venisse a mancare,mi ero posta l’obiettivo di saperequalcosa in più di mio nonnoche, partito per la guerra nel di-cembre del 1941, non aveva fat-to più ritorno a casa.

da quel momento sono ini-ziate le mie ricerche.

Mio nonno era nato a san ca-taldo il 5 febbraio 1911. aveva duefratelli e una sorella e di profes-sione lavorava la terra. nel 1941,per esigenze di carattere eccezio-

nale, era stato richiamato alle ar-mi ed era stato inserito nel Reggi-mento fanteria di agrigento; tra-ferito al 27° battaglione costiero“Lecce” si era imbarcato a Bari edera partito per l’albania per parte-cipare alla guerra greco-albanese.Poi, il 12 settembre 1943, in segui-to all’armistizio di cassibile, erastato arrestato dalle truppe tede-sche e internato in Germania nel-lo stalag XI B di fallingbostel, do-ve è deceduto il 20 aprile 1944, unanno prima che il campo venisseliberato dalle truppe americane.

oggi mio nonno è sepoltopresso il cimitero militare italia-no d’onore di amburgo e quel cheha suscitato in me è il desiderosempre più forte di essere testi-mone non solo della sua storia,ma anche della storia degli altri

eroi che, pur mettendo in gioco lapropria vita, hanno combattutoper un’Italia libera e nuova.

sento di avere la grande re-sponsabilità di trasmettere allenuove generazioni ciò che è statoaffinché non si ripeta più quantoaccaduto, perché, come diceva Ro-bert anson Heinlein, Una genera-zione che ignora la Storia non hapassato...né futuro. ed è per questoche, da oltre un decennio, il mioimpegno viene messo a disposi-zione dei ragazzi e il 27 gennaio, inoccasione della Giornata della Me-

moria, mi reco nelle scuole per ri-cordare la shoah e gli eventi stori-ci più importanti accaduti durantela seconda guerra mondiale. e,puntualmente, ogni anno, dopo gliincontri con i ragazzi, torno a casacon tanta gioia e con la mia con-vinzione, sempre più forte, che il ri-cordo di tali avvenimenti non deb-ba affievolirsi per evitare che certiorrori possano ripetersi.

Trasmettere e tenere viva lafiaccola della Memoria sono gliobiettivi che mi sono posta.

Sonia Lipani

Matricola Numero 20283Il ricordo e lʼimpegno della nipote di un deportatomorto nel campo di concentramento in Germania

1938-2018

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Prospettive di sviluppo perla sicilia: slogan, titoli dieventi, fiumi di parole si

sono riversati sulla tematica, la-sciando, purtroppo, un terreno ari-do, reso secco dal sole cocente deldisfattismo e della rassegnazione.

Questa “calura dello spirito si-culo”, ben descritta da Tomasi diLampedusa, nel discorso del Prin-cipe di salina a chevalley, a trattipare mitigarsi, grazie all’azione ditanti nostri conterranei, che mobi-litando le coscienze, nel silenziodel costante lavoro, tracciano sol-chi di speranza.

attraverso la metafora naturali-stica, si spiega la dialettica costan-te della lotta tra bene e male, o me-glio, tra impegno e abbandono, cheanima la sicilia.

non si deve cadere, però, nel-l’errore di ritenere ciò come unasuccessione di episodi di segno op-

posto, quasi a rievocare l’eresia ma-nichea, oppure come un “eterno ri-torno”, di nietzschiana memoria:interrogarsi sul futuro della siciliavuol dire cogliere la complessità,l’intreccio tra storia di persone estoria di popoli, discernendo la di-rezione cui tendono.

a partire da quest’indagine, sa-rà molto più concreto l’esito delproprio impegno civile: diceva ilBeato Pino Puglisi ai giovani dellafUcI palermitana che era fonda-mentale l’analisi del territorio.

L’analisi del territorio, delle suedifficoltà, dei suoi punti di forza, delcapitale umano, è il primo passoper una progettualità di ampio re-spiro, capace di abbracciare il sin-golo quartiere e la grande città, ilborgo sperduto come la Regione.

