ANTEPRIMA: Non più coincidenze

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ANTEPRIMA Thriller In uscita verso i primi di dicembre 2009 Contatta l'autore su www.isalotti.serviziculturali.org Leggi a schermo intero Condividi

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ANTEPRIMA THRILLER

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ANTEPRIMA

Thriller In uscita verso i primi di dicembre 2009

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DESCRIZIONE:

Il limite che esiste tra caos e leggi matematiche, tra ordine e disordine, tra ossessione e razionalità, può essere compreso? Si può dare una giustificazione a tutto ciò che ci accade? Sara intende scoprire il legame più alto che forse accomuna tutti, convinta che in realtà ci sia molto più di quello che vediamo... Bobby vuole la stessa cosa, in fondo, ma un lago che nasconde una terribile coincidenza risveglierà il passato confondendolo con il presente.

L'AUTORE:

Fabio Carrozzi è nato a Roma nel 1977 e lavora come sistemista informatico. Ha esordito pubblicando alcuni racconti brevi tra cui "La fermata dell'autobus" e "Al suo completo servizio". Il suo sito personale è www.fabiocarrozzi.com

Titolo: Non più coincidenze Autore: Fabio Carrozzi Editore: 0111edizioni Collana: Selezione Pagine: 102 Prezzo: 12,00 euro 10,20 euro su www.ilclubdeilettori.com

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LA BANDA DEL BOOKO (CHE SI LEGGE BUCO)

ANONIMA SEQUESTRI ovvero PERSONAGGI RAPITI

Hai un amico scrittore e vuoi fargli uno scherzo o un dispetto, oppure vuoi "vendicarti" per qualcosa ma non hai ancora trovato il sistema per "fargliela pagare"? RAPISCIGLI un personaggio e fallo rivivere in un tuo racconto, poi chiedi il riscatto all'autore: se paga, il suo personaggio ne uscirà indenne, altrimenti MORIRA'!

Se fra i libri che hai letto c'è un personaggio che ti ha particolarmente colpito e che ti è rimasto impresso per qualche motivo, puoi unirti alla Banda del BookO ( che si legge Buco) per un'IMPRESA A DELINQUERE assolutamente fuori dal comune: RAPISCI IL PERSONAGGIO, TIENILO IN OSTAGGIO E CHIEDI UN RISCATTO. Per rapire un personaggio è necessario renderlo protagonista di un racconto con DUE FINALI, uno a lieto fine e uno tragico (il personaggio MUORE!). Verrà reso pubblico un solo racconto, in base all'esito della richiesta di riscatto: se l'autore paga, il finale sarà "lieto", altrimenti il personaggio farà una tragica fine. Non ti senti abbastanza "scrittore" per buttare giù un racconto? Non fa niente! Rapisci ugualmente un personaggio: se l'autore del libro da cui lo hai rapito non pagherà il riscatto, daremo la notizia dell'uccisione della vittima. Se invece pagherà... bé, a morire sarai tu (ossia il bandito), durante il bliz di liberazione.

TUTTI I RACCONTI VERRANNO PUBBLICATI IN ANTOLOGIA

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EasyReader è una vastissima raccolta di libri da leggere online, in versione integrale oppure in versione "trailer", comunque sempre molto "corposa" (da un minimo di 30 pagine a un massimo di 50). Tutti i libri proposti in versione e-book su questo sito sono coperti da copyright e sono disponibili anche in formato libro, regolarmente pubblicati (e quindi muniti di codice ISBN) e disponibili anche in libreria. Il catalogo viene aggiornato MENSILMENTE.

