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569 Anomalie dell’accrescimento endouterino (accrescimento embrionale e fetale). Anomalie del concepimento e dell’embriogenesi iniziale 1) Anomalie dell’accrescimento endouterino (accrescimento embrionale e fetale) ....................................................... 569 2) Anomalie del concepimento e dell’embriogenesi iniziale .......................................................................................... 588 51 1) ANOMALIE DELL’ACCRESCIMENTO ENDOUTE- RINO (ACCRESCIMENTO EMBRIONALE E FETALE) A) Generalità Le anomalie dell’accrescimento endouterino sono note da molto tempo, però solo a parre dall’ulizzazione dell’ecografia ostetrica hanno ricevuto più soddisfacente precisazione anche in fase prenatale. Infa, inizialmente le deviazioni dalla norma dell’accrescimen- to endouterino erano state studiate e classificate dopo la nascita, adoando come schema per la loro definizione o le griglie di accrescimento costruite con il metodo della Lubchenco sui da di studi di grandi popolazioni di neona, o i diagrammi calcola col metodo di Dunn (ossia i cosidde gestogrammi) già descri in precedenza (cap. 33) o altri metodi simili. Applicando le griglie di modello Lubchenco, per definizione il 10% della popolazione dei neona risultano “piccoli per la data(SGA, small for gestaonal age) perché colloca dal 10° percenle in giù, ed il 10% risultano “grossi per la data” (LGA, large for gesta- onal age) perché colloca dal 91° percenle in su. Analoghe sono le condizioni usando il gestogramma secondo Dunn. In realtà, almeno due terzi dei neona piccoli per la data non hanno sofferto alcuna patologica restrizione dell’accrescimento endouterino; ed altrean, se non di più, tra i grossi per la data non sono il risultato di eccesso dell’accrescimento endouterino; invece gli uni e gli altri sono costuzionalmente “piccoli” o “grossi” ed esprimono gli estremi della normale variabilità di ogni fenome- no biologico, compresa la crescita endouterina. Analoghi conce valgono anche per l’accrescimento fetale. I da sul peso di nascita dei neona italiani sono riporta in tabelle ed in diagrammi da Parazzini (1995) e Parazzini et al. (1995) in base a cifre fornite dall’Istuto Centrale di Stasca (ISTAT) di Roma (tabelle 51.1, 51.2, 51.3). Come noto, anche da queste tabelle emerge che è opportuno tenere separa i valori dei maschi da quelli delle femmine e, ancor di più, i valori dei na da gravidanza mulpla dai valori dei na della popolazione generale. Nell’ambito delle anomalie dell’accrescimento sono state pro- poste varie suddivisioni per meglio individuarne caraerische e prognosi. Tuavia a scopi praci conviene limitarsi a considerare i due grandi gruppi che comprendono le anomalie di po “armonico” o “simmetrico” e quelle invece di po “disarmonico” o “asimmetri- co”. Ovviamente esistono anche casi con caraerische intermedie (Crombach, 2007; Crombach e Veer, 2007). Nel primo tipo (armonico o simmetrico) l’accrescimento dell’addome e quello delle dimensioni scheletriche del feto (in particolare quelle della testa) sono interessati nella medesima maniera; nel secondo tipo (disarmonico o asimmetrico) le di- mensioni scheletriche (ed in particolare quelle della testa) sono meno interessate dall’anomalia o non lo sono del tutto, mentre lo sono, anche in maniera accentuata, quelle dell’addome. Come già affermato, esistono anche casi con caratteristiche intermedie. Per una sommaria differenziazione dopo la nascita è ule il riferimento al cosiddeo “indice ponderale” che si calcola nel modo seguente: In base all’indice ponderale in funzione dell’età gestazionale sono armonici i bambini con indice ponderale compreso fra lo 11° ed il 90° percenle e disarmonici gli altri (tabella 51.4). Con una voluta generalizzazione si riene che le anomalie di po armonico siano dovute a faori causali che agiscono soprauo nella prima metà della gestazione, mentre si riene che le anomalie di po disarmonico siano dovute a faori causali che agiscono soprauo nella seconda metà della gestazione. Nell’un caso e nell’altro possono essere in causa faori ereditari fisiologici (costuzionali). I faori ereditari patologici ed alcuni faori patologici acquisi (esogeni) (ad es. molte infezioni virali) agiscono prevalentemente nella prima metà della gravidanza e determinano tendenzialmente anomalie dell’accrescimento peso di nascita in grammi × 100 (lunghezza verce-tallone in cm) 3

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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Anomalie dell’accrescimento endouterino (accrescimento embrionale e fetale).

Anomalie del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

1) Anomalie dell’accrescimento endouterino (accrescimento embrionale e fetale) ....................................................... 569

2) Anomalie del concepimento e dell’embriogenesi iniziale .......................................................................................... 588

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1) ANOMALIE DELL’ACCRESCIMENTO ENDOUTE-RINO (ACCRESCIMENTO EMBRIONALE E FETALE)

A) Generalità

Le anomalie dell’accrescimento endouterino sono note da molto tempo, però solo a partire dall’utilizzazione dell’ecografia ostetrica hanno ricevuto più soddisfacente precisazione anche in fase prenatale.

Infatti, inizialmente le deviazioni dalla norma dell’accrescimen-to endouterino erano state studiate e classificate dopo la nascita, adottando come schema per la loro definizione o le griglie di accrescimento costruite con il metodo della Lubchenco sui dati di studi di grandi popolazioni di neonati, o i diagrammi calcolati col metodo di Dunn (ossia i cosiddetti gestogrammi) già descritti in precedenza (cap. 33) o altri metodi simili.

Applicando le griglie di modello Lubchenco, per definizione il 10% della popolazione dei neonati risultano “piccoli per la data” (SGA, small for gestational age) perché collocati dal 10° percentile in giù, ed il 10% risultano “grossi per la data” (LGA, large for gesta-tional age) perché collocati dal 91° percentile in su. Analoghe sono le condizioni usando il gestogramma secondo Dunn.

In realtà, almeno due terzi dei neonati piccoli per la data non hanno sofferto alcuna patologica restrizione dell’accrescimento endouterino; ed altrettanti, se non di più, tra i grossi per la data non sono il risultato di eccesso dell’accrescimento endouterino; invece gli uni e gli altri sono costituzionalmente “piccoli” o “grossi” ed esprimono gli estremi della normale variabilità di ogni fenome-no biologico, compresa la crescita endouterina. Analoghi concetti valgono anche per l’accrescimento fetale.

I dati sul peso di nascita dei neonati italiani sono riportati in tabelle ed in diagrammi da Parazzini (1995) e Parazzini et al. (1995) in base a cifre fornite dall’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT) di Roma (tabelle 51.1, 51.2, 51.3).

Come noto, anche da queste tabelle emerge che è opportuno tenere separati i valori dei maschi da quelli delle femmine e, ancor

di più, i valori dei nati da gravidanza multipla dai valori dei nati della popolazione generale.

Nell’ambito delle anomalie dell’accrescimento sono state pro-poste varie suddivisioni per meglio individuarne caratteristiche e prognosi. Tuttavia a scopi pratici conviene limitarsi a considerare i due grandi gruppi che comprendono le anomalie di tipo “armonico” o “simmetrico” e quelle invece di tipo “disarmonico” o “asimmetri-co”. Ovviamente esistono anche casi con caratteristiche intermedie (Crombach, 2007; Crombach e Vetter, 2007).

Nel primo tipo (armonico o simmetrico) l’accrescimento dell’addome e quello delle dimensioni scheletriche del feto (in particolare quelle della testa) sono interessati nella medesima maniera; nel secondo tipo (disarmonico o asimmetrico) le di-mensioni scheletriche (ed in particolare quelle della testa) sono meno interessate dall’anomalia o non lo sono del tutto, mentre lo sono, anche in maniera accentuata, quelle dell’addome. Come già affermato, esistono anche casi con caratteristiche intermedie.

Per una sommaria differenziazione dopo la nascita è utile il riferimento al cosiddetto “indice ponderale” che si calcola nel modo seguente:

In base all’indice ponderale in funzione dell’età gestazionale sono armonici i bambini con indice ponderale compreso fra lo 11° ed il 90° percentile e disarmonici gli altri (tabella 51.4).

Con una voluta generalizzazione si ritiene che le anomalie di tipo armonico siano dovute a fattori causali che agiscono soprattutto nella prima metà della gestazione, mentre si ritiene che le anomalie di tipo disarmonico siano dovute a fattori causali che agiscono soprattutto nella seconda metà della gestazione. Nell’un caso e nell’altro possono essere in causa fattori ereditari fisiologici (costituzionali). I fattori ereditari patologici ed alcuni fattori patologici acquisiti (esogeni) (ad es. molte infezioni virali) agiscono prevalentemente nella prima metà della gravidanza e determinano tendenzialmente anomalie dell’accrescimento

peso di nascita in grammi × 100

(lunghezza vertice-tallone in cm)3

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Tabella 51.1 – Valori in grammi del 10°, 50° e 90° percentile di peso alla nascita nei nati in Italia tra le 23 e le 27 settimane di età gestazionale per sesso (valori “smoothed”), 1984-1985 (da Parazzini 1995).

Settimana di gestazione al momento del parto

23 24 25 26 27

Maschi

N. nati 67 155 179 307 323

10° 500 525 650 700 780

50° 650 750 820 920 1000

90° 900 1100 1000 1100 1300

Femmine

N. nati 49 142 157 261 267

10° 500 580 600 660 690

50° 600 700 780 850 970

90° 700 900 1000 1100 1220

Centile

di tipo armonico. Invece, la maggior parte dei fattori patologici acquisiti (esogeni) agiscono prevalentemente nella seconda metà della gravidanza (in modo speciale nelle ultime dieci settimane) e determinano tendenzialmente anomalie dell’accrescimento di tipo disarmonico.

B) Datazione della gravidanza

Fatte queste indispensabili premesse, si deve riconoscere che il vero problema ostetrico non è il riconoscimento delle suddette anomalie dopo la nascita, bensì la loro identifi-cazione in epoca prenatale allo scopo di contrastarne, per quanto fattibile, le eventuali conseguenze negative (Ber-ghella, 2007).

Allo stato attuale l’ecotomografia offre un’ampia serie di possibilità diagnostiche, sia sul piano del dettaglio morfolo-gico, sia sul piano dello studio evolutivo. Invece, lo studio del feto in risonanza magnetica è per ora solo una promettente attività di ricerca. Peraltro, anche per l’ecotomografia lo svi-luppo tecnologico degli strumenti è ben più avanzato delle nostre presenti capacità interpretative (Arduini, 1997; Platz e Neuman, 2008; Gottlieb e Galan, 2008).

Per valutare in modo soddisfacente i risultati sopra menzionati dell’ecotomografia è indispensabile un’accura-ta datazione della gravidanza; in altre parole è necessario conoscere la data del concepimento.

Come già più volte osservato, la precisazione della data del con-cepimento su base clinico-anamnestica purtroppo è possibile solo in un ristretto numero di donne che registravano la temperatura basale, oppure venivano seguite con accertamenti ormonali (picco dello LH) e con studio ecotomografico della morfologia ovarica (deiscenza del follicolo); infine, in un numero ancora più piccolo di donne vi è il dato anamnestico di un coito unico fecondante.

Tabella 51.2 – Valori in grammi del 5°, 10°, 50 °, 90° e 95° percentile di peso alla nascita tra le 28 e le 42 settimane di età gestazionale nei nati in Italia per sesso (valori “smoothed”) 1984-1985. (da Parazzini, 1995)

Settimana di gestazione al momento del parto

28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42

Maschi

N. nati 794 744 1364 1171 2048 2031 3285 5318 17978 23038 58014 139829 253460 65931 24899

5° 702 770 872 1013 1141 1315 1544 1879 2092 2333 2569 2718 2891 2840 2880

10° 812 896 1021 1173 1318 1515 1768 2120 2323 2534 2748 2888 2955 2999 3036

50° 1222 1408 1590 1777 1950 2152 2402 2806 2997 3138 3300 3418 3479 3524 3575

90° 1782 2265 2676 2810 2868 2946 3126 3552 3705 3755 3870 3983 4044 4093 4156

95° 2103 2653 3092 3191 3201 3261 3423 3802 3923 3950 4046 4155 4220 4273 4338

Femmine

N. nati 652 642 1215 975 1829 1701 2867 4468 15760 19946 52260 132548 244130 63753 23783

5° 664 747 817 925 1050 1198 1414 1782 1993 2229 2465 2607 2674 2718 2757

10° 757 878 978 1093 1226 1394 1629 2002 2208 2421 2634 2767 2830 2872 2911

50° 1153 1339 1508 1695 1865 2046 2285 2705 2889 3007 3160 3274 3332 3373 3417

90° 1771 2298 2755 2864 2850 2890 3041 3433 3572 3616 3718 3819 3876 3922 3982

95° 2182 2708 3092 3202 3189 3177 3298 3660 3778 3805 3896 3993 4048 4093 4150

Centile

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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Tabella 51.3 – Valori in grammi del 10°, 50°, 90° percentile di peso alla nascita tra le 28 e le 42 settimane di età gestazionale nei nati in Italia da parto multiplo per sesso, 1984-1985 (da Parazzini, 1995).

Centile

Settimana di gestazione al momento del parto

28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42

Maschi

N. nati 107 106 142 157 300 342 516 656 1340 1483 1862 1854 1726 157 135

10° 879 973 1085 1272 1389 1507 1700 1876 1972 2064 2139 2157 2154 2156 2169

50° 1203 1349 1521 1710 1847 1987 2170 2364 2493 2612 2722 2786 2813 2830 2832

90° 1487 1754 1990 2197 2358 2500 2663 2847 2983 3110 3238 3328 3373 3386 3325

Femmine

N. nati 102 104 162 150 290 303 504 636 1195 1384 1824 2004 1733 161 154

10° 759 875 943 1047 1232 1410 1570 1736 1860 1967 2050 2078 2073 2058 2059

50° 1102 1282 1453 1635 1788 1921 2061 2229 2370 2497 2605 2668 2697 2718 2744

90° 1418 1655 1923 2119 2228 2353 2508 2695 2838 2959 3079 3166 3215 3242 3227

Età gestazionale Indice ponderale(settimane complete) 10° Mediana 90° percentile percentile

30 2,05 2,25 2,3032 2,10 2,30 2,4534 2,15 2,35 2,6536 2,25 2,45 2,8038-42 2,30 2,55 2,85

Tabella 51.4 - Ordine di grandezza dell’indice ponderale dei neonati sani in funzione dell’età gestazionale

Peraltro, anche in tali favorevoli circostanze è plausibile l’esistenza di uno scostamento di più o meno 4 o 5 giorni dalla data del con-cepimento presunta come più probabile, anche se nella maggior parte dei casi detto scostamento non supera i 2 o 3 giorni.

Di conseguenza in molti casi si è costretti a risalire alla data pre-sunta del concepimento sulla base di rilevazioni ecotomografiche eseguite a distanza di tempo misurando grandezze del concepito correlate il più strettamente possibile con l’età concezionale e tali da non venire modificate in grande misura da altri fattori.

Precisamente si rammenta che la datazione ecotomografica della gravidanza si basa sulla conoscenza di alcuni rapporti tra età concezionale e determinate grandezze del concepito scelte per la facilità di misurazione e per la loro stretta correlazione, appunto, con l’età concezionale (Paladini et al., 2005).

L’accuratezza della datazione ecotomografica della gravidanza è inversamente proporzionale all’età concezionale. Infatti la velocità di crescita dell’embrione e del feto (espressa, ad esempio, come l’inverso del tempo di raddoppiamento della sua massa corporea ad ogni unità di tempo considerata) diminuisce costantemente con il passare delle settimane; precisamente, la massa corporea ha velocità di incremento rapidissima nei primi tempi dopo il concepi-mento, ma poi gradatamente la velocità di incremento rallenta per arrestarsi quasi del tutto nelle ultime settimane di gravidanza.

Quanto più alta è la velocità di crescita, tanto maggiori saranno gli incrementi delle grandezze del concepito considerate nell’unità di tempo prescelta e, quindi, tanto più precisa la corrispondenza

con l’età concezionale. Inoltre a mano a mano che la gravidanza procede, si rendono sempre più evidenti le influenze non necessa-riamente patologiche di vari fattori soprattutto estrinseci, cosicché la variabilità normale della misura della grandezza in esame si amplia sempre di più.

In base a quanto sopra esposto, la misurazione della lunghezza vertice-sacro del concepito (cap. 34) è considerata uno dei mezzi più utili per la datazione ecotomografica della gravidanza fra le 5 e le 10-11 settimane di età concezionale (rispettivamente 7 e 12-13 settimane di età gestazionale). Da 3 a 8-9 settimane di età conce-zionale (rispettivamente 5 e 10-11 settimane di età gestazionale) è possibile basarsi anche sulla misurazione del diametro medio della camera ovulare (detta anche “sacco gestazionale”).

A partire da 10 settimane di età concezionale (12 settimane di età gestazionale) è bene misurabile il diametro biparietale e la dinamica del suo accrescimento è tale da fornire una stima dell’età concezionale con un errore medio di più o meno 7-8 giorni fino a 18 settimane di età concezionale (20 settimane di età gestazionale).

Dopo le 18 settimane di età concezionale ci si deve basare sulla velocità di crescita di almeno due grandezze lineari del concepito (ad es. diametro biparietale o circonferenza cranica in associazione con la circonferenza addominale) misurate in serie con almeno due settimane di intervallo per confrontare poi i risultati con i diagrammi di accrescimento normali delle grandezze considerate.

Da 20 a 30 settimane di età concezionale questi metodi hanno un errore medio di almeno più o meno 10-12 giorni e pertanto sono sovente ancora utilizzabili a scopi clinici. Dopo le 30 settimane di età concezionale l’ampiezza dell’errore di qualunque metodo è tale da fargli perdere ogni significato per la datazione della gravidanza.

Di conseguenza, dopo tale epoca la datazione della gravidanza passa in secondo piano e la condotta ostetrica si basa preferen-zialmente sulla stima del peso fetale, sui segni di benessere fetale (cardiotocografia, profilo biofisico, ecc.) e sull’eventuale individua-zione di ristretto o intensificato accrescimento fetale.

Nonostante l’apparente senso di sicurezza che le indagini eco-tomografiche suggeriscono, è prudente mantenere una ragionevole cautela nel trarre le conclusioni.

Infatti è stato recentemente dimostrato che fattori intrinseci (sesso) ed estrinseci (ad es. fumo di sigaretta da parte della gestan-te) influenzano anche valutazioni ecotomografiche precoci come quella del diametro biparietale fetale attorno alle 16 settimane di

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età gestazionale. Precisamente, quando il feto è femmina o quando la gestante è fumatrice si tende a sottostimare l’età gestazionale in base alle misurazioni del diametro biparietale rispetto ai casi in cui il feto è maschio o la gestante non fuma. Inoltre, è probabile che le relazioni empiriche fra grandezze embrionali e fetali da un lato ed età concezionale dall’altro siano influenzate anche in epoca precoce da una serie di fattori finora poco studiati come la parità e la costituzione della gestante, il gruppo etnico, la nutrizione e così via.

Per di più è stato dimostrato che, nella seconda metà della gra-vidanza di casi del tutto normali, grandezze fetali come il diametro biparietale, la circonferenza addominale, la lunghezza dell’omero o quella del femore sovente presentano accrescimento discontinuo, con singoli episodi di arresto aventi durata media dell’ordine di 2 settimane; la massima durata di arresto è stata 25 giorni per il diametro biparietale, di 28 giorni per la circonferenza addominale, di 17 giorni per la lunghezza del femore e di 21 giorni per quella dell’omero. Dopo il temporaneo arresto l’accrescimento riprende normalmente.

Ricostruita comunque l’età concezionale, è pratica comune aggiungere 14 giorni (2 settimane) per esprimere la grandezza usata abitualmente, ovvero l’età gestazionale che si riferisce ad un teorico ciclo mestruale regolare di 28 giorni con ovulazione in 14ª giornata.

Sebbene nel modo descritto si riesca ad ottenere una stima dell’età concezionale abbastanza prossima alla realtà, anche nel migliore dei casi (e con rilevazioni entro le 18 settimane di età concezionale) non è possibile eliminare oscillazioni di almeno 8 giorni, entro cui è situata l’età ritenuta come più probabile.

Nonostante queste limitazioni, in una determinata popolazione ostetrica la cosiddetta “ridatazione” ecografica precoce dell’età concezionale rispetto alla datazione anamnestica sulla base del primo giorno dell’ultima mestruazione regolare consente orien-tativamente di ridurre dal 15-20% al 5% o poco più la prevalenza dei casi sospetti di anomalie dell’accrescimento endouterino e di ridurre dal 5-10% al 3% circa la prevalenza di casi di gravidanza protratta.

C) Accrescimento endouterino fisiologico

La valutazione dell’accrescimento endouterino fisiologico pone una serie di questioni diverse da quella relativa alla datazione della gravidanza, ma presuppone una corretta conoscenza dell’età gestazionale (Benirschke, 2004).

In precedenza era stato osservato che la velocità di crescita dell’embrione e del feto è massima all’inizio della gravidanza e diminuisce progressivamente fino al termine. Invece la crescita assoluta, intesa come peso o massa corporea acquisita nell’unità di tempo, aumenta a mano a mano che la gravidanza procede, essendo massima a 37-38 settimane, per poi diminuire di nuovo. Corrispondentemente a quanto sopra descritto vengono distinte tre fasi dell’accrescimento endouterino, ovvero una fase preva-lentemente iperplastica collocata nelle prime 20 settimane di età gestazionale; una fase prevalentemente ipertrofica, collocata fra 28 e 40 settimane; ed una fase intermedia di transizione, con i caratteri combinati delle prime due fasi descritte collocata fra 21 e 27 settimane di gestazione.