Il momento attuale sembra con-notato da una grave stasi: gli annidel riscatto culturale, del movi-

mento antimafia, della battagliacorpo a corpo contro lo strapoteredi cosa nostra, dei grandi martiridella giustizia sembrano archiviati.

È vero che, all’apparenza, la ma-fia non colpisce più come prima: lestragi che insanguinavano le stradee coinvolgevano tutti, senza esclu-sione di colpi, non sono più panequotidiano.

eppure, il veleno mafioso sem-bra instillarsi nei gangli del potere:ormai non ci meravigliamo più perle inchieste sulla corruzione negliapparati amministrativi, sui siste-mi di “favori” che governano gli ap-palti pubblici, sui traffici di droga,sul lavoro nero…

Quale futuro si può concepire sechi è deputato ad avviarlo ha inte-ressi confliggenti con quelli dellacomunità?

si potrà rispondere che è sem-plice condannare il degrado dalle

colonne di un giornale, lasciandoche tutto vada per la sua strada.

Perciò, dopo questa “pars de-struens”, ecco alcuni spunti per ri-cominciare a pensare alla ricostru-zione della “casa comune”.

Premesso che non ci sono for-mule di sicura riuscita, ritengo chesi possa lavorare su tre fronti, chealtro non sono se non la visionecontemporanea della profezia po-litica sturziana: promozione delpopolarismo (inteso come conso-nanza tra le istanze provenientidalla base, quindi le necessità delpopolo, e gli ideali sociali e cultu-rali del cristianesimo, declinati nel-la situazione attuale); sviluppo del-la libera impresa, vista come istitu-zione non soltanto volta alla pro-duzione di lucro individuale, macome strumento di responsabilitàsociale e di crescita comune; nettaseparazione tra politici ed impren-ditori, al fine di rendere lo stato unefficiente controllore sul rispettodei principi essenziali di concor-renza e di trasparenza.

solo con questa rilettura multi-disciplinare della realtà, si potràriattivare il “circolo virtuoso” di de-

nuncia del malaffare e progettazio-ne responsabile.

certamente, per poter attuareciò, è necessaria la compattezza deltessuto sociale: compattezza chenon indica unicità di vedute, maconsonanza di valori pur nelle di-verse idee applicative.

Risulta fondamentale, dunque,il superamento delle spinte centri-fughe dell’individualismo per co-struire momenti (prima ancora chespazi) di aggregazione formativa,che sappiano sviluppare la consa-pevolezza del proprio essere mem-bri di una civitas.

Andrea Miccichè

Quale futuro per la Sicilia?Speranze e prospettive di sviluppo

di Marina Castiglione

L’autorevolezza di Leonar-do sciascia ha contribuitoa fare circolare una valuta-

zione metalinguistica errata e fuor-viante relativamente al dialetto si-ciliano, che trascina con sé impli-cazioni socio-antropologiche e ste-reotipi regionali. La valutazione ri-guarda la presunta assenza deltempo futuro dal dialetto siciliano,grande travisamento illustrato siain La Sicilia come metafora che inOcchio di capra: «La paura del do-mani e l’insicurezza qui da noi so-no tali, che si ignora la forma futu-ra dei verbi. non si dice mai: “do-mani andrò in campagna”. Ma “du-mani, vaju in campagna”, domanivado in campagna. si parla del fu-turo solo al presente. così, quandomi si interroga sull’originario pes-simismo dei siciliani, mi vien vogliadi rispondere: “come volete nonessere pessimista in un paese doveil verbo al futuro non esiste?”» (L.scIascIa, La Sicilia come metafora.Intervista di Marcelle Padovani,Milano, Mondadori, 1979, p. 45); «Èda osservare che nel dialetto i ver-bi, le azioni, non sono mai al futu-ro: fatto linguistico-esistenziale digrande rilevanza; uno di quei fattiche dice tutto» (L. sciascia, Occhiodi capra, Torino, einaudi, 1984, pp.86-87)

