Anonymous La Grande Truffa

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Anonimi e falsi anonimi Della nebulosa Anonymous, alcuni sostengono che non si possa dire nulla. Troppo sfuggente, troppo composita per essere definita. Troppo mutevole perché le parole non risultino presto già vecchie. Anonymous imporrebbe dunque il silenzio, come una divinità neo-platonica? Invitiamo coloro che lo pensano a ritirarsi in preghiera, in buon ordine assieme ai novelli teologi dell’evo cibernetico. Da parte nostra, crediamo di avere alcune domande utili da porre e alcune risposte interessanti da dare. Crediamo che Anonymous abbia una storia, che non è soltanto quella dei suoi membri ma soprattutto quella dei suoi simboli, idee, narrazioni, miti. E più precisamente la storia di come queste idee e questi simboli siano stati mescolati, trasformati, rovesciati. Ma nel titolo annunciamo una truffa. Potrebbe essere quella di chi questi miti li smercia: potenti multinazionali dell’industria culturale, santoni del pensiero antagonista prêt -à-porter… Oppure la truffa potrebbe essere quella di chi questi miti li stravolge e rivolge contro il sistema: un esercito di hacker che vuole rovesciare il mondo per scoprire cosa c’è dietro. Una cosa non

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Anonimi e falsi anonimi

Della nebulosa Anonymous, alcuni sostengono che non si possa dire nulla. Troppo sfuggente,

troppo composita per essere definita. Troppo mutevole perché le parole non risultino presto

già vecchie. Anonymous imporrebbe dunque il silenzio, come una divinità neo-platonica?

Invitiamo coloro che lo pensano a ritirarsi in preghiera, in buon ordine assieme ai novelli

teologi dell’evo cibernetico.

Da parte nostra, crediamo di avere alcune domande utili da porre e alcune risposte interessanti

da dare. Crediamo che Anonymous abbia una storia, che non è soltanto quella dei suoi membri

ma soprattutto quella dei suoi simboli, idee, narrazioni, miti. E più precisamente la storia di

come queste idee e questi simboli siano stati mescolati, trasformati, rovesciati.

Ma nel titolo annunciamo una truffa. Potrebbe essere quella di chi questi miti li smercia:

potenti multinazionali dell’industria culturale, santoni del pensiero antagonista prêt-à-porter…

Oppure la truffa potrebbe essere quella di chi questi miti li stravolge e rivolge contro il sistema:

un esercito di hacker che vuole rovesciare il mondo per scoprire cosa c’è dietro. Una cosa non

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esclude l’altra, ed è possibile che la più grande truffa sia quella dove tutti sono

contemporaneamente truffatori e truffati.

“Nel futuro, tutti avremo quindici minuti di anonimato.” Banksy

Prima che s’iniziasse a parlare di un movimento chiamato Anonymous, chi si firmava

Anonymous era considerato semplicemente anonimo, privo di nome, come tutti coloro che

commentano o pubblicano su Internet senza identificarsi. Anche questo libro è firmato da un

Anonimo, e speriamo davvero di non avere infranto nessun diritto d’autore. In questo caso ci

scusiamo con i diretti interessati.

Su Amazon si trovano decine di migliaia di libri il cui autore è Anonymous: sono dei libri

prodotti automaticamente da un software a partire da contenuti anonimi liberamente

disponibili online, come le pagine di Wikipedia. Sono le opere complete di Anonymous? Sono

la sua segreta fonte di finanziamento? In verità, si tratta solo di una specie di truffa editoriale,

e con i celebri hacker ha ben poco a che vedere. Di tutt’altra truffa parleremo in queste pagine.

E di tutt’altro anonimato.

Da qualche anno la firma Anonymous indica l’appartenenza a un movimento chiamato

Anonymous. Un movimento al quale tuttavia si può appartenere o non appartenere secondo la

propria volontà, e senza alcuna “selezione all’ingresso”. Un motto accompagna talvolta la

firma: «We are Anonymous. We are Legion. We do not forgive. We do not forget. Expect us».

Possiamo tradurla come segue: «Noi siamo Anonymous. Noi siamo Legione. Noi non

perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Tremate!». La versione più diffusa è però leggermente

diversa: «Noi siamo gli Anonymous. Noi siamo una legione. Noi non perdoniamo. Noi non

dimentichiamo. Aspettateci!».

Come sempre in materia di traduzione si può dibattere. Le sfumature di significato evocano

visioni differenti di ciò di cui parliamo: Legione biblico o legione romana? Tremate o ci

aspettate? Se il “tremate” da noi scelto risulta un po’ fumettistico, va detto che “aspettateci”

suona fantozziano: come se un gruppo di anonimi ragionieri in ritardo stesse correndo

tenendosi un paio di pantaloni troppo larghi, sudando e ansimando per raggiungere la

comitiva. Aspettateci!

Esistono varie teorie su cosa sia Anonymous e su come vi si possa aderire, almeno tante quanti

sono gli anonimi che pretendono di parlare a nome di un’organizzazione che forse nemmeno

esiste. E sono tantissimi: decine di conti twitter semi-ufficiali, centinaia di blog, centinaia di

migliaia di video su Youtube. Sul sito AnonNews, «piattaforma indipendente di notizie su

Anonymous», nella sezione FAQ (Frequently Asked Questions), si risponde alla domanda

«Come posso unirmi ad Anonymous?»:

Questa domanda è piuttosto frequente. Anonymous non ha una lista d’iscritti, e non ci si può

propriamente “iscrivere”. Se vi identificate con Anonymous, o se dite di esserlo, voi siete

Anonymous. Nessuno ha l’autorità per dirvi se siete Anonymous o oppure no, tranne voi

stessi.

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Questa risposta non è ufficiale, visto che ci dice che nessun Anonymous è in grado di produrre

atti ufficiali. Alcuni Anonymous non esitano a denunciare dei falsi Anonymous, in ciò

contraddicendo la definizione secondo la quale nessuno avrebbe l’autorità per farlo. D’altra

parte chi ha prodotto questa definizione, per definizione, non ha alcuna autorità per produrre

definizioni… Insomma l’appartenenza ad Anonymous è retta da un paradosso, una

proposizione autonegante come quella del cretese Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), il quale

affermò che «i cretesi sono tutti bugiardi».

Mano a mano che Anonymous guadagna visibilità, questo genere di paradossi emerge in

maniera vieppiù evidente e drammatica. E paradossalmente proprio questi paradossi attirano

l’attenzione e rendono avvincente l’avventura di Anonymous. Nel luglio 2011, un sedicente

rappresentante di Anonymous appariva in un video su Youtube per annunciare l’Operazione

Facebook, che avrebbe portato alla distruzione del social network. Indossava la proverbiale

maschera di V for Vendetta, raffigurante il cospiratore Guy Fawkes. Il comunicato venne

presto confutato da un altro Guy Fawkes, che definiva questo tipo di minaccia «contraria ai

principi» del gruppo. Ma tra i principi del gruppo non c’era proprio il fatto che chiunque possa

aderirvi, e perciò emettere comunicati?

In febbraio, un tweet firmato AnonOps (Anonymous operations) denunciava un’altra «fake

operation», e qualche giorno dopo è apparso un video «For All Fake Members» nel quale il

solito Guy Fawkes, serissimo e grave, se la prende con gli usurpatori e lancia un’accusa che

potrebbe suonare surreale: «You are not Anonymous». Non siete anonimi. Insomma

esisterebbero degli anonimi e dei falsi anonimi, che passano sempre più tempo a regolare i

conti tra loro a colpi di comunicati e video-comunicati.

Secondo il sito Linkiesta, che ha intervistato presunte «fonti interne», l’hacker che in febbraio

ha defacciato il sito della deputata Paola Binetti rivendicando l’azione a nome di Anonymous

non sarebbe in alcun modo legato al gruppo. Si tratterebbe di un millantatore, di un falsario,

anzi più precisamente di un usurpatore. Il suo comunicato, un apocrifo nel corpus

dell’anonymismo ortodosso. Il caso è chiuso? Al contrario, si è appena aperto.

In effetti se esistono degli atti apocrifi è necessario che esistano anche degli atti ufficiali, e

dunque un’entità in grado di produrli e convalidarli, o invalidarli se necessario. E però

Anonymous si presenta come un aggregato spontaneo, un’intelligenza collettiva dai contorni

sfumati, un vero grande “partito liquido” come poteva sognarlo Walter Veltroni, nel quale la

distinzione tra dentro e fuori, e perciò tra ufficiale e apocrifo, è tenuta a sciogliersi

completamente. Come scriveva il sito Punto Informatico a proposito del caso Binetti, «nessuno

può smentire o confutare che un’azione come quella di oggi sia davvero o meno un’azione di

Anonymous». Cosa sarebbero poi le «fonti interne» di un movimento che non ha né interno

né esterno?