Nella prima fase il numero assoluto di cellule dell’embrione è piccolo, ma la loro attività proliferativa è rapida; invece, nella fase terminale do-mina il processo di aumento dimensionale delle cellule e di deposizione di sostanze intercellulari, associato ad un’attività proliferativa bensì più lenta, ma tale da interessare un numero di cellule più grande che nella prima metà della gravidanza.

Queste diverse caratteristiche si esprimono con modalità di accrescimento embriofetale altrettanto diverse.

Nella fase iniziale (fino a 20 settimane di età gestazionale) l’embrione e poi il feto presenta una crescita prevalentemente di tipo staturale (o scheletrico); invece, nella fase terminale la crescita assume prevalentemente il tipo ponderale. Nella fase intermedia il primo tipo di accrescimento si trasforma poco per volta nel secondo. In aggiunta, è opportuno ricordare che nella fase terminale il rapporto fra peso del feto e peso della placenta aumenta gradualmente perché il peso del feto si accresce molto di più del peso placentare, essendo, normalmente, il peso della placenta a termine circa un sesto del peso fetale.

Pur con le cautele del caso si può quindi dedurre che, mentre le esigenze nutrizionali del feto continuano ad aumentare, la capacità della placenta di farvi fronte ha un limite invalicabile, tanto è vero che di solito la crescita assoluta del peso fetale diminuisce più o meno vistosamente a partire da 37-38 settimane di età gestazionale.

Schematizzando molto la composizione degli elementi che costitu-iscono la linea del rifornimento nutrizionale all’embrione prima e poi al feto, procedendo all’esterno dall’interno si riconoscono:

– elementi ambientali e materni;– l’irrorazione materna del trofoblasto prima e, poi, della placenta

o flusso ematico uterino;– la capacità di trasferimento del trofoblasto prima e, poi,

della placenta;– l’irrorazione embriofetale del trofoblasto prima, e, poi, della

placenta o flusso ematico ombelicale;– infine, elementi più propriamente embrionali prima e, poi,

fetali (capacità di assimilazione).Nella fase iniziale dell’accrescimento predomina l’importanza

degli elementi materni, embrionali e, poi, fetali, dato che la funzione del trofoblasto prima, poi della placenta possiede un ampio margine di riserva rispetto alle esigenze del concepito.

Invece, nella fase terminale, quando il margine di riserva si riduce, la funzione placentare (flussi ematici e capacità di trasporto) assume importanza sempre maggiore, affiancandosi agli elementi ambientali materni ed agli elementi più propriamente fetali.

Come obiettivi principali la valutazione dell’accrescimento fetale ha lo studio delle dimensioni strutturali, quello della dimensione pon-derale, infine il rapporto fra le due. Orbene (e senza entrare in troppi dettagli) nella fase iniziale dell’accrescimento e nella prima parte della fase intermedia saranno oggetto di valutazione soprattutto le dimensioni delle strutture ossee (diametro biparietale, circonferenza cranica, lunghezza del femore, ecc.), mentre nella fase terminale e nell’ultima parte della fase intermedia saranno oggetto di valutazione non solo le dimensioni delle strutture ossee, ma anche quelle delle strutture splancniche (diametro e circonferenza addominali) che più da vicino si correlano con l’aumento del peso fetale.

Infine, sempre nella seconda metà della gravidanza ed in modo particolare dopo le 26 settimane di età gestazionale è opportuno analizzare anche i rapporti fra grandezze scheletriche e splancniche per definire se l’accrescimento fetale è armonico o disarmonico (tabella 51.5).

La stima del peso fetale propriamente detto acquista notevo-le interesse a partire dalla medesima età gestazionale. Tuttavia nessuna delle formule finora suggerite è del tutto soddisfacente (Heer et al., 2008; Scioscia et al., 2008). Qui viene proposto un metodo basato sull’osservazione di numerose variabili e tale da consentire una stima del peso fetale con un errore medio in condi-zioni ottimali di più o meno 12%, fatto che costituisce un sensibile progresso rispetto a molte alternative disponibili in precedenza (tabella 51.6).

In base al metodo sopra menzionato si deve calcolare la somma di quattro indicatori come segue: somma = età gestazionale (setti-mane complete e prima frazione decimale) + circonferenza cranica (cm) + 2 × circonferenza addominale (cm) + lunghezza del femore (cm). Per quanto riguarda l’espressione delle settimane, ad es. la cifra di 22,7 settimane corrisponde a 22 settimane e 5 giorni.

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

573

51

Ottenuto così un determinato valore, si ricerca nella tabella 51.6 il corrispondente valore del peso fetale stimato, valore derivato in base ad elaborazioni matematiche e verifiche sperimentali di cui non interessa riportare i dettagli.

I valori del peso fetale stimato sono personalizzati nel senso che la tabella riporta tre colonne distinte, da usare rispettivamente quando la circonferenza addominale è pari al 91° percentile o lo supera, è pari o inferiore al 90° percentile ma supera il 5° percentile, è uguale o inferiore al 5° percentile.

Quando sia la circonferenza cranica, sia la lunghezza del femore sono uguali al 91° percentile o lo superano, ma la circonferenza ad-dominale è pari o inferiore al 90° percentile e supera il 5° percentile, la somma da adoperare è la seguente: somma = età gestazionale (settimane complete) + 2 × circonferenza cranica (cm) + circonfe-renza addominale (cm) + 2 × lunghezza del femore (cm).

Con detta somma si cerca il valore corrispondente del peso fetale stimato nella colonna della circonferenza addominale pari o inferiore al 90° e superiore al 5° percentile.

L’uso della tabella 51.6 presuppone la meticolosa verifica dell’età gestazionale, circostanza che costituisce il punto debole del metodo. Infatti, come già precedentemente discusso, in molti casi per diversi motivi la datazione reale della gravidanza rimane solo approssimativa. Se il valore della somma, comunque ottenuta,

SIMMETRICA (ARMONICA)

Inizio precoce

Ridotto potenziale di crescita a partire dall’inizio dello sviluppo (costituzionale, ossia feto piccolo ma sano; “errore di programmazio-ne”; distorsione secondaria precoce di un programma inizialmente normale)

Indice ponderale alla nascita normale

Basso rischio di asfissia perinatale

Volume del cervello propor-zionato alle dimensioni corporee

Circolazione fetale normale

Depositi di glicogeno e grassi appropriati per l’età gesta-zionale ed il peso

Esempi:bambino piccolo ma sanomalattie genetichecromosomopatieinfezioni virali precoci

Tabella 51.5 - Restrizione dell’accrescimento fetale: caratteristiche principali

ASIMMETRICA (DISARMONICA)

Inizio tardivo

Potenziale di crescita bloccato tardivamente (distorsione secondaria tardiva di un programma inizialmente normale)

Indice ponderale alla nascita ridotto

Alto rischio di asfissia perina-tale

Volume del cervello spropor-zionato in eccesso rispetto alle dimensioni corporee

Centralizzazione del circolo fetale

Depositi di glicogero e grassi ridotti

Esempi:bambino di madre con gestosi

EPH o altra vasculopatiagrave malnutrizione materna

nella seconda metà della gravidanza

forme “idiopatiche”

presenta cifre decimali, ad es. 106,7 nella colonna della circonfe-renza addominale pari o inferiore al 90° e superiore al 5° percentile, i grammi da aggiungere al valore del peso fetale stimato per il valore 106 vengono derivati proporzionalmente dalla differenza fra il numero corrispondente all’intero della somma ottenuta (in questo caso 106) e del numero intero seguente (in questo caso 107). Sempre in questa condizione i grammi da aggiungere saranno:

0,7 × 39 = 27,6

ed il peso fetale stimato sarà:

1114 + 27,6 = 1141,6 grammi.

Ottenuto il peso fetale stimato, lo si può confrontare con le curve sperimentali del peso di nascita in funzione dell’età gestazionale o con il gestogramma per verificarne la congruità (peso appropriato, inferiore o superiore a quanto comporterebbe l’età gestazionale); inoltre, come già riportato, analizzando il rapporto fra circonferenza cranica e circonferenza addominale si può verificare se l’accrescimen-to è armonico o meno (fig. 51.1).

L’impiego di modelli matematici (ad es. il sistema di Rossavik, 1998) o altre tecniche (Deter, 2004; Gardosi, 2004) per descrivere e prevedere un andamento di crescita personalizzato per il singolo feto in esame è molto promettente, ma non ha ancora avuto la conferma di ampie applicazioni nella pratica clinica.

D) Restrizione dell’accrescimento embriofetale

I. Premesse ed ipotesi patogenetiche

Le anomalie in difetto dell’accrescimento endouterino vengono anche genericamente denominate “restrizione dell’accrescimento embriofetale” o “restrizione del poten-ziale di crescita embriofetale” in modo da evitare l’uso dei termini ritardo o rallentamento, che suggeriscono una spe-cifica modalità patogenetica ed andrebbero usati solo dove il ritardo o rallentamento è stato davvero documentato.

Quantunque formalmente sia più corretto usare il ter-mine “embriofetale”, nella pratica per semplicità si adopera solo l’aggettivo “fetale” e tale abitudine verrà usata anche nel presente capitolo.

In complesso appena nel 40% circa dei casi di restrizio-ne della crescita fetale si riesce ad identificare una causa plausibile, mentre nel rimanente 60% (forme cosiddette idiopatiche) forzatamente bisogna limitarsi a considerare solo una serie di fattori di rischio e di ipotesi patogene-tiche (Bukowski, 2004).

Le cause note di restrizione della crescita fetale com-prendono:

– anomalie cromosomiche o presenza di geni patologici (caratteri ereditari patologici);

– malformazioni;– infezioni endouterine (infezioni virali da virus della

rosolia, Cytomegalovirus, Herpes virus, ecc.; listeriosi; to-xoplasmosi; sifilide; malaria; ecc.);

– azione di sostanze tossiche (alcool, fumo di tabacco; altre droghe voluttuarie; alcuni farmaci; ecc.);

– malattie materne (in modo particolare tutte le vascu-lopatie compresa la gestosi EPH; le gravi malnutrizioni; le forme anossigeniche come le cardiopatie con cianosi e le gravi broncopneumopatie; ecc.);

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Tabella 51.6 - Stima ecografica del peso fetale sulla base di formule separate per feti appropriati, sproporzionati in difetto e sproporzio-nati in eccesso per l’età gestazionale. Si rimanda al testo per il calcolo della “somma” e per il significato della “differenza” (da Sabbagha, 1994).

Formula 1 (*) Formula 2 (**) Formula 3 (***)

Somma Peso Differenza Somma Peso Differenza Somma Peso Differenza fetale fetale fetale stimato stimato stimato

102 1385 88 506 81 507

103 1401 16 89 536 30 82 521 14

104 1418 17 90 566 30 83 536 15

105 1437 19 91 596 30 84 552 16

106 1456 19 92 627 31 85 569 17

107 1477 21 93 659 32 86 586 17

108 1498 21 94 690 31 87 604 18

109 1521 23 95 723 33 88 623 19

110 1545 24 96 756 33 89 643 20

111 1570 25 97 789 33 90 663 20

112 1596 26 98 824 35 91 684 21

113 1623 27 99 858 34 92 706 22

114 1651 28 100 893 35 93 729 23

115 1681 30 101 929 36 94 752 23

116 1711 30 102 965 36 95 776 24

117 1742 31 103 1001 36 96 801 25

118 1775 33 104 1039 38 97 827 26

119 1809 34 105 1076 37 98 853 26

120 1843 34 106 1114 38 99 881 28

121 1879 36 107 1153 39 100 909 28

122 1916 37 108 1192 39 101 937 28

123 1954 38 109 1232 40 102 967 30

124 1993 39 110 1272 40 103 997 30

125 2033 40 111 1313 41 104 1028 31

126 2074 41 112 1354 41 105 1060 32

127 2117 43 113 1396 42 106 1092 32

128 2160 43 114 1438 42 107 1125 33

129 2205 45 115 1481 43 108 1159 34

130 2250 45 116 1524 43 109 1194 35

131 2297 47 117 1568 44 110 1229 35

132 2345 48 118 1613 45 111 1266 37

133 2393 48 119 1658 46 112 1303 37

134 2443 50 120 1703 45 113 1340 37

135 2494 51 121 1749 46 114 1379 39

136 2546 52 122 1795 46 115 1418 39

137 2599 53 123 1842 47 116 1458 40

138 2654 55 124 1890 48 117 1499 41

139 2709 55 125 1938 48 118 1540 41

140 2765 56 126 1986 48 119 1583 43

(*) Usare quando la circonferenza addominale è uguale al 91° percentile o maggiore (feti sproporzionati in eccesso). (**) Usare quando la circonferenza addominale è superiore al 5° e pari o inferiore al 90° percentile (feti appropriati o proporzionati). (***) Usare quando la circonferenza addominale è uguale o inferiore al 5° percentile (feti sproporzionati in difetto).

(segue)

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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141 2823 58 127 2035 49 120 1626 43

142 2882 59 128 2085 50 121 1670 44

143 2941 59 129 2135 50 122 1714 44

144 3002 61 130 2185 50 123 1759 45

145 3064 62 131 2236 51 124 1805 46

146 3127 63 132 2288 52 125 1852 47

147 3191 64 133 2340 52 126 1900 48

148 3256 65 134 2393 53 127 1948 48

149 3322 66 135 2446 53 128 1997 49

150 3389 67 136 2500 54 129 2047 50

151 3458 69 137 2554 54 130 2097 51

152 3527 69 138 2608 54 131 2149 52

153 3598 71 139 2664 56 132 2201 52

154 3669 71 140 2719 55 133 2254 53

155 3742 73 141 2776 57 134 2307 53

156 3816 74 142 2832 56 135 2362 55

157 3891 75 143 2890 58 136 2417 55

158 3966 75 144 2948 58 137 2473 56

159 4044 78 145 3006 58 138 2529 56

160 4122 78 146 3065 59 139 2587 58

161 4201 79 147 3124 59 140 2645 58

162 4281 80 148 3184 60 141 2704 59

163 4363 82 149 3244 60 142 2763 59

164 4445 82 150 3305 62 143 2824 61

165 4529 84 151 3367 62 144 2885 61

166 4613 84 152 3429 62 145 2947 62

167 4699 86 153 3491 62 146 3009 62

168 4786 87 154 3554 63 147 3073 64

169 4874 88 155 3617 63 148 3137 64

170 4963 89 156 3681 64 149 3202 65

171 5053 90 157 3746 65 150 3267 65

172 5144 91 158 3811 65

173 5236 92 159 3877 66

174 5329 93

175 5424 95

176 5519 95

177 5616 97

178 5713 97

179 5812 99

180 5912 100

181 6013 101

Formula 1 (*) Formula 2 (**) Formula 3 (***)

Somma Peso Differenza Somma Peso Differenza Somma Peso Differenza fetale fetale fetale stimato stimato stimato

segue Tabella 51.6

(*) Usare quando la circonferenza addominale è uguale al 91° percentile o maggiore (feti sproporzionati in eccesso). (**) Usare quando la circonferenza addominale è superiore al 5° e pari o inferiore al 90° percentile (feti appropriati o proporzionati). (***) Usare quando la circonferenza addominale è uguale o inferiore al 5° percentile (feti sproporzionati in difetto).

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ostetriciA

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– il soggiorno permanente alle grandi altitudini (at-traverso il meccanismo dell’ipossiemia) (Hartinger et al., 2006).

Un elenco di riconosciuti fattori di rischio per le restrizioni idiopatiche della crescita endouterina è il seguente:

– anamnesi nelle passate gravidanze di un precedente figlio con peso di nascita pari o inferiore al 10° percentile; di aborto abituale; di una precedente morte fetale dopo 20

Fig. 51.1 – Sviluppo endouterino di alcune importanti grandezze antropometriche fetali misurate mediante ecotomografia. Circonfe-renza cranica (HC; media ± 2 deviazioni standard approssimativamente 5° e 95° percentile); circonferenza addominale (AC; media ± 2 deviazioni standard approssimativamente 5° e 95° percentile); lunghezza del femore (mediana, 5° e 95° percentile). È indicato anche il rapporto fra circonferenza cranica e circonferenza addominale (H/A). (da Creasy R.K., Resnik R.: Maternal-fetal medicine. 3a ed., Saun-ders, Philadelphia, 1994). .

settimane di età gestazionale; di un parto pretermine senza causa apparente prima di 34 settimane di età gestazionale; di grave gestosi EPH;

– anamnesi nella gravidanza attuale di metrorragie entro 14 settimane di età gestazionale;

– constatazione nella gravidanza attuale di aumento della concentrazione sierica materna di alfafetoproteina pari o superiore a 2,5 multipli della mediana; constatazione di mosaicismo limitato alla placenta;

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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– età della gestante inferiore a 16 anni o superiore a 40 anni;

– peso pregravidico inferiore del 10% o più rispetto al peso ideale, oppure indice di massa corporea (pari a peso in chilogrammi diviso il quadrato della statura in metri) inferiore a 19,8;

– origine della gravidanza attuale per mezzo di tecniche di riproduzione artificiale (Reddy et al., 2007).

Caruso et al. (1998) hanno notato nelle gestanti, il cui feto è nato con restrizione dell’accrescimento, una maggiore sensibilità all’insulina con conseguente riduzione dei sub-strati disponibili per la crescita fetale. Hujoel et al. (2004) hanno sostenuto che l’esecuzione di radiografie dentali soprattutto nel corso del primo trimestre di gravidanza au-menti il rischio di restrizione dell’accrescimento fetale, forse col meccanismo di una disfunzione tiroidea della gestante provocata dall’irradiazione della tiroide. Invece, altri autori (Reimann et al., 2004) ritengono che si tratti di un sospetto ingiustificato.

È discusso il ruolo degli stati trombofilici della gestan-te, quali la mutazione Leiden del fattore V e la mutazione 20210A del gene della protrombina, mentre è probabile che l’iperomocisteinemia non sia fattore di rischio (Zighetti e Cattaneo, 2004; Brenner e Aharon, 2007; Larciprete et al., 2008).

È plausibile, ma non dimostrato, che i fattori di rischio sopra menzionati siano additivi, almeno entro certi limiti. Sebbene sia stato tentato di attribuire a ciascuno dei fattori di rischio un valore predittivo in termini numerici, è grande la varietà delle circostanze concomitanti che impedisce una concreta misura del rischio nel singolo caso clinico. Tranne che per l’abitudine della donna al fumo di tabacco, di cui bisogne-rebbe consigliare la sospensione, per gli altri fattori di rischio non esiste alcuna accertata misura di protezione specifica.

Come già osservato, molti fattori esogeni che causano restrizione dell’accrescimento fetale agiscono soprattutto nelle ultime 10-12 settimane di gravidanza e molti hanno come meccanismo patogenetico comune un disturbo della funzionalità placentare (cosiddetta “insufficienza placen-tare”); fra i più importanti di questi fattori si ricordano le vasculopatie materne ed in particolare la gestosi E.P.H.

In queste circostanze il deficitario accrescimento fetale risulta più o meno marcatamente asimmetrico (disarmonico), con preva-lente interessamento delle grandezze antropometriche viscerali (diametro addominale, circonferenza addominale, ecc.) mentre le grandezze staturali (o scheletriche) sono interessate molto meno o non lo sono affatto.

Questi bambini alla nascita mostrano un basso indice ponderale perché la loro statura (o lunghezza vertice-tallone) risulta poco ridotta o addirittura normale, mentre il peso di nascita è ridotto in modo più vistoso.

Gran parte dei fattori endogeni (ad es. embriopatie virali) agisco-no con vari meccanismi prevalentemente ad età gestazionali precoci, ossia nella fase di rapida moltiplicazione cellulare.

Poiché solitamente l’effetto è uniformemente distribuito su tutte le popolazioni cellulari del concepito, la restrizione dell’accre-scimento risulta simmetrica (armonica), nel senso che interessa sia gli indici antropometrici viscerali, sia quelli scheletrici.

Alla nascita questi bambini presentano indice ponderale nella norma, anche se il loro peso è molto ridotto.

I due modelli sopra delineati rappresentano gli estremi di una manifestazione patologica che, in realtà, di solito è molto eteroge-nea e presenta tutti i gradi intermedi di passaggio.

Nelle forme prevalentemente asimmetriche (disarmoniche) il feto (e, successivamente, il neonato) mostra molti segni indicativi di inedia (ovvero malnutrizione), sovente accompagnata da ipossia. Tali sono la riduzione o l’esaurimento quasi completo dei depositi di glicogeno e di grassi; l’ipoglicemia; l’aumento delle concentrazioni plasmatiche di eritropoietina; l’aumento del valore ematocrito e della percentuale di eritroblasti nucleati. Quando la condizione si aggrava, compaiono anche segni di acidosi metabolica e la pres-sione parziale di ossigeno nel sangue fetale diminuisce.

È importante tenere presente che una condizione di in-sufficienza placentare di norma non può essere considerata causa primaria di restrizione disarmonica dell’accrescimento fetale, bensì, più propriamente, costituisce meccanismo patogenetico comune verso cui convergono fattori eziologici diversi.