sciascia, da dialettofono, non

commette un errore nell’esemplifi-care attraverso l’enunciato, “duma-ni, vaju in campagna”, ma dimo-stra di essere lontano da conoscen-ze di grammatica storica che gliconsentano di andare aldilà dellevalutazione di un parlante “comu-ne”, per quanto di genio. Probabil-mente di questo travisamento “lin-guistico-esistenziale” sciascia erasolo in parte responsabile, dato chela stessa considerazione la si ritro-va anche nell’introduzione alla Sto-ria della Sicilia medievale e moder-nadi dennis Mack smith, che sici-

liano non era (1968). In realtà nella generale crisi del-

la forma verbale del futuro, già pre-sente nel latino volgare, i dialetti ro-manzi si riassestano trovando so-luzioni morfologicamente diverse.Il futuro, infatti, peccava di due ele-menti di debolezza: la varietà delparadigma che opponeva la I e la IIconiugazione (-aBo/-eBo) a quellodella III e IV coniugazione (-aM/-IaM) e la possibile confusione, so-prattutto in fase di cambiamentodiacronico, da un lato con le vocidell’imperfetto indicativo e dall’al-tro con quelle del presente con-giuntivo. Una soluzione comune atutte le lingue neolatine verrà tro-vata nell’unione tra l’infinito (por-tatore del significato dell’azione)col presente del verbo ‘avere’, al-l’epoca non ancora verbo ausiliare.La locuzione perifrastica così arti-colata sostituisce il futuro sinteticooriginario e utilizza HaBeo che as-sumeva il significato di ‘ho da’, ‘de-vo’, quasi a indicare qualcosa di im-posto dal destino che si proiettavaautomaticamente nel futuro.

La forma italiana ha degli svi-luppi così riproducibili: LaUdaR(e) *ao > lodarò > loderò. In luogo di -ò,in testi medievali si trovano anchealtre forme, come il più antico -àg-gio: diragio (Brunetto Latini), fa-raggio (ariosto); -àio: daràio (Jaco-pone). Tali forme sono presenti an-che nei dialetti meridionali antichi,in testi letterari non popolari.

La forma italiana , dunque, nonsi presenta nei suoi elementi costi-tutivi molto diversa dal tipo HaBeo

ad canTaRe, caratteristico di tutto ilMezzogiorno d’Italia. L’inversionedei costituenti – oggi opacizzata,tanto che -ò, -ai, -à etc sono senti-te come desinenze –ha di fattobloccato il processo di univerba-zione ed ancora oggi la perifrasi (inenunciati come àiu a manciari; âdòrmiri; amm’a fari; ecc.) sottin-tende l’idea di necessità.

che il futuro non sia un modo

“popolare”, cioè di successo, allora,dovrebbe riguardare l’intera nazio-ne, dal momento che nell’italianoneostandard che tutti noi oggi usia-mo e ascoltiamo persino in televi-sione e in luoghi della formalità co-municativa, il presente indicativova ad occupare sempre più lo spa-zio proprio del futuro, accompa-gnato magari da avverbi come poiecc. (ess.: l’estate prossima vado invacanza al mare; domani vado alcinema; poi mercoledì ci vediamo;ecc.). a meno che il “pessimismodei siciliani” non abbia travalicatola linea della palma, influenzandole regole toscane…

analogamente si potrebbe direche il siciliano non abbia alcuna for-ma grammaticale per rendere il mo-do condizionale, quello che ci serveper esprimere le ipotesi, le condi-zioni di un’azione possibile ma noncerta, di un futuro in dipendenza delpassato. anche in questo caso l’ita-liano adotta una perifrasi che vienedal latino volgare (LaUdaRe *HeBUI >lodarei > loderei).

