Anteprima Si può ancora fare

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La cooperativa che ha ispirato il cinema ha ancora storie da raccontare. Un'antologia di frammenti di vita a cura di Ferruccio Merisi, tra i maggiori drammaturghi della scena contemporanea. Un progetto che rappresenta la continuazione ideale del film "Si può fare" con Claudio Bisio. Un libro per i 35 anni di Coop Noncello. Da settembre in libreria.

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SI PUÒ ANCORA FARERacconti di (stra)ordinaria cooperazione

da un’idea di Stefano Mantovaniun progetto di Gabriella Favero a cura di Ferruccio Merisi

Anteprima a tiratura limitataIllustrazioni interne e di copertina: Alvise Rossi

Coop Noncello Soc. Coop. Sociale Impresa sociale OnlusVia dell'Artigianato, 20 – Roveredo in Piano (PN) Tel: 0434386811 Fax: 0434949960 Sedi secondarie: Udine, Vittorio Veneto, PortogruaroSI PUÒ ANCORA FARE

© 2016 Coop Noncello Soc. Coop. Sociale Impresa Sociale Onlus

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Finito di stampare nell'aprile 2016presso Fastedit (AS)

Service per l'edizionewww.officinameningi.it

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Prefazionedi Gabriella Favero

Quest'anteprima costituisce solo un assaggio di un progetto

molto più ampio che vuole fornire uno spaccato sulla realtà della

nostra cooperativa oggi, a trentacinque anni dalla sua

costituzione. Abbiamo scelto di raccontarci attraverso le

testimonianze dirette di alcuni nostri lavoratori.

Partendo dall'esperienza di Si può fare, la nota pellicola di Giulio

Manfredonia con Claudio Bisio, ispirata al pensiero fondante e ai

processi di inizio attività della Coop Noncello, abbiamo chiesto a

Ferruccio Merisi, autore teatrale e fondatore della “Scuola

Sperimentale dell'Attore - L'Arlecchino Errante”, di ascoltare e

raccogliere le storie, attraverso l'esperienza lavorativa, dei

protagonisti di quest'avventura per dargli forma letteraria.

In Si può ancora fare – racconti di (stra)ordinara cooperazione troverete

quindi, soprattutto, le quotidiane meraviglie di coloro che vivono

questa realtà, e alcuni tributi di quanti contribuirono alla sua

nascita: esperti, scrittori e persone sinceramente contaminate dalla

sua storia.

Vi auguriamo buona lettura, dandovi appuntamento a settembre

per la presentazione ufficiale del libro durante “Pordenonelegge”,

il più importante festival letterario del nordest, a cui seguirà la

distribuzione del titolo in tutte le librerie.

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PRATICAMENTE

Se uno rimane senza cervello muore, no? Ecco io c'ho una malattia che per capirla bisogna esserci dentro, seno è impossibile.Conclamata nel '98, ma già quando facevo il militare mi avevanotenuto in parte perché dicevano che probabilmente avevo unainfezione al midollo, eppure dopo ho fatto per vent'anni ilcarpentiere, in una grande industria. Cioè praticamente non proprioper loro, per una ditta esterna in appalto, ecco. Però praticamenteero sempre malato. Cioè succede così, che a un certo punto mi sentostanco e mi mancano le gambe. Allora un bel momento miprendono e mi controllano per bene, in ospedale a Treviso, estavolta dicono che ho una forma infettiva generale. Poi passanoancora più di cinque anni, praticamente quasi dieci, e un dottore diTreviso che mi seguiva mi dice che devo andare a Cittadella, che làhanno le cose per capire la diagnosi giusta. E là finalmente midicono che ho la sclerosi multipla. Conclamata adesso. Praticamente è come se resto senza collegamento al cervello, comequasi morto, un po' così insomma. Perché il cervello, che è rotondo,o quasi insomma, sotto il cuoio capelluto ci ha una mucosa. Quandola mucosa deborda, ecco che invade il cervello e lo blocca; come faun fiume troppo pieno che allaga tutto quello che trova. Insommapraticamente, come dicevo, senti stanchezza e ti prende le gambe, epoi un bel giorno non ti muovi più.