Verrà ora presentata una sommaria descrizione sia dei principali aspetti morfologici della predetta condizione, sia dei possibili meccanismi di compenso.

II. Lesioni placentari

In questo paragrafo verranno trattati principalmente gli aspetti morfologici della placenta in casi di restrizione idiopatica dell’accrescimento fetale, ossia in casi nei quali non è riconoscibile alcuna causa certa, in quanto più rappresentativi di un’insufficienza placentare non altrimenti complicata.

Per quanto riguarda le alterazioni placentari collegabili con forme patologiche ben definite (Ananth e Vintzileos, 2011), che pure de-terminano insufficienza placentare e restrizione dell’accrescimento endouterino (ad es. gestosi E.P.H., distacco intempestivo di placenta normalmente inserita, ecc.) si rimanda ai rispettivi capitoli.

a) Restrizione dell’accrescimento fetale di tipo tendenzial-mente asimmetrico

Nelle placente di casi con restrizione idiopatica dell’accre-scimento fetale di tipo tendenzialmente asimmetrico studi flussimetrici ed istopatologici hanno messo in evidenza:

– disturbi dell’irrorazione utero-placentare;– disturbi dell’irrorazione feto-placentare;– anomalie della struttura dei villi coriali, ossia della

cosiddetta barriera placentare (meglio definibile oggi come “interfaccia”) fra sangue materno e sangue fetale (Schleussner e Seewald, 2002; Ghi, 2003; Piccione et al., 2003; Korourian e De Las Casas, 2007; Tyson e Staat, 2008; Arroyo e Winn, 2008; Marconi e Paolini, 2008).

Le esigenze di ossigeno e sostanze nutritive del concepito in condizioni normali vengono soddisfatte in modo tale che, quando aumentano, aumenta anche la perfusione ematica utero-placentare. Solitamente tale capacità di adeguamen-to è ampia alle basse età gestazionali, ma tende a ridursi sempre più con l’approssimarsi del termine, anche nelle gravidanze fisiologiche, come, del resto, mostra l’usuale rallentamento della crescita assoluta del peso fetale nelle ultime 2-3 settimane di età gestazionale.

Quando la capacità di adeguamento della perfusione utero-placentare non riesce a mantenersi pari alle esigenze

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del feto, se l’interfaccia maternofetale non è compromessa, come parziale compenso si assiste ad un’aumentata estrazione di ossigeno e sostanze nutritive dal sangue materno in direzione del compartimento fetale (soprattutto mediante il meccanismo dell’aumento dei gradienti di concentrazione in senso materno-fetale). Tuttavia, esiste un limite, oltre il quale ulteriori riduzioni anche piccole dell’irrorazione utero-placentare comprometto-no gravemente sia l’ossigenazione, sia la nutrizione del feto.

Nella gravidanza fisiologica la capacità di adattamento della perfusione utero-placentare dipende in gran parte dal fatto che sia avvenuto un adeguato rimodellamento delle arterie spirali, secon-dario all’invasione trofoblastica. Tale rimodellamento le trasforma in vasi ad alta capacità e bassa resistenza, insensibili al controllo da parte del sistema nervoso autonomo, da parte di sostanze vasoattive circolanti e da parte dei metaboliti ad azione locale. Bene inteso, il tratto più prossimale delle arterie non interessato dall’invasione trofoblastica mantiene intatta la propria sensibilità ai fattori sopra menzionati.

Contrariamente alla gravidanza fisiologica, in circa due terzi delle gravidanze con restrizioni idiopatiche dell’accrescimento fetale di tipo asimmetrico vi è la dimostrazione flussimetrica Dop-pler di persistente alta resistenza nelle arterie uterine e nei loro rami; inoltre, in associazione oppure isolatamente vi è l’evidenza istopatologica che il rimodellamento descritto è stato incompleto o è mancato quasi del tutto. Ciò nonostante, l’esistenza di casi con restrizione idiopatica di tipo asimmetrico dell’accrescimento fetale e normale irrorazione utero-placentare indica che l’ipoperfusione materna della placenta non è spiegazione patogenetica applicabile indiscriminatamente ed acriticamente.

Per quanto riguarda l’irrorazione fetoplacentare, quando il feto presenta anomalie del cariotipo è abbastanza frequente il riscontro istopatologico di riduzione del numero delle arteriole fetali desti-nate ai villi e riduzione dello sviluppo del loro sistema capillare; sovente, vi è anche riduzione del numero delle ramificazioni dei villi. Un quadro istopatologico simile è stato osservato anche in gravidanze con feto piccolo per l’età gestazionale, ma con cariotipo normale; è plausibile, ma non dimostrato, che in alcuni di questi casi si tratti della conseguenza di un mosaicismo, con il cariotipo anomalo confinato nel tessuto placentare.

Più in generale, il meccanismo patogenetico sarebbe riporta-bile o ad una difettosa angiogenesi nel corso dello sviluppo della placenta, oppure, più frequentemente, ad un’obliterazione secon-daria, parziale o totale, di un certo numero di vasi placentari fetali (trombosi, fatti infiammatori endovasali obliteranti, iperplasia e disorganizzazione delle pareti vasali).

In talune gravidanze con restrizione dell’accrescimento fetale l’esistenza di un’ipoperfusione fetoplacentare è dimostrabile mediante velocimetria Doppler sull’arteria ombelicale (aumento dell’indice di pulsatilità, ecc.). Precisamente si presume che debba occludersi (o non formarsi) almeno il 50-60% delle normali dira-mazioni vascolari feto-placentari prima che compaiano segni di alterata velocimetria Doppler nell’arteria ombelicale.

È interessante l’osservazione che un’aumentata resistenza al flusso nelle arterie uterine è sovente accompagnata o seguita a variabile distanza di tempo da aumentata resistenza al flusso nelle arterie ombelicali. Su questa base è stata suggerita l’ipotesi che vi siano meccanismi tali da regolare in modo proporzionato la perfusione materna dello spazio intervilloso e quella fetale dei villi, analogamente a quanto succede nei polmoni dopo la nascita con la regolazione del rapporto tra ventilazione e perfusione. In altre parole, secondo tale ipotesi nelle zone dello spazio intervilloso con inadeguata perfusione materna si verificherebbe una proporziona-ta riduzione della perfusione fetale dei villi e viceversa.

Tuttavia, si deve segnalare che l’ipotesi sopra menzionata non ha soddisfacente conferma nella realtà clinica, per quanto sia plausibile ed attraente sul piano teorico. Più esattamente sembra bensì che la perfusione dello spazio intervilloso in qualche modo condizioni la perfusione fetale dei villi, mentre non risulta con evidenza il contrario, ossia che il feto sia in grado di condizionare l’irrorazione utero-placentare.

Comunque stiano le cose, quando vi sono anomalie ve-locimetriche nelle arterie ombelicali, la prognosi per il feto con restrizione dell’accrescimento è sovente sfavorevole, a prescindere dalla coesistenza o meno di anomalie velocime-triche nelle arterie uterine.

Per quanto riguarda l’interfaccia maternofetale, ovvero la co-siddetta barriera placentare, in molti casi di restrizione idiopatica dell’accrescimento fetale perlopiù di tipo asimmetrico sono dimo-strabili alterazioni strutturali come descritto di seguito.

Anzitutto nelle ultime 10 settimane di gravidanza in queste placente è frequente il riscontro di iperplasia citotrofoblastica con ispessimento della membrana basale. L’iperplasia citotrofo-blastica menzionata, che richiama l’aspetto riscontrabile ad età gestazionali più basse, da alcuni patologi viene considerata segno di regressione o di immaturità placentare ed è verosimilmente secondaria alla relativa ipossiemia provocata dall’ipoperfusione utero-placentare.

È altrettanto frequente il riscontro della cosiddetta villite cronica, che consiste nella presenza delle seguenti alterazioni variamente combinate fra loro:

– edema ed intensa infiltrazione leucocitaria dello stroma del villo;

– presenza di aree di necrosi fibrinoide e di villi avascolari;– evidenza di fatti reattivi endovascolari e trombosi dei vasi

dei villi.Il quadro istopatologico descritto può essere localizzato (a

focolai) o diffuso; inoltre, sebbene sia più frequente nei villi ter-minali, può comparire nell’arborizzazione villosa anche a livello più prossimale.

L’eziologia della villite cronica talvolta è forse legata a fatti infettivi (più facilmente virali). Invece nella maggior parte dei casi sarebbe espressione di una risposta immunitaria materna verso antigeni fetali; infatti, secondo alcune segnalazioni, dal 30% al 50% dei linfociti che infiltrano lo stroma del villo sono di origine materna.

Comunque stiano le cose, la villite cronica può anche essere in-terpretata come il risultato di un processo reattivo cronico che inizia a livello dei vasi utero-placentari (materni) e si estende in seguito ai vasi feto-placentari. In ogni caso, è espressione di un’alterazio-ne strutturale dell’interfaccia maternofetale che inevitabilmente comporta anche alterazioni funzionali.

Globalmente considerate, almeno in molte gestanti le reazioni placentari descritte possono essere ricondotte ad alterazioni delle prime fasi della placentazione (Kuzmina et al., 2005), come già precedentemente illustrato (cap. 33). Le difficoltà interpretative di-pendono soprattutto dalla circostanza che le manifestazioni cliniche si rivelano solo nel 3° trimestre, mentre le premesse patologiche si realizzano già nelle prime settimane di gravidanza.

Per comodità nella tabella 51.7 sono schematizzati gli eventi principali delle fasi iniziali dello sviluppo placentare.

Per il fisiologico sviluppo del trofoblasto risulterebbe molto importante la fase precoce di invasione trofoblastica endovascolare con la conseguente riduzione temporanea dell’apporto ematico materno al sito d’impianto fino a 5-7 settimane di età concezionale, tant’è vero che in gravidanze destinate ad evoluzione fisiologica è

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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scarso, se non quasi assente, il flusso ematico evidenziabile in tale zona con indagini per mezzo di tecnica Doppler-colore, mentre in gravidanze destinate ad evoluzione patologica il flusso ematico è molto più vistoso.

Più esattamente, secondo alcune ricerche sperimentali l’ambiente più favorevole per un normale sviluppo e differenziazione del trofo-blasto delle prime settimane di gravidanza è relativamente povero di ossigeno, mentre una pressione parziale di ossigeno pari a quella normale del sangue arterioso materno avrebbe effetti inibitori, se non addirittura tossici (Quenby et al., 2006).

Considerando in una prospettiva più generale tutte le osser-vazioni sopra riportate, risulta che molti elementi riscontrabili in casi con ristretto accrescimento fetale idiopatico lo sono anche in casi di gestosi EPH e di aborto nonché di morte fetale intermedia o tardiva. In particolare, questo si riferisce alle anomalie dell’invasio-ne trofoblastica ed a quelle dei flussi nell’arteria uterina e nei suoi rami. Pertanto, non è illogico pensare (tabella 51.8) che l’aborto, la morte fetale tardiva, la restrizione dell’accrescimento fetale e la gestosi EPH siano diverse manifestazioni di un unico meccanismo patogenetico (ossia una generica disfunzione placentare) sul quale si innestano variamente altri fattori aggravanti. Infatti è fattore di rischio di morte fetale nella gravidanza in atto la constatazione nell’anamnesi della gestante di evenienze quali nascita di un bambino piccolo per la data, di gestosi EPH e di parto pretermine in precedenti gravidanze (Smith et al., 2007).

Poiché è molto probabile che le cose stiano davvero così, per proporre una profilassi ed una terapia realmente efficace bisogna attendere che si riesca ad individuare e modificare il complesso dei fattori che determinano sia lo sviluppo del trofoblasto, sia l’evoluzione dell’irrorazione utero-placentare.

Per il momento, tanto per la gestosi EPH, quanto per l’aborto e la restrizione idiopatica dell’accrescimento fetale sono a disposizio-ne solo interventi sintomatici e di efficacia discutibile specialmente quanto alla prognosi fetale (Hossain e Paidas, 2007).

Nel quadro della restrizione dell’accrescimento endouterino oltre alla compromissione fetale sovente si associa anche ipoplasia ed ipotrofia non solo della placenta, ma anche del funicolo (Rigano et al., 2008).

Per quanto riguarda quest’ultimo, è coinvolta principalmente la gelatina di Wharton, che risulta ridotta in modo più o meno marcato. In proporzione si attenua l’effetto protettivo del predetto tessuto sui vasi ombelicali, cosicché diventano più vulnerabili alla compressione; inoltre, anche indipendentemente dalla compres-sione (giri di funicolo, procidenza, ecc.) in essi la circolazione del

Tabella 51.7 – Eventi principali delle fasi iniziali dello sviluppo della placenta.

Tempo (settimane complete di età concezionale)

Eventi principali

0 Concepimento

1 Annidamento dell’embrione

2-5 Migrazione endovascolare del trofoblasto e riduzione dell’irrorazione del sito di impianto

6-12 Rimodellamento delle arterie spirali per sostituzione delle loro pareti con tessuto trofoblastico

13-17 Completamento delle modificazioni vascolari e forte aumento dell’irrorazione dello spazio intervilloso che si è appena formato

Tabella 51.8 – Interpretazione patogenetica unitaria per un vasto gruppo di gestosi, di restrizioni dell’accrescimento fetale, di aborti e di morti fetali tardive.

Impianto dell’embrione e placentazione

* normali: gravidanza fisiologica

* anomalie gravi: alterazioni dell’irrorazione utero-placentare e della maturazione della placenta: – in assenza di fattori aggravanti: restrizione isolata dell’accrescimento fetale – con l’intervento di fattori aggravanti: gestosi EPH

* anomalie gravissime: aborto morte fetale intermedia o tardiva

sangue verosimilmente diventa più difficoltosa (in modo particolare il ritorno venoso). Ovviamente, la condizione descritta (sindrome del funicolo sottile = Thin Cord Syndrome) aggrava le conseguenze sul feto dell’insufficienza placentare e predispone a gravi episodi di sofferenza fetale acuta fino alla morte fetale anche prima dell’inizio del travaglio (Galli et al., 2008).

b) Restrizione dell’accrescimento fetale di tipo tendenzialmente simmetrico

Come già rilevato, in questo gruppo molti feti sono costituzio-nalmente piccoli e quindi sani, sebbene con dimensioni inferiori alla norma statistica (forme idiopatiche propriamente dette); co-erentemente, anche la loro placenta presenta strutture normali, sebbene con dimensioni anch’esse inferiori alla norma statistica ed inalterato rapporto ponderale feto-placentare (a termine da 6:1 a 7:1).

Nei casi patologici abitualmente il fattore lesivo incide in modo prioritario sui tessuti embrionali più che sul trofoblasto; pertanto, sovente la morfologia della placenta si sviluppa in modo normale.

Quando è in causa un’anomalia del cariotipo, è frequente che vi sia una riduzione del numero delle arteriole fetoplacentari destinate ai villi e che risulti deficitario lo sviluppo del loro sistema capillare. Tuttavia, di solito questo fenomeno non ha specifiche ripercussioni sul versante materno della placenta.

In conclusione, tutte le predette osservazioni conferma-no che nei casi di restrizione simmetrica dell’accrescimento endouterino, idiopatica o meno, la placenta di solito non assume un ruolo patogenetico; invece, nelle forme di restri-zione asimmetrica dell’accrescimento avviene il contrario, tanto che queste ultime, con ragione, sono considerate patognomoniche di disfunzione placentare.

La frequente comparsa di forme miste nulla toglie alla va-lidità generale dei concetti sopra esposti, perché nel singolo caso nulla vieta che coesistano diversi fattori che disturbano l’accrescimento fetale con meccanismi differenti.

III. Aspetti disfunzionali e meccanismi di compenso

I difetti dell’accrescimento fetale interessano per definizione il 10% della popolazione ostetrica. In questo gruppo di bambini piccoli almeno due terzi lo sono per fattori costituzionali e quindi

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sono bambini sani, tanto come quelli con peso di nascita superiore al 10° percentile ed inferiore al 91° percentile.

Cio nonostante, nel gruppo dei nati piccoli per la data, anche escludendo quelli malformati, la mortalità perinatale è circa cin-que volte superiore a quella dei bambini con peso appropriato e oltre un quinto delle morti endouterine si verifica in feti piccoli per la data.

Le cause più comuni di adattamento patologico nei nati piccoli per la data sono le seguenti:

– asfissia durante il parto o nelle prime ore dopo il parto;– sindrome da aspirazione di meconio;– ipoglicemia, ipotermia;– policitemia ed iperviscosità ematica;– trombocitopenia;– emorragia cerebrale; emorragia polmonare;– sepsi;– malformazioni.Applicando al peso di nascita l’indice ponderale si distinguono

facilmente le due categorie principali di neonati piccoli per la data, quelli armonici e quelli disarmonici. Fra gli armonici prevalgono bensì i neonati piccoli per costituzione (e pertanto sani), ma quelli patologici sono sovente compromessi in modo grave per la pre-senza di condizioni patologiche invalidanti quali malformazioni, malattie genetiche, esiti di embriopatie virali, ecc.

Al contrario, fra i disarmonici prevalgono i neonati patologici men-tre è rara l’origine costituzionale, però la frequenza di casi gravemente compromessi è minore che fra i bambini patologici armonici.

Con qualche arbitraria generalizzazione è utile ripetere che i bambini piccoli per la data e armonici o presentavano un errore di progetto (ad es. malformazioni, malattie genetiche, ecc.) o il loro progetto è stato precocemente distorto (embriopatie virali, ecc.), oppure erano in qualche modo costituzionalmente programmati per avere un potenziale di crescita inferiore alla norma statistica (bam-bini piccoli sani). Invece i bambini piccoli per la data e disarmonici avevano un potenziale di crescita tale che avrebbero raggiunto un peso di nascita nella norma statistica (o anche superiore), se non fossero intervenuti uno o più fattori esogeni di disturbo; inoltre è bene ricordare che tale disturbo può avere cause molto diverse, ma si esplica nella maggior parte dei casi col comune meccanismo dell’insufficienza placentare.

A proposito, si rammenta che frequentemente la placenta dei bambini piccoli per la data e disarmonici è anch’essa più piccola del normale, non solo, ma il rapporto fra peso del feto e peso della placenta è solitamente superiore al rapporto fisiologico (a termine: da 6:1 a 7:1) perché, fatte le debite proporzioni, il peso della placenta è aumentato meno di quello del feto.

Al contrario, il rapporto fra peso del feto e peso della placenta nei bambini piccoli per la data ma armonici perlopiù è simile o, tal-volta, inferiore a quello dei bambini con accrescimento normale.

Poiché l’organismo dei feti destinati a diventare piccoli per la data e disarmonici originariamente era normale, di solito è man-tenuta la possibilità che intervengano meccanismi di compenso intesi a limitare il danno soprattutto al cervello; fra questi, il più importante è la cosiddetta “centralizzazione del circolo” o fenomeno del risparmio cerebrale (brain sparing), come verrà brevemente descritto di seguito (Mari e Picconi, 2008).

La centralizzazione del circolo è un meccanismo filogenetica-mente molto antico, che viene messo in atto per preservare dai danni dell’ipossia organi particolarmente importanti quali il cervello ed il cuore. Per esempio i mammiferi marini (balene, delfini, ecc.) attuano una tipica forma di centralizzazione del circolo durante la prolungata permanenza sott’acqua.

Nel feto umano in condizioni di cronica ipossia (di solito per la presenza di insufficienza placentare) si verifica un riarrangiamento delle pressioni nei vari distretti vascolari in modo da favorire l’af-flusso di sangue ossigenato al cervello ed al cuore, anche a costo di

depauperare l’irrorazione di altri parenchimi, meno indispensabili per l’immediata sopravvivenza. Come premessa si rammenta che fisiologicamente:

– il cervello ed il cuore fetale sono irrorati da arterie che origi-nano dall’arco aortico prima dello sbocco del dotto di Botallo;

– i visceri addominali del feto sono irrorati da arterie che pro-vengono dall’aorta a valle dello sbocco del dotto di Botallo;

– il fegato del feto viene irrorato parte dal sangue venoso proveniente dal sistema portale, parte dal sangue ossigenato pro-veniente da diramazioni della vena ombelicale, prima che sbocchi nella vena cava ascendente tramite il corto circuito formato dal dotto di Aranzio.

Descritta a grandi linee, l’irrorazione preferenziale del cuore e del cervello avviene mediante una serie di meccanismi fra loro coordinati, precisamente:

– parziale costrizione del dotto di Botallo; questa, da un lato riduce il corto circuito di sangue dal ventricolo destro all’aorta di-scendente; dall’altro, aumenta la pressione nell’arteria polmonare e nel ventricolo destro, cosicché un maggior volume di sangue viene deviato dall’atrio destro all’atrio sinistro attraverso il foro ovale, dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro ed infine all’arco aortico, da cui si diramano le arterie coronarie e quelle destinate al distretto cerebrale;

– vasocostrizione periferica nei territori splancnici, in modo che aumenti la frazione della volemia convogliata tramite le arte-rie ombelicali ad ossigenarsi nella placenta ed essere, in seguito, utilizzabile per la perfusione di cuore e cervello:

– mantenimento di ampia pervietà del dotto venoso di Aranzio, cosicché sia facilitato il ritorno venoso al cuore di sangue bene ossi-genato, limitando, invece, la perfusione del parenchima epatico;

– vasodilatazione arteriosa nel distretto cerebrale.La causa iniziale delle modificazioni circolatorie descritte è

indiscutibilmente l’ipossia cronica (comunque prodotta); tuttavia, nel feto umano è male definito quali siano i sistemi di regolazione coinvolti e in quale misura di volta in volta lo siano; a tale proposito si ricordano sistemi sensoriali, quali i barocettori ed i chemocettori; sistemi effettori, quali l’ortosimpatico ed il parasimpatico; neuro-trasmettitori ed ormoni, quali l’adrenalina e la noradrenalina, la vasopressina, ecc.; infine vari fattori locali (autacoidi), quali le pro-staglandine ed altre sostanze con azione vasomotoria prodotte dagli endoteli come l’endotelina o lo EDRF ovvero Endothelial Derived Relaxing Factor [identificato con il nitrossido (NO)], ecc.