Insomma la Binetti stessa potrebbe firmarsi Anonymous e scrivere in un forum — come ha già

detto in passato — che «tendenze gay fortemente radicate possono portare alla pedofilia»,

magari ricorrendo al Fake Anonymous Meme Generator che si trova in rete. Oppure un

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giovane squilibrato potrebbe indossare la maschera di Guy Fawkes per andare a massacrare i

suoi compagni di scuola. Tutte azioni che gran parte degli Anonymous non approverebbe di

certo. Ma d’altronde nessuno ha il diritto di dirti se appartieni o non appartieni ad

Anonymous…

Il movimento eredita le sue contraddizioni dalle esperienze che l’hanno preceduto e ispirato.

Tra le più simili c’è sicuramente il progetto Luther Blissett, nato e morto in Italia negli anni

Novanta, pseudonimo collettivo per una galassia di artisti e attivisti neo-situazionisti,

“condividuo” tenuto a incarnare un intero movimento. Nel loro manuale di guerriglia e

sabotaggio del 1996, i Luther già scrivevano:

Nel film Spartacus di Stanley Kubrick (USA 1960), tutti gli schiavi sconfitti e catturati da

Crasso dichiarano di essere Spartaco, come gli zapatisti sono tutti Marcos e io siamo tutti

Luther Blissett… Il nome collettivo ha una valenza fondativa, in quanto mira a costruire un

mito aperto, elastico e ridefinibile.

Interessante coincidenza, cinque membri del collettivo, autori del romanzo Q, fonderanno nel

2000 il collettivo Wu Ming, che in cinese mandarino significa… Anonimo.

Tra le varie avventure legate al Luther Blissett Project si ricorda almeno un episodio

imbarazzante: la pubblicazione nel 1996 per Mondadori del demenziale

regesto net.gener@tion, ad opera di un giovane Giuseppe Genna, oggi affermato scrittore. La

quarta di copertina annunciava «il manifesto con cui si proclama l’inizio di una nuova

Rivoluzione destinata a cambiare il sentimento del mondo grazie all’uso di Internet, la Madre

di tutte le Reti».

Presentato come una burla ai danni dell’industria culturale, una patacca rifilata dai “veri”

Luther a un ignaro editor, il libro poneva tuttavia un problema serio: se chiunque può firmare

con il nome Luther Blissett, perchè il povero Genna no? Che cosa distingue il Blissett vero dal

Luther artificiale? La risposta è semplice: una cascata di comunicati. Il condividuo

situazionauta aveva prodotto la sua bella burocrazia, in grado di stabilire di volta in volta la

legittimità degli enunciati e degli atti. Non si può tuttavia escludere che, per molti aspiranti

ribelli digitali, quel libro-scherzo sia stato una prima introduzione alla materia.

Così vanno le cose anche per gli Anonymous, che passano sempre più tempo a prendere le

distanze gli uni dagli altri. Questo perché contrariamente ad altre associazioni segrete del

passato (che usavano l’anonimato o la pseudonimia per la sua funzione pratica ma erano

comunque in grado di distinguere l’interno dall’esterno del gruppo) gli Anonymous

considerano l’anonimato un fine e una ragion d’essere. Conoscendo la propensione alla

paranoia dei gruppi clandestini, questa situazione è capace di minare rapidamente l’equilibrio

delle cellule, soprattutto da quando il mitico hacker Sabu si è rivelato essere un infiltrato.

Diffondendo il sospetto che alcuni anonimi possano fare il doppio gioco, l’FBI sembra avere

conseguito la sua prima vera vittoria contro il movimento.

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In effetti Anonymous, oltre che un mito aperto, è anche il nome di una costellazione di persone

che — più tradizionalmente — tramano assieme, si scambiano informazioni, codici, obiettivi, e

localmente provano a darsi coerenza e disciplina, denominando singole sezioni — sotto-insiemi

di Anonymous — per provenienza geografica. Nella pratica, è possibile che alcuni attivisti si

stanchino di questa rischiosa confusione. Stufi di dovere rispondere di ogni atto di teppismo in

rete, stufi di sentirsi rinfacciare che la maschera di Guy Fawkes gliela vende la Warner, alcuni

sceglieranno altri nomi e prenderanno a indossare altre maschere, o passamontagna, calze,

mutande.

Ogni volta che un ragazzino sigilla una bravata con il marchio di V for Vendetta, gli

Anonymous devono sentirsi come Walter Veltroni quel giorno in cui Massimo Calearo passò al

gruppo misto. Il problema è che nomi come “democratici”, “indignati” o “anonimi” non aiutano

a circoscrivere un’identità. E se una certa misura di vaghezza è fondamentale per costruire

enunciati e simboli nei quali possano riconoscersi sensibilità differenti, c’è comunque un limite

alla cardinalità di un insieme politico (ovvero al numero di elementi che lo compongono). La

questione allora non è nemmeno di giudicare se la filosofia di Anonymous sia coerente ma di

stabilire come, di fatto, Anonymous possa logicamente esistere.

È evidente che nel movimento stanno combattendo due forze opposte, una centripeta e una

centrifuga, una che lavora alla costituzione di un gruppo vero e proprio, l’altra che procede

verso il disordine. Ognuna di queste forze è inoltre composta da gruppi e persone con diverse

priorità e linguaggi, che emanano messaggi contraddittori in un regime d’apocrifia

incontrollata. Per ora la linea sembra essere: tutti siamo anonimi, ma alcuni sono un po’ più

anonimi degli altri.

La maschera e il canovaccio

“Vedete? Non potete uccidermi. Non ci sono carne e sangue sotto questo mantello: c’è solo

un’idea.” V for Vendetta (2006)

C’era una volta V, un misterioso personaggio mascherato che combatte…

— Il crimine! — diranno subito i miei piccoli lettori.

Non esattamente: nella celebre serie a fumetti di Alan Moore e David Lloyd, V combatte un

potere totalitario e corrotto, ben più minaccioso di qualsiasi Joker, Pinguino o Enigmista.

Prendendo in prestito molti aspetti della mitologia del supereroe — la maschera e il mantello,

l’identità segreta, il covo, il modus operandi — non senza una certa ironia, V si presenta come

perfetta e seducente icona rivoluzionaria postmoderna. Un terrorista buono. Un Batman

politicizzato. Un Robin Hood radicale.

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La sua maschera richiama il volto di Guy Fawkes, cospiratore cattolico che nel 1605 tentò di far

saltare il Parlamento inglese così guadagnandosi, se non l’aureola di santo, almeno un posto

d’onore nel pantheon dell’anarchismo tardo-novecentesco. Questo recupero non è del tutto

astruso, se pensiamo a ciò che rappresentavano i papisti nella società inglese dell’epoca, pochi

decenni dopo lo scisma anglicano: una forza oscura, addirittura satanica, che minava le

fondamenta della pace civile e del potere politico. Ma anche una categoria di esclusi, capri

espiatori, mostri sui quali proiettare ogni fantasia cospirazionista.

Insomma, nella propaganda dell’epoca, i cattolici erano i terroristi ideali, come lo sono oggi

altre minoranze religiose. Nel Leviatano (1651), il filosofo Thomas Hobbes costruisce la sua

teoria dell’autorità unica e indivisibile proprio contro i cattolici — insomma contro Guy

Fawkes. È quindi logico che un anarchico contemporaneo, come Moore nel 1982 o un giovane

Anonymous trent’anni dopo, si possa riconoscere in Guy Fawkes contro il moderno Leviatano.

Cupa caricatura dell’Inghilterra conservatrice di Margaret Tatcher e rivisitazione post-punk

di 1984 di George Orwell, V for Vendetta venne iniziato in Inghilterra nel 1982 per un editore

indipendente e concluso in America nel 1988 per i tipi della DC Comics, branca del colosso

mediatico Warner Bros. Nel corso degli anni la serie si è guadagnata la fama di classico nel

canone del fumetto contemporaneo, assieme ad altre opere di Moore come Watchmen (1986-

1987) e From Hell (1991-1996).

I fumetti di Alan Moore sono considerati tra gli apici del medium per profondità e intelligenza,

fantasia, sensibilità. Veri e propri “romanzi grafici”, come dice la neolingua del marketing

editoriale per dare un po’ di legittimità culturale a quelli che sono comunemente considerati

prodotti per eterni adolescenti.