Novità AvventuraBambini/Ragazzi

Fantasy/Fantascienza

Giallo/Thriller

Horror Narrativa Poesia Sentimentale Altri generi

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Fabio Carrozzi

NON PIÙ COINCIDENZE

www.0111edizioni.com

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www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com

NON PIÙ COINCIDENZE 2009 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Fabio Carrozzi

www.fabiocarrozzi.com ISBN 978-88-6307-234-1

In copertina: Immagine dell’Autore

Finito di stampare nel mese di Novembre 2009 da Digital Print

Segrate - Milano

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Life would be so much easier if we just had the source code. Anonymous

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Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e av-venimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o usati in chiave fittizia. Ogni rassomiglianza con persone realmente esistenti o esistite, fatti o località reali è puramente casuale a eccezione di alcune delle coincidenze citate dai personaggi che sono di pubblico dominio e con-sultabili in internet.

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I IL LAGO

1 Domenica 5 Giugno. Il pendio che scendeva verso il lago illuminato dai primi raggi del sole, era uno spettacolo al quale Sara non poteva resistere. Erano da poco passate le sei, aveva percorso ormai quasi venti chilometri da quando era uscita di casa. Complice l’aria ancora fresca e lo splendido paesag-gio che aveva attraversato, non si sentiva affatto stanca. Accostò la sua mountain-bike a un pino che svettava solitario su quel panorama incan-tato e adorò il suono dell’erba che costeggiava la strada asfaltata, fru-sciare contro i raggi della sua bici. Il bello di uscire presto la domenica mattina, rifletté, è di essere sola, di poter ammirare tutto questo in soli-tudine. L’alba limpida e fresca le permetteva di scorgere tutti i particolari di quello splendido spettacolo riservato solo a lei. Il sole ancora basso il-luminava dolcemente il verdeggiante pendio che si stendeva per un cen-tinaio di metri ai suoi piedi fino a raggiungere e a perdersi nelle acque limpide del lago. Sull’altra sponda, a differenza di quella che stava percorrendo, la vege-tazione era molto fitta. Un sentiero scendeva da un hotel con il tetto in legno spiovente (“Best View” recitava l’insegna posta nel suo viale di accesso… non aveva tutti i torti in fondo). Si snodava chiaramente tra la vegetazione e portava a una spiaggia attrezzata per la consueta inva-sione turistica durante la stagione estiva. Il lago molto probabilmente era ancora uno dei pochi in cui ci si sente abbastanza tranquilli immergendosi. Lo spettro dell’inquinamento era ancora molto lontano fortunatamente. L’acqua era pulita e limpida. Sara chiuse gli occhi e inspirò profondamente, assaporando il più pos-

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sibile la dolce fragranza dell’aria prima di espirarla del tutto. La teoria secondo la quale l’uomo non è altro che una diversa specie animale solo con un’intelligenza un po’ più evoluta, perse qualsiasi fondamento in lei. Com’era possibile sentirsi così viva e felice, com’era possibile assaporare la totale consapevolezza dell’essere se poi in realtà tutto quello che siamo è solo frutto di un intricato gioco di probabilità? Non aveva senso, non aveva senso, continuava a ripetersi e continuava a ripeterselo da anni ormai. Più di una volta si era domandata se tutto quello che vediamo sia sufficiente, se in realtà non ci siano molte altre cose e molte altre leggi della natura che con i nostri limitati sensi forse non riusciamo a cogliere pienamente. Mentre ora riapriva gli occhi su quello spettacolo che ancora non per molto era riservato solo a lei, valutò la possibilità di scendere il pendio, magari anche in bici. In effetti non era eccessivamente ripido. Voleva toccare l’acqua, rinfrescarsi il viso e magari rinfrescare e chiarificare i suoi pensieri. Riprese la bici e con cautela si lasciò guidare dalla forza di gravità lun-go il pendio, regolando di tanto in tanto la forza esercitata sui freni. La discesa in effetti fu più facile del previsto. Il manto erboso pareggiava le asperità del terreno rendendo quella escursione molto piacevole. Lasciò la bici qualche metro prima di raggiungere l’acqua, dolcemente poggiata sull’erba soffice. Colse un filo d’erba particolarmente lungo che spuntava dai raggi della bicicletta e lo portò con se in riva al lago. Si tolse le scarpe e i calzini e immerse i piedi nell’acqua fresca. Il refri-gerio le percorse il corpo velocemente facendola per un attimo rabbri-vidire. Mosse qualche passo fino a che l’acqua non raggiunse l’orlo dei suoi pantaloncini e velocemente il suo corpo si abituò al cambio di temperatura. Una volta, quando aveva circa otto anni, si allontanò da casa all’insaputa dei suoi genitori e si tuffò in quelle stesse acque. Il gelo la colse di sorpresa e la afferrò nella sua stretta morsa, il cuore le sembrò aver smesso di battere e in quel preciso istante, fu sicura che l’avrebbero ritrovata il giorno dopo, morta, distesa a pancia in giù non molto lontano dalla riva. Sorrise. Non ne aveva motivo, in fondo non era un bel ricordo, ma lo fece lo stesso, si sentiva felice e in armonia con tutto il resto. Cominciò a far roteare il filo d’erba che teneva ancora stretto nella ma-no, in circoli sempre più ampi. Vedeva l’acqua disegnare percorsi im-