A prescindere dal meccanismo con il quale si instaura, la centralizzazione del circolo protegge parzialmente il cervello ed il cuore del feto dagli effetti dannosi immediati dell’ipossia, ma ciò avviene a spese degli altri distretti circolatori.

Senza disperdersi in molti dettagli basti qui ricordare, per esem-pio, che la ridotta irrorazione del rene è considerata una delle cause più importanti dell’oligoidramnios che frequentemente si osserva in queste gestanti. Anche l’ileo e la perforazione intestinale del feto, come pure l’enterocolite necrotizzante del neonato, sono interpretabili come conseguenze di grave ipossia ischemica distrettuale provocata dalla centralizzazione del circolo.

Oltre a ciò, è bene fare presente che nonostante le evidenti finalità di protezione per il cervello ed il cuore, il verificarsi della centralizzazione del circolo fetale non esclude che non si siano già instaurate, o non intervengano in seguito, lesioni anche gravi in questi distretti, soprattutto nel sistema nervoso centrale.

Per di più, la prevalenza di minorazioni neurologiche nei nati in cui era stata documentata una centralizzazione del circolo durante la vita fetale non sembra significativamente aumentata rispetto a gruppi di controllo; invece, fra i nati con documentata minorazione neurologica è presente un’alta percentuale di casi in cui era stata documentata in qualche periodo durante la vita fetale una vistosa e prolungata centralizzazione del circolo. Detto altrimenti, il riscontro della centralizzazione del circolo come indicatore di danno cere-brale avrebbe buona sensibilità, ma scarsa specificità.

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concentrazione di eritropoietina. A questo proposito si propone all’attenzione che l’eritropoietina viene prodotta dal rene sotto lo stimolo dell’ipossia e che il rene fetale è precocemente esposto alla carenza di ossigeno come conseguenza della centralizzazione del circolo. Oltre a ciò, sovente in questi feti si osserva anche una macrocitosi secondaria a relativa carenza di acido folico.

Inoltre, nel plasma vi è aumentata concentrazione di aminoa-cidi non essenziali, di trigliceridi, di gammaglutamiltransferasi e di latticodeidrogenasi in confronto con i valori riscontrati in feti con sviluppo appropriato per l’età gestazionale.

Infine, sempre in confronto con i valori riscontrati in feti con sviluppo appropriato per l’età gestazionale, si osserva una riduzione della pressione parziale di ossigeno e del pH ematici nonché un aumento più o meno evidente sia della pressione parziale ematica di anidride carbonica, sia della concentrazione plasmatica di acido lattico. Oltre a ciò, è interessante la constatazione che il grado di ipossiemia è correlato con l’acidosi, con l’ipoglicemia e con l’iper-trigliceridemia.

L’ipertrigliceridemia è interpretabile come segno di mobiliz-zazione dei grassi di deposito. Infatti i feti sottoposti a restrizione dell’accrescimento di tipo asimmetrico nascono non solo con ridotti depositi di glicogeno, ma anche con ridotti depositi di grasso. Per quanto riguarda questi ultimi, normalmente costituiscono, oltre che un’importante riserva energetica, anche un deposito altrettanto importante per le vitamine liposolubili e gli acidi grassi essenziali (acidi grassi poliinsaturi a lunga catena). Pertanto, i nati piccoli per la data di tipo asimmetrico facilmente possono andare incontro a fenomeni carenziali entro pochi giorni dalla nascita, se le predette deficienze non vengono adeguatamente compensate.

IV. Diagnosi e trattamento

La diagnosi delle anomalie dell’accrescimento fetale è capitolo abbastanza recente nella storia dell’ostetricia, per-ché con i tradizionali metodi della semeiotica clinica almeno nella metà dei feti “piccoli” non si arrivava al riconoscimento prenatale.

Tuttavia, anche ai nostri giorni molti casi non vengono riconosciuti perché non tutte le gestanti vengono sotto-poste ad almeno tre esami ecotomografici nel corso della gravidanza (10-12 settimane di età gestazionale; 20-22 settimane; 30-34 settimane) e perché, anche con questi tre esami, un certo numero di feti “piccoli” non vengono iden-tificati. Infatti, basti pensare a tutti i disturbi della crescita fetale che si concretizzano solo nelle ultime 7-8 settimane di gestazione e che, quindi, non sono ancora evidenziabili con l’esame ecotomografico eseguito fra 30 e 34 settimane di età gestazionale.

Comunque, l’esistenza di una restrizione dell’accresci-mento fetale è bene evidente morfologicamente, mentre le ricerche più circostanziate di flussimetria andrebbero riservate ai casi dubbi, anche se attualmente vengono utilizzate indiscriminatamente senza scopo preciso.

Si deve anche osservare che le attuali possibilità di trattamento sono limitate e non così perfezionate come i sistemi strumentali di diagnosi. Di conseguenza, allo sforzo ed al costo della diagnosi in molti casi non corrisponde un ricavo proporzionato in termini di miglioramento della prognosi (Hui e Challis, 2008).

In epoca preecotomografica il sospetto di restrizione dell’accrescimento endouterino si fondava soprattutto sull’apprezzamento di ridotto accrescimento ponderale della

Ovviamente, non è possibile escludere che i risultati sopramen-zionati si dimostrino poco rappresentativi per l’interferenza sia di fattori male identificabili di preselezione, sia di fattori confondenti di altra natura, altrettanto male identificabili.

Oltre alla centralizzazione del circolo intervengono in varia combinazione a parziale compenso di fronte ad una cronica ipossia fetale altri meccanismi sussidiari, quali:

– l’aumento del gradiente transplacentare tra pressione par-ziale di ossigeno (pO2) nello spazio intervilloso e quella nei capillari fetali (per la riduzione della pO2 che si instaura in questi ultimi);

– l’aumento di flusso nelle arterie ombelicali (incostante e limitato alla fase iniziale dell’ipossia);

– una modesta riduzione del consumo di ossigeno da parte del feto mediata dalla diminuzione della motilità spontanea;

– l’aumentato ricorso da parte del feto alla glicolisi anaerobica e, in misura minore, all’uso di substrati diversi dal glucosio per produrre energia;

– l’aumentata eritropoiesi (anche in sedi extramidollari) da parte del feto che provoca poliglobulia ed aumento del potere ossiforico del sangue; però la poliglobulia comporta anche au-mento della viscosità del sangue, quindi aumento delle resistenze periferiche e difficoltosa perfusione periferica.

Tutto sommato, ben più che la centralizzazione del circolo, questi meccanismi sussidiari di compenso sono di efficacia quan-titativamente e temporalmente limitata.

Nella restrizione idiopatica dell’accrescimento endouterino di tipo tardivo (ossia quella abitualmente con carattere disarmonico ed associata ad insufficienza placentare), oltre alla riduzione dell’apporto di ossigeno al feto, di solito si verifica in misura maggiore o minore anche riduzione di apporto di substrati nu-tritivi. Le conseguenze della diminuita disponibilità di substrati si sommano con quelle descritte della diminuita disponibilità di ossigeno e ne aggravano le conseguenze.

La disponibilità di substrati viene ridotta, con modalità, entità e collocazione nel tempo differenti da caso a caso; pertanto, le conseguenze sulle funzioni del feto sono molto varie.

Cio nonostante, è utile proporre alcune schematizzazioni se non altro a scopo di generico orientamento espositivo.

È comune a tutti i casi di restrizione dell’accrescimento endo-uterino associata ad insufficienza placentare la comparsa nel feto di ipoglicemia e conseguente ipoinsulinemia. Come tentativo di compenso si assiste ad un’aumentata glicogenolisi, ad un’aumen-tata lipolisi con mobilizzazione dei depositi, ad un aumento del consumo di proteine come substrato energetico, ad un modesto aumento della gluconeogenesi. Tutti questi fenomeni concorro-no a produrre, alla fine, un feto di basso peso ma con sviluppo cerebrale compromesso molto meno dello sviluppo degli organi splancnici, delle masse muscolari, dei depositi di grasso e dei depositi di glucosio.

A questo proposito si ricorda che in condizioni normali il cer-vello fetale utilizza quasi esclusivamente glucosio come substrato energetico e che il suo fabbisogno nelle ultime settimane di gravi-danza è dell’ordine di 5-6 mg/kg/minuto.

In circostanze di emergenza il cervello fetale può sfruttare anche l’acido beta-idrossibutirrico come substrato energetico, ma non si tratta di una fonte ottimale di energia; infatti, se viene sfruttata a lungo potrebbe o non riuscire ad impedire il danneggia-mento cerebrale da carenza di glucosio o, addirittura, concorrere ad aggravarlo.

Le alterazioni metaboliche sopra descritte trovano riscontro nei valori di una serie di determinazioni ematochimiche, oggi disponibili grazie a ricerche eseguite sul sangue fetale ottenuto mediante funicolocentesi percutanea.

Anzitutto, come già rilevato, in caso di restrizione asimme-trica della crescita fetale si riscontra un’accentuata poliglobulia ed un’accentuata eritroblastosi, a cui si associa un’aumentata

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antropometriche che vanno considerate sia nel loro valore assoluto in funzione dell’età gestazionale, sia nella loro evo-luzione cronologica, a prescindere, ovviamente, dall’analisi dell’anatomia fetale (deformazioni, malformazioni, ecc.) che non rientra nel tema di questo capitolo.

In un primo momento la stima del peso fetale consente di giudicare se il feto è di peso appropriato o no in rapporto all’età gestazionale, pur con tutti i limiti metodologici già riportati in precedenza.

In un secondo momento vengono analizzate più in detta-glio le grandezze antropometriche usate per la stima del peso fetale con particolare riguardo per la circonferenza cranica, per la circonferenza addominale e per il loro rapporto, in tal modo documentando la simmetria o meno delle dimensioni corporee del feto. Tenuto conto delle argomentazioni già esposte, nell’ambito dei tre esami ecotomografici abitual-mente prescritti durante la gravidanza ai fini della diagnosi di simmetria dimensionale del feto conta soprattutto l’esame eseguito tra 30 e 34 settimane di età gestazionale.

In questa sede basti accennare che in casi particolari con nu-merosi esami ecotomografici seriati è possibile anche definire il profilo auxologico del feto, studiando l’andamento nel tempo delle varie misurazioni, la loro velocità di accrescimento e le variazioni della loro velocità di accrescimento. Tuttavia, a scopi pratici ciò è difficilmente proponibile per tutte le gravide e, soprattutto, è di qualche utilità solo in casi selezionati. Sempre in casi selezionati è utile anche una valutazione della morfologia placentare.

Da un punto di vista puramente statistico nelle nostre popo-lazioni risulta che il 20-30% dei casi con iposviluppo fetale sono di tipo simmetrico, mentre gli altri presentano gradi diversi di asimmetria.

Con queste premesse, quando è concretizzato il sospetto clinico di iposviluppo fetale, un coerente comportamento del medico è delineabile come segue.

Anzitutto con l’ecotomografia si verifica se il peso stimato fetale è uguale o inferiore al 10° percentile per la corrispondente età ge-stazionale oppure se è superiore; poi, ripetendo almeno due volte l’esame a distanza ogni volta di due settimane, si verifica se il profilo

madre, sull’apprezzamento di scarso aumento della distanza fra fondo uterino e margine superiore della sinfisi pubica e sull’apprezzamento palpatorio di oligoidramnios.

Al presente questi segni non hanno perduto il loro intrin-seco significato, ma servono soprattutto come primo livello di selezione dei casi a rischio. Altrettanto utile è un’accurata valutazione dei fattori di rischio, di cui i principali sono già stati elencati.

Come riportato in precedenza, un certo numero di feti con restrizione dell’accrescimento sono documentabili mediante l’esame ecotomografico eseguito fra le 30 e le 34 settimane di età gestazionale. Il riscontro di segni clinici o di fattori di rischio potrà suggerire caso per caso l’attua-zione o di esami ecotomografici anticipati fra le 24 e le 30 settimane o di ulteriori esami dopo le 34 settimane di età gestazionale.

Infatti, un singolo esame riesce a dimostrare statica-mente un’anomalia dimensionale. Due esami con almeno due settimane di distanza servono per valutare la velocità di crescita dimensionale in quell’intervallo di tempo. Infine, sono necessari almeno tre esami distanziati ciascuno di due settimane dal precedente per documentare una variazione della velocità di crescita tra un intervallo di tempo ed il successivo.

Dopo le 24 settimane di età gestazionale assume im-portanza crescente anche la valutazione ecotomografica semiquantitativa del volume del liquido amniotico.

Attualmente il metodo semiquantitativo più appropriato sembra quello del calcolo del cosiddetto “indice amniotico” (amniotic fluid index, ovvero AFI).

Si ricorda che la tecnica è la seguente: con la gestante in decubito supino, si suddivide idealmente la superficie dell’addome in quattro quadranti sfruttando la linea me-diana longitudinale e una linea trasversale a metà strada tra il bordo superiore della sinfisi ed il punto più elevato del fondo uterino.

Si colloca poi il trasduttore dell’ecografo sull’addome materno con disposizione parallela alla linea mediana longitudinale ed orientamento della superficie emittente parallelo al pavimento. Mantenendo costante disposizione ed orientamento si misura il diametro verticale della raccolta di liquido amniotico (tasca amniotica) più grande in ciascuno dei quattro quadranti; infine, i risultati delle quattro misura-zioni vengono sommati ottenendo così l’indice amniotico. L’indice amniotico può essere valutato anche prima di 21 settimane; in tal caso si misura solo il diametro delle due tasche amniotiche più grandi, una a destra ed una a sinistra della linea mediana.

In base ai valori dell’indice amniotico (Tab. 51.9) si parla di oligoidramnios per valori uguali o inferiori al 5° percen-tile e di poliidramnios per valori uguali o superiori al 96° percentile.

Il riscontro di oligoidramnios e, ancora di più, la docu-mentazione di un suo aggravamento sono segni di sofferenza fetale cronica di cui tenere conto nel programmare la con-dotta ostetrica del caso in esame.

Per definire le anomalie dell’accrescimento fetale la va-lutazione morfologica del feto fornisce una serie di misure

Tabella 51.9 – Ordine di grandezza dell’indice del liquido amniotico (AFI) in centimetri nella gravidanza fisiologica. Media ed ambito normale (i limiti sono riferibili al 5° ed al 95° percentile).

Settimane complete di età gestazionale

limite inferiore

media limite superiore

17-18 8,5 13,0 19,8

19-20 9,1 13,9 21,0

21-22 9,6 14,4 21,7

23-24 9,8 14,6 21,9

25-26 9,7 14,7 22,2

27-28 9,5 14,6 22,4

29-30 9,1 14,5 22,3

31-32 8,7 14,4 24,0

33-34 8,2 14,3 24,6

35-36 7,8 13,9 24,9

37-38 7,6 13,5 24,3

39-40 7,2 12,5 21,0

41-42 6,9 11,3 18,0

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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auxologico è parallelo alla tendenza normale o se tende a divergere; se diverge rallentando e se il peso stimato si riduce di almeno 10 percentili nell’intervallo di due settimane (cosiddetto fenomeno della “perdita di percentili”), vi è l’evidente sospetto di una restrizione dell’accrescimento endouterino anche se il valore del peso fetale rimane superiore al 10° percentile; in altre parole, anche se il feto non è ancora “piccolo per la data”.

Quando il peso fetale stimato, contrastando il sospetto clinico, risulta superiore al 10° percentile, se il profilo auxologico risulta pure esso normale, non sono necessarie ulteriori verifiche.

Invece, se il profilo auxologico mostra un’evidente “perdita di percentili”, il programma dei controlli non differisce da quello per un feto il cui peso stimato già inizialmente risulti uguale o inferiore al 10° percentile.

Qualora il peso stimato sia, appunto, uguale o inferiore al 10° percentile si consiglia di:

– rivalutare l’esattezza dell’età gestazionale; – considerare la possibile esistenza di malattie o di fattori di

rischio materno;– proporre un esame ecotomografico molto dettagliato per

accertare la sede e la morfologia della placenta, nonché la normalità o meno dell’anatomia del feto.

Premesso che l’età gestazionale sia stata verificata, esclusa l’esistenza di malattie materne, di malformazioni fetali e di ano-malie della morfologia o dell’impianto della placenta, taluni con-sigliano di valutare anche l’emodinamica fetoplacentare mediante velocimetria col color-Doppler sulle arterie uterine e su quelle del distretto fetale.

Per i casi con accertata presenza di una malattia materna, oppure di un’anomalia morfologica fetale o placentare, o di sedi patologiche di impianto della placenta si rimanda ai rispettivi capi-toli della patologia ostetrica per quanto specificamente suggerito in queste condizioni.

Qui è sufficiente rammentare che la constatazione di anomalie morfologiche dell’aspetto ecotomografico della placenta o di ano-malie dell’emodinamica fetoplacentare alla velocimetria Doppler suggerisce la possibilità che vi sia un’insufficienza placentare più o meno accentuata.

In ciascuna delle condizioni sopra elencate, ma anche quando ogni accertamento abbia fornito risultati normali, per confermare l’esistenza di una restrizione vera dell’accrescimento endouterino è, comunque, necessario verificare nel tempo il profilo auxologico fetale mediante appositi esami ecotomografici in serie; contem-poraneamente verrà valutata anche la simmetria o l’asimmetria delle dimensioni fetali (in particolare: circonferenza cranica e circonferenza addominale).

Come già anticipato, un certo numero di feti presenta un profilo auxologico lineare, parallelo alla tendenza normale (senza perdita di percentili), anche se costantemente pari o inferiore al 10° percen-tile. Di solito si tratta di feti piccoli e simmetrici (eccezionalmente si tratta di feti asimmetrici), che rappresentano l’estremo statistico della distribuzione normale e per i quali è giustificata la presunzione di normalità.

Anche senza ricorrere al calcolo del peso fetale pre-sunto, molte volte basta seguire l’andamento della cir-conferenza cranica fetale, della circonferenza addominale fetale e del loro rapporto secondo quanto indicato nei vari diagrammi che si riferiscono a questo problema (fig. 51.1). A tale proposito è utile ricordare che nei casi normali il rap-porto fra circonferenza cranica e circonferenza addominale è mediamente superiore all’unità fino a 36 settimane, e che scende poco sotto all’unità a partire da 38 settimane.

Quando si raggiunge la convinzione di essere di fronte ad un caso di vera restrizione dell’accrescimento endouterino (peso fetale stimato uguale o inferiore al 10° percentile;

significativa “perdita di percentili” con peso fetale stimato ancora superiore al 10° percentile), è bene distinguere i feti con iposviluppo armonico (simmetrico) da quelli con iposvi-luppo disarmonico (asimmetrico) e ricordare che molti casi hanno caratteristiche intermedie.

Nei casi con iposviluppo armonico (simmetrico) molti consigliano di controllare il cariotipo fetale (di solito sugli amniociti), perché potrebbe essere in causa un’anomalia cromosomica, e la morfologia fetale. Inoltre, taluni sugge-riscono di continuare a prescrivere un’ecotomografia ogni due settimane per verificare il profilo auxologico fetale ed il volume del liquido amniotico; nel terzo trimestre taluni ad ogni controllo di solito prescrivono anche un esame cardiotocografico a riposo (non stress test).

Se l’accrescimento non si interrompe ed il volume del liquido amniotico rimane normale, non è indispensabile aggiungere altri accertamenti oltre a quelli già elencati per tutte le gestanti a basso rischio, ricordando che, fra questi ultimi, è molto utile nel terzo trimestre il conteggio dei movimenti fetali attivi da parte della stessa gestante. In assenza di risultati anormali, si può attendere l’inizio spontaneo del travaglio di parto.

Qualora compaiano risultati anormali, sarà necessario regolarsi secondo quanto riportato di seguito per i casi di iposviluppo fetale asimmetrico.

Per le gestanti con iposviluppo fetale disarmonico (asim-metrico) sono da programmare accertamenti più meticolosi in aggiunta agli accertamenti abituali per le gestanti a basso rischio; precisamente, ogni due settimane:

– esame ecotomografico per la verifica del profilo auxo-logico fetale e la stima del volume del liquido amniotico;

– nel terzo trimestre cardiotocografia a riposo (non stress test);

– secondo alcuni, anche esami per la velocimetria Doppler sulle arterie uterine (valutazione dell’irrorazione uterina) e sulle arterie del distretto fetale (arteria ombelicale, arteria cerebrale media, ecc. per valutazione dei segni di centraliz-zazione del circolo fetale).

Gli esami sul sangue fetale ottenuto mediante funicolo-centesi percutanea sono da eseguire solo in casi particolari molto selezionati, a causa del rischio che inevitabilmente comportano sia per il feto, sia per la gestante.