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E poi succede che mi licenziano. E mi tocca essere contento. Perchése mi licenziavo io perdevo tutti i diritti di disoccupazioneeccetera… Non mi sembra che la legge sia buona, in questo campo.Il fatto è che era chiaro ormai che praticamente io non potevoproprio più lavorare, come carpentiere pesante per giunta. Ma nonvolevo neanche star fermo come un paralitico prima del tempo.Volevo fare qualcosa e allora mi sono messo nelle liste della ASL, manon arrivava niente. E per fortuna dopo un po' un educatore dellaASL mi ha detto che voleva farmi conoscere la Coop Noncello. Così è andata; ci siamo conosciuti e grazie alla Noncello ho avuto unpo' di lavoro. Avevo bisogno di qualche ora al giorno pagata, persopravvivere un pochino anche economicamente, con i genitorianziani che ho. Ho cominciato con la Borsa Lavoro che mi dava 150euro al mese, che, sommati agli aiuti e al trattamento di finerapporto, facevano praticamente qualcosa. Il mio lavoro era aiutare ilsacerdote in ospedale con la messa, le comunioni e le altre coseanche nelle stanze, e dopo pulire le scale. Ogni giorno. Dopo seimesi mi hanno assunto alla Noncello, con 500 euro al mese. Poi,poco tempo fa, mi hanno calato le ore. Adesso guadagno 300 euro,che sommati agli aiuti fanno 650. Se non avessi la casa di proprietàdovrei fare come Fantozzi: mettermi una pietra al collo e buttarmigiù in acqua, praticamente. Dico come Fantozzi, perché come lui miandrebbe storta anche quella.Questa cosa delle ore calate riguarda tante persone adesso, hosentito. Un giorno o l'altro parlo con qualcuno e gli chiedopraticamente come fanno. Ma ci vergogniamo tutti un po', a direcome facciamo; o perché rinunciamo perfino alla carta igienica, operché ci inventiamo cose strane. D'altra parte forse starei piùcomodo senza lavoro; troverebbero il modo di non farmi morire difame, da invalido. Ma io non voglio rimanere a casa a guardare latelevisione, o il mio ombelico, che praticamente è la stessa cosa.Ho un amico che è già in carrozzina e lavora in ospedale e riesce afare un sacco di cose. Perciò penso di poterci riuscire anch'io.Dunque, davvero, grazie alla Cooperativa che mi ha creduto e che haprovato, o sta provando, ad aiutarmi a modo mio. Anche sepraticamente del sacerdote e delle comunioni, dopo tre anni, èarrivato il momento che mi sono stancato. Vorrei provare

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qualcos'altro. Cioè, io vado d'accordo con tutti, ma quel lavoro lì eratroppo. Va bene, lo so che sono fortunato e che c'è chi non haneanche quello, ma praticamente io sono il meno fortunato tra ifortunati. E comunque è un problema che si può risolvere, o no?

La mamma è sempre la mamma, anche se ha quattrocento anni. Iome la portavo dietro alle analisi e diagnosi, perché volevo chesapesse subito tutto, e magari in maniera più corretta di quello che ioson capace di raccontarle con il mio modo di parlare. Lei mi dicesempre: «non hai fatto una piega quando il dottore ti ha detto chiaroe netto della malattia. L'hai presa alla leggera…»Praticamente, che cosa dovevo fare? Semplicemente non mi sonodisperato e ho cominciato a pensare al da farsi, anche se voleva direpraticamente cominciare a disfare il lavoro, e cioè la mia vita.Lì dopo qualcuno ha fatto qualche sbaglio nelle dichiarazioni tralicenziamento e disabilità, per cui mi sono trovato anche a pagareuna multa. Cioè, hai capito, non è che perché ti trovano malato dopova tutto liscio, si fa per dire. Non è che perché hai bisogno, ti aiutanocome c'è scritto e opera finita.Con me c'è anche la faccenda che a certi gli sembro proprio malato ea certi per niente. Per esempio, io ho diritto al parcheggio per gliinvalidi e uso la vecchia macchina del papà; tra l'altro la uso poco esolo per gravi necessità, tipo per andare ad accompagnare la mammao la zia all'ospedale. Qualche volta il parcheggio non lo uso neanche,mi vergogno un po'. Una volta che lo uso, che pioveva anche, unasignora mi corre dietro e mi dice che ho occupato un posto che nonè mica mio. Io le dico: «signora guardi sul cruscotto» e non capiva,tra l'altro non le serviva mica a lei il parcheggio, praticamente erauna di quelle che vogliono che tutti fanno giusto. Dopo un po' hacapito, ma non mi ha detto scusa, forse pensava che io imbroglio.Cioè, non so se si capisce, ma io mi trovo nel mezzo. Ci sono dellecose della vita dove non mi trattano bene, e io vorrei urlare «sonouna persona come voi!» e altre cose dove mi trattano anche troppobene, ma io non posso fare come pensano, e allora vorrei urlare«non sono una persona come voi!»Forse tutti quelli che non stanno bene, o praticamente gli mancaqualcosa, si trovano nel mezzo come me.