Quando nel 2006 uscì il film V for Vendetta, pochi avrebbero scommesso sul suo successo.

Certo era prodotto e sceneggiato dai fratelli Wachowski, gli autori di Matrix (1999), ma si

trattava soprattutto dell’ennesimo blockbuster hollywoodiano tratto da un fumetto di culto. I

fan dell’originale erano già pronti con i fucili puntati. Lo avrebbero demolito come già avevano

fatto con i precedenti La vera storia di Jack lo squartatore (2001) o La leggenda degli uomini

straordinari (2003), adattamenti ben distanti dallo spirito delle opere originali di Moore.

L’industria cinematografica americana non era riuscita ad appropriarsi compiutamente di quei

mondi complessi fatti di carta e inchiostro, li aveva appiattiti e svuotati.

Ma il film tratto da V for Vendetta, contro ogni aspettativa, convince. Da principio si fa un po’

fatica ad ammetterlo: i fan precisano che l’adattamento è fedele, ma il fumetto resta una

spanna sopra. D’altronde come paragonare un film di due ore a una saga di trecento pagine?

Appunto. Inoltre pesa l’anatema di Alan Moore, che anche a causa delle delusioni sui film

precedenti, aveva chiesto di non essere accreditato tra gli autori. Ciò malgrado le resistenze

cedono poco a poco e la critica è costretta a riconoscere che il semi-sconosciuto regista James

McTeigue ha fatto un ottimo lavoro. Le sale si riempiono e il film, costato 54 milioni di dollari,

ne incassa 132.

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A fronte di altri adattamenti di fumetti, non si tratta di un successo eccezionale: Batman,

Spider-man, Iron man, X-Men e molti altri hanno funzionato meglio. Nella classifica degli

incassi di film tratti da fumetti, V for Vendetta è quarantottesimo, sopra Kick-Ass ma

sotto Cowboys contro Alieni. E persinoWatchmen (2009), successivo e molto meno riuscito

adattamento da un’opera di Moore, fa meglio. Eppure nessuno di questi altri film ha prodotto

un fenomeno intenso come quello legato a V for Vendetta, né un simile successo sulla durata.

Questa intensità si può misurare tenendo conto degli incassi dei vari prodotti derivati.

Innanzitutto il libro, che grazie al film è passato dallo status di culto a vero e proprio long

seller, venduto a più di un milione di copie nel mondo. E poi le famosissime maschere di Guy

Fawkes vendute a ogni angolo della rete, a cominciare da Ebay e Amazon, e indossate in tutto il

mondo: nelle piazze del Cairo, a Berlino, a New York, a Madrid, a Londra, a Roma. Se ne

venderebbero circa centomila ogni anno, e vanno a rimpinguare le casse della Time Warner

che ne detiene i diritti. Ma c’è anche tutto un merchandising“clandestino”, fatto di magliette,

felpe, adesivi, poster. Frasi del film si ritrovano sui muri, sui manifesti, sugli striscioni in

piazza. Di tutta evidenza, il film V for Vendetta ha scatenato qualche cosa. Alan Moore, che

molto ha scritto sul potere “magico” dei simboli, sul loro modo di provocare delle conseguenze

nel mondo reale, avrebbe dovuto prevederlo.

Oggi per i media la maschera di Guy Fawkes è “la maschera di Anonymous”, ma la storia è più

complessa (e interessante) di quanto si potrebbe credere. La prima associazione tra la sigla

Anonymous e l’iconografia di V for Vendetta ha luogo nel 2008, quando viene lanciato il

cosiddetto Project Chanology, contro la Chiesa di Scientology, da parte di un gruppo di utenti

del sito 4chan. Come vedremo più avanti, gli Anonymous del 2008 dei semplici troll,

spensierati disturbatori della quiete pubblica, molto distanti dagli hacker antisistema che

conosciamo oggi, ad un passo di essere aggiunti dal governo degli Stati Uniti nella lista dei

gruppi terroristici. Inoltre, i troll di 4chan non sono i primi a manifestare con la maschera di

Guy Fawkes.

Nel novembre 2007 i sostenitori del controverso repubblicano Ron Paul si travestono da Guy

Fawkes per celebrare il 5 novembre, data della Cospirazione delle Polveri del 1605 e simbolo

del loro radicale anti-statalismo. Ma il primo in assoluto a capire la portata politica di V for

Vendetta è stato, che ci crediate o no, Beppe Grillo: il quale nella primavera del 2007

annunciava il suo Vaffanculo Day postando un’immagine del vendicatore mascherato, per poi

utilizzare come simbolo una lettera V ricalcata dal logo del film.

Il sogno del comico genovese era di far saltare (metaforicamente s’intende) il Parlamento

italiano proprio come fa il personaggio nel film e nel fumetto. Cinque anni dopo, nel febbraio

del 2012, Grillo tenta un avvicinamento con Anonymous, esaltando i suoi «vaffanculo al

Potere»; e pochi giorni dopo una rivendicazione dal tono tipicamente grillino appare sul sito,

defacciato, della deputata cattolica Paola Binetti.

Ci sono voluti invece almeno un paio di anni alla sigla Anonymous per avvicinarsi a una lettura

politica del simbolo cui avevano ricorso, un po’ per caso, nel 2008. Sono anche gli anni in cui

Anonymous si trasforma in movimento di hacktivisti impegnati, avvicinandosi a Wikileaks e

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agli ambienti della cultura alter-globalization. La sua missione principale diventa la difesa

della libertà di parola, intesa anche come libera circolazione dell’informazione. Le operazioni

di disturbo surrealiste lasciano spazio ai sempre più frequenti attacchi DDoS (Distributed

Denial of Service attack) per bloccare l’accesso a siti governativi o aziendali, e ai

defacciamenti, che consistono nel sostituire le pagine di un sito con altre create ad hoc,

contenenti una rivendicazione.

Nel giugno 2010 Julian Assange, iniziando la conferenza stampa per il lancio del

video Collateral murders, primo grande colpo mediatico di Wikileaks, mormorò una frase di V

for Vendetta, riferita alla data del Complotto delle Polveri del 1605: «Ricorda, ricorda il 5 di

novembre». E quando nel novembre del 2010 Assange pubblica 251.287 cablogrammi riservati

delle ambasciate americane e inizia a subire pesanti pressioni governative, Anonymous lancia

l’operazione Avenge Assange, forse il vero atto di nascita del movimento come lo conosciamo

oggi.

Anonymous diventa così l’esercito digitale di un popolo d’indignati che sogna di rovesciare

governi, banche, multinazionali, rivelandone i segreti inconfessabili. Mentre su Youtube

appaiono sempre più spesso dei video-comunicati in cui un personaggio mascherato da V

rivendica qualche azione o pronuncia qualche minaccia, le piazze di tutto il mondo si

riempiono di manifestanti con la maschera di Guy Fawkes. Maschera che lo stesso Julian

Assange ha indossato in alcune occasioni pubbliche.

Onore al lavoro di adattamento dei fratelli Wachowski e del regista McTeigue. Ancora più del

fumetto, il film V for Vendetta riesce a inquadrare una fetta importante di Zeitgeist, ovvero

d’inconoscio collettivo della nostra epoca. Come scrive Lewis Call su Anarchist Studies, «Nelle

mani di McTeigue e dei fratelli Wachowski, la faccia di Fawkes aveva realizzato il suo pieno

potenziale. Era diventato un simbolo post-moderno veramente nomade, in perpetuo

mutamento». Sono proprio due innovazioni cinematografiche, due grandi idee che non

figuravano nel fumetto, a determinare una nuova ricezione del personaggio e la diffusione della

maschera di Guy Fawkes.

La prima grande idea è quella di presentare la maschera di Guy Fawkes come oggetto

infinitamente replicabile, da indossare per rendersi anonimi e compiere atti di disobbedienza

più o meno civile. Prima che, per effetto del film, questa pratica diventasse una moda presso i

manifestanti di tutto il mondo, solo alcuni gruppi antagonisti usavano manifestare con il volto

coperto (ad esempio nei famigerati Black Bloc). Ma la vera fonte d’ispirazione dei Wachowski e

di McTeigue (come lo fu per Luther Blissett) potrebbe essere il Subcomandante Marcos,

portavoce dell’Esercito Zapatista messicano, che affermò di coprire il volto e celare la propria

identità cosicché chiunque possa interpretarne il ruolo.

