Antichi Crocifissi nelle chiese di Aversa · 2017-01-26 · Antichi Crocifissi nelle chiese di...

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Antichi Crocifissi nelle chiese di Aversa Scrive Padre Sergio Contini in una breve prefazione ad un suo libro sui più venerati Crocifissi italiani edito a metà degli anni Sessanta, che «... pur essendo il mistero della Passione e Morte del Figlio di Dio fatto uomo, uno dei misteri principali della nostra fede, il materialismo che domina la vita cristiana, lo ha fatto dimenticare completamente [sicché] mentre nelle antiche chiese, soprattutto medioevali, l’altare centrale era dominato da un grande Crocifisso che richiamava subito la mente dei fedeli all’immolazione del Calvario rinnovantesi sull’altare, oggi in molte chiese il Crocifisso è ridotto a proporzioni minime e reso quasi invisibile» 1 . Di contro alle giuste osservazioni circa la diminuzione della pratica devozionale per Cristo crocifisso che Padre Contini andava formulando qualche decennio orsono, bisogna registrare, invece, negli anni immediatamente precedenti e successivi, un rinnovato interesse degli storici d’arte verso siffatta rappresentazione. Lo comprovano, con le loro ricerche, sia pure nell’ambito di studi più generali sulla scultura i vari de Francovich 2 , Bologna e Causa 3 , Carli 4 - giusto per citare gli autori che hanno dato i contributi di maggior rilievo - assieme ai quali non vanno però dimenticati i redattori delle schede di catalogo edite in occasione delle numerose mostre che hanno avuto come oggetto sculture lignee, e quindi anche i crocifissi. La rappresentazione di Gesù crocifisso compare con un certo ritardo nell’iconografia cristiana; forse a causa di una sorta di orrore istintivo per quella che era pur sempre una rappresentazione cruenta un simbolo di morte. Inizialmente, accanto ai monogrammi e ai simboli cristologici di più vecchia data, per conservare sempre vivo la memoria del sacrificio di Cristo, si afferma, piuttosto, la rappresentazione della sola Croce, l’unica raffigurazione peraltro consentita anche in ambito bizantino durante il periodo iconoclasta. In ogni caso si tratta di rappresentazioni rare. La più antica immagine di Gesù crocifisso che si conosca, databile alla prima metà del V secolo, è quella, che, intagliata nel legno, si osserva su una delle porte della Basilica di Santa Sabina a Roma 5 . Nel rilievo Cristo è raffigurato nudo, avendo soltanto ai fianchi 1 S.CONTINI, Crocifissi celebri Notizie sui Crocifissi più venerati in Italia, Tivoli 1965, p. 3. 2 G. DE FRANCOVICH, Crocifissi lignei del secolo XII in Italia, in «Bollettino d’Arte del M.P.I.», XXIX (1936), pp. 492-505; IDEM, A Romanesque school of wood carving in Central Italy, in «The Art Bulletin», XIX (1937), pp. 5-27; IDEM, L’origine e la diffusione del Crocifisso gotico doloroso, in «Kunstgeschichtlische Jahrbuch der Bibliotek Hertziana», II (1938), p. 172 e ssg.; IDEM, Scultura medioevale in legno, Roma 1943. 3 F. BOLOGNA - R. CAUSA, Sculture lignee della Campania, catalogo della mostra, Napoli 1950. 4 E. CARLI, La scultura lignea italiana dal XII al XIII secolo, Milano1960. 5 L’affresco dell’abside di S. Giovanni in Laterano, variante del XIII secolo di una preesistente iconografia che si fa risalire all’età costantiniana, ritenuta da alcuni la più antica immagine del Crocifisso, raffigura in realtà l’esaltazione di Cristo asceso al disopra della Croce, che è la sua insegna vittoriosa ed il segno di salvazione (cfr. E CECCHELLI, alla voce Cristianesimo, in «Enciclopedia universale dell’arte», IV, coll. 109-127, col. 121.

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Antichi Crocifissi nelle chiese di Aversa Scrive Padre Sergio Contini in una breve prefazione ad un suo libro sui più venerati Crocifissi italiani edito a metà degli anni Sessanta, che «... pur essendo il mistero della Passione e Morte del Figlio di Dio fatto uomo, uno dei misteri principali della nostra fede, il materialismo che domina la vita cristiana, lo ha fatto dimenticare completamente [sicché] mentre nelle antiche chiese, soprattutto medioevali, l’altare centrale era dominato da un grande Crocifisso che richiamava subito la mente dei fedeli all’immolazione del Calvario rinnovantesi sull’altare, oggi in molte chiese il Crocifisso è ridotto a proporzioni minime e reso quasi invisibile»1. Di contro alle giuste osservazioni circa la diminuzione della pratica devozionale per Cristo crocifisso che Padre Contini andava formulando qualche decennio orsono, bisogna registrare, invece, negli anni immediatamente precedenti e successivi, un rinnovato interesse degli storici d’arte verso siffatta rappresentazione. Lo comprovano, con le loro ricerche, sia pure nell’ambito di studi più generali sulla scultura i vari de Francovich2, Bologna e Causa3, Carli4 - giusto per citare gli autori che hanno dato i contributi di maggior rilievo - assieme ai quali non vanno però dimenticati i redattori delle schede di catalogo edite in occasione delle numerose mostre che hanno avuto come oggetto sculture lignee, e quindi anche i crocifissi. La rappresentazione di Gesù crocifisso compare con un certo ritardo nell’iconografia cristiana; forse a causa di una sorta di orrore istintivo per quella che era pur sempre una rappresentazione cruenta un simbolo di morte. Inizialmente, accanto ai monogrammi e ai simboli cristologici di più vecchia data, per conservare sempre vivo la memoria del sacrificio di Cristo, si afferma, piuttosto, la rappresentazione della sola Croce, l’unica raffigurazione peraltro consentita anche in ambito bizantino durante il periodo iconoclasta. In ogni caso si tratta di rappresentazioni rare. La più antica immagine di Gesù crocifisso che si conosca, databile alla prima metà del V secolo, è quella, che, intagliata nel legno, si osserva su una delle porte della Basilica di Santa Sabina a Roma5. Nel rilievo Cristo è raffigurato nudo, avendo soltanto ai fianchi 1 S.CONTINI, Crocifissi celebri Notizie sui Crocifissi più venerati in Italia, Tivoli 1965, p. 3. 2 G. DE FRANCOVICH, Crocifissi lignei del secolo XII in Italia, in «Bollettino d’Arte del M.P.I.», XXIX (1936), pp. 492-505; IDEM, A Romanesque school of wood carving in Central Italy, in «The Art Bulletin», XIX (1937), pp. 5-27; IDEM, L’origine e la diffusione del Crocifisso gotico doloroso, in «Kunstgeschichtlische Jahrbuch der Bibliotek Hertziana», II (1938), p. 172 e ssg.; IDEM, Scultura medioevale in legno, Roma 1943. 3 F. BOLOGNA - R. CAUSA, Sculture lignee della Campania, catalogo della mostra, Napoli 1950. 4 E. CARLI, La scultura lignea italiana dal XII al XIII secolo, Milano1960. 5 L’affresco dell’abside di S. Giovanni in Laterano, variante del XIII secolo di una preesistente iconografia che si fa risalire all’età costantiniana, ritenuta da alcuni la più antica immagine del Crocifisso, raffigura in realtà l’esaltazione di Cristo asceso al disopra della Croce, che è la sua insegna vittoriosa ed il segno di salvazione (cfr. E CECCHELLI, alla voce Cristianesimo, in «Enciclopedia universale dell’arte», IV, coll. 109-127, col. 121.

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un subligaculum, tra i due ladroni. Dello stesso periodo è il noto avorio del British Museum. Nell’arte bizantina la Crocifissione è ancora più rara: per quanto la celeberrima miniatura dell’Evangelario siriaco della seconda metà del VI secolo che si conserva nella Biblioteca Laurenziana di Firenze sia una scena ideata in ambiente monastico orientale. A partire dall’epoca ottoniana si tende sempre più a raffigurare Cristo crocifisso con il conseguente moltiplicarsi di croci, sia scolpite che dipinte, di proporzioni talvolta gigantesche6. Nei secoli successivi l’iconografia di Cristo crocifisso conosce più varianti a seconda delle varie epoche: dapprima prevale la rappresentazione del Cristo triumhans con gli occhi aperti, i piedi disgiunti ed il capo cinto dalla corona reale; successivamente, verso la fine del XIII secolo si afferma la rappresentazione del Cristo patiens con la testa reclinata e, in ossequio ad una consolidata tradizione ritenuta più attendibile, con i piedi sovrapposti conflitti da un unico chiodo. Con l’inoltrarsi del Medio Evo, fra i secoli XIII e XIV, prima in Renania e poi in Italia, soprattutto fra l’Umbria e la Toscana, per effetto dei sempre più frequenti pellegrinaggi in Terra Santa, in coincidenza con l’affermazione patetica dei Misteri, viepiù per l’influenza dei grandi predicatori francescani, la pietà popolare rinnova profondamente lo spirito e l’iconografia della Crocifissione: i Crocifissi assumono un aspetto sempre più mesto e doloroso, l’estremo spasimo della sofferenza corporale viene accentuato al massimo, e, novità più notevole dal punto di vista formale, Cristo viene rappresentato con la corona di spine sulla testa. A documentare questa evoluzione artistica e devozionale della figura di Cristo in croce ci restano oggi, variamente distribuiti fra alcune delle più importanti chiese italiane, un congruo numero di Crocifissi; e fa piacere annoverare fra essi alcuni splendidi esemplari conservati nelle chiese di Aversa. A cominciare dal maestoso Crocifisso della Cattedrale (fig.1) in cui, va subito evidenziato, le anatomie della figura di Cristo - isolata, gigantesca, con la testa appena reclinata sul lato destro, con il perizoma (colubrium) che sfiora le ginocchia flesse, i piedi inchiodati uno accanto all’altro e leggermente distanziati tra loro - sono a stento declinate, ridotte al minimo. L’anonimo scultore - un artista catalano secondo le indicazioni del Bologna7 - descrive infatti sommariamente, con tratti scarsamente modellati ma comunque efficaci a rendere 6 L’epoca ottaniana prende questa denominazione dai tre sovrani di nome Ottone che ressero l’Impero germanico tra il X e l’XI secolo. 7 F. BOLOGNA - R. CAUSA, Sculture ..., op.cit., scheda n.14, pp. 52-53. La scheda di catalogo è stata ripubblicata a cura di A. Cecere in «... consuetudini aversane», a. II, n. 3 (marzo-maggio ‘88), pp. 33-37. In quella evenienza, come si evince dalla stessa, il Crocifisso fu oggetto di un primo affrettato restauro che dopo averlo liberato di uno spesso strato di vernici annerite e di sporco ne evidenziò una policromia non originaria con incarnato gialliccio e perizoma dorato che si ritenne tuttavia opportuno conservare nell’incertezza di rinvenire l’antico colore. Nella stessa occasione venne debitamente rimossa altresì la corona posticcia che cingeva il capo di Cristo. Più recentemente l’opera è stata oggetto di un più accurato e approfondito restauro e presentata in occasione della Mostra La Cattedrale nella Storia Aversa 1090-1990 Nove secoli d’arte, Aversa, Deambulatorio della Cattedrale,13 novembre - 8 dicembre 1990, cfr. catalogo della Mostra, Caserta 1990, scheda di restauro a cura di Giuseppe Graziano, pp. 72-73 con foto.

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Fig. 1 - Aversa, Duomo, Crocifisso

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l’idea della dura contrazione del dolore, le anatomie del busto di Cristo, con i pettorali stirati, il deltoide teso ed evidenziato, la cerchiatura puntuale del torace, il ventre appena gonfio, le braccia e le dita ossute. Ma è pur vero che la sommaria descrizione serve per dare più ampio spazio all’introspezione psicologica, la quale non sconvolge per i troni tragici e violenti, ma piuttosto commuove per l’assenza pressoché totale dei segni della sofferenza e per l’espressione serena del volto di Cristo, da cui trapela la rassegnata sottomissione dell’Uomo-Dio alla volontà paterna. Ritenuto dal Quintavalle opera di cultura antelamica esemplata sulla Deposizione di Volterra8, il Crocifisso aversano fu considerato dal de Francovich in un primo momento lavoro di artefice spagnolo della seconda metà del Duecento9; poi di uno scultore della stessa nazionalità attivo intorno al 1250, ispirato alla cultura della Deposizione di Tivoli non meno che a quella della analoga composizione di S. Juan de los Abadedes10. La seconda ipotesi del De Frencovich fu successivamente accolta, in occasione della mostra napoletana del 1950 sulla scultura campana, dal Bologna che, tuttavia, dissentì circa l’accostamento della Deposizione di Tivoli (e quindi del movente culturale che aveva ispirato anche l’autore del Crocifisso aversano) a quella di S. Juan: nella quale - egli opina - «... un espressionismo marcato ed un ostentata esibizione di spagnolesca ossessione del gesto, limitano di tanto, anzi volgono addirittura ad altro significato, il movente iniziale di vigoroso rilievo» che caratterizza invece il gruppo tivolese. Il Bologna ritenne che l’opera aversana andasse semmai accostata ai Crocifissi del duomo di Napoli e di Sales de Bureba; non prima, tuttavia, di aver evidenziato come essa «...ritessesse sicuramente sulla flessione canonica, di chiara origine iberica, una integrale plasticità di chiarezze assertoria, che ad un tempo, sembra provenire dall’altissima Deposizione di Tivoli come da una accorta rimeditazione su opere quali il formidabile Cristo di Mirabella Eclano»11.Tali fenomeni di cultura, d’altronde, non furono isolati, ma investirono un po’ tutta la scultura lignea dell’Italia meridionale: si osservino in proposito il Crocifisso della cattedrale di Nardò, in Puglia, dal quale l’esemplare aversano si differenzia appena per una minore flessuosità delle forme tornite12, oppure gli esemplari conservati nel duomo di Ischia13 e nella chiesa di S. Giacomo di Pietracatella, in Molise14. Frutto dunque di una contaminazione di elementi catalani e di 8 A. O. QUINTAVALLE, Sette Crocifissi romanici nelle chiese napoletane, in «Arte», XXXVII (1934), pp. 433 e ssg., p. 454. 9 G. DE FRANCOVICH, Crocifissi lignei ..., op. cit., p. 503. 10 G. DE FRANCOVICH, A Romanesque ..., op. cit., pp. 5-27, pp. 50 e 53 (?); ID., Scultura medioevale in legno, Roma 1943, p. 16. 11 F. BOLOGNA - F. CAUSA, op. cit., p. 52. 12 M. D’ELIA, Arte antica in Puglia dal Tardo Antico al Rococò (catalogo della Mostra), Roma 1964, pp. 12-13. 13 G. ALPARONE, Sculture del Medio Evo ad Ischia, in «Scheria», a. II, n. 8 (maggio-agosto 1994), pp. 63-67, pp. 63-64. 14 A. TROMBETTA, Arte nel Molise attraverso il Medioevo, Cava de Tirreni 1984, p. 322.

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altri vagamente centroitaliani, il grande crocifisso aversano, che dal punto di vista stilistico ricalca, con qualche variante nello schema (i piedi disgiunti), la tipologia del Cristo patiens, costituisce, in ogni caso, la testimonianza più significativa della religiosità locale agli inizi nel XIII secolo. È da supporre che la sua realizzazione fosse avvenuta poco prima del 1255, allorquando, secondo un documento riportato dal Majorana, papa Alessandro IV consacrò nella cattedrale l’altare principale posto «in pede Crucis»15. Della stessa epoca doveva essere l’analogo Crocifisso, che, ancora oltre la metà del secolo scorso - come testimonia il Parente - si custodiva nella chiesa della Maddalena: «In sagrestia i 3 Crocifissi: tra’ quali, il Cristo con due chiodi a’due piedi divisi, accenna di essere contemporanea della chiesa questa sì bella scultura. In tal modo usava il XIII secolo; essendo anzi imputato come ad eretici (sic) il raffigurarlo più tardi co’ piè sovrapposti»16. Dei tre Crocifissi oggi ne resta, purtroppo, uno solo: quello di cui tratteremo di qui a poco, non prima di aver discorso del Crocifisso della chiesa di San Nicola (già nella vicina congrega del Crocifisso, altrimenti nota come congrega del Divino Pastore) (fig. 2), sistemato sull’altare maggiore nel corso degli ultimi restauri dopo essere stato lungamente esposto alla venerazione dei fedeli nella cappella a sinistra del presbiterio; dacché - abolita l’omonima congrega - era pervenuto alla metà degli anni ‘50 del nostro secolo alla suddetta chiesa, unitamente alla seicentesca statua lignea della Vergine Divina Pastora e alla veneratissima ottocentesca statua dell’Addolorata. Il Cristo morto, su una croce nera, col capo reclino, è fasciato da un lungo perizoma bianco che arriva fino al ginocchio; l’indumento è incorniciato a pieghe secondo geometrie che si ripetono, con un andamento più regolare, nello svolgersi delle linee costali che modellano il busto, dall’austero risalto plastico. Sul capo è una corona raggiata, in ottone. I piedi, sovrapposti, sono trafitti da un chiodo. Stilisticamente il Cristo ligneo aversano ancorché basato su un fondamento di cultura romanica e arcaicizzante, appartiene a quella serie di Crocifissi che - come indica anche l’accoglimento del nuovo particolare dei piedi sovrapposti - ricalca nello schema la tipologia del crocifisso gotico doloroso di origine renana, nell’accezione iberica; uno schema che trova, nel Trecento, vasta accettazione in tutta Europa e naturalmente anche in Italia. Un esempio indicativo in proposito, limitando il campo d’indagine al solo ambiente campano più prossimo ad Aversa, è il Crocifisso ligneo del Museo Campano di Capua. La tipologia di questi esemplari è molto simile: la figura di Cristo si svolge con un modulo allungato, la vite

15 Crf. Cronaca dell’anonimo aversano (mss., II metà del XVII sec. - I metà del sec. XVIII), doc. n. 16 (1707); G. MAJORANA (mss., I metà del sec. XVIII) entrambi pubblicati in Appendice a G. PARENTE, Origini e vicende ecclesiastiche della città di Aversa, Napoli 1857-58, rispettivamente alle pp. 375 e 319-320 del I volume. 16 Ibidem, II, p. 327.

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Fig. 2 - Aversa, Chiesa di San Nicola, Crocefisso.

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stretta, le membra esili terminanti con mani e piedi pronunciati; oltremodo accentuati anche i lineamenti del volto, caratterizzato dagli occhi obliqui, il naso dritto e la bocca piccola, che disegnano sul viso affusolato una espressione molto sofferta. La quale, unitamente ad altri particolari cruenti, come le ferite sanguinanti sul corpo, costituiva, com’è noto, uno degli elementi principali sui quali si appuntava la “pietà” popolare. Le origini di queste sculture vanno verosimilmente collegate alle locali confraternite di battenti o flagellanti che, costituitesi sull’esempio di analoghi sodalizi nati nella seconda metà del XIII secolo in Umbria e da qui propagatesi nel resto d’Italia ancora a tutto il secolo XVI, erano solite attraversare le contrade nostrane con grande stuolo di adepti, che salmeggiando e flagellandosi si facevano appunto precedere da un crocefisso; tuttavia nulla esclude che il Crocifisso in questione possa essere stato realizzato come elemento di culto a sé stante. Per quanto concerne la paternità del manufatto, essa va assegnata ad un ancora ignoto scultore campano, che pur se attivo in un area periferica, ebbe la sua maturazione artistica in un contesto ricco di stimoli culturali quale fu la Corte angioina di Napoli tra la fine del XIII secolo e gli inizi del secolo successivo17. Ad una cultura locale successiva di qualche decennio ma ancora partecipe - secondo l’ipotesi di Causa - delle colte e raffinate esperienze provenienti dalle regioni del Reno, sembra appartenere anche il Crocifisso della chiesa della Maddalena (fig.3), la cui peculiarità principale - al di là del colto dettato «fatto di purismi e di raffinatezze di linguaggio», al di là del carattere fortemente antitetico alle ostentazioni pietistiche e ai rigidi imposti plastici reniani - è la bella policromia, che per quanto concerne il volto, riveste una funzione non di semplice commento superficiale bensì di deciso impegno plastico18 . Se infatti alcuni particolari come il viso aggrottato, la bocca carnosa socchiusa e le ciocche dei capelli, in parte ricadenti sul volto in parte sul petto, il perizoma un po’ rigido schematizzato su un formulario prevalentemente disegnativo, riprendono quasi alla lettera le croci renane, talune altre soluzioni plastiche - quali la testa «che con arditissima sintesi prospettica,

17 Pittore di corte fu, infatti, anche quel Montano d’Arezzo - noto soprattutto per essere il probabile artefice della popolare immagine della Madonna di Montevergine - a cui un documento, datato 15 giugno del 1308, assegna la paternità di un Crocifisso dipinto realizzato per la chiesa di San Ludovico di Francia (successivamente dedicata a San Domenico) in Aversa: Cancelleria Angioina, registro 170, folio 63 (15-6-1308) –“Magistro Montano pictori pro precio unius ymaginis Crucifixi habiti ab eo donati per nos ecclesie beati Ludovici de Aversa in car. argent, unc. decem ...”, cfr. R. FILANGIERI, Documenti per la storia le arti e le industrie delle province napoletane, Napoli,1883-91,VI (1891), pp.190-192. Del Crocifisso purtroppo, non vi è più traccia come non vi è più traccia alcuna degli affreschi che, l’11 agosto di quello stesso anno, Montano s’impegnava ad eseguire per il Refettorio e la Sala Capitolare del Monastero attiguo alla chiesa. Cfr. F. PEZZELLA, Montano d’Arezzo ad Aversa, in «Lo spettro», a. VIII, n.13 (4 giugno 1994), p. 14. 18 F. BOLOGNA - F.CAUSA, op. cit., scheda n. 52, pp. 131-133. La scheda di catalogo è stata ripubblicata a cura di A. Cecere, in «... consuetudini aversane», a. IV, n.16-17 (giugno-novembre ‘91), pp. 54-58.

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Fig. 3 - Aversa, Chiesa della Maddalena, Crocifisso.

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risulta realizzata attraverso lo schiacciamento dei volumi», o, ancora, la «particolare accezione tematica delle gambe, tese e distorte in fuori, in un impeto di furore espressionistico, con la caratteristica dei talloni così distanziati ed opposti» - richiamano alla mente una serie di analoghi Crocifissi napoletani realizzati tra gli ultimi decenni del Trecento ed i primi decenni del Quattrocento (in San Pietro a Maiella, in Santa Maria Maddalena de’Pazzi, in Santi Andrea e Marco a Nilo). Così da far prospettare allo studioso napoletano un filone unitario, locale, il cui esemplare più antico, il Crocifisso di Pugliano, nonostante presenti, unitamente ad una modesta fattura, elementi ritardatari, prelude tuttavia, nel similare inarcarsi della testa e nell’analoga torsione delle gambe, l’esemplare aversano. Non può infine sfuggire, nel rapportare al restante ambito meridionale il Crocifisso della Maddalena - il quale in una nuova sistemazione risalente probabilmente al secolo scorso venne inchiodato su un fondale a marmi policromi per simulare in un certo qual modo la più antica iconografia del lignum vitae - l’influenza esercitata, ancora un secolo dopo la sua realizzazione, sui Crocifissi dei siciliani Giovannello, Jacopo e Paolo de li Matinati (Palermo, Chiesa di San Domenico; Licata, Duomo)19. Alla fase finale di produzione dei crocifissi gotici dolorosi di origine renana, indicabile grosso modo tra la fine del XIV secolo e i primi decenni del secolo successivo, è possibile connettere anche il Crocifisso, in legno stuccato e dipinto, conservato nella chiesa di San Bartolomeo ad Aversa (fig.4). A sostegno dell’ipotesi, si possono avanzare in particolare - così com’è dato vedere nei crocifissi testé trattati ed in analoghi esemplari conservati in altre chiese della regione - due elementi: l’improvvisa - quasi violenta oserei dire - strozzatura dei fianchi di Cristo, e, soprattutto, la marcata delimitazione del ventre ottenuta dall’ignoto scultore - un artista quasi sicuramente locale - mediante l’evidenziazione delle arcate delle costole e dell’epigastrio. Per il resto Cristo, alto poco più di 90 cm. a fronte dei 150 cm. di lunghezza della croce (di legno scuro) è cinto, come di consueto, da un perizoma annodato sui due fianchi; ha i piedi uniti e numerosi solchi di ferite sanguinanti. La corona di spine è in ferro e sul cartiglio è dipinta la scritta: I.N.R.I. A documentare invece, con i suoi caratteri alquanti innovativi e compositi (e tuttavia, per taluni versi, ancora di impronta arcaizzante nella rimeditazione di alcuni spunti tardogotici) il momento di transizione dell’arte locale verso forme più pienamente rinascimentali ci resta a tutt’oggi - almeno per quanto concerne i Crocifissi - la sola Croce di Sant’Antonio al Seggio, che si conserva sulla parete destra della chiesa, poco oltre il portale d’ingresso (fig. 5). Un esemplare, databile al XV secolo, veramente bello, di cui un recente restauro, se da un canto ha evidenziato l’originario colore dell’incarnato del tronco e delle gambe e i delicati ornati in oro delle pieghe del perizo-

19 F. CAMPAGNA CICALA, Per la scultura lignea del Quattrocento in Sicilia, in «Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia», catalogo della mostra, Messina - Chiesa dell’Annunziata dei Catalani, 28 novembre 1981-31 gennaio 1982, Roma 1981, pp. 101-112.

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Fig. 4 - Aversa, Chiesa di San Bartolomeo, Ignoto scultore fine sec. XIV, Crocifisso.

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Fig. 5 - Aversa, Chiesa di Sant’Antonio, Ignoto scultore del XV secolo, Crocifisso.

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ma, ha pure rivelato il rifacimento, in epoca posteriore, degli arti superiori e dei piedi 20. Senza peraltro sminuire la solida struttura anatomica che prova gli interessi dell’ignoto autore per la “dottrina della anatomia”. Magistrale è, infatti, la resa della sofferenza di Cristo attraverso i segni anatomici messi in evidenza sul modellato del legno e soprattutto nell’accuratezza del colore; che, attraverso le sfumature, ben rende l’idea della pelle livida e senza vita: sì, era certo, nelle intenzioni dell’ancor anonimo autore, forse uno dei tanti frati scultori che fin dalle origini hanno operato nelle varie comunità francescane, destare nell’animo dei fedeli una più decisa compartecipazione al mistero della passione di Cristo. Vanno infine segnalati, accanto a questi Crocifissi che rientrano nell’ambito artistico del tardo medioevo, due esemplari cinquecenteschi, entrambi conservati nella chiesa dell’Annunziata, già brevemente trattati da me in un precedente saggio apparso su questa stessa rivista21. Un primo esemplare - decisamente mediocre - posto sull’altare della VI cappella sinistra (fig. 6), che per quanto appaia talmente alterato da stuccature e ridipinture da aver perso quasi del tutto i caratteri del tempo in cui fu realizzato, ripropone, nell’impennata del torso e nel reclinare della testa sulla spalla, una tipologia fortemente espressiva, arcaizzante, quasi quattrocentesca e che come tale non risparmia particolari oltremodo cruenti, come ad esempio le ferite sanguinanti e la corona spinosa; ed un secondo esemplare (figg. 7 e 8), conservato in sacrestia, la cui bellezza e qualità tradiscono, viceversa, la conoscenza dei maggiori fatti scultorei del tempo tant’è che il Crocifisso fu attribuito nel passato niente di meno che al celeberrimo Benvenuto Cellini22. Pur in assenza di quei tratti di nervosità e sensibilità del Cellini, i lineamenti delicati e minuti del volto, i ciuffi ondulati dei capelli e della barba sembrano, infatti, accentuare in dolcezza quelli del Crocifisso celliniano all’Escurial.

Pezzella Franco

20 U. CHIANESE, Il restauro dell’arredo sacro dipinti su tela, su tavola, scultura lignea) della chiesa di S. Antonio di Aversa (II), in «... consuetudini aversane» a. IV, nn. 16-17(giugno-novembre ‘91), pp. 39-44, p. 41. 21 F. PEZZELLA, Aspetti della scultura cinquecentesca ad Aversa II) Le opere lignee, in «... consuetudini aversane» a. IX, nn. 33-34 (ottobre ’95-marzo ‘96), pp. 43-53, p. 45. 22 G. PARENTE, op. cit., II, p. 192.

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Fig. 6 - Aversa, Chiesa dell’A.G.P., Ignoto scultore fine sec. XV-Inizi sec. XVI, Crocifisso.

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Fig. 7 - Aversa, Chiesa dell'A.G.P., Ignoto scultore del XVI sec., Crocifisso.

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Fig. 8 - Aversa, Chiesa dell'A.G.P., Ignoto scultore del XVI secolo, Crocifisso, part.