Prescindendo da queste eccezionali circostanze, sono riconosciuti quali segnali di allarme:

– nel terzo trimestre la diminuzione della motilità fetale spontanea (molto importante, nell’ambito dell’autocontrollo giornaliero da parte della gravida medesima);

– la riduzione di volume del liquido amniotico;– il rallentamento accentuato o addirittura l’arresto

dell’accrescimento fetale;– ogni anomalia persistente all’esame cardiotocogra-

fico;– i segni Doppler-velocimetrici accentuati e persistenti di

centralizzazione del circolo fetale e di insufficienza placentare (progressivo aumento delle resistenze nelle arterie ombelicali e nell’aorta fetale, diminuzione delle resistenze nell’arteria cerebrale media).

Quando compaiono uno o più dei segnali sopra elencati, oltre ad intensificare i controlli, bisogna considerare le op-zioni seguenti in funzione dell’età gestazionale.

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ostetriciA

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Fino a 27 settimane di età gestazionale (con un limite inferiore provvisoriamente a 24 settimane, ma non è escluso un ulteriore abbassamento in un prossimo futuro) di fronte ad arresto della crescita fetale, ad aggravamento dell’oligoi-dramnios, a persistenza o peggioramento dei risultati pato-logici della cardiotocografia e della Doppler-velocimetria, si può proporre il parto pretermine come estremo tentativo di salvare la vita del feto.

Data la precarietà della prognosi per il bambino, sia quo-ad vitam sia quoad valetudinem, è buona regola ottenere un esplicito consenso informato da parte della gestante e coinvolgere nella decisione anche il neonatologo che pren-derà in cura il bambino.

Per guadagnare qualche settimana di età gestazionale sono riferiti occasionali tentativi con l’ossigenoterapia a pressione atmosferica o iperbarica, con l’ipernutrizione pa-renterale della gestante, con l’infusione di sostanze nutritive nel compartimento amniotico. Peraltro finora i risultati sono stati contraddittori e consentono, al massimo, un molto cauto ottimismo.

Da 28 a 32 settimane di età gestazionale e, ancora di più, a partire da 33 settimane, se compaiono i segnali d’allarme sopra elencati è ragionevole la programmazione dell’esple-tamento del parto, sentito il parere del neonatologo che prenderà in cura il bambino e dopo aver ottenuto il consenso informato della gestante.

In tutti i casi in cui si intende espletare il parto, salvo quelli di grande urgenza, è utile provvedere prima all’indu-zione della maturazione polmonare con un corticosteroide glicoattivo secondo quanto enunciato altrove (cap. 53). La valutazione preliminare della maturazione polmonare sul liquido amniotico ha perso molta dell’importanza che le era stata attribuita in passato perché, in presenza dei segnali di allarme sopra menzionati, il problema della prevenzione della sindrome respiratoria idiopatica del neonato passa in seconda linea di fronte al rischio di morte endouterina incombente, mentre in assenza di segnali preoccupanti con-viene lasciar proseguire la gravidanza; inoltre, perché molti suggeriscono di praticare comunque la profilassi con steroidi glicoattivi fino a 34 settimane di età gestazionale tenendo conto dei suoi benefici effetti extrapolmonari (soprattutto riduzione del rischio di emorragia cerebrale del neonato).

Per ridurre il rischio di emorragia cerebrale del neonato è stata proposta anche la somministrazione alla madre di fenobarbital o di vitamina K, ma per ora senza convincenti risultati.

A partire da 36 settimane di età gestazionale, quando è documentato un iposviluppo fetale con forte rallentamento della crescita, di solito conviene programmare il parto senza ulteriore indugio anche in assenza di segnali di immediato pericolo fetale. Fra 33 e 35 settimane la decisione va cali-brata sulle caratteristiche del singolo caso; in linea generale è conveniente interrompere la gravidanza di fronte ad un iposviluppo ingravescente; è possibile attendere di fronte a condizioni stazionarie o ad un iposviluppo che si sta at-tenuando (raro, ma non eccezionale) purché non vi siano segnali d’allarme d’altro genere.

Per quanto riguarda le modalità del parto, tenendo conto delle precarie condizioni di partenza di molti di questi bambini, quasi sempre i neonatologi preferiscono il taglio

cesareo; inoltre, preferiscono il taglio cesareo programmato in giorno ed ora convenienti per l’immediata assistenza al neonato. Ad allargare i criteri di indicazione al taglio cesareo si aggiunge da parte dello specialista ostetrico il timore di procedimenti giudiziari, se mai il bambino subisse qualche forma di danneggiamento lontanamente collegabile col parto per le vie naturali.

Ovviamente, quanto sopra è solo un indirizzo generale che, di volta in volta, va adattato alle esigenze del singolo caso.

In particolare, non pochi ostetrici propendono a favorire il parto per le vie naturali quando la prognosi fetoneonatale è, comunque, molto sfavorevole, mentre vi sono buone probabilità che la donna possa avere altre gravidanze.

Similmente, si può preferire il parto per via vaginale quando il travaglio inizia spontaneamente, la presentazio-ne è di vertice, la dilatazione cervicale procede in modo regolare e si prevede un rapido espletamento del periodo espulsivo.

L’uso della ventosa ostetrica o del forcipe non è aprio-risticamente controindicato; anzi, vi è chi sostiene che il disimpegno assistito usando preferibilmente il forcipe sia più vantaggioso per il bambino che il disimpegno spontaneo.

Quando si esegue il taglio cesareo, soprattutto se in modo elettivo ed a distanza dal termine della gestazione, anche la tecnica chirurgica abituale deve essere modificata perché il segmento inferiore uterino non è ancora espanso a sufficienza e l’incisione trasversale a tale livello molte volte non concede spazio per un’estrazione del feto agevole ed atraumatica. Pertanto, piuttosto che essere costretti ad allargare l’incisione isterotomica trasversale con un’ulteriore incisione longitudinale, sarebbe preferibile praticare subito un’incisione isterotomica verticale mediana. In previsione di ciò sarebbe preferibile eseguire anche un’incisione addo-minale pubo-sottombelicale invece dell’incisione abituale trasversale bassa.

La condotta ostetrica delineata a proposito della restri-zione asimmetrica dell’accrescimento fetale è dettata dalla convinzione che:

– non esista cura medica efficace;– i rischi della prematurità, sia immediati sia a distanza,

alle condizioni enunciate siano minori dei rischi della pro-lungata permanenza del feto nell’ambiente endouterino che sta diventando ostile;

– i progressi della neonatologia nell’assistenza ai bambini pretermine consentano buone probabilità di sopravvivenza del neonato anche se la gravidanza viene interrotta prima di 30 settimane di età gestazionale.

Sebbene non vi sia cura medica efficace quando il ral-lentamento della crescita si è già verificato, in qualche caso a rischio è forse possibile praticare una profilassi aspecifica prima che insorga il danno somministrando molto precoce-mente piccole dosi di acido acetilsalicilico (dell’ordine di 1 mg per kg di peso corporeo al giorno) per via orale, associate secondo taluni a dipiridamolo (225 mg al giorno per via orale) oppure a dosi cosiddette «antitrombotiche» di eparina.

In teoria, il trattamento descritto riduce la sintesi di trombossano e quindi aumenta il rapporto fra produzione di prostaciclina e produzione di trombossano a favore della prima che è un composto vasodilatatore che migliora il cir-colo. In tal modo verrebbe incrementata in modo aspecifico

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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la perfusione utero-placentare, nonostante la presenza degli eventuali difetti di placentazione menzionati in precedenza. Con queste premesse l’uso profilattico dei farmaci sopra indicati può trovare una giustificazione soprattutto in donne nella cui anamnesi figurano una o più gravidanze con grave restrizione idiopatica dell’accrescimento fetale (di tipo asim-metrico) o anche aborti ripetuti senza causa apparente, o gestosi EPH, purché la somministrazione abbia inizio prefe-ribilmente entro le 12 settimane di età gestazionale.

Per una migliore comprensione dei problemi, si precisa ancora una volta che le direttive sopra riportate hanno carattere genericamente indicativo e devono essere appli-cate valutandone di volta in volta l’opportunità (rapporto rischio/beneficio). Inoltre si riferiscono in modo precipuo a gestanti in cui l’iposviluppo fetale (peso fetale stimato uguale o inferiore al 10° percentile) sia stato documentato già entro le 34 settimane di età gestazionale accertata. Invece, a partire da tale limite cronologico il comportamento deve essere più flessibile; infatti, se il feto ha raggiunto detta età gestazionale con un peso stimato ampiamente superiore al 10° percentile, in assenza di malattie materne o di altri segnali clinici d’allarme (oligoidramnios, ridotto numero dei movimenti attivi fetali percepiti dalla gestante, metrorragie, ecc.) è poco probabile che insorga un rallentamento perico-loso della crescita fetale; e se anche interviene un modesto rallentamento (il che, invece, è abbastanza frequente), di necessità il fenomeno si autolimita nel tempo perché la gravidanza giunge al termine ed il bambino nasce prima di subire i danni di una cronica sofferenza fetale. In altre parole, nelle predette circostanze la patologia sfuma progressiva-mente verso la fisiologia ed il comportamento del medico deve adeguarsi più alla realtà della singola gestante che ad astratte linee guida.

Ovviamente, la presenza di una malattia materna o la comparsa di una qualunque complicanza ostetrica possono diventare il fattore dominante ed imporre decisioni diverse, conformemente a quanto spiegato nei rispettivi capitoli della patologia ostetrica.

V. Cenni di patologia neonatale

Il neonato piccolo per la data e simmetrico in assenza di gravi manifestazioni patologiche (cromosomopatie, malformazioni, esiti di embriofetopatie precoci) è semplicemente un bambino piccolo, ma sano.

Il suo adattamento alla vita extrauterina può essere difficoltoso perché la sua massa corporea non è ottimale, ma altrimenti non crea speciali problemi.

Dal punto di vista ostetrico è addirittura vantaggioso che una donna sana, ma costituzionalmente di bassa statura e con una pelvi corrispondentemente ristretta, partorisca un bambino sano, ma piccolo, ossia con costituzione proporzionata a quella della madre.

È stato giustamente affermato che il neonato piccolo per la data e simmetrico nelle proporzioni corporee è sano più frequen-temente del neonato piccolo per la data ed asimmetrico; però, quando il neonato piccolo e simmetrico è ammalato, in genere lo è in modo molto più grave e con conseguenze molto più invalidanti, sia a breve termine, sia a distanza.

Anche a prescindere dall’esistenza di gravi embriofetopatie, il neonato sano, piccolo per la data e simmetrico sovente presenta un accrescimento postnatale rallentato ed una statura definitiva ai limiti inferiori per la popolazione di appartenenza, senza peraltro

che ciò sia accompagnato da altre minorazioni, in particolare di tipo neurologico.

Le circostanze sono ben diverse per il neonato piccolo per la data ed asimmetrico, come logica conseguenza che si tratta quasi sempre di cronica deprivazione endouterina (sofferenza fetale cronica).

Molto più che i casi con accrescimento fetale normale questi neonati sono esposti al rischio di sviluppare una sindrome da aspirazione di meconio, perché è più frequente sia la presenza di meconio nel liquido amniotico (circa nel 10% dei casi ed anche più) sia l’attuazione da parte del feto di tentativi di atti respiratori intempestivi prima della nascita in risposta ad episodi transitori di asfissia.

L’inalazione di meconio può comportare dopo la nascita gravi disturbi respiratori condizionati da polmonite irritativa, ostruzione parziale delle diramazioni bronchiali, comparsa di isole di atelet-tasia, persistenza della circolazione di tipo fetale, talvolta anche pneumotorace.

Peraltro, la frequenza e la gravità della nominata sindrome sono in parte riducibili con un’attenta assistenza nei primi minuti di vita extrauterina.

Precisamente, quando il liquido amniotico appare commisto a meconio nel parto per via vaginale è importante procedere come segue:

– non appena è disimpegnata la faccia del bambino, la si ri-pulisce esternamente con un panno e si aspira il contenuto tanto dall’orofaringe, quanto dalle narici (ad es. con l’apposita peretta di gomma) ancora prima del disimpegno del tronco.

– Subito dopo la nascita si taglia il cordone ombelicale, si pone il bambino sul lettino da rianimazione e si aspira nuovamente il conte-nuto dell’orofaringe sotto il controllo diretto della vista adoperando il laringoscopio in modo da visualizzare le corde vocali; poi si completa l’aspirazione del contenuto delle narici.

– Quando si osserva meconio nell’ipofaringe si procede subito all’intubazione orotracheale e si esegue immediatamente una cauta aspirazione del contenuto della trachea. Sarebbe ideale, ma di solito non è materialmente possibile, riuscire ad eliminare il me-conio dalle vie aeree prossimali del neonato già prima che esegua il primo atto respiratorio spontaneo. Almeno, però, bisogna evitare di praticare la ventilazione a pressione positiva (né con mascherina, né attraverso il tubo tracheale) fino a quando non è stato rimosso gran parte se non tutto il meconio penetrato nella trachea.

Le raccomandazioni elencate sopra, benché dettate da raziona-le buon senso, alla prova dei fatti si sono dimostrate meno efficaci di quanto si presumeva (Oriot, 2005; Gouyon e Rybakowski, 2005).

In particolare oggi si consiglia di procedere all’intubazione tracheale del neonato sopratutto in presenza di asfissia e di diffi-coltà a mantenere la pervietà delle vie aeree come descritto nel capitolo 42. Per i casi più gravi di sindrome neonatale da aspirazione di meconio sembra molto utile l’ossigenazione extracorporea con dispositivo a membrana (Moya e Laughon, 2007).

Nelle prime ore di vita extrauterina il neonato piccolo per la data ed asimmetrico accusa sovente tendenza all’ipoglicemia quale espressione non solo di inadeguatezza delle sue riserve di glicogeno, ma anche di ritardata attivazione dei meccanismi gluconeogenici. Oltre a ciò frequentemente si osserva anche ipocalcemia ed ipofosfatemia. Poiché i sintomi dell’ipoglicemia e quelli dell’ipocalcemia sono abbastanza simili, è raccomandabile un controllo ematochimico assiduo.

Una policitemia di variabile entità è osservabile in molti di que-sti neonati. Tale condizione è conseguenza anzitutto di aumentata produzione di eritrociti durante la vita endouterina per effetto dell’ipossia cronica. Inoltre è espressione di uno spostamento del rapporto volemico fra distretto circolatorio placentare e distretto circolatorio fetale a favore di quest’ultimo; in altre parole, si verifica riduzione del volume di sangue presente nella placenta accompa-

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gnata da aumento di quello presente nel feto, ed anche questo fenomeno è riportabile agli effetti della ipossia endouterina.

In più, sempre come effetto dell’ipossia, è stata descritta una ridotta secrezione fetale di ormone antidiuretico che contribuireb-be a produrre emoconcentrazione.

È opinione di molti che i neonati pretermine, piccoli per l’età gestazionale e disarmonici, in confronto con i neonati di pari età gestazionale e pari peso ma con accrescimento armonico, abbiano minore rischio di sviluppare una sindrome respiratoria idiopatica e minore rischio di presentare emorragie cerebrali endoventricolari, a condizione che i primi non abbiano sofferto prolungata e grave ipossia sia nel corso della vita endouterina prima del travaglio, sia durante il parto, sia subito dopo. In altre parole, i bambini in cui è presente il vantaggio descritto sarebbero quelli esposti ad insuffi-cienza placentare, ma nati ancora durante la fase di adattamento all’insufficienza placentare medesima e non dopo che le loro ca-pacità adattative si sono esaurite, dando origine ad una rischiosa condizione di scompenso.

Secondo tale modo di vedere, dunque, i meccanismi di adat-tamento fetale messi in funzione dall’insufficienza placentare favorirebbero una più rapida maturazione sia polmonare, sia ce-rebrale, purché non vengano oltrepassate le capacità di compenso del feto medesimo.

Come dimostra quanto esposto nei capoversi precedenti, il problema clinico, tuttora senza adeguata risposta, è proprio indi-viduare quando la fase di adattamento fetale stia per trasformarsi nella fase di scompenso.

Per ciò che riguarda gli esiti della restrizione dell’accrescimento fetale il rischio di mortalità perinatale è stato drasticamente ridotto nel corso degli ultimi decenni come conseguenza di progressivi miglioramenti tecnici e assistenziali soprattutto sul versante ne-onatologico.

Da qualche anno è in corso un ampio dibattito sulla possibilità che l’ambiente endouterino eserciti una serie di effetti a lungo termine sulla salute dell’individuo adulto (Hampton, 2004; Barker, 2006; Dudenhausen, 2007; Simeoni et al., 2007; Barker, 2008; Ross e Beall, 2008; Schellong et al., 2008). Fra gli esempi di questo genere si ricorda la possibile associazione tra restrizione della cre-scita endouterina ed ipertensione arteriosa, ridotta tolleranza ai carboidrati ed anche ipercolesterolemia nella vita adulta (Phillips, 2006; Vickers et al., 2007). Tuttavia, almeno per quanto riguarda l’ipercolesterolemia (Huxley et al., 2004) gli effetti della restrizione dell’accrescimento endouterino non sono tali da costituire fattore di rischio facilmente misurabile per le malattie cardiovascolari in età adulta.

Fra tutti gli altri esiti a distanza indiscutibilmente il più temuto è il rischio di minorazioni neurologiche permanenti (Hack et al., 2005; Tyson e Saigal, 2005).

A prescindere dall’esistenza di casi con le specifiche forme di patologia o lesioni già più volte menzionate, il neonato piccolo per la data e simmetrico è un bambino piccolo ma sano; pertanto, il suo rischio è assimilabile a quello di tutti gli altri neonati sani.

La categoria dei neonati piccoli per la data ed asimmetrici è più eterogenea. Bisogna anzitutto prescindere dai bambini che presentano forme patologiche o lesioni specifiche in aggiunta alla restrizione dell’accrescimento endouterino. Fatta tale esclusione, il rischio di lesione neurologica permanente collegabile al disturbo dell’accrescimento dipende dall’entità della restrizione medesima, dall’età gestazionale alla quale la restrizione ha avuto inizio, dall’età gestazionale alla nascita, infine dal tipo di assistenza ostetrica e, soprattutto, neonatologica.

Molto genericamente si può affermare che una grave depriva-zione endouterina iniziata prima di 28 settimane di età gestazionale può giungere a limitare la moltiplicazione neuronale e, quindi, avere gravi ed irreparabili ripercussioni sulle funzioni cerebrali del bambino.

Invece, un’analoga deprivazione che si instauri nelle ultime 10-12 settimane di gravidanza, allorquando lo sviluppo del cervello consiste soprattutto nella moltiplicazione delle cellule gliali, nella formazione delle arborizzazioni dendritiche, nell’organizzazione delle connessioni sinaptiche e nella mielinizzazione delle fibre nervose è meno pericolosa, perché tutti i meccanismi evolutivi sopra menzionati proseguono per circa due anni dopo la nascita; di conseguenza, ci si può attendere un recupero più o meno com-pleto sebbene, nel singolo caso, sia sempre difficile esprimere un preciso giudizio prognostico.

E) Accrescimento embriofetale sproporzionato in eccesso

In paragone all’interesse dimostrato da ostetrici e pediatri per lo studio delle restrizioni dell’accrescimento embriofetale, quello dell’accrescimento embriofetale in eccesso è stato ed è tuttora molto minore.

Per quanto riguarda le settimane iniziali di sviluppo, tradizionalmente si tende ad attribuire i predetti eccessi ad errori di datazione del concepimento, più che a vere devia-zioni dalla presunta norma. Anche per le età gestazionali fino a 24-25 settimane l’orientamento abituale è stato il medesimo. Solo da poco, in ambedue le circostanze, taluni hanno cominciato a rivedere criticamente la menzionata e troppo semplicistica interpretazione.

In realtà dal punto di vista clinico l’abnorme accrescimen-to endouterino per eccesso può porre problemi soprattutto in prossimità del termine di gravidanza o perché è espressione di diabete materno, o perché si prevedono rischi di distocia meccanica, o per ambedue i motivi (AOGOI, 2007).

Vanno considerati a parte i feti con segni di fenomeni patologici quali l’anasarca o con abnorme aumento di vo-lume circoscritto a parti del corpo (idrocefalo, gozzo, ecc.). Bisogna anche distinguere la megalosomia assoluta, nella quale il peso di nascita (o il peso fetale stimato) è di 4000 g o più e la megalosomia relativa, nella quale il peso di nascita (o il peso fetale stimato) è superiore al 90° percentile per l’età gestazionale. Infatti, i megalosomi relativi possono avere i problemi biologici dei megalosomi assoluti, ma non ne hanno necessariamente i problemi derivanti da un’eventuale distocia meccanica per sproporzione fetopelvica. Detto altri-menti il concetto di megalosomia assoluta deriva soprattutto da considerazioni di meccanica ostetrica in funzione delle abituali dimensioni del bacino della donna normale. In tal senso taluni parlano anche di “gigantismo” quando il peso di nascita è pari o superiore a 5000 g.

Invece, il concetto di megalosomia relativa deriva da considerazioni epidemiologiche e biologiche in funzione dell’abituale andamento della crescita fetale in una data popolazione.