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Io, per dire, alle volte non so neanche se quello che dico è tuttogiusto. Non lo so neanche se praticamente il cervello, con la suamucosa che lo invade, mi fa dire le cose giuste o già funziona male,anche più male che per le gambe. Chissà cosa pensano quelli cheparlano con me. Beh, insomma, se non capiscono pazienza. A me, la pazienza, quella non mi manca. Eccetto che con ilsacerdote. Che non era un lavoro, ecco, praticamente.

Dai, le gambe non sono ancora così male, non mi capita mai diinterrompere il lavoro. È per questo che, onestamente, possochiedere alla Cooperativa qualche ora in più. Lo devo dire chiaro, èsolo per quei pochi di soldi che mi farebbero stare più tranquillo,perché per sentirmi vivo e non guardarmi l'ombelico ho trovatoanche altro da fare. Prima di tutto qualche ora, ogni giorno, nellasede della Croce Rossa, come assistente volontario per tutto, dallepulizie alle carte da mettere a posto e altre piccole cose così. E poi acasa ho deciso di mettere a posto il giardino, che gli ultimi annil'abbiamo lasciato andare. Insomma, un po' di forza ce l'ho, pertante ore al giorno. Per questo penso che è onestamente che hochiesto alla cooperativa quel paio d'ore in più al giorno.«Vediamo» mi hanno detto, «Vediamo.»Devo dire che sono tranquillo, perché, francamente, con tutta lagente a cui ho chiesto e parlato nella vita, qui hanno un modo didirti “vediamo” che non è: “voltiamo pagina, avanti un altro e sperodi dimenticarmi di te”, o “spero che nel frattempo ti arrangi”. Qui,sarà perché mi hanno preso che non mi avrebbe preso nessuno, saràperché fanno parlare e ascoltano tutti allo stesso modo senzacalcolare il cervello che hai, qui praticamente “vediamo” vuol dire:“non ci dimentichiamo”. Dopo non si sa, si sanno solo i miracoli, praticamente. Sarebbe belloche ci sono, ma di solito praticamente non ci sono, i miracoli.

Intanto anch'io, grazie a quel “vediamo” lì, posso guardare la miavita e dire anch'io “vediamo”, come uno pronto, per quello che può,e non come uno finito. Se arrivano le ore in più io sono pronto, capito?Vediamo.

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GUARDA, A DIRE IL VERO…

Se mi sono salvato la vita certo che devo ringraziare la Cooperativa,anche me stesso però, perché lavorare è la mia seconda natura. Nonmi sono mai fermato di lavorare, mai nella vita, per nessun motivo enon mi tiro mai indietro. Anche dall'alcol e da altre cose simili nesono uscito da solo. Non lo dico per vantarmi, lo dico perché pensoche sia vero e fondamentale: non c'è dottore o Servizio Sociale chetenga, devi uscire da solo dalle tue dipendenze. Quando vedoqualcuno che non riesce a uscirne, penso che lui non lo vuoledavvero. Chiedo scusa.

Io dico anche che la Cooperativa è un fatto grande e importante, aldi là del mio caso personale, cioè al di là del bene che la Cooperativaha fatto al mio disagio.Sembrava ultimamente che le cooperative fossero sorpassate, ma ioso che hanno appena incominciato; spero saranno una parteinsostituibile della società. Poco tempo fa dicevano in giroaddirittura per esempio che le cooperative sono dei nidi dicomunisti. Mah! Sai che ti dico? Non lo sappiamo nemmeno noiperché ci ritroviamo a essere comunisti o capitalisti, dipende daquello che viviamo. Basta una curva o un incrocio che neanchevedevi, su una certa strada della vita, e ti ritrovi al di qua o al di làdella cortina di ferro, che non c'è più… Io, per esempio, non erocomunista, sono sempre stato un uomo libero. E perciò non eronemmeno anticomunista: mi piacciono le buone idee, da qualsiasi