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prevedibili sulla sua superficie e si meravigliò di come un minimo cambiamento nel suo movimento, produceva una reazione sempre di-versa e casuale dell’acqua. Il caos governava il tutto? No, non può es-sere solo quello... c’è qualcosa che ci sfugge... Qualcosa di luminoso appena sotto la superficie del lago attirò la sua attenzione, interrompendo la catena dei suoi pensieri. Lasciò cadere il filo d’erba che cominciò a galleggiare in preda alle leggi del caos e si chinò il più possibile per esaminare l’oggetto, ma la rifrazione dell’acqua non ne permetteva una visione dettagliata. Immerse quindi la mano e ne tirò fuori un sasso di color rosso-porpora perfettamente levigato, di forma circolare non più grande di una palla da tennis. Lo sollevò davanti agli occhi e ne ammirò la perfetta confor-mazione e quel colore molto intenso che riluceva al contatto con i raggi solari. Lo asciugò con la t-shirt azzurra che aveva indossato quella mat-tina e lo infilò in tasca. In lontananza un primo gruppo di turisti affolla-va già la spiaggia dell’hotel. Sara spinse la sua bici sul pendio erboso finché la pendenza gli permise di rimontare in sella. Un ultimo sguardo verso il lago e sorridendo, co-me se avesse voluto salutare il pino solitario, riprese a pedalare.

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2 Quella sera Sara non riuscì a addormentarsi facilmente. Sdraiata nel suo letto continuava a fissare le ombre sul soffitto disegnate dagli alberi mossi dal vento. Probabilmente non molto lontano un temporale si pre-parava a scatenarsi in quanto sentiva chiaramente il rumore del tuono attraversare la notte. A volte soffriva di insonnia. A ventotto anni è strano avere di questi disturbi ma non impossibile, soprattutto se l’estate precedente hai perso entrambi i genitori in un incidente stradale. Stanca di rigirarsi nel letto, decise di alzarsi. Si avvicinò alla finestra aperta e guardò fuori. Il lago, rischiarato dalla luna, risplendeva argen-teo. Un vento fresco le sferzava dolcemente il viso, in esso sentiva chia-ramente l’imminente arrivo della pioggia che non molto lontano proba-bilmente già imperversava. La sua stanza era collocata al secondo piano di quella che fino a un an-no fa era la casa in cui aveva sempre vissuto con i suoi genitori. Per gran parte era stata costruita in legno. Contava in tutto quattro stanze distribuite equamente sui due livelli. Oltre la cucina e il salone del pia-no terra c’era anche una cantina accessibile tramite una scalinata dalla cucina, in cui era ancora ben conservata la collezione di vini del padre. Intorno alla casa era ben tenuto un giardino con alcuni alberi di pioppo i cui rami ora si divertivano a disegnare ombre sul suo soffitto. Un sen-tiero di duecento metri che si snodava attraverso la vegetazione condu-ceva nei pressi del lago, mentre per raggiungere la strada asfaltata, e quindi il centro del paese, era necessario percorrere quasi tre chilometri. A volte riusciva a sentirla, era facile abbandonare la propria immagina-zione a quello che la casa aveva da raccontare. Mille ricordi le venivano sussurrati da quelle mura, mille avvenimenti familiari, compleanni, na-tali, “giorni comuni”, ogni evento talvolta rappresentato nei minimi dettagli. È sorprendente, pensava. Anche quando si trovava nelle sue frequenti uscite in bici a passare davanti a una casa abbandonata, riflet-teva su quanti avvenimenti, su quante persone avevano fatto sì di rende-re vivo il posto, di rendere della semplice materia ricettacolo di tanta memoria, di tanti sentimenti, e è altrettanto sorprendente come poi tutto