Il siciliano, invece, ha conosciu-to almeno due diverse forme dicondizionale: una che ci è arrivataattraverso la lirica provenzale euna autoctona, antica e rara: que-st’ultima è costruita sul piucche-perfetto latino aMa(Ve)Ra(M) >amàra; fU(e)Ra(T) > furra/forra/fo-ra; la forma provenzale deriva dal-l’imperfetto produce forme in -ia(avrìa, crederìa, penserìa, sarìa,ecc.). considerando, però, che illatino non conosceva un condizio-nale autonomo rispetto al con-giuntivo, il nostro si putissi, facissi(con la traduzione *se potessi, fa-cessi) esprime in forma più origi-naria l’italiano se potesse, farei. In-somma: con una filosofia qualun-quista, un popolo “privo” di futuroe di condizioni!

PENSIERI E

PAROLE

La paura del domani elʼinsicurezza qui da noisono tali, che si ignorala forma futura deiverbi. Si parla del futurosolo al presente

Un dialetto senzafuturo e condizioni

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di Giuseppe Savagnone

In un momento senza dub-bio molto delicato della vitadella chiesa, le dure accuse

rivolte al papa da mons. carlo Ma-ria Viganò, ex nunzio negli statiUniti, che ha chiesto, in base ad es-se le dimissioni di francesco, nonpossono non suscitare un profon-do disorientamento in tutto ilmondo cattolico. Lo hanno provo-cato anche in me, che di papa Ber-goglio sono sempre stato un esti-matore e un sostenitore.

certo, le modalità dell’attaccofrontale del prelato italiano mi so-no subito sembrate strane. ancoraoggi, Viganò ribadisce di avere co-me unico intento la ricerca dellaverità. non ho alcun motivo di du-bitare della sua sincerità, ma se unmembro – tra l’altro molto qualifi-cato – della gerarchia ecclesiasticaha delle ragioni di criticare la cor-rettezza del comportamento pas-sato del sommo Pontefice (a cui,come vescovo, ha tra l’altro giura-to fedeltà), la prima cosa da farenon è esattamente una denunziapubblica, facendola addiritturacoincidere con la sentenza di con-danna (le dimissioni). La ricercadella verità suppone un procedi-mento assai più misurato, che pre-vede l’ascolto delle ragionidell’“imputato” e che non si affidaalla logica scandalistica del circomediatico. Il ricorso a quest’ultimapotrebbe aver un senso solo dopoaver percorso tutte le altre stradedisponibili. Ma di questo, nel casodell’attacco di mons. Viganò, nonc’è alcuna traccia, né egli stesso neha fatto minimamente menzione.

Un altro elemento che mi ha su-bito lasciato perplesso è che mons.Viganò è collegato agli ambientipiù conservatori della chiesa ed èstato tra i firmatari della “Profes-sione� nella quale si afferma che ilmagistero di Papa Bergoglio dif-fonde il divorzio.

Resta però la gravità di una de-nunzia che cade proprio nel mo-

mento in cui papa francescoesprime tutta la sua presa di di-stanza dal drammatico fenomenodella pedofilia, e che sembra sma-scherare un suo coinvolgimentonel male che dice di voler combat-tere. Quali che siano le motivazio-ni e le scorrettezze dell’accusatorenel presentare questa denunzia,essa deve assolutamente esserepresa in considerazione, sulla ba-se del dossier di undici pagine incui Viganò stesso l’ha esposta.

che cosa dice dunque l’ex nun-zio in questo dossier? Mi rifaccio,per riassumerne il contenuto, al-l’articolo di un vaticanista noto perla sua serietà, andrea Tornielli,pubblicato su un quotidiano asso-lutamente “laico”, «La stampa» del29 agosto.

L’accusa mossa a papa france-sco è di avere coperto l’83enne car-dinale emerito di WashingtonTheodore Mccarrick, che avevaavuto relazioni omosessuali conseminaristi maggiorenni e sacer-doti, approfittando della loro con-dizione di subordinati per portar-seli a letto. Un comportamento si-curamente abietto, ma che, a voleressere precisi, ha a che fare con ilproblema dell’omosessualità enon con quello della pedofilia, acui lo si è frettolosamente ricon-dotto. sia chiaro che non dico que-sto per sminuire la gravità del fattocontestato al cardinale di Washin-gton; è indubbio, però, che omo-sessualità e pedofilia sono due co-se diverse.