Se nel fumetto V è il solo personaggio anonimo, nel film viene sviluppata l’idea che la maschera

sia il supporto di un’identità collettiva. Insomma l’idea della maschera come dispositivo

anonimizzante e sineddoche della volontà popolare, che è il cuore del recupero iconografico di

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V for Vendetta, è un aspetto precipuo dell’adattamento hollywoodiano, a sua volta una

rimasticatura delle dottrine di guerriglia urbana contemporanee.

La seconda innovazione presente nel film è quella di ristrutturare l’intreccio attorno al

progressivo svelamento della verità totalitaria, invece di rendere subito evidente

l’ambientazione distopica. Se Moore “metteva a distanza” la sua critica dell’Inghilterra

tatcheriana, i Wachowski e McTeigue sovrappongono l’universo di V for Vendetta al nostro. In

maniera chiarissima, ad esempio, quando utilizzano immagini d’archivio degli scontri di

Genova nel 2001 per mostrare un esempio di repressione violenta.

Insomma il nemico non è uno stato esplicitamente totalitario, come nel fumetto, bensì una

democrazia in tutto e per tutto simile alla nostra, che cela tuttavia un potere occulto. Qui

ritroviamo la buona vecchia distinzione tra “democrazia formale” e “democrazia sostanziale”.

Ma ritroviamo soprattutto la struttura diMatrix e la sua cosmologia gnostica, ispirata in egual

misura dalle antiche eresie dualiste e dalla lettura di Guy Debord: viviamo in un mondo

realmente rovesciato, che si presenta come uno Spettacolo governato da moderni Arconti.

La concezione politica degli Anonymous deve molto a questo immaginario. La loro vicinanza a

Julian Assange e Wikileaks, cacciatori di scabrosissimi X-Files, è rappresentativa di un

rifiuto de facto di riconoscere legittimità al potere politico, anche formalmente democratico. Se

non è facile identificare un pensatore politico cui gli Anonymous s’ispirano, è chiarissimo

quello che rigettano in toto: Thomas Hobbes, con il suo Leviatano e la sua teoria della pace

civile.

Sorge una questione: se il film è tanto radicale, com’è possibile che un colosso multinazionale

dell’industria culturale abbia lasciato che venisse prodotto e distribuito? Nel film troviamo una

possibile risposta anche a questa domanda, ed è proprio sotto la maschera di V. Il suo nome è

Hugo Weaving, ovvero l’agente Smith di Matrix.

Proprio così: l’attore che intepreta il ruolo del rivoluzionario V e di cui non vediamo mai il

volto non è altri che l’antagonista mutaforma che combatte contro i ribelli nella trilogia Matrix.

I fratelli Wachowski si divertono a confonderci le idee: insomma lo stesso rivoluzionario che

arringa le folle contro il Sistema potrebbe essere un rappresentante del Sistema stesso. In un

certo senso è proprio quello che è accaduto ad Anonymous il 6 marzo 2012, quando è trapelato

che uno dei suoi membri storici e leader simbolici, Sabu, sarebbe stato per vari mesi un

informatore dell’FBI.

Paradossi degni de L’uomo che fu Giovedì di Gilbert K. Chesterton. E così V potrebbe essere un

falso profeta, il cui vero volto resta nascosto perché è esso stesso, al vertice del movimento, un

infiltrato. Nello stesso modo il film V for Vendetta, sovversivo e radicale, non sarebbe altro che

un prodotto di consumo, in un’epoca in cui anche le rivoluzioni si consumano. Il filosofo Jean

Baudrillard già scriveva che Matrixè un film sulla matrice come avrebbe potuto essere

prodotto dalla matrice stessa. V for Vendetta ha portato il paradosso in tutte le piazze del

mondo.

Questa storia ne ricorda e ricapitola un’altra, che sta all’origine del movimento che ha

influenzato il V for Vendetta di Alan Moore: il punk. Alla fine degli anni Settanta un gruppo di

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giovani sottoproletari inglesi giunse in vetta alle classifiche musicali di tutto l’Occidente, con

un pugno di pezzi rock sgraziati e trascinanti che inneggiavano all’anarchia. Il loro nome era

Sex Pistols e il loro stile, fatto di provocazioni estreme, prese il nome di punk rock. La loro

etichetta discografica, fino al 1976, un colosso multinazionale di nome EMI. Il loro impresario,

Malcolm McLaren, un aspirante musicista influenzato dai situazionisti francesi. Il loro

bassista, Sid detto il vizioso, un bulletto fanatico che si consegna alla mitologia rock morendo

d’overdose a soli ventidue anni.

Dopo il successo del singolo Anarchy in the UK, che vendette 50.000 copie nel Regno Unito,

gli scandali ripetuti convinsero il management vecchio stampo della EMI a rompere il

contratto con i Sex Pistols. I Pistols firmarono quindi con la Virgin Records di Richard Branson

— un capitalista della nuova generazione — e pubblicarono una raccolta dei loro successi

nell’ottobre del 1977, Never Mind The Bollocks. Al suo interno, una canzone che prende in giro

la EMI denunciando il paradosso di un’offerta senza limiti: «It’s an unlimited supply/ And

there is no reason why/ I tell you it was all a frame/ They only did it cause of fame» (EMI).

Il gruppo si sciolse poco dopo, e Malcolm McLaren rivelò che i Sex Pistols non erano altro che

una truffa. La grande truffa del rock’n’roll: quattro incompetenti provocatori osannati dagli

adolescenti di tutto il mondo, un giocattolo infantile per sedurre il mercato della ribellione.

McLaren descrive la truffa nell’intro del disco The Great Rock’n Roll Swindle:

Ho fatto tante cose nella mia vita ma il mio più grande successo è l’invenzione del punk rock.

Lasciatemi raccontare dall’inizio. Ho cominciato prendendo quattro ragazzini,

assicurandomi che si odiassero tra loro e che non sapessero suonare. Li ho chiamati Sex

Pistols. (…) A questo punto, il piano era pronto per truffare il sistema del rock’n’roll. Un

piano che mi avrebbe fatto guadagnare qualcosa come un milione di sterline in due anni.

Secondo McLaren, che ci tiene a passare per un diabolico manipolatore, la truffa consiste

nell’avere creato a tavolino degli idoli musicali incompetenti, e sottratto un tesoro all’industria

musicale: nel 1977 il Daily Express aveva titolato, non a sproposito, «Punk? Call it Filthy

Lucre» (Punk? Chiamatelo sporco lucro). In effetti Nevermind The Bollocks fu un successo e lo

è ancora oggi che, dopo la vendita della Virgin Records, figura finalmente nel catalogo della…

EMI.

In verità, non è per nulla chiaro stabilire chi fu il truffatore e chi fu truffato. Quello che appare

chiaro è che l’anarchia può essere un ottimo affare. La distruzione fa girare l’economia, come

Bernard de Mandeville già teorizzava nella sua Favola delle api (1705). E No Future, il motto

dei punk, potrebbe altrettanto essere lo slogan del capitalismo avanzato, assieme a un altro

ereditato dal situazionismo: «Godete senza limiti».

Nel caso di V for Vendetta e di Anonymous, chi è il truffato e chi il truffatore? Questa è in

fondo la sola domanda che conta, la sola cui cerchiamo di dare una risposta in queste pagine.

Proprio come all’epoca di McLaren, pare che ognuna delle parti in causa sia convinta di avere

fregato le altre. I “persuasori occulti” della Warner sono convinti di avere venduto una patacca

ai ragazzini, e gli hacktivisti sono convinti di avere sovvertito la patacca per trasformarla in

un’arma contro il sistema. Hanno costruito il loro arco di Costantino, smontando e rimontando

frammenti di monumenti precedenti, rilievi di epoca adrianea e fregi traianei. Hanno fatto

Page 11: Anonymous La Grande Truffa

un remix, anzi un bootleg remix. Un collage. Hanno preso un prodotto e lo hanno détournato,

cioè recuperato e distorto, come si diceva ai tempi dell’Internazionale Situazionista; lo

hanno hackerato, come si dice oggi.

E l’industria culturale invece come dice? Dice Mass Customization, ovvero personalizzazione di

massa: e consiste nel produrre beni e servizi adattabili, in grado di soddisfare bisogni specifici.

Da questo punto di vista, i prodotti (e in particolare quelli culturali) sono venduti appunto per

essere hackerati.

«People should not be afraid of their government. Governments should be afraid of their

people», chi l’ha detto? No, non Thomas Jefferson e nemmeno Alan Moore. Questa citatissima

frase, che ormai vediamo persino sugli striscioni in piazza, esiste solo nel film e appare

come baseline in tutto il suo materiale promozionale. Ragazzi, attenti: questo è il primo motto

rivoluzionario che viene da uno slogan pubblicitario. D’un tratto sorge il sospetto: e se ci

trovassimo imprigionati nel sogno bagnato di un machiavellico uomo del marketing? Vendere

la rivoluzione ai ragazzini, altro che deodoranti e jeans strappati. Questo è marketing

esperienziale, interattivo, virale.