Stando così le cose, per definizione i megalosomi relativi in ciascuna età gestazionale corrispondono al 10% dei nati; invece, la frequenza dei megalosomi assoluti varia da popo-lazione a popolazione, ad esempio per fattori costituzionali, per fattori legati all’alimentazione o alla prevalenza del dia-bete, infine anche per fattori di metodo nella selezione delle popolazioni studiate e per altri fattori ancora. Comunque, nell’uno e nell’altro caso sono ritenuti fattori predisponenti alla megalosomia:

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– l’obesità materna;– il fatto che il peso di nascita della madre sia stato

megalosomico;– la multiparità della madre;– l’anamnesi della madre di precedenti nati megaloso-

mici;– l’aumento eccessivo di peso della madre nel corso della

presente gravidanza (16 kg o più a termine di gestazione);– la gravidanza oltre il termine (limitatamente alla me-

galosomia assoluta);– il sesso maschile del feto (limitatamente alla megalo-

somia assoluta);– il diabete materno.Le complicanze ostetriche della megalosomia assumono

rilevanza quasi esclusivamente nella forma assoluta. Per la partoriente si tratta soprattutto di un aumento della frequenza e gravità sia delle lacerazioni vaginoperineali al momento del parto, sia delle emorragie del secondamento e del postpartum.

Per il feto la complicanza più temibile è la distocia delle spalle (cap. 58), sebbene in termini assoluti l’aumento di rischio non sia particolarmente elevato. È segnalata anche un’aumentata frequenza di fratture della clavicola del bam-bino che, peraltro, hanno prognosi benigna.

Anche se la madre non è diabetica, nei neonati mega-losomi sia di tipo relativo, sia di tipo assoluto, è segnalata un’aumentata frequenza di episodi di ipoglicemia, ragione per cui è indicata un’attenta sorveglianza.

Per tutti i motivi sopra menzionati ha un certo interesse la diagnosi di megalosomia fetale, soprattutto assoluta, già prima del parto.

Anzitutto è bene ricercare i fattori di predisposizione, la cui importanza verosimilmente cresce se sono associati fra loro. Anche la misurazione della distanza del fondo uterino dal bordo superiore della sinfisi pubica è un buon indica-tore, nel senso che difficilmente a termine di gravidanza il feto è megalosoma assoluto se la predetta distanza non è di almeno 34 cm.

La stima del peso fetale mediante ecografia trova il suo limite nel fatto che con i metodi più precisi comporta un errore di almeno il 12%; per esempio, per un bambino con peso reale di 3800 g, l’errore del peso stimato è dell’ordine di ± 400 g.

In corso di gravidanza è da valorizzare il riscontro di un peso fetale stimato superiore al novantesimo percentile nell’ecografia eseguita attorno a 32 settimane. Il sospetto si rafforza se il profilo auxometrico fetale rimane oltre il novan-tesimo percentile in successive ecografie, soprattutto se la tendenza all’eccessivo accrescimento si accentua (cosiddetto «guadagno di percentili»).

Ai fini del rischio di distocia delle spalle (Beer et al., 2006) a termine di gravidanza ha un certo significato il riscontro di una disarmonia fra circonferenza cranica e circonferenza addominale quando la prima è pari o inferiore al novan-tesimo percentile e la seconda è superiore (ad esempio, ciò si verifica sovente quando la gestante è diabetica). In più, taluni hanno valorizzato anche il riscontro ecografico a livello della spalla fetale di uno spessore dei tessuti molli superiore a 12 mm.

In realtà, la distocia delle spalle ha frequenza molto bas-

sa anche nei bambini con le caratteristiche sopra descritte; pertanto, in queste circostanze è molto discutibile proporre il taglio cesareo cosiddetto profilattico.

La pelvimetria materna e la misurazione del diametro bi-sacromiale fetale, eseguite ambedue in risonanza magnetica, sono molto promettenti per aiutare l’ostetrico ad orientarsi con maggiore precisione, ma al presente queste metodiche vanno ancora considerate come sperimentali.

Per di più, nonostante applichi i suddetti metodi, l’oste-trico rimane nell’impossibilità di prevedere in ogni caso l’improvvisa comparsa di una distocia delle spalle, che può presentarsi anche in feti di peso normale.

A prescindere dunque dal rischio della distocia delle spalle, di fronte ad una gestante con presunta megalosomia fetale assoluta è consigliabile una minuziosa rivalutazione clinica delle proporzioni fetopelviche e di un’eventuale disar-monia fra circonferenza cranica e circonferenza addominale; poi, in assenza di altri fattori di distocia o di altri motivi di sospetto, se la testa fetale si impegna nello stretto superiore, dal punto di vista meccanico la prognosi è favorevole e si può attendere l’espletamento del parto per via vaginale. Al bisogno, le contrazioni uterine potranno essere potenziate con l’ossitocina; similmente potrà essere usata la ventosa ostetrica o il forcipe, ma solo quando la testa fetale abbia raggiunto lo stretto inferiore della pelvi.

Oltre alle complicanze ostetriche di tipo meccanico, esistono per tutti i megalosomi anche rischi più sfumati di ordine biologico.

Infatti, anche in una gravidanza che inizialmente aveva dato origine ad un feto megalosoma, nelle settimane ulterio-ri può instaurarsi un’insufficienza placentare, che ritarda od arresta del tutto l’accrescimento fetale. In tali circostanze il profilo auxometrico fetale in ecografie seriate dimostra una perdita di percentili, quantunque il peso del feto rimanga nell’ambito della norma o, addirittura, anche al di sopra.

Talvolta si osserva un fenomeno analogo in una gestante diabetica e male compensata quando, aggiustando dieta e terapia insulinica, si riesce ad ottenere il desiderato com-penso della malattia.

Nella prima ipotesi menzionata questi feti, che potrebbe-ro essere definiti megalosomi dimagriti, probabilmente subi-scono almeno parte delle conseguenze negative descritte per i feti piccoli per la data con caratteristiche disarmoniche. Per di più, avendo massa corporea voluminosa e quindi maggiori esigenze globali di ossigeno, sono più esposti ai rischi di una riduzione della funzionalità placentare.

È meno chiara la questione riguardante i feti di madre diabetica, nei quali con un rigoroso controllo metabolico materno si ottiene il rallentamento della crescita ed il ridi-mensionamento del profilo auxometrico. Infatti, da un lato vi è l’indiscutibile vantaggio di far procedere la gestazione in condizioni metaboliche equilibrate; dall’altro non si può escludere il rischio di esporre il feto, ormai reso iperinsuli-nemico dalla precedente condizione di eccesso di glicemia, ad una condizione opposta nella quale persiste bensì per un certo tempo l’iperinsulinemia, ma l’afflusso di substrato viene sensibilmente ridotto.

Riguardo alla profilassi della megalosomia, per quella condizionata dal diabete materno si rimanda al capitolo 48.

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Negli altri casi sono indicate misure generiche intese ad evitare gli eccessi dell’alimentazione materna ed il pro-lungamento della gravidanza oltre le 41 settimane di età gestazionale. Oltre a ciò di fronte ad un feto con profilo au-xometrico sicuramente superiore al 90° percentile del peso stimato, dopo le 36 settimane di età gestazionale, secondo taluni è giustificato ricorrere all’induzione medica del parto con l’intenzione di evitare che una megalosomia relativa si trasformi in una megalosomia assoluta.

2) ANOMALIE DEL CONCEPIMENTO E DELL’EMBRIOgENESI INIzIALE

A) Generalità

Nella specie umana la riproduzione normale si compie con la fertilizzazione di un gamete femminile da parte di un gamete maschile, dalla quale deriva un embrione e, poi, un feto unico (fertilizzazione unica, gravidanza monoembrionale e, poi, gravidanza monofetale). La fertilizzazione di più di un gamete femminile da parte di un numero corrispondente di gameti maschili rappresenta un’anomalia. Similmente rappresenta un’anomalia la circostanza che avvenga una fertilizzazione unica, ma poi dalla cellula uovo fertilizzata derivino due o più embrioni.

In casi eccezionali un abbozzo embrionale unico si avvia su un percorso di separazione, ma poi il processo di separa-zione si interrompe e ne deriva una malformazione doppia. Vi sono anche altre rarissime condizioni patologiche, alle quali si accennerà brevemente nei paragrafi che seguono (Nicolini e Gastaldi, 1996; Parazzini, 1996; Murphy e Hey, 1997; Keith e Blickstein, 2002; Blikstein e Keith, 2005 a, b; Krüssel et al., 2008; Fuchs e Miller, 2012).

B) Gravidanza multipla

I. Eziopatogenesi e caratteristiche principali

Si definisce gravidanza multipla quella in cui si sviluppano contemporaneamente due o più embrioni e, poi, feti. Quan-do gli embrioni sono due, si parla di gravidanza gemellare; di gravidanza trigemina se sono tre; di gravidanza quadrigemi-na, pentagemina e così via se sono quattro, cinque o più.

Altro modo di esprimere il medesimo concetto è usare i termini di gravidanza monofetale, bifetale, trifetale e così via per indicare rispettivamente gravidanze con uno, due o tre feti ed oltre.

Modernamente si usa anche definire gravidanza multife-tale (supermultipla) quella in cui vi sono tre o più feti.

Oltre che in base al numero dei feti, ai fini classificativi le gravidanze multiple vengono distinte come segue.

In base al numero degli ovociti coinvolti (ovularietà) si di-stinguono gravidanze monoovulari, biovulari e multiovulari.

In base al numero degli zigoti (zigozia ovvero zigosità) si distinguono gravidanze monozigotiche, bizigotiche e multizigotiche.

In base al numero degli involucri coriali (corionicità) si distinguono gravidanze monocoriali, bicoriali e multicoriali. Nella monocorialità la placenta è unica; nella bicorialità e nella multicorialità (salvo singolari eccezioni di fusione precocissima di involucri coriali adiacenti) il numero delle placente corrisponde al numero degli involucri coriali.

In base al numero dei sacchi amniotici (amnionicità) si distinguono gravidanze monoamniotiche, biamniotiche e multiamniotiche.

In realtà, l’esperienza delle gravidanze multifetali derivate da tecniche di procreazione artificiale consiglia di sostituire in molti casi il termine “gravidanza” con il termine “condi-zione”. Infatti, ad esempio, in un’unica gravidanza possono coesistere due feti racchiusi in un unico corion (ossia due gemelli monocoriali) con uno o più feti ciascuno racchiuso in un proprio corion; in altri termini, la gravidanza rimane unica, ma le “condizioni” in essa realizzate sono diverse.

Per chiarezza è dunque bene tenere distinti i concetti come sono stati delineati sopra.

Ovviamente, quelle condizioni che ancora pochi decenni or sono erano considerate vere e proprie rarità, con l’uso sempre più esteso delle tecniche di procreazione artificiale stanno diventando più frequenti e le possibili combinazioni aumentano di numero.

Nel testo che segue verrano menzionate alcune fra tali combinazioni, senza peraltro pretendere di esaurire tutto il ventaglio delle possibilità.

Il numero dei feti è una caratteristica abbastanza tipica di ogni specie; in genere quanto più voluminoso è l’animale, tanto minore è il numero dei feti.

Gli antropoidi, compresa la donna, normalmente pro-ducono un unico feto per volta. In via molto approssimativa si può affermare che la frequenza spontanea di un parto gemellare nella specie umana è di circa 1:80 parti; quella di un parto trigemino, di circa 1:802 (1:6400); quella di un parto quadrigemino, di circa 1:803 (1:512000); e così via. Tuttavia, tali cifre si riferiscono solo ai parti; è verosimile che un nume-ro imprecisato di gravidanze multiple esiti in aborto, anche molto precoce, e pertanto non venga nemmeno diagnosticato (Parazzini et al., 1991; ACOG, 2004; Blickstein e Keith, 2005 a,b; Smith-Levitin et al., 2007).

Inoltre, in un certo numero di gravidanze plurime bicoriali o policoriali si verifica la morte di uno dei gemelli, mentre l’altro (o gli altri) continuano il proprio sviluppo (circostanza definita “the vanishing twin”, ossia “il gemello che scompare” o “gemello evanescente”).

Di quest’ultimo fenomeno, che perlopiù si verifica tra la settima e la dodicesima settimana di età gestazionale, esiste la documentazione su base ultrasuonografica e si pensa che nel 30% delle gravidanze gemellari si verifichi, appunto, la perdita di un embrione o di un feto; clinicamente talvolta non si registra alcuna sintomatologia; più spesso vi sono modeste perdite ematiche genitali che fanno pensare ad una minaccia d’aborto di una gravidanza con embrione singolo.

Nelle gravidanze con più di un embrione aumenta il rischio di morte di uno o più concepiti o di tutti i concepiti rispetto alle gravidanze singole. Non raramente nelle gravidanze mul-

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tiple esistono uno o più sacchi gestazionali senza embrione (blighted ovum) che finiscono per essere riassorbiti.

Quanto alle origini della gravidanza multipla, salvo raris-sime eccezioni (vedi oltre) essa può derivare da due o più ovociti fecondati da due o più spermatozoi diversi; oppure, da un ovocita fecondato da uno spermatozoo, dopodiché segue più o meno precocemente la separazione dell’abbozzo embrionario iniziale in due o più abbozzi distinti.

Nel primo caso si parla di gravidanza multipla biovulare o multiovulare, nel secondo caso si parla di gravidanza multipla monoovulare.

Quando si tratta della fecondazione di ovociti distinti, questi solitamente derivano da follicoli di Graaf diversi. Tuttavia è ammessa la possibilità che due ovociti siano con-tenuti in un follicolo di Graaf unico; se tali ovociti vengono fecondati entrambi, ha origine una gravidanza bigemellare e biovulare, ma con un solo corpo luteo gravidico.

Casi particolari di gravidanza multipla mono-ovulare derivano ipoteticamente quando un ovocita contiene due nuclei, ciascuno dei quali viene fecondato da uno sperma-tozoo diverso; oppure, quando vengono fecondati ciascuno da uno spermatozoo diverso sia l’ovocita, sia il suo primo o il suo secondo globulo polare (gravidanza multipla monoo-vulare bizigotica).

Le gravidanze derivate da ovulazioni multiple (o multio-vulari) danno origine necessariamente a gravidanze multiple multizigotiche (bizigotiche o multizigotiche) ognuno degli zigoti derivando dalla fecondazione di un ovocita da parte di uno spermatozoo.

Di regola le gravidanze multiple monoovulari danno origine a gravidanze multiple monocoriali e monozigotiche, poiché i concepiti derivano dalla separazione di un unico zigote (un ovocita fecondato da uno spermatozoo, ambedue mononucleati).

Fanno eccezione i casi ipotetici sopra menzionati, pre-cisamente quello di un ovocita con due nuclei fecondati ciascuno da uno spermatozoo diverso, oppure quello di un ovocita e del suo globulo polare fecondati ciascuno da uno spermatozoo diverso. Pertanto, dette gravidanze sono monoovulari ma bizigotiche. Di norma le gravidanze monozigotiche sono bigemine; solo molto eccezionalmente danno origine a tre o più gemelli. È ammesso anche il caso che uno zigote (derivato da un ovocita fecondato da uno spermatozoo, ambedue mononucleati) si suddivida in un tempo precocissimo dopo il momento in cui si sono formati i primi due blastomeri e dia origine a due embrioni che si annidano separatamente. In questo caso i gemelli sono monozigotici anche se bicoriali.

I bambini che derivano da gravidanze multiple biovulari o multiovulari sono detti anche gemelli fraterni; quelli che derivano da gravidanze multiple monoovulari (salvo le eccezioni menzionate sopra) sono detti anche gemelli identici, a significare che hanno uguale patrimonio genetico e quindi uguaglianza di caratteri somatici e di sesso. Invece, il grado di similitudine che esiste tra gemelli fraterni è dello stesso ordine di quello che esiste tra fratelli non gemelli; ovviamente i gemelli fraterni possono essere anche di sesso differente.

In realtà, come osservato sopra e come verrà più dettaglia-tamente spiegato in seguito, non tutti i gemelli che derivano da gravidanze multiple monoovulari sono identici nel senso più stretto del termine.

Deve essere menzionata anche l’ipotesi della superfeconda-zione e della superfetazione.

La superfecondazione consiste nella fecondazione di due ovo-citi distinti a breve distanza di tempo l’uno dall’altro ma in coiti differenti; è possibile in tal modo che il padre dell’uno sia diverso dal padre dell’altro gemello. La superfecondazione può avvenire anche nella specie umana ed è stato possibile, in qualche rarissimo caso, darne dimostrazione quando l’accoppiamento era avvenuto con maschi differenti e talora di razza differente.

La superfetazione consiste nella fecondazione di un ovocita dopo che nella cavità uterina si è già annidato un altro embrione; essa implica pertanto che avvenga un’ovulazione mentre la prima gravidanza è già iniziata e che l’impianto del secondo embrione avvenga prima dell’obliterazione completa della cavità uterina da parte del primo. L’esistenza della superfetazione nella specie umana è quasi inverosimile.

Possibile, ma molto discutibile, eccezione sarebbe l’ipotesi di una fecondazione in vitro con trasferimento intratubarico dell’em-brione in una donna che non si era accorta di una pre-esistente precoce gravidanza. Potrebbe anche succedere che si riuscisse a forzare un’ovulazione mediante somministrazione di hCG in una donna nelle medesime circostanze sopra indicate e che su di lei venisse praticata la tecnica GIFT (gamete intrafalloppian transfer). Infine, è teoricamente possibile che si verifichi una superovulazione spontanea, soprattutto quando la preesistente e misconosciuta gravidanza è annidata in sede ectopica, e in seguito si realizzi una fecondazione spontanea (Blinckstein, 2005).

Contrariamente alle ipotesi descritte sopra non si può escludere che nelle gravidanze policoriali vi sia uno sfasamento cronologico nell’annidamento e nello sviluppo dei singoli embrioni.

Per quanto riguarda le gravidanze bigemellari, circa 1/3 dei gemelli sono monozigotici e 2/3 sono bizigotici; poiché in questi ultimi circa la metà delle coppie è di sesso concordante, ne deriva che complessivamente in 2/3 dei casi i gemelli hanno il medesimo sesso. Però, si rammenta che una parte dei gemelli monozigotici hanno placentazione bicoriale come conseguenza di una loro separazione precoce; pertanto, considerando questo fatto, il rapporto tra gravidanze spontanee monocoriali e gravi-danze spontanee bicoriali è dell’ordine di circa 1 a 6. L’aumento delle gravidanze multiple che derivano da procreazione artificiale tende ulteriormente a spostare il predetto rapporto a favore delle gravidanze bicoriali.

Nel caso di gemelli bizigotici o multizigotici ciascuno avrà la sua placenta e le sue membrane, anatomicamente separate da quelle dell’altro gemello (o degli altri gemelli) anche se topograficamente contigue. Si tratta sempre, in altre parole, di gravidanze bicoriali e biamniotiche (rispettivamente multicoriali e multiamniotiche). Sono però possibili rare eccezioni di placentazione monocoriale nonostante la gravidanza sia senza dubbio bizigotica, soprattutto nell’ambito di tecniche di riproduzione artificiale. Si presume che in queste circostanze si verifichi una precoce fusione degli strati cellulari esterni dei due embrioni (Walker et al., 2007).

Nel caso di gemelli monozigotici le possibilità sono diverse a seconda dell’epoca di sviluppo alla quale si è verificata la separa-zione degli abbozzi. Come già osservato, se la separazione avviene al momento in cui vi sono solo due blastomeri, ciascuno di essi si anniderà indipendentemente dall’altro e si realizzerà una evenienza simile a quella descritta per i gemelli bizigotici, cioè una gravidanza bicoriale e biamniotica. Invece, se la separazione avviene dopo la differenziazione del trofoblasto, ma prima che si sia formata la cavità amniotica, si verificherà una gravidanza monocoriale biamniotica. Infine, se la separazione avviene dopo la formazione della cavità amniotica, si verificherà una gravidanza monocoriale monoamniotica (fig. 51.2).

Nelle gravidanze monocoriali è eccezionale che vi siano più di due feti. Le gravidanze con più di due feti sono di regola multi-coriali e multizigotiche, sebbene una o più coppie di feti possano risultare monocoriali.

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Forme del tutto particolari e rarissime sono date da gravidanze multiple in cui un embrione è impiantato nell’una ed un secondo embrione è impiantato nell’altra cavità di un utero setto, bicorne o didelfo. Si può eccezionalmente osservare anche l’evenienza di un embrione impiantato nella cavità uterina e di un altro impiantato in sede tubarica, oppure di un embrione impiantato in una tuba ed un altro nell’altra, o altre combinazioni ancora più rare.

Tali forme di gravidanze multiple sono definite gravidanze simultanee. Per queste gravidanze è preferibile evitare il termine «eterotopico», derivato dall’uso inglese, che può dare luogo a malintesi.

In tutte le nazioni occidentali si è verificata una riduzione dei parti multipli a partire circa dal 1950; nel decennio ‘41-‘50 le frequenze erano attestate attorno al 12,5/1000 parti per scende-re attorno al 9,5/1000 parti fra il 1971 ed il 1980. In seguito si è verificata una nuova tendenza all’aumento sia per le gravidanze bigemellari, sia, soprattutto, per le gravidanze multifetali (super-multiple) con frequenze globali che si avvicinano a 14/1000 parti e talvolta superano di molto tale valore (Murphy e Hey, 1997). Per esempio negli Stati Uniti d’America nel 1992 è stata osservata una frequenza di gravidanze multiple globalmente considerata pari a 23,5/1000 parti.

In Italia nell’ambito dei parti plurimi la proporzione di quelli multifetali era dell’ordine di 1:99 nel quinquennio 1955-59, ma era salita a 1:38 nell’anno 1989 (Parazzini et al., 1991).