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parte vengano. E così adesso penso che la cooperativa è una buonaidea, adesso che il capitalismo è andato troppo oltre. È andato oltre,eccome se è andato oltre. Adesso c'è la ricchezza forte da una partee la povertà forte dall'altra, e in mezzo non c'è più niente. E sai checos'è quella cosa che non c'è più? Il benessere, quello vero, se cipensi bene. E non ci sono più i “medi”, che possono parlare sia coni ricchi sia con i poveri, per metterli d'accordo! È un bel problema!Quasi ti vengono le vertigini quando sai che tu sei troppo piccoloper fare qualcosa contro questo.La buona idea che è la Cooperativa comincia dal fatto che tu sentiche ti trovi in un posto che è stato costruito per non abbandonare lepersone. Siamo tutti uguali o no? E allora è giusto che tutti abbianouna chance e che nessuno sia alla deriva, ai margini della roulette delcapitalismo che è andato oltre. Qui capisci che l'essenziale èrealizzare il tuo piacere di lavorare, anche se non è il lavoro per ilquale hai studiato o fatto esperienza. Se hai questo piacere dilavorare, puoi fare qualsiasi cosa. E lì, lavorando, ti rendi conto chestai facendo la tua piccola importante parte nella guerra impossibilecontro il sistema malato. Stai dando la tua risposta. Stai aumentandola parte positiva del mondo, nel tuo piccolo, ma insieme agli altri.

È vero che ho sofferto all'inizio.Avevo studiato e lavorato da tipografo, poi avevo fatto ancheesperienza come caposquadra montatore nel settore prefabbricati equi mi ritrovavo facchino e tappabuchi di altri lavori a caso. Stavoqui in borsa lavoro. Ero assunto tramite i Servizi Sociali, part-timeall'inizio. Un giorno all'improvviso ho capito che in verità lasofferenza veniva proprio dal lavorare solo poche ore, dal nonlavorare abbastanza. Soffrivo perché non ero impegnato per unnumero di ore sufficiente a essere “stanco e soddisfatto”. E così misono impegnato a guadagnarmi il tempo pieno. E ho potutoimparare che il posto giusto non è per forza quello che viene daimeriti o titoli di carriera, ma quello che fisicamente ti rende felice dilavorare. È su questa base che esiste in Cooperativa, e spero crescasempre meglio quell'arte di mettere la persona giusta al posto giusto.Si cerca di conoscere la persona, si intuiscono le qualità positive e lasi colloca nel posto dove può usarle. Questo funziona bene per la

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persona e per il lavoro. Ci sono così dei coefficienti di resa, come sidice, molto alti.

Qual è la mia qualità positiva?Che io posso lavorare con chiunque. Mi piace riuscirci e sonoconvinto che sarebbe bello che questo fosse un obbiettivo per tutti. Lavorare con chiunque. Capirsi con chiunque.Adesso, dopo solo cinque anni, mi ritrovo caposquadra: quello chedeve metter le persone al posto giusto nello svolgimento di undeterminato lavoro. È un'esperienza quotidiana forte: qui c'è anchegente che sta ancora male e non solo per il mio tipo di problemi, maper problemi economici, per esempio, che secondo me è anchepeggio. Tutti meritano di essere capiti e aiutati. La vita per tutti va sue giù a seconda della fortuna e tu non devi dimenticartelo mai. Io penso che si dovrebbe fare in modo che la storia di ognuno, bellao brutta che sia, faccia parte delle cose che lui deve poter esprimere.