Ma andiamo ai fatti prodotti neldossier. ciò che stupisce, in primoluogo, è che le accuse contro il car-dinale Mccarrick risalgono ai pon-tificati di Giovanni Paolo II e di Be-nedetto XVI. È stato Giovanni Pao-lo II, nel novembre 2000, a nomi-nare il prelato vescovo di Washin-ton e poi cardinale, ignorando lalettera di un frate domenicano cheriferiva di aver sentito delle voci suisuoi rapporti sessuali coi suoi se-minaristi (sempre maggiorenni).

nuove denunce arrivarono a

Roma nel 2006, quando il Papa eraBenedetto XVI. a muoverle era unex prete, Gregory Littleton a suavolta condannato, lui sì, per pedo-filia, il quale faceva sapere al nun-zio negli Usa di essere stato mole-stato sessualmente (sempre damaggiorenne) da Mccarrick, ilquale peraltro ormai era in pen-sione dall’anno precedente. Viga-nò, allora alla segreteria di stato,preparò un appunto per i superio-ri, che non risposero.

nel 2008 circolano nuove accu-se di comportamenti impropri diMccarrick e di nuovo Viganò scri-ve di aver mandato ai superiori unulteriore appunto. Questa volta,stando sempre al suo dossier, Be-nedetto interviene, imponendo alprelato, ormai emerito e pensiona-to, di vivere ritirato e non apparirepiù in pubbico.

Il dossier di Viganò lascia inten-

dere che sia stato papa francescoad annullare questi limiti. Ma, os-serva Tornielli, basta cliccare sulweb per scoprire che, già durantegli ultimi anni del pontificato diRaztinger, Mccarrick, a dispettodelle sanzioni (ammesso che ildossier dica il vero sulla loro esi-stenza), ha celebrato ordinazionidiaconali e sacerdotali a fianco diimportanti porporati della curiaromana stretti collaboratori di Pa-pa Ratzinger, ha tenuto conferen-ze, e il 16 gennaio 2012 ha parteci-pato, insieme ad altri vescovi sta-tunitensi, a un’udienza con Bene-detto XVI in Vaticano (il suo nome

tra i partecipanti viene segnalatonel bollettino della sala stampadella santa sede).

Ma quel che è più strano, e noncollima affatto con il racconto deldossier, è che lo stesso mons. Viga-nò, divenuto nunzio negli statiUniti, partecipa ad eventi pubbliciinsieme al cardinale Mccarrick,anzi il 2 maggio 2012 è tra i presentia una cerimonia in cui al prelatoviene consegnato un premio e nonha alcuna difficoltà a farsi fotogra-fare al suo fianco.

nel dossier, l’ex nunzio, sostie-ne che papa francesco, subito do-po la sua elezione, non solo annul-lò le restrizioni imposte a Mccar-rick (affermazione, come abbiamoappena visto, priva di fondamento,perché queste restrizioni nonc’erano mai state o almeno nonerano state operanti), ma ne feceun suo consigliere per le nomine di

vescovi in america. anche se,commenta Tornielli, di questo«non adduce, almeno fino a que-sto momento, alcuna prova».

Invece racconta – e non c’è mo-tivo di non credergli, trattandosi diun’esperienza diretta – che nel giu-gno 2013, pochi mesi dopo la suaelezione. Bergoglio, ricevendolo,gli chiese informazioni su Mccar-rick con quale non aveva potutoavere particolari rapporti diretti,anche perché questi, ormai ultra-ottantenne, non aveva partecipatoal conclave. alla domanda del pa-pa Viganò riferisce di aver rispostoche il cardinale aveva corrotto ge-

nerazioni di seminaristi e di sacer-doti. Il discorso tra i due non ave-va avuto alcun seguito.

Ma quando, nel 2018 arriva, perla prima volta, la notizia di un abu-so su un minore commesso cin-quant’anni prima da Mccarrick,allora giovane prete, e questa ac-cusa trova conferma in elementiraccolti nella diocesi di new York,papa francesco, con una decisio-ne che non ha precedenti nella sto-ria recente della chiesa, toglie laporpora e la berretta cardinalizia alprelato corrotto, che da quel mo-mento non è più cardinale.