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svanisce, come il luogo a grosse linee resti sempre lo stesso, con l’unica grande differenza: la variabile tempo. Chiuse la finestra, si girò verso la scrivania e il suo sguardo nella pe-nombra si fissò sul pantaloncino che aveva indossato quella mattina e che ora era piegato sullo schienale della sua sedia. Il sasso che aveva trovato era ancora nella tasca. Lo posò sopra un libro preso in prestito dalla biblioteca in cui lavorava e accese la lampada da tavolo. La lumi-nescenza rosso-porpora di quel sasso la colpì immediatamente, era per-fettamente circolare e perfettamente liscio come aveva potuto notare fin dal primo momento. Immersa in quello spettacolo della natura che non sembrava essere però perfettamente “naturale”, sobbalzò e si lasciò sfuggire un grido di sor-presa, quando un fulmine rischiarò a giorno la sua piccola stanza. Seguì un fragore imperioso che si abbatté sulla casa facendola tremare fin nel-le fondamenta e una pioggia impetuosa scese improvvisa e furiosa. Il vento aveva preso a soffiare con maggior insistenza e mentre ascoltava la pioggia infrangersi contro la finestra, gli tornò in mente la telefonata del cinque giugno di un anno prima. Era sabato. Stava lavorando come al solito nella biblioteca. Riponendo alcuni libri che le avevano appena restituito: un manuale di pesca, i fra-telli Karamazov di Dostoevskij, un libro di fiabe per bambini e un atlante. Ce ne era veramente per tutti i gusti... Strano come a volte la mente tenda a ricordare particolari insignificanti, rifletté. Erano le quattordici in punto, la giornata era calda ma ventilata. Di lì a un ora, i suoi genitori, dopo aver trascorso una settimana di viaggio in Europa, dovevano passare a prenderla e insieme sarebbero andati sicuramente al lago, avrebbe ascoltato il resoconto di quel viaggio, avrebbe fatto poi un bagno rinfrescante e magari la sera, sarebbe uscita per un giro in bici. Ma non andò così. Sofia, la sua collaboratrice, si avvicinò e le disse che il vice la voleva al telefono e che avrebbe pensato lei a finire di sistemare i libri rimasti. La telefonata fu breve. «Sara?» «Sì, sono io» mentre con la mano destra aveva iniziato già a stringere la cornetta. «Devo chiederti di venire in centrale immediatamente.» «Cos’é successo? Non posso venire ora, sto aspettando i miei genitori, verranno a prendermi fra poco.» Pausa.