Dal punto di vista dell’uomo del marketing, il ragazzo si maschera per impersonare un

romantico guerrigliero in un teatrino a misura d’uomo. S’indigna e protesta ma non è in grado

di dare forma più compiuta alla propria rabbia, perché il film non fornisce maggiori

indicazioni. Ritorna in mente una canzone, The vicious cabaret, che V canta nel fumetto di

Alan Moore, «Ci danno maschere, travestimenti e un canovaccio, poi ci tocca improvvisare».

Magari non c’è stato nessun “détournement” dell’icona cinematografica, nessun

rovesciamento, nessunhacking, perché l’uso che viene fatto della maschera nelle piazze è

esattamente quello prescritto nel film: indossatela e fate casino, trasformate la vostra vita in un

gioco di ruolo ambientato in uno stato totalitario, trollate il Leviatano e qualcosa accadrà.

Così V for Vendetta non sarebbe per la Warner né un incidente di percorso né un virus

scappato dal laboratorio, bensì un riuscitissimo esperimento di marketing neo-populista. Certo

nessuno poteva prevedere nei dettagli quello che sarebbe accaduto, e sarebbe ingenuo credere

che una cosa simile si possa pianificare “a tavolino”. Il marketing resta una scienza molto

imperfetta, in mano a grigi burocrati che giocano a fare gli apprendisti stregoni. Quello si può

fare, in compenso, è investire enormi budget promozionali per spingere la diffusione di certe

idee, lasciando che il mercato se ne appropri.

Insomma il banco vince sempre. O forse qualcosa è andato storto?

Page 12: Anonymous La Grande Truffa

La potenza della moltitudine

“I nomi erano cambiati, così come lo erano i volti, ma gli avversari rimanevano una costante

permanente. L’impero degli schiavi contro coloro che lottavano per la giustizia e la

verità.” Philip K. Dick, Radio Libera Albemuth (1976)

Secondo una delle definizioni più diffuse e convincenti, Anonymous non è un gruppo, non è un

partito, non è un’ideologia, bensì un meme. Meme è il termine che il biologo Richard Dawkins

coniò per definire l’equivalente culturale dei geni: delle unità d’informazione che si diffondono

e si moltiplicano, e di cui si occupa una strana disciplina chiamata memetica.

Un meme è come una stringa di codice, che replicandosi si trasforma ed evolve, si adatta al

contesto. In questo senso, una moda è un meme. Ma è un meme anche ogni idea politica, come

il comunismo o il fascismo o l’anarchismo pop in cui crede V. Quando nel fumetto e nel film il

personaggio pronuncia la frase «Non si può uccidere un’idea», è proprio a questa persistenza

dei memi che sembra fare riferimento.

Nel linguaggio di Internet, tuttavia, il termine meme indica qualcosa di ancora più preciso: una

specie di tormentone, un’immagine o un’espressione che circola e ne ispira altre, come i gattini

e le trollface, «I Can Has Cheezburger?» o «Haters gonna hate». E chi smentirebbe un gattino?

Se Anonymous è un meme o una moda, come i jeans strappati e le pettinature emo, le cose si

complicano. Ovviamente non può esistere nessun comitato centrale dei jeans strappati e delle

pettinature emo, nessun sigillo di ceralacca che ufficializza i jeans strappati correttamente,

nessun concilio ecumenico che legifera in materia denimologica. Ogni persona con i jeans

strappati risponde solo dei suoi jeans strappati.

Questo vale anche per l’ideologia. Una cosa è il Partito Comunista, altra il meme comunismo,

che si articola in varie forme e movimenti. Ma ecco la novità: gli Anonymous affermano che

non c’è bisogno di alcun partito per guidare l’azione politica, che essa si guida da sé.

La teoria del movimento liquido è suggestiva e può sedurre gli esteti del casotto, i neo-soreliani

digitali e altri rebels without a cause sedotti dalla visione di Fight Club o dalla lettura

di Invisibles di Grant Morrison. Ma in che modo un insieme d’individui che condividono un

attributo iconografico — la maschera di Guy Fawkes — e una vaga ideologia — tra il libertario,

l’anarchico e il socialdemocratico — può spontaneamente comporre un gruppo strutturato o

addirittura una «Legione»? Per capire questa idea possiamo tornare a una delle fonti

d’ispirazione del fumetto di Alan Moore, ovvero 1984 di George Orwell, che descrive con una

metafora lo sforzo necessario dagli oppressi per liberarsi dalle loro catene:

Se soltanto i prolet fossero riusciti a rendersi conto di quale fosse effettivamente la loro

potenza, allora non avrebbero avuto bisogno di cospirare. Avevano soltanto bisogno di

levarsi e di scuotersi, proprio come un cavallo che si scuote di dosso le mosche.

Page 13: Anonymous La Grande Truffa

Orwell parla di una cospirazione spontanea, naturale, istintiva. Un gesto collettivo, ma non

pianificato. I sostenitori di Anonymous vanno oltre. Sostengono che il movimento sarebbe

una super-coscienza, ovvero un’entità collettiva “senziente”. Questa teoria potrebbe sembrare

fantascientifica ma ha basi scientifiche e filosofiche del tutto serie nella biologia, nella robotica

e nella teoria dell’informazione. La cosiddettacybercultura sorge appunto in questo humus, e

prende nome da una dottrina — la cibernetica — che a partire dagli anni 1950 iniziò a studiare

i fenomeni di autoregolazione dei sistemi.

Un sistema autoregolato è, per farla semplice, una macchina in grado di produrre dei

comportamenti finalizzati verso un certo obiettivo. Essendo possibile costruire simili macchine

— ad esempio, una semplice fontana nella quale il livello dell’acqua resta sempre il medesimo

malgrado un afflusso disomogeneo —, è anche possibile decostruire e modellizzare l’intero

edificio dell’intenzionalità umana e animale in termini di dispositivi di controllo, segnali e

feedback. Coscienza sarebbe in fondo soltanto il nome che diamo a un meccanismo

particolarmente raffinato, prodotto per selezione naturale. Questa stessa selezione naturale

può agire sugli aggregati d’individui, ridotti a puro hardware, portandoli ad agire

collettivamente in maniera ordinata.

Per definire questi comportamenti collettivi spontaneamente organizzati — come gli sciami

d’insetti — si parla dalla fine degli anni Ottanta, appunto, d’intelligenza-sciame (Swarm

Intelligence). Sebbene nessun individuo conosca lo stato globale del sistema né sia in grado di

prevederlo, o peggio prescriverlo, l’insieme degli individui è in grado di produrre

comportamenti finalizzati. La “coscienza” di questo sciame è dunque una proprietà emergente,

una forma elementare di anima.

Corroborata dalla scienza contemporanea, la dottrina della super-coscienza non è altro che la

buona vecchia eterogenesi dei fini di cui parlano la filosofia e la teoria economica classica. Ma

se la “mano invisibile” del mercato è disfunzionale, perché la super-coscienza di Anonymous

dovrebbe essere funzionale? In fin dei conti, lo sviluppo di proprietà emergenti non è per forza

garanzia di effetti salutari o di un’intelligenza particolarmente elaborata: anche i tumori, in un

certo senso, sono sistemi autoregolati.

Nell’interpretazione di Anonymous l’eterogenesi dei fini assume invece un carattere

praticamente teologico — e ricorda l’azione dello Spirito Santo nella Chiesa cattolica. Ma

ricorda anche dei processi ben conosciuti nella tradizione marxista: in questo senso,

Anonymous sarebbe la versione cibernetica della vecchia dottrina della coscienza di classe, una

via informatica alla formazione di una soggettività politica anticapitalista. Gli Anonymous sono

convinti insomma di essere parte di un soggetto politico spontaneo, antagonista e

autoregolante, in grado di svolgere il ruolo di avanguardia rivoluzionaria.

Nella costituzione dell’apparato teorico dell’anonimismo post-2010 ha sicuramente avuto una

grande influenza la lettura di Impero di Michael Hardt e Toni Negri (2000), vera e propria

Bibbia del movimento Alter-globalization, con i suoi due concetti principali e antagonisti:

Impero e moltitudine. Impero indica un regime che si estende all’intero pianeta: si tratta

Page 14: Anonymous La Grande Truffa

insomma della Matrice della trilogia dei fratelli Wachowski, e prima ancora dell’Impero

occulto ed eterno di cui scriveva Philip K. Dick. Contro l’Impero combatte la Moltitudine, un

nuovo soggetto rivoluzionario differente dalla classe operaia e dal popolo, «non

rappresentabile», «molteplicità singolare».

Negri recupera questo concetto nell’opera di Baruch Spinoza, che definisce moltitudine una

folla che «si comporta come una sola anima». Contemporaneo di Thomas Hobbes ma critico

della sua visione politica, idolo dei libertari freudo-marxisti degli anni Settanta, Spinoza

potrebbe ambire al pantheon di Anonymous e Wikileaks con il suo Tractatus politicus, nel

quale scrive: «Non è sorprendente che la plebe ignori la verità e che non abbia giudizio, poiché

le questioni importanti che riguardano lo Stato gli sono tenute nascoste». Julian Assange è

dietro l’angolo.

Parlando nel loro libro di «proletariato cognitivo», Hardt e Negri chiamavano intellettuali e

hacker alla lotta: Anonymous, nella forma che ha preso negli ultimi due anni, è una possibile

risposta a questa chiamata. Riguardo ai paradossi di questa moltitudine disordinata nel

contesto attuale, il filosofo Massimo Adinolfi ha proposto una sintesi efficace:

Quello che si muove non è un popolo ma sono moltitudini: difficile trovare un denominatore

comune per ogni “causa”, difficile costruire egemonie; meglio elogiare allora la ricchezza

plurale del molteplice (quanto all’unità, si vedrà).

Si vedrà, ma quando? Il paradosso del movimento liquido sta tutto nell’oscillazione tra meme e

costellazione, spontaneismo e organizzazione, centro e periferia — e alla fine, esistenza e

inesistenza. Un regime di esistenza “debole” caratterizza la maggior parte degli oggetti sociali e

degli aggregati politici. Esiste l’Italia? E l’Europa? E il Tibet, la Macedonia, la Transnistria,

l’Abcasia?

Sono soprattutto le organizzazioni clandestine, in maniera programmatica, a porsi in uno stato

d’indeterminatezza ontologica al fine di sfuggire al controllo e alle sanzioni. Il termine

“clandestino”, in effetti, indica proprio il carattere non-iscritto di un oggetto sociale, in

contrasto con la regola che vuole che la proprietà sostanziale degli oggetti sociali sia proprio la

documentalità.

Questa indeterminatezza è il punto di forza delle cellule clandestine nei conflitti non

convenzionali: entità sfuggenti e dai confini indefinibili, autoreplicanti come un virus, e perciò

difficili da contrastare. Come disse a proposito di Anonymous E. J. Hilbert, ex FBI ora

presidente della ditta di cybersicurezza Online Intelligence, «Come fai a rompere la schiena di

un’organizzazione che non ha organizzazione?» Anche qui Anonymous eredita dalla tradizione

del marxismo rivoluzionario novecentesco.

Il primo e più influente teorico dell’insurrezione è Mao Zedong, che fondendo Sun Tzu, Hegel e

Clausewitz produce un’efficacissima teoria del conflitto asimmetrico, messa in pratica nella

guerra partigiana antigiapponese. Nell’opinione di Mao, la priorità dell’esercito irregolare è

mobilitare le masse popolari e non conseguire vittorie miltari, annientando le forze del nemico.

Page 15: Anonymous La Grande Truffa

La mobilitazione consiste in una deliberata strategia di estensione del conflitto al fine di

alterare gli equilibri coinvolti, e portare a manifestarsi le forze latenti. In conformità con

questa tradizione, Anonymous vuole essere innanzitutto un attivatore simbolico, in grado di

mobilitare il massimo numero di indignati.

Nel suo manuale di guerriglia, Che Guevara afferma chiaramente che la prima fase

dell’insurrezione consiste nel creare le condizioni rivoluzionarie fornendo un impulso alle forze

popolari. In questo senso la violenza non ha una logica militare (annientare il nemico) bensì

politica, la mobilitazione della società, perché si svolge nella fase in cui è difficile per i ribelli

confrontarsi contro un esercito regolare. Il limite di Anonymous è senza dubbio che, per suo

difetto strutturale, non può arrivare a nessuna fase successiva. Anonymous è un loop: la sua

attività si esaurisce in una perpetua e spettacolarizzata mobilitazione contro un avversario del

tutto disincarnato e fantomatico.

In un suo articolo del 2003, il quarto membro del collettivo Wu Ming identificava in Lawrence

d’Arabia il vero modello da seguire dagli eserciti rivoluzionari, aggiungendo due nuovi

elementi alla teoria rivoluzionaria, ai quali Anonymous non resta sorda: la mitopoiesi

(creazione di miti, leggende e simboli capaci di svolgere una vera funzione politica) e il

nomadismo (ovvero fluidità e flessibilità). I guerriglieri devono rimanere dei fantasmi, perché

«i fantasmi possono fare molta più paura degli eserciti». Tra le loro tattiche, il sabotaggio e

l’intralcio della produzione e della comunicazione. Il fine ultimo resta il medesimo:

Il punto di forza del guerrigliero risiede prima nella capacità di contagiare con le proprie

idee la popolazione civile, che nell’efficacia dell’azione militare diretta. Il conflitto non è fisico,

ma morale, politico. Ne consegue che non c’è alcuna soluzione di continuità tra conflitto e

consenso, anzi i due elementi collassano l’uno nell’altro.

Insomma Anonymous recupera mezzo secolo di strategie rivoluzionarie e vent’anni di

riflessione sul terrorismo mediatico o cognitivo. Ma anche modelli che provengono

dall’intelligence e dall’antiterrorismo, hackerati a dovere. In termini ontologici e filologici, i

paradossi di Anonymous non sono molto diversi da quelli che pone una nebulosa come Al

Qaeda.

Suscitò un piccolo scandalo Armando Spataro, il capo dell’antiterrorismo della Procura di

Milano, quando nel 2011 dichiarò che «Al Qaeda non esiste». Secondo Spataro, «Esistono dei

gruppi che si formano e si uniscono», e niente più. D’altronde è noto che il termine arabo

significa semplicemente base, nel senso di database: una lista di nomi, un annuario di ceffi con

le barbe lunghe e le facce cattive. Ma Al Qaeda è anche il nome che usiamo per riassumere una

molteplicità di fatti, di flussi di capitale, di idee che si propagano. Per questo si può dire che

«Al Qaeda esiste», come sistema decentrato in grado di produrre effetti sulla realtà.

Inoltre Al Qaeda è in grado di emanare un certo numero di atti ufficiali, i comunicati di Osama

Bin Laden e dei suoi colonnelli. Al di là delle “fonti autenticate” (i leader riconosciuti e

Page 16: Anonymous La Grande Truffa

riconoscibili) è peraltro possibile che viga una certa confusione, e per questo resta difficile

attribuire certi atti ad Al Qaeda.

Potremmo dire insomma che l’esistenza di un’entità è determinata dallo sviluppo di una

facoltà che le permetta di produrre atti autentici, distinti dagli atti inautentici che possono

esserle attribuiti. È possibile distinguere concettualmente, e giuridicamente, un comunicato

originale delle Brigate Rosse da un apocrifo, come il famoso comunicato del Lago della

Duchessa. Il fatto che questo non valga per Anonymous è sicuramente una forza, come

abbiamo visto, ma anche una debolezza. Le conseguenze di ciò vanno dall’esaltante al

catastrofico all’irrimediabilmente comico.

D’altronde vi siete mai chiesti, guardando la maschera di Guy Fawkes, che cosa diavolo avesse

da ridere?

La legge del caos

— È un gioco o è la realtà?

— Che differenza fa?

Wargames (1983)

Quando si entra in una chat sulla rete Anonymous, una stanza aperta a tutti, ci si trova in un

ambiente potenzialmente infiltrato da curiosi, troll, giornalisti e agenti di polizia, nel quale in

fin dei conti nessuno dice la verità. È probabile che in molte di queste chat vi siano soltanto

infiltrati, che passano il tempo a manipolarsi a vicenda. O che registrano in silenzio, dal fondo

della sala, ogni parola. Un curioso che volesse discutere con un Anonymous dovrebbe allora

armarsi di molta pazienza. Muoversi pazientemente da una stanza all’altra. Legarsi di amicizia

con altri utenti. Fornire via via prove più convincenti della propria sincerità. E alla fine,

continuerebbe forse a non capire se si trova “dentro” o “fuori”.

In questa “prima cerchia” di Anonymous bazzicano anche provocatori che potrebbero cercare

di coinvolgere altri utenti in conversazioni antisemite o in altro modo imbarazzanti, per poi

pubblicare la conversazione in un articolo scandalistico su Anonymous. Ci sono poi gli infiltrati

mimetici, che quando vedono un filone lo sfruttano a fondo, e al provocatore antisemita

risponderanno a tono con altre affermazioni antisemite. E ci sono infine gli aspiranti sinceri,

gli incauti catecumeni, che quindi rischiano di essere educati all’anonimismo da qualche

carabiniere travestito da Guy Fawkes.

In questo modo, spontaneamente il movimento tende ad assomigliare sempre di più alle

caricature che ne fanno i media. Infatti tutti i gli aspiranti Anonymous si sforzano

d’interpretare Anonymous come se lo immaginano, così influenzandone altri ancora, in una

Page 17: Anonymous La Grande Truffa

folle spirale. Privo di ogni controllo e gerarchia, Anonymous è il prodotto di questo circolo di

retroazioni simboliche. Anonymous è, già ora, la caricatura di Anonymous.

Un caso interessante di caricatura realizzata è quello del Progetto Mayhem, una finzione che

sta tentando d’invadere il mondo. Tutto nasce da una serie di video e comunicati, firmati

Anonymous e pubblicati a partire di novembre 2011 sui forum di Anonymous e Wikileaks, a

proposito di un’operazione chiamata Progetto Mayhem: Progetto Distruzione. I promotori

dell’iniziativa annunciano che riveleranno tutti i segreti delle multinazionali e dei governi

corrotti il 21 dicembre 2012. Una vera e propria Apocalisse nel duplice senso di rivelazione

delle cose nascoste e di fine del mondo come lo conosciamo.

È logico pensare che questo annuncio non sia una cosa seria: perché attendere un anno per

pubblicare del materiale scottante? Come tenerlo al riparo, in seno a un’organizzazione la cui

permeabilità è quella tipica di uno scolapasta? Insomma questo annuncio non è credibile né

come minaccia né come depistaggio. Consideriamolo per quello che è in principio: un corpus di

messaggi e video, realizzati da un ragazzo nella sua cameretta e spammati in giro per la rete. È

la storia di un ragazzino che vuole scatenare l’Apocalisse.

Non una cosa seria, dunque. Ma la struttura di Anonymous è tale che un semplice scherzo

entra a far parte di un meccanismo di diffusione e amplificazione, diventando quindi, di fatto,

rilevante.

È poco probabile che finisca il mondo, a dire il vero, ma se un certo numero di persone si

concentra, in una certa data, su un certo obiettivo, e se i media fanno la loro parte alimentando

le paure degli uni e le fantasie degli altri, è possibile che il 21 dicembre qualcosina (di buffo o di

terribile) accada. Gli hacker di Anonymous hanno già dimostrato di potere realizzare le

minacce più demenziali, e questa sembra essere sulla buona strada. Se poi non dovesse

succedere nulla, o nulla di particolarmente eclatante, gli Anonymous potranno comunque

vantarsi di avere menato per il naso i media con la loro falsa Apocalisse. Comunque vadano le

cose, il Progetto Mayhem è già entrato a far parte della rappresentazione e auto-

rappresentazione di Anonymous.

Da qualche parte in America, un agente dell’FBI sta dedicando le sue giornate a contrastare il

Progetto Mayhem. Forse i suoi colleghi lo prendono in giro alla macchinetta del caffè. Forse lo

prendono sul serio. Forse tra un anno sarà promosso in grado, per aver scongiurato una

minaccia che non c’è mai stata. Forse semplicemente impazzirà.

In un video del Progetto Mayhem pubblicato su Youtube, alcuni Anonymous propongono un

metodo per individuare altri compagni «ratti» del movimento, ai fini della cospirazione

apocalittica. È necessario innanzitutto programmare la sveglia del proprio orologio o cellulare

a una certa ora ogni giorno, e ogni giorno alla stessa ora «scatenare un uragano di confusione

che mandi nel panico i droni della Matrice che vi circondano», ovvero «fare qualcosa di

casuale/stupido/kaotico». Questa operazione viene definita Reality Hacking, ovvero trasferire

nella realtà le pratiche di sovversione dei codici proprie della rete, essendo la realtà stessa

Page 18: Anonymous La Grande Truffa

(come visto in Matrix) un programma, in modo più o meno metaforico. Ma si tratta anche di

una forma di Kaos Magic, pratica rituale di cui sono adepti i fumettisti Alan Moore e Grant

Morrison. Un esempio di kosa kaotica, in questo kaso, è mettersi a kantare a squarciagola il

Trololololo, un ipnotico meme musicale.

Lo scopo finale è «fottere la mente» dei droni, ovvero i software antropomorfi che ci

circondano. Questa operazione è un «virus mentale» che si propagherà poco a poco, e che

permetterà inoltre d’incontrare altri compagni e «cellule dormienti Anonymous» al fine di

unirsi per «cospirare». A questo punto non resta che da aspettare il «segnale per lo sciame»

che lancerà dei flashmob per «occupare la realtà». Il messaggio termina precisando che «lo

scopo del gioco è trovare il massimo numero di ratti».

In queste poche righe sono evidenti vari riferimenti culturali, ma i principali sono contenuti

nel nome e nella data del Progetto Mayhem. Il nome è un riferimento a Fight Club, la data alla

profezia Maya sulla fine del mondo. Due “finzioni” che Anonymous potrebbe avere la forza di

rendere reali e concrete, mostrando di avere un potere praticamente divino.

La dottrina della fine del mondo Maya circola almeno dagli anni Settanta negli ambienti della

cultura psichedelica americana, e la si ritrova aggiornata nella controcultura degli anni

Novanta. Grant Morrison la evocava nella serie a fumetti The Invisibles, pubblicata dalla DC

Comics tra il 1994 e il 2000. Tra le principali fonti d’ispirazione dei fratelli Wachowski

per Matrix, il fumetto di Morrison è uno spettacolare minestrone punk di teorie

cospirazioniste e dottrine gnostiche, che mette in scena una società segreta di anarchici. Gli

Invisibili, proprio come gli Anonymous, agiscono in cellule spontanee, senza che siano davvero

chiari né i fini né le fazioni in campo.

Anche il riferimento a Fight Club fa parte del pantheon della cultura popolare degli anni

Duemila. Nel romanzo di Chuck Palahniuk (1996), e poi nel film di David Fincher (1999), il

Progetto Mayhem è un’operazione misteriosa il cui scopo è distruggere il sistema, ma sempre

con una buona dose di umorismo surreale.

Le regole di Anonymous assomigliano alle prime regole del Fight Club: «Prima regola, non

parlate mai del Fight Club; seconda regola, non dovete parlare mai del Fight Club». Queste due

fondamentali regole sono tuttavia sistematicamente disattese, come quelle di Anonymous,

poiché solo parlando del Fight Club si possono aggiungere nuovi membri di settimana in

settimana.

Il protagonista di Fight Club è un anonimo impiegato che sogna di essere Tyler Durden ovvero

nel film Brad Pitt, ribelle alla moda, disinibito e grande seduttore. Fight Club descrive bene la

schizofrenia del borghese insoddisfatto, le sue segrete velleità fasciste rivoluzionarie erotiche e

omoerotiche. Anche in questo caso il film fa un passo avanti rispetto al libro, accentuandone le

contraddizioni. Quando Brad Pitt espone le sue teorie sulla dittatura del consumismo, truccato

e vestito come un deficiente, è difficile credere che il personaggio non sia una caricatura. È

difficile credere che qualcuno possa “credere” in Fight Club. E invece la “filosofia di Tyler” ha

Page 19: Anonymous La Grande Truffa

sedotto una generazione. La caricatura aveva reso ancora più efficace il messaggio. Brad Pitt,

leader rivoluzionario? Ormai niente più ci stupisce.

Secondo le (poco credibili) informazioni che circolano in rete, Tyler sarebbe anche il nome di

una piattaforma di scambio di files P2P sviluppata da Anonymous per raccogliere e pubblicare

i documenti scottanti del Progetto Mayhem. Una versione potenziata di Wikileaks, ma in stile

Anonymous: senza controllo, senza editing. La sua attivazione è prevista il 21 dicembre 2012.

Mentre aspettiamo la catastrofe, che supponiamo congegnata a immagine della scena finale

di Fight Club, ci pare di ravvisare nella storia del Progetto Mayhem un aspetto goliardico e

ludico che passa spesso in secondo piano nelle ricostruzioni giornalistiche, serissime, più

concentrate sul lato politico per criticarlo o per esaltarlo.