Mentre non è noto il motivo della riduzione dei parti multipli dal 1950 al 1980, l’aumento successivo è collegabile in massima parte alla diffusione crescente dell’uso di farmaci capaci di stimolare

Fig. 51.2 – Alcuni esempi della disposizione della placenta e delle membrane nella gravidanza gemellare. – A. Gravidanza gemellare bicoriale biamniotica con placente separate; nel setto divisorio fra i due sacchi amniotici sono evidenti quattro foglietti cioè la lamina amniotica e la lamina coriale di un gemello, e la lamina coriale e la lamina amniotica dell’altro gemello. – B. Gravidanza gemellare bicoriale biamniotica; le placente sono strettamente adiacenti, ma nel setto divisorio dei due sacchi amniotici sono evidenti i quattro foglietti come nell’esempio della figura A. – C. Gravidanza gemellare monocoriale biamniotica; la placenta è unica; nel setto divisorio delle due camere ovulari sono evidenti solo i due foglietti amniotici.

l’ovulazione e all’applicazione di tecniche di riproduzione medico-assistita. Tale interpretazione è avvalorata dal fatto che si tratta quasi esclusivamente di gemelli plurizigotici e dall’osservazione che in certe zone vi era stata una correlazione netta e positiva fra il nu-mero di fiale di gonadotropina hMG vendute ed aumento dei parti multipli. In realtà, in alcune popolazioni è stato registrato anche un aumento della gemellarità spontanea (Faisel et al., 2008).

Invece, la frequenza dei parti di gemelli monozigotici nel me-desimo periodo o non si è modificata, o ha mostrato solo aumenti minimi, rimanendo comunque attorno al valore di 4/1000 parti. Del resto, ciò era prevedibile, perché il fenomeno della gemellarità monozigotica è influenzato solo marginalmente dall’uso di farmaci stimolatori dell’ovulazione e dall’applicazione di tecniche di pro-creazione medico-assistita.

A prescindere dagli interventi iatrogenici, fra i vari fattori che influenzano la tendenza alla gravidanza multipla spontanea vanno rammentati i seguenti.

Nella razza nera la frequenza di gravidanze plurime (plurizigo-tiche) è più alta rispetto alla razza caucasica, mentre nelle razze mongoliche è sensibilmente inferiore; invece, la frequenza delle gravidanze multiple monozigotiche non varia in modo apprezzabile. Forse è più che una coincidenza il fatto che nelle razze mongoliche (Asia) la frequenza della malattia trofoblastica (mola idatiforme, ecc.) sia molto più elevata che nelle altre razze.

La frequenza delle gravidanze multiple polizigotiche aumenta con la parità della madre, con l’età della madre (fino a 40 anni), con la statura e con la massa corporea della madre (Reddy et al., 2005). Per le medesime gravidanze multiple polizigotiche vi è una manifesta tendenza ereditaria, il cui meccanismo è tuttora ignoto; però, sembra che il patrimonio genetico della madre abbia importanza preponde-rante (se non quasi esclusiva) rispetto a quello del padre.

Per le gravidanze multiple monozigotiche una tendenza eredi-taria è presumibile solo in casi eccezionali.

Nella tabella 51.10 sono riassunte le proprietà principali delle gravidanze bigemine spontanee monozigotiche e di quelle spon-tanee bizigotiche, che, nel loro complesso, costituiscono il gruppo numericamente più importante della gemellarità naturale.

Fra i possibili fattori favorenti della gravidanza multipla spon-tanea è stata anche considerata l’influenza delle stagioni; tale influenza non è evidente in tutti gli studi, forse in relazione a di-versità climatiche o a fattori di preselezione di altro genere; certo è che in Inghilterra fra il 1940 e il 1970 vi è stata costantemente un’eccedenza di parti plurimi (la mono- o pluriovularietà non è stata presa però in considerazione) nel semestre luglio-dicembre con massimo assoluto nel mese di novembre ed un minimo nel mese di maggio; inoltre si è avuto un andamento simile anche in Giappone ed in Israele.

Peraltro va ricordato che in altre aree geografiche sono stati documentati andamenti stagionali differenti.

Di conseguenza, non è possibile identificare con sicurezza quale sia il fattore che determina i descritti andamenti stagionali.

GRAVIDANZA PLURIMA MONOZIGOTICA GRAVIDANZA PLURIMA BIZIGOTICA

Non ereditaria Tendenza ereditaria con influenza preponderante del genotipo materno ma con meccanismo di trasmissione non ancora delucidato

Lieve aumento di frequenza con l’aumento dell’età materna Notevole aumento di frequenza con l’aumento dell’età materna

Frequenza indipendente dalla: Aumento di frequenza con:– parità – aumento della parità– statura della madre – aumento della statura e della massa corporea della madre

Tabella 51.10 – Caratteristiche della gravidanza plurima spontanea monozigotica e bizigotica.

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Le frequenze delle gravidanze multiple sono state sempre indicate facendo riferimento ai parti multipli e ponendo al denomi-natore il numero complessivo dei parti, singoli e multipli, sommati assieme. Infatti, non è possibile conoscere né il numero iniziale delle gravidanze multiple in una data popolazione, né il numero di queste gravidanze che esitano in aborto, né il numero di gravidanze che iniziano come multiple ed esitano in parto singolo per l’intervenuta eliminazione spontanea di uno o più gemelli.

Secondo alcune indicazioni preliminari per le gravidanze che iniziano come bigemine la frequenza dell’eliminazione spontanea di uno dei gemelli senza interruzione della gravidanza (cosiddetto fenomeno del gemello evanescente: “vanishing twin”) potrebbe sfiorare il 30% delle gravidanze bigemine ecograficamente accer-tate entro le prime dodici settimane di età gestazionale. Alcuni segnalano frequenze addirittura prossime al 50%.

Nell’ambito della gemellarità spontanea anche nei nati da parto bigemino vi è una lieve preponderanza dei maschi sulle fem-mine, però la differenza è minore che nei parti singoli. L’aumentata frequenza relativa di femmine sembra legata prevalentemente, ma non esclusivamente, alle gravidanze monozigotiche. Inoltre, nell’ambito di queste ultime, la proporzione delle femmine cresce quanto più tardiva è la separazione dei due abozzi embrionali, tanto è vero che nei gemelli congiunti la predominanza di coppie femminili è dell’ordine di 9 a 1.

Nei nati da parti trigemellari il rapporto maschi-femmine mo-stra addirittura una lieve preponderanza di femmine ed il fenomeno è ancora più evidente nei parti tetragemellari.

Una rassegna storica degli anni 1933-1948 nella popolazione degli Stati Uniti comprendente oltre 31.000.000 nati dimostra che la percentuale dei maschi (su 100 nati) ha il seguente andamen-to: parti singoli: 51,59%, parti bigemini: 50,85%, parti trigemini: 49,54%, parti tetragemini: 46,48%.

L’interesse non tanto biologico, quanto clinico e sociale della gravidanza multipla dipende dal fatto che questo tipo di gravidanza dà origine ad un numero elevato di bambini patologici, in particolare per quanto si riferisce alla prema-turità ed alla restrizione dell’accrescimento endouterino (IUGR). Precisamente, mentre nelle gravidanze singole l’aspettativa di parto pretermine è dell’ordine del 10% o poco più, nelle gravidanze bigemine diagnosticate dopo il primo trimestre è compresa fra 40 e 50% e nelle gravidanze multifetali (oltre 2 gemelli) è prossima al 100%. Per ciò che concerne il peso di nascita, indipendentemente dall’età gestazionale i bambini di peso inferiore a 1500 g hanno frequenza dell’ordine dell’1% o poco più nei parti singoli, del 10% nei parti bigemini, del 40% e più nei parti con più di due feti.

Queste cifre sono volutamente generiche e servono solo ad indicare l’ordine di grandezza; tuttavia, bastano a far ca-pire come la popolazione relativamente piccola dei bambini nati da parti multipli contribuisca in modo molto consistente alla casistica della patologia neonatale e pediatrica (Elliott, 2007; Shinwell e Blickstein, 2007; Lee C.V. et al., 2008).

In più, alle conseguenze della prematurità e della restri-zione dell’accrescimento endouterino si aggiungono gli esiti delle complicazioni durante il parto e gli esiti delle forme di patologia tipiche delle gravidanze multiple quali la sindrome da trasfusione intergemellare (“twin to twin transfusion syndrome” o TTTS) ed altre che verranno descritte nei pa-ragrafi seguenti.

Si deve anche annotare che è ben vero che attualmente le gravidanze multiple iatrogeniche in Italia derivano da proce-dure di concepimenti assistiti eseguite quasi esclusivamente

nell’ambito della medicina privata. Tuttavia, gli aumentati costi dell’assistenza ostetrica e, soprattutto, neonatologica e pediatrica di tali casi ricadono inevitabilmente nell’ambito della medicina e dell’assistenza sociale pubbliche.

II. Diagnosi Da quanto precedentemente riportato risulta indiscu-

tibile l’attribuzione alla gravidanza multipla della qualifica di gravidanza ad alto rischio con una previsione di entità di rischio tanto maggiore quanto maggiore è il numero dei concepiti.

Per quanto riguarda il tipo di gravidanza multipla, l’entità del rischio ostetrico è maggiore nelle gravidanze monozi-gotiche che nelle polizigotiche; inoltre, è maggiore nelle gravidanze monocoriali che nelle policoriali; infine, nelle gravidanze monocoriali è molto più elevata nelle monoam-niotiche che nelle poliamniotiche (Hecher et al., 2008).

Almeno in parte l’entità del rischio può essere ridotta e contrastata quando si riesca a fare diagnosi precoce non solo di gravidanza multipla, ma anche di corionicità, di zigosità e di amnionicità.

A tale scopo, a parte il sospetto clinico, è essenziale l’im-piego dell’ecografia sia transvaginale sia transaddominale. Solo mediante indagini ecografiche complete e sistematiche all’inizio della gravidanza è possibile riconoscere precoce-mente le gravidanze multiple e solo con la ripetizione pro-grammata delle indagini si riesce ad individuare i casi che inevitabilmente sfuggono ai primi esami.

Molto schematicamente i quadri ecografici più significa-tivi sono i seguenti. Ovviamente si tratta solo di un’esposi-zione succinta, senza pretese di esaurire ogni dettaglio di un argomento delicato e complesso (Bellotti e Rognoni, 1997; Sherer, 1998; Blickstein e Keith, 2005 a, b; Kurjak e Vecek, 2005; Shetty e Smith, 2005; Timor-Tritsch e Monteagudo, 2005; Tong, 2005).

Fra 5 e 9 settimane di età gestazionale è possibile la diagnosi di gravidanza multipla quando, verso la fine delle 5 settimane, si osservano (preferibilmente con l’ecografia transvaginale) 2 o più camere ovulari; poi, a partire da 6 settimane nelle camere ovulari si possono individuare le immagini degli embrioni, ciascuno con la propria attività cardiaca.

Bisogna ricordare che la visualizzazione endouterina a 6 set-timane presunte di età gestazionale di due raccolte liquide senza echi embrionali e senza attività cardiaca può essere dovuta alla presenza di una gravidanza bigemina con età gestazionale reale inferiore a 5 settimane e mezza (errore di datazione?, concepi-mento o sviluppo ritardato?).

A 6-7 settimane di età gestazionale l’immagine di una raccolta liquida senza echi embrionali coesistente con l’immagine di una camera ovulare con echi embrionali ed attività cardiaca può essere dovuta ad una gravidanza singola annidata in una metà di un utero con malformazione doppia (nell’altra metà può formarsi l’immagine di una pseudocamera), ad una gravidanza singola in normale evo-luzione coesistente con una raccolta ematica sottocoriale o con un uovo anembrionato (blighted ovum), ad una gravidanza multipla con embrione che evolve regolarmente mentre l’altro sta scompa-rendo o è scomparso (fenomeno del gemello evanescente).

La ripetizione delle indagini ecografiche nelle settimane succes-sive di solito consente di chiarire questi ed altri dubbi diagnostici (fig. 51.3). In più, il medico deve tenere presente la possibilità della

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gravidanza simultanea nelle sue varie caratteristiche e cercarne sistematicamente gli indizi diretti o indiretti (un embrione annidato in un corno ed il secondo nell’altro corno di un utero bicorne; un embrione annidato nell’utero ed il secondo annidato in una tuba; un embrione annidato in una tuba ed il secondo annidato nella tuba controlaterale; ecc.) (Talbot et al., 2011).

Infine si ricorda anche l’eccezionale possibilità che vi sia una gravidanza multipla annidata in una salpinge.

Per quanto riguarda la diagnosi di corionicità, in via preliminare si ricorda che le gravidanze multiple monozigotiche derivano da un unico ovocita fecondato da un solo spermatozoo (ambedue mononucleati). Molto schematicamente, in questa circostanza quando la separazione si delinea entro i primi 3 giorni a partire dalla fecondazione, origineranno 2 gemelli bicoriali e biamniotici (solo eccezionalmente i gemelli saranno più di 2).

Quando la separazione si delinea da 4 a 8 giorni dopo la fecon-dazione, i gemelli saranno monocoriali e biamniotici.

Quando la separazione si delinea a partire da 9 fino a 12 giorni dopo la fecondazione, i gemelli saranno monocoriali e monoam-niotici.

Quando la separazione si delinea a partire da 13-14 giorni dopo la fecondazione, originano i gemelli congiunti nelle loro diverse varietà.

Circa 80% dei gemelli monozigotici sono monocoriali biamnio-tici, circa il 10% sono bicoriali e biamniotici e poco meno del 10% sono monocoriali e monoamniotici.

Quanto enunciato sopra va inteso come schematica generaliz-zazione, che non tiene conto delle evenienze eccezionali quali le gravidanze monozigotiche supermultiple con varie combinazioni di corionicità e amnionicità.

Prescindendo dalle gravidanze supermultiple, è importante tenere presente che circa il 10% di tutti i gemelli sono bensì mono-zigotici, ma bicoriali e biamniotici, ovvero che nel gruppo dei gemelli bicoriali e biamniotici (circa 70% del totale dei gemelli) il rapporto fra bizigotici e monozigotici è di circa 6 a 1.

Poiché i gemelli di sesso discordante, salvo rarissime eccezioni (Zech et al., 2008), sono bizigotici (e rappresentano circa la metà dei gemelli bizigotici), nel caso di gemelli bicoriali di sesso uguale il rapporto fra bizigotici e monozigotici risulta di circa 3 a 1.

La diagnosi di corionicità può essere attuata abbastanza age-volmente fra 8-9 e 14-15 settimane di età gestazionale e si fonda sui criteri indicati qui di seguito, valutati adoperando la tecnica ecografica transvaginale e combinando al bisogno la tecnica tran-saddominale. Volutamente la descrizione è stata fatta in modo da adattarsi tanto a gravidanze bigemine, quanto a gravidanze mul-tifetali. Si tenga presente che nelle gravidanze multifetali posono coesistere condizioni di monocorionicità (con uno, due o più sacchi amniotici) con condizioni di pluricorionicità (con un sacco amniotico ogni camera coriale presente).

Anzitutto si cerca di identificare il numero delle placente. Se sono 2 o più e bene distinte, la gravidanza è bicoriale o multicoriale.

Se l’area placentare è unica, si cerca di esaminare la zona di inserzione della membrana divisoria fra i sacchi amniotici adiacenti. Quando l’inserzione è sottile e disegna una specie di T, si tratta molto verosimilmente di condizione monocoriale e biamniotica; invece, quando si nota come un triangolo di tessuto coriale che si insinua fra i due strati della membrana che divide due sacchi amniotici adiacenti, dando all’inserzione una forma paragonabile alla lettera greca lambda o ad una Y o ad un cuneo, si tratta di condizione bicoriale (Sepulveda et al., 1996; Timor-Tritsch e Mon-teagudo, 2005).

Non è indispensabile ricercare il segno dell’inserzione a lam-bda o a Y, se era stata eseguita un’ecografia molto precoce, con la quale era stata accertata la presenza di camere gestazionali bene distinte, ciascuna contornata da una propria corona di tessuto coriale (dimostrazione di pluricorialità).

A

B

C

Fig. 51.3 – A) Ecografia di gravidanza gemellare di 9 settimane. Evidenti i due sacchi gestazionali contenenti i due embrioni. B) ecografia di gravidanza quadrigemina di 9 settimane; si osservano quattro sacchi gestazionali. C) Gravidanza gemellare di 31 settimane; sono bene distinguibili le due teste dei gemelli.

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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Il segno dell’inserzione a lambda (o a Y), benché molto carat-teristico, presenta ciò nonostante un piccolo margine di errore, soprattutto perché anche in una condizione bicoriale biamniotica può non essere identificabile con certezza.

Segni sussidiari per la diagnosi di corionicità sono dati dall’esa-me della struttura della membrana divisoria fra due sacchi amniotici adiacenti. Uno spessore inferiore a 2 millimetri è indicativo di con-dizione monocoriale; invece, l’identificazione di almeno 3 lamine delle 4 presenti nelle condizioni bicoriali suggerisce, appunto, che si tratti della nominata condizione di bicorialità.

Se la membrana divisoria fra due sacchi amniotici adiacenti non viene identificata, probabilmente si tratta di condizione gemellare monoamniotica; però, qualche volta la membrana non è visualizzata per motivi tecnici o, più raramente, perché in uno dei sacchi amniotici si è sviluppato uno spiccato oligoidramnios.

Dopo le 15 settimane di età gestazionale i segni ecografici sopra elencati sono meno agevoli da identificare e lo diventano sempre meno con il procedere dell’età gestazionale.

In particolare modo nelle condizioni biamniotiche, soprat-tutto monocoriali, può essere difficile identificare la membrana divisoria fra i due sacchi amniotici; inoltre, come già ricordato, può verificarsi l’evenienza di marcato oligoidramnios in uno dei sacchi, dimodoché la membrana divisoria si accolla strettamente al contorno del gemello, che rimane quasi fissato contro la parete coriale (il cosiddetto fenomeno del gemello bloccato o incastrato o “stuck twin”).

In questo caso nella seconda metà della gravidanza, per diffe-renziare l’immagine di una gemellarità biamniotica con un gemello “bloccato” dall’immagine di una gemellarità monoamniotica, taluni consigliano di far cambiare decubito alla donna da un fianco all’altro per vedere anzitutto se il gemello in questione è veramente bloc-cato oppure se cambia collocazione nel sacco amniotico, o anche per vedere se si evidenzia una membrana divisoria.

Altrimenti, quando si stratta di gravidanza bigemellare, si può iniettare nell’unico sacco amniotico visibile un mezzo di contrasto radiografico; se, a tempo debito, questo compare solo nell’intesti-no di un feto, si tratta di gemellarità biamniotica con uno dei feti contenuto in un sacco quasi privo di liquido amniotico; invece, se il mezzo di contrasto compare nell’intestino di ambedue i gemelli, si tratta di condizione monoamniotica. Tuttavia, quest’ultimo esame ha lo svantaggio di dover ricorrere alla tecnica radiografica e quindi di esporre i feti ad una piccola dose di raggi Roentgen. Inoltre, questa tecnica male si adatta a gravidanze multifetali.

A partire da 16-17 settimane di età gestazionale cominciano ad essere ben evidenziabili i genitali esterni e da 20 settimane in poi lo sono virtualmente in tutti i casi. Verso le 24 settimane la diagnosi di sesso fetale può essere fatta con un margine di errore inferiore al 5%. Pertanto, si rende disponibile un’importante carattere dif-ferenziale nel senso che due gemelli di sesso diverso derivano da due zigoti diversi e sono bicoriali, salvo le rarisime eccezioni già menzionate. Così, il problema diagnostico si restringe ai gemelli di sesso uguale.

La diagnosi ecografica precoce di corionicità e di amnionicità (entro le 15 settimane di età gestazionale), oltre ad essere più facile che in epoca successiva, anzitutto ha lo scopo di meglio definire il rischio ostetrico nel caso in esame. Inoltre consente sia di meglio orientare assistenza e trattamento nel caso di complicanze o della manifestazione di una fetopatia, sia di programmare con maggiore accortezza le modalità del parto. Tutto questo è impossibile con la diagnosi clinica basata sulla sola semeiotica tradizionale.

Sulla base dei suggerimenti di Tong (2005) nelle fecondazioni naturali si può formulare la presunzione che una gravidanza bige-mina sia anche biovulare quando molto precocemente (entro le 8 settimane di età gestazionale) si riesce ad individuare l’esistenza nell’ovaio di due corpi lutei gravidici. Tuttavia, ciò non esclude l’ipotesi che vi sia stata bensì una doppia ovulazione, ma che solo

un ovocita sia stato fecondato ed abbia dato origine ad una gravi-danza bigemina monoovulare.

Inoltre, quando un unico follicolo di Graaf contiene due ovociti ed ambedue vengono fecondati, origina una gravidanza multipla biovulare ma vi è un solo corpo luteo gravidico.

La diagnosi clinica di gemellarità è necessariamente fattibile solo ben dopo le 20 settimane di età gestazionale, ma talora l’esistenza del secondo gemello viene constatata tardivamente e rappresenta una sorpresa. Fra gli elementi indiretti di sospetto si deve sempre valorizzare l’aumento di volume dell’utero, che nella gravidanza multipla è sensibilmente superiore a quanto compor-terebbe l’amenorrea. Anche la presenza di edema sovrapubico e di edemi agli arti inferiori non associati a segni di gestosi può far sospettare la gemellarità. È invece un segno clinico certo ma tar-divo (25-26 settimane di età gestazionale) il riscontro palpatorio di almeno 3 grosse parti fetali nonché il reperto ascoltatorio di 2 battiti cardiaci fetali con frequenza diversa e 2 focolai di mas-sima intensità distinti. È meno sicuro basarsi solo sul riscontro di 2 teste o di 2 podici, perché è facile cadere in errore. Anche il rilievo ascoltatorio di 2 battiti cardiaci fetali distinti è tutt’altro che semplice e si presta facilmente a malintesi. È giocoforza quindi ricorrere ad indagini strumentali, soprattutto all’ecografia.