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«Si tratta appunto di loro, devi venire immediatamente» e poi riattaccò senza darle il tempo di replicare. Fortunatamente, rifletté in seguito, perché la cornetta aveva iniziato stranamente a scottare. Quello che seguì, Sara lo visse come un incubo: il riconoscimento delle salme, Sofia che la stringeva forte mentre anche lei non riusciva a smet-tere di piangere, la casa ora troppo grande e vuota che sapeva attenderla quella sera. Il funerale che si tenne qualche giorno dopo, era stato tutto un brutto sogno e, come per tutti i sogni che si fanno, si hanno solo ri-cordi frammentati. C’erano giorni in cui credeva veramente che tutto questo non fosse re-almente successo, che tutto in realtà faceva parte di un incubo, che la mattina dovesse finalmente arrivare e che svegliandosi avrebbe sentito l’odore della colazione preparata da sua madre provenire dalla cucina, come quando era piccola e ancora insonnolita scendeva l’ampia scalina-ta di legno barcollando affamata. Avrebbe mangiato velocemente e prima di andare a scuola avrebbe salutato sua madre e suo padre l’avrebbe accompagnata con la macchina… Un altro fulmine questa volta cadde così vicino che risvegliandosi da quel ricordo Sara ebbe veramente paura. Stringendo ancora il sasso co-lor rosso-porpora in mano si avvicinò con cautela alla finestra. Il fulmi-ne aveva colpito un albero sull’altra sponda del lago. Era in fiamme, ma si stava spegnendo velocemente sotto la pioggia battente. Si sentiva stanca e spossata. Guardò sul tavolo la radiosveglia che se-gnava le due e quaranta. Decise di riprovare a addormentarsi, di fare un ultimo tentativo e, nel caso non avesse funzionato, si sarebbe messa a leggere fino all’alba, come ormai le capitava spesso di dover fare. Passarono trenta secondi e il sasso color rosso-porpora lasciò la sua mano e cadde sul pavimento producendo un suono sordo e ovattato. Rotolò per qualche centimetro sotto il letto e poi si fermò. Sara si era addormentata e non si accorse che poco dopo, la mancanza di rete elet-trica, dovuta alla tempesta che infuriava, spense l’orologio e la lampada che era rimasta accesa sulla scrivania, lasciando la sua stanza comple-tamente al buio.

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3 La corrente fu ripristinata alle sei e trenta. Alle sette un primo raggio di sole, trovando un varco tra le nuvole ancora copiosamente addensate, si posò sul viso di Sara svegliandola. Anche se aveva dormito per circa quattro ore, si sentiva incredibilmente fresca e riposata. Pensò alla gior-nata che la attendeva, il lavoro in biblioteca le piaceva molto, amava i libri, aveva sempre letto fin da quando sua madre le aveva regalato per il suo ottavo compleanno una copia di “Ventimila leghe sotto i mari” di Giulio Verne, che ancora oggi riservava un posto d’onore nella sua per-sonale libreria. Andò in bagno, si fece una doccia veloce e, dopo aver dato un’occhiata all’orologio, decise di fare colazione lungo la strada al Caffè Flò. In fondo era ancora presto: il suo turno in biblioteca iniziava alle nove e, anche se avesse ritardato di qualche minuto, di sicuro Sofia non se la sarebbe presa più di tanto. Seduta sul letto, mentre si allacciava le scarpe da ginnastica, si ricordò improvvisamente del sasso che stringeva in mano prima di addormen-tarsi, doveva essere caduto da qualche parte. Non era sotto il tavolo e neanche sul pavimento, poi si chinò fino a che poté avere una visione chiara di ciò che si nascondeva sotto il letto. Il sasso sembrava brillare di luce propria, una luce pulsante rosso-porpora illuminava ritmicamen-te la parte di pavimento di solito regno incontrastato dei riccioli di pol-vere. Con un movimento veloce della mano Sara afferrò il sasso che smise improvvisamente il suo spettacolo di luce, lo contemplò per qualche istante finché non fu costretta a lasciarlo cadere di nuovo: si era im-provvisamente riscaldato e l’aveva quasi ustionata, come quando stin-gevo la cornetta di quella maledetta chiamata… Scese di corsa le scale che dal secondo piano portavano al salone, non me lo sono immaginato, quel sasso scottava veramente, emetteva luce come…. come…. è passa-to un anno ormai, devi superarlo, rifletti. Perché dovrebbe esserci un motivo per ciò che accadde? Per la loro morte? Cosa pensi di fare a riguardo? Impazzire cercando la risposta? No, no…. no… Attraversò tutto il salone sempre correndo dirigendosi verso la cucina. No, no… no continuava a ripetersi. Sopra il lavandino era appeso un guanto da for-