C'è di tutto, in Cooperativa. E magari prendono uno stipendiosuperiore al mio. Qui basta che uno abbia un paio di bambini e tiscavalca come niente, come trattamento economico. Ma è giustocosì, ovviamente. Io non ho mai badato troppo ai soldi, né prima, nédopo i miei problemi. Né durante, ovviamente. Ero emigrato incerca di benessere! Per la famiglia, che ho lasciato là… Volevo andare in Germania, prima di venire qui. Ma, purammirando molto l'efficienza dei tedeschi, ho sempre un po' pauradella mente per me troppo elementare che sta sotto questaefficienza. L'italiano invece è più complesso, più adattabile a tutto,più pieno di affetti e legami di famiglia. L'italiano ha una mentalitàcon più spessore in tante direzioni, poi proprio per questo magari facasino. Un casino da paura, a volte. Io non posso dire quale carattereè meglio, tra i due; di quale ho meno paura, anche.Alla fine ho scelto di emigrare qui, piuttosto che in Germania,perché qui ero più vicino alla mia famiglia: una moglie e due figli,oltre che papà e mamma. Poi, una volta che mi sono sistemato quicon un lavoro da quattro milioni di lire al mese, ironia della sorte,altro che vicino alla famiglia, ho divorziato. Dal divorzio all'alcool èstata purtroppo una facile fatalità. Senza controllo.

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Adesso controllo, per così dire, gli altri.Sorveglio il lavoro di gente che magari soffre molto.So che devo controllarli. Certe volte se uno sta male può fare unasciocchezza. Se tre che stanno male lavorano vicini possono fare unasciocchezza ancora più grande. Io capisco una cosa molto semplice: se le cooperative ricevono degliaiuti economici - anche se incasinati, come in Italia, che non sicapisce mai bene come funzionano e da dove arrivano -, questi aiutivanno, per così dire, consumati bene. Devono produrre lavoro fattobene e devono far funzionare le persone che stanno male. Una volta credevo, forse mi sbagliavo, non so, che in cooperativa cifosse più gente che stava male. Forse mi sbaglio invece adesso,quando mi sembra che è arrivata anche tanta gente normale, conmalesseri nella norma, voglio dire. Ma la bellezza di questoambiente è che non c'è differenza. Né nelle paghe, a parità dimansioni e responsabilità, né nel rispetto. Certo a qualcuno dei “normali” ogni tanto scatta un istinto dainfermiere, o da educatore. Ma se lo guardi bene ti vien voglia dimettergli una mano sulla spalla; lo sa anche lui che la vita non è unprodotto in garanzia. E per la salute, per ogni tipo di salute, sì, puoifare la prevenzione, se hai il tempo e i soldi, è importante. Ma nienteè sicuro. Per nessuno. Ci vuol niente per scivolare, fisicamente opsicologicamente. E niente per andare in caduta libera, come èsuccesso a me. E quando sei in volo, ci vuole un coraggio enorme atirar fuori le unghie e frenare con tutta la forza che puoi,aggrappandoti dove puoi. È evidente, è un principio fisico, che ti faiun male bestia. Ci lasci tutte le unghie e anche le dita, a frenare il tuopeso. Come dicevo, lo devi fare da solo. Si può fare solo da soli.

Ma la Cooperativa consiste nel fatto che si fa tutto il possibile perchéuno si salvi da solo. Tutto il possibile. È così che faccio ilcaposquadra e ogni giorno mi devo inventare come si fa.

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CON GLI ALTRI AFRICANI COME ME

Ti puoi immaginare, facciamo molte chiacchiere.Ci raccontiamo tutto, sul furgone o sulla macchina, andando otornando dal lavoro. Con la nostra voce bella alta.Non siamo mica pochi, qui in Cooperativa.

Io vengo, come tanti, dalla Borsa Lavoro. Ci sono arrivato perchél'azienda artigianale dove ho lavorato per sette anni ha chiuso per laCrisi. Quasi subito, nel 2006. Ho resistito cinque anni da disoccupato,un po' con l'aiuto di qualche compatriota, un po' perché ero in listapresso un'agenzia del lavoro e ogni tanto mi chiamavano per fare due otre giorni. Qualcosina prendevo, ogni mese. Pochissimo.Quando non ce l'ho fatta più, mi sono rivolto ai Servizi Sociali, e hoavuto fortuna: mi hanno mandato qui. Era il 15 febbraio 2011. Anovembre poi mi hanno assunto. Faccio trenta ore la settimana. Sonodiventato allegro e ottimista. È chiaro che quando guardo indietro, miviene da parlare bene di tutto quello che mi è capitato, anchedell'agenzia di lavoro. Nel mio paese non ho visto né agenzie di lavoroné cooperative. Forse cooperative ce n'è, ma non come questa.Un'agenzia di lavoro che sa dove mandare la gente, cioè che sa dove lagente serve, sarebbe un successo in Africa. Meno caos e menodisperazione. Non mi è dispiaciuto, come servizio. Anche se qualchevolta non ti danno tutti i soldi che ti hanno detto. O te li danno tardi. Qui in cooperativa invece ti danno tutto e puntuale. Ma qui, è anchequello che non “devono” darti e che ti danno volentieri, che fa ladifferenza: un furgone in prestito, attrezzatura per fare lavori in casa,una bici intanto che aggiusti la tua. Insomma, ti danno una mano

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sempre. Il mio capo, e il capo del mio capo, ce l'hanno scritto in facciache puoi sempre parlare con loro. Così, quando mi capita di lavorarevicino a qualcuno che adesso è in Borsa Lavoro glielo dico dritto dritto:lavora bene, non fare il furbo, lavora con tutto quello che puoi, perchéquesto è un bel posto e se ti assumono stai bene.A me, in quei mesi del 2011, l'hanno detto in tanti. Gli ho dato retta edè stato bello, quando mi hanno assunto, che quelli della cooperativa midicessero: «Abbiamo visto che lavori bene, e dunque...»

Sono nel “verde”, ma sono anche una specie di jolly, vado dove c'èbisogno: traslochi, pulizie, cimiteri. Adesso non lavoro bene per essereassunto, ma lavoro bene perché mi piace. Mi piace fare al meglio la miaparte nella squadra. Sono diventato socio della cooperativa. Vado alleassemblee. Ma non capisco molto, purtroppo. Il mio capo insisteperché ci vado. Allora gli ho detto che lui dopo mi deve spiegare. E luilo fa.Qualche volta penso che devo capire bene come funziona tutto, perfare poi una cooperativa in Africa. Devo studiare.

Intanto domani arrivano mia moglie e mio figlio. Sì, domani! Il bambino ha quindici mesi, non l'ho ancora visto. Lo abbiamo fattoquando sono andato giù per le ferie nel 2012, subito dopo che erosicuro del lavoro qui!La prima cosa che faremo sarà che mia moglie va a scuola di italiano,per fortuna c'è un corso vicino a casa mia.

A pensarci bene, non sono né ricco né benestante, ma sono fortunato:lavoro qui e ho uno stipendio discreto, sono a casa in dieci minuti dibicicletta, vicino a casa c'è il corso di italiano per mia moglie, e infinequesta casa è di cento metri quadri! Me l'ha passata un mio amico, checi aveva abitato a lungo pagando l'affitto a un italiano onesto. Questosignore ha accettato che la casa passasse a me, sempre con un prezzoonesto, quando il mio amico è andato via.

Adesso vediamo un po' se, con un italiano migliore del mio (lei è brava),mia moglie trova un buon lavoro...

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COOP NONCELLO è una cooperativa sociale di inserimentolavorativo fondata nel 1981, su iniziativa del Centro di SaluteMentale della Provincia di Pordenone, da personale e operatoridel centro medesimo assieme ad alcuni utenti. Al 31/12/2015, laCooperativa contava 562 lavoratori assunti mediante regolarecontratto (229 uomini e 333 donne) di cui 172 svantaggiati aisensi dell'art.4 della legge 381/91, più un centinaio di personeinserite attraverso programmi di borsa di formazione al lavoroerogati da Servizi socio-sanitari. Tra i lavoratori assunti l'89% èinquadrato come socio-lavoratore.

MISSIONCrediamo nella dignità di ogni persona e nel suo diritto a una vitaappagante all'interno del contesto sociale in cui vive. Dirittospesso limitato per le persone più fragili, frequentemente lasciateai margini di questa società, dove ancora vincono le logiche diun'economia della competizione e del mero profitto. Riteniamonecessario e perseguiamo un altro tipo di sviluppo, che nascedalla valorizzazione del lavoro dei nostri soci, promuovel'inclusione di cittadini emarginati, offre opportunità di impiegoalle categorie esposte alla disoccupazione e a situazioni disfruttamento. Promuoviamo tutte le azioni volte allo sviluppo di politiche chefavoriscano la creazione di contesti sociali atti al riconoscimentodel diritto delle persone svantaggiate di abitare, lavorare esocializzare, con piena libertà di scelta, contribuendo così allaproduzione di bene/essere e dignità sociale a beneficio di tutta lacollettività.

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