Questi i fatti enumerati nel dos-sier di mons. Viganò. dove, agli oc-chi del lettore senza pregiudizi,emergono possibili responsabilità– anch’esse, peraltro, da dimostra-re e precisare – del Vaticano altempo di Giovanni Paolo II e di Be-nedetto XVI, ma non a carico dipapa francesco, che invece è il so-lo bersaglio dell’accusa di corru-zione, tanto da chiederne addirit-tura le dimissioni. Mons. Viganòdice di aver fatto la sua pubblicadenunzia per amore della verità eper combattere la corruzione nel-la chiesa. Mi chiedo, francamen-te, se c’entri qualcosa, in questasua mossa clamorosa, la sua nonsegreta appartenenza alla frondache da anni, ormai, cerca di scre-ditare in ogni modo il nostro papacon le accuse più svariate.

Per quello che mi riguarda, do-po aver preso conoscenza delcontenuto del suo dossier, non misento più tentato di smarrimento,anzi sono più convinto che maidella necessità di sostenere fran-cesco nella sua difficile battagliaper il rinnovamento della chiesa.e condivido il suo atteggiamentosereno quando, ai giornalisti chegli chiedevano un giudizio, ha ri-sposto semplicemente: «credoche il comunicato di Viganò parlida sé, e voi avete la maturità pro-fessionale per trarre le conclusio-ni». anche io credo di avere que-sta maturità.

L ʼ A U R O R AN. 7 - Settembre 2018

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di Stefano Vitello

Santo Padre, l’occasione del-la sua visita Pastorale in si-cilia è propizia per acco-

gliere da Lei la benedizione e laconferma nella fede cattolica, rin-novare la comunione con il suc-cessore di Pietro, rigenerare il no-stro impegno di laici in questa ter-ra molto ricca di tradizioni e valoriumani e cristiani, ma nello stessotempo lacerata da contrasti socialiacuti e gravi e da contraddizionieconomiche.

La sua presenza sollecita conchiarezza e forza la consulta Re-gionale delle aggregazioni Laicali a

proseguire sulla strada percorsadal beato Pino Puglisi e dal servo didio Rosario Livatino: annunciare ilVangelo e resistere a ciò che lede ladignità dell’uomo, e tendere sem-pre con coraggio, onestà intellet-tuale e linearità comportamentaleal bene comune.

Il sonno della coscienza generae facilita la nascita di miraggi, ido-latrie, stili di pensiero e di vita chesviliscono il senso della storia, ar-recando morte e odio.

santità, la sua presenza in sici-lia ci incoraggia a essere sentinelledella coscienza, a mantenere destoil nostro impegno contro ogni for-ma di sopruso malavitoso e contro

ogni latitanza personale, comuni-taria ed istituzionale per renderequesta nostra sicilia, con la sua mi-rabile bellezza, culla d’amore e diaccoglienza solidale, baluardo diciviltà.

Le esprimiamo, santità, la no-stra profonda gratitudine per il suostraordinario impegno pastorale

che nessuno potrà ostacolare e im-pedire, e rimettiamo nelle sue ma-ni, affinché lo accompagni con lasua intercessione, il desiderio di es-sere delle sentinelle in preghiera,perché l’impegno senza radici nel-la preghiera offre agli altri solo ma-ni deboli, impotenti, vuote.

Le siamo vicini con affetto filia-

le e preghiamo Il signore che Le diaforza e salute per continuarci adammaestrare alla scuola della Pa-rola di dio, signore della storia edella vera vita.

Le siamo viciniConsulta Regionale Aggregazioni Laicali

Senzaesclusione

DIRETTORERESPONSABILEGiuseppe La Placa

REDAZIONEcrispino sanfilippo - andrea Miccichè

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A PROPOSITO DELLE ACCUSE DI MONS. VIGANÒ AL PAPA

di colpi IL CASO