Il Progetto Mayhem ha tutto l’aspetto di un Alternate Reality Game (ARG), una finzione che

viene “giocata” nella realtà (e che talvolta la influenza concretamente). Il primo caso celebre di

ARG fu quello di Blair Witch Project (1999), falso documentario low budget lanciato in cima

alle classifiche mondiali da un’originale campagna promozionale. Tutto partiva da un sito che

raccontava la falsa storia della strega di Blair e la falsa misteriosa scomparsa di tre giovani,

alimentando la leggenda attorno al film. All’epoca,Repubblica descrisse l’operazione come «la

prima, vera tecnobufala perfettamente riuscita» e «il primo, vero esempio trionfante della

potenza di Internet».

Anche per Matrix furono messi online falsi siti tra cui quello della Metacortex Corporation,

dove lavora Neo, il protagonista del film. Un caso controverso di marketing virale fu poi il

lancio del film catastrofico2012 di Roland Emmerich (2009), che ha contribuito a diffondere la

profezia Maya, disseminando falsi siti su Internet. Per qualche anno è esistito in rete un

fantomatico Institute For Human Continuity che proponeva una lotteria per salvarsi dalla fine

del mondo.

In teoria queste operazioni di marketing presuppongono la consapevolezza dei partecipanti.

Ma quando un contenuto circola su Internet è difficile accertarsi che non venga frainteso o

creduto alla lettera. Insomma è possibile che un ARG sfugga al controllo e che l’industria

culturale si trasformi localmente in gigantesca macchina disinformatrice e ideologizzatrice,

come avrebbero detto Adorno e Horkheimer.

Ma non era previsto che dei fan di Fight Club fondassero realmente dei fight club in cui darsele

di santa ragione, com’è accaduto. Non era previsto che qualcuno scegliesse il 21 dicembre 2012

per fare uno scherzo apocalittico. Non era previsto che centinaia di migliaia di persone si

appropriassero delle idee e degli slogan di V for Vendetta. Contrariamente a quello che

pensavano Adorno e Horkheimer, l’industria culturale non è in grado di controllare e dirigere

l’immaginario che diffonde.

In questo senso, gli Anonymous sarebbero prigionieri di un Alternate Reality Game che ha

invaso la realtà. Ma c’è un’altra possibilità: che il progetto Anonymous sia un ARG lanciato

dagli utenti del sito 4chan nel lontano 2008. Il sito, fondato nel 2003 da Christophe Poole

detto moot, è composto da varie bacheche (imageboards) in cui gli utenti pubblicano

anonimamente immagini di gusto vario e volentieri cattivo, senza censure né autocensure, ed

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eventualmente lanciano flame wars o campagne di trolling, ovvero operazioni di disturbo su

Internet. Il credo dietro queste prove di forza è il LULZ, un umorismo surreale e fine a se

stesso, che può servire da spiegazione ultima per ogni comportamento apparentemente privo

di senso. Perché l’hai fatto? Per il LULZ.

A 4chan e al gusto per l’assurdo dei suoi utenti dobbiamo ad esempio la creazione e la

diffusione di molti Lolcats, le famose immagini di gattini buffi che, in termini di produttività,

stanno spezzando la schiena all’economia occidentale. La sorprendente trasformazione di

4chan in presunto covo di ribelli digitali risale al 2007/2008, con alcune operazioni di trolling

che i media americani attribuiscono a un’organizzazione chiamata “Anonymous”,

fraintendendo e reificando il fatto che gli autori fossero, appunto, degli anonimi e come tali si

firmassero abitualmente sul sito.

Il fatto di firmarsi e definirsi “Anonymous”, al singolare, era una specie di scherzo in uso tra gli

utenti di 4chan, alcuni dei quali avevano anche prodotto una guida di un centinaio di pagine

con le regole di comportamento per essere un «Anonimo ben educato» (The Well Cultured

Anonymous). In questa guida, pubblicata nell’ottobre 2007, non c’è nessun riferimento

politico. Addirittura si sconsiglia agli Anonymous di parlare di politica («da evitare come la

fottuta peste») perché questo sarebbe fonte di conflitti e discussioni inutili.

L’unico elemento che era già presente nella guida era il rifiuto radicale della religione, che fa

del recente attacco al sito del Vaticano un’operazione che gli anonimi del 2007/2008

avrebbero potuto condividere al 100%. Che un simile attacco sia fatto usando la maschera del

papista Guy Fawkes, invece, è uno di quei cortocircuiti simbolici che caratterizzano la

diffusione dei memi. Si noti che nel 2008 ebbe luogo una piccola diatriba tra veri falsi e

presunti Anonymous a proposito dell’opportunità di attaccare il Vaticano e di considerare i

cattolici alla stregua degli scientologisti.

Non a caso l’operazione contro Scientology è l’atto di nascita di un movimento che si chiama

Anonymous. La scelta del nome sembra essere un classico caso d’inversione dello stigma,

meccanismo comportamentale che consiste nell’accettare di diventare quello che la società

accusa una comunità o una persona di essere: in questo caso, un fantomatico gruppo chiamato

“Anonymous”.

Non c’è nessun riferimento a V for Vendetta nel video-comunicato del 21 gennaio, nel quale

una voce artificiale afferma «We are Anonymous» e proclama che «Anonymous ha deciso che

la vostra organizzazione deve essere distrutta». Una decina di giorni dopo, dei manifestanti in

carne, ossa e maschere di Guy Fawkes si presentano davanti alle sedi di Scientology di varie

città in America e Regno Unito (circa 9.000 persone in tutto il mondo) garantendo un sicuro

effetto coreografico.

A quanto pare il riferimento non era né al film né al fumetto, ma a una vignetta in cui un

personaggio, simbolo di grandissima sfiga (Epic Fail Guy), la indossa; indossarla significava

insomma rivolgere quello “sfigato” a Scientology, oltre a proteggere la propria identità in caso

Page 21: Anonymous La Grande Truffa

di eventuali ritorsioni. Siamo nel 2008, gli Anonymous sono scesi in piazza e si sono scelti un

nemico, ma la politica è ancora lontana.

La trasformazione degli allegri troll di 4chan in attivisti antisistema è sorprendente, e ricalca

un po’ quello che accade in Fight Club. Tyler Durden, prima di essere un terrorista, è anch’esso

un troll che si diverte a proiettare fotogrammi pornografici in mezzo a film per bambini,

oppure travestirsi da cameriere per scorreggiare sui carrelli del dessert.

Il Progetto Mayhem di Tyler Durden, in questo senso, non è altro che una super-zingarata

degna di Amici Miei — anche se è difficile immaginare Ugo Tognazzi palestrato, ricoperto di

lividi e cicatrici, che combatte in un parcheggio. Per concepire Fight Club, Chuck Palahniuk

dice di essersi ispirato alla goliardica Cacophony Society, associazione dedita alla «follia senza

senso» di cui «chiunque potrebbe essere membro, senza saperlo». Anonymous, la piccola

porta dalla quale la «follia senza senso» entra nella Storia?

Che trama fantastica: una finta organizzazione di attivisti digitali mascherati, usciti dritti da un

blockbuster hollywoodiano, diventa poco a poco qualcosa di reale e di minaccioso. Ancora una

volta, siamo nel romanzesco puro e semplice. Come nel Pendolo di Foucault di Umberto Eco

(1988), che racconta come una finta cospirazione possa diventare una vera cospirazione. In

fondo tutte le vere cospirazioni non sono altro che finte cospirazioni nelle quali qualcuno inizia

a credere sul serio. Prima di essere reale, ogni complotto è sempre una fantasia. I Rosacroce

non erano forse essi stessi, da principio, uno scherzo?

Ma questi scherzi tendono naturalmente a sfuggire di mano. Nessuno poteva prevedere cosa

sarebbe successo: né i primi Anonymous di 4chan, né i “persuasori occulti” dell’industria

culturale, né i media, né i santoni del pensiero antagonista. Chi ha truffato chi, allora? Ognuno

di loro ha contribuito, mettendo una piccola pietra all’edificio, manipolando e facendosi

manipolare. Quello che è accaduto tra il 2007 e oggi è un processo di appropriazione da parte

di un movimento in cerca di simboli e modelli concettuali. Il meme Anonymous, nato per caso

e affine a concetti che venivano sviluppati altrove, ha saputo catalizzare l’attenzione di una

vasta schiera di hacktivisti, punk, vetero-marxisti e indignati vari che hanno infiltrato il

progetto in corsa, spostandone il baricentro, riempendolo poco a poco — fino forse a scoppiare.