Nella diagnosi differenziale devono entrare in discussione tutte le condizioni che possono determinare un aumento di volume uterino superiore a quanto comporterebbe l’età gestazionale e precisamente il poliidramnios, la megalosomia fetale, raramente anche la mola idatiforme. Il quesito diagnostico viene risolto nel modo più semplice mediante l’ecografia.

III. Evoluzione

Nella gravidanza multipla vi è aumentata frequenza di aborti, di poliidramnios, di gestosi, di anemia, di parti pretermine, di placenta previa, di distacco intempestivo di placenta normalmente inserita; in più, l’aumentato volume uterino comporta una maggiore frequenza ed intensità di disturbi da ingombro, specialmente nella seconda metà della gravidanza. È segnalata anche un’aumentata frequenza di vasi previ e di diabete gestazionale (Di Renzo et al., 2006).

Nelle gravidanze supermultiple la frequenza delle no-minate complicazioni è notevolmente superiore a quella osservata nelle gravidanze bigemine (Wen et al., 2004).

Per quanto concerne l’aborto, si stima che nella gravidan-za multipla entro le prime 10 settimane di età gestazionale si verifichi in quasi un terzo dei casi la perdita di un concepito (gemello evanescente o “vanishing twin”) ed in un ulteriore terzo dei casi si verifichi la perdita dell’intera gravidanza. Tra 11 e 24 settimane di età gestazionale il rischio approssima-tivo di aborto o parto pretermine precocissimo è del 13% nelle gravidanze monocoriali e del 2,5% nelle gravidanze bicoriali (Pilu et al., 2006).

Quasi costantemente il poliidramnios è di tipo cronico e non è molto pronunciato; quando vi sono due o più sacchi amniotici distinti, vi può essere eccessivo volume di liquido amniotico solo in uno di essi. Anche se il polii-dramnios è modesto, l’intensità dei disturbi da ingombro può essere, ciò nonostante, molto accentuata. Inoltre, in casi di poliidramnios il rischio di mortalità perinatale è notevolmente aumentato, soprattutto come conseguenza della maggior frequenza e della maggior precocità del parto pretermine.

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Nelle gravidanze multiple di solito i fenomeni simpatici neurovegetativi (nausea, vomito, ecc.) sono più intensi che nelle gravidanze singole; analogamente, sono più frequenti sia le gestosi del primo trimestre sia le gestosi tardive; tutte e tre queste evenienze sono forse in rapporto sia con la maggiore massa di tessuto placentare, sia con la maggiore produzione di gonadotropina corionica, sia con il maggior volume uterino presente nelle gravidanze multifetali.

L’aumentata frequenza dell’anemia si spiega facilmen-te tenendo conto del maggiore fabbisogno di ferro e del maggiore incremento del volume plasmatico materno. I disturbi da ingombro possono manifestarsi con insorgenza di dispnea, con lo stabilirsi di un accentuato ostacolo alla circolazione venosa degli arti inferiori e la comparsa di varici voluminose, con fenomeni di compressione sullo stomaco e sull’intestino. L’andatura della donna talora è resa diffi-coltosa sia per il maggior peso del contenuto uterino, sia anche perché sembra che nelle gravidanze multiple esista un maggiore rilasciamento delle strutture legamentose pelviche (aumentato effetto della relaxina?).

L’andamento delle concentrazioni plasmatiche di ormoni e proteine specifiche nelle gravidanze multiple riflette la presenza di una maggiore massa placentare rispetto alle gravidanze singole, ma subisce anche l’influsso del mag-giore aumento del volume plasmatico e, soprattutto, della sua maggiore variabilità da donna a donna. Quanto verrà riportato di seguito si riferisce specialmente alle gravidanze bigemellari, ma per analogia può essere applicato anche alle gravidanze con più di due feti.

La concentrazione plasmatica della gonadotropina corionica (hCG) si colloca su valori più alti nella gravidanza multipla che nella gravidanza monofetale, soprattutto nel corso del primo trimestre di gestazione. Quando si tratta di gravidanza gemellare con due feti femmina, le concentrazio-ni plasmatiche di hCG sono molto superiori a quelle di casi dove vi sono due feti maschi (dell’ordine di due volte) mentre quando un feto è maschio e l’altro è femmina i valori sono intermedi. Quando si verifica la morte endouterina di uno dei gemelli, si osserva una netta diminuzione dei valori della hCG mentre quelli di estriolo, progesterone e hPL plasmatici si modificano poco o non si modificano affatto.

Le concentrazioni plasmatiche del lattogeno placentare (hPL), dell’estriolo e del progesterone nella gravidanza mul-tipla si collocano nella parte alta dell’ambito fisiologico della gravidanza unifetale ed in buona parte anche sopra il limite superiore di tale ambito.

È descritto un andamento analogo anche per la Schwangerschafts-Protein-1 (SP-1), la placental protein-5 (PP-5), la pregnancy associated plasma protein-A (PAPP-A), l’alfafetoproteina.

Contrariamente a quanto riferito per la hCG, in caso di morte endouterina di un gemello si osserva un forte incremen-to della concentrazione plasmatica di alfafetoproteina.

Data l’ampia variabilità individuale, il dosaggio delle sud-dette sostanze nelle gravidanze multiple ha valore ancora più basso che nelle gravidanze monofetali ai fini di una diagnosi di benessere fetale.

Anche per la selezione di casi a rischio di alcune fetopatie (trisomia-21, ecc.) l’uso di metodi quali il dosaggio delle con-centrazioni plasmatiche di hCG, estriolo ed alfafetoproteina

(cosiddetto triplo test e simili) è ancora più discutibile nelle gravidanze multiple che nel caso di gravidanze singole.

IV. Controlli ed assistenza per la gestante L’obbiettivo clinico più importante è preliminarmente

la diagnosi tempestiva di gravidanza multipla e delle sue caratteristiche (Dodd e Crowther, 2005).

L’ulteriore obbiettivo clinico, che ha il primo come logica premessa, è la diagnosi precoce delle possibili complicanze e l’attuazione di appropriate misure preventive (Parretti et al., 1997; Kagan et al., 2008; Vayssière et al., 2011).

A tale scopo è opportuno in linea generale:– programmare visite prenatali più ravvicinate che

nella gravidanza monofetale, con controllo del peso cor-poreo, della pressione arteriosa, dell’esame delle urine. Nelle gravidanze bigemine l’aumento del peso corporeo dovrebbe essere superiore del 40-50% rispetto alla norma delle gravidanze monofetali. Nelle gravidanze con più di due feti l’aumento di peso dovrebbe superare almeno del 50% quello delle gravidanze monofetali. Invece i criteri per la valutazione della pressione arteriosa e dell’esame delle urine non variano.

– Suggerire un’alimentazione corretta; molti propongono di aumentare sia la razione calorica giornaliera di 200-300 calorie, sia i supplementi di ferro (del 50%) ed acido folico (almeno del 100%) rispetto a quanto consigliato per la gra-vidanza monofetale.

– Proporre notevole riduzione dell’attività fisica e dell’esposizione della gestante a circostanze che provochino tensioni e sforzi.

Per ridurre il rischio di parto pretermine e quello di restrizione della crescita dei feti è probabilmente utile il prolungato riposo a letto a domicilio mentre il ricovero ospedaliero sistematico per attuare il cosiddetto “riposo terapeutico in condizioni controllate”, sovente prescritto in passato, si è rivelato superfluo salvo circostanze ambien-tali particolarmente sfavorevoli. Il riposo a letto migliora l’irrorazione uterina e riduce la pressione meccanica del polo inferiore delle membrane sull’orificio uterino interno. Nei casi non complicati l’epoca gestazionale solitamente prescelta per iniziare il riposo a letto corrisponde a 23-24 settimane di età gestazionale.

La prevenzione specifica del parto pretermine nelle gravidanze multiple è problema tuttora senza soluzione soddisfacente. Forse solo il riposo a letto comporta qualche vantaggio misurabile in termini di prolungamento della ge-stazione nonché in termini di miglioramento della mortalità e morbosità neonatale.

L’uso profilattico di farmaci tocolitici si è dimostrato inutile. Addirittura vi è motivo di sospettare che la tocolisi cosiddetta “profilattica” sia controproducente perché inibi-sce le contrazioni di Braxton-Hicks. Infatti, queste contrazioni servono a facilitare lo scorrimento del sangue materno nello spazio intervilloso e quindi sono vantaggiose per la funzio-nalità della placenta.

In realtà gli eventuali danni di una tocolisi cronica con betastimolanti vengono limitati perché interviene una rego-lazione al ribasso dei recettori specifici.

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Anomalie dell’accrescimento endouterino, del concepimento e dell’embriogenesi iniziale

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Come nelle gravidanze monofetali, con la tocolisi farma-cologica nella migliore delle ipotesi si riesce solo ad arrestare per qualche giorno il travaglio di parto iniziato prima del termine; anche con questa limitazione la percentuale di successo è molto variabile da casistica a casistica e nella singola donna la prognosi rimane aleatoria.

È opinione diffusa che in caso di delineato travaglio di parto pretermine la tocolisi farmacologica abbia senso solo se la dilatazione cervicale non supera i 3 cm, se le membrane sono integre, se non intervengono altre complicazioni.

Nella scelta di comportamento si deve tenere conto che nelle gravidanze multiple la maturazione polmonare dei feti è anticipata di 10-14 giorni rispetto alle gravidanze singole, col feto più piccolo di solito più maturo del feto più grosso. Inoltre, è bene non dimenticare che nelle gravidanze multi-ple l’aumento della volemia materna, essendo maggiore che nelle gravidanze singole, predispone all’insufficienza cardia-ca ed all’edema polmonare acuto, e che sia i farmaci tocolitici betastimolanti, sia i corticosteroidi usati per accelerare la maturazione polmonare dei gemelli possono aggravare il predetto pericolo, soprattutto se vengono somministrati contemporaneamente.

In passato era stato proposto l’uso del cerchiaggio cervicale come ulteriore misura sistematica di prevenzione del parto pretermine. Vista l’assenza di risultati favorevoli, attualmente si preferisce limitare l’applicazione del cerchiag-gio ai soli casi con indiscutibili segni clinici ed ecografici di incontinenza cervicosegmentaria. Nelle gravidanze trige-mine sembra, peraltro, che l’applicazione profilattica di un cerchiaggio per via addominale fra le 8 e le 18 settimane di età gestazionale offra una misurabile protezione verso il rischio del parto pretermine prima di 28 settimane di età gestazionale (Sumners et al., 2011).

Per quanto riguarda la gestosi EPH, nelle gravidanze multiple la sua frequenza è aumentata di almeno 2 volte rispetto alle gravidanze monofetali. Prima di 36 settimane di età gestazionale il trattamento è uguale a quello proposto per le gravidanze singole. Invece, a partire da 36 settimane (o, addirittura, da 35) non vi è alcun vantaggio a lasciare proseguire la gravidanza anche in caso di gestosi lieve.

Oltre all’aumento di frequenza, limitatamente alle gravidanze con più di due feti la gestosi EPH sovente può manifestarsi in modo atipico, con evidenti anomalie a carico degli indici ematochimici (uricemia, indici di funzionalità epatica, ecc.) anche in assenza di ipertensione e con solo scarsa proteinuria. Oltre a ciò nelle gravidanze supermultiple sembra che la sindrome HELLP conclamata sia più frequente che nelle gravidanze singole ed in quelle bigemine.

In caso di poliidramnios le decisioni terapeutiche ed assistenziali vanno calibrate caso per caso in base alla tol-leranza della gestante e soprattutto in base alle condizioni dei gemelli.

Nelle gravidanze multiple è riferita un’aumentata fre-quenza di placenta previa e distacco intempestivo di placenta normalmente inserita.

Per la placenta previa non dovrebbe trattarsi di circostan-za inattesa, anche per la frequenza e meticolosità con cui abitualmente si praticano gli esami ecografici nelle gravidan-ze multiple. L’obiettivo dell’assistenza nelle gravidanze bige-mine è di raggiungere le 35-36 settimane di età gestazionale

ed in questi casi un prolungato ricovero ospedaliero a scopo precauzionale ha evidente utilità. Il citato limite cronologico nelle gravidanze trigemine può ovviamente venire anticipato in accordo con quanto enunciato più avanti. A partire dalla predetta epoca gestazionale è ragionevole interrompere la gravidanza, di solito mediante taglio cesareo elettivo, soprattutto se trattasi di primigravida.

Per il distacco intempestivo di placenta normalmente inserita l’aumento di frequenza nelle gravidanze multiple rispetto a quelle singole non è tale da suggerire misure precauzionali straordinarie. Trattandosi di complicazione improvvisa senza segni premonitori, non sono attuabili speci-fiche forme di prevenzione. È solo consigliabile non attardarsi ad estrarre i feti, di solito mediante taglio cesareo, anche di fronte a distacchi di modesta entità, soprattutto se vi è la presunzione che i gemelli abbiano raggiunto un’accettabile maturazione polmonare.

Quanto presentato nei capoversi che precedono è mirato soprattutto alle gravidanze bigemine. Per le gravidanze con più di due gemelli i suggerimenti sono analoghi, sebbene sia meno sicuro che abbiano la medesima validità clinica e si debba tenere conto che l’epoca ottimale per il parto varia come di seguito specificato.

Infatti, da tempo è stato osservato che nelle gravidan-ze bigemellari, a prescindere dalla comparsa di eventuali complicazioni, l’età gestazionale ottimale per il parto non è 40-41 settimane di età gestazionale come per le gravidanze singole, bensì è compresa fra 37 e 38 settimane, mentre per le gravidanze trigemellari è compresa fra 34 e 35 setti-mane. Non vi sono dati sicuri per le gravidanze con 4 feti o più, però è logico presumere che l’epoca ottimale del parto sia pari o poco inferiore a quella indicata per le gravidanze trigemellari.

Comprensibilmente, vi è un limite, perché ad età gesta-zionali molto più basse intervengono a modificare l’ottimalità statistica per la sopravvivenza dei bambini fattori legati alla maturazione organica (soprattutto polmonare) e fattori legati al peso di nascita a prescindere dall’età gestazionale.

V. Elementi di medicina fetale nelle gravidanze multiple

a) Accrescimento fetale

Per quanto riguarda l’accrescimento fetale, un fattore limitante di grande importanza è rappresentato dalla massa complessiva dei prodotti del concepimento in funzione delle capacità nutritive della placenta. Mentre nelle gravidanze singole fisiologiche la deflessione della velocità dell’ac-crescimento fetale dall’andamento rettilineo inizia verso le 37 settimane di età gestazionale ed anche dopo, nelle gravidanze bigemellari inizia già verso le 30 settimane, in quelle trigemellari inizia verso le 28 settimane ed in quelle tetragemellari inizia verso le 26-27 settimane (Pecorari et al., 1992).

Un utile modo per seguire l’aumento della crescita en-douterina nei gemelli è fare riferimento alle curve di accre-scimento delle gravidanze singole, in modo da evidenziare

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di volta in volta lo scarto in difetto dei gemelli rispetto ai feti singoli, di norma evidente dopo le 30 settimane di età gestazionale per i bigemini e dopo le 28 settimane per i trigemini (Machin, 2002).

Qualunque sia la collocazione del peso stimato di un feto nel diagramma di accrescimento, per esprimere un giudizio di benessere fetale, come nelle gravidanze singole anche nella gemellarità conta soprattutto la dimostrazione della costanza dell’accrescimento.

Infine, si deve ricordare che nelle gravidanze bigemellari il peso medio dei gemelli ad ogni età gestazionale è circa del 10% inferiore nei monocoriali rispetto ai bicoriali e che nei monocoriali la frequenza di notevoli discrepanze fra i gemelli è più alta che nei bicoriali.

Quando non si desidera ricorrere alla stima del peso, ma si preferisce la valutazione di alcune grandezze lineari, almeno per le gravidanze bigemellari è possibile basarsi sulle curve di riferimento delle gravidanze unifetali perché le differenze sono scarse.

Nelle gravidanze multiple vi è un’alta percentuale di feti in presentazione podalica; di conseguenza, nel corso del terzo trimestre la conformazione cranica di questi feti tende ad assumere aspetto dolicocefalico ed il diametro biparetiale presenta una o più o meno evidente restrizione di crescita. Conseguentemente, per valutare le dimensioni della testa di questi bambini è preferibile basarsi sulle mi-surazioni della circonferenza cranica, che è meno sensibile del diametro biparetiale a variazioni della morfologia del cranio.

Invece, circonferenza addominale e lunghezza del femore non hanno le predette limitazioni.

Ai fini di un’iniziale valutazione dell’esistenza di discor-danza ponderale fra i gemelli la circonferenza addominale è la singola grandezza antropometrica più informativa; precisamente, è fondata opinione che un divario superiore a 20 mm (secondo alcuni superiore a 18 mm) nel terzo trimestre di gestazione con ampia probabilità sia segno di discordanza patologica.

Per quanto riguarda la morfologia somatica dei feti nelle gravidanze multiple, anche in queste normalmente prima di 36 settimane di età gestazionale il rapporto fra circonferenza cranica e circonferenza addominale è maggiore di 1; è pari ad 1 a 36 settimane ed è di poco inferiore ad 1 a partire da 37 settimane.

Quando vi è restrizione asimmetrica dell’accrescimento fetale il rapporto tra circonferenza cranica e circonferenza addominale rimane superiore a 1 dopo le 36 settimane. In-vece risulta sovente inferiore a 1 anche alquanto prima delle 36 settimane nei gemelli con accrescimento disarmonico sproporzionato in eccesso, indipendentemente dal peso fetale stimato o misurato alla nascita.

In base ad una diffusa opinione i gemelli sani possono avere una differenza di peso (stimato prima del parto o mi-surato alla nascita) fino al 20%, assumendo come base per il calcolo percentuale il peso del gemello più grosso. Solo oltre il predetto limite è giustificato parlare di discordanza patologica. Secondo le recenti osservazioni di Breathnach et al. (2011), il limite per la differenza normale del peso di nascita nelle gravidanze bigemine è pari al 18%.

Inoltre nell’ambito dei gemelli sani vi può essere ogni combinazione di tipologia. Ad esempio, limitatamente ai bigemini, ambedue possono essere armonici, ambedue possono mostrare morfologia caratteristica della restrizio-ne disarmonica di crescita o ambedue possono mostrare morfologia caratteristica della crescita disarmonica spro-porzionata in eccesso; ovviamente, vi può essere anche una combinazione di due tipi somatici diversi. Lo stesso accade, con maggiori possibilità combinatorie, nelle gravidanze con oltre due feti.

Infine non si deve trascurare il fatto che anche nelle gravidanze multiple i feti di sesso maschile a parità di ogni altra condizione pesano di più che le femmine.

Nei gemelli bicoriali la discordanza ponderale patologica può essere dovuta a fattori costituzionali; alla comparsa di insufficienza placentare solo a carico di una delle placente (per esempio una placenta impiantata normalmente nel corpo uterino ed una impiantata sul segmento inferiore) o anche a carico di ambedue le placente, ma con diversa gra-vità; alla comparsa di una fetopatia solo in uno dei gemelli o a carico di ambedue, ma con diversa gravità.

Anche le anomalie del funicolo possono dare origine ad accrescimento discordante; per esempio, il feto più piccolo può presentare un’arteria ombelicale unica o un’inserzione velamentosa del funicolo.

Nei gemelli monocoriali, come già ricordato, le discor-danze ponderali sono più frequenti che nei bicoriali; per di più sovente sono molto più accentuate.

Ciò è dovuto soprattutto alla relativa frequenza della sin-drome da trasfusione feto-fetale o all’inserzione eccentrica sulla placenta del funicolo di uno dei due gemelli, cosicché l’area placentare di spettanza di quest’ultimo risulta più piccola dell’area placentare di spettanza dell’altro. Possono comparire anche zone di insufficienza placentare circoscritte, con scarsa possibilità di compenso da parte delle anastomosi vascolari che collegano le varie aree dell’organo.

Oltre a queste, che sono cause esclusive dei gemelli monocoriali, sia pure con minore frequenza possono in-tervenire anche le cause elencate per i gemelli bicoriali, con l’eccezione dei fattori costituzionali.

Per comodità espositive nei capoversi precedenti è stato fatto riferimento esplicito alle gravidanze bigemine; tuttavia con gli opportuni adattamenti dei termini i concetti riportati valgono anche per le gravidanze con più di due feti.

Quando si rileva una discordanza patologica del peso stimato, è consigliabile approfondire gli accertamenti per tentare di giungere ad una diagnosi più circostanziata. In particolare, può essere utile proporre non solo valutazioni morfologiche ecografiche mirate alla ricerca di malforma-zioni, ma anche uno studio ecocardiografico e Doppler-flussimetrico; in casi selezionati trovano indicazione anche accertamenti invasivi quali amniocentesi, funicolocentesi, ecc.

Anche nelle gravidanze multiple i dati antropometrici rilevati con l’ecografia possono servire come base per una conferma dell’età gestazionale o per una vera e propria datazione della gravidanza. Poiché almeno fino a 26-28 settimane per le gravidanze bigemine non vi sono rilevanti differenze rispetto alle gravidanze singole, entro